NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE CIVILE, 22 marzo 2013, n A cura di Ornella Longobardo

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1 NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE CIVILE, 22 marzo 2013, n A cura di Ornella Longobardo La Corte interviene sul risarcimento del danno per nascita di bimbo non sano LA QUESTIONE Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte di Cassazione torna ad occuparsi della problematica riguardante il diritto dei genitori di chiedere ed ottenere, in proprio e nella qualità di esercenti la patria potestà sul figlio nato malformato, il risarcimento del danno patrimoniale e non, nel caso di mancata informazione da parte del sanitario delle malformazioni del feto durante il periodo di gestazione. IL FATTO In particolare, nel caso di specie, i genitori di un bambino nato con la patologia della spina bifida agivano in giudizio, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sul proprio figlio, per sentir dichiarare la responsabilità del ginecologo per non averli preventivamente e tempestivamente informati della malformazione di cui era affetto il feto, così da precludere alla madre la possibilità di esercitare il diritto di chiedere l interruzione volontaria della gravidanza prevista e disciplinata dall art. 6 della legge n. 194 del Costituitosi in giudizio per contestare le avverse pretese, il sanitario veniva condannato dal Giudice di prime cure al risarcimento del danno nei confronti dei genitori, mentre veniva rigettata la domanda da quest ultimi avanzata in nome e per conto del figlio. Impugnata in secondo grado la predetta decisione, i giudici di appello rigettavano la domanda del sanitario, ritenendo come quest ultimo, nello svolgere esattamente l obbligazione assunta, avrebbe dovuto far eseguire alla paziente alcuni esami specifici e necessari per poter riscontrare la presenza di eventuali anomalie dell embrione. Tuttavia, dopo aver confermato l inadempimento del medico, la Corte di Appello decideva di soffermarsi sull art. 6 lett. b della legge n. 194 del 1978, secondo il quale, dopo i primi novanta 1

2 giorni di gestazione, l interruzione volontaria della gravidanza è possibile solo se le patologie riguardanti anomalie o malformazioni del feto possono causare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre, talchè, nel caso de quo, esaminando l istruttoria espletata, riteneva che non erano emersi elementi tali da poter affermare che la notizia della malformazione riscontrata nel nascituro avrebbe determinato un grave pericolo per la salute psichica della madre. Nel corso del giudizio, infatti, era stato appurato che, nel periodo precedente la gravidanza, la madre non aveva mai sofferto di disturbi psicopatologici, mentre dopo il parto, lo scompenso psicologico riscontratosi ben poteva essere considerato fisiologico in relazione al verificarsi di un evento fortemente stressante, quale la nascita di un figlio malformato. Secondo la Corte di Appello, quindi, pur essendo stato provato l inadempimento del sanitario, non era stata dimostrata né la volontà della gestante di esercitare il diritto di interruzione della gravidanza, né la sussistenza dei presupposti richiesti dalla vigente normativa per poterlo legittimante esercitare, sicchè, non soddisfatti da tale pronuncia i genitori del bimbo malformato decidevano di ricorrere in Cassazione. LA MOTIVAZIONE E I PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI Nello specifico, la Suprema Corte è chiamata ad occuparsi della problematica, particolarmente delicata e complessa, della distribuzione dell onere della prova e dei fatti che devono essere necessariamente provati nei giudizi risarcitori da nascita indesiderata. Punto di partenza per i giudici di piazza Cavour è la legge n. 194 del 1978 (c.d. legge sull aborto), ai sensi della quale, l interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi novanta giorni di gestazione, è possibile solo qualora si verifichino situazioni tali da rendere la gravidanza o il parto pericolosi per la vita della donna, oppure quando si accertino rilevanti anomalie o malformazioni del feto tali da causare un grave pericolo per la salute fisica e psichica della madre. Alla luce di tale legislazione, la Corte ricorda e richiama un primo orientamento giurisprudenziale, risalente al 1998, secondo il quale, in caso di errata diagnosi prenatale, il giudice, chiamato a verificare l inadempimento del medico per non aver informato la madre dell esistenza di gravi malformazioni sul nascituro, deve accertare, dapprima, la sussistenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge sull aborto per il legittimo esercizio del diritto di interruzione volontaria, e dunque, che le malformazioni fetali siano tali da determinare un serio pericolo per la salute della donna, e successivamente, che questa, se fosse stata scrupolosamente informata dell esistenza delle gravi 2

3 malformazioni sul concepito, avesse effettivamente esercitato il suo diritto all interruzione volontaria della gravidanza. (cfr. Cass. civ. Sez. III, 01/12/1998, n ) D altra parte, anche secondo un successivo orientamento giurisprudenziale, nei giudizi di nascita indesiderata è onere della donna, che agisce in giudizio per chiedere ed ottenere il risarcimento del danno per non aver potuto esercitare il suo diritto di aborto, provare i fatti costitutivi del proprio diritto, mentre è compito del sanitario provare che, nel momento in cui si è verificato l inadempimento, il nascituro era già pervenuto alla possibilità di vita autonoma. (cfr. Cass. civ. Sez. III, 10/05/2002, n ) Parimenti, anche i successivi orientamenti giurisprudenziali pronunciatisi in materia, confermano il principio secondo il quale è onere della donna provare che l esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto siano tali da generare uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica, specificando anche che il fatto che una donna sostenga di volersi avvalere della facoltà di interrompere volontariamente la gravidanza, qualora fosse stata correttamente informata della malformazione del nascituro, rende implicita l esistenza delle condizioni richieste dalla legge per ricorrervi, dovendosi comunque verificare secondo la regola causale del più probabile che non che la conoscibilità delle malformazioni esistenti sul concepito avrebbe causato uno stato patologico tale da mettere in serio pericolo la salute della madre, così da acconsentire l interruzione della gravidanza prima che il feto potesse raggiungere la possibilità di vita autonoma (cfr. Cass. civ. Sez. III, 10/11/2010, n ; Cass. civ. Sez. III, 02/02/2010, n ; Cass. civ. Sez. III, 04/01/2010, n ; Cass. civ. Sez. III, 21/06/2004, n ). 1 Cass. civ. Sez. III, 01/12/1998, n Il medico, il quale abbia omesso di adempiere al suo obbligo di informazione circa le risultanze dell'esame ecografico in ipotesi di gravi malformazioni o anomalie del feto, è responsabile dei danni causati alla donna per il mancato esercizio del diritto all'interruzione di gravidanza qualora risulti provata non soltanto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla legge per l'esercizio legittimo della interruzione volontaria della gravidanza (artt. 6, lett. b), e 7, comma 3, legge n. 194 del 1978), ma altresì che la donna avrebbe effettivamente esercitato detto diritto. 2 Cass. civ. Sez. III, 10/05/2002, n Nella causa tra la donna che chiede il risarcimento dei danni derivatile dal non aver potuto esercitare il suo diritto ad interrompere la gravidanza, ed il medico che sostiene l'insussistenza del nesso causale perchè la donna non avrebbe comunque potuto esercitarlo, alla donna spetta provare i fatti costitutivi del diritto, al medico i fatti idonei ad escluderlo. Pertanto non spetta alla donna provare che quando è maturato l'inadempimento del medico il feto non era ancora pervenuto alla condizione della possibilità di vita autonoma, ma spetta al medico provare il contrario 3 Cass. civ. Sez. III, 10/11/2010, n In tema di responsabilità del medico da nascita indesiderata, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità tra l'omessa rilevazione e comunicazione della malformazione del feto e il mancato esercizio, da parte della madre, della facoltà di ricorrere all'interruzione volontaria della gravidanza, è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto, essendo in ciò implicita la ricorrenza delle condizioni di legge per farvi ricorso, tra le quali (dopo il novantesimo giorno di gestazione) v'è il pericolo per la salute fisica o psichica derivante dal trauma connesso all'acquisizione della notizia, a norma dell'art. 6, lett. b), della legge n. 194 del 1978; l'esigenza di prova al riguardo sorge solo quando il fatto sia contestato dalla controparte, nel qual caso si deve stabilire - in base al criterio 3

4 Di fronte a tale consolidato orientamento giurisprudenziale, con la sentenza de qua, la Corte sottolinea come lo stesso, ritenendo sufficiente per la donna allegare la circostanza che, se correttamente informata, si sarebbe avvalsa del suo diritto di aborto, finisce per produrre una presunzione iuris tantum di sussistenza dei presupposti che l interruzione volontaria avrebbe legittimato, addossando, invece, sul sanitario l onere di provare che la donna, seppur informata, non avrebbe potuto o voluto interrompere la gravidanza. Recentemente, poi, la Suprema Corte di Cassazione è nuovamente tornata sulla questione de qua, affermando come il giudice debba accertare caso per caso e senza il ricorso a generalizzazioni di tipo statistico il riparto del rispettivo onere probatorio, talchè, sarà compito dell attrice integrare con ogni ulteriore elemento la predetta presunzione in modo da consentire al giudice di poter realmente valutare la corrispondenza della anzidetta presunzione con quanto asserito in citazione. (cfr. Cass. civ. Sez. III, 02/10/2012, n ). Pertanto, in linea con tale interpretazione, nella pronuncia de qua, i giudici di legittimità ritengono che è compito della donna, che agisce in giudizio per il risarcimento del danno, provare il (integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali) del "più probabile che non" e con valutazione correlata all'epoca della gravidanza - se, a seguito dell'informazione che il medico omise di dare per fatto ad esso imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. 4 Cass. civ. Sez. III, 02/02/2010, n Il sanitario curante che accerti l'esistenza, a carico della gestante, di una patologia tale da poter determinare l'insorgenza di gravi malformazioni a carico del nascituro, è tenuto ad informare la donna di tale situazione e della possibilità di svolgere indagini prenatali, benché rischiose per la sopravvivenza del feto, onde consentire l'esercizio della facoltà di procedere all'interruzione della gravidanza; ove, peraltro, siano decorsi più di novanta giorni dall'inizio della gravidanza, per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla violazione di tale diritto, la donna è tenuta a dimostrare - con riguardo alla sua concreta situazione e secondo la regola causale del "più probabile che non" - che l'accertamento dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica. 5 Cass. civ. Sez. III, 04/01/2010, n. 13 L'omessa rilevazione, da parte del medico specialista, della presenza di gravi malformazioni nel feto, e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, deve ritenersi circostanza idonea a porsi in rapporto di causalità con il mancato esercizio, da parte della donna, della facoltà di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi rispondente ad un criterio di regolarità causale che la donna che si trovi nelle condizioni di legge per l'esercizio del diritto all'aborto, ove adeguatamente e tempestivamente informata della presenza di una malformazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalità del nascituro, preferisca non portare a termine la gravidanza. 6 Cass. civ. Sez. III, 21/06/2004, n Posto che, in caso di gravi malformazioni del feto, si assume come normale e corrispondente a regolarità causale che la gestante, se informata correttamente e tempestivamente sulla gravità delle patologie cui va incontro il nascituro, interrompa la gravidanza, il difetto d'informazione da parte del medico per omessa diagnosi prenatale determina responsabilità per perdita del diritto di scelta d'interruzione della gravidanza (nella specie, si è ritenuto che anche la parziale mancanza di un braccio integrasse una rilevante malformazione del nascituro). 7 Cass. civ. Sez. III, 02/10/2012, n In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, l'inadempimento del medico rileva in quanto impedisce alla donna di compiere la scelta di interrompere la gravidanza. Infatti la legge, in presenza di determinati presupposti, consente alla donna di evitare il pregiudizio che da quella condizione del figlio deriverebbe al proprio stato di salute e rende corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto. 4

5 fondamento della sua pretesa, ovvero che la mancata informazione avrebbe causato un processo patologico tale da determinare un grave pericolo per la sua salute, e che, conseguentemente la stessa avrebbe esercitato il suo diritto di aborto. Secondo il Collegio, poi, la verifica dell esistenza o meno del diritto all interruzione volontaria della gravidanza, nonché della sussistenza del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna deve essere condotta con un giudizio ex ante, sicchè, ciò che è accaduto successivamente può assumere solamente un valore indiziario, ma non decisivo. Tanto premesso, nel caso di specie, la Corte afferma che i giudici di secondo grado, pur richiamando i predetti principi giurisprudenziali, li abbiano erroneamente applicati, in quanto la mancata sussistenza di elementi tali da far ipotizzare, seppure in termini di mera probabilità, la nascita di un processo patologico tale da determinare un serio pericolo per la salute della madre, è stata valutata senza considerare ulteriori elementi decisivi, quale la grave malattia del nascituro che se collegata al desiderio di una procreazione fortemente voluta, ben avrebbe potuto scatenare conflitti e scompensi psicocomportamentali severi. Conseguentemente, a causa di un onere probatorio, obiettivamente difficile, in quanto volto a provare, non già ciò che nei fatti è concretamente avvenuto, ma ciò che sarebbe verosimilmente accaduto se il sanitario avesse correttamente informato la paziente delle malformazioni esistenti sul prodotto del concepimento, è necessario acquisire, in ogni singolo giudizio, ogni elemento probatorio utile per stabilire la sussistenza o meno dei presupposti dell interruzione volontaria. Ancora una volta, poi, il Supremo Collegio sottolinea come nei giudizi da nascita indesiderata l inadempimento del sanitario è principalmente dato dalla lesione del diritto dei genitori di essere informati, non solo per consentire alla donna di poter esercitare, qualora ne sussistano i presupposti legislativamente previsti, il proprio diritto di aborto, ma soprattutto, per far sì che i genitori possano psicologicamente prepararsi all arrivo di un figlio malformato. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Con la pronuncia in commento, il Supremo Collegio ancora una volta conferma, dunque, l orientamento giurisprudenziale secondo il quale entrambi i genitori godono del diritto di essere informati sulle condizioni di salute del prodotto del concepimento, e quindi se su quest ultimo esistano o meno rilevanti anomalie o malformazioni, al fine di potersi preparare, sia psicologicamente, sia materialmente, all arrivo di un figlio malformato, sicchè, ove ciò non avvenga si verificherà l inadempimento del sanitario con ogni conseguente obbligo risarcitorio in capo a quest ultimo. 5

6 Ciò nonostante, a differenza di alcuni precedenti giurisprudenziali sopra richiamati, la sentenza de qua non fa alcun cenno alla problematica riguardante la configurazione in capo al nascituro di un diritto a non nascere se non sano. Al riguardo, giova, comunque, evidenziare come recentemente la Suprema Corte di Cassazione abbia registrato sulla tematica de qua un cambio di rotta, riconoscendo con la pronuncia n del 2012 il diritto del neonato di ottenere il risarcimento del danno per essere venuto al mondo malformato. Al contrario, la giurisprudenza precedente si era sempre conformata all orientamento espressosi nel 2004 secondo il quale non è possibile ipotizzare in capo al concepito un diritto a non nascere se non sano, innanzitutto perché questo è privo di capacità giuridica, acquistandosi questa solo al momento della nascita, ed in secondo luogo poiché il riconoscimento di un diritto del genere sarebbe contrario al diritto alla vita di cui all art. 2 della Costituzione. Altra argomentazione precedentemente sostenuta in giurisprudenza si basava su l ovvia circostanza che il nostro ordinamento giuridico tutela il nascituro e la successiva evoluzione della gestazione esclusivamente verso la nascita, tanto è vero che in virtù del combinato disposto degli artt. 4 e 6 della legge n. 194 del 1978 l interruzione volontaria della gravidanza è possibile solo per evitare un grave pericolo per la salute della madre, altresì, rilevando le eventuali malformazioni del feto solo se siano tali da cagionare un danno grave alla salute della donna, e non già se considerate esclusivamente con riferimento al concepito. Ciò nonostante nessuna delle sopra esposte argomentazioni è stata condivisa dal recente orientamento giurisprudenziale pronunciatosi in materia. Al contrario, è stato chiaramente affermato che il diritto del concepito di chiedere ed ottenere il risarcimento del danno per essere nato malformato trova fondamento negli artt. 2, 3,29,30 e 32 della Costituzione, essendo a lui stata impedita la possibilità di vivere una vita ed una esistenza dignitosa. A parere della Corte, infatti, sarebbe del tutto illogico e irragionevole ammettere il risarcimento del danno in capo ai genitori, e non riconoscerlo in capo al soggetto nato malato, che vede leso il proprio diritto alla salute durante il concepimento e durante la gestazione, fino al punto da costringerlo a non poter vivere una vita decorosa. 6

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