Lineamenti del possesso secondo il Codice Civile

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1 Lineamenti del possesso secondo il Codice Civile 1 - Generalità introduttive. Chi osserva il fenomeno giuridico da un punto di vista generale, starei per dire elevato, si accorge subito che tutto il diritto obbiettivo è un complesso di norme dì cui alcune presiedono alla regolare costituzione dei rapporti giuridici ed altre, invece, regolano quegli atti, quei rapporti che non sono aderenti perfettamente e conformi al diritto e talora sono in antitesi colle norme della prima categoria. Così, ad esempio, nel campo del diritto delle persone, il diritto oggettivo considera l'uomo nella sua piena capacita fisica e psichica e l'uomo in formazione (minore età) o menomato fisicamente o psicologicamente (interdetto 414, inabilitato 415, emancipato 594, incapace transitoriamente di intendere o di volere 428) e le fondazioni e le associazioni riconosciute (12. 14), le società aventi personalità giuridica (13, 2325, 2331, 2462, 2464, 2472, 2 /2475, 2511, 2 /2519) e associazioni non riconosciute come persone giuridiche (38), comitati (39), società aventi soltanto un'autonomia patrimoniale quando ce l'hanno (2251, 2260, 2291, 2304, 2313, 2315). Parimenti, nel campo del diritto di famiglia troviamo le regole dirette alla regolare costituzione del matrimonio (84 cc.) e le regole intese a convalidare matrimoni sorti irregolarmente (impedimenti impedienti) con una minuta regolazione dei casi d opposizione al matrimonio (102 cc.) e di nullità del matrimonio dopo (117 cc.); e poi le regole relative ai figli legittimi (231 cc.) e, per contro, quelle relative ai legittimati (280 cc.), agli illegittimi (250 cc.) (naturali, incestuosi, adulterini). Nel campo del diritto successorio le norme della successione legittima o testamentaria sono integrate da quelle relative alla capacità di testare (591 cc.) e all indegnità a succedere (463 cc.) o di ricevere per testamento (592 cc.), il principio fondamentale che l'erede prosegue la personalità giuridica del defunto ( cc.) ed il beneficio dell'inventario (490 cc.) e la separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede (512 cc.). Nel campo contrattuale le regole relative alla conclusione e validità dei contratti si contrappongono a quelle che riguardano la nullità (1418 cc.), l'annullamento (1425 cc.) la rescissione (1447 cc.) la risoluzione degli stessi (1453 cc.), ecc., mentre, nel campo delle obbligazioni, l'adempimento si contrappone all'inadempimento (1218 cc.). L'esemplificazione potrebbe continuare: dovunque una serie di norme è posta a rendere regolare, conforme alla volontà del legislatore un atto, un rapporto giuridico, un'altra serie di norme tende a stabilire le conseguenze, gli effetti degli atti, dei fatti, dei rapporti giuridici irregolari per una qualsiasi ragione e, nello stesso tempo, uno sforzo continuo del legislatore per ricondurre a regola quello che è irregolare, per sistemare nel diritto rapporti irregolare per ottenere che atti e rapporti irregolari, anomali producano effetti (alludo, ad es., alla convalidazione dei matrimoni irregolari, alla convalida dei contratti annullabili, ecc.) prima di arrivare alle estreme conseguenze: ad es., nullità del matrimonio, nullità del contratto, risarcimento del danno, pena nel campo del diritto penale. Il quale sembra tipico dal punto di vista da cui ne parlo, perché non ammette, di regola, 1

2 sanatorie o convalide e l'atto o è conforme a diritto o non lo è; ma invece, anch'esso tollera stadi intermedi in casi eccezionali, come nei reati perseguibili in seguito a querela di parte, autorizzazione, istanza, richiesta, come ammette sanatorie più o meno totali: amnistia, prescrizione del reato, remissione della querela, sospensione condizionale della pena, liberazione condizionale, grazia, indulto, amnistia ancora, prescrizione della pena. Si può concludere, pertanto, che non esiste branca del diritto in cui, accanto a norme dirette a far sorgere rapporti regolari, non ci siano norme dirette a regolarizzare momenti, stadi, fatti, atti che non sono normali (reparto sanitario del diritto). Tali sono appunto le regole che il codice detta sotto il Titolo VIII del Libro III (della proprietà), titolo denominato Del possesso. Le regole dettate sotto questo titolo si contrappongono a quelle date sotto tutte le altre parti del Libro III in ordine alla proprietà, ai diritti reali di godimento, alle servitù; e rappresentano, secondo le linee sopraccennate, un sistema dì norme giuridiche (un istituto giuridico) mediante il quale il legislatore tende a regolarizzare atti umani che, riferendosi al beni (cose e diritti), tendono o si atteggiano a diritto di proprietà, a diritti reali di godimento, a servitù prediali. 2 - Definizione. Definendo implicitamente la proprietà, l'art. 832 del cod. civ. stabilisce che essa è un diritto, e precisamente il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. Due elementi, perciò caratterizzano il diritto di proprietà: uno giuridico e uno di fatto. Quello giuridico consiste nella facoltà concessa dall'ordinamento giuridico di godere e di disporre delle cose e quel dì fatto nello stesso godimento e nella stessa disponibilità della cosa. Possiamo dire, dunque. Invertendo i due termini del diritto di proprietà, che essa consiste nel disporre e godere delle cose quando l'ordinamento giuridico ce lo consente e secondo l'ordinamento giuridico, ossia o un potere di fatto sulle cose conforme all'ordinamento giuridico. (Si noti l'analogia colla definizione del negozio giuridico: potere della volontà conforme all'ordinamento giuridico). Si stacchi ora questo potere di fatto dai suoi presupposti giuridici che lo elevano a diritto di proprietà ed avremo quello che dicesi, in via generica, possesso. Ma la proprietà, come ci hanno insegnato, è un complesso di diritti che si possono godere o alienarsi tutti dai suo titolare (proprietario) e possono da lui quindi essere alienati parzialmente e temporaneamente. I diritti sulle cose che si assommano nel diritto di proprietà, come sappiamo, costituiscono diritti reali e, perciò, possiamo dire che la proprietà è l'insieme dei diritti reali di godimento e di disposizione delle cose attuati secondo l'ordinamento giuridico. Anche rispetto ad essi, dunque, possiamo fare quella scissione che abbiamo fatto relativamente al diritto di proprietà e giungere a questo risultato: che possesso di un diritto reale è il potere di fatto corrispondente all'esercizio di un diritto reale, quello che i romani chiamarono quasi juris possessio. Fondendo ora le due definizioni in una sola possiamo dire, come dice il codice, che il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (1 /1140). Diritti reali interessanti istituto del possesso sono, oltre la proprietà, l'usufrutto, l uso, l'abitazione, le servitù prediali, l'enfiteusi e la superficie, diritti che sono tutti usucapibili. Anomalo è il pegno, diritto reale di garanzia, che non si acquista per usucapione (1158); ma solo per effetto dei possesso conseguito in buona fede in forza di un titolo idoneo alla costituzione del pegno (3 /1153). 3 - Fondamento razionale del possesso. 2

3 Il possesso, come potere di fatto sulle cose non conforme all'ordinamento giuridico, non dovrebbe, in via astratta, avere tutela e conseguenze giuridiche ed invece esso ne ha di rilevanti e a tal punto che si può ritenere che non esiste definitivo e cioè vero diritto di proprietà o diritto reale che quello sostanziato da un possesso idoneo a far respingere ogni pretesa altrui sulla cosa ed a contrastare ed eliminare ogni turbativa dei diritto reale. Ciò deriva dalia particolare essenza e portata dei diritti reati in genere e detta proprietà in ispecie. E' noto che i diritti reati si concretano in un rapporto della persona con la cosa, sulla cosa, in una signoria che esclude tutti gli altri, assoluta perché valevole < erga omnes >, tenuti a non turbare quella signoria; e ciò a differenza dei diritti dì obbligazione o di credito che sono costituiti da rapporti deità persona con altra persona, in guisa che soltanto quest'altra è obbligata verso la prima all'adempimento, salvo l'obbligo generico, evidentemente eventuale e secondario nell'economia del rapporto, di tutti gli altri estranei ai rapporto stesso di astenersi dall'impedire o turbare l'adempimento da parte del debitore. Nei diritti reali e netta proprietà, dunque, ciò che assume rilevanza ed evidenza è precisamente il rapporto di fatto, la signoria della persona sulla cosa, perché è questa che, in definitiva, viene ad evidenza per i terzi; ed è proprio per questa signoria o rapporto di fatto che i terzi possono dedurre(o presumere) l esistenza del diritto reale o del diritto di proprietà nella persona che esercita la signoria sulla cosa. In effetti, soltanto ad un indagine sulle cause giuridiche e sulla validità giuridica delle cause di questa signoria si può verificare poi se questa signoria è pienamente conforme al diritto oppure non lo è, se costituisce pertanto un diritto di proprietà o diritto reale sulla cosa oppure solamente una manifestazione di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o dì altro diritto reale, vale a dire quello che è definito possesso. Il possesso, dunque, si confonde nelle sue manifestazioni esteriori con la proprietà o altro diritto reale. Da questo fondamentale presupposto di fatto, tenuto conto che l'ordinamento giuridico ha avvertito sin dai primordi la necessità di trasformare col decorso del tempo questo potere di fatto in potere giuridico e ciò per evitare che rapporti restino controversi ed anche perché all'esercizio continuato del potere di fatto per una determinata persona corrisponde l'acquiescenza dell'interessato, di colui cioè i cui diritti sono tesi da quei potere di fatto o possesso, da queste esigenze dì ordine generate (sociale o politico) scaturiscono tutte quelle norme le quali, tenendo conto delle origini, delle cause, della durata, della modalità d esercizio, della natura del possesso, riconnettono a questo stato di fatto conseguenze diverse, fino a trasformare il possesso protratto per un certo tempo in proprietà o in diritto reale mediante l istituto dell usucapione, sancendo così, dì riflesso, la perdita dei diritti per il titolare dei diritto dì proprietà o dei diritto reale per effetto dì prescrizione estintiva, ossia per mancato esercizio del diritto medesimo, fino a riconoscere, per la sicurezza e la stabilità dei traffici, come proprietà il possesso di buona fede dei beni mobili, ancorché acquistato a non domino, come pegno quello ugualmente conseguito. Parimenti è esigenza fondamentale giuridica che < ne cives ad arma ventante >. Lo stato di fatto costituente il possesso non poteva, infatti, essere lasciato privo di tutela giuridica perché esso è, di regola, la manifestazione o meglio ciò che appare dì un diritto reale o detta proprietà; e, nello stesso tempo, per chi non è proprietario o titolare del diritto reale, una manifestazione esteriore di proprietà o dì diritto reale; sicché proprietà o diritto reale e possesso o quasi possesso si confondono in queste manifestazioni. Per conseguenza, lasciando sprovvisto di tutela giuridica il possesso, si finirebbe per lasciare il privato giudice di quella aderenza del possesso al diritto, anche nei confronti del proprietario o del titolare del diritto reale e sarebbe così lecito a chiunque togliere il possesso ad altri, anche al proprietario, anche ai titolare del diritto reale, con tutte le reazioni private e controreazioni che inevitabilmente ne 3

4 deriverebbero. Di qui la necessità dette azioni possessorie a tutela del possesso, esperibili erga omnes e così anche contro il proprietario. E poiché soltanto costui e soltanto il titolare del diritto reale potrebbe legittimare l'atto di spoglio o di molestia da lui compiuto a danno del possessore con la forza del suo diritto di proprietà o del suo diritto reale opposto in via di eccezione a quello stato di fatto pertinente al possessore e che questi invoca a fondamento della sua azione possessoria, ne è derivata necessariamente l'altra norma di ordine processuale, quella che vieta di cumulare il giudizio petitorio col giudizio possessorio. E' per questa norma che si attua la forza cogente dei divieto di farsi ragione da se stessi anche contro il proprietario a favore del possessore (art. 705 c.p.c.). E visto così sommariamente il fondamento razionale del possesso e quali sono le ragioni che ne impongono la disciplina giuridica, conviene esaminarlo più intimamente. 4 - Elementi costitutivi del possesso. Come qualsiasi atto umano giuridico e come manifestazione di una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, il possesso consta non solo di atti materiali, ma di atti permeati e vivificati dall'elemento psicologico insito in ogni atto umano che debba avere rilevanza giuridica. Si possiede, perciò, come dicevano i romani corpore et animo, indicando così i due elementi materiale e psicologico del possesso. E, se ben si osserva, essi non possono andare mai disgiunti: avere in mano un oggetto per ammirarlo non significa possederlo; voler disporre dell'oggetto che è nel possesso di altri è impossibile. Si deve avere quindi la disponibilità della cosa con l'animo di tenerla come propria, come proprietario o titolare de! diritto reale sulla cosa. Avere la disponibilità o la detenzione della cosa non è dunque averne il possesso, se manca l'animus domini, l'amimus rem sibi habendi. Così non è possessore nello stretto senso giuridico della parola il creditore pignoratizio, che ha la detenzione della cosa, ma secondo il diritto senza l'animo di detenerla come propria. La cosa è qui solo a garanzia de! suo credito per il caso che alla scadenza del debito egli rimanga insoddisfatto; egli può farla vendere nelle forme di legge per soddisfarsi, può ben dirsi che ha un pignoramento anticipato volontariamente su una parte del patrimonio del suo debitore e che tale pignoramento prende efficacia nei modi di legge quando egli rimane insoddisfatto; ma egli non ha il diritto di disporne come un proprietario, perché egli ha quella che dicesi una garanzia reale sulla cosa mobile costituita in pegno e non il possesso spettante invece al suo debitore, pur con le gravi limitazioni che vi ineriscono per il soddisfacimento del credito pignoratizio. Ma non è detto che la detenzione debba aversi materialmente dal possessore: si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona che ha la detenzione della cosa (2 / /2787 cod. civ.). Il distacco dei due elementi (corpus et animus) può dunque avvenire, ma sulla cosa deve imperare, sia pure mediatamente, una persona medesima, in guisa che essa (e non altra) sia pure attraverso altra, abbia sempre i due elementi sostanziali inscindibili giuridicamente del possesso. 5 - Possesso e detenzione. Da quanto sopra discende che il possesso si differenzia nettamente dalla detenzione: questa consiste infatti nella materialità del possesso, con l'animus detinendi, esercitato da persona, ma in luogo e vece e per concessione del possessore, che domina sul detentore, più esattamente 4

5 domina sulla cosa tramite il detentore verso di luì obbligato. Il detentore si riconosce quindi giuridicamente come colui che riconosce o deve riconoscere una supremazia altrui sulla cosa che egli stesso detiene. Tale, ad es. è quella di colui che amministra o trasporta la cosa del possessore, che la custodisce per lui, che l'ha in comodato, in locazione, in affitto, in pegno. Da taluni viene detta possesso precario, talora la stessa legge non è precisa (v. 2 / /1599 in contrapposizione all art cod. civ.); ma è bene chiamarla sempre detenzione per evitare facili confusioni. Che, invero, molta parte della teoria dei possesso è tutta nella terminologia di esso, secondo i vari aspetti che il possesso prende nelle varietà di modi di essere e di esercizio di questo potere di fatto, tenuto sempre presente che esso si riferisce tanto alla proprietà che ai diritti reali come sopra abbiamo visto. 6 - Atti di tolleranza. E relativamente soprattutto a questi ultimi devono mettersi in evidenza alcuni atti che non possono mai assumere a favore di chi li svolge neppure la parvenza del possesso (che è la detenzione). Sono questi precisamente gli atti compiuti con altrui tolleranza, i quali non possono mai servire di fondamento all'acquisto del possesso (1144). L'avere, così tollerato uno o più volte che il vicino attinga alla mia fontana o che vada a dormire nel mio cascinale, sono atti tutti di tolleranza che non possono servire di fondamento ad uno stato di fatto conforme all'esercizio di una servitù. Se ben si osserva la tolleranza è atto volontario del dominus il cui diritto si esercita e si attua anche tollerando che altri lo manometta temporaneamente o lo eserciti anche senza consenso del dominus in suo luogo e vece (esercizio negativo, ma temporaneo del diritto). 7 - Conclusione sul possesso e la detenzione in relazione alla proprietà e ai diritti reali. Raffrontando possesso e detenzione possiamo dire che se il possesso (vivificato dall'animus possidendi) è l'apparenza della proprietà, la detenzione è l'apparenza del possesso. Quello può trasformarsi in proprietà o in diritto reale col semplice decorso del tempo, questa può trasformarsi in possesso; ma in forza di un atto che accerti, come vedremo, nei confronti di chi di diritto, che la detenzione, oramai vivificata dall'animus possidendi, è assurta, per questo nuovo elemento psicologico, a possesso (2 /1141). 8 - Tutela della detenzione. Di qui un'altra necessità per l'ordinamento giuridico analoga a quella che scaturisce dalla affinità esistente tra proprietà e possesso e che deriva proprio dall'affinità tra possesso e detenzione. Come l'ordinamento giuridico tutela (come abbiamo visto deve tutelare) il possesso che è l'apparenza esteriore della proprietà, parimenti, poiché nelle loro manifestazioni esteriori possesso e detenzione si confondono, è stato giocoforza parificarne la portata fino al momento in cui non si dimostri da chi ne ha interesse che alla detenzione manca l'animus possidendi e si concreta invece in semplice detenzione con l animus detinendi. Sì presume infatti il possesso in colui che esercita il potere di fatto (detenzione) quando non si provi che ha cominciato ad esercitarlo semplicemente come detenzione (1 /1141). Fino a prova contraria, dunque, che incombe a chi contesta la qualità di possessore in colui che esercita la detenzione, il detentore è considerato come possessore. Chi detiene il mio orologio è possessore dell'orologio per tutti coloro per i quali la detenzione rappresenta l'aspetto esteriore del possesso (e della proprietà). Sarò io interessato che dovrò dimostrare che l'apparente possessore del mio orologio non è possessore, ma semplice detentore perché lo ha avuto da me a titolo precario, in uso, per 5

6 accomodarlo, ecc. Parimenti il mio vicino che passa dal suo fondo al mio sempre che crede, per i terzi, sembra titolare di una servitù di passaggio ed invece detiene la facoltà di passare come colono mio e non come mio vicino. E' chiaro nel primo esempio che se io non potessi dimostrare che il mio orologio è passato all'orologiaio per le riparazioni o per altro titolo che ne impone a lui la restituzione, anche nei miei confronti l'orologiaio detentore è un possessore, e, presumendosi, come vedremo, anche la buona fede, è un possessore di buona fede dell'orologio, cioè è proprietario dello stesso. Quanto sopra ho esposto ci dice che colui che manca del potere di fatto sulla cosa è in una posizione di netta inferiorità rispetto a chi esercita tale potere di fatto (melior est condicio possidentis) anche se costui ne ha la semplice detenzione, sia che il contrasto sorga tra il detentore da un lato ed il possessore dall'altro, sia quando sulla cosa convergono i diritti del proprietario, del possessore e del detentore (ad es., pegno di cosa altrui). 9 - Mutamento della detenzione in possesso. E' possibile, peraltro, come si è già accennato, che la detenzione si trasformi in possesso nella stessa persona. Se alcuno ha cominciato ad avere!a attenzione non può acquistare lì possesso finché il titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore. Ciò vale anche per i possessori a titolo universale (2 /1141) cioè come eredi. Questa trasformazione è effetto di un mutamento nell'elemento psicologico della detenzione, mutamento che può derivare dal fatto di un terzo o dal fatto dello stesso detentore. Così i miei cavalli sono stati dati in comodato temporaneo a Tìzio e Caio dicendosene proprietario, glieli vende; ho dato in pegno il mio orologio ed il creditore pignoratizio se lo tiene in forza di un patto commissorio nullo o anche di suo arbitrio a soddisfazione del suo credito. Non è affatto necessario che questo cambiamento di posizione del detentore sia conforme al diritto; anzi, la regola è che non lo sia e può darsi che la causale di questo mutamento sia addirittura illecita, quale l'acquisto fatto dal ricettatore, l acquisto del ladro, dell appropiatore indebito, ecc. Ai fini del diritto civile interessa solo che esista una causa di mutamento della detenzione che derivi dal fatto di un terzo (vendita del mio cavallo fatta da un terzo a chi lo aveva in godimento), cioè che esista una causale di tale mutamento e, quando tale causale non esista, il cambiamento dell'animus detinendi in animus possidendi sia opposto (e così reso noto) al possessore. E' il caso del creditore pignoratizio che dichiara al debitore che glielo richiede di tenersi l'orologio a soddisfazione del suo credito; del ladro che non vuole e talora non può restituire la refurtiva; di colui che amministra il mio patrimonio e se l'è appropriato, e via di seguito. Lì basta una causale, qui basta una manifestazione di volontà una opposizione del detentore (diretta e fatta nota al possessore perché le manifestazioni di volontà dirette ad altri non hanno alcuna efficacia finché non giungono a chi sono dirette) contrastante con quella del possessore. Dall'insorgere della causa oppure da questa opposizione, la detenzione è mutata in possesso. Ne deriva, applicando il 1 e 2 comma dell'art. 1141, che il gioco delle presunzioni è questo: chi detiene è ritenuto possessore (anche di buona fede) finché non si provi che ha cominciato ad esercitare il potere di fatto semplicemente come detentore; costui però può replicare dimostrando di avere acquistato il possesso per avere mutato il titolo della sua detenzione in possesso per fatto proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta al possessore. 6

7 Quando questa dimostrazione sarà data, sarà da decidere, come vedremo in seguito, se il possessore era o non era in buona fede, per tutte le conseguenze che ne derivano circa l'acquisto della proprietà o del diritto reale col fatto stesso del possesso perdurato per un certo tempo (usucapione) o anche immediatamente (possesso di buona fede di beni mobili). Resti ora ben fermo questo: che detenzione non è possesso e che solo il possesso (mai la detenzione benché tutelata con azione possessoria) può dare fondamento all'acquisto della proprietà o di diritti reali o di servitù prediali. Titolo è la causa giuridica sia della detenzione che del possesso e quindi non va confusa, come spesso avviene, col titolo documento o rogito dimostrante l'acquisto. L'erede, successore universale del detentore defunto, è nella stessa posizione del suo autore, di cui continua la personalità giuridica; a lui non giova neppure l'erronea opinione che il suo dante causa ossia il suo autore sia stato un possessore e non un detentore. La successione, legittima o testamentaria che sia, non costituirà mai per l'erede una causa per mutare in lui erede il titolo per il quale il suo autore deteneva e non possedeva. Può invece dimostrare che il suo autore aveva già mutato la detenzione in possesso o che l'ha mutata lui stesso (2 /1141). Tutt'altra è invece, la posizione del legatario, successore a titolo particolare: egli trova la causa del suo possesso (non detenzione) precisamente nei testamento e sarà possessore di buona o di mala fede se egli sappia che la cosa apparteneva o meno al testatore o, per taluni casi speciali di legato di cosa dell'erede, allo stesso erede Interversione del possesso. Ma ci sono possessori di diritti reali su cose altrui che tendono a trasformare il loro diritto reale in proprietà. Anche per essi mutamenti non possono avvenire se non in forza di interversione del possesso, cioè di mutamento del titolo del loro possesso. E' prescritto infatti che chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa altrui se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario. Il tempo necessario ad usucapire decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato (1164). E' la regola già vista dell'ari c.c. applicata a coloro che vantano già un diritto reale sulla cosa altrui. Essa si applica, anche al comproprietario. Il partecipante infatti non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo dei suo possesso (2 /1102). E' regola questa nuova salvo errore rispetto al codice del 1865, sotto l'impero del quale si è ritenuto sempre che bastasse al condomino possedere in modo esclusivo la cosa comune per usucapire anche senza compiere atti positivi di inversione del titolo. L'art. 714 del cod. civ. non contrasta ma armonizza, a mio avviso, con l articolo 1102 quando afferma che si può domandare la divisione anche quando uno o più coeredi abbiano goduto separatamente parte dei beni ereditari salvo che si sia verificata «la prescrizione» per effetto di possesso esclusivo, in quanto il possesso esclusivo può essere conseguito soltanto per effetto di atti idonei a mutare il compossesso in possesso esclusivo ed è da questo momento che comincia a decorrere l usucapione per l acquirente (1164). Ma poiché la proprietà è diritto imprescrittibile (3 948) sarebbe stato qui più corretto parlare di usucapione anziché di prescrizione estintiva. Viceversa ammettendo che il solo possesso esclusivo di uno dei coeredi valga come fatto idoneo all acquisto dell intera proprietà, bisogna trascurare e sopprimere il 2 comma dell art o, peggio ancora, ritenere che in tema di comunione ereditaria, le regole siano diverse da quelle dettate per la comunione derivante da altre cause; il che contrasta con le disposizioni dell'art che non distingue e con l'art c. c. che applica alla divisione delle cose 7

8 comuni le norme della divisione ereditaria (713 a 768) Successione nel possesso - Accessione del possesso. Il possesso continua nell'erede con effetto dall'apertura della successione (le mort saisit le vif) (1 /1146) cioè gli effetti dell'accettazione pur necessaria dell'eredità retro agiscono al momento della morte del defunto (459). E ciò è conseguenza del principio che l'erede continua la personalità giuridica del defunto senza interruzione. Il legatario invece può unire (se crede) il proprio possesso a quello del suo autore per goderne gli effetti (2 /1146). Il che avviene quando ciò conviene al legatario; che il legatario, infatti, può avere un possesso di buona fede rispetto a quello di mala fede del suo autore. Il suo potere di fatto sulla cosa è sempre possesso perché giustificato da un titolo (il legato), mentre quello del suo autore può essere una semplice detenzione Presunzioni di possesso intermedio e di possesso anteriore. Il possesso dunque si può acquistare anche con la detenzione, ma solo dal momento in cui essa è vivificata dall'animus possidendi, dall'animo di detenere la cosa come propria o di esercitare il diritto reale come titolare di esso, negando e disconoscendo ogni supremazia altrui sulla cosa. Ma il possesso è, come si è visto, uno stato di fatto, al quale l'ordinamento giuridico riconnette effetti giuridici, specie in quanto si protragga nel tempo. E poiché detenzione e possesso, come si è visto, hanno gli stessi aspetti materiali esteriori e possono anche avvicendarsi nella stessa persona (ad es., proprietario che vende la cosa e se ne costituisce conduttore per poi mutare la detenzione in possesso quale proprietario ancora), la legge ha stabilito altre presunzioni, valevoli sino a prova contraria, per sopperire alle difficoltà pratiche di una prova quanto mai difficile, quale sarebbe quella di dimostrare il possesso in tutti i momenti necessari per costituire un possesso continuo nel tempo. E' disposto, pertanto, che il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume abbia posseduto anche nel tempo intermedio (1142); che il possesso attuale non fa presumere, invece, il possesso anteriore, salvo che il possessore abbia un titolo a fondamento del suo possesso, nel quale caso si presume che egli abbia posseduto alla data del titolo (1143). Sicché, ricollegando le presunzioni, si ha che il detentore attuale si presume possessore attuale (1 /1141); e se dimostra di avere posseduto in tempo più remoto è come se avesse posseduto ininterrottamente anche nel periodo intermedio (1142). Si risale poi senz altro al tempo anteriore quando a base del possesso è un titolo, cioè una causa qualsiasi possedere; in tal caso la data del titolo determina la data di inizio del possesso, che si presume ininterrotto fino al momento attuale, se il possesso è detenuto attualmente (1143) Possesso di cose fuori commercio. Come attività che prelude all'acquisto della proprietà o di altro diritto reale, e per tale motivo tutelata dall'ordinamento giuridico, il possesso invece rimane senza effetti se si riferisce a cose di cui non si può acquistare la proprietà (1 /1145). Tali, ad es. sono i beni demaniali, gli immobili d interesse storico, archeologico, artistico, a norma delle leggi speciali in materia (822 ss.). Pur tuttavia, al fine di evitare che anche questo possesso senza efficacia venga usurpato e resti senza tutela, nei rapporti tra privati (non tra i privati e lo stato, le province ed i comuni) è concessa azione di spoglio rispetto ai beni appartenenti al pubblico demanio o ai beni delle provincie e dei comuni soggetti al regime del demanio pubblico (2 /1145). 8

9 Se si tratta invece d esercizio di facoltà le quali possono formare oggetto di concessioni da parte della pubblica amministrazione (es. occupazione d aree pubbliche, lido del mare, ecc.) è data anche l azione di manutenzione (5 /1145) Possesso di buona fede. Ho già detto che buona parte della teoria del possesso è costituita dalla terminologia inerente al possesso nei suoi vari aspetta atteggiamenti, modalità e consistenza. La più importante distinzione tra possessi è quella che si riconnette al possesso di buona fede. E' possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto (1 /1147). La buona fede è dunque uno stato soggettivo del possessore e precisamente uno stato d ignoranza in ordine ai diritti altrui e conseguentemente consiste nell'ignorare di ledere tali diritti. Lo stato opposto, quello inerente al possesso di mala fede, presuppone la conoscenza dei diritti altrui sulla cosa e quindi la scienza di ledere i diritti medesimi. E appunto perché questo stato subiettivo del possessore si riferisce a diritti altrui è di regola, è normale che essi debbano o possano essere ignorati. Ed è per questo motivo che la buona fede è sempre presunta nel possessore fino a prova contraria che deve essere data dall'interessato, da colui cioè, che contesta la sussistenza della buona fede medesima. Ma ad integrarla basta che ci sia al tempo dell'acquisto (3 /1147). Ma l'ignoranza, l'errore in cui si sostanzia la buona fede è un vizio della volontà che può essere effetto di una colpa dello stesso possessore; perciò la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave (2 /1147), cioè da mancanza assoluta di quella diligenza che è connaturale alle persone meno esperte. Vedremo quali e quanti particolari effetti ricolleghi il diritto a questo stato di buona fede del possessore, quando si tratta dell'acquisto della proprietà, del termine di usucapione e della restituzione della cosa e dei frutti Altre qualificazioni del possesso. Ma ora, per completare la terminologia, occorre parlare di altre qualificazioni del possesso, di cui si tiene conto sopratutto in tema di usucapione e di azione di manutenzione. Possesso continuo è quello esercitato continuamente nel tempo, ma secondo la normale destinazione economica della cosa, in aderenza cioè al modo normale di sfruttamento della cosa, ancorché i diversi momenti di esercizio non si riallaccino nel tempo l'uno all'altro. Continuo è dunque il possesso di una servitù apparente o non apparente di presa d'acqua esercitata tutte le volte che la presa d'acqua è utilizzabile nell'interesse del possessore, anche se a turno (discontinua). Continua è pure la servitù di passaggio con autoveicoli esercitata tutte le volte che la necessità dell'autoveicolo si è presentata per i bisogni del fondo dominante (servitù discontinua). Interrotto è invece il possesso per la perdita del possesso medesimo per oltre un anno, con l'avvertimento che l'interruzione si ha come non avvenuta se frattanto è stata proposta l'azione diretta a recuperare il possesso e questo sia stato poi ricuperato (1167). Sicché i concetti di continuità e di non interruzione del possesso, non coincidono: la continuità riguarda l'esercizio del possesso, inteso nel senso economico dell'esercizio medesimo; l'interruzione riguarda il possesso medesimo, la perdita sia pure temporanea del possesso. Dicesi poi violento il possesso acquistato con violenza (fisica o morale), come dicesi clandestino il possesso acquistato in modo clandestino, cioè senza che l'interessato né abbia avuto conoscenza (1170). 9

10 Vedremo in prosieguo che entrambi questi possessi sono inefficaci ad ogni effetto, finché la violenza o la clandestinità non siano cessate, perché tanto l'uno quanto l'altro impediscono al titolare di agire (contra non valentem non currit praescriptio) (v. pure 2941 e 1165 per la sospensione dell usucapione) Diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa. Se come stato di fatto, per le necessità inerenti alla certezza dei diritti, il possesso prelude all'acquisto della proprietà e dei diritti reali, esso è, peraltro sostanzialmente soggetto a cessare quando il titolare del diritto reale o il proprietario fanno valere, contro il possessore, questi loro diritti. E' chiaro, infatti, che essendo il possesso uno stato di fatto non conforme a diritto esso debba cedere il passo e soccombere di fronte al diritto di proprietà e al diritto reale proprio perché questi sono conformi a diritto, sono diritti. Forse, perciò, il codice si occupa in primo luogo degli effetti del possesso nel momento in cui esso viene a cessare e deve provvedersi alla restituzione della cosa. Gli obblighi inerenti alla restituzione variano, infatti, secondo la natura del possesso. Solo il possessore di buona fede, infatti, fa suoi i frutti naturali separati fino al giorno della domanda e i frutti civili maturati fino a detto giorno (1148). Ogni altro possessore, invece, deve restituire tutti i frutti naturali e civili maturati anteriormente alla domanda, salvo naturalmente quelli che egli può non rendere in forza della prescrizione maturata a suo favore. Dopo la domanda anche il possessore di buona fede, fino alla restituzione della cosa, risponde verso il rivendicante dei frutti maturati e di quelli che avrebbe potuto percepire, dopo la data della domanda giudiziale, usando la diligenza del buon padre di famiglia (1148) perché da tale domanda anche lui è in mora e costituito in mala fede. Insomma dalla domanda giudiziale di rivendica della cosa, cui si deve parificare la domanda giudiziale diretta a far dichiarare inesistente il diritto reale sulla cosa affermato dal possessore di diritto reale di godimento, il possessore non è dispensato dal comportarsi verso la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e ciò per evitare che la sua negligenza ridondi poi a carico del rivendicante o titolare del diritto reale, che deve attendere la pronunzia giudiziale (vedi pure 1177). Invece, tutti i possessori - nessuno escluso - che siano tenuti a restituire i frutti indebitamente percepiti, hanno diritto al rimborso delle spese che abbiano fatto per la produzione ed il raccolto, ma non oltre i limiti del valore dei frutti medesimi (1149 e 2 /821). Invero il possesso della cosa o del diritto detenuto da altri non può trasformarsi in una fonte di guadagno per il proprietario o per il titolare del diritto reale, ma nondimeno questi non deve subire spese inadeguate di produzione e di raccolta; ed in ogni caso inadeguate si devono ritenere quelle che superano il valore dei frutti raccolti (produzione antieconomica). Per le stesse ragioni sopraccennate il proprietario o titolare del diritto è tenuto verso qualunque possessore, anche se di mala fede, al rimborso delle spese da lui fatte per riparazioni straordinarie (1 /1150), che poi sono quelle che servono alla conservazione della cosa, quali quelle necessario ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, quelle fatte per la sostituzione delle travi, per il rinnovamento, per intero o per parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno e di cinta (1 /1105). Invece al possessore, quale esso sia, spetta il rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie tutte le volte che è tenuto alla restituzione dei frutti e limitatamente al periodo per il quale la restituzione dei frutti è dovuta (4 /1150). In altre parole, alla percezione dei frutti o al godimento della cosa sono connaturali le spese di riparazione e manutenzione ordinaria. Chi non deve rendere i frutti e perciò ha goduto della cosa, deve accollarsele (v. 1576). 10

11 Inoltre al possessore, quale esso sia, anche di mala fede, è dovuta un indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa, purché tali miglioramenti sussistano al tempo della restituzione (2 /1150). Ma l'indennità è diversa secondo che si tratti di possessore di buona fede o di mala fede: per il possessore di buona fede l'indennità è determinata dall'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti (5 /1150) e quindi può importare per lui anche la possibilità di un guadagno rispetto alle spese fatte; per il possessore di mala fede, invece, tale possibilità non esiste, perché l'indennità gli è dovuta nella minor somma tra l'importo delle spese e l'aumento di valore (3 /1150), a scelta del proprietario o titolare dei diritto reale. Infine per le addizioni fatte dal possessore sulla cosa si applica il disposto dell'art. 956 (5 /1150), cioè si applicano le norme relative alle incorporazione fatte da un terzo con materiale proprio, considerando terzo il possessore. Conseguentemente, quando le addizioni (piantagione costruzioni ed opere) sono state fatte dal possessore con i suoi materiali, il proprietario del fondo (o titolare del diritto reale) ha diritto di ritenerle o di obbligare il possessore che le ha fatte a levarle (1 /936 e 5 /1150). Se il proprietario preferisce ritenerle, deve pagare, a sua scelta, il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera, oppure l'aumento di valore recato al fondo (2 /936 e 5 /1150). Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese del possessore che le ha fatte e che può, inoltre, essere condannato al risarcimento dei danni (5 /936 e 5 /1150). Ma questo diritto non compete al proprietario se le addizioni sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal possessore di buona fede (4 /956 e 5 /1150). A costui poi compete sempre il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera e, quando le addizioni costituiscono miglioramento, gli è dovuta anche un'indennità nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa (5 /1150). Infine la rimozione non può essere domandata, neppure contro il possessore di mala fede, decorsi che siano 6 mesi dal giorno in cui il proprietario o titolare del diritto reale ha avuto notizia dell'addizione (5 /936 e 5 /1150). Questi diritti del possessore alle indennità per riparazioni, miglioramenti e addizioni (non per rimborso spese di raccolta e produzione dei frutti) potrebbero costituire per il rivendicante proprietario o titolare del diritto reale un grave onere, potendo egli non avere i mezzi per soddisfarli immediatamente. Perciò è stabilito opportunamente che l'autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze (e così alla situazione patrimoniale di lui, al ritardo maggiore o minore da lui frapposto nella rivendica ed alle causali di questo ritardo, alla entità delle somme da restituire) può disporre che il pagamento delle suddette indennità per riparazione miglioramenti e addizioni sia fatto ratealmente ordinando se del caso (se cioè il patrimonio del proprietario non consente di prevedere un regolare adempimento) le opportune garanzie. E, anche riguardo alle indennità, speciale è il trattamento del possessore di buona fede rispetto a tutti gli altri. A lui infatti è concesso il diritto di ritenere la cosa finché non gli siano corrisposte le indennità dovute, purché queste siano domandate nel corso dei giudizio di rivendicazione e sia fornita una prova (anche se generica) della sussistenza delle riparazioni e dei miglioramenti (1 /1152) (v. 2756). Parimenti egli può ritenere la cosa finché non siano prestate le garanzie stabilite dall'autorità giudiziaria nel caso che sia stato ordinato il pagamento rateale delle indennità da cautelarsi con garanzia (2 /1152). Le disposizioni tutte sopra riferite relative alla restituzione dei frutti, alle spese, ai miglioramenti ed alle addiziona si applicano anche al possessore di beni ereditari (1 /535). 11

12 17 - Possesso di buona fede di beni ereditari. Il nuovo codice definisce anche il possesso di buona fede dei beni ereditari: è possessore di buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari ritenendo per errore di essere erede (3 /535). Ma anche a lui, come a qualsiasi altro possessore, la buona fede non giova se l'errore dipende da sua colpa grave (3 /535). Ma la buona fede iniziale dell'erede non continua a produrre tutti i suoi effetti anche quando è venuta a cessare (come avviene invece per, gli altri possessori di buona fede, 5 /1147). Il possessore di buona fede di beni ereditaria che ha alienato pure in buona fede una cosa dell'eredità, è solo obbligato a restituire all'erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto (2 /535). Se il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l'erede (vero) subentra nel diritto di conseguirlo (2 /535). Gli atti dell'erede apparente di buona fede sono, dunque, legittimati con la sola conseguenza di restituire all'erede (vero) il corrispettivo o l'azione relativa per conseguirlo, se l'erede apparente non è stato ancora soddisfatto; se l'erede apparente fosse di mala fede nell'acquisto del possesso dei beni ereditari o successivamente fosse costituito in mala fede (es. conoscenza di un secondo testamento), da questo momento risponde dei danni tutti arrecati coi suoi atti compiuti come erede mentre gli è già noto di non esserlo. Gli atti da lui compiuti in questo caso sono nulli (a non domino), salvo gli effetti del possesso di buona fede e dell'usucapione per i terzi che hanno con lui contrattato a titolo oneroso (2/554) e non a titolo gratuito. Erede apparente è, di solito, l'erede in forza di legge che ignora l'esistenza di un testamento a favore di terzi o l'erede testamentario che ignora l'esistenza di un successivo testamento a favore di terzi o l'erede testamentario che ignora l'esistenza di un successivo testamento a favore di terzi o di successivo testamento che revoca il primo Effetti del possesso di buona fede. L'efficacia del possesso di buona fede sostanziato da un titolo idoneo al trasferimento del dominio o del diritto d usufrutto, uso o pegno, finisce per essere tale da prevalere, relativamente ai beni mobili, allo stesso diritto di proprietà. Ciò deriva dalla particolare natura del possesso, identico nei suoi aspetti esteriori all'esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale. Infatti, rispetto ai mobili non soggetti a registrazione nei pubblici registri manca la possibilità di qualsiasi verifica della titolarità del diritto di proprietà o del diritto reale. Essi passano, perciò, da una mano all'altra senza formalità di sorta e l'ordinamento giuridico deve ben presumere, a garanzia della sicurezza dei rapporti giuridici, che essi passino da un titolare all'altro per una giusta causa. Ed invero, quando questa giusta causa non esiste, una qualche responsabilità incombe molte volte al proprietario perché non ha custodito o sorvegliato convenientemente la cosa o si è fidato di terzi. Comunque la difficoltà di accertare la legittimità del possesso di una cosa mobile, cioè la proprietà, la pertinenza ad un individuo della cosa stessa, fa si che l'ordinamento giuridico debba accontentarsi della parvenza esteriore della proprietà, cioè del possesso, per inferirne, in materia di mobili, che il possesso vale titolo, vale cioè giusto titolo per possedere e quindi vale proprietà o diritto reale o di garanzia sulla cosa mobile purché il possesso sia stato acquistato in buona fede e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà o del diritto di usufrutto o di uso o di pegno. Poste queste esigenze connaturali alla mobilità stessa delle cose mobili, era necessario stabilire quale dovesse prevalere tra il diritto del proprietario e il diritto di colui che detiene il 12

13 possesso della cosa. E, per la sicurezza delle contrattazioni e dei traffici, l'ordinamento giuridico ha deciso contro il proprietario ed a favore del possessore quando è di buona fede e sussiste a suo favore un titolo idoneo al trasferimento della proprietà o del diritto di usufrutto, di uso o di pegno. Colui al quale sono alienati beni mobili oppure i diritti di usufrutto, di uso o di pegno su cosa mobile, da parte di chi non né è titolare o proprietario, ne acquista la proprietà o l'usufrutto o l'uso o il pegno mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, alla costituzione del diritto di usufrutto o di uso o di pegno (1 e 5/1153). La proprietà, l'usufrutto, l'uso, il pegno si acquistano liberi da diritti altrui sulla cosa se questi non risultano dal titolo e vi è buona fede dell'acquirente. Ma queste disposizioni riguardano soltanto i beni mobili, non le universalità di mobili e neppure i beni mobili iscritti nei pubblici registri (1156). Rispetto a questi ultimi è obbligo dell'acquirente, facile ad attuarsi, di riscontrare se l'alienante appare dai pubblici registri il titolare dei diritti alienati. Rispetto alle universalità di mobili (il gregge, l'azienda, la pinacoteca, l'eredità) invece il legislatore ha voluto imporre, per l'importanza economica che esse rivestono, la maggiore oculatezza a carico dell'acquirente, facendogli obbligo di accertarsi preventivamente della titolarità del diritto che gli viene ceduto o concesso. Come ben si vede, la buona fede è l'elemento fondamentale che presiede questo importante istituto giuridico, ma è necessario che essa sussista ancora al momento della consegna della cosa, oltre che al momento del contratto, (nei momenti critici del diritto la regola moderna dell'ari c.c. si manifesta inadeguata - v. pure 1580 e 1155, 75 fall. - e si ritorna alla romana traditio). La proprietà o il diritto di usufrutto o di uso o di pegno si acquistano liberi da ogni diritto altrui sulla cosa purché sussista la buona fede dell'acquirente a! momento dell'acquisto. E' per essa infatti che si acquista ed è essa che commisura anche l'entità dell'acquisto nel senso che si può acquistare la proprietà della cosa se sussiste buona fede nell'acquisto, ma la proprietà così acquistata resta gravata dei diritti altrui, se il titolo d'acquisto ne fa menzione, o, ciò che è lo stesso, se nonostante il silenzio del titolo al riguardo, l'acquirente non ignorava che la cosa era gravata da diritti a favore di terzi (malafede parziale) - v Avuto riguardo all'importanza di questo elemento fondamentale ed a garantirne l'esistenza quando dubbio può sorgere intorno ad esso, il codice prescrive che a colui che ha acquistato conoscendo l'illegittima provenienza della cosa non giova l'erronea credenza che il suo autore o un precedente possessore ne sia divenuto proprietario (1154). In altre parole basta la nozione dell'illegittima provenienza della cosa per obbligare l'acquirente a verificare con la maggiore scrupolosità se il suo autore o un precedente possessore ne è divenuto regolarmente, effettivamente, sicuramente proprietario. L'errore non giova su questo punto, perché basta risalire all'originario proprietario e controllare la regolarità dei trapassi. Ma anche in questo caso, a mio avviso, può esserci buona fede quando l'acquirente abbia fatto diligentemente le indagini opportune e ne sia risultata senza colpa sua (o per dolosa malafede altrui) l'erronea sua credenza che il suo autore o un precedente possessore ne sia divenuto proprietario Possesso di titoli di credito. Particolari aspetti e speciale disciplina ha il possesso dei titoli di credito (1157) cioè di quei titoli che danno diritto al possessore di ottenere la prestazione ivi indicata verso presentazione del titolo, purché il possessore sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge (1/1922 e 1157). E' precisamente questa legittimazione al possesso del titolo che costituisce la sostanza del 13

14 possesso, il possesso stesso del titolo di credito, nel senso che non è possessore legittimo di titolo di credito chi non lo possiede nelle forme e con le modalità stabilite dalla legge, ma semplice detentore e come tale incapace, cioè non legittimato, ad ottenere la prestazione indicata dal titolo. E' bene però dire sommariamente del titolo di credito e della sua struttura. Quando un rapporto obbligatorio è sorto per una determinata causa, per effetto di esso il debitore è obbligato ad una determinata prestazione a favore del creditore. Si supponga un numero rilevante dì tali obbligazioni uguali o della stessa natura (carta moneta, cambiali, titoli azionari, obbligazioni, cartelle di prestiti, fedi di deposito, lettere di vettura, ricevute di carico, polizze di assicurazione all'ordine, ecc.) e sorge naturale la necessità di un documento che provi allo stesso debitore il suo debito e, con la molteplicità dei documenti e dei rapporti obbligatori, un affievolimento della persona del creditore nell'economia del rapporto obbligatorio; giacché tanti documenti sono stati formati quanti rapporti obbligatori sono sorti ed è indifferente soddisfare a mani del creditore o di chi viene alla solutio per lui, quello che acquista evidenza e rilevanza nel rapporto è precisamente il documento, forma prima e poi sostanza dell'obbligazione, che non può trovare adempimento se non in connessione col documento che la prova, cioè a presentazione di questo documento. Il titolo di credito, così, è sorto e, se ben si nota, connesso intimamente il credito al documento che lo comprova, il credito finisce per acquistare un carattere di realtà, di materialità, che si identifica col documento stesso che lo porta e lo attesta. Abbiamo cosi un diritto di credito materializzato dal documento nel senso che ne segue le sorti così e come se fosse una cosa materiale, un bene materiale. Nondimeno esso resta in sostanza un bene giuridico, un diritto. Nonostante, infatti, tante analogie del titolo di credito con la cosa, esso resta ben sempre diritto di credito e cioè signoria sulla cosa (titolo) per provare il credito, per farlo valere, per trasferirlo, ma sempre ai fine di realizzare un rapporto giuridico obbligatorio; cosicché, al momento della solutio, il titolare del credito rappresentato dal titolo non è mai creditore in via assoluta, certo, indefettibile perché ai momento della solutio l'elemento soggettivo del rapporto obbligatorio, che sembrava affievolito e scomparso, torna in evidenza (quasi una concentrazione della serie dei creditori che si sono susseguiti nella titolarità del credito e del titolo in colui che si presenta alla solutio) ed al portatore del titolo è possibile pur sempre opporre eccezioni d'ordine generale o soltanto a lui personali, quali la nullità formale del titolo, la nullità della causa del credito, la compensazione, la novazione, ecc.. Così al ladro ed al ricettatore di carte valori è opponibile la nullità della causa del loro acquisto. Così inquadrata sommariamente la natura giuridica del titolo di credito, vediamone le regole particolare che sono le seguenti: 1 - Il debitore che, senza dolo o colpa grave, adempie la prestazione portata dal titolo di credito nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non è titolare del diritto (2/1992). L'adempimento della prestazione vale quindi acquisto del titolo in buona fede per un titolo idoneo a conseguire la proprietà (1153) prima e la conseguente estinzione dell'obbligazione per confusione (1255) poi. Il possessore è dunque equiparato a proprietario per il debitore, che è liberato adempiendo verso il possessore purché non sia in mala fede (dolo) o in buona fede derivante da sua colpa grave (2/1147). Ciò, vale anche per le banche, rispetto al possessore di libretti di deposito al portatore che non sia il depositante (1856). Per l'assicuratore nelle assicurazioni all'ordine o al portatore se adempie la prestazione nei confronti del giratario o del portatore della polizza, anche se questi non è l'assicurato (1889). Questo dal lato passivo del rapporto obbligatorio attestato dal titolo di credito. Nel lato attivo invece: 14

15 2 - II trasferimento del titolo al portatore si opera con la consegna del titolo (1/2003); 3 - Il possessore del titolo al portatore è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato in base alla presentazione del titolo (2/2003). 4 - Il possessore di un titolo all'ordine è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato, in base ad una serie continua di girate (2008). La girata trasferisce tutti i diritti inerenti al titolo (1/2009) con l'avvertenza che il titolo può essere girato in bianco ed il possessore del titolo girato in bianco può riempire la girata col proprio nome o con quello di altra persona, ovvero può girare il titolo oppure trasmetterlo a un terzo senza riempire la girata e senza apporne una nuova (2/2009) e che, di conseguenza, l'ulteriore circolazione del titolo all'ordine, giralo in bianco, può avvenire come quella dei titoli al portatore; 5 - Il possessore di un titolo nominativo è legittimato all'esercizio del diritto in esso menzionato per effetto dell'intestazione a suo favore contenuta nel titolo e ne! registro dell'emittente (2021). 6 - II trasferimento del titolo nominativo si opera mediante annotazione del nome dell'acquirente sul titolo e sul registro dell'emittente o col rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare e annotato sul registro dell'emittente (1/2022). Ma esso può essere trasferito anche mediante girata completa (col nome del giratario e la data) autenticata da notaio o da un agente di cambio e perciò il giratario se ne può dimostrare possessore mediante una serie continua d? girate siffatte (5 /2025). 7 - Titoli rappresentativi di merci attribuiscono al possessore il diritto alla consegna delle merci che sono in essi specificate, il possesso delle medesime ed il potere di disporne, mediante trasferimento del titolo (1996). Tale la fede di deposito nei magazzini generali trasferibile mediante girata (1792) unitamente o separatamente dalla nota di pegno (1791). Tale sotto più aspetti il duplicato della lettera di vettura o della ricevuta di carico all'ordine, trasferibile mediante girata, e che attribuiscono al possessore i diritti inerenti al contratto di trasporto verso il vettore (1 /1691) relativamente alla disponibilità delle cose trasportate fino a riconsegna; la quale dal vettore non può essere fatta se non a presentazione del duplicato della lettera di vettura o della ricevuta di carico all'ordine (3 /1691); 8 - Il pegno, il sequestro ed il pignoramento ed ogni altro vincolo (usufrutto ed uso) sul diritto menzionato in un titolo di credito (al portatore, all'ordine e nominativo) o sulle merci da esso rappresentate non ha effetto se non si attuano sul titolo (1997, 2024, 2025, 2026). I diritti reali e le garanzie reali (pegno, ipoteca sui titoli del debito pubblico - 2 /2810) gravanti sul diritto portata da un titolo di credito sono inefficaci se non menzionati ed attuati sul titolo. I diritti reali, ed insieme il pegno, l'ipoteca, il sequestro o il pignoramento che pur tante affinità hanno coi diritti reali, sono tutti inconcepibili se non portati dal titolo o, quanto meno, accompagnati dal possesso del titolo ed attuati sul titolo. L'usufrutto, il pegno, l'uso di un titolo si esercitano possedendo il titolo; il sequestro, il pignoramento del titolo è inutile farlo a mani del terzo debitore perché è necessario sequestrare, pignorare il titolo come cosa. Si ha un bel dire al terzo debitore «non pagare al tizio mio debitore» perché non si conclude nulla, in quanto il titolo può essere passato in mani diverse da quelle del debitore esecutato e questo terzo è legittimato dal possesso del titolo ad ottenere la prestazione. I titoli all'ordine si danno in pegno mediante girata, con la clausola «valuta in garanzia» o altra equivalente. Tale girata impedisce ogni ulteriore girata con effetti attributivi della proprietà del titolo perché le ulteriori girate valgono soltanto come girate per procura (1 /2014) con la conseguenza che l'emittente non può opporre al giratario in garanzia le eccezioni fondate sui 15

16 propri rapporti personali col girante, a meno che tale giratario, ricevendo il titolo abbia agito intenzionalmente a danno dell'emittente (2 /2014). Il che è conseguenza del principio che la girata in garanzia deve trasferire al giratario tutti i diritti del girante in guisa da assicurargli il pagamento del credito per il quale il titolo all'ordine è stato costituito in pegno mediante girata (purché il giratario sia di buona fede (v. 5 /1153). Che se il giratario in garanzia trasferisce ancora il titolo, poiché questo trasferimento vale soltanto come girata per procura (perché il girante non è proprietario del titolo) (1 /2014), l'emittente può opporre al nuovo giratario le eccezioni che poteva opporre al suo girante (giratario in garanzia). 9 - Il detentore di una cambiale (tratta) è considerato portatore legittimo se giustifica il diritto con una serie continua di girate, anche se l'ultima in bianco. Le girate cancellate si hanno, a questo effetto, per non scritte. Se una girata in bianco è seguita da un'altra girata, si reputa che il.sottoscrittore di questa ultima abbia acquistato la cambiale per effetto di quella (1 /20 L. camb.). Parimenti per il vaglia cambiano (102 L. camb.), per l'assegno bancario, per il vaglia cambiario, per gli assegni circolari, le fedi di credito, ecc Come conseguenza di tutte queste norme si ha, relativamente ai titoli di credito, una norma analoga a quella già esaminata relativa all'efficacia del possesso di buona fede dei mobili (1155). Chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito (al portatore, all'ordine o nominativo) in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione (1994), cioè ne diventa proprietario. Se si confronta questa norma con quella dell'art. 1155, si rileva subito che il possessore di buona fede del titolo di credito è in una posizione giuridica migliore del possessore della cosa o del diritto reale o di garanzia reale sulla cosa mobile. Se, infatti, la buona fede è presunta in entrambi i possessi fino a prova contraria, che deve essere data dal rivendicante il possesso della cosa, resta che il titolare del diritto reale o del pegno deve dimostrare di avere un titolo che sarebbe stato idoneo al trasferimento della proprietà, all'acquisto del diritto reale o del diritto di pegno se l'avesse acquistato dal proprietario e non a non domino. Il possessore di un titolo di credito, invece, non ha l'obbligo di questa dimostrazione, non deve dimostrare la causa del suo acquisto, bastando che egli se ne dimostri possessore in conformità delle norme che regolano la circolazione dei titoli; basta che egli dimostri la regolarità formale di costituzione del vincolo, del diritto reale o della garanzia reale sul titolo e così, col possesso del titolo per i titoli al portatore (2003), col possesso del titolo in base ad una serie continua di girate per i titoli all'ordine (2008), e infine con intestazione a suo favore regolarmente effettuata sul titolo e annotazione sui libri dell'emittente oppure per effetto di girata piena autenticata (2025) per i titoli nominativi (2022). Sicché non vale, nei confronti del legittimo possessore la dimostrazione che il rivendicante si accinga a dare che esso possessore non ha un titolo idoneo al trasferimento dei titolo di credito o all'acquisto di un diritto reale o di pegno sul titolo, a meno che questa dimostrazione non si risolva nella dimostrazione che il di lui possesso è di mala fede, che conosceva cioè i vizi che affidavano il possesso del suo autore oppure li ignorava sì, ma per sua stessa colpa grave (2 /1147) (es. mancata identificazione del presentatore del titolo di credito all'ordine con la persona indicata sul titolo). Il che era già stabilito per la cambiale (2 /20 legge cambiaria) e per l assegno bancario che dicono: se una persona ha perduto per una qualsiasi ragione il possesso di una cambiale o di un assegno bancario, il nuovo portatore che giustifichi il suo diritto nella maniera indicata nel precedente comma (cioè con una serie continua di girate anche se l'ultima è in bianco) o coi possesso dell'assegno al portatore, non è tenuto a consegnarli se non quando rabbia acquistati in 16

17 mala fede ovvero abbia commesso colpa grave acquistandoli. In siffatto modo, rispetto ai titoli di credito, il possesso di buona fede dei titoli di credito prevale sul diritto di proprietà Possesso di buona fede ed esecuzione forzata. Ritornando alle norme generali sul possesso di buona fede dei mobili, si deve rilevare che esso ha tanta forza ed efficacia da attuarsi anche durante l'esecuzione forzata. La norma, infatti, secondo la quale non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento, trova una limitazione ed un eccezione rispetto al possessore di buona fede per i mobili non iscritti nei pubblici registri (2913). Parimente la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, ma sono salvi gli effetti del possesso di buona fede (2919). Non sono però opponibili all'acquirente i diritti acquistati dai terzi sulla cosa se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione (2 /2919). Di conseguenza, restano convalidati anche nei confronti del!'acquirente, col possesso di buona fede, i diritti d'usufrutto, d'uso e di pegno acquistati sulla cose mobile (5 /1153) espropriata (2913), le alienazioni di universalità di mobili, che abbiano data certa anteriore al pignoramento (3 /2914) le alienazioni di beni mobili di cui sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento o che risultino da atto avente data certa (4 /2914) Conflitto tra acquirenti per il possesso della cosa mobile. Si sono visti fin qui gli effetti del possesso di buona fede relativamente ai beni mobili (esclusi quelli iscritti nei pubblici registri e le universalità di mobili, 1156) rispetto al proprietario. Ora occorre vedere anche come è regolato il conflitto che può nascere tra più persone aventi diritto al possesso della cosa mobile (esclusi sempre, i beni mobili iscritti e le universalità, 1156). Il che si verifica allorquando taluno con successivi contratti «aliena a più persone un bene mobile». In tal caso quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore (1155). E' questo un altro importante effetto del possesso conseguito in buona fede (1147) od un'altra applicazione dell'art c.c. che deroga al principio contrattuale fondamentale secondo il quale nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale o il trasferimento di un altro (qualsiasi) diritto, la proprietà o il diritto sì trasmettono e si acquistano (e si costituiscono) per effetto del consenso legittimamente manifestato (1576). Per effetto di quest'ultimo principio nessuna efficacia potrebbe avere un secondo trasferimento del diritto già alienato, appunto perché già alienato (nemo plus juris ad alium transferre potest quam ipse habet) o dimesso o trasferito. Ma la forza del possesso, del potere di fatto sulla cosa mobile, è tale quando è di buona fede che il diritto di colui che ha conseguito il possesso della cosa prevale anche sul diritto astrattamente potiore del primo acquirente che tale possesso non ha conseguito. Così la romana traditio riprende vigore sul consenso. Così, il possesso della cosa mobile, conseguito in buona fede dall'acquirente, assurge alla stessa efficacia che ha la trascrizione (2 /2644) in tema di diritti immobiliari e mobiliari soggetti a questa formalità e pubblicità. Il possesso è dunque la forma naturale di pubblicità correlativa ai diritti (reali e di garanzia) sulle cose mobili. Occorre vedere ora la portata dell'art Questa norma si riferisce esclusivamente ai beni mobili e quindi anche ai titoli di credito al portatore, esclusi i beni mobili iscritti nei pubblici registri e le universalità di mobili (1156). Per i primi valgono i principi della trascrizione (2683/ 2684 in rel. 2644). 17

18 Per le universalità di mobili invece non valgono i principi del possesso conseguito in buona fede (1153, 1155, 1156) e perciò quante volte sorge conflitto relativamente ad esse tra aspiranti al possesso di tali universalità resta in vigore il principio dell'ari e cioè il possesso dell'universalità spetta a colui che per primo ne ha fatto acquisto, anche se non ne ha conseguito ancora il possesso e questo sia stato poi (fraudolentemente) trasferito ad altra persona. Sempre allo scopo di chiarire l'art si rilevi la frase: «se taluno aliena un bene mobile». Il corrispondente art del Codice di Commercio del 1865 diceva: «Se la cosa che taluno si è obbligato con successive convenzioni di dare o consegnare a due persone è un mobile per natura o un titolo al portatore, quella fra esse a cui fu dato il possesso sarà preferita all'altra, sebbene il suo titolo fosse posteriore di data, purché il possesso sia di buona fede». Dal confronto delle due disposizioni appare l'ampia portata dell'art Questo, infatti, adoperando la parola tecnica giuridica «aliena», comprende ogni dismissione o trasferimento o costituzione di diritti relativi a beni mobili e così, non solo il trasferimento della proprietà, ma anche la costituzione e il trasferimento di un diritto reale (usufrutto, uso) o di un diritto reale di garanzia (pegno) sui beni mobile ma anche diritti non reali (personali) relativi a beni mobili (815), regolando così ogni conflitto relativo a beni mobili alla stregua della buona fede del conseguito possesso della cosa mobile. Ma riferendosi l'art ai beni (810) mobili (5 /812) esclusi quelli iscritti nei pubblici registri (2683) e le universalità di mobili (816, 1156), tale disposizione di legge finisce per regolare i conflitti relativi a qualsiasi diritto relativo a beni mobili, perché sono beni mobili anche i diritti non reali (personali di godimento) relativi a beni immobili (815). E poiché i diritti non reali su beni mobili e su beni immobili conducono alla detenzione della cosa piuttosto che al possesso della stessa, la parola possesso, è qui impropriamente usata in luogo e vece delle parole possesso o detenzione. Ma resti ora fermo questo: che la regolazione dei conflitti tra più acquirenti aventi diritto al possesso della cosa è fatta, secondo l'art. 1155, non solo quando si tratta dell'acquisto della proprietà, della costituzione o del trasferimento di un diritto reale (usufrutto, uso) o di un diritto reale di garanzia mobiliare (pegno); ma anche quando si tratta di un diritto (mobiliare) personale di godimento relativo alla stessa cosa mobile o immobile concessa da una stessa persona a diversi (successivi) contraenti. Peraltro, occorre esaminare questa disposizione in correlazione ad una nuova disposizione del nuovo cod. civ. e cioè all'art che dice: «Se, con successivi contratti, una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento relativo alla stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha conseguito». «Se nessuno dei contraenti ha conseguito il godimento, è preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore. Sono salve le norme relative agli effetti della trascrizione». Ora le due disposizioni dell'art e dell'art non mi sembra che siano armonicamente coordinate. Chi interpreta, infatti, come sopra si è fatto, l'art deve concludere che esso regola anche il conflitto tra acquirenti diversi di un diritto personale di godimento relativo alla stessa cosa e che tale conflitto si risolve a favore di chi ha conseguito in buona fede il godimento della stessa col possesso. Chi si ferma invece all'art potrebbe concludere che il conflitto tra aspiranti al godimento della stessa cosa si risolve a favore di chi ha conseguito il godimento anche se lo ha ottenuto in mala fede, conoscendo, cioè, che esso era stato alienato ad altri. Ma ciò mi pare che non possa avvenire perché altrimenti l'art sanzionerebbe un atto fraudolentemente compiuto non solo, ma sanzionerebbe la possibilità di acquistare un diritto che si conosce quale già dismesso e perciò insistente rispetto al secondo acquirente di mala fede perché conosciuto già come alienato e di pertinenza di terza persona. Chi legge poi isolatamente l'art potrebbe concludere che non è regolato dallo stesso il 18

19 conflitto tra acquirenti di uno stesso bene mobile di cui nessuno abbia conseguito il possesso, il che potrebbe portare erroneamente a sostenere che in tema d acquisto di beni mobili (nell'ampia accezione sopraindicata di acquisto della proprietà di mobile di diritti reali o di garanzia o di godimento (mobiliari) relativi a beni immobili) torni ad applicazione l'art nella sua letterale portata di prior in tempore potior in jure e per il quale nel conflitto tra più acquirenti della stessa cosa e dello stesso diritto tale conflitto si risolve coi principi della prevalenza delle prove quando il possesso non sia stato trasmesso (fra terzi alle prove orali prevalgono quelle scritte aventi data certa (2704, 2914 n. 4, 2 /1380, 1 /2915, 2918). A sorpassare queste difficoltà si devono fondere e coordinare i due articoli di legge (1155, 1156, 1380) nelle seguenti disposizioni: «Fatte salve le norme relative agli effetti della trascrizione (3 /1380), se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile (esclusi i beni mobili iscritti e le universalità di mobili - e nei beni mobili sono compresi anche i diritti non reali, cioè i diritti di godimento relativi a beni immobili 813) quella tra di esse che ne ha conseguito in buona fede il possesso (a titolo di proprietà, di diritto reale, di diritto reale di garanzia (pegno) o il godimento (detenzione relativa a diritti personali di godimento su beni mobili e su beni immobìli) è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore (1155) (1 /1380). «Se nessuno dei contraenti ha conseguito il possesso o il godimento, è preferito quello che ha il titolo di data certa anteriore (2 /1380)». (Se ben si osserva il diritto ad avere il possesso della cosa mobile è e resta pur sempre - fino a quando non si è conseguito il possesso - un diritto di credito e mai un diritto reale, che è perfetto (cioè tale) solo col possesso rispetto ai terzi. In altre parole la realità o assolutezza del diritto mobiliare è sostanziata di possesso, perché solo quando si accoppia al possesso è opponibile veramente a qualunque terzo mai prima. Sicché tra l'acquisto del diritto reale e la sua perfezione sta il periodo intermedio diretto al conseguimento del possesso, malgrado l'art L'efficacia o l'inefficacia del diritto rispetto i terzi segna così la caratteristica differenziale tra diritto reale e diritto di credito). E si potrebbe aggiungere anche quest'altra regola: «Se nessuno dei contraenti ha titolo di data certa (difetto di contratto scritto) è preferito colui che ha acquistato per primo (1376)». Ma è bene determinare quali sono i diritti (mobiliari) di godimento relativi alle cose (mobili ed immobili). Il codice non contiene definizioni. Si contrappongono però nel codice i diritti reali del Libro 3 (proprietà, superficie temporanea, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù) a quelli di credito derivanti da rapporti obbligatori quali nascenti della legge e dai vari contratti, in particolare della locazione anche di immobili, dal comodato anche di immobili, dal contratto estimatorio, di pegno, per analogia, anche da mandato, da commissione, trasporto, deposito, dove il conflitto tra aspiranti allo stesso diritto sulla stessa cosa è eliminato a norma degli art e 1580 come sopra coordinati tra di loro. Ho accennato anche al pegno perché anche relativamente a questo diritto può nascere conflitto tra creditori pignoratizi quando la cosa o il documento che conferisce l esclusiva disponibilità della cosa (titoli) sono detenuti dallo stesso terzo designato dai creditori in conflitto con l'unico debitore. Il pegno si acquista come un diritto reale mobiliare, cioè col possesso di buona fede (3 /1153) ed il conflitto si regola a sensi dell'art se lo si considera come un diritto reale e a sensi dell'art se lo si considera, come a me pare sia, un diritto personale di godimento, sia pure di natura speciale, ai soli fini della realizzazione del credito garantito. Si noti poi l'ultimo comma dell'art quale sopra riportato. Esso si può svolgere come segue: quando un diritto personale di godimento per conseguirsi efficacemente di fronte ai terzi 19

20 deve essere trascritto (ad es. locazione ultranovennale 2643 n. 8, anticresi 2645 n. 12) non valgono più le regole degli art e 1380 ma quelle della trascrizione. E queste regole, a loro volta, per quanto interessa si possono riassumere come segue: i diritti personali di godimento (diritti mobiliari anche se relativi a beni immobili) che per avere efficacia rispetto ai terzi vanno trascritti, operata la trascrizione rendono inefficace rispetto a chi ha trascritto l'uguale diritto acquistato dallo stesso autore, anche se risalga ad epoca anteriore (2 /2644). Riprende così vigore il principio prior in tempore potior in jure ma la priorità è rapportata alla trascrizione. Così la pubblicità inerente all'acquisto di diritti (mobiliari) personali di godimento relativi a beni immobili e mobili iscritti nei pubblici registri, quando è prescritta, tiene luogo e vece del possesso e del godimento conseguito per i diritti reali e personali di godimento relativi a beni mobili per i quali la formalità non è prescritta. In sostanza il possesso e il godimento di questi si attua (e si pubblica) col potere di fatto sulla cosa vivificato dall'animus possidenti o dall'animus detinendi, secondo che si tratti dell'esercizio del diritto di proprietà, di diritti reali oppure di diritti di godimento e di pegno sulla cosa mobile; il possesso o la detenzione degli immobili o dei mobili iscritti invece resta sempre una relazione giuridica della persona con la cosa immobile o mobile soggetta a iscrizione nei pubblici registri; che diventa efficace nei confronti dei terzi soltanto con la trascrizione piuttosto che col possesso o con la detenzione. L'unica distinzione che si può fare tra l'art e l'art appare questa: mentre l'art vuoi regolare (parzialmente per quanto si è detto) conflitti tra aspiranti possessori, l'art regola conflitti tra aspiranti alla detenzione della stessa cosa; i primi per goderla (animo domini) come proprietari, usufruttuari, usuari, creditori pignoratizi e con possibilità per tutti, meno che per il creditore pignoratizio, di usucapire; i secondi, invece, per godere la cosa (animo detinendi) in luogo e vece e per concessione de! proprietario o titolare del diritto reale di godimento, senza possibilità, come tali, di usucapire, salvo interversione della detenzione in possesso, riconoscendo così su di loro la supremazia del possessore (proprietario o titolare del diritto reale) per conto e in vece del quale in definitiva essi detengono. Diritti personali di godimento relativi a cose mobili o immobili sono, dunque i diritti (mobiliari) sulla cosa pertinenti pur essi al proprietario o al titolare del diritto reale di godimento sulla cosa e da questi alienati in forza di rapporti obbligatori e che si risolvono nella concessione della detenzione (e del godimento) della cosa, ma che non possono trasformarsi in diritti reali senza mutare la detenzione in possesso (v. n. 9). Così il sommario esame degli ari. 1155, 1376, 1380 e 2644 c.c.. porta a questa conclusione: il principio di cui all'art è un principio che immuta profondamente su quello romano per il quale soltanto la traditio trasferisce effettivamente il diritto; ma è un principio che si appalesa inadeguato quando il diritto trasferito col semplice consenso deve attuarsi in conflitto con uguale diritto di terzi (momento critico del diritto). Il diritto moderno deve quindi ripiegare su altri principi quando non è costretto a ritornare al sano concreto e indefettibile principio di diritto romano. E ricorre al principio della trascrizione (3 /1580) quando si tratta di diritti che vanno trascritti (diritti reali immobiliari o su mobili iscritti, diritti personali di godimento relativi a immobili e mobili iscritti speciali). In difetto di trascrizione ricorre senz altro ai criteri della priorità del conseguito possesso (1155) o del conseguito godimento (1380) ossia della conseguita detenzione, cioè alla traditio romana. Ma, per attribuire un diritto reale su bene mobile richiede il requisito fondamentale della buona fede (1155) e si dimentica di questo requisito quando si tratta di diritti personali di godimento. Invece questa buona fede di chi consegue il godimento è del tutto necessario in quanto mala 20

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