Teoremi di rigidità per funzioni di Sobolev e applicazioni.

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1 Università degli Studi di Roma La Sapienza A.A Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea Specialistica in Matematica Teoremi di rigidità per funzioni di Sobolev e applicazioni. Laureando Stefano Iula Relatore Prof.ssa Adriana Garroni

2 Ogni cosa a suo tempo ha il suo tempo. F. Pessoa

3 Indice Introduzione i 1 Spazi funzionali Spazi di Sobolev Spazi di Sobolev pesati Rigidità 17.1 Teoremi di rigidità Disuguaglianze di Korn Una stima quantitativa di rigidità geometrica Applicazione: elasticità linearizzata Elasticità lineare Introduzione all iperelasticità: setting del problema Cenni di Γ- convergenza Il problema linearizzato Bibliografia 70

4 Introduzione Il numero di gradi di libertà di un sistema fisico è il minimo numero di coordinate necessario a descriverne completamente il moto. Più questo numero è basso, più il sistema è vincolato e possiamo dire, in un certo senso, rigido. Mutuando questa terminologia propria della meccanica classica intendiamo che una collezione di oggetti è rigida se i suoi elementi sono determinati da una quantità di condizioni inferiore rispetto a quella che naturalmente ci si aspetterebbe. Ad esempio una trasformazione lineare tra due spazi vettoriali X e Y è completamente determinata dai suoi valori su una base di X. La classe delle funzioni armoniche è rigida nel senso che una funzione armonica sul disco unitario è univocamente determinata dal valore che assume sul bordo di tale disco. Oppure ancora, una funzione derivabile con derivata nulla è costante. L idea è che delle informazioni puntuali o delle informazioni parziali (il valore di una funzione su un insieme discreto di punti o il valore su un sottoinsieme dell insieme di definizione), combinate con alcune proprietà (ad esempio differenziali, come essere una funzione armonica o essere un gradiente), sono sufficienti per dare una caratterizzazione completa degli oggetti che si vogliono descrivere. In questa tesi tratteremo alcuni risultati di rigidità per funzioni u: R n negli spazi di Sobolev W 1,p (; R n ) dove p (0, + ) e R n è un insieme aperto e limitato. Possiamo subito osservare che le funzioni di Sobolev possiedono una proprietà di rigidità intrinseca. Per queste funzioni infatti vale la disuguaglianza di Poincaré. Proposizione 1. (Disuguaglianza di Poincaré-Wirtinger) Sia 1 p e un aperto di R n con frontiera lipschitziana. Allora per ogni u W 1,p () esiste una costante C tale che u u L p () C u L p (), (1) dove u = 1 u(y) dy è la media di u. Questo risultato può essere interpretato come una versione quantitativa della proprietà delle funzioni con gradiente nullo di essere costanti: la funzione è vicino ad una costante (la sua media) se la norma del suo gradiente i

5 Introduzione ii è piccola. In particolare, se il gradiente di una funzione è nullo, la funzione è costantemente uguale alla sua media. I risultati di rigidità che presenteremo in questa tesi sono legati all inclusione differenziale u K per qualche K M n. Problemi di questo genere si presentano nello studio delle configurazioni di equilibrio di alcuni tipi di materiali come ad esempio i cristalli elastici. Le configurazioni di equilibrio corrispondono ai minimi dell energia elastica. L oggetto da studiare quindi è l insieme K M n delle deformazioni ad energia nulla del cristallo che può assumere forme differenti a seconda, ad esempio, del tipo di materiale o della temperatura. É naturale chiedersi sotto quali ipotesi esistano delle soluzioni u per l inclusione u K. Abbiamo già osservato che le funzioni con gradiente nullo sono costanti e abbiamo visto come la disuguaglianza di Poincaré sia una versione quantitativa di questo risultato. Consideriamo ora l insieme K delle matrici antisimmetriche. Proposizione. Sia R n un dominio con frontiera regolare e sia u H 1 (; R n ) tale che e(u) = 0. Allora u è affine, ovvero u = Ax + b con A matrice antisimmetrica. Possiamo subito vedere come anche di questo risultato abbiamo una versione quantitativa: la disuguaglianza di Korn. Poniamo e(u) = 1 ( u + ut ). Teorema 3. (Disuguaglianza di Korn) Sia un dominio in R n e sia u H 1 (; R n ). Allora esiste una matrice A antisimmetrica a coefficienti costanti tale che (u Ax) dx C e(u) dx, () dove la costante C non dipende da u. Risultati di questo genere trovano un applicazione naturale in teoria dell elasticità in quanto l energia elastica dipende solo dal gradiente di deformazione, la cui parte simmetrica misura lo strain del corpo elastico. Nel seguito l attenzione sarà rivolta al caso particolare della rigidità geometrica, in cui K = SO(n). Il punto di partenza della nostra analisi è il Teorema di Liouville. Teorema 4. (Liouville) Sia u : R n R n in H 1 (; R n ) tale che Allora u è affine, ovvero u = cost. u SO(n) q.o. in. (3)

6 Introduzione iii L affermazione di rigidità è la seguente: è sufficiente sapere che un gradiente soddisfa quasi ovunque l inclusione (3) per poter affermare che è costante. In altre parole l informazione (di per sé povera) che un gradiente puntualmente è una rotazione, è sufficiente per dimostrare l affermazione (decisamente più forte) che è una particolare rotazione che non dipende da x. Nel caso della teoria dell elasticità quest affermazione è estremamente utile in quanto è possibile concludere che le deformazioni che hanno gradiente nell insieme delle rotazioni sono dei movimenti rigidi. É naturale quindi chiedersi se è possibile ottenere una versione quantitativa per un risultato di rigidità come il Teorema di Liouville. Sapendo che il gradiente di una funzione u è abbastanza vicino all insieme delle rotazioni è possibile affermare che u è vicino ad essere una mappa affine? In questa tesi presenteremo una versione quantitativa del Teorema di Liouville sostituendo l ipotesi (3) con la condizione integrale che la norma dist( u, SO(n)) L () (4) sia piccola. geometrica. A questo proposito studieremo la seguente stima di rigidità Teorema 5. Sia un dominio limitato con frontiera lipschitziana, R n con n. Esiste una costante C() tale che per ogni v H 1 (; R n ) esiste una R SO(n) tale che v R L (;R n ) C() dist( v, SO(n)) L (;R n ). (5) Originariamente proposta in [18] da Friesecke James e Müller per la derivazione rigorosa di teorie per le piastre con un passaggio da 3d a d, questa stima si è rivelata uno strumento largamente applicabile in vari tipi di problemi legati alla teoria dell elasticità. In questa tesi in particolare ne vedremo un applicazione per l interpretazione dell elasticità linearizzata come Γ- limite dell iperelasticità ([13]). Ci serviremo del Teorema 5 per provare la proprietà di compattezza necessaria per ottenere la giusta convergenza delle energie elastiche. Se consideriamo R n la configurazione di equilibrio di un corpo elastico e v : R n una deformazione, l energia elastica è descritta dal funzionale I(v) = W ( v) dx (6) dove la funzione W (x, F ), definita per x e F nello spazio M n delle matrici quadrate n n, è detta densità di energia interna. Assumeremo che

7 Introduzione iv W sia invariante per cambi di coordinate. Richiederemo quindi che valga la proprietà di frame indifference W (RF ) = W (F ) R SO(n). (7) É naturale aspettarsi piccole deformazioni per applicazioni di piccoli carichi esterni. Ponendo v(x) = x + εu(x) e riscalando le variabili possiamo scrivere l energia totale W (x, I + ε u) dx ε lu dx, (8) dove l L (; R n ) modellizza il carico. I punti stazionari dell energia totale sono configurazioni di equilibrio per il sistema. Linearizzando la funzione W in un intorno dell identità, assumendo la configurazione di riferimento stress free, possiamo definire l energia elastica linearizzata come G(u) = 1 A(x)[e(u), e(u)] dx lu dx, (9) dove e(u) è la parte simmetrica di u. Se ora definiamo G ε (u) = 1 ( ) ε W (x, I + ε u) dx ε lu dx, (10) al limite per ε 0 abbiamo lim G ε(u) = G(u). (11) ε 0 Questo argomento però non è sufficiente per concludere che i minimizzanti dell energia riscalata convergono ai minimizzanti dell energia linearizzata. Per dare una completa giustificazione variazionale al problema sarà necessario un argomento di Γ- convergenza. Come prima cosa mostreremo la compattezza delle successioni minimizzanti in un opportuna topologia. Assumeremo quindi delle ipotesi di crescita (quadratica vicino l origine e più che lineare all infinito) per la funzione W e dimostreremo la coercività dei funzionali G ε stimandoli dal basso con la norma della distanza di v dall insieme delle rotazioni. Ci accorgiamo allora come, sotto le ipotesi che abbiamo richiesto per W, sarà proprio la stima di rigidità del Teorema 5 a garantirci il giusto controllo dal basso per G ε. Per fissare le idee si può pensare di prendere come semplice prototipo per W proprio la funzione dist ( v, SO(n)). Una volta ottenuta la compattezza dimostreremo la Γ- convergenza di G ε a G ottenendo così la convergenza dei minimizzanti.

8 Capitolo 1 Spazi funzionali In questo capitolo introduttivo definiremo gli spazi di Sobolev, ambiente naturale dove sviluppare la teoria riguardante i problemi che affronteremo nel corso di questa tesi. Nella prima sezione richiameremo le proprietà fondamentali di questi spazi ponendo particolare attenzione ad un lemma di approssimazione e alle disuguaglianze di Poincaré. Nella seconda sezione ci occuperemo di dimostrare una disuguaglianza di tipo Poincaré per gli spazi di Sobolev pesati. 1.1 Spazi di Sobolev Per prima cosa richiamiamo la definizione di derivata debole di una funzione. Dato R n indicheremo con L p loc () l insieme delle funzioni p-sommabili su ogni K compatto. Definizione 1.1. Sia u L p loc (), p 1, Rn, e sia α un multi-indice. Diremo che u ha una derivata debole (o derivata nel senso delle distribuzioni) di ordine α in L p loc () se esiste una funzione v α L p loc () tale che per ogni funzione test ϕ C0 () ud α ϕ dx = ( 1) α v α ϕ dx. (1.1) La funzione v α viene usualmente denotata con il simbolo D α u. Osservazione 1.1. Osserviamo che la derivata debole e la derivata in senso classico coincidono quando quest ultima esiste. Definizione 1.. Denoteremo con W k,p () lo spazio delle funzioni che hanno derivata debole fino all ordine k in L p (). 1

9 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI In W k,p () useremo la norma u W k,p () = α k u W k, () = α k D α u p dx 1 p 1 p <, (1.) ess-sup x D α u p =. (1.3) Definizione 1.3. Il sottospazio W k,p 0 () W k,p () è definito come la chiusura di C0 () nella norma di W k,p (). Più precisamente, u W k,p 0 () se e solo se esiste una successione u n C0 () tale che u u n W k,p () 0. Per semplicità di esposizione la trattazione sarà per funzioni scalari. Nel seguito lavoreremo con funzioni vettoriali, ovvero funzioni u definite da R n a valori in R n. I risultati che esporremo in questa sezione valgono quindi per ogni componente u i. Chiameremo L p (; R n ) lo spazio delle funzioni u: R n R n, u = (u 1,..., u n ), tali che ogni componente u i è in L p (; R). La norma naturale è la generalizzazione per l usuale norma in L p (; R) ovvero ( ) 1 u L p (;R n ) = u p p dx. (1.4) Analogamente per gil spazi di Sobolev, diremo che, se ad esempio k = 1, u W 1,p (; R n ) se ogni sua componente è in W 1,p (; R) e scriveremo u W 1,p (;R n ) = u p dx + ( ) p ui dx x i, 1 p 1 < p <. (1.5) Gli spazi che abbiamo definito sono spazi normati. Il teorema seguente afferma che sono anche completi rispetto alla norma di cui li abbiamo dotati. Teorema 1.4. Ogni spazio di Sobolev W k,p () è uno spazio di Banach. Dimostrazione. Consideriamo una successione u n di Cauchy in W k,p (). Di conseguenza u n e D α u n per α k sono di Cauchy in L p (). Allora dalla completezza di L p segue che esistono u e u α, per α k, in L p tali che u n u e D α u n u α in L p (). Per ottenere la tesi dobbiamo mostrare che per tali α vale u α = D α u in L p. Abbiamo D α u n ϕ = ( 1) α u n D α ϕ dx. (1.6) Allora, per definizione di derivata debole, passando al limite per n si trova la tesi.

10 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 3 Osservazione 1.. Le seguenti osservazioni sono conseguenza diretta del teorema. i) Lo spazio W k,p 0 () è un sottospazio chiuso di W k,p () e dunque anch esso è uno spazio di Banach. ii) Se p =, W k, () si denota convenzionalmente con H k () e può essere dotato del prodotto scalare (u, v) H 1 = D α ud α v dx, (1.7) α k che induce la norma di W k,. Il teorema quindi afferma che H k () è uno spazio di Hilbert. iii) L osservazione ii) è valida anche per W k, 0 (), che denoteremo come H k 0 (). iv) Indichiamo con W 1,p () lo spazio duale di W 1,p 0 (), con 1 p < e con H 1 () lo spazio duale di H0 1(). Per H1 0 () valgono le seguenti inclusioni: H0 1 () L () H 1 (), (1.8) con inclusioni continue e dense. Richiamiamo ora un importante risultato di approssimazione dovuto a Meyers e Serrin. Teorema 1.5. Sia R n un insieme aperto. Per ogni u W k,p () con 1 p < esiste una successione di funzioni u k C () tale che u k u W k,p () 0 per n. Il teorema seguente invece mostra come, sotto alcune ipotesi su, ogni funzione di W 1,p () può essere estesa ad una funzione di W 1,p (R n ). Definizione 1.6. Diremo che un insieme è di classe C 1 se la sua frontiera localmente è il grafico di una funzione C 1. Teorema 1.7. Siano R n aperti tali che la chiusura di sia compatta in. Assumiamo inoltre che sia di classe C 1. Allora esiste un operatore lineare limitato E : W 1,p () W 1,p (R n ) e una costante C tali che i) Eu(x) = u(x) q.o. in, ii) Eu(x) = 0 x /, iii) vale la stima Eu W 1,p (R n ) C u W 1,p ().

11 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 4 In generale le funzioni di C c () non approssimano tutte le funzioni negli spazi di Sobolev. Vale però il seguente risultato di densità. Teorema 1.8. Sia un aperto con frontiera C 1. Sia 1 p < e u W 1,p (). Esiste una successione u n C c (R n ) tale che la sua restrizione a è convergente ad u in W 1,p (). In altre parole, le restrizioni delle funzioni di C c (R n ) sono dense in W 1,p (). Per gli spazi di Sobolev valgono particolari risultati di immersione. Enunciamo il seguente teorema supponendo limitato. Con il termine immersione intendiamo un applicazione di inclusione continua. Un immersione si dice compatta se insiemi limitati vengono mappati in insiemi relativamente compatti (ovvero da ogni successione limitata nel dominio è possibile estrarre una sottosuccessione convergente nel codominio). Definizione 1.9. Si dice che ha frontiera lipschitziana se localmente è il grafico di una funzione lipschitziana, cioè se per ogni x esiste un intorno U x U(x) tale che U x è il grafico di una funzione lipschitziana. Teorema Sia un aperto limitato di R n con lipschitziana. Valgono le seguenti: i) se p < n allora W 1,p () L q () per ogni q np n p e l immersione è compatta se q < np n p ; ii) se p = n allora W 1,p () L q () per ogni q < e l immersione è compatta; iii) se p > n allora W 1,p () C( ) e l immersione è compatta. Osservazione 1.3. i) L ultima immersione va intesa nel senso dell esistenza di un rappresentante continuo sulla chiusura di nella classe di equivalenza di u in W 1,p (). ii) In particolare W 1,p () si immerge in L p () in modo compatto per ogni p iii) Il numero p = np n p > p è detto esponente critico di Sobolev. Dimostriamo ora due disuguaglianze classiche per le funzioni di Sobolev. Questi risultati possono essere interpretati come prime stime di rigidità. Saremo in grado infatti di limitare il comportemento delle funzioni usando delle informazioni sul gradiente, in particolare sulla sua norma L p. Proposizione (Disuguaglianza di Poincaré) Sia 1 p < e un aperto limitato di R n. Allora esiste una costante C = C(, p) tale che per ogni u W 1,p 0 () u L p () C u L p (). (1.9)

12 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 5 Dimostrazione. Dimostriamo il caso in cui n = 1. La dimostrazione è particolarmente semplice nel caso in cui = (a, b) è un intervallo limitato. In tal caso infatti, se u Cc 1 () vale la formula fondamentale del calcolo integrale e si ha quindi (poiché u(a) = 0) x u(x) = u(x) u(a) u (t) dt u L 1 (), (1.10) e quindi passando all estremo superiore u u L 1 (). La tesi allora segue dalla disuguaglianza di Hölder e dalla densità di Cc 1 () in W 1,p 0 (). Dimostriamo ora il caso generale quando p =, che è il risultato di cui avremo bisogno. Nel caso n-dimensionale si può procedere per assurdo. Supponiamo che la disuguaglianza non valga. Allora in particolare per ogni C = N esiste u H0 1 () tale che a u L () > u L (). (1.11) Non è restrittivo supporre che u L () = 1 per ogni. Se così non fosse u basterebbe osservare che la (1.11) continua a valere per v = u. Segue L () che per la (1.11) la successione u è limitata in H 1 () e quindi per il teorema di Banach-Alaoglu esiste una sottosuccessione, che continueremo a denotare con u, debolmente convergente in H 1 (). Per l immersione di H 1 in L allora abbiamo che u u in L () e u u in L (). Dalla (1.11), d altra parte, si ottiene u L () < u L () = 1 0 (1.1) e dal fatto che u L () lim inf u L () = 0 segue che u = 0. Allora u è costante su ogni componente connessa di. Poiché u deve tendere a zero sul bordo di ciascuna di esse ne consegue che u = 0 ma questo è in contraddizione con il fatto che u L () = lim u L () = 1. Osservazione 1.4. Come conseguenza della disuguaglianza di Poincaré possiamo introdurre una norma equivalente in W 1,p 0 () data da u L p (). Infatti u p L p () u p W 1,p () (1 + Cp ) u p L p () (1.13) Il precedente risultato enunciato per funzioni appartenenti a W 1,p 0 () si può estendere a funzioni in W 1,p () nel modo seguente. Proposizione 1.1. (Disuguaglianza di Poincaré-Wirtinger) Sia 1 p e un aperto di R n con frontiera lipschitziana. Allora per ogni u W 1,p () esiste una costante C tale che u u L p () C u L p (), (1.14)

13 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 6 dove u = 1 u(y) dy è la media di u. Dimostrazione. La dimostrazione procede per assurdo. Supponiamo quindi che per ogni intero k esista una funzione u k W 1,p () tale che Rinormalizziamo definendo per ogni k u k (u k ) L p () > k u k L p (). (1.15) v k = u k (u k ). (1.16) u k (u k ) L p () Abbiamo allora Usando la (1.15) abbiamo quindi per ogni k (v k ) = 0, v k L p () = 1. (1.17) Dv k L p () < 1 k. (1.18) In particolare la successione v k è limitata in W 1,p (). Per la compattezza dell immersione di W 1,p () in L p () esiste quindi una sottosuccessione v k e una funzione v L p () tale che v k v (1.19) in L p (). Per come abbiamo rinormalizzato v k segue che v = 0, v L p () = 1. (1.0) D altra parte la (1.18) implica per ogni i = 1,..., n e ϕ Cc () che v v k ϕ dx = lim v k ϕ dx = lim ϕ dx = 0. (1.1) x i k x i k x i Allora v W 1,p (), con Dv = 0 quasi ovunque. Poiché è connesso, abbiamo che v è costante quasi ovunque in e v = 0. Abbiamo quindi v = 0, in contraddizione con v L p () = 1. Concludiamo la sezione con un lemma di approssimazione per le funzioni di Sobolev che ci sarà utile in seguito. Premettiamo alcuni risultati sulla funzione massimale. Per una trattazione approfondita dell argomento facciamo riferimento a [16],[3].

14 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 7 Notazione. Per f L 1 loc (Rn ) definiamo la funzione massimale come Se u W 1,1 loc (Rn ) scriveremo Indicheremo con H λ l insieme Mf(x) = sup f(x + y) dy. (1.) r>0 B r(0) M u(x) = M u (x). (1.3) H λ = { x M u(x) < λ } λ > 0. (1.4) Fatto 1 Esiste una costante c 1 = c 1 (n) tale che per ogni u C0 (Rn ) si ha u(x) u(y) c 1 λ x, y H λ, λ > 0. (1.5) x y Fissiamo λ > 0 e x H λ. Sia { } u(x) u(y) S k,r (x) = y B r (x) λk x y (1.6) Dimostriamo che al crescere di k l insieme S k,r (x) diventa più piccolo in B r (x), indipendentemente da u. Per x H λ, usando la definizione di derivata direzionale e un cambio di variabile abbiamo Dunque kλ S k,r(x) B r (x) = = B r(0) 1 B r 0 1 B r 1 u(x + y) u(x) dy y 1 u(x + ty), y dt y dy 0 u(x + ty) dt dy 0 B tr u(x + y) dy dt 1 0 M (x) dt < λ. (1.7) S k,r (x) B r(x) k. (1.8) Fissiamo ora x, y H λ e r = x y. Prendiamo due palle in R n di raggio unitario i cui centri sono a distanza 1 e sia γ n la misura della loro intersezione.

15 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 8 Se ω n = B 1 e k = 3ωn γ n allora usando 1.8 abbiamo S k,r (x) S k,r (y) S k,r (x) + S k,r (y) Quindi possiamo scrivere la disuguaglianza B r(x) + B r(y) k k = γ ( n r n ω ) n 3ω n n ω n n rn = B r (x) B r (y). (1.9) Ciò implica che esiste z tale che Abbiamo e quindi S k,r (x) S k,r (y) < B r (x) B r (y). (1.30) z [B r (x) B r (y)] \ [S k,r (x) S k,r (y)]. (1.31) u(x) u(z) < kλr u(y) u(z) < kλr (1.3) u(x) u(y) < kλr = 6ω n γ n x y, (1.33) ottenendo così la 1.5. Fatto Sia f L p (R n ) e λ > 0. Per ogni p 1 esiste c = c (n, p) tale che m({x: Mf(x) λ}) c f p p λ p. (1.34) Dato un operatore T : L p (R n ) L q (R n ) con 1 p, 1 q, diremo che T è di tipo forte (p, q) se T f q C f p f L p (R n ), (1.35) dove C non dipende da f. In modo analogo diremo che T è di tipo debole (p, q) se m ({x: T f(x) > λ}) C λ q f q p (1.36) se q <, dove C non dipende da f o λ. Se q = diremo che T è di tipo debole (p, q) se è di tipo forte (p, q). Notiamo subito che (1.35) implica (1.36), infatti λ q m ({x: T f(x) > λ}) T f q dx = T f q q (C f p )q. (1.37) R n Quello che stiamo richiedendo quindi discende dal seguente

16 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 9 Teorema L operatore funzione massimale M è di tipo debole (1, 1) e di tipo forte (p, p), 1 < p. A questo punto la (1.34) segue facilmente da (1.37). Per la dimostrazione del Teorema 1.13 rimandiamo a [3]. Fatto 3 Sia u W 1,p (R n ). λ > 0, x, y H λ \ E si ha Esiste E R n con m(e) = 0 tale che per u(x) u(y) x y c 1 λ. (1.38) Quello che vogliamo fare è estendere il Fatto 1 alle funzioni in W 1,p (R n ). Consideriamo u n C 0 (Rn ) una successione convergente in norma W 1,p () e quasi ovunque in R n. Osserviamo che Mf(x) Mg(x) M(f g)(x). (1.39) Usando il Fatto abbiamo, per ogni ε > 0 lim m ({ x: M u(x) M u n (x) ε }) n lim m ({ x: M (u u n )(x) ε }) n c ε p lim u u n p n p = 0, (1.40) ovvero M u n converge a M u in misura. A meno di sottosuccessioni allora abbiamo che M u n M u quasi ovunque in R n. Poniamo R n \ E = { x: u n (x) u(x), M u n (x) M u(x) }. (1.41) Abbiamo che m(e) = 0 e per ogni x, y H λ \ E, per n abbastanza grande, vale M u n (x) < λ, M u n (y) < λ. (1.4) Quindi per il Fatto 1 u n (x) u n (y) x y e prendendo il limite per n otteniamo la (1.38). c 1 λ (1.43) Il risultato di approssimazione con cui concludiamo questa sezione è il seguente. Lemma Siano n, m 1, 1 p <. Sia R n un insieme limitato con frontiera lipschitziana. Allora esiste una costante C = C(, n, p) tale che per ogni λ > 0 e u W 1,p () esiste una v : R che soddisfa

17 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 10 i) v L () Cλ; ii) {x u(x) v(x)} C λ u p dx; p {x : u(x) >λ} iii) u v L p () C u p dx. {x : u(x) >λ} Dimostrazione. Notiamo che iii) è una diretta conseguenza di i) e ii). Infatti usando che (a + b) n n (a n + b n ) e successivamente i) e ii) abbiamo u v p dx = u v p dx p ( u p + v p ) dx u v u v p (λ p + v p ) dx + p u p dx C u v u >λ u p dx. u >λ (1.44) Restano quindi da provare le affermazioni i) e ii). Fissiamo una u W 1,p (). Poiché è regolare, grazie al Teorema 1.7 possiamo prendere l estensione u W 1,p (R n ) con u W 1,p (R n ) c 3 u W 1,p (), (1.45) dove c 3 non dipende da u. Per λ > 0 poniamo k = λc 1 e consideriamo Per il Fatto 3 risulta H k = { x: M u(x) < k }. (1.46) u(x) u(y) x y < c 1 λ = k (1.47) quasi ovunque in H λ. Quindi u è lipschitziana di costante k. Possiamo allora estendere u definendo una funzione v lipschitziana di costante k tale che v L (R n ) k ponendo v(x) = inf (u(y) + k x y ). (1.48) y H k Abbiamo allora v W 1, (R n ) k, (1.49) ovvero v W 1, (), che dimostra la i). Per ottenere la ii) stimiamo m(r n \ H k ). Grazie al Teorema di ricoprimento di Vitali (cfr. [16] sec. 1.5), esiste

18 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 11 una famiglia numerabile di palle chiuse disgiunte {B(x i, r i )} in R \ H k tali che R n \ H k B(x i, 5r i ) (1.50) e per definizione di H k abbiamo che M u(x i ) k per ogni i = 1,...,. Possiamo quindi scrivere 1 k u(y) dy B(x i, r i ) 1 = B(x i, r i ) ( + B(x i,r i ) B(x i,r i ) {x R n : u k } i B(x i,r i ) {x R n : u > k } u(y) dy). u(y) dy (1.51) Maggiorando l integrando del secondo addendo con k e successivamente esprimendo esplicitamente la misura di B(x i, r i ) si ha 1 k B(x i, r i ) B(x i,r i ) {x R n : u > k } u(y) dy + k, (1.5) ovvero k 1 c(n)ri n Abbiamo quindi ottenuto la seguente c(n)ri n k B(x i,r i ) {x R n : u > k } B(x i,r i ) {x R n : u > k } Grazie alla (1.50) possiamo dire che m(r n \ H k ) 5 n c(n) i r n i 5 n k { u > k } u(y) dy. (1.53) u(y) dy. (1.54) u dx. (1.55) Ora usando la disuguaglianza di Hölder, elevando alla p e sostituendo λ = k c 1 otteniamo 5 n u dx k { u > k } 5 n k C λ p ( { u > k } u p dx { u >λ} u p dx, ) 1 p ({ m u > k }) 1 1 p (1.56)

19 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 1 ovvero m(r n \ H k ) C λ p { u >λ} u p dx. (1.57) Poiché risulta v = u quasi ovunque in H k, per la (1.57) possiamo dire che m({x: u(x) v(x)}) = m(r n \ H k ) C λ p u p dx, (1.58) dimostrando così la ii) e concludendo la prova. { u >λ}

20 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI Spazi di Sobolev pesati Nel corso della tesi faremo uso di una disuguaglianza di tipo Poincaré in spazi di Sobolev pesati. In questa sezione daremo una breve descrizione di alcuni risultati fondamentali per i quali facciamo riferimento a [4],[8]. Indicheremo gli spazi di Sobolev pesati con W k,p (; σ), (1.59) dove k è un intero non negativo, p è un numero reale tale che 1 p <, è un dominio in R n con frontiera e σ è un vettore di funzioni non negative (positive quasi ovunque) che chiameremo peso, ovvero con α multi-indice, α N n 0. σ = {σ α = σ α (x), x, α k} (1.60) Definizione Lo spazio W k,p (; σ) è l insieme di tutte le funzioni u che sono definite q.o. su e le cui derivate (nel senso delle distribuzioni) D α di ordine α k soddisfano D α u(x) p σ α (x) dx <. (1.61) Come per gli spazi di Sobolev classici, abbiamo la seguente osservazione. Osservazione 1.5. W k,p (; σ) è uno spazio di Banach se dotato della norma Per k = 0 scriveremo e denoteremo in modo che u k,p,σ = α k D α u(x) p σ α (x) dx 1 p. (1.6) W 0,p (; σ) = L p (; σ), (1.63) u p,σ = u(x) p σ(x) dx u k,p,σ = D α p p,σ α α k 1 p 1 p, (1.64). (1.65) Se poniamo σ α (x) = 1 ritroviamo gli spazi di Sobolev classici.

21 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 14 Nel seguito analizzeremo solo un particolare tipo di pesi. Ci restringeremo al caso particolare in cui il dominio è limitato e i pesi sono esclusivamente quelli tali che tutte le componenti coincidono. Sia inoltre M una varietà di dimensione m tale che 0 m n 1 e M. Denotiamo con d M (x) la funzione distanza di x da M ovvero Definizione Sia ε R e sia d M (x) = dist(x, M). (1.66) σ(x) = [d M (x)] ε, (1.67) dove M. Lo spazio di Sobolev pesato relativo al peso σ è definito come l insieme W k,p (; d M, ε) = u: D α u(x) p d ε M(x) dx <, α t.c. α k, ed è dotato della norma u p,k;dm,ε = D α u p p,d M,ε α k 1 p (1.68). (1.69) Immediata conseguenza è il seguente teorema, la cui dimostrazione segue quella dell analogo risultato per gli spazi di Sobolev classici. Teorema Lo spazio di Sobolev pesato W k,p (; d M, ε) è uno spazio di Banach separabile. Definizione Si definisce lo spazio W k,p 0 (; d M, ε) come la chiusura dello spazio C0 nella norma di W k,p (; d M, ε). Poiché W k,p 0 (; d M, ε) è un sottospazio chiuso di W k,p (; d M, ε) abbiamo il seguente Teorema Lo spazio W k,p 0 (; d M, ε) è uno spazio di Banach separabile. Di seguito richiamiamo un caso particolare di immersione di spazi di Sobolev pesati. Definizione 1.0. Sia 0 < k 1. Un dominio R n è detto di classe C 0,k se la sua frontiera è localmente il grafico di una funzione continua e Hölderiana di esponente k. Abbiamo il seguente teorema di immersione.

22 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 15 Teorema 1.1. Sia un dominio C 0,1 e sia M =. Se ε > p 1 con 1 < p < l immersione è continua. W 1,p (; d M, ε) L p (; d M, ε p) (1.70) Come conseguenza della continuità dell immersione dimostriamo la disuguaglianza di Poincaré per gli spazi di Sobolev pesati. Consideriamo il caso particolare in cui ε = p = che è quello che incontreremo nell applicazione di questi risultati. Osservazione 1.6. Lo spazio di Sobolev pesato corrispondente a ε = 0 è lo spazio di Sobolev classico. Proposizione 1.. Siano u W 1, (; d M, ), M =. Esiste a R n tale che u a dx C dist (x, ) u dx. (1.71) Dimostrazione. La tesi segue sfruttando la continuità dell immersione (1.70). Se M = e g W 1, (; d M, ) si ha ( g dx C g + g ) dist (x, ) dx. (1.7) Fissiamo δ > 0 tale che C δ 1 e sia q = {x : dist(x, ) > δ}. Dall applicazione della disuguaglianza di Poincaré-Wirtinger in q otteniamo che esiste a R n tale che u a dx C q u dx. (1.73) q Moltiplicando e dividendo per δ e usando il fatto che per x q si ha δ < dist(x, ) C q u dx C q δ u dist (x, ) dx (1.74) e quindi abbiamo q q u a dx C q δ q q q u dist (x, ) dx. (1.75) Applichiamo ora la (1.7) a g = u a ( u a dx C u a + u ) dist (x, ) dx. (1.76)

23 CAPITOLO 1. SPAZI FUNZIONALI 16 Guardiamo solo il contributo relativo a u a nel secondo membro. Spezzando l integrale sul dominio = q ( \ q), usando (1.75) e il fatto che se x \ q vale dist (x, )C 1 possiamo scrivere C u a dist (x, ) dx 1 u a dx + C diam () u a dx 1 1 \q \q \q Dunque ora abbiamo u a dx 1 1 u a dx + C C q δ u dist (x, ) dx q u a dx + C C q δ u dist (x, ) dx. \q q (1.77) ( u a dx + C 1 + C ) q δ u dist (x, ) dx ( u a dx + C 1 + C ) q δ u dist (x, ) dx, (1.78) e quindi possiamo scrivere u a dx 1 ( u a dx + C 1 + C ) q δ u dist (x, ) dx. (1.79) Portando ( il primo ) termine del secondo membro a sinistra e ponendo C = C 1 + Cq possiamo scrivere δ concludendo così la prova. u a dx C u dist (x, ) dx, (1.80)

24 Capitolo Rigidità Nel capitolo che segue l attenzione sarà rivolta allo studio di alcuni risultati di rigidità per funzioni di Sobolev. Dopo aver esposto dei risultati classici di rigidità geometrica mostreremo delle stime quantitative di rigidità. Come primo approccio discuteremo alcune disuguaglianze di tipo Korn e in seguito dimostreremo una stima quantitativa di rigidità proposta da Friesecke James e Müller in [18]..1 Teoremi di rigidità In questa sezione otterremo dei risultati di rigidità per funzioni di Sobolev studiando l inclusione differenziale u K q.o. in (.1) dove un dominio in R n e K M n. Vedremo che, per alcune scelte di K, l informazione puntuale sul gradiente sarà sufficiente a caratterizzare completamente la funzione stessa. Problemi di questo tipo si presentano ad esempio nello studio delle configurazioni di equilibrio dei alcuni tipi di materiali come ad esempio i cristalli elastici. Le configurazioni di equilibrio corrispondono ai minimi del funzionale energia I(u) = W ( u) dx (.) dove W : M n R è la densità di energia interna (a temperatura costante). Rinormalizzando W in modo che min W = 0 l insieme K = W 1 (0) corrisponde alle deformazioni ad energia nulla del cristallo. É naturale quindi chiedersi sotto quali ipotesi esistano delle soluzioni u per (.1), esatte o approssimate. 17

25 CAPITOLO. RIGIDITÀ 18 Nelle applicazioni l insieme K può assumere forme diverse a seconda ad esempio del tipo di materiale o della temperatura. Matematicamente abbiamo fenomeni interessanti anche nel caso più semplice in cui K = {A, B}. Le soluzioni più semplici della relazione u K sono mappe per cui u è costante in bande alternate limitate da iperpiani x n = cost. La continuità di u sull interfaccia implica che Aτ = Bτ per τ perpendicolare al vettore normale n. Questa condizione, detta condizione di Hadamard, si traduce nella richiesta che A B abbia rango uno e quindi che B A = a n. (.3) In questo caso si dice che A e B sono connesse di rango uno. Ricordiamo che la matrice a n ha componenti (a n) i = a i n. Se assumiamo che le interfacce tra le regioni { u = A} e { u = B} siano lisce allora si può dimostrare che devono essere iperpiani con normale fissata n. Una simile configurazione non è possibile se rg(b A). La proposizione seguente caratterizza le soluzioni dell inclusione differenziale u {A, B}. Proposizione.1. (J.M. Ball, R.D. James, [3]) Sia un dominio in R n e sia u: R m una mappa Lipschitziana con u {A, B} quasi ovunque: (i) Se rg(b A) allora u = A q.o. oppure u = B q.o.; (ii) se B A = a n allora u può essere scritta localmente nella forma u(x) = Ax + ah(x n) + cost (.4) dove h è Lipschitziana e h {0, 1} q.o. Se è convesso questa rappresentazione è globale. In particolare, u è costante se u soddisfa una condizione al bordo affine del tipo u(x) = F x su. Dimostrazione. L idea chiave è che il rotore di un gradiente è nullo. A meno di traslazioni possiamo assumere A = 0 e quindi u = Bχ E, per qualche E misurabile. Per l affermazione (i) assumiamo inoltre, a meno di cambiamenti di coordinate affini, che le prime due righe della matrice B siano date dai vettori della base standard e 1 e e ovvero u 1 = e 1 χ E, u = e χ E. (.5) La simmetria delle derivate seconde e la prima equazione implicano che χ E = 0 per 1 mentre la seconda equazione implica k χ E = 0 per k. Allora poiché è connesso χ E = 0 nel senso delle distribuzioni e dunque χ E = 1 quasi ovunque oppure χ E = 0 quasi ovunque. Per provare la (ii) assumiamo che A = 0, a = n = e 1 e quindi u 1 = e 1 χ E, u k = 0 per k =,..., m. Allora u,..., u m sono costanti e k u 1 = 0 per k =,..., m.

26 CAPITOLO. RIGIDITÀ 19 Allora u 1 localmente è una funzione di x 1 come affermato. Se è convesso allora u 1 è costante sugli iperpiamo x 1 = cost che intersecano e quindi è globalmente della forma desiderata. Infine se u = F x su, allora F = (1 λ)b, λ [0, 1] dal teorema di Gauss-Green E B = u dx = u n dh n 1 = F dx, (.6) dove n è la normale uscente da e l integrale è fatto rispetto alla misura di Hausdorff H. Estendendo u con F x su R n \ possiamo usare l argomento usato per dimostrare (ii) per concludere che u(x) = Ax + a h(x n) + b su R n, dove h {0, 1 λ, 1}. Allora u(x) = F x per ogni x poiché ogni piano x n = cost interseca l insieme in cui u = F x. Consideriamo il caso in cui rg(b A). Abbiamo un risultato analogo per successioni con gradiente vicino all insieme {A, B}. Proposizione.. (J.M. Balls, R.D. James, [3]) Supponiamo che rg(b A) e che u sia una successione di funzioni in W 1, () tale che Allora dist( u, {A, B}) 0 in misura in. (.7) u A in misura oppure u B in misura. (.8) In particolare il problema (.1) ha solo la soluzione banale, F {A, B} e u F in misura. Per dimostrare questa proposizione useremo la seguente proprietà di continuità debole dei minori. Proposizione.3. ([7], Theorem.3) Sia A M n (R) e M(A) un minore r r. (i) Se p r e u, v W 1,p (), u v W 1,p 0 () allora M( u) dx = M( v) dx. (.9) In particolare dove u = F x in ; M( u) dx = M(F ) dx (.10) (ii) se p > r e la successione u è tale che u u in W 1,p (; R n ) allora M( u ) M( u) in L p r ().

27 CAPITOLO. RIGIDITÀ 0 Dimostrazione. Diamo solo un idea della dimostrazione. Il punto chiave è che i minori di una matrice possono essere scritti come divergenze (cfr. Lemma.8). Per n = abbiamo det u = x1 (u 1 x u )) x (u 1 x1 u ), (.11) per tutte le u C e quindi per ogni u H 1 se intendiamo l identità nel senso delle distribuzioni. Se n la matrice dei cofattori soddisfa div cof u = 0, x ( cof u) i, = 0 (.1) e quindi det u = 1 n x (u i ( cof u) i ), (.13) dato che vale l identità F ( cof F ) T = I det F. Formule simili valgono anche per i minori di ordine generico r. La tesi (i) segue da un applicazione delle formule di Gauss-Green dopo un approssimazione con funzioni C mentre la (ii) segue per induzione sull ordine r dei minori e dal fatto che u converge fortemente in L p. Dimostrazione. (Proposizione.) Possiamo assumere A = 0 e che esista un minore di B tale che M(B) = 1. Per ipotesi esiste una successioni di insieme E tale che u Bχ E 0 in misura, (.14) e quindi in L p per p <. rinomineremo) tale che Inoltre esiste una sottosuccessione (che non χ E θ in L (), u u in W 1, (; R m ). (.15) Dalla Proposizione.3 e dalla (.14) segue Bχ E u = Bθ, (.16) M(B)χ E M( u) = M(B)θ. (.17) Combinando la prima convergenza in (.15) e la (.17) abbiamo che θ = θ quasi ovunque. Allora θ deve essere una funzione caratteristica χ E. Poiché χe L χ E L (.18) abbiamo che (.15) implica Quindi, per la (.14) si ha χ E θ = χ E. (.19) u u = Bχ E in misura. (.0) Infine la Proposizione.1 implica che u = B quasi ovunque o u = A = 0 quasi ovunque.

28 CAPITOLO. RIGIDITÀ 1 Consideriamo ora K come l insieme SO(n) delle rotazioni in R n SO(n) = { R GL(n) R T R = RR T = I, det R = 1 }. (.1) In questo caso l inclusione (.1) definisce quella che chiameremo rigidità geometrica. Un risultato classico in questo campo è il noto Teorema di Liouville. Teorema.4. (Liouville) Sia v : R n R n in H 1 (; R n ) tale che quasi ovunque. Allora v è affine, ovvero v = cost. v SO(n) (.) Premettiamo un risultato di regolarità per le funzioni armoniche che sarà essenziale nella dimostrazione del Teorema.4. Definizione.5. Sia R n. Si dice che una funzione u è debolmente armonica in se u ψ dx = 0 ψ C0 (; R n ). (.3) Teorema.6. ([33], Theorem 4.3) Sia u una funzione debolmente armonica in. Allora è possibile correggere u su di un insieme di misura nulla in modo che la funzione che risulta sia armonica in. Corollario.7. ([33], Corollary 4.7) Ogni funzione debolmente armonica è infinitamente differenziabile. Dimostrazione. (Teorema.6) Assumiamo u debolmente armonica in. Per ogni ε > 0 definiamo l insieme ε ε = {x : dist(x, ) > ε}. (.4) Notiamo che ε è aperto e che ogni punto di è in ε se ε è abbastanza piccolo. Consideriamo ora un mollificatore ϕ r e regolarizziamo u definendo u r = u ϕ r. (.5) Osserviamo che u r è debolmente armonica in ε. Per ψ C0 ( ε; R n ) abbiamo ( ) u r ψ dx = u(x ry)ϕ(y) dy ( ψ)(x) dx ε R n R n ( ) (.6) = ϕ(y) u(x ry)( ψ)(x) dx dy, R n R n

29 CAPITOLO. RIGIDITÀ per il teorema di Fubini e l integrale più interno è nullo se y < 1 poiché è uguale a u ψ r dx (.7) con ψ r = ψ(x + ry) e u è debolmente armonica per ipotesi. Abbiamo quindi (u ϕ r ) ψ dx = 0, (.8) ovvero che u ϕ r è debolmente armonica. A questo punto, poiché u r è una regolarizzata, u r è C e dunque risulta armonica. Dimostriamo ora che u ϕ r1 (x) = u ϕ r (x) (.9) per x ε e r 1 + r < ε. Per le proprietà regolarizzanti della convoluzione abbiamo (u ϕ r1 ) ϕ r = u ϕ r1 e in più per la commutatività possiamo scrivere (u ϕ r1 ) ϕ r = (u ϕ r ) ϕ r1 = u ϕ r (.30) provando la (.9). Mandiamo ora r 1 a zero e teniamo r fissato. Sappiamo che u ϕ r1 (x) u(x) per quasi ogni x in ε. Allora u(x) = u r (x) per quasi ogni x ε. Allora u può essere corretta in ε (ponendola uguale a u r ) in modo da averla armonica in ε. L arbitrarietà di ε conclude la tesi. Nella dimostrazione del Teorema.4 faremo uso anche del seguente lemma. Indicheremo con cof A la matrice dei cofattori di A ovvero (cota) i = ( 1) i+ det Ãi dove Ãi è la matrice (n 1) (n 1) ottenuta da A cancellando la riga i esima e la colonna esima. Lemma.8. ([15], Sec (b)) Sia u: R n R n di classe C (; R n ). Allora div( cof u) = 0 (.31) Dimostrazione. Data A M n (R), le componenti di diva sono ( diva) i = a i x. Quello che dobbiamo dimostrare quindi è che ogni componente sia nulla ovvero che per ogni i = 1,..., n. a i x = 0 (.3) Sia p M n (R), dove indichiamo con M n (R) l insieme delle matrici n n a coefficienti reali. Possiamo scrivere il suo determinante secondo la regola di Laplace, come n det p = ( 1) i+ p i ( cof p) i (.33) i=1

30 CAPITOLO. RIGIDITÀ 3 e quindi abbiamo (det p)δ i, = k p k i ( cof p) k i, = 1,..., n. (.34) Quindi in particolare Sia ora p = u. Abbiamo det p p i = ( cof p) i. (.35) (det u)δ i, = k u i x k ( cof u) k i, = 1,..., n. (.36) e derivando rispetto a x ambo i membri ((det u)δ i, ) x = k,m ((det u)δ i, ) u k xm u i x mx (.37) e quindi per la (.35) abbiamo ((det u)δ i, ) x = k,m( cof u) k mu k x mx δ i,. (.38) Dunque ( ) u k x i ( cof u) k ) k = k u k x i x ( cof u) k + k u k x i ( cof u) k,x. (.39) Sommando su = 1,..., n abbiamo ] [u k xi x ( cof u) k + u k xi ( cof u) k,x k,m, δ i, ( cof u) k mu k x mx = k, (.40) per i = 1,..., n. Quindi u k x i k ( cof u) k,x = 0 i = 1,..., n. (.41) Se det u(x 0 ) 0 il rango della matrice u è massimo in x 0, allora non possiamo trovare una riga interamente nulla. Deduciamo quindi che in x 0 ( cof u) k,x = 0 i = 1,..., n. (.4) Se, al contrario, det u(x 0 ) = 0 sia ε > 0 tale che det( u(x 0 ) + εi) 0 e applichiamo il precedente ragionamento a ū = u + εx. Per ε 0 + segue la tesi.

31 CAPITOLO. RIGIDITÀ 4 Dimostrazione. (Teorema.4) Mostriamo che se v SO(n) (.43) allora v è armonica. Per ipotesi abbiamo che v H 1 e verifica la (.43). Quindi, per il Lemma.8, si ha div( cof ( v)) = 0. Per ipotesi v SO(n) e quindi v = cof ( v) 1. Allora viene 0 = div( cof ( v)) = div v = v, (.44) che prova l armonicità di v. Per il corollario del Teorema.6 inoltre abbiamo che v è C in. Proviamo ora che se una funzione è armonica allora vale che v = 0 e quindi che v = cost. Consideriamo dunque F SO(n). Vale che I = F T F e quindi che F = T r(f T F ) = Fi = n. Poiché v è armonica e v SO(n), possiamo scrivere 0 = 1 ( v n) = v v + v = v. (.45) Quindi abbiamo v = 0 ovvero v = cost. Il teorema appena dimostrato chiarisce la forma delle soluzioni dell inclusione differenziale (.). Per completezza citiamo un risultato (dovuto ancora a Liouville) più forte, di cui il Teorema.4 è un caso particolare, che mostra come sono fatte le soluzioni dell inclusione differenziale più generale Du E, u W 1,n (; R n ) (.46) dove E CO + (n) e CO + (n) = {A M n : A = ρr, ρ R +, R SO(n)}, detto insieme delle matrici conformi. Teorema.9. (Liouville) Sia R n, n 3 e sia u W 1,n (; R n ) tale che Du(x) CO + (n) (.47) quasi ovunque in. Allora u(x) = b + dove b R n, a R n \, α R, A CO + (n) e ε = 0,. αa(x a) x a ε (.48) Questo risultato mette in relazione CO + (n) con il gruppo speciale di Möbius M n, ovvero l insieme delle mappe di Möbius che preservano l orientazione. Quello che si dimostra è che ogni trasformazione di Möbius può 1 Se R SO(n) allora detr = 1 e R 1 = R T. Posso scrivere R = (R T ) T = (R 1 ) T = (( cof R) T ) T = cof R. Ricordiamo che il gruppo delle trasformazioni di Möbius è il gruppo generato dalle riflessioni su sfere e iperpiani.

32 CAPITOLO. RIGIDITÀ 5 essere rappresentata come la composizione di una mappa affine e un inversione rispetto ad una sfera ovvero che analiticamente vale la rappresentazione in (.48). Non ci occuperemo ulteriormente di questo argomento che va oltre lo scopo di questa tesi. Per una trattazione completa dell argomento facciamo riferimento a [1], [30], [31]. Il teorema che segue, dovuto a Kinderlehrer (cfr. [0]) tratta soluzioni approssimate del problema (.1) ed è il primo passo verso un risultato di tipo quantitativo di rigidità geometrica. Definiamo dist(, SO(n)) come dist(f, SO(n)) = inf dist(s, F ). (.49) S SO(n) Teorema.10. ([7], Theorem.4) Se u è una successione di funzioni in W 1, (; R n ) tale che dist( u, SO(n)) 0 (.50) in misura, allora u R in L n dove R è una rotazione costante. Dimostrazione. Sia A M n (R). Consideriamo la funzione f(a) = A n c n det A, (.51) dove c n = n n. Dimostriamo preliminarmente che f(a) è non negativa e si annulla solo se A SO(n). Per il teorema di decomposizione polare A = RU con R SO(n) e U simmetrica e definita positiva. Abbiamo allora f(a) = f(ru) = RU n c n det RU = T r(u T R T RU) n cn det R det U = T r(u T U) n cn det U, (.5) usando che det(ab) = det A det B e che R SO(n) ovvero R T R = I e det R = 1. Dato che U è una matrice simmetrica e definita positiva, allora è diagonalizzabile ed è quindi congruente a una matrice diagonale. Allora possiamo dire che T r(u T U) = n i λ i, dove λ i sono gli autovalori di U. Inoltre abbiamo che det U = Π n i λ i e grazie a queste considerazioni, la definizione di c n alla (.5) che f(a) = ( n i λ i ) n n n Π n i λ i. (.53) Grazie alla disuguaglianza tra la media aritmetica e la media geometrica, ovvero n i a i (Π n i a i ) 1 n, (.54) n

33 CAPITOLO. RIGIDITÀ 6 possiamo concludere che ( n i λ i n ) (Π n i λ i ) n, (.55) ovvero, elevando la disequazione alla n, e quindi A questo punto si ha ( n i λ i n ( n i λ i ) n (Π n i λ i ) 0 (.56) ) n n n Π n i λ i. (.57) f(a) 0. (.58) Inoltre f(a) = 0 se e solo se T r(a T A) n = n n det A ovvero se e solo se det A = 1 e T r(a T A) = n. Stiamo dicendo allora che f(a) = 0 se e solo se A è della forma k(x)q(x), con Q SO(n). Poiché dist( u, SO(n)) 0 in misura, possiamo affermare che a meno di sottosuccessioni la convergenza è quasi ovunque. Poiché u L, usando il teorema di convergenza dominata, otteniamo convergenza in L 1. Quindi, visto che la norma L n è debolmente semicontinua inferiormente e che i minori sono debolmente continui (Proposizione.3), abbiamo 0 = lim (u ) dx = lim inf f( u ) dx ( ) = lim inf u n dx c n det u dx (.59) u n c n det u dx = f( u) dx 0. Quindi abbiamo f( u) dx = 0 (.60) quasi ovunque in, u(x) = k(x)q(x) in SO(n) e u u L n 0 per. Inoltre u = n quasi ovunque e quindi u = n quasi ovunque, ottenendo così che k(x) = 1. Allora u SO(n) e per il Teorema.4 abbiamo u = cost, dimostrando così la tesi.

34 CAPITOLO. RIGIDITÀ 7. Disuguaglianze di Korn Fin ora abbiamo discusso risultati qualitativi di rigidità geometrica. La domanda che ci poniamo ora è se è possibile rendere questi risultati quantitativi. Le disuguaglianze di Korn sono il primo passo in questa direzione. L idea è che grazie a questo tipo di disuguaglianza si riesce a controllare la norma del gradiente con la norma della sua parte simmetrica. Questo tipo di disuguaglianze si rivela uno strumento molto utile anche in teoria dell elasticità dando una stima a priori sul gradiente di deformazione, la cui parte simmetrica misura lo sforzo del corpo elastico. Analogamente a quanto visto per le disuguaglianze di tipo Poincaré, è possibile interpretare questi risultati come stime quantitative di rigidità. La proposizione seguente è un caso particolare del teorema.4 e chiarisce quest interpretazione. Proposizione.11. Sia R n un dominio con frontiera regolare e sia u H 1 (; R n ) tale che e(u) = 0. Allora u è affine, ovvero u = Ax + b con A matrice antisimmetrica. Dimostrazione. Proveremo la tesi usando lo stesso metodo usato per il Teorema.4. Mostreremo che u è armonica e in seguito che u = 0 deducendo quindi che u = cost. Consideriamo u C c (; R n ). Per ipotesi e(u) = 0 e quindi u è una matrice antisimmetrica. Abbiamo e u x i = u i x (.61) u i x i = 0. (.6) Mostriamo che u = div( u) = 0. Poiché u i x i = 0, nel calcolo delle u componenti della divergenza restano solo i contributi di i x i x. Applicando il teorema di Schwarz possiamo scambiare l ordine delle derivate e quindi x i u i x = u i x x i = u i x i x = x u i x i = 0. (.63) Abbiamo ottenuto allora che div( u) = u = 0 quindi che u è armonica. Usando ora che il fatto che u = T r( u T u) = d, per (.45) abbiamo che u = 0 e dunque che u = cost. La tesi segue per densità usando il Teorema 1.8. Consideriamo ora v L (), con R n aperto. Tale v definisce una distribuzione T v (ϕ) = vϕ dx. (.64) Osservazione.1. Se v L () allora v H 1 () e i v H 1 (), per i = 1,..., n.

35 CAPITOLO. RIGIDITÀ 8 Il lemma che segue sarà cruciale nella dimostrazione di una prima disuguaglianza di tipo Korn. Per la dimostrazione rimandiamo a [14]. Osserviamo inoltre che questo lemma è il viceversa dell Osservazione.1. Lemma.1. Sia un dominio in R n. Sia v D () una distribuzione tale che i v H 1 () per ogni i = 1,..., n. Allora v L (). Notazione. Poniamo e i = 1 ( v i x + v x i ), Dimostriamo ora il seguente e(v) = v + vt. (.65) Teorema.13. ([14], Theorem 3.) Sia un dominio in R n. Esiste una costante C = C() tale che v H 1 (;R n C e(v) dx + v dx v H 1 (; R n ). (.66) Osservazione.. L inversa della (.66) è banale. Dimostrando il teorema stiamo quindi affermando che ( e(v) dx + ) 1 v dx è una norma equivalente a v H 1 (;R n ) su H1 (; R n ). Dimostrazione. (Teorema.13) Per prima cosa definiamo lo spazio E() come (.67) E() = { v L (; R n ) e(v) L (; R n ) }. (.68) Mostriamo che se lo dotiamo della norma ( e(v) dx + ) 1 v dx (.69) otteniamo uno spazio di Hilbert. Sia v E(). Poiché L è uno spazio di Hilbert, è completo e quindi per ogni i esiste una successione v k i L () tale che v k i v i in L () e e i (v k ) e i in L () per k. Data ϕ D() una funzione test si ha e i (v k )ϕ dx = 1 ( ) vi k ϕ + v k i ϕ dx (.70) e passando al limite per k troviamo quindi che il limite di e i (v k ) è proprio e i (v).

36 CAPITOLO. RIGIDITÀ 9 Ora mostriamo che E() coincide con H 1 (; R n ). L inclusione H 1 E è banale. Per l altra consideriamo v E(). Abbiamo k v i H 1 () e ( k v i ) = { e ik (v) + k e i (v) i e k (v)} H 1 () poiché se ω L allora l ω H 1. Allora k v i L () per ogni i per il Lemma.1 e dunque v H 1 (; R n ). Per dimostrare la disuguaglianza usiamo il teorema dell applicazione aperta tra spazi di Banach. Fin ora abbiamo definito un applicazione di inclusione tra H 1 e E che è iniettiva, continua e per quello che abbiamo appena visto anche suriettiva. Allora il teorema dell applicazione aperta ci garantisce che l inversa di tale inclusione è continua. Ovvero vale la disuguaglianza (.66). Ora abbiamo gli strumenti che servono per dimostrare la disuguaglianza di Korn di cui faremo uso in seguito. Teorema.14. ([3], Theorem 6) Sia un dominio in R n e sia u H 1 (; R n ). Allora esiste una matrice A antisimmetrica a coefficienti costanti tale che (u Ax) dx C e(u) dx, (.71) dove la costante C non dipende da u. Dimostrazione. Sia M l insieme delle u L tali che u = Ax + b con A matrice antisimmetrica e b vettore di R n. Sia H il complemento ortogonale di M, con H M =. Per il teorema della proiezione allora possiamo scrivere ogni u in L (; R n ) come u = v + w con v H e w M e quindi abbiamo v = u w. Supponiamo per assurdo che la tesi sia falsa. Allora per ogni costante C n esiste una funzione v n H con v n L (;R n ) = 1 (a meno di rinormalizzare) tale che v n dx C n e(v n ) dx. (.7) Mettendo insieme quest ultima disuguaglianza con la (.66) otteniamo v n dx c 0. (.73) Allora v n v 0 in L (; R n ) e v n v 0 in H 1 (; R n ). Inoltre, sempre dalla (.7) segue che e(v n) dx 0 per n e quindi che e i (v 0 ) = 0 per ogni i e, ovvero v 0 è antisimmetrica e quindi v 0 M. Ma v n H e quindi v 0 deve appartenere ad H. Ne segue che v 0 necessariamente è la funzione nulla, contraddicendo l ipotesi che v n L (;R n ) = v 0 L (;R n ) = 1.

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