Lavorare nelle cooperative di facchinaggio/movimentazione merci: profilo economico-sociale di un mondo difficile Gruppo di ricerca pag.

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3 Indice Prefazione Segreteria Filt Cgil Veneto Un profilo del comparto Lavorare nelle cooperative di facchinaggio/movimentazione merci: profilo economico-sociale di un mondo difficile Gruppo di ricerca pag. 7 Le cooperative di facchinaggio e movimentazione merci tra (de)regolazione del lavoro e diritti negati Gaetano Zilio Grandi pag. 29 Apprendere da casi aziendali e da vertenze Il magazzino Ferrero a Montegalda (VI): una vertenza sindacale emblematica Diego Brunello pag. 49 La TNT di Limena (PD): una vertenza di difficile gestione e dai molti insegnamenti Paolo Tollio pag. 56 Aster Coop (UD): offrire logistica pregiata, valorizzare chi lavora Gabriele Brunello pag. 65 Nuova Trasporti (TV): autogestire il lavoro, competere in Veneto Diego Brunello pag. 72 Indicazioni bibliografiche pag.76

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5 Prefazione La FILT CGIL ha chiesto nel 2006 all IRES Veneto, Istituto di ricerche economiche e sociali, di svolgere una approfondita ricerca sull universo dell autotrasporto merci nella nostra Regione: l esito è raccolto in un paper Il trasporto merci in Veneto: internazionalizzazione e condizioni di lavoro e in un DVD Mondo camion. I lavori conclusivi sono stati presentati nel 2007 in una cornice attenta e interessata di addetti ai lavori. Nel 2008, sulla scorta di quella positiva esperienza riguardante il settore del trasporto merci su gomma, abbiamo ritenuto indispensabile completare il lavoro sulla logistica integrata, osservando le trasformazioni del settore della movimentazione delle merci. Sono decine di migliaia i lavoratori addetti, in Veneto; con particolari addensamenti a ridosso dei territori e delle città dove l industria manifatturiera e la domanda di servizi è più consistente. In tale settore operano varie forme di società: la posizione dominante è oggi quella delle cooperative di facchinaggio fatte da soci lavoratori, negli ultimi anni in particolare lavoratori migranti. La parola integrazione, che dovrebbe caratterizzare il comparto, è oggi, viceversa, difficile da affermare e da consolidare nei vari segmenti: tra la committenza e l autotrasporto, nelle società che producono logistica integrata, nella riunificazione dei cicli produttivi, tra l autotrasporto e la società di movimentazione delle merci, tra i lavoratori che operano nello stesso sito con contratti e regole d ingaggio lavorativo differente, tra lavoratori indigeni e migranti, tra le varie etnie presenti nei siti produttivi. La competitività dei prodotti finali, in un economia evoluta, è la risultanza di fattori molte volte esterni ai costi di produzione diretta. Quanto incide nelle possibilità di successo/insuccesso dei prodotti una buona rete di collegamenti stradali e autostradali, la celerità e certezza dei tempi di consegna, le dimensioni ottimali della società di logistica capace di essere/fare impresa, la flessibilità del servizio rivolto alla clientela, un ambiente aziendale improntato alla effettiva partecipazione del socio lavoratore, la fluidità dei vari cicli produttivi aziendali, tra i quali la spedizione della merce è l ultimo segmento in ordine di tempo, ma di sicuro non il meno importante. La ricerca sulle cooperative di facchinaggio richiama l attenzione su vari aspetti sociali ed economici che hanno modificato in questo ultimo decennio, in profondità, la stessa tipologia di produzione veneta. Molti dei processi di esternalizzazione da parte di aziende di servizi e manifatturiere hanno riguardato i magazzini di stoccaggio delle merci e la movimentazione delle stesse, per cui il vettore di trasporto è diventato a sua volta una parte fondamentale dello stesso magazzino, in quanto interviene sulla cernita di beni sino ad arrivare al loro impilamento nei grandi centri distributivi e commerciali, lo stivaggio dei container per il trasporto, assicurando alle imprese un offerta di servizi integrati e multipli. L opzione della ricerca è quella di valorizzare le buone pratiche di cooperative operanti in Veneto, per affermare che è possibile e giusta una via alta dello sviluppo basata sul rispetto di leggi e contratti di lavoro, in cui le imprese non vendono braccia ma capacità e competenza nella gestione di servizi pregiati. In tutta la logistica e nei trasporti i costi si contengono non attraverso una compressione dei diritti delle persone che vi lavorano, ma attraverso una ottimale organizzazione dei servizi e del lavoro che mutui i migliori standard europei. La ricerca evidenzia poi l esistenza delle cooperative spurie che manifestano la degenerazione del sistema cooperativo e sono la negazione del principio mutualistico: in molte di esse si violano i più elementari diritti dei lavoratori, si altera il delicato equilibrio delle tariffe praticate nel settore, si alimenta la de-regolazione del mercato del lavoro e l illegalità diffusa, si creano interessi manifesti e rapporti speculativi, negligenza interessata negli affidamenti e nei controlli tra committenza e cooperativa con un duplice effetto finale: lo sfruttamento delle persone e la concorrenza sleale tra imprese, dovuta al mancato adempimento degli obblighi fiscali e contributivi.

6 Un aspetto che viene approfondito è quello del profilo giuridico e normativo del settore e delle regole contrattuali; nonché del ruolo indispensabile ma ancora troppo debole degli organi ispettivi che, in condizioni difficili e con risorse insufficienti, intervengono quotidianamente per limitare i comportamenti illegittimi e illegali. La FILT CGIL ritiene che la ricerca metta a disposizione una base analitica aggiornata e importante, che i vari soggetti operanti sul settore dovranno tradurre in un iniziativa politica rivolta a: conquistare maggiore consapevolezza e cultura sociale; difendere e preservare la vera cooperazione; evitare la marginalizzazione sociale ed economica; valorizzare la qualità del servizio e del lavoro; ribadire il principio di legalità e di competizione corretta; applicare la buona legislazione su Osservatori provinciali, socio-lavoratore, potenziamento attività ispettiva; richiedere regole contrattuali comuni ed efficaci; difendere l occupazione di qualità. La ricerca dell IRES Veneto, oltre alla collaborazione tra varie strutture confederali e dei servizi CGIL, ha potuto far leva sulla disponibilità di altri protagonisti del settore: dirigenti di cooperative e di imprese appaltanti, esponenti delle centrali cooperative, interlocutori istituzionali. La FILT CGIL ritiene doveroso ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questo prezioso risultato di studio e di analisi. E in particolare l Ente bilaterale dell autotrasporto EBAV, per aver contribuito alle risorse che hanno reso concretamente possibile la ricerca. Segreteria FILT CGIL Veneto

7 Un profilo del comparto

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9 Lavorare nelle cooperative di facchinaggio/movimentazione merci: profilo economico-sociale di un mondo difficile Gruppo di ricerca Straniero, se camminando ti imbatti in me e hai voglia di parlarmi, perché non dovresti farlo? e perché io non dovrei parlare con te? A te (Walt Whitman) Introduzione Il comparto economico della movimentazione merci e della logistica sta vivendo una fase di profonde trasformazioni. Muovere le merci, organizzare i magazzini, alimentare le linee produttive, assicurare trasporti e consegne tutto questo dà consistenza e rende cruciale un comparto che opera trasversalmente in tutto il sistema industriale e dei servizi. La riorganizzazione indotta dalla produzione snella, attraverso l alleggerimento drastico delle scorte e dei magazzini, gli estesi processi di esternalizzazione, le potenzialità delle tecnologie informatiche hanno prodotto un vero e proprio sommovimento nella domanda di servizio da parte dei committenti, nella consistenza e qualità delle aziende che vi operano, nei poteri e nelle alleanze. All interno del comparto hanno un ruolo di primo piano le cooperative di facchinaggio, società caratterizzate tradizionalmente da scarsa tecnologia e da manodopera poco qualificata, a bassa soglia di accesso; oggi, per rispondere a tali mutamenti, esse vengono sfidate ad accrescere le loro competenze e le loro ambizioni su diversi piani: il piano industriale, visto che operano in continua interfaccia con i committenti; la tecnologia e l organizzazione alla base delle loro performance; le politiche del personale, visto che hanno nel lavoro il fattore produttivo fondamentale; la democrazia interna, dal momento che l autogestione è inserita nel loro statuto originario. La nostra ricerca si è svolta tra il 2008 e il 2009 e si è concentrata sulle cooperative che operano nella movimentazione merci e nel facchinaggio in Veneto. Va detto, peraltro, che - in contrasto con i principi e i valori di una tradizione secolare di autogestione e di emancipazione - tutto il comparto, e le stesse cooperative, rimbalzano sovente alla cronaca di giornali e mass media per la scarsa regolamentazione, per la concorrenza spietata di appalti e subappalti, per l evasione fiscale, per le sacche di lavoro nero e irregolare, quando non addirittura per episodi di malaffare e di mafie. Negli ultimi mesi, ad esempio, se ne sono occupati alcuni programmi televisivi di inchiesta, come Report (ottobre 2008), oltre a numerosi articoli su quotidiani nazionali e veneti. È facile notare come lo sguardo dei mass media esalti fatti clamorosi e cerchi toni scandalistici, mentre è debolissimo nel nostro Paese un rigoroso giornalismo d inchiesta, ma ciò non toglie che nell opinione pubblica e nel senso diffuso dei lavoratori il giudizio sul comparto e sulle cooperative sia alquanto amaro. Pur non mancando nel mondo accademico, tra i ricercatori e gli studiosi, gli studi sul mondo cooperativo in generale, sulla sua consistenza economica (vedi ad esempio i recenti Imprese, occupazione e valore aggiunto delle cooperative in Italia, di Unioncamere e Istituto Tagliacarne, 2009, e Il comparto del facchinaggio a cura di Unioncamere Emilia Romagna, 2009) o sui profili normativi (vedi il saggio del prof. Lucio Imberbi, La disciplina del socio operatore tra vera e falsa cooperazione in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale 2 e ), non emergono analisi empiriche specifiche sulle cooperative di facchinaggio/movimentazione merci e tanto meno sull occupazione e sulle condizioni di lavoro degli addetti: nessuno pare appassionarsi a questa realtà, che pure occupa un numero consistente di persone e condiziona in misura significativa la competitività delle imprese committenti. Alcune recenti tesi di laurea sulle cooperative (Diego Brunello, Università di Padova; Gabriele Brunello, Cà Foscari Venezia) meritano di essere segnalate per il loro valore intrinseco, ma anche come indizi di una curiosità e di un interesse che auspichiamo possano estendersi. 7

10 Non è un caso che non vi sia uniformità neppure nell appellativo che si usa per identificare il comparto: facchinaggio, movimentazione merci, logistica non sono sinonimi, e l uso dei vari termini richiama ad approcci e visioni diversi che delle cooperative hanno sindacalisti, giornalisti o studiosi che se ne occupano. La ricerca si propone di analizzare l entità e le caratteristiche di queste cooperative, di offrire tracce della loro evoluzione storica, di quantificare gli addetti, descriverne il profilo sociale e le condizioni di lavoro, sino ad enucleare i problemi aperti e le principali criticità. L indagine è stata effettuata, oltre che consultando la (scarsa) letteratura disponibile, attraverso una trentina di interviste a testimoni privilegiati del comparto, al fine di arricchire, tramite i diversi punti di vista di chi vive e/o osserva il fenomeno, la conoscenza dei processi: soci lavoratori delle cooperative, alcuni dirigenti delle stesse, rappresentanti delle Centrali cooperative, il responsabile di una Direzione provinciale del lavoro, due medici del lavoro di due diversi SPISAL, un avvocato del lavoro, diversi sindacalisti che, nella categoria FILT Cgil, negli uffici vertenze-legali o nelle Camere del lavoro, seguono le vicende delle cooperative e sono impegnati nella tutela delle condizioni di lavoro di chi vi è occupato. L utilizzo di un approccio di tipo qualitativo, che parte dalle esperienze dei singoli, è finalizzato ad una ricostruzione della poliedricità del comparto e ad utilizzare i diversi punti di vista per sottolineare la complessità delle questioni interne/esterne che lo caratterizzano. La ricerca non ha pretese esaustive, ma vuole arricchire le informazioni disponibili e offrire spunti di riflessione per permettere sia all interno del sindacato, che l ha commissionata, sia nel confronto con gli altri attori (centrali cooperative, aziende committenti e loro rappresentanze, organi ispettivi e amministrativi, sino al legislatore) l individuazione di misure e di azioni tese a dare qualità al comparto e a selezionare, al suo interno, le forze (e le cooperative) migliori: condizione ineludibile per avere occupazione di qualità, affermare sviluppo professionale degli addetti e assicurare un futuro al comparto. Evoluzione storica delle cooperative La movimentazione merci ha un origine che si perde nei secoli e si lega alla figura professionale del facchino. È curioso esplorare la genesi di questa parola nella lingua araba: il termine faqih, che significa giureconsulto, esperto di diritto, nell epoca antica stava proprio ad indicare colui che doveva risolvere le questioni inerenti alla dogana. Il termine facchino era quindi usato in un accezione positiva: i funzionari responsabili delle operazioni doganali avevano alta professionalità e status sociale riconosciuto. Molte tracce sono riscontrabili nei trattati commerciali riguardanti le Repubbliche marinare e il mondo arabo orientale tra il secolo XI e XVI. La connotazione ambivalente del termine facchino nasce con la crisi economica vissuta dal mondo arabo nel XV secolo, che portò i funzionari delle dogane a svolgere anche mansioni relative allo smistamento e al trasporto delle merci, e quindi di tipo manuale; ambivalenza chiaramente rintracciabile nell atteggiamento degli occidentali cristiani verso gli arabi: il facchino nei porti della Serenissima, ad esempio, indicava il lavoratore di fatica il cui compito era quello di portare pesi 1. Oggi, nell uso comune, la parola facchino indica chi è addetto al trasporto di carichi e bagagli nelle stazioni, nei porti, nei grandi magazzini, nelle industrie manifatturiere ecc., oppure semplicemente chi svolge lavori pesanti, molto faticosi. Figurativamente è anche utilizzato per designare una persona volgare e sguaiata. 2 Le prime organizzazioni ufficiali di facchini nel nostro Paese sono rintracciabili tra la fine del secolo XIX secolo e l inizio del secolo XX. La prima cooperativa di produzione viene infatti creata ad Altare, in provincia di Savona, pochi anni dopo l apertura della prima Società Operaia e 1 Virginio S., 1998, L Aster. Dalle cooperative di facchinaggio all impresa della logistica, Guarnerio Editore, Udine, pag De Mauro T., 2000, Il dizionario della lingua italiana, Paravia Bruno Mondatori, Torino, lemma facchino. 8

11 cooperativa di consumo che appare a Torino, allora Regno di Sardegna, intorno al Tra le prime cooperative di facchini si può menzionare la Società Cooperativa tra gli Operai Facchini, Portabagagli addetti alla Stazione Ferroviaria di Termini in Roma fondata da venti facchini l 8 maggio 1898, tra le cooperative aderenti a Legacoop Lazio è la più antica 4. A cavallo del secolo, quindi, si formano gruppi di lavoratori e/o carovane, la cui memoria giunge fino ad oggi grazie a vecchie stampe che rappresentano file di carri agricoli trainati da asini o cavalli, con il conducente in attesa presso le stazioni ferroviarie, i mercati generali, i piazzali dei mulini, mentre aspetta di essere chiamato per eseguire un trasporto o un trasloco 5. Lungo tutto il 900, l allargamento dell occupazione nel settore e gli investimenti in tecnologie via via più sofisticate seguono strettamente lo sviluppo del sistema dei trasporti e dell industrializzazione. Il lavoro di movimentazione merci si addensa nelle grandi città, negli snodi ferroviari e stradali, nelle zone industriali e attorno ai grandi stabilimenti manifatturieri. Anche dalle interviste condotte per la nostra ricerca emerge chiaramente come i due fenomeni, la nascita di cooperative e quella di carovane, siano tra loro correlati: [ ] ma non c erano solo cooperative c erano anche le carovane, gruppi di facchini che inseguivano il lavoro ed erano società di fatto. È nato con le società di fatto il facchinaggio, con le carovane. (Le cooperative) cioè nascono più come regolamentazione del lavoro del singolo facchino. Devi pensare alla singola persona che si mette a fare, a movimentare merce, poi lentamente i singoli facchini, nelle cosiddette carovane, si aggregano e poi diventano cooperative: nell arco del tempo, qualcuna decide di fare anche investimenti, comprarsi camion, pale, muletti, attrezzature per movimentare in maniera più completa la merce e quindi proporsi come gestione complessiva di un appalto, non di pezzettini solo. La cultura e l organizzazione cooperativa hanno origine e prendono vigore intrecciate a questi processi. Aggregazioni spontanee, risposta a bisogni primari di lavoro e di reddito, via via incanalate e sorrette dalle organizzazioni socio-politiche che si candidano, negli ultimi decenni dell 800, con l industrializzazione che avanza nel Paese, a dare voce alla questione sociale e a rappresentare il lavoro: il movimento operaio di ispirazione socialista e il solidarismo cattolico. Tutto il secolo che abbiamo alle spalle è segnato da storie di cooperative, che sono insieme storie economiche una via d uscita mutualistica da condizioni estreme di povertà e di miseria, per affermare il diritto al lavoro e ad una retribuzione- e storie sociali la scoperta di una strada collettiva all emancipazione, della forza che viene dall organizzazione, di una dignità personale ritrovata all interno di una società di mutuo soccorso, magari con l appoggio della locale Camera del lavoro o di uno dei partiti a base popolare. In questo intreccio di ragioni economiche ed ideali prese consistenza anche la tensione tra i due movimenti, socialista e cattolico, e l emulazione nel contendersi iscritti, radicamento sociale, capacità di mobilitazione, egemonia culturale. Non è difficile, aiutati dalla storia, intuire le radici lontane delle due maggiori Centrali che ancora oggi rappresentano la cooperazione in Italia, la Legacoop e la Confcooperative. E non è difficile per chi conosce la storia del Veneto bianco spiegarsi la prevalente forza organizzata della cooperazione cattolica nelle province centrali della nostra regione; seppure anche le cooperative rosse abbiano una storia intensa in alcune aree urbane della regione. I testimoni intervistati durante la ricerca hanno permesso la ricostruzione della storia più recente delle cooperative di movimentazione merci e del facchinaggio, in Veneto. Nessuno degli intervistati ha vissuto il mondo delle cooperative di facchinaggio prima degli anni 70-80, ma uno di essi, un 3 Zangheri R., Galasso G., Castronovo V., Storia del movimento cooperativo in Italia , Torino, Einaudi,1987 p Noi, Soci Periodico delle cooperative di Roma e del Lazio. 5 Virginio S., 1998, L Aster. Dalle cooperative di facchinaggio all impresa della logistica, Guarnerio Editore, Udine, pag. 9. 9

12 sindacalista che ha avuto contatti con persone che seguivano il settore prima di lui, ha voluto ricostruire alcune delle motivazioni che portarono alla nascita di queste organizzazioni: [ ] alla fine della guerra insomma c era necessità di ricostruire, di creare anche occasioni di lavoro, queste erano occasioni di lavoro molto, molto precarie diciamo che piuttosto di niente andava bene, andava bene anche quella; c era sicuramente anche uno spirito cooperativo diverso, cioè quello di mettersi assieme per, in qualche maniera, creare condizioni di lavoro, creare unione dei beni di produzione e quindi occasioni di lavoro. L importanza dell impresa cooperativa nella storia del nostro Paese trova un riconoscimento istituzionale nella Carta fondamentale della Repubblica nata dopo il fascismo. Ricordiamo il testo dell articolo 45 della Costituzione Italiana: La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. 6 La volontà di creare autonomamente occasioni di lavoro sembra aver inciso molto, sia nel passato sia negli anni più recenti, sulla scelta di organizzarsi e di costituirsi in cooperativa. Uno dei soci fondatori di una cooperativa di facchinaggio, nella Padova degli anni 70, racconta di come per uscire dal lavoro in nero, che già svolgeva presso ditte di traslochi per pagarsi gli studi, abbia fondato insieme ad un gruppo di amici una società cooperativa di facchinaggio. Altri intervistati sottolineano il ruolo emancipante e il valore simbolico che questo tipo di organizzazione aveva all interno della società di quegli anni, in un clima culturale in cui la spinta al cambiamento si traduceva nella volontà esplicita di superare il classico rapporto di lavoro dipendente. Gli interventi di soggetti con ruoli e provenienze provinciali differenti, indicano, insieme, la presenza di un clima di tipo familiare in cui tutti ci si aiutava reciprocamente e di una tensione politica all uguaglianza. L esempio che ci è stato raccontato è emblematico: C era una parità sostanziale tra tutti e cercavamo di aiutarci l un con l altro; in effetti chi era in difficoltà o di casa o di soldi insomma nessuno moriva di fame o stava sulla strada. Tenendo conto che eravamo tutti ragazzi e ragazze che sì, molti avevano le spalle coperte dalla famiglia però vivevano in altre città, oppure altri, come me ad esempio, non avevano nessuna copertura e dovevano vivere con quello che potevano fare. Si era creata una specie di comunità. In altre parole, la volontà solidaristica, di mutuo sostegno, si saldava ad un attesa politica: il rapporto di lavoro salariato, gerarchicamente subordinato, non è l unica strada all occupazione e al reddito. Si sperimentavano spazi di autogestione nel lavoro in modo che le capacità professionali e la responsabilità condivisa tra tutti i soci si potessero saldare con le esigenze di produttività e di efficacia necessarie al funzionamento di un impresa che, pur essendo cooperativa, opera sul mercato. Va ricordato che negli anni 70, in diverse aziende industriali in crisi, alcune anche di medie dimensioni, i lavoratori, quando la lotta per l occupazione rischiava di non avere successo e si intravvedeva il fallimento della fabbrica, tentarono la strada dell autogestione. Bruno Trentin, allora segretario nazionale della Cgil, nel 1981 concluse a Padova un Convegno su questi temi, richiamando alla consapevolezza delle difficoltà di tale strategia, ma anche stimolando l orgoglio di operai, impiegati e tecnici a scommettere sulla propria intelligenza e capacità di dirigere in forma imprenditoriale le fabbriche in autogestione. Nel corso degli anni questa tensione simbolica e politica sembra essere venuta meno per una serie di motivi che analizzeremo, ma non è del tutto scomparsa nelle cooperative di oggi. Alcuni socilavoratori continuano a sentire la cooperativa come una famiglia allargata, come un comunità che lega tutti i soci ad un unica responsabilità e ad uno stesso destino produttivo ed occupazionale, e non a caso testimoniano di legami molto forti verso la propria società. In altri casi, si riscontrano situazioni completamente diverse: molti (troppi) lavoratori vivono la cooperativa alla stregua di un azienda privata, addirittura delle più amare, specie nelle situazioni in cui le società nascono

13 unicamente per permettere alle ditte committenti di abbattere i costi interni e tradiscono di fatto lo spirito cooperativistico. Il dilemma, sempre più esplicito, è la contraddizione tra i doveri del socio per l appartenenza alla cooperativa e i diritti (non rispettati) del socio come lavoratore. Gli anni più recenti: l uso della cooperazione nelle ristrutturazioni industriali Sono gli anni 80 a segnare un passaggio cruciale nell evoluzione quantitativa e qualitativa delle cooperative di facchinaggio, a seguito del diffondersi di massici ed estesi processi di ristrutturazione nelle imprese industriali. Da un lato, per le cooperative si aprono spazi crescenti di azione e di sviluppo, dall altro ne patiscono il virus d origine (la cooperativa nasce su spinta esterna, per cause esogene, che non rispettano il tempo e la crescita di consapevolezza/managerialità che ogni forma cooperativa esige) e i vincoli strettissimi della logica economica dominante (l azienda madre, nel momento in cui appalta un servizio, esige un immediato risparmio sui costi rispetto alla precedente gestione diretta e, nel tempo, continua a premere sulla cooperativa, magari in occasione del rinnovo dell appalto, per ottenere sempre ulteriori ribassi). Questo dà origine ad un meccanismo vizioso, infernale, dove il fondo pare non toccarsi mai, che diventa la causa originaria di uno sfruttamento senza fine dei lavoratori che vi operano e di una competizione selvaggia tra le stesse cooperative. È significativa a questo proposito la testimonianza di un sindacalista veneziano. Il testimone si è trovato a misurarsi, nell area industriale di Porto Marghera, con una realtà molto strutturata, con rapporti consolidati di committenza tra imprese industriali e cooperative che duravano da molti anni, ben regolati, con cooperative a forte sindacalizzazione (agevolata dalla contiguità con il sindacato presente e attivo nelle aziende committenti), investite in pieno dagli effetti delle ristrutturazioni e dall estendersi delle terziarizzazioni. È qui che la situazione dei soci lavoratori comincia a peggiorare, perché le cooperative da strumento di mutuo aiuto tra lavoratori si trasformano in uno strumento di risparmio per l azienda appaltatrice. L orientamento diventa quello di far pressione sui lavoratori dipendenti sino a convincerli a dimettersi e, subito dopo, a creare una cooperativa per poi, a regime societario cambiato, far loro svolgere le stesse mansioni di prima. Inizialmente a questi lavoratori vengono applicate tariffe e normative che si rifanno al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del settore del trasporto merci e che salvaguardavano sostanzialmente le condizioni precedenti: la diversità di contratto tra lavoratori operanti nella stessa azienda non si traduce ancora in un doppio mercato del lavoro. Con il passare del tempo, però, si attua un progressivo slittamento verso il basso delle condizioni dell appalto, che si traduce per i cooperatori in un peggioramento netto dei salari e delle normative, sino all affermarsi di un vero e proprio dumping sociale. All interno di queste situazioni, come numerosi testimoni raccontano, l unificazione tra i lavoratori dell azienda-madre e i cooperatori diviene sempre più ardua e all interno delle cooperative si perde sindacalizzazione e capacità di tutela collettiva. Le ristrutturazioni, come si sa, scuotono l occupazione e la cassa integrazione ricatta e allarga la paura tra i lavoratori: anche persone consapevoli e sindacalizzate finiscono per accettare come fatto normale che, al loro fianco, nello stesso stabilimento o impianto, lavorino persone con contratti diversi e diritti dimidiati. D altra parte, sono proprio queste condizioni che spingono il mondo cooperativo a ristrutturarsi a sua volta e ad innescare strategie che determinano negli anni forti differenziazioni tra cooperative, per dimensione, rapporti con la committenza, politiche del personale. Alcune, in particolare, iniziano lentamente ad abbandonare il semplice carico/scarico per dotarsi di nuovi mezzi operativi e proporsi per la gestione del magazzino chiavi in mano, candidandosi, quindi, ad occupare uno spazio non più residuale nella logistica delle imprese, mentre altre trascinano una vita opaca, in cui peggiorano nettamente le condizioni di lavoro. Nel corso degli anni 90 le modalità di affidamento degli appalti cambiano ancora e la crisi del mondo cooperativo si accentua ulteriormente. Si affidano i lavori a cooperative esterne, improvvisate, talvolta promosse da avventurieri, i cui addetti non sono mai stati in precedenza dipendenti della ditta committente, e si praticano condizioni di appalto ancora più basse. L elevato 11

14 ricorso alla cassa integrazione continua a fungere da ricatto e costringe i lavoratori ad accettare anche condizioni pesantissime. Nel tempo, l afflusso sempre più massiccio di manodopera extracomunitaria o proveniente dall Est Europa, mette a disposizione delle cooperative senza scrupoli manodopera senza condizioni, riproponendo condizioni di lavoro servile che sembravano scomparse dalle fabbriche. In questo contesto, descritto dal testimone veneziano, ma che, a qualche anno di distanza, si è affermato in gran parte del territorio regionale, le contraddizioni esplodono tutte. Le cooperative, man mano che prevale una logica d azione spinta unicamente al contenimento dei costi, perdono ogni connotato originario, vedono isterilirsi il rapporto democratico e valoriale con i soci, aprono le porte a dirigenti improvvisati e cinici, diventano contenitori di lavoro nero e irregolare. E l azione del sindacato diventa insieme più necessaria e difficilissima: si moltiplica la domanda di tutela individuale (per licenziamenti, salari non corrisposti, TFR mancato, eccetera) e si depotenzia lo spazio della contrattazione collettiva e quindi della regolazione trasparente dei diritti/doveri di chi lavora. Il sindacalista, o l operatore dell ufficio legale, si consumano in una miriade di interventi, sempre al limite di guardia, e non riescono a saldare una strategia di contenimento della deriva al ribasso, di selezione qualitativa tra le diverse cooperative, di integrazione tra chi fa sindacato nell azienda madre e la Filt che lo fa nella cooperativa. Quest ultimo punto appare decisivo alla luce di alcune vertenze collettive che la ricerca ha potuto esaminare (vedi le vicende del magazzino Ferrero a Montegalda, VI, e quella della TNT di Padova, descritte in questa ricerca), ma appare essere anche quello che può dare potenza ed efficacia concreta alle cause individuali/collettive di lavoro intentate dagli uffici vertenze e dagli avvocati della Cgil. Solo l unificazione tra i lavoratori, gestita e promossa dai sindacati attorno ad obiettivi condivisi, vincola davvero l azienda-madre ad un corresponsabilità sull occupazione e sulle condizioni di impiego di chi opera negli appalti e nelle cooperative, sottraendo questi ultimi non solo alla solitudine patita dal soggetto meno fortunato, ma anche al dumping della cooperativa spuria, disponibile a subentrare a condizioni peggiori, perché sempre c è qualcuno degli ultimi costretto (magari dal permesso di soggiorno che scade) ad accettarle. Il comparto è ad un punto critico: se si vuole salvare l ispirazione originaria della cooperazione, occorre effettuare una drastica selezione interna al comparto, che distingua via via le realtà migliori da una pletora di iniziative spurie tese al puro sfruttamento dei lavoratori, sino al malaffare e alla violenza. Solo alcuni degli operatori che abbiamo incontrato hanno dimostrato questa consapevolezza ma, senza un ripensamento strategico forte la cooperazione sarà di fatto espunta dal settore a favore dei caporali e del lavoro servile. Non a caso, nella ricerca abbiamo voluto dare spazio ai casi Nuova Trasporti e Aster Coop: una via alta alla competizione, che tiene insieme politica industriale (competenze e capacità progettuale/organizzativa nella gestione di magazzini e della logistica) e qualità del lavoro (sviluppo professionale e diritti/doveri chiari per i soci, nonché trasparenza nella vita democratica interna alla cooperativa), è possibile e si può osservare anche nel Nord Est, ma si scontra con la logica prevalente di de-regolazione e di corsa al ribasso, nel cui vortice rischia di prevalere non il più competitivo ma il più furbo o il più selvaggio. Servono pensiero lungimirante, regole chiare, istituzioni di controllo funzionanti, unità tra le confederazioni, alleanza con le forze migliori della cooperazione sana, condivisione strategica con le centrali cooperative; e un patto con le stesse associazioni delle imprese industriali private. In una parola, servono politiche che riconoscano la logistica e la movimentazione delle merci come un segmento cruciale della produttività del Paese e, di qui, normative e politiche del lavoro che scommettano su qualificazione, intelligenza e responsabilità di chi opera nel segmento delle cooperative e sul management che le dirige. 12

15 Le attività delle cooperative di facchinaggio: una definizione controversa Il Codice Civile, all articolo 2511, definisce le cooperative nel seguente modo: Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico 7, tratteggiando la specificità della loro forma giuridica e della loro logica d azione. Le attività svolte dalla cooperazione si sono andate allargando nel tempo: dalla produzione ai servizi, al consumo, ai servizi alla persona; ed estremamente diversificate sono le loro dimensioni, l assetto finanziario, l organizzazione interna e l architettura democratica. Come allora classificare le cooperative di facchinaggio? Vanno comprese all interno dei servizi alle imprese, nelle cooperative di produzione e lavoro, nella logistica? Esploriamo qualche definizione. Ad esempio, nel proprio sito internet, Confcooperative sottolinea che appartengono al settore del facchinaggio quelle imprese che scaricano e manipolano colli o merci nei porti, mercati e magazzini attraverso una gestione integrata di logistica e trasporto 8. Gli operatori di oggi, alla luce di quanto detto sin qua, si occupano di un estrema varietà di mansioni, in un enorme differenziazione di contesti produttivi, mentre in questa definizione non viene esplicitata nessuna distinzione e si evince che tutto il facchinaggio sia ascrivibile ad un unico insieme. Per le Camere di Commercio sono da intendersi come cooperative di facchinaggio le imprese che svolgono attività comprensive delle attività preliminari e complementari alla movimentazione delle merci e dei prodotti. Secondo quanto riportato dalla Guida Triveneto attività facchinaggio 9, si intendono imprese di facchinaggio quelle che svolgono le attività, previste dalla tabella allegata al Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 3 dicembre 1999, anche con l'ausilio di mezzi meccanici o diversi, o con attrezzature tecnologiche, comprensive delle attività preliminari e complementari alla movimentazione delle merci e dei prodotti, come di seguito indicate, lettera a): portabagagli facchini e pesatori di mercati agro-alimentari facchini degli scali ferroviari (compresa la presa e consegna dei carri) facchini doganali facchini generici accompagnatori di bestiame facchinaggio svolto nelle aree portuali da cooperative derivanti dalla trasformazione delle compagnie e gruppi portuali in base all'articolo 21 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni ed integrazioni. Si fa inoltre presente che le attività prese in considerazione dal regolamento sono esclusivamente quelle affidate in outsourcing ed esercitate quindi per conto terzi. Non sono invece da considerarsi facchinaggio (ad eccezione dei casi in cui l attività principale dell impresa sia la spedizione, il trasloco, la logistica, il trasporto espresso) le attività di cui alla lettera b) insacco, pesatura, legatura, accatastamento e disaccatastamento, pressatura, imballaggio, gestione del ciclo logistico (magazzini, ovvero ordini in arrivo e partenza), pulizia magazzini e piazzali, depositi colli e bagagli, presa e consegna, recapiti in loco, selezione e cernita (con o senza incestamento) di carta da macero, prodotti ortofrutticoli, piume e materiali vari, prodotti derivanti dalla mattazione, scuoiatura, toelettatura, macellazione, abbattimento di piante destinate alla trasformazione in cellulosa o carta o simili insaccamento od imballaggio di carta da macero, prodotti ortofrutticoli, piume e materiali vari, prodotti derivanti trasformazione in cellulosa o carta o simili non rientrano nella definizione di facchinaggio quando sono esercitate autonomamente aprile_2007.pdf 13

16 Qualora l attività principale dell impresa sia la spedizione, il trasloco, la logistica, il trasporto espresso, non viene applicata la normativa in questione. Questa definizione risulta più completa rispetto a quella di Confcooperative, ma in base alle analisi svolte ci si rende conto che nemmeno questa descrive in modo esaustivo le attività svolte dalle cooperative di facchinaggio. La definizione, infatti, non considera una serie di mansioni e di lavorazioni che, nel corso dell analisi svolta, risultano oggi fondamentali per l evoluzione e il successo di queste cooperative. Oggi le cooperative del comparto si occupano anche di gestione magazzini e di logistica. Un esempio di tal tipo è offerto da Aster Coop, come si può leggere nel contributo specifico compreso nella nostra ricerca. Il libro L Aster. Dalle cooperative di facchinaggio all impresa della logistica 10 descrive chiaramente i cambiamenti avvenuti e come l idea stessa di facchinaggio si sia evoluta nel corso degli ultimi trent anni. I mutamenti relativi ai processi produttivi condizionano profondamente la movimentazione merci perché, ad esempio, il just in time (giusto in tempo) e il work on demand (lavoro a richiesta) hanno rivoluzionato sia l alimentazione delle linee produttive sia i trasporti sia lo stoccaggio delle merci nei magazzini. Si sta assistendo sempre più a una meccanizzazione e a una informatizzazione del comparto. I mezzi meccanici ed elettronici sono ormai indispensabili per la gestione dei magazzini, la distribuzione e la consegna delle merci; di conseguenza sono diverse le competenze e le conoscenze richieste agli operatori che non possono più basarsi solo sulla pura forza fisica e manuale. Anche le interviste dirette, d altro canto, hanno evidenziato una grande difficoltà nel definire cosa siano le cooperative di facchinaggio: mancando una visione omogenea del fenomeno, paiono mancare non solo i dati quantitativi ma anche i termini appropriati per descriverlo. Dalle testimonianze raccolte la gestione del magazzino appare essere ancora oggi l attività principale svolta dalle cooperative, ma attorno ad esso i compiti si allargano e si fanno più complessi. L outsourcing attraverso cui le aziende committenti danno spazio alle cooperative non riguarda solo le parti a valle o meramente esecutive dell attività come la movimentazione, il trasporto e il magazzinaggio, ma anche la gestione di interi rami d azienda 11, funzione che evidentemente contrasta con la finalità della cooperazione, sino a confondersi con le Agenzie per il lavoro interinale o con la somministrazione di manodopera. Il presidente di una cooperativa di facchinaggio nel trevigiano ha dichiarato che la sua società si occupa sia di gestione di magazzini sia di due intere linee produttive: [ ] oltre i magazzini, abbiamo due aziende dove gestiamo due linee produttive complete, dalla a alla z. Cioè: riceviamo la merce, la lavoriamo, la saldiamo, la incolliamo e la spediamo. [ ] Praticamente c è un direttore che coordina, cioè un direttore della produzione dell azienda, il resto facciamo tutto noi. Abbiamo ragazze, ragazzi praticamente riceviamo il tessuto, tagliamo il tessuto, i modelli, lo incolliamo, lo graffettiamo, lo imballiamo, va in magazzino, lo spediamo. Se allo slittamento progressivo dei confini del comparto, si aggiunge che non vi è neppure chiarezza sul Ccnl da applicare, ci si rende conto che la situazione è davvero problematica: il facchinaggio dovrebbe applicare quello della Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni siglato il , ma non mancano i casi in cui alcune cooperative - definite virtuose da alcuni addetti ai lavori, perché capaci di diversificare le proprie competenze- applicano il meno favorevole Ccnl Multiservizi del , né i casi, addirittura, in cui le cooperative applicano contratti sub-standard, siglati da organizzazioni sindacali e datoriali di comodo, esplicitamente contro le tre organizzazioni confederali e le Centrali più rappresentative, e mai validati democraticamente dai lavoratori. Per non dire delle numerosissime situazioni in cui le cooperative, pur riconoscendo formalmente ai lavoratori il Ccnl della logistica, non lo applicano correttamente e usano in modo indebito alcuni istituti contrattuali. Deregolamentazione e relazioni sindacali scomposte che, invece di governare, aumentano lo sfrangiamento del settore. 10 Virginio S., 1998, L Aster. Dalle cooperative di facchinaggio all impresa della logistica, Guarnerio Editore, Udine

17 La ricerca ci permette una definizione più attenta del comparto, anche attraverso un uso più attento del lessico con cui viene nominato. Il termine facchinaggio, che è ancora quello più diffuso tra gli operatori, richiama l attività originaria e i mille mestieri da essa derivati; l espressione movimentazione merci richiama compiti più innovativi, spesso connessi strettamente ai reparti produttivi, e modalità di lavoro svolte con tecnologie moderne; la dizione cooperative della logistica è invece un termine che indica l evoluzione (futura) di un settore al cui interno la competizione tra imprese e cooperative si gioca sempre più sulla padronanza dell insieme del ciclo logistico e sul governo di relazioni globali complesse. La terminologia richiama anche alla responsabilità dei vari attori dirigenti, manager, sindacalisti, istituzioni preposte- di costruire politiche adeguate per accompagnare nel tempo un comparto che, pur mantenendo una quota di lavoro generico e a bassa professionalità, ospiterà sempre più al suo interno imprese multifunzionali e sofisticate. La prospettiva anche per un azione lungimirante del sindacato, quindi, è quella di sostenere con politiche adeguate un evoluzione di qualità delle cooperative e la loro specializzazione, perché solo da queste derivano a favore degli addetti spazi occupazionali, professionalità pregiate, rispetto delle normative e dei diritti. L evoluzione normativa: dalla legge 142 del 2001 al protocollo sulla cooperazione del 2007 Le trasformazioni del comparto e la complessità dei fenomeni economici-sociali che lo caratterizzano reclamavano da troppo tempo un adeguamento della regolazione normativa. Il Parlamento, dopo anni di dibattito acceso ma di pratica immobilità, ha varato nel 2001 una nuova disciplina della figura del socio lavoratore e del suo rapporto con la cooperativa: la legge 142, titolata Legge di revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla figura del socio lavoratore, che segna un vero e proprio spartiacque. Il contributo del prof. Gaetano Zilio Grandi, dell Università di Venezia ( già pubblicato nel numero di Economia e società regionale, la rivista dell IRES Veneto) si concentra in modo approfondito sui diversi aspetti giuridici modificati dalla L.142/01 e da successivi provvedimenti; è sufficiente qui fare qualche cenno e fissare dei punti fermi. Dopo anni di incertezze e di orientamenti contradditori da parte della giurisprudenza, la L.142/01 sancisce che il socio lavoratore è un soggetto a doppia presenza : da un lato si qualifica come socio, impegnato mutualisticamente con altri al fine di creare occasioni di lavoro e di ripartizione equa del guadagno, dall altro le caratteristiche della sua prestazione lavorativa lo associano al lavoro subordinato (o al lavoro autonomo o, ancora, alla collaborazione coordinata e continuativa, quando il Regolamento interno della cooperativa lo preveda). Nel caso di prestazione analoga al lavoro dipendente, il trattamento economico non potrà essere inferiore ai minimi previsti, per le prestazioni analoghe, dal CCNL del settore o categoria affine (art.3). Quest ultima affermazione toglieva formalmente ogni possibilità di deroga in senso peggiorativo, che costituiva un motivo cruciale di malcontento interno, oggetto annoso di contenziosi sindacali, nonché causa di quel senso comune che vede come ultima spiaggia l occupazione nelle cooperative. Nella L.142/01, invece, resta inevasa la parte che riguarda i diritti sindacali: ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell'articolo 18 (licenziamento individuale) ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo. È fin troppo evidente l improbabilità dell evento: difficile che il lavoratore mantenga lo status di socio se perde il lavoro per cause che il Giudice del Lavoro potrebbe ritenere illegittime. La parte migliore, ma nettamente minoritaria delle cooperative interpretava gli assunti della L.142/01 come parte della propria strategia di competizione alta, basata cioè su vere politiche industriali e su politiche del lavoro che affermano qualità e diritti. Si leggano a tale proposito i contributi della ricerca su Nuova Trasporti (TV) e Aster Coop (UD), una media cooperativa e una grande, originate da storie sociali assai diverse, ma entrambe con la volontà di affrancarsi da uno spazio economico residuale e di affermare per questa via qualità e diritti a chi lavora. 15

18 La realtà, però, come sempre accade, si è dimostrata più paludosa e più difficile da modificare, e ancora oggi per tanta parte del mondo cooperativo da noi osservato la legge è ben lungi dall essere correttamente applicata, come risulterà chiaro dal capitolo sulle retribuzioni. A seguito della legge 142, comunque, hanno potuto riprendere vigore le forze che si oppongono alla de-regolazione progressiva del comparto e si sono rinsaldate le relazioni bilaterali tra le associazioni rappresentative (organizzazioni sindacali confederali e centrali cooperative) e/o quelle pattizie che coinvolgono attivamente anche le Direzioni provinciali del lavoro, le Camere di Commercio, nonché l INPS e l INAIL, in uno sforzo condiviso di portare trasparenza e indurre comportamenti virtuosi. In particolare - a seguito del Protocollo interconfederale del 23 luglio 2007, al fine di attivare altri strumenti per rafforzare la lotta al sommerso, come le norme sugli appalti e sul socio lavoratore, le Centrali cooperative, le OO. SS. confederali ed il Ministero del lavoro hanno sottoscritto il Protocollo sulla cooperazione : un accordo che prevede l istituzione presso le direzioni provinciali del lavoro (DPL, che la legge 142 elegge come sede del deposito obbligatorio del Regolamento interno da parte delle cooperative operanti sul territorio) di Osservatori permanenti composti da rappresentanti delle parti sociali, da INPS e INAIL al fine di fornire elementi utili per l attività ispettiva. L accordo è purtroppo mancante delle firme della committenza, ovvero di Confindustria, Confcommercio e Confapi, le associazioni che rappresentano le imprese di produzione e distribuzione delle merci, cioè quelle che condizionano a monte la vita delle cooperative. Esse hanno eluso sin qui ogni impegno diretto, lasciando intendere che le deregolazione esistente permette ai committenti di godere di margini di manovra sempre aperti, in ordine ai costi e alle condizioni degli appalti. Seppure l art 29 del D. Lgs. 10 settembre 2003 n 276, attribuisce alla committenza la responsabilità in solido con l appaltatore, nonché con ciascuno dei subappaltatori, entro i limiti di due anni dalla cessazione dell appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti. L esperienza dei sindacalisti del settore testimonia che in molti cambi d appalto il Committente ha dovuto sobbarcarsi pesanti costi relativi agli argomenti di cui sopra. La scarsa sindacalizzazione tra i lavoratori, specie stranieri, l insufficiente presidio da parte del sindacato e la bassa probabilità di controlli ispettivi illudono le imprese committenti di poter sfuggire a tale responsabilità. Il fenomeno in Veneto: una stima quantitativa Nel corso dell indagine abbiamo trovato difficoltà quasi insormontabili nel definire con sufficiente precisione i dati occupazionali del comparto, nonché il numero delle cooperative insediate in Veneto, sia quelle con sede formale nella regione sia quelle che vi operano attraverso unità locali. Le ragioni sono intuibili se si pensa al confine sempre incerto tra lavoro nero, irregolare e regolare, alla estrema flessibilità del lavoro (spostamento continuo di cantieri, orari, subappalti) e delle stesse società cooperative (sorgono e si insediano facilmente, per la bassa soglia di entrata, e chiudono altrettanto facilmente anzianità media di 2 anni- sia per ragioni oggettive dovute al mercato, sia per ragioni opportunistiche legate al mancato rispetto dei doveri nei confronti dei soci o del contratto con le aziende appaltanti). Stimiamo che in Veneto operino circa 650 cooperative, con un numero di addetti compreso tra e , in massima parte soci lavoratori. Il calcolo è basato sull incrocio delle conoscenze empiriche, ma antiche e intense, rese disponibili dai vari operatori; e su una valutazione ulteriore, la diffusione nel territorio veneto dei maggiori corrieri espressi (TNT G.E., DHL, UPS Bartolini ecc.) che movimentano le merci per l apparato produttivo, sulla presenza di interporti, magazzini generali, mercati ittici, sulla consistenza della grande distribuzione e dei centri commerciali: cioè di tutti i soggetti economici o spazi logistico/commerciali che danno spazio alle cooperative e creano domanda di lavoro nel facchinaggio (Tab.1.) Tab.1. Luoghi di lavoro e filiali Corrieri espressi Interporti Mercati generali Mercati Ittici Grande distribuzione Centri commerciali N

19 Per quanto riguarda l addensamento territoriale delle cooperative e dell occupazione, Venezia, Padova e Verona sono le prime province, seguono Vicenza e Treviso, a loro volta seguite da Rovigo e Belluno. Come si è detto, non abbiamo individuato, nonostante una ricerca insistita, dati certi o almeno plausibili sugli addetti al comparto; al contrario, i numeri paiono improvvisati, incerti e contraddittori. Prova ne sia che si va dal riferimento convenzionale assunto in Veneto dalle OO.SS. e dalle centrali cooperative per il rinnovo dei contratti integrativi, e cioè addetti, sicuramente sovrastimato, ai dati reperibili nelle Camere di Commercio (Tab.2), ai cui Albi risultano formalmente iscritte circa 200 cooperative nella regione (che con l iscrizione devono presentare i requisiti di capacità economico-finanziaria, tecnico-organizzativa, nonché dimostrare di non avere morosità pregresse verso INPS e INAIL) e a quelli, del tutto aleatori, forniti dalle Direzioni provinciali del lavoro (nelle cui sedi, come detto, a norma dell art.6 della legge 142/2001 le cooperative operanti nel territorio hanno l obbligo di depositare il regolamento interno ai fini di dimostrare la propria idoneità: obbligo peraltro in larghissima parte eluso). Fatto comunque significativo: in questa ricerca parlano anche i silenzi o i vuoti! Tab. 2: Cooperative di movimentazione merci in Veneto Numero di Cooperative Provincia di riferimento iscritte 17 Numero di Unità Locali iscritte Totale Cooperative Presenti Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia Vicenza Verona Totale Cooperative presenti in Veneto Fonte: Ufficio Registro Imprese della Camera di Commercio di Treviso (gennaio 2009). Il 43% delle cooperative registrate è presente come Unità locale: opera in Veneto ma non ha qui la sua sede principale; un legame incerto col territorio che si traduce in alta mobilità/mortalità delle imprese e in un controllo più difficile della filiera a cui è legata la singola cooperativa. Resta il fatto che è inesistente in Veneto un censimento delle società cooperative e dei lavoratori addetti, che possa plausibilmente costituire per i vari soggetti la base analitica delle politiche da perseguire. E l incertezza, come si sa, ha ripercussioni sul controllo del territorio, sulle politiche di cittadinanza, sulla clandestinità, sul lavoro nero, sulle possibili infiltrazioni malavitose. Un quadro così incerto impedisce di sviluppare una politica di riforme del lavoro, previdenziali, di ammortizzatori sociali, essendo impossibile definire i costi di eventuali iniziative del genere. Anche gli interventi ispettivi, infine, risentono della polverizzazione delle attività in cui le cooperative sono ospitate e dell aleatorietà dei dati informativi. Osservatori provinciali Dare vita agli Osservatori provinciali che nella loro attività coinvolgono formalmente tutti i soggetti economici, sociali ed istituzionali (salvo le imprese committenti, come già abbiamo detto), chiamando ognuno alla propria responsabilità- è la via per dare trasparenza al comparto, misurare la sua consistenza effettiva e analizzare le dinamiche in corso. L avvio degli Osservatori è stato difficoltoso e molto differenziato da territorio a territorio; in diverse province venete l organismo vive solo sulla carta. Dove, però, si è trovata una convergenza di volontà delle parti, i risultati cominciano a farsi interessanti, perché tolgono retorica ai discorsi e

20 forniscono delle cooperative, e delle condizioni di lavoro di chi vi opera, un profilo plausibile; e allarmante. L Osservatorio di Padova ha prodotto nel giugno 2008 una sintesi dell attività ispettiva condotta, nei mesi precedenti (aprile-maggio 2008), congiuntamente da DPL e INPS: cooperative nella Provincia di Padova ispezionate 10 (6 facchinaggio/movimentazione merci e 4 nel settore socio assistenziale); cooperative irregolari 8 su 10 (80%); lavoratori occupati nelle 10 coop n 1404, di cui 1011 irregolari (72 %); 7 lavoratori in nero, di cui 3 extracomunitari (nessun clandestino); emessi 6 provvedimenti penali e 31 provvedimenti amministrativi, di cui 7 per lavoro nero, nessun provvedimento di sospensione dell attività; gli importi delle sanzioni amministrative sono pari a ,04.; riscossi contributi pari a INPS e INAIL (totale ). Dall Osservatorio di Verona (marzo 2009) risultano sanzioni per oltre 2 milioni di euro, 30 provvedimenti penali, 119 amministrativi, lavoratori controllati di cui registrati ma irregolari, 108 lavoratori in nero, 4 clandestini (da L Arena di Verona). Le funzioni ispettive Le funzioni di vigilanza ordinarie (osservanza delle norme legislative, dei requisiti richiesti, del regolare funzionamento contabile ecc.) sono affidate, relativamente alle cooperative associate, alle Associazioni nazionali di rappresentanza del mondo cooperativo; le funzioni di vigilanza ordinarie, per le operative non associate, e quelle straordinarie per tutto il comparto, sono disposte dal Ministero del lavoro e del welfare. Nel 2007, per un impegno esplicito del Governo di centrosinistra, si è rafforzata la presenza sul territorio di ispettori tecnici e amministrativi del Ministero del Lavoro, ma le forze sono ancora insufficienti. Strette tra mancanza di mezzi, farraginosità delle norme amministrative, inerzia nei comportamenti le istituzioni preposte ai controlli lasciano molto a desiderare. Composizione socio-professionale dei lavoratori, gli immigrati I tratti essenziali della maggioranza dei lavoratori nelle cooperative di facchinaggio e movimentazione merci sono: qualifica operaia generica, bassa scolarità, in grande maggioranza maschi, sempre più extracomunitari o provenienti dai Paesi dell Est Europa. Le donne erano poco presenti, a causa della prevalenza del lavoro manuale e della conseguente necessaria prestanza fisica: tale realtà che si va modificando a fronte della meccanizzazione e delle innovazioni tecnologiche, oltre al superamento di rigidi stereotipi culturali. Le modeste conoscenze richieste alla manodopera si traducono in una bassa soglia d ingresso al mercato del lavoro e in una specie di selezione rovesciata: chi entra con il diploma, se non decide di andarsene prima (generalmente dopo poco tempo, visti gli alti tassi di turnover), si candida a raggiungere ruoli di coordinamento e dirigenti. Nelle interviste, è stato anche sottolineato come alcune cooperative abbiano la tendenza a cercare personale tra figure socialmente marginali, quando non disadattate, individui che si accontentano di lavorare per pochi euro l ora, senza attese di evoluzione professionale né di impiego fisso. Dagli anni 90 il fenomeno più significativo e visibile è stato senz altro l addensamento nelle cooperative di lavoratori immigrati. La prima ragione, almeno per tutta una serie di mansioni, è che non viene richiesta una particolare specializzazione: anche chi offre solo braccia e non parla bene l italiano può destreggiarsi senza particolari difficoltà. A ciò va aggiunto che il lavoro di facchinaggio, considerato poco appetibile dagli italiani, risponde invece alle attese degli immigrati perché, oltre a consentire le pratiche per il permesso di soggiorno, permette un reddito immediato, anche quando non trasparente né correlato a contribuzione pensionistica o a particolari status professionali. Va sottolineato che gli immigrati che già si trovano nella cooperativa fungono, spesso, da canale di reclutamento e da garanti per altri connazionali; con un effetto di segmentazione etnica che, prima 18

21 di strutturarsi all interno dei magazzini e nelle condizioni di lavoro, si definisce nelle dinamiche che caratterizzano il mercato del lavoro. Come ci ha detto un responsabile di cooperativa: Esistono cooperative che hanno proprio le etnie differenti, che le impiegano come tali. Cioè se hanno una certa commessa in cui sono richiesti venti lavoratori non mettono cinque marocchini, cinque ghanesi, cinque senegalesi e cinque cingalesi. Mettono probabilmente venti marocchini o venti bengalesi. Questa è la situazione. E magari, se ce lo mettono, mettono il capetto della loro nazionalità, in modo che sia lui a gestire le eventuali difficoltà nell organizzazione del lavoro. Le nazionalità più presenti in Veneto paiono essere i rumeni e gli africani (Marocco, Senegal, Nigeria ), seguiti da cinesi, lavoratori provenienti dall est europeo extra UE, cingalesi. La strada dell integrazione appare ancora lunga. Le testimonianze raccolte indicano una gamma di comportamenti assai diversificata verso i lavoratori immigrati: a volte essi sono maltrattati, perchè stranieri e ricattabili, o è discriminata una specifica etnia per l intolleranza e il razzismo di un singolo dirigente: [ ] in quel cantiere dove la cooperativa fa facchinaggio c è il capo del magazzino dell azienda committente che gli stanno sulle palle i negri e gli sono simpatici i marocchini o viceversa o più semplicemente gli sta antipatico uno e dice Mi, a ti qua non te voi! (Io, te qui non ti voglio) ; il risultato è che questo lavoratore, visto che la cooperativa ci tiene a tenere quel cantiere, quel lavoratore in quella sede non ci va più a lavorare, e se è una cooperativa che un po ci sta, che insomma ha con lui un rapporto umano, prova a trovargli posto da un altra parte. Ma se quella condizione non c è oppure è una cooperativa che non ha interesse a fare niente di tutto questo, semplicemente gli dice Per te non c è più lavoro. E parte quella, quella trafila della vertenza improbabile, impossibile, insensata, che è l unica cosa che prova a fare il sindacato. In altre situazioni, invece, abbiamo raccolto convinzioni diverse, secondo cui gli immigrati sono ormai fondamentali per il funzionamento del comparto. E la loro massiccia presenza implica la necessità di fare i conti con culture diversissime, che non influiscono solo sulle relazioni tra etnie e tra persone, ma anche sulla concezione del lavoro, dei diritti/doveri, per non dire dell idea di sindacato, di organizzazione e di tutela collettiva. Uno dei presidenti intervistati ha sostenuto che le differenze di comportamento sono visibili: gli arabi sarebbero come dei mercanti che trattano sullo stipendio e su tutto, anche quando le regole sono chiare ed uguali per tutti i soci; gli africani, se hanno necessità di lavorare e vengono assunti, sono giudicati più disponibili verso il lavoro stesso e le condizioni dettate dalla cooperativa. Salari, orari, normative Salari Le retribuzioni e le normative all interno delle cooperative, com è evidente da quanto detto sin qui, discendono dalla competizione selvaggia vigente nel comparto, che moltiplica il non rispetto degli accordi, l irregolarità, il lavoro grigio e nero. Anche per quanto riguarda le retribuzioni, bisogna ripartire dalla legge 142/01 che prevede a favore dei soci-lavoratori l applicazione dell art. 3 secondo cui il trattamento economico non potrà essere inferiore ai minimi previsti, per le prestazioni analoghe, dai CCNL di settore o di categoria affine. Questa norma, formalmente, toglieva alle cooperative il vantaggio sul costo del lavoro dovuto all utilizzo del socio-lavoratore, che si retribuisce in misura inferiore al lavoratore dipendente nello stesso momento in cui gli si chiede piena disponibilità su orari e flessibilità del lavoro; e senza nessun riconoscimento concreto sul versante della democrazia e della partecipazione alla vita dell impresa. La L.142/01 pareva aprire, quindi, una stagione, rivendicata da sempre dai lavoratori e dal sindacato, di trasparenza e di concorrenzialità tra imprese non sul lato dei costi ma su quello del progetto industriale, dell organizzazione e della qualità In precedenza i salari erano fissati sulla base del DPR 602/ 70 (art 4 e 6)- dalle Commissioni provinciali per la disciplina del facchinaggio o successivamente, dal 1994, dagli Uffici provinciali del Lavoro. Le stesse Commissioni 19

22 L amara realtà è che la grandissima parte dei lavoratori interessati non ha ancora visto applicata tale norma, a distanza di 8 anni! Con l accordo del 27 giugno 2002, siglato da Cgil, Cisl, Uil e dalle tre Centrali cooperative, si individua nell applicazione del Ccnl dell Autotrasporto, Spedizione Merci e Logistica del 13 giugno 2000 (poi rinnovato con la dizione Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni, il 29 gennaio 2005) la concretizzazione del già citato art. 3 della L. 142/01. In realtà poco cambia: le singole cooperative osteggiano l accordo, si affacciano sindacati di comodo, troppi soggetti si sfilano, accampando difficoltà economiche o paura di vincoli troppo rigidi: l intesa rischia di saltare alla radice. Le OO. SS. e le tre Centrali, due anni dopo, il 9 novembre 2004, concordano di tenere ferma la corresponsione del salario diretto e, al contrario, di dilazionare nel tempo l applicazione degli istituti contrattuali differiti (tredicesima, quattordicesima,tfr, ferie e festività), con l obiettivo di raggiungere il 100 % di questi ultimi entro il 1 gennaio Quota istituti CCNL % 40% 60% 80% 100% L attesa non è ancora finita. Infatti, il sindacato confederale, pur tra forti tensioni interne, accetta ulteriori dilazioni nel tempo degli istituti (differiti), per ben tre volte: il 14 marzo 2006, il 12 dicembre 2006 ed infine l 11 dicembre Solo l accordo nazionale del 15 luglio 2009 porta il settore del facchinaggio, per quanto riguarda i lavoratori-soci, nell ambito della piena applicazione del Ccnl della Logistica, trasporto merci e spedizioni, che dovrà trovare piena vigenza dal 1 novembre Un percorso estenuante, durato otto anni, che dà la misura delle contraddizioni oggettive del settore, dell incerto radicamento del sindacato e delle condizioni drammatiche di chi vi opera. Gli ostacoli, quindi, alla regolazione sono immensi e non sono mancati nel percorso fatti politici clamorosi, a cominciare dal contratto nazionale siglato il 5 giugno 2006 dall UNCI (Unione nazionale cooperative italiane) e da un organizzazione sindacale autonoma (FAST, Federazione autonoma sindacato trasporti, aderente alla Confsal), inventata e fatta sorgere opportunisticamente nel settore, senza nessuna verifica di rappresentatività; questo contratto abbassa drasticamente le condizioni economiche e normative dettate dal Ccnl siglato da Cgil Cisl Uil, fornisce su un piatto d argento alle cooperative la possibilità di deroga al ribasso e sfida esplicitamente il sindacalismo confederale e le tre Centrali cooperative. Solo recentemente la situazione, tramite la verifica della rappresentatività per le organizzazioni sindacali stipulanti Ccnl o accordi collettivi, ha trovato qualche elemento di chiarezza. L art. 7 comma 4 del Decreto Legge n 248 del 31 dicembre 2007, infatti, definisce i soggetti sociali titolati a siglare accordi sindacali, ovvero: Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria. Molte cooperative, anche in Veneto, adottano il (sedicente) Ccnl UNCI mettendo in atto una vera azione di dumping sociale che, seppur contrastata quotidianamente, lascia i lavoratori in una zona grigia e mette a repentaglio la tenuta dell intero sistema di valori, regole e diritti nelle cooperative che hanno scelto di applicare immediatamente la perequazione dei trattamenti ai propri soci. definivano anche il tariffario che avrebbe dovuto regolare i rapporti di committenza tra azienda madre e cooperativa. Nel tempo l applicazione concreta di tali regole, già di per sé molto farraginosa, si era tradotta in paghe differenziate per ciascuna provincia (!), con contributi calcolati sull anzianità di lavoro nonché sull effettivo orario di impiego (giornaliero e mensile), che rendeva del tutto aleatori la retribuzione e i diritti dei lavoratori. 20

23 Il Ccnl prevede che il salario sia mensilizzato, ovvero, indipendentemente dal numero di giornate lavorate (a meno di assenza ingiustificata, provvedimenti disciplinari che prevedano la sospensione dal lavoro, o scioperi), il lavoratore deve percepire il minimo nazionale conglobato, gli scatti di anzianità, l integrativo regionale o provinciale. Di fatto, il salario nella maggior parte delle cooperative fa riferimento alle ore e alle giornate effettivamente prestate; spingendo le cooperative trasformarsi in agenzie di lavoro a chiamata e i lavoratori a rincorrere la giornata/mensilità piene a qualsiasi condizione, subendo le logiche del vecchio e mai dimenticato caporalato. Il quale, semmai, cambia ancora volto, perché si intreccia alla segmentazione etnica: ogni caporale gestisce e manovra i lavoratori della sua etnia o del suo clan. Esiste inoltre la tendenza di numerose cooperative a sostituire furbescamente le retribuzioni fissate dal CCNL di riferimento con altre indicate dal regolamento interno o stabilite nelle proprie assemblee, a fronte di dati sull andamento dei bilanci che restano del tutto oscuri ai soci-lavoratori. Sono inequivocabili, peraltro, le testimonianze raccolte direttamente sul campo: vi sono soci pagati 6 euro l ora, anche 5 euro, o 4 e mezzo (750 euro/mese!), tutto compreso, senza contributi e altri diritti; con dietro la totale assenza di scrupoli e la malavita. Orari e ammortizzatori sociali Formalmente l orario di lavoro è fissato da CCNL in 39 ore settimanali e la sua distribuzione è demandata ai regolamenti interni adottati ai sensi dell art. 3 del D. Lgs 142/01, nel rispetto del D. Lgs. 66/03. La peculiarità del lavoro in cooperativa è data dall estrema flessibilità organizzativa, con i conseguenti addensamenti e/o allargamenti dell orario di lavoro per rispondere alle infinite urgenze e con la disponibilità del socio-lavoratore ad essere impiegato in cantieri situati in territori diversi: tali flessibilità rende l utilizzo di chi lavora assolutamente concorrenziale rispetto al lavoratore dipendente, ma, ovviamente, tacita e nega i suoi diritti. I lavoratori soci del settore del facchinaggio sono ancora oggi privi di assicurazione per l indennità di disoccupazione o altro ammortizzatore sociale (art. 1, D.P.R. 30 aprile 1970 n 602 in più occasioni confermato); solo i recenti provvedimenti emanati dal Governo nel biennio a fronte della crisi occupazionale hanno preso in considerazione il settore, garantendo anche ai lavoratori delle cooperative un qualche sostegno al reddito. La consistente massa di denaro pubblico destinata agli ammortizzatori sociali per affrontare la crisi in atto avrebbe consentito di riformare gli istituti (disoccupazione, cassa integrazione ordinaria e straordinaria), offrendo omogeneità di trattamento a tutti i lavoratori; il Governo ha scelto diversamente, ottenendo risultati contradditori e riconfermando le differenziazioni tra settori e tra territori. Gli accordi regionali per la cassa integrazione in deroga, infatti, a tutt oggi possono prevedere soluzioni e condizioni diverse, complicando il quadro normativo anziché semplificarlo. Si è detto in precedenza che la vita delle società cooperative è molto spesso inferiore a due anni; ciò coincide, guarda caso, con due normative del CCNL: 1. il primo scatto di anzianità matura dopo due anni dall assunzione; 2. il lavoratore, dopo aver svolto il periodo di prova previsto contrattualmente (dieci giorni lavorativi), è assunto al 6 livello; dopo 18 mesi, egli viene automaticamente inquadrato al livello superiore (5 ). Nei cambi d appalto le cooperative puntano a far perdere a chi lavora i diritti, costringendo il sindacato, laddove è presente, ad un contrasto infinito, al fine di salvaguardare con accordi specifici l anzianità maturata dal socio-lavoratore. Complessivamente, la situazione è assai critica, e non è raro che le condizioni di lavoro siano più prossime alla condizione servile che al normale rapporto di lavoro dipendente. L impegno del sindacato e quello degli organismi ispettivi dovrebbe saldarsi per trovare efficacia; ma, come detto, siamo assai lontani dagli obiettivi da tutti, a parole, auspicati. 21

24 Infortuni e sicurezza sul lavoro Il facchinaggio è un comparto ad alto rischio di infortuni sul lavoro. Secondo l elenco pubblicato dall INAIL in un recente manuale di primo soccorso in azienda esso risulta avere uno dei più alti indici infortunistici di inabilità permanente (15,99 per 100 addetti), addirittura superiore a quello delle lavorazioni meccanico-agricole, classico settore individuato come ad alto rischio 13. L Inail ha inserito come a rischio il settore trasporti, magazzinaggio e comunicazioni, dove magazzinaggio identifica le principali attività svolte dalle cooperative (tabella 4). Tabella 4: Focus su alcuni settori a rischio. I trasporti, Magazzinaggio e Comunicazioni. Tipo di lavorazione Infortuni Casi mortali Trasporti terrestri Indice di Variazione % su indice frequenza medio Industria e servizi Trasporti marittimi (*) (30,79) Trasporti aerei Attività di supporto ed ausiliarie dei trasporti , ,46 Poste e telecomunicazioni Trasporti e comunicazioni * infortuni indennizzati per mille addetti media ultimo triennio consolidato. Fonte: La frequenza degli infortuni imporrebbe un attenzione maggiore da parte degli operatori. Chi ha condotto le interviste si aspettava un fuoco di fila di argomenti e obiettivi a tale riguardo; invece, gli infortuni e la sicurezza sono rimasti sulla sfondo, quasi sottaciuti, addirittura da parte di molti sindacalisti. Questo dato impone una riflessione profonda. Gli intervistati che ne parlano fanno riferimento alla mancanza di adeguati controlli da parte degli organi preposti e alle difficoltà che si presentano qualora, avendo la cooperativa un appalto all interno di un altra ditta, si voglia risalire alla responsabilità sul tema sicurezza dei lavoratori. Il Testo Unico in materia di sicurezza, D.lgs. 81/2008, disciplina chiaramente questa situazione. Esso infatti non solo equipara il socio di cooperativa al lavoratore, cioè a colui che svolge un attività lavorativa nell ambito dell organizzazione di un datore di lavoro 14, ma sancisce anche la responsabilità in solido tra committente ed appaltatore, in relazione ai diritti dei lavoratori occupati nell appalto, in diversi ambiti: retribuzioni, contributi, sicurezza nel lavoro (salvo quando i danni subiti siano causati da rischi specifici dell attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici) 15. Questione cruciale, ripresa anche dalla Regione Veneto nelle linee informative per la prevenzione nella movimentazione merci: Nelle attività sulle banchine merci, all interno dei magazzini e dei depositi delle società di trasporto, si trovano a lavorare insieme operatori di diverse appartenenze societarie (personale delle società di autotrasporto, cooperative di facchinaggio, autotrasportatori, sia lavoratori autonomi che dipendenti). Il coordinamento delle azioni ai fini della sicurezza costituisce un aspetto necessario ed importante della prevenzione in quanto impone alla società/ente che sovrintende alle attività di movimentazione e trasporto di effettuare una valutazione preventiva delle capacità, delle risorse, degli assetti organizzativi posseduti dalle società affidatarie e di fornire alle stesse dettagliate informazioni sui rischi lavorativi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro; acquisita l'idoneità delle imprese, rimane il problema del coordinamento ai fini della sicurezza, che, considerato la specifica attività lavorativa, richiede un grande impegno [ ]. 16 Il tema della responsabilità solidale è centrale sia per la sicurezza sul lavoro sia perché in base ad essa si possono coinvolgere i committenti delle cooperative affinché diminuisca la diffusione di 13 Bellina L., Moro G., Manuale di primo soccorso in azienda, Conegliano (Tv), ANMeLP, 2009, p AAVV, Igiene e sicurezza sul lavoro, Milano, Ipsoa Francis Lefebvre s.r.l., 2008, p AAVV, Igiene e sicurezza sul lavoro, Milano, Ipsoa Francis Lefebvre s.r.l., 2008, p Salute e sicurezza del lavoro nella movimentazione delle merci. Linee informative per la prevenzione. Prodotto del Piano regionale di prevenzione e promozione della sicurezza e della salute negli ambienti di lavoro,

25 cooperative di facchinaggio irregolari attraverso l utilizzo della culpa in eligendo. Il Testo Unico in materia di sicurezza prevede infatti che il committente verifichi l idoneità tecnico-professionale delle imprese in riferimento ai lavori da affidare 17. In fase transitoria la legge prevede che l appaltante verifichi il possesso da parte della cooperativa del certificato di iscrizione alla Camera di commercio che, come già detto, pochissime cooperative possiedono. L altro lato del problema su cui investire è la consapevolezza del rischio da parte dei lavoratori e l applicazione rigorosa da parte loro delle norme di prevenzione e sicurezza. Non occorre ribadire che tali norme vengono di fatto svuotate, o risultano di difficilissima applicazione, nella misura in cui l organizzazione del lavoro si fa selvaggia e a chi lavora viene chiesta disponibilità totale negli orari, nello sforzo fisico, nei carichi di lavoro tutte cose che espongono agli infortuni. Sia la formazione (preventiva) dei lavoratori sui rischi per la sicurezza, sia l informazione sugli stessi appaiono dalla nostra ricerca del tutto sporadiche e comunque del tutto inadeguate. Manca, in realtà, una cultura della sicurezza, che dia forza a chi si oppone a condizioni di lavoro brutali, che costituisca un vincolo materiale (e morale) per i responsabili e sostenga la diffusione di comportamenti coerenti alla prevenzione. Si legga la testimonianza di un lavoratore: Gli devi ovviamente insegnare il lavoro. Questa è una formazione che facciamo noi perché l azienda non ti fa nessuna formazione, ti chiede il risultato. Noi principalmente lì usiamo tutti quanti carrelli elevatori, perché ovviamente il peso del materiale c è quindi a mano viene fatto pochissimo, quindi viene insegnato ad usare un carrello elevatore, bisogna stare attenti, insegnare a non far danni, la cosa principale. Il presidente della stessa cooperativa, presente durante queste affermazioni, è immediatamente intervenuto per sottolineare l importanza della formazione proprio per evitare, per prima cosa, che le persone si facciano male. Come sarebbero necessarie e non vengono effettuate- le visite mediche periodiche, nonostante il lavoro svolto renda necessario notevoli sforzi fisici per molte ore al giorno, con movimenti logoranti e prestazioni svolte in difficili condizioni ambientali. Solo che non credo che esista facchino che abbia fatto una visita medica, dice un altro lavoratore. Il settore, quindi, nonostante la presenza di innumerevoli problemi legati alla sicurezza sul lavoro, non è oggetto di particolari controlli da parte degli organi competenti. Un medico dello SPISAL ha affermato di non aver mai controllato una cooperativa di facchinaggio; e che, nel territorio di sua competenza, l organo di sorveglianza riesce a visitare ogni anno ca aziende sulle esistenti: la media aritmetica direbbe che servono 25 anni perché un impresa veda ripassare il controllo! Né risultano iniziative specifiche da parte della Direzione Regionale per la prevenzione degli infortuni, come invece succede per altri settori a rischio come l edilizia, il legno e l agricoltura. Sindacato e cooperative di facchinaggio La presenza del sindacato nel mondo delle cooperative è antica e controversa. Il comparto, anche in Veneto, risulta assai poco sindacalizzato; i primi Accordi integrativi provinciali e regionali in cui si citano le cooperative di facchinaggio datano agli anni 70. Gli iscritti alle Federazioni Filt CGIL, Fit CISL e Uilt UIL, al 2008, sono in Veneto complessivamente ca 4.000, con un tasso di sindacalizzazione del 12% (sulla base, ovviamente, della stima sugli addetti da noi compiuta). Nel corso della ricerca è stato possibile incontrare dirigenti di cooperative per i quali la presenza dei sindacati è vista come un elemento positivo che garantisce trasparenza e sicurezza, perché ci si allea con il sindacato contro le cooperative irregolari o spurie. In realtà, però, la disponibilità verso il sindacato non è diffusa. Molti dei sindacalisti intervistati hanno sottolineato come sia difficile entrare in contatto con i lavoratori di questo settore, sia per la scarsa comprensione dell italiano, nel 17 AAVV, Igiene e sicurezza sul lavoro, Milano, Ipsoa Francis Lefebvre s.r.l., 2008, p

26 caso dei lavoratori immigrati, sia per la dispersione territoriale dei cantieri e l altissima mobilità di chi vi opera. Tra gli immigrati, oltre alla difficoltà linguistica, manca la conoscenza del sindacato: molti dei lavoratori provengono da paesi con culture e organizzazione del lavoro completamente differenti che non contemplano un azione collettiva coordinata da strutture come i sindacati, tipica del mondo industriale del europeo e americano. Per la maggior parte, i soci di cooperative arrivano al sindacato attraverso gli Uffici Vertenze, alla conclusione, quindi, del rapporto di lavoro, per il recupero della mancata corresponsione del salario o per altri contenziosi individuali, e spesso gli interessati risultano inconsapevoli del proprio status di soci-lavoratori. Il ricatto, come in tanti lavori atipici, è un arma sempre efficace: il lavoratore può non solo subire ritorsioni da parte degli amministratori 19, con sospensioni dal lavoro o cambio di orario e/o di cantiere, ma rischiare addirittura l allontanamento dalla cooperativa stessa. Quando il tutto non si traduce in comportamenti odiosi e razzisti. Uno dei sindacalisti intervistati afferma: Alcune cooperative, sostanzialmente, facevano business facendosi pagare dagli immigrati all atto dell assunzione; insomma, per ottenere il permesso di soggiorno, la maniera più facile per trovare un supposto lavoro, è quella di farsi assumere da una cooperativa di facchinaggio Si leggano nella ricerca i due racconti di recenti vertenze sindacali (TNT e Ferrero): essi parlano di più di tante considerazioni astratte. Ma, oltre le specifiche situazioni, c è un punto teorico e politico che rende controversa la presenza del sindacato nelle cooperative (fatta salva la contrattazione integrativa) e che tocca l essenza della cooperazione: una società cooperativa che rispettasse la propria originaria ispirazione e struttura democratica, assicurerebbe al socio un protagonismo diretto nella conduzione strategica della società e, a fronte di un buon andamento economico della stessa, il pieno godimento dei diritti sul terreno retributivo e normativo; democrazia economica e rispetto dei diritti coinciderebbero. Ben diversamente, quindi, dalla logica di funzionamento dell impresa capitalistica, che è non solo tesa al profitto dell imprenditore, ma, sulla base di un'asimmetria informativa, esclude la manodopera e le sue rappresentanze dalle decisioni strategiche. Abbiamo visto che nel farsi concreto della cooperazione non è così, neppure quando, dopo la legge 142/2001, il legislatore ha deliberato sulla doppia presenza del socio. Per non dire di quante contraddizioni si è caricato il percorso storico durante tutto il 900: in certe congiunture storiche, sindacato e cooperazione uniti nell intento di offrire tutela ed emancipazione a fasce di lavoratori marginali e a rischio di esclusione; talora, invece, ai ferri corti quando i comportamenti concreti delle cooperative le fanno assomigliare alle peggiori imprese private. Una cooperativa, in sintesi, ha due vie per vivere: omologarsi ad una impresa capitalistica o accentuare sempre di più le caratteristiche distintive della cooperazione 20. Per esempio, la cooperativa può giocare sulla flessibilità che la caratterizza rispetto ad un impresa privata, può compensare le piccole dimensioni attraverso la creazione di consorzi cooperativi, può offrire dei prodotti di nicchia o può specializzarsi in un determinato servizio in modo da reggere meglio di altri la competitività: in questi casi la mutualità non contrasta con l efficienza, anzi la rafforza. Come sostiene Pilati, mutualità non si deve confondere con altruismo: non si tratta di un rapporto morale, ma di un gioco di reciprocità economica frutto della convergenza di ben precisi interessi economici individuali, e quindi non deve intendersi in contrasto con la redditività. Risulta indispensabile, però, che la strategia della cooperativa raggiunga una sorta di equilibrio tra gli 18 Ballarino G. (a cura di) Il sindacato dei trasporti all inizio del nuovo millenni. Temi e problemi dell attività della FILT-CGIL lombarda dal VII al VIII Congresso, gennaio Ballarino G. Contrattare l eterogeneità: il sindacato lombardo e la rappresentanza del lavoro atipico, in Lavoro e sindacato in Lombardia. Contributi per interpretare il cambiamento, a cura di D. Checchi, P. Perulli, I. Regalia, M. Regini, E. Reyneri, Franco Angeli, Milano Pilati L., L impresa cooperativa nella programmazione socio-economica, in Scaglia A. (a cura di), Regole e Libertà. Pianificazione sociale, teoria sociologica, ambiti e tecniche d intervanto, 1999, Milano, Franco Angeli, p

27 interessi di tutte le persone coinvolte. Di nuovo rimandiamo ai due casi di buone pratiche, Aster Coop e Nuova Trasporti. Se ciò non avviene, il rischio che la cooperativa diventi spuria è alto. Gli intervistati hanno evidenziato a gran voce che oggi nel settore esistono molte cooperative che mantengono solo formalmente la forma cooperativa, ma che nella gestione dei lavoratori applicano impostazioni tipiche dell impresa capitalista: meglio, in questi casi, togliere le finzioni e portare a trasparenza le cose. Il rischio cresce man mano che la cooperativa aumenta il proprio personale, perché diventa necessario effettuare una divisione del lavoro e, di conseguenza, creare una direzione specializzata 21, che avoca a sé le decisioni strategiche, svuotando il rapporto democratico con i soci. Sintomatiche le parole di uno dei presidenti intervistati: Perché non riesci a stabilire gli stessi rapporti. Certo, con Giovanni, che era uno dei primi, si era quasi amici più che lavoratori, colleghi di lavoro. [ ] Non posso avere lo stesso rapporto con Irina, anzi penso che Irina sia forse la prima volta che mi vede. Quindi è ovvio che non puoi avere un rapporto come con le prime trenta persone. Con le altre è così, cioè ti perdi.[ ]. Lui ha anche una certa storia e quindi ha anche un certo amore per la cooperativa loro non possono avere idee, almeno non si può chiedere ad una persona che è da due mesi o da tre mesi che è qui. Insomma, non lo pretendo neanche. Se a lui chiedo determinati sacrifici, so che ho determinate risposte, a loro non lo chiedo neanche Chi diventa socio-lavoratore di una cooperativa già avviata, e non ha mai avuto esperienze in questo mondo, non conosce i meccanismi che invece dovrebbero essere patrimonio di tutti. Si profila quindi una situazione di disparità in cui, se non vi è coerenza e rigore da parte della direzione, si possono creare tutta una serie di abusi nei confronti degli ultimi arrivati. Merita di essere riportata qui la strategia di coinvolgimento adottata da una grande cooperativa da noi visitata in caso di nuovi appalti, e quindi nel momento in cui serve selezionare e assumere nuovo personale: Quando devo inserire personale in un appalto da avviare, [ ] lì organizziamo dei corsi di formazione in aula che durano quaranta ore, cinque giornate, dove un gruppo di trenta persone, perché lo facciamo massimo trenta persone per volta, stiamo insieme cinque giorni e presentiamo intanto i valori della cooperativa, le sue regole, il suo statuto, le sue procedure operative, la sicurezza e la prevenzione che fanno parte dei valori aziendali. Dopo che abbiamo trascorso cinque giornate assieme, il lavoratore si è fatto un idea di che tipo di cooperativa ha di fronte e decide se fermarsi o meno, perché lo decide in quella fase lì; abbiamo visto che porta ad ottimi risultati rispetto a quello che passa attraverso il colloquio di un quarto d ora [ ] Va anche ricordato che, sempre in questa cooperativa, per i primi due anni al neo-assunto viene condizionato l accesso ai diritti e alle responsabilità del socio, al fine di permettergli di farsi un informazione adeguata del contesto in cui opera, prima di avere diritto di voto; inoltre, la quota da versare per associarsi ad Aster Coop è molto elevata, in modo da responsabilizzare chi condivide il progetto della società. In Aster Coop, peraltro, è presente il sindacato e c è contrattazione sindacale. Dalle interviste emerge che i sindacalisti trattano alla stessa stregua la cooperativa spuria e quella irregolare, eppure si tratta di una distinzione fondamentale, perché si può ipotizzare che far vivere all interno delle cooperative lo spirito democratico, di corresponsabilità diventa anche la strada più efficace per risolvere l irregolarità di mercato: laddove i soci possono intervenire, fanno valere sia i propri diritti di cooperatori sia le scelte strategiche che consentono di superare l irregolarità. A tal proposito Pilati sottolinea che l osservazione empirica delle cooperative insegna che la coesione della compagine dei soci è la miglior garanzia del rispetto delle regole AAVV, Autogestione e azione sindacale, Prospettiva sindacale, n. 46, anno XIII, dicembre 1982, p Pilati L., L impresa cooperativa nella programmazione socio-economica, in Scaglia A. (a cura di), Regole e Libertà. Pianificazione sociale, teoria sociologica, ambiti e tecniche d intervanto, 1999, Milano, Franco Angeli, p

28 Per ottenere dei risultati ulteriori sarà necessario potenziare la normativa già esistente che regola la posizione del socio-lavoratore, aumentare i controlli da parte degli organi competenti e praticare un attività capillare di formazione e informazione dei lavoratori, in modo che chi si trova a lavorare per una cooperativa abbia chiaro come poter essere davvero imprenditore di se stesso. Gli effetti della crisi economica attuale Nelle interviste sono stati espressi diversi pareri sull attuale situazione economica del Paese. Alcuni testimoni temono di assistere a un peggioramento dell occupazione e delle condizioni di lavoro dei soci-lavoratori, nel caso le aziende appaltatrici riducano le spese legate al magazzinaggio e alla logistica. Un ulteriore effetto negativo potrebbe essere la diminuzione di controlli che spesso viene ridotta in tempi di crisi: se le istituzioni e gli organi ispettivi dovessero abbassare la guardia, la crisi economica farebbe proliferare il cono d ombra delle cooperative: Qui serve una volontà politica di orientare le risorse in questo momento c è disattenzione, non c è da parte delle istituzioni quella attenzione che serve e la nostra preoccupazione è che in un momento di crisi questa attenzione sia ancora più bassa, nel senso che si rischia di accettare l esistente, proprio in nome di una crisi che comincia a mordere. I colloqui, d altro canto, hanno messo in luce anche delle possibili evoluzioni positive del settore, sempre indotte dalla crisi, come una forte selezione qualitativa tra le cooperative. Per affrontare una crisi è necessario possedere risorse organizzative e finanziarie, che permettano la sopravvivenza della cooperativa, nonché una visone prospettica delle cose. Uno degli intervistati ha sostenuto che nella propria cooperativa il problema si sta affrontando sia con l impegno del gruppo dirigenziale, che si tiene costantemente aggiornato sui cambiamenti ed è pronto ad assumere le scelte necessarie, sia bloccando le assunzioni e facendo leva sulla flessibilità: [ ] lavoriamo in flessibilità, se qualche extracomunitario vuole andare a casa, va a casa adesso, perché magari in agosto saremmo incasinati; lavorando con extracomunitari, quando vanno giù in Senegal non vanno via quindici giorni, vanno via quarantacinque giorni, e però riusciamo sempre a far ruotare gli ingranaggi, senza mancare al nostro lavoro. Solo negli ultimi mesi si è aperto uno spazio per l utilizzo degli ammortizzatori sociali nelle cooperative, in particolare con l accordo siglato in Regione Veneto il 30 marzo 2009; ma la convinzione prevalente nel settore è quella di fare affidamento sull adattabilità acquisita durante l esperienza lavorativa in cooperativa, come risorsa anche nella crisi o, addirittura, in caso di perdita del lavoro. Diversi dei nostri intervistati ritengono che le preoccupazioni siano proprie dei dipendenti fissi, incapaci di adeguarsi a nuove situazioni. Riemerge qui, in altre parole, una cultura antica, la memoria originaria della mutualità; che diventa, ovviamente, precarietà quando si applica ad individui isolati o a gruppi di lavoratori deboli sul mercato del lavoro. Significativo il caso di una media cooperativa di Treviso, nata alla fine degli anni 80, in un altra fase di forte ristrutturazione del comparto, come risposta al fallimento di una delle grandi compagnie nazionali di autotrasporto. I lavoratori si sono costituiti in cooperativa, hanno rilevato le strutture aziendali, hanno difeso il proprio posto di lavoro e la cooperativa continua anche oggi, con circa 70 soci, la sua avventura. Esperienze che potrebbero suggerire qualcosa anche nell attuale crisi economica: non possiamo escludere l apertura di nuove cooperative per scongiurare la perdita del posto di lavoro di molti facchini. Ma il punto decisivo appare quello di attuare politiche atte a selezionare drasticamente nel settore tra buone cooperative e cooperative alla deriva e di misurare su questo obiettivo anche l azione del sindacato nella crisi. La crisi è sempre anche mutamento. Qualche conclusione Il nostro lavoro aveva il compito di mettere in luce la complessità e i punti critici del comparto. Ci pare doveroso, in conclusione, evidenziare delle linee possibili di regolamentazione dello stesso e di una sua evoluzione positiva. 26

29 A livello economico i problemi da affrontare risultano essere sostanzialmente tre. Innanzitutto le cooperative di facchinaggio sono utilizzate dalle aziende committenti per risparmiare sui costi: occorre evitare che le gare di appalto indette dalle aziende committenti si basino sul massimo ribasso, perché chi ne paga gli effetti sono i lavoratori. Lo sfruttamento dei lavoratori è la seconda criticità, dovuta non solo alla continua rincorsa al ribasso sui costi ma anche alle stesse cooperative di facchinaggio allorchè, al loro interno, manager privi di scrupoli cercano di fare risultato sulle spalle dei soci/dipendenti. Infine, e non ultima per importanza, va ricordata l azione di dumping sociale agita dalle cooperative spurie nei confronti di quelle che rispettano leggi e contratti. Per quanto riguarda le criticità sociali si è potuto osservare la progressiva perdita di talune professionalità pregiate, come ad esempio la figura del magazziniere esperto: skills che tradizionalmente venivano formate e tramandate tra lavoratori della stessa azienda sono andate disperdendosi, a causa dell elevato turnover e dell improvvisazione. Si alimenta così un circuito vizioso: le cooperative vengono scelte soprattutto da persone con bassa scolarità e bassa professionalità, a discapito della qualità complessiva del settore stesso e di una ridotta capacità di autotutela dei lavoratori. Con il paradosso conseguente: peggiorare ulteriormente la condizione delle cooperative della movimentazione merci, proprio mentre la logistica diventa sempre più importante per le imprese e per il sistema economico. La precarietà della situazione del socio lavoratore è più grave per i soci immigrati, la cui permanenza nel territorio italiano è legata ad un contratto di lavoro: un lavoratore rischia di dover accettare il proprio sfruttamento, talvolta al limite del lavoro servile, pur di non perdere il permesso di soggiorno all interno del nostro Paese. Uno dei fini nobili della cooperazione è sempre stato, fin dall inizio, quello di procurare occasioni di lavoro dignitose ai soci. E opportuno rinfrescare l attualità di questo principio di fronte a troppe situazioni in cui, per garantire comunque occupazione, si mettono a repentaglio i diritti essenziali di chi lavora. Chi viene da altri Paesi non conosce l Italia, la sua storia, le relazioni sindacali: una società accogliente deve saper parlare loro e, attraverso la formazione, far conoscere i doveri e i diritti, a partire da quello alla sicurezza. L organizzazione del lavoro deve trasformarsi attraverso investimenti di modernizzazione del ciclo produttivo, in cui donne e uomini siano considerati persone, non braccia da lavoro. Il mondo della cooperazione deve fare la sua parte, a cominciare dall applicazione di leggi e contratti, e contemporaneamente occorre intervenire sulle aziende committenti, che devono continuare ad investire sulle strutture della logistica legate ai loro impianti. La ricerca ha messo in luce come nel corso degli anni lo spirito di mutualità e di partecipazione democratica all interno delle cooperative si sia affievolito. Esistono casi positivi, che abbiamo voluto documentare, ma rischiano di costituire l eccezione piuttosto che la regola. Far vivere forme di democrazia industriale o economica comporta, nel contesto tecnologico e produttivo odierni, una stagione nuova di creatività e di rigore in chi dirige le cooperative e nelle loro associazioni. Altra criticità sociale riguarda i rapporti che si instaurano tra soci-lavoratori della cooperativa e dipendenti della ditta committente. Abbiamo potuto rilevare sia casi dove tali rapporti mancano del tutto, sia situazioni in cui si creano scontri tra le due fazioni: sono situazioni a rischio, perché i destini dei lavoratori sono intrecciati. In particolare, la comunicazione e l alleanza tra segmenti diversi di lavoratori che operano nello stesso sito devono diventare obiettivo del sindacato confederale, perché anch esso misura qui la coerenza con i propri principi. Anche, e soprattutto, a fronte di retribuzioni e normative fortemente differenziate, fissate dai vari contratti, o delle cooperative furbe, che giocano sull incertezza e sulla mancanza di controlli. Troppo scarsi risultano essere i controlli esercitati dagli organismi ispettivi sia sui rapporti tra cooperative e committenti sia sull applicazione delle norme di legge e contrattuali all interno delle cooperative. E il motivo principale di tale carenza viene identificato non tanto in una scarsa disponibilità di persone e risorse, che comunque c è, specialmente in alcune province, ma nella mancanza di una precisa volontà politica. All interno del sindacato sembra prevalere un certo scetticismo sulla capacità di intervenire sul comparto per affermare i diritti di chi vi lavora, se non addirittura il pessimismo. Probabilmente a 27

30 causa dal fatto che i soci lavoratori si rivolgono alla Cgil solo quando sorgono dei problemi individuali e l azione di tesseramento e di radicamento ottiene scarsissimi risultati. È necessario, probabilmente, un nuovo approccio. Per prima cosa, con la collaborazione dei delegati e delle RSU attive nelle aziende committenti, bisogna coinvolgere i lavoratori delle aziende-madri nella difesa dei soci cooperatori. Bisogna poi rivedere il tipo di contrattazione: è più che mai necessario istituire la contrattazione di sito e inventare quella territoriale, imparando dai casi positivi e facendoli circolare sia nella Filt che nelle altre categorie coinvolte. Per praticare strategie e politiche comuni, visto che le terziarizzazioni e il facchinaggio coinvolgono ormai tutti i settori lavorativi. In prospettiva, e alla luce dell esperienza maturata in altri comparti dei trasporti, un Ente bilaterale del facchinaggio potrebbe diventare un luogo di condivisione di medio-lungo periodo tra le parti contraenti, dove poter affrontare alcuni dei temi aperti. Si tratta di istituti di origine contrattuale (nazionale o territoriale), che raccolgono risorse dai due soggetti, in questo caso lavoratori e cooperative, al fine di erogare prestazioni in caso di sospensione dal lavoro, integrazione di specifiche spese mediche, conseguimento di patenti particolari. Particolare rilievo, nella fase di crisi economica in atto, ma anche successivamente viste le caratteristiche del comparto, hanno le politiche di ricollocazione dei lavoratori in esubero e/o nei cambi d appalto. Peraltro, l Ente bilaterale è parte della piattaforma integrativa regionale (in discussione mentre noi scriviamo) presentata alle Centrali Cooperative dai sindacati confederali del Veneto; e l Ente è inserito anche nella piattaforma per il rinnovo contrattuale del comparto che la Filt Cgil nazionale sta elaborando. Non è immaginabile, e neppure augurabile, come pure si sente dire, il superamento definitivo della forma cooperativa di impresa; e non solo per fedeltà formale alla Costituzione, ma perché nella cooperativa vivono istanze di libertà e di auto-organizzazione che appartengono alla storia del movimento operaio. Ma non è nemmeno pensabile che la situazione delle cooperative della movimentazione merci rimanga così frammentata, sfrangiata, disorganizzata. Il settore del facchinaggio appare oggi in balia di una deriva pericolosa ed è quindi necessario e urgente intervenire per riqualificarlo e progettare una sua evoluzione positiva. I diversi attori devono individuare una strategia condivisa, all interno della quale gli interessi e le azioni di ognuno rispondano ad una logica comune, e mettere a sistema le energie sufficienti per un inversione di tendenza. 28

31 Le cooperative di facchinaggio e movimentazione merci tra (de)regolazione del lavoro e diritti negati Gaetano Zilio Grandi Premessa Questo articolo prende spunto da un idea: quella per cui nell effettivo svolgimento delle relazioni collettive e di lavoro gli istituti giuslavoristici, pur rilevanti e storicamente deputati alla difesa del contraente debole del rapporto di lavoro, finiscono per perdere mordente, e talora per produrre un eterogenesi dei fini passando da una funzione al suo esatto contrario. Invero, dopo un lungo tragitto, il diritto del lavoro come lo si è sempre inteso appare in difficoltà, stretto nella morsa di un economia globale (splendida la metafora dell azienda alla stregua di una tenda, che si pianta e si sposta dove conviene) e di fattori al contrario tutti locali, tipicamente italiani, facilmente individuati nella tensione verso una sempre maggiore flessibilità, nel e del lavoro. A noi pare, tuttavia, che il problema non stia nel come il legislatore, di qualunque parte politica, ha inteso muoversi, posto che di flessibilità si parla oramai da 25 anni. Piuttosto la questione è se, ancor oggi, il diritto del lavoro possa e riesca a svolgere la propria funzione, ovvero abbia esaurito la sua carica estensiva e distributiva, ripiegando mestamente, ma a nostro avviso non troppo, verso un diritto dell impresa, sul presupposto che senza l impresa, è noto, non esiste lavoro, ed il new deal appare dunque quello di spostare le attenzioni verso quest ultima e altresì verso il mercato del lavoro. Ciò anche sulla base della considerazione, tutt altro che infondata, che forse oggi non è tempo di distribuire tutele a chi ne possiede in abbondanza ma, al contrario, di riservare attenzioni e tutele (in termini di diritti nel mercato, nel rapporto e nella previdenza) a coloro che ne sono sprovvisti e che vengono ormai definiti in modo talora residuale outsiders, quando residuali non sono forse più. Ebbene, la vicenda contrattuale sulla quale si è ritenuto di soffermare l attenzione appare un perfetto caleidoscopio di quanto brevemente premesso: normative di tutela storiche e rigide, contrattazione collettiva conseguente, presenza sindacale non diffusa, prassi applicative distorte, mancanza di tutele là dove si pensava che la tutela avesse raggiunto il massimo livello, verifica di quella eterogenesi dei fini delle norme pensate ed interpretate per il lavoratore e poi ripensate per l impresa. La domanda che dobbiamo porci, alla fine di questa discussione, a nostro avviso, sarà se il caso delle cooperative di facchinaggio di trasporto/movimentazione merci, oggetto di un apposita ricerca Ires Veneto, risulta un caso isolato; e se la risposta dovesse essere negativa allora dovremmo, in tutta fretta, preoccuparci. 1. Il contratto di lavoro nell ambito delle cooperative I primi anni del nuovo millennio hanno portato grandi novità nel panorama delle società cooperative, e in particolare delle cooperative di lavoro. Dopo anni di immobilismo legislativo al quale ha fatto opera di supplenza una giurisprudenza non univoca a decorrere dal 2001, si è assistito in merito ad una produzione normativa che ha ridefinito il quadro complessivo della figura del socio lavoratore e dei rapporti intercorrenti tra questi e la cooperativa. Ad integrare questa normativa è intervenuta poi la l. 30/2003 la quale ha provveduto a modificarla in alcune sue parti, originando ulteriori profili di incertezza. L inizio di questa riforma è tuttavia collocabile nella l. 142/2001, definita legge di revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore; tale norma ha apparentemente posto fine al copioso dibattito protrattosi per anni in ordine alla qualificazione del rapporto di lavoro intercorrente tra socio lavoratore e cooperativa. Attraverso la definitiva codificazione del c.d. principio dello scambio ulteriore è stata infatti sposata la teoria in base alla quale il socio lavoratore instaurerebbe con la cooperativa due distinti rapporti: uno sociale e l altro di mera prestazione di lavoro subordinato o autonomo, con la conseguenza che dal tipo di rapporto di lavoro instaurato derivano poi tutti gli effetti di natura civilistica previdenziale e fiscale inerenti, in quanto compatibili con la natura associativa del rapporto medesimo o con soggetti terzi, riservando i benefici fiscali alle prime. 29

32 1.1. La nuova disciplina introdotta dalla l. 142/2001 e dalla l. 30/2003: il socio lavoratore di cooperativa La legge di revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla figura del socio lavoratore è entrata in vigore nel maggio del Di seguito, a causa del riscontro di numerose lacune in tale testo normativo, sono state apportate dalla l. 30/2003 alcune modificazioni di non scarsa rilevanza La figura del socio lavoratore All art. 1 della l. 142 viene individuata e definita in positivo la figura del socio lavoratore. Innanzitutto, viene sancito che le disposizioni della legge stessa si applicano alle cooperative (tutte le cooperative) nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio. Così, la prestazione del socio lavoratore sarebbe inquadrabile nell ambito di due rapporti: uno sociale diretto a creare un impresa che procuri lavoro ai soci e ad assicurare agli stessi la ripartizione del guadagno, l altro di mera prestazione di lavoro retribuito e subordinato alle dipendenze della cooperativa. Il socio lavoratore di cooperativa, come sancito dallo stesso art. 1, stabilisce con la propria adesione, o anche successivamente all instaurazione del rapporto associativo, un ulteriore e distinto rapporto con il quale contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali. La legge scinde la posizione di socio da quella di lavoratore, e consente altresì che il socio possa essere ammesso in cooperativa in qualità di socio in attesa che si presentino occasioni di lavoro e solo quando queste ultime si concretizzeranno verrà instaurato l ulteriore rapporto di lavoro. Per quanto riguarda il rapporto ulteriore, la norma precisa che questo può essere svolto in forma di lavoro subordinato o autonomo o in qualsiasi altra forma, specificando che la forma potrà essere altresì quella dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa non occasionale. Dall instaurazione dei predetti rapporti di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti previsti dalle leggi, o da qualsiasi altra fonte in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore Diritti individuali e collettivi del socio lavoratore in cooperativa La disciplina inerente il rapporto di lavoro subordinato troverà integrale applicazione laddove il rapporto con il socio sia inquadrabile nel campo del lavoro subordinato e viceversa per il lavoro autonomo. Lo stesso art. 2 della l. 142/2001 come modificata dalla l. 30/2003 prevede l applicazione dello Statuto dei lavoratori (l. 300/1970), ad esclusione dell art. 18 ogni qualvolta venga a cessare con il rapporto di lavoro subordinato anche quello associativo, e conferma che il rapporto di lavoro potrà cessare in un momento diverso rispetto a quello associativo. La norma in esame prevede altresì che alcune disposizioni della l. 300/1970 trovino applicazione anche nei confronti dei soci che hanno instaurato con la cooperativa rapporti di lavoro autonomo o comunque diversi da quello di lavoro subordinato. Più precisamente, la normativa applicabile è quella relativa ai seguenti articoli: art. 1, inerente la libertà di opinione nei luoghi lavorativi dove l attività viene prestata; art. 8, che vieta al datore di lavoro sia all atto dell assunzione sia nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro di effettuare indagini sulle opinioni politiche religiose e sindacali del lavoratore; art. 14, che prevede il diritto per il lavoratore di aderire ai sindacati e di esercitare la relativa attività all esterno dei luoghi di lavoro; art. 15, che sancisce la nullità degli atti discriminatori, intendendo come tali quelli atti a subordinare l impiego, a licenziare o comunque a discriminare nell assegnazione di qualifiche nei trasferimenti o comunque in altri atti pregiudizievoli il lavoratore a causa della sua affiliazione ad un sindacato o della sua partecipazione ad attività sindacali o a scioperi. Sempre nei confronti di questi lavoratori viene poi precisato che debbano trovare applicazione le disposizioni relative alla sicurezza in materia di lavoro di cui al d.lgs. 626/1994 e al d.lgs. 494/1996, in quanto compatibili con le modalità della prestazione lavorativa. In questo senso, la l. 142/2001 ha anticipato quello che è poi diventato oggetto di estensione alla generalità dei collaboratori coordinati e continuativi attraverso il disposto di cui all art. 66 del d.lgs. 276/

33 Il trattamento economico e normativo dei soci lavoratori Con la l. 142/2001 il legislatore si è premurato di definire a quali parametri debba essere riferito il trattamento minimo del socio lavoratore che instaura con la cooperativa l ulteriore rapporto di lavoro. Mutuando una parte della lettera di cui all art. 36 Cost., all art. 3 della l. 142/2001 viene sancito che le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla qualità e quantità del lavoro svolto, e che tale trattamento non potrà essere inferiore ai minimi previsti per le prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine. L art. 6 della medesima legge, nel disciplinare il contenuto del regolamento, prevede il richiamo alla contrattazione collettiva applicabile nei confronti dei soci con i quali la cooperativa ha instaurato l ulteriore rapporto di lavoro. Su questo stesso articolo è altresì intervenuta la l. 30/2003, la quale ha previsto che il trattamento economico minimo proporzionato alla qualità e quantità del lavoro svolto e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero per i rapporti diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo, non può essere derogato in pejus. Pertanto, il trattamento economico e normativo, così come fissato dalla contrattazione collettiva di riferimento, deve trovare integrale applicazione, senza possibilità alcuna di deroga in senso peggiorativo. Questa lettura configura altresì un interpretazione estensiva della norma che si basa sullo specifico riferimento alla ratio legis di evitare fenomeni di dumping sociale La risoluzione del rapporto di lavoro del socio di cooperativa Come già detto, l art. 2 della l. 142/2001 in materia di licenziamenti prevede la non applicabilità dell art. 18, l. 300/1970 ogni volta che venga a cessare con il rapporto di lavoro anche quello associativo, ma la portata di questa disposizione sembrerebbe però essere venuta meno a seguito delle modifiche apportate dalla l. 30/2003, la quale ha portato una sostanziale modifica non tanto alla disposizione di cui all art. 2, bensì a quanto disposto dall art. 5, nel quale viene introdotta una nuova previsione nella quale si afferma che il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o con l esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie ed in conformità con gli artt e 2527 del c.c.. Salvo che lo statuto preveda diversamente, la risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa del socio non potrà essere esercitata tramite semplici dimissioni, bensì con formale atto di recesso, secondo le forme e le procedure che regolano le prestazioni dei soci. L esclusione potrà avvenire nei casi che possono comunque configurare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, secondo i parametri della legislazione lavoristica; in tal caso potrebbero appunto concretizzarsi le fattispecie dei gravi inadempimenti agli obblighi sociali e ancor più all inadempimento. In questi casi, pertanto, non dovrebbero sussistere dubbi in ordine al fatto che sia il rapporto lavorativo, sia quello societario vengano contestualmente meno, dato che per entrambe le fattispecie la motivazione è la medesima e quindi in base al disposto di legge non potrà trovare applicazione l art. 18 della l. 300/1970. Diversa ancora è l ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, legato cioè a motivazioni tecniche e organizzative, poiché la soppressione del posto di lavoro per causa non imputabile al socio non dovrebbe far venir meno anche il rapporto associativo, posto l interesse del socio medesimo a rimanere associato ad una cooperativa il cui oggetto sociale è comunque quello di perseguire la ricerca di occasioni di lavoro. Su questo punto occorre però rammentare che la normativa sui licenziamenti collettivi trovava applicazione nei confronti dei soci lavoratori di cooperative ancor prima dell emanazione della l. 142/2001. In tal senso, disponeva infatti l art. 8 co. 2 della l. 236/ La disciplina del rapporto di lavoro del socio lavoratore In sintesi, l attuale assetto giuridico risulta definito come segue: 31

34 a) il socio lavoratore di cooperativa stabilisce un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali (art. 1, 3 comma, l. 142/2003 come modificato dall art. 9, l. 30/2003); b) il rapporto associativo ed il rapporto di lavoro instaurati dal socio lavoratore seguono la disciplina prevista dalla corrispondente legislazione purché compatibile con la posizione di socio lavoratore; c) al socio lavoratore di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la l. 300/1970, con la sola esclusione dell art. 18, ogni volta che venga a cessare, con il rapporto di lavoro, anche quello associativo. È rimessa ad accordi economici collettivi tra associazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative la valutazione della compatibilità dei diritti sindacali di cui al Titolo III, l. 300/1970 con lo stato di socio lavoratore; d) ai soci lavoratori non subordinati, oltre alle disposizioni di cui al d.lgs. 626/94 e al d.lgs. 494/1996, in quanto compatibili con le modalità della prestazioni lavorativa, si applicheranno gli artt , l. 300/1970; e) le società cooperative sono tenute ad assicurare al socio/lavoratore subordinato un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine. Viene riconosciuta all assemblea della cooperativa, in sede di regolamento, la facoltà di limitare l applicazione dei contratti collettivi di settore, al solo trattamento economico minimo (art. 6, 2 comma, l. 142/2003, come modificato dall art. 9, 1 comma, lett. f, l. 30/2003); f) il rapporto di lavoro si estingue, oltre che per le ordinarie cause di cessazione, anche a seguito di recesso o esclusione del socio. (art. 5, 2 comma, l. 142/2003 come sostituito dall art. 9, 1 comma, lettera d ) Compatibilità e interferenza tra rapporto associativo e rapporto di lavoro La scelta del legislatore di distinguere nettamente la disciplina del rapporto sociale da quello di lavoro supera definitivamente la disputa sulla natura della prestazione lavorativa del socio di cooperativa che per decenni ha affaticato la giurisprudenza. Lo stesso Ministero del lavoro ribadisce la tesi della preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro (circolare 109 del Ministero del lavoro, 18 marzo 2004), nel senso che le sorti del primo si ripercuotono per espressa previsione di legge sulla persistenza del secondo e non viceversa (salva l ulteriore e corrispondente determinazione statutaria). Il rapporto associativo e il rapporto di lavoro instaurati dal socio lavoratore seguono la disciplina prevista dalla corrispondente legislazione (comprese le conseguenze di natura fiscale e previdenziale), e in particolare dalla l. 142/01 nonché da ogni altra fonte normativa, purché compatibile con la posizione del socio lavoratore. Il recesso o l esclusione del socio vengono indicati quali ulteriori cause di risoluzione dal rapporto di lavoro oltre a quelle previste dalla normativa giuslavoristica, mentre la risoluzione del rapporto di lavoro, salva diversa previsione statutaria o regolamentare, non viene individuata come causa legale di risoluzione del rapporto associativo (principio di prevalenza del rapporto associativo). In questo senso si è espresso anche il Ministero del lavoro con la circolare 34 del 17 giugno Sembra poi preferibile l opinione che esclude l automatica risoluzione del rapporto di lavoro per effetto della cessazione del rapporto sociale, rendendosi comunque necessaria la comunicazione in forma scritta del licenziamento (nel caso di lavoro subordinato) a pena di nullità. Una fattispecie particolare riguarda l ipotesi di esclusione di oltre 5 soci (nell ambito dei limiti dimensionali e temporali previsti dalla l. 223/1991) ed il conseguente licenziamento collettivo degli stessi: in questo caso sembra rendersi necessaria l attivazione della procedura di mobilità (senza possibilità di applicare i criteri di scelta predeterminati) con tutti i conseguenti diritti a favore dei lavoratori e i conseguenti obblighi in capo al datore di lavoro, tra i quali quello relativo al versamento del contributo d ingresso. Da parte sua, l art c.c., così come modificato dal d.lgs. 6/2003 di riforma del diritto societario, si limita a prevedere tra le ipotesi di legittima esclusione del socio, non tanto la risoluzione del rap- 32

35 porto di lavoro ma la grave inadempienza agli obblighi mutualistici e, conseguentemente, la non diligente prestazione lavorativa; ci si dovrà porre invece il problema se il lavoratore subordinato possa essere in qualche modo tenuto ad accettare la trasformazione della propria posizione in socio/lavoratore, considerato che quest ultimo, se pur in minima parte, gode oggi di una tutela attenuata rispetto al lavoratore subordinato tout court. E ciò perché può sussistere un impegno scritto a trasformare, in un secondo momento, il rapporto in socio-lavoratore e tanto questo impegno quanto la successiva volontà negoziale di trasformazione del rapporto, non possono considerarsi impugnabili ai sensi dell art c.c Lavoro subordinato e lavoro autonomo: il ruolo del regolamento L art. 6, l. 142/2001 prevede l obbligo per la cooperativa di definire ed approvare (mediante l assemblea dei soci) un regolamento sulla tipologia dei rapporti da instaurare con i soci lavoratori, con l indicazione delle modalità delle prestazioni lavorative anche in caso di rapporti diversi da quello subordinato, che entro 30 giorni dall approvazione deve essere depositato presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Con la concreta operatività dei nuovi istituti introdotti dalla l. 30/2003, è evidente che il socio lavoratore potrà utilizzare anche le nuove tipologie (lavoro a progetto, ripartito, intermittente, ecc.), nessuna esclusa. Il regolamento può esser oggetto della procedura di certificazione prevista dall art. 5 della l. 30/2003 con l effetto di conferire maggiore (ma comunque non definitiva) stabilità alle scelte di qualificazione dei rapporti istaurati I diritti del socio lavoratore di cooperativa Come accennato, a norma dell art. 2 della l. 142/2001 al socio lavoratore di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la l. 300/70 con la sola esclusione dell art. 18 ogni volta che venga a cessare, con il rapporto di lavoro, anche quello associativo. L art. 18, l. 300/1970 si applicherà esclusivamente ai lavoratori subordinati non soci ovvero ai soci lavoratori, tutte le volte in cui non venga a cessare con il rapporto di lavoro anche quello associativo; residuando pur sempre la limitata tutela predisposta dalla l. 604/1966, da considerarsi applicabile in tutti i casi di mancanza di giusta causa o giustificato motivo, ovvero la disciplina di diritto comune. Sembra inoltre restare intatta la possibilità per il Giudice, in sede di applicazione dell art. 28, l. 300/1970, di ordinare la reintegra del lavoratore in sede di rimozione degli effetti del comportamento antisindacale. Evidentemente, nel caso in cui venga dichiarata illegittima l esclusione da socio, l accertamento dell illegittimità del licenziamento non potrà prescindere dalla tutela reale accordata dall art. 18 l In tema di diritti sindacali, l art. 9 della l. 30/2003 rimette ad accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative la valutazione della compatibilità dei diritti sindacali di cui al Titolo III, l. 300/1970 (costituzione di rappresentanze sindacali aziendali; diritto di assemblea; referendum; trasferimento di dirigenti e rappresentanti sindacali aziendali; permessi retribuiti e non retribuiti; diritto di affissione; contributi sindacali; locali dei rappresentanti sindacali aziendali) con lo stato di socio lavoratore. Si applicheranno inoltre (opportunamente richiamate dalla l. 142/2001) tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene sul lavoro. Quanto ai soci lavoratori non subordinati, oltre alle disposizioni di cui al d.lgs. 626/94 e al d.lgs. 494/1996, in quanto compatibili con le modalità della prestazione lavorativa, si applicheranno gli artt della l. 300/ Il trattamento economico Con l entrata in vigore della l. 142/2001 e successive modifiche di cui all art. 9 lettera f, l. 30/2003 la disciplina attualmente risulta la seguente: a) le società cooperative sono tenute ad assicurare al socio/lavoratore subordinato un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e comun- 33

36 que non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine (per ciò intendendosi affinità merceologica); b) il regolamento interno può prevedere disposizioni derogatorie peggiorative rispetto ai trattamenti retributivi e alle condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali, purché sia garantito il trattamento economico minimo; c) resta fermo l obbligo, previsto dall art. 36 della l. 300/70, per gli imprenditori beneficiari di provvidenze dello Stato o appaltatori di opere pubbliche, di garantire l applicazione di condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti di lavoro della categoria e della zona; d) per i rapporti diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, il trattamento economico non potrà essere inferiore ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. Si era in un primo momento dubitato della costituzionalità con riferimento all art. 39 Cost. della previsione di cui all art. 3, l. 142/2001 che imponeva alle sole cooperative l applicazione dei contratti collettivi del settore tanto nella parte economica complessivamente intesa, quanto nelle condizioni di lavoro ; ma a seguito della modifica introdotta dall art 9, l. 30/2003, che consente all assemblea (in sede di regolamento) di limitare il vincolo al solo trattamento economico minimo il pericolo sembra evitato. Può, in effetti, verificarsi che, a parità di mansioni, il socio lavoratore e il lavoratore non socio siano trattati diversamente, ma ciò sembra tuttavia giustificato (oltre che voluto dagli stessi soci) dalla diversità di posizione e di partecipazione al risultato della gestione sociale. In particolare il socio lavoratore, a seguito di apposita delibera assembleare, potrà beneficiare dei seguenti trattamenti economici ulteriori: - maggiorazioni retributive a seguito di accordo sindacale; - aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato in deroga alla normativa di settore; - in sede di approvazione di bilancio, somme a titolo di ristorno in misura non superiore al 30% dei trattamenti economici complessivi spettanti in applicazione della contrattazione collettiva di settore. Si ricorda, in proposito, che a differenza degli utili che remunerano il capitale, il ristorno remunera l attività lavorativa Controversie fra socio e cooperativa e privilegio dei trattamenti retributivi L art. 9 della l. 30/2003 ha di nuovo rivisto il sistema processuale della competenza nelle controversie tra soci e cooperativa che aveva trovato un pratico e ragionevole assestamento con l art. 5 della l. 142/2001. L attuale disciplina prevede che le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario (art. 9, comma 2, l. 30/2003). La giurisprudenza ha interpretato l espressione prestazione mutualistica in modo restrittivo (rispetto alla più ampia nozione di rapporto mutualistico) con esclusivo riferimento alle questioni inerenti al contratto sociale e quindi al rapporto associativo, rimanendo invece al giudice del lavoro ogni controversia afferente il rapporto di lavoro. La devoluzione delle controversie relative alla prestazione mutualistica al giudice ordinario deve inoltre raccordarsi con il nuovo rito societario introdotto dal d.lgs. 5, 17 gennaio 2003, che attribuisce la cognizione in primo grado al Tribunale in composizione collegiale. Per altro verso, le retribuzioni e i trattamenti (comprese le maggiorazioni retributive) spettanti al socio prestatore di lavoro subordinato godono del privilegio previsto dall art bis n. 1 c. c. esclusi i ristorni. La disposizione viene espressamente dichiarata di interpretazione autentica dell art bis n. 1 c. c., con conseguente efficacia retroattiva e soluzione di tutte le controversie ancora non definite con sentenza passata in giudicato Disposizioni previdenziali La l. 142/2001 ha notevolmente semplificato il quadro della disciplina contributiva indicando, come riferimento esclusivo, le normative previste per le diverse tipologie di rapporti di lavoro previste dal regolamento. 34

37 Dal punto di vista previdenziale, dunque, ci si è indirizzati verso la piena equiparazione tra lavoratore socio e non socio anche per le cooperative non di produzione e lavoro con la sola differenziazione per quelle disciplinate dal d.p.r. 602/1970 per le quali è stato previsto un avvicinamento graduale e progressivo. È stabilita inoltre un esenzione contributiva per le somme corrisposte a titolo di ristorno, nel limite massimo del 30% dei trattamenti economici complessivi. 2. L associazione in partecipazione 2.1. La nozione di associazione in partecipazione nel Codice civile In linea generale, l associazione in partecipazione trova riconoscimento in un accordo con cui l associante, di norma un imprenditore individuale o una società, attribuisce all associato, persona fisica o società, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un certo apporto: l attività dell associato deve essere imprenditoriale e a scopo di lucro. Gli elementi essenziali del contratto di associazione in partecipazione sono: 1) lo svolgimento di un attività economica svolta dall imprenditore; 2) l apporto prestato dall associato all associante; 3) la partecipazione agli utili attribuita dall associante all associato. I diritti dell associato sono: 1) attribuzione di una parte degli utili o ricavi; 2) rendiconto della gestione; 3) controllo sull andamento dell impresa o dell affare. Per contro, l associato deve: 1) prestare il proprio apporto; 2) partecipare alle perdite nei limiti pattuiti. Il contratto, a forma libera, può essere a tempo determinato od indeterminato. È indispensabile il compimento di un attività economica caratterizzata dallo scopo di lucro, mentre l apporto dell associato può essere della più varia natura: patrimoniale e anche personale, e può consistere in un attività lavorativa a favore dell associante. È anche possibile l affidamento della gestione o di parte di essa all associato, sempre che questi derivi i propri poteri gestori dall associazione in partecipazione ed espleti la propria attività entro i limiti dei poteri attribuitigli. L apporto dell associato non confluisce tuttavia nei beni dell associante a formare un fondo comune, ma è acquisito al patrimonio dell associante stesso, al quale spettano in via esclusiva titolarità e conduzione dell impresa. Salvo patto contrario (in quanto il contratto lo potrebbe espressamente escludere), l associato concorre alle perdite nella misura in cui partecipa agli utili; in tale caso, peraltro, le perdite non possono mai superare il valore del suo apporto. Il rapporto di associazione in partecipazione implica pertanto anche l assunzione di un rischio d impresa in capo all associato. L associante, colui che assume le scelte di fondo nell organizzazione dell impresa, ha un generico potere di impartire direttive di carattere generale ma non ha potere di pretendere modificazioni unilaterali del rapporto, come ad esempio spostamenti di sede, mutamenti di mansioni, rivisitazioni di obiettivi in corso di contratto) a conferma dell insussistenza di un vero e proprio rapporto gerarchico tra associante ed associato. Il contratto può essere risolto, oltre che per scadenza del termine, per cessazione dell esercizio dell impresa, per fallimento dell associazione, per mutuo dissenso, per inadempimento di una delle parti, per mutamento della persona dell associante, per morte dell associante, per trasferimento dell azienda Il raffronto tra associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato L istituto dell associazione in partecipazione presenta elementi di vicinanza con il rapporto di lavoro subordinato allorquando l apporto dell associato consista in una prestazione di lavoro. Di qui le incertezze qualificatorie e definitorie che sono andate assumendo rilievo negli ultimi tempi, atteso il consistente ricorso all istituto, in alternativa al rapporto di lavoro subordinato e a quello autonomo. Infatti, la tipologia di lavoro autonomo definita dal contratto di associazione in partecipazione è proliferata negli ultimi anni e utilizzata spesso in maniera impropria, soprattutto nel settore del commercio, in particolare della grande distribuzione, accompagnandosi ad un uso fraudolento ed illegittimo dello schema dell associazione in partecipazione. 35

38 Indici della reale sussistenza di un vero contratto di associazione possono così essere: - partecipazione ad eventuali perdite in quanto il concorso al rischio economico della attività di impresa è uno dei presupposti tipici del lavoro autonomo - apporto con quota di capitale e non di solo lavoro, chiaro presupposto di partecipazione al rischio di impresa. Premesso infine che, ai fini qualificatori del rapporto, l art c.c. ritiene rilevanti due elementi per la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato: quello della dipendenza e quello della sottoposizione alla direzione, è parimenti pacifico che i tre elementi caratteristici, che consentono di distinguere tra contratto di associazione in partecipazione e contratto di lavoro subordinato, sono: - il carattere aleatorio o no del corrispettivo; - la sussistenza in capo a chi assume le scelte di fondo nell organizzazione dell impresa, di un generico potere di impartire direttive o, invece, di un potere disciplinare e gerarchico nei confronti del prestatore d opera, - la presenza o meno in capo al prestatore di un potere di controllo sulla gestione economica dell impresa, che si risolve in particolare in un obbligo di rendiconto periodico da parte dell associante. L associazione in partecipazione si distingue pertanto dal contratto di lavoro subordinato per la mancanza di vincolo di dipendenza e di vincolo di guadagno. Il vincolo di subordinazione ex art 2094 c.c., vincolo personale che assoggetta il prestatore al potere direttivo del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua autonomia (accezione fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria), va distinto dal generico potere di impartire istruzioni e direttive di cui è titolare l associante nei confronti dell associato. Ma vi è di più: il lavoratore associato, oltre a non avere alcuna garanzia di guadagno, a differenza che nel rapporto di lavoro subordinato, non gode degli istituti e delle tutele previste per il lavoratore subordinato. Di qui, la frequenza con la quale lo schema contrattuale è stato adottato esclusivamente per eludere la normativa inderogabile a favore del lavoratore dipendente, come confermato dalla copiosa giurisprudenza L apporto dottrinale e giurisprudenziale alla distinzione In dottrina, nei rapporti associativi, la subordinazione viene intesa come stato di soggezione di contenuto essenzialmente tecnico ragion per cui in tali rapporti può esistere l attribuzione di un potere direttivo ad una sola delle parti, proprio in relazione alle attribuzioni gestorie demandate all associante. In sostanza, la distinzione tra il disposto di cui all art c.c. e quello di cui all art c.c. non è affatto agevole come, per altro verso, non può affatto escludersi che l associazione in partecipazione possa integrare gli estremi di un rapporto di lavoro autonomo ex art c.c. Infine, argomento di interesse è costituito dalla fattispecie similare disciplinata dall art c.c. relativa alla partecipazione agli utili da parte del personale dipendente. È a tutt oggi prevalente la tesi che esclude che prestazioni di lavoro subordinato possano essere conferite in un contratto di associazione in partecipazione, di guisa che le prestazioni lavorative fornite, per essere compatibili con lo specifico schema contrattuale, devono presentare i connotati del contratto d opera professionale, o comunque del contratto di lavoro autonomo, ancorché continuative e coordinate da parte dell associante. Per individuare la vera natura del rapporto occorre prendere in esame l effettivo comportamento tenuto dalle parti nella esecuzione del contratto e le concrete modalità di attuazione del rapporto. Mentre il nomen juris, la qualificazione del rapporto data dalle parti, non può essere vincolante per il giudice, ma è solo uno degli elementi da prendere in considerazione per verificare la genuinità del contratto, in quanto il successivo comportamento concretamente tenuto potrebbe esprimere una diversa volontà effettiva o un successivo mutamento dell originaria volontà contrattuale. In definitiva, spetta al Giudice di merito, rifacendosi al criterio della prevalenza, con un approfondita analisi sulle concrete modalità di attuazione del rapporto, cogliere la supremazia 36

39 degli elementi caratterizzanti l uno o l altro contratto. E non si può che concludere che la distinzione della figura contrattuale dell associato in partecipazione rispetto a quella del lavoratore subordinato con partecipazione agli utili, concettualmente chiara, tende a sfumare nell impatto pratico La normativa recente Proprio l emersione di rapporti di associazione in partecipazione aventi una morfologia di tipo subordinato, agevolata dalla citata forte similarità delle due fattispecie contrattuali (la zona grigia dei rapporti a metà tra la subordinazione e l autonomia associativa) ha determinato il legislatore ad intervenire, in sede di riforma del mercato del lavoro, anche sull istituto dell associazione in partecipazione. La recente diffusa tendenza alla simulazione di un rapporto di lavoro autonomo o associato per eludere la disciplina inderogabile, normativa e previdenziale, posta a tutela del lavoratore subordinato, ha portato infatti sicuramente ad un incremento del conflitto in cui gli accennati sforzi qualificatori della dottrina e della giurisprudenza, alla ricerca di criteri idonei a smascherare gli intenti elusivi, non hanno condotto a risultati efficaci e deflazionistici. La norma, trasposta nell art. 86, c. 2, d.lgs. 276/2003 detta i due parametri per l accertamento del carattere fraudolento dell associazione e le relative conseguenze normative. La legge di riforma del mercato del lavoro compie una prima importante operazione: riconosce la legittimità dell associazione in partecipazione, evidenziando come la partecipazione agli utili sia assolutamente essenziale al contratto, con conseguenza di nullità in caso di mancanza. Chiede inoltre un effettiva partecipazione dell associato agli utili; quando, pure formalmente promessa, non sia stata concretamente realizzata ed il prestatore di lavoro sia stato compensato in misura fissa per il lavoro svolto, essa presume infine che l associazione mascheri un rapporto di lavoro subordinato. In realtà, i due parametri previsti dall art. 86 si sovrappongono a quelli applicati dalla Corte di Cassazione: ai fini della qualificazione del rapporto lavorativo non è sufficiente l accertamento della volontà iniziale dei contraenti, ma occorre procedere ad una verifica delle concrete modalità di svolgimento del rapporto; la presenza degli elementi tipici dell associazione in partecipazione non è di per sé sufficiente ad escludere la subordinazione, mentre la loro assenza consente di qualificare il rapporto come di lavoro subordinato. Il legislatore avrebbe pertanto mancato l obiettivo, disciplinando ciò che già aveva trovato soluzione soddisfacente sul piano giurisprudenziale, con un ulteriore possibile effetto pernicioso: una riduzione delle tutele rispetto al passato, in quanto sembra che il diritto dell associato al riconoscimento dei trattamenti economici scatti solo quando ricorra la duplice condizione prevista: la mancanza di partecipazione e l assenza di adeguate erogazioni. Ci si domanda poi in che cosa consista la sua partecipazione per essere effettiva e confermare conseguentemente la genuinità del contratto di associazione in partecipazione, ma non invasiva al punto tale da far mutare l associato in socio. Una prima risposta sta nel confermare la partecipazione come quella agli utili dell attività o dell affare per il quale sia stata costituita l associazione; diritto questo connesso a quello al rendiconto ed all esercizio degli altri controlli eventualmente fissati contrattualmente. Il controllo, peraltro, non può essere che di conoscenza e giammai di merito, in quanto l associato non può materialmente intervenire pur sapendo e non condividendo ciò che accade nella gestione dell impresa. Maggiori perplessità ha destato il secondo requisito, ovvero delle adeguate erogazioni, che appare invece del tutto inedito. L espressione adottata dal legislatore implica una comparazione, dato il parametro dell aggettivo adeguate : il raffronto non può essere inteso che con la retribuzione spettante ad un lavoratore subordinato. Ma, se all associato non deve essere garantito il trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva, rischiando altrimenti di scivolare nel rapporto di lavoro subordinato, ove la quota effettivamente percepita sia talmente irrisoria rispetto ai minimi tabellari da essere valutata inadeguata, pretestuoso e fittizio si configurerebbe anche il contratto di associazione. Infine, sul piano probatorio, si registra l introduzione, con la norma in commento, di una presunzione legale juris tantum di subordinazione, con inversione dell onere della prova in capo 37

40 all imprenditore associante, qualora nel rapporto di lavoro si verifichi la mancanza di effettiva partecipazione e di adeguate erogazioni a chi lavora. L imprenditore associante, in altri termini, avrebbe l onere di dimostrare, alla luce dei consolidati criteri distintivi in materia di rapporto di lavoro subordinato, che quello insorto ed in contestazione fosse da configurare come autonomo o parasubordinato. Laddove l apporto fornito dall associato coincida con una prestazione di attività lavorativa, sarebbe configurabile l elusione della normativa sui rapporti di lavoro subordinati con il ricorso ad un meccanismo simulatorio. La scelta legislativa in materia di certificazione anche del contratto di associazione in partecipazione, di cui al secondo comma dell art. 86, d.lgs. 276/2003 è stata definita come significativa di una tecnica più avvertita rispetto a quella adottata per le collaborazioni; distinguere in che termini possa ritenersi genuino un contratto di associazione in partecipazione ed oltre quali confini si presti ad essere disconosciuto per confluire nella fattispecie del rapporto di lavoro subordinato, non sarà tuttavia nei fatti facile. È noto peraltro che le organizzazioni sindacali hanno espresso forti perplessità sull idoneità dell istituto a sanzionare comportamenti elusivi. Nella materia che ci occupa, tuttavia, la previsione di volontarietà della certificazione potrebbe finire con l essere solo formale in quanto difficilmente il lavoratore pseudo associato, in cerca di occupazione opporrà rifiuto all intenzione dell associante, alias datore di lavoro, di far certificare il contratto, ove, conseguita la certificazione, otterrebbe il vantaggio di evitare un successivo contenzioso qualificatorio promosso dal lavoratore. Molto probabilmente il lavoratore si vedrà costretto ad accondiscendere alla richiesta del datore di lavoro di far certificare il contratto al fine di evitare conseguenze a lui sfavorevoli: la volontà individuale, anche se genuina dal punto di vista della consapevolezza dell interessato, non sarebbe mai libera ma dettata dalla pura logica dei rapporti di forza. Posto che, come sopra delineato, il contratto in questione costituisce da sempre una delle più problematiche fattispecie di rapporto di lavoro, non può dirsi che la legge di riforma del mercato del lavoro abbia risolto le incertezze operative sorte sin dalla sua introduzione nel codice Gli aspetti previdenziali I compensi degli associati in partecipazione sono soggetti a versamento contributivo che dal 1 gennaio 2004 riguarda la gestione separata per gli associati in partecipazione presso l Inps, alla quale dovranno iscriversi quei soggetti legati da un contratto di associazione in partecipazione che conferiscono la propria prestazione lavorativa con percezione di compensi, qualificati come redditi da lavoro autonomo, oppure come soggetti non iscritti ad albi professionali. Con circolare 57 del l Inps ha approvato il modello e determinato le aliquote contributive. Diversamente tuttavia da quanto previsto per i collaboratori, il fondo previdenziale per gli associati in partecipazione non prevede alcuna tutela sociale (quale indennità di malattia, assegno al nucleo familiare, maternità), ma è finalizzato unicamente all erogazione della pensione al raggiungimento dei requisiti. Ferma restando l obbligatorietà dell iscrizione alla gestione separata dell associato che conferisce unicamente la propria prestazione lavorativa, ove il medesimo soggetto non percepisca adeguati compensi e non partecipi effettivamente all impresa si tratterebbe di un diverso rapporto al quale andrebbe applicata la relativa normativa. 3. Nuove forme organizzative dell impresa e tutela dei lavoratori. Trasferimento d azienda - Somministrazione - Appalti - Distacco A quasi sei anni dall entrata in vigore del d.lgs. 276/2003, il panorama normativo in materia di lavoro, subordinato e autonomo, si ritrova ad essere oggetto di una prima valutazione intesa in termini strettamente giuridici perché altro non è, come vedremo, possibile fare in questo momento. Invero troppo poco tempo, e soprattutto troppa poca esperienza è stata fatta con i nuovi strumenti introdotti dal legislatore per poter avere dati significativi, se si eccettua qualche eccezione. 38

41 3.1. Le nuove logiche economiche del sistema produttivo. Il sistema produttivo del nostro paese ha negli anni recenti riproposto all attenzione dell agenda politica e legislativa il nodo della competitività e ancor prima di un profondo ripensamento delle strutture e dell organizzazione produttiva. Dal piccolo è bello si è passati dapprima a una crescita dimensionale delle strutture aziendali, sulla spinta della zona Euro e, negli ultimi anni, ad una ristrutturazione delle medesime attraverso le esternalizzazioni economico-organizzative e giuridiche. Tale fenomeno, organizzativo prima ancora che giuridico, richiedeva tuttavia degli strumenti che invero risultavano sconosciuti o meglio diversamente orientati nella precedente legislazione, e in specie in quella tesa appunto a limitare il diverso, ma simile, fenomeno del decentramento produttivo. Questi strumenti, preannunciati dal c.d. Libro bianco sul mercato del lavoro, sembrano sfondare con il d.lgs. 276/2003, dopo essere stati in parte anticipati dalla l. 196/1997, ben più rilevante, come noto, sotto il profilo dell impatto occupazionale con riguardo soprattutto al lavoro a termine e temporaneo. Dall annuncio al dettato normativo il passo è tuttavia stato tanto subitaneo da risultare ad alcuni sospetto, sebbene in nuce esso mettesse sul piatto, ad avviso di chi scrive, questioni reali e centrali per poter consentire uno sviluppo occupazionale ed imprenditoriale degno di un paese fondatore della Comunità europea Le regole giuridiche dal Patto per l Italia al d.lgs. 251/2004 Come spesso avviene le regole giuridiche vengono in un certo senso pre-digerite a livello sindacale; e dire il vero digerite da alcuni (molti per la verità) e assolutamente indigeste ad altri (non molti ma significativi). Nel gioco tra parti sociali e legislatore rientra, guarda caso, proprio una delle tematiche qui in oggetto, e in particolare il trasferimento d azienda, posto che su appalto e somministrazione il legislatore non ha avuto alcuna esigenza di concertazione preventiva. Occorre dunque verificare l esito degli istituti giuridici in oggetto tenendo conto dell insieme di essi, considerati un intero ed unitario mondo caratterizzato, da un lato, dal superamento del divieto di interposizione, dall altro, dalla giuridificazione dei fenomeni di esternalizzazione e smaterializzazione dell impresa, da un altro ancora, dall affermazione come regola e non più come eccezione della scissione nell imputazione dei rapporti giuridici di lavoro all impresa effettivamente utilizzatrice dell attività lavorativa. A tale stregua, oggetto delle successive pagine in verità unitariamente considerate sotto il profilo della logica e della ratio imprenditoriale saranno: trasferimento d azienda e soprattutto del ramo d azienda, somministrazione, appalto di lavoro e distacco Il nuovo trasferimento d azienda Quanto al trasferimento d azienda, si tratta nell opinione comune di un tema centrale rispetto a quella che è stata efficacemente definita metamorfosi del sistema di produzione, ed esposto ad una serie di modifiche legislative in rapida successione tanto a livello nazionale che comunitario. L attenzione per tale istituto testimonia efficacemente dell attuale rilevanza dei processi di smaterializzazione dei processi produttivi, così come le sue modifiche hanno reso giuridicamente più facilmente percorribile il citato fenomeno dell esternalizzazione e del conseguente downsizing imprenditoriale. Ora, che le norme previgenti in tema di appalti e trasferimenti costituissero in parte un vincolo al suddetto processo evolutivo è cosa sin troppo nota. Ma ciò che il legislatore doveva tener presente nell opera di riscrittura delle regole era di non passare da una nozione sin troppo rigida dell oggetto del trasferimento d azienda ad una eccessivamente flessibile e, appunto, de-materializzata. L equivoco di fondo, sotteso alle diverse ma in verità omogenee letture, anche in via di modifica legislativa, dei previ dati normativi, consisteva nell idea radicata che la norma originaria di cui all art c.c. mirasse a tutelare direttamente gli interessi dei lavoratori nelle vicende circolatorie dell azienda, con la conseguente considerazione dei successivi sviluppi giurisprudenziali alla stregua di una eterogenesi. Piuttosto, come giustamente osservato, si dovrebbe dire che l art c.c. tutela principalmente l interesse economico del cedente e, soprattutto, del cessionario. Ciò che è cambiato, negli ultimi anni, e ne è testimonianza diretta l acceso dibattito preliminare alle 39

42 plurime modifiche normative, è al contrario l utilizzo di tale strumento da parte imprenditoriale e l interesse ad esso sotteso. Non tanto quello di mantenere una certa appetibilità dell impresa interessata da processi di riorganizzazione o addirittura da una crisi, quanto di svolgere al meglio, tramite l art c.c., operazioni di disaggregazione verticale dell impresa tese a far dimagrire l azienda e alla progressiva sostituzione della produzione interna con l acquisto all esterno di beni e servizi. Come accennato, lo sviluppo legislativo in materia è stato impetuoso e subitaneo, almeno nel nostro paese. Ciò conferma il grado di interesse delle tematiche da parte del fronte imprenditoriale e di corrispettivo timore di parte sindacale. Ben prima della legge delega e dei diversi progetti di decreto attuativo poi confluiti nel decreto 276/2003, passando per il Patto per l Italia, l art è stato modificato dapprima dall art. 47 della l. 427/1990, che ne ha ispirato il nuovo obiettivo del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d azienda e ha finalmente precisato che il trasferimento d azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento ; poi dal d.lgs. 18/2001, con il quale si è ampliato lo spettro delle ipotesi rientranti nelle previsioni di cui alla norma (ciò che conta è il mutamento nella titolarità di un attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità ; e si è pure chiarita l estensione della fattispecie ai rami d azienda, intesi come articolazione funzionalmente autonoma di un attività economica organizzata. ). È qui che si colloca il salto in avanti nella materia, sollecitato dalle imprese maggiormente coinvolte dalle conseguenze della globalizzazione economica: fenomeni di rimodulazione dei sistemi produttivi, più segmentati e scomposti oggettivamente e soggettivamente, con l esclusione del solo core business e talora neppure di quello interamente. Lo strumento utilizzato a tali fini è stato proprio la cessione, totale o parziale, d azienda, con ciò dando luogo d altro canto a una forte criticità della neonata versione dell art c.c., pur aggiornata in chiave comunitaria ai sensi della direttiva 187/1977. Da qui alla legge delega e a un decreto legislativo fortemente orientati alle esigenze sopra richiamate il passo è stato breve, ed è stato ostacolato solo dal già richiamato Patto per l Italia, mediante il quale si è scongiurata l eliminazione in radice della c.d. autonomia funzionale del ramo d azienda, vero cavallo di Troia in materia per operazioni non del tutto trasparenti. E tuttavia, l alternativa si è appalesata secondo alcuni ancor più ambigua, incentrata com è da un lato sulla volontà delle parti contrattuali nella determinazione del ramo e dall altra sul momento temporale nel quale tale determinazione assume rilievo, ovvero il momento stesso del trasferimento, così superandosi apparentemente sia il criterio della preesistenza dell autonomia funzionale sia quello della autonomia funzionale sic et simpliciter. Sul punto, senza entrare eccessivamente nel merito, riteniamo di poter condividere ed abbiamo condiviso sin dall approvazione del decreto delegato l assenza di eccessiva pericolosità sociale di tali modifiche. In primo luogo, riteniamo, perché è assolutamente ovvio che sono le parti contrattuali e non altri a stabilire l oggetto di una cessione d azienda o di parte di essa, secondo uno schema che, prima ancora di implicazioni giuslavoristiche, è insito nella prospettiva commerciale dello stesso art c.c.; in seconda battuta perché il requisito della preesistenza del ramo cedendo non offre probabilmente superiori livelli di tutela per i lavoratori rispetto ad operazioni fraudolente, facilmente realizzabili attraverso una previa e surrettizia delimitazione del ramo da parte del cedente o attraverso una accorta e progressiva confluenza nel medesimo ramo del personale sgradito. Appare infine sempre possibile il richiamo di una clausola generale antifraudolenta, come già da noi prospettato in limine interpretationis, sulla falsariga dell art c.c Ramo d azienda, appalti interni e esternalizzazioni In verità, ci pare che la parte più pericolosa del nuovo art c.c. sia quella inizialmente trascurata, forse appositamente, nei commenti alla riforma del mercato del lavoro, ovvero il 6 comma introdotto ex novo. In esso il legislatore riconosce la legittimità sul piano giuridico di un oramai noto fenomeno economico-organizzativo costituito da due fasi nelle quali l impresa cede a terzi un intero segmento aziendale più o meno autosufficiente e quindi lo riacquisisce dal cessionario ora appaltatore per riaggregarlo nel proprio processo produttivo sotto forma di semilavorato o servizio. Con ciò 40

43 si passa evidentemente alla legittimazione o addirittura al sostegno dei fenomeni di acquisizione dall esterno (che poi esterno non era) di beni o servizi e di utilizzo di lavoratori (già propri ma ora) da altri dipendenti. La dottrina occupatasi del fenomeno, comunemente denominato internalizzazione, della relazione stretta tra cessione di ramo d azienda e contratto d appalto, si affianca a quello, sopra esaminato della esternalizzazione. Emerge qui in tutta la sua evidenza la tendenziale scissione enfatizzata negli istituti che più avanti si richiameranno tra centro di imputazione giuridica del rapporto di lavoro e effettivo utilizzatore della stessa; in altre parole lo schema di cui alla l. 196/1997 si allarga e sembra racchiudere numerose altre fattispecie, tutte invero caratterizzate dal perfetto inserimento in un sistema imprenditoriale a rete o, come altri dicono, di contractual integration. Così la legge delega prima e il decreto delegato poi riconoscono giuridicità al filo che lega le due citate fasi, di esternalizzazione e internalizzazione, incentrandolo in particolare sulla cessione o trasferimento del ramo d azienda, sul quale è il caso ora di soffermarsi. Come pare ovvio e già anticipato, la tutela per i lavoratori non deriva tanto dalla collocazione temporale del requisito dell autonomia funzionale (precedente o meno al trasferimento) ovvero dalla richiesta individuazione o meno del ramo ad opera delle parti, quanto dalla corretta individuazione diremo ontologica del requisito stesso dell autonomia funzionale. Infatti, tanto più lato esso si atteggia (in conseguenza dell attività interpretativa della giurisprudenza comunitaria e nazionale), tanto più spazio residua ad operazioni strumentali come detto di utilizzo distorto della norma codicistica soggetta a continue modificazioni. In altri termini, non ci pare che il legislatore del 2003 abbia pregiudicato ex novo ed ulteriormente le posizioni dei lavoratori coinvolti, come invece sostenuto a gran voce da molti, se non per l accennato aspetto relazionale tra trasferimenti ed appalti che, come subito cercheremo di evidenziare, costituisce il reale peggioramento normativo, reale seppure allo stato non empiricamente rilevabile. Una norma esterna al nuovo art c.c., ma ad essa strettamente collegata per i profili di collegamento tra trasferimenti ed appalti, è infine l ultimo comma dell art. 29 d.lgs. 276/2003. In esso si precisa che l acquisizione del personale già impiegato nell appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore non costituisce trasferimento d azienda o di parte di essa. Orbene, da un lato tale norma non fa che recepire il pensiero della giurisprudenza italiana, comunitaria e della dottrina, mostrandosi come inutile ; dall altro, e per converso, essa ha attirato le critiche di una parte della dottrina sul presupposto che consentirebbe l alienazione di un vero e proprio ramo d azienda, magari composto da soli lavoratori già addetti alle medesime attività presso la prima impresa appaltatrice. L occhio attento di tale dottrina è alla giurisprudenza comunitaria e a vicende simili a quelle qui in questione, nelle quali la successione nell appalto di cui alla norma citata potrà verificarsi anche con il subentro nella titolarità dell articolazione funzionalmente autonoma dell attività economica organizzata di cui era titolare la precedente impresa, con conseguente applicazione già ritenuta possibile dalla Corte di Giustizia della normativa di tutela e dunque, nel nostro caso, dell art c.c La somministrazione di lavoro Dopo una fase nella quale, come quasi tralatiziamente si sostiene, il ricorso a personale dipendente da altri soggetti imprenditoriali si configurava come eccezione, con il d.lgs. 276/2003 esso si atteggia a regola, o almeno così e da molti valutato. Gli artt. 20 ss. del d.lgs. introducono un nuovo istituto, la somministrazione di lavoro, che in parte ricalca il precedente lavoro temporaneo e in parte rilancia su una forma di lavoro temporaneo a tempo indeterminato, tale da richiamare gli strali della parte sindacale e, anche su un piano tecnico-giuridico, di parte della dottrina. Le norme citate denotano inoltre il recepimento in ambito giuridico di un oggettiva e indubbia dilatazione della nozione stessa di organizzazione aziendale, utile a giustificare, oggi, i sempre più frequenti fenomeni interpositori o, come anche si dice, di appalto di servizi labour intensive; le stesse norme, peraltro, sembrano perseguire diversi interessi meritevoli in termini di nuove modalità di organizzazione del lavoro: quella di spostare in capo all utilizzatore solo il potere direttivo e lo jus variandi senza eccedere troppo nel c.d. abbattimento delle tutele dei lavoratori coinvolti ed anzi fornendo in tal mo- 41

44 do, uno strumento per favorire l occupazione, e così favorire l occupazione e alleggerire i vincoli all interposizione lecita di manodopera, sino a quel momento pressoché impossibile giuridicamente, posto che rilevava in materia la tradizionale distinzione tra servizi a bassa o alta intensità organizzativa, esaminata compiutamente dalla dottrina giuslavorista. Certo è che il punto di maggiore innovazione in proposito appare quello relativo alle fattispecie di somministrazione a tempo indeterminato ammesse. Ciò vale da un lato sul versante della nuova tipologia della somministrazione a tempo indeterminato, altrimenti denominata staff leasing in ossequio ad un imperante sciovinismo giuridico; dall altro, e all interno delle due fattispecie generali, sul piano dell individuazione della causali, tassative o generali. Una prima conseguenza attiene (o meglio atteneva, considerata l abrogazione successiva dell istituto) al possibile abbassamento degli standard di tutela dei dipendenti degli appaltatori, in virtù dell abrogazione dell art. 3, l. 1369/60; possibilità alla quale il legislatore sembra ovviare proprio con l innesto di un sistema concorrenziale tra somministrazione e appalti, resi comunque questi ultimi meno onerosi per quanto appena detto. La somministrazione di lavoro a tempo determinato è invece oggi ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all ordinaria attività dell utilizzatore. La nuova previsione passa dal soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo specifiche ad una somministrazione di lavoro fondata sulla suddetta clausola generale, identica a quella utilizzata per collegare le esigenze dell impresa al contratto di lavoro a termine. Con questo si esclude altresì il collegamento del nuovo istituto, pur nella sua versione a tempo determinato, anche con l ordinaria attività svolta dall utilizzatore e si è potuto facilmente concludere per la sostanziale acausalità della somministrazione a termine nei limiti della non arbitrarietà e non illiceità della stessa. Che le ragioni esistano, in altre parole, basta ed avanza; che siano estranee e diverse da quella, fondamentale, della perdita economica per l impresa è tutto da dimostrare da parte del lavoratore; e al massimo si potrà ammettere che l impresa debba giustificare il ricorso alla somministrazione piuttosto che ad un rapporto di lavoro a termine sulla base della difficile o lunga reperibilità della professionalità ricercata. Fermo restando che il legislatore, in genere, appalesa l orientamento più liberalizzante, e in questa ipotesi l idea di assimilare disciplina del lavoro a termine e disciplina del lavoro somministrato, a sua volta a tempo determinato. Ciò che più conta, è che l utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali. Prima di esaminare più in dettaglio tale importante, ma non perfetta, disposizione è il caso però di individuare la struttura della retribuzione garantita. Sul punto, chiarendo anche alcune incertezze derivanti dalla precedente normativa, l art. 23, co. 4, precisa che sono i contratti collettivi applicati dall utilizzatore a determinare le erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all andamento economico dell impresa, secondo la nota formula del Protocollo del luglio A monte, ovviamente sarà delineata la struttura retributiva dei lavoratori somministrati, alla quale si applicheranno, come detto, le norme generali e speciali del rapporto di lavoro subordinato. E a maggior ragione quelle dell altra fonte tipica del rapporto, data dal contratto collettivo. La regola della parità, o meglio del minimo, trova peraltro chiari limiti di applicazione. Ad esempio laddove manchi nell impresa utilizzatrice un concreto parametro di riferimento dato da una figura professionale con inquadramento pari a quello del lavoratore somministrato ; la risposta, in questi casi, pare essere quella di un raffronto virtuale, sulla base delle previsioni collettive applicabili all impresa utilizzatrice. Le ultime due norme del titolo III del d.lgs. 276/2003 riferite alla somministrazione si occupano del fondato pericolo che l istituto in commento divenga, come da più parti temuto, la chiave del superamento a tutto tondo del divieto di interposizione, pure abrogato nella sua espressione classica della l. 1369/1960. Già l art. 20, co. 4, introduce la sanzione della nullità nei casi di mancanza di forma scritta del contratto di somministrazione, con la conseguenza che i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti 42

45 alle dipendenze dell utilizzatore. Inoltre la prima disposizione, art. 27, disciplina il caso della c.d. somministrazione irregolare, cioè quella che si ponga esternamente ai limiti posti dagli artt. 20 e 21, espressamente richiamando la possibilità per il lavoratore di chiedere in giudizio, con ricorso ex art. 414 c.p.c. notificato anche al solo utilizzatore della prestazione, e dunque senza obbligo di litisconsorzio passivo verso il somministratore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del medesimo a far data dall inizio della somministrazione. A tale stregua, prosegue l art. 27, co. 2, i pagamenti effettuati dal somministratore a titolo retributivo o previdenziale, liberano anche il soggetto utilizzatore dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata ; e così pure gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione e gestione del rapporto durante la somministrazione si intendono compiuti dal soggetto che effettivamente ha utilizzato la prestazione. Nel nome ( irregolare ) la fattispecie di cui all art. 27 d.lgs. chiarisce che il panorama normativo è cambiato, che cioè oggi la fornitura di lavoro è in sé e per sé lecita, salvo appunto gli eccessi sanzionati direttamente dalla legge e, non è poco, condizionati dalla domanda del lavoratore al fine della costituzione del rapporto con l utilizzatore, laddove nel sistema di cui alla legge del 1960 si trattava di una sorta di automatismo. L apparato sanzionatorio di cui alla legge del 1960 sembra a nostro avviso ancora vivido, anche e soprattutto in virtù della disposizione di cui all art. 21, u.c., d.lgs., ma non incide sulla ricostruzione sistematica della somministrazione come metodo oramai pienamente lecito ed anzi compatibile di gestione dei rapporti di lavoro subordinato, con nuove ipotesi sanzionatorie e soprattutto la possibilità di una modulazione delle tutele riconosciute ai soggetti coinvolti: ciò che cambia è il rapporto di distribuzione tra lecito ed illecito, e ciò soprattutto per quel che riguarda la fattispecie della somministrazione fraudolenta. Il carattere limitato delle previsioni sanzionatorie e dunque la perdurante eccezionalità della deroga, pur lata e significativa, al divieto di intermediazione, sono confermati dal fatto che nel caso di diverse patologie o violazioni del contratto di somministrazione, e solo di esso, ci si è posti il dilemma dell applicazione di una qualche sanzione. Quanto alle sanzioni penale e amministrativa, di cui trattano gli artt. 18 e 28 d.lgs. 276/2003, da un lato esse confermano, se ancora ve ne fosse bisogno, il tutto sommato ristretto spazio di liceità della somministrazione, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, ponendosi in una linea di sostanziale continuità con la tradizione lavoristica del nostro paese; dall altro e qui emerge il paradosso esse si rivolgono principalmente ai profili soggettivi, sul lato del somministratore e, specularmente, su quello dell utilizzatore. Parte del paradosso è costituito dal fatto che la legge riduce oggi la pena in considerazione del fatto che l intermediazione illecita (rectius la somministrazione irregolare) è compiuta senza scopo di lucro (art. 18, c.1, 2 cpv.). In altre parole ci pare che il fatto stesso che solo la somministrazione fraudolenta di cui all art. 28 sia colpita specificamente dalla sanzione aggiuntiva dell ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore e ciascun giorno di somministrazione, ma anche da una pena variabile dall ammenda aumentata fino al sestuplo all arresto per il più grave caso dello sfruttamento dei minorenni, denoti alfine una sorta di riduzione generale delle tutele sul punto e in generale nel nuovo istituto, e a questa conclusione non osta che si sia prevista la sanzione alternativa dell arresto e dell ammenda nel caso di richiesta o percezione di compensi per l avviamento al lavoro oggetto della somministrazione. Il quadro si completa con l apparato sanzionatorio relativo alla ulteriore fattispecie considerata e sanzionata nell art. 28 d.lgs.: la somministrazione fraudolenta. Il legislatore si propone di sanzionare ancor più duramente la somministrazione posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo: un aggravamento del regime sanzionatorio, che si indirizza prevalentemente alla tutela del lavoratore somministrato ma forse anche, indirettamente, al complesso di lavoratori dipendenti dall impresa, particolarmente utile a colpire quei casi nei quali l attività di somministrazione sia svolta in violazione delle norme del decreto medesimo, che costituisce in sé stessa elusione di norma inderogabile di legge. Il fatto che la fattispecie sia posta ad adiuvandum rispetto a quella di cui all art. 27 ( ferme restando le sanzioni di cui all art. 18 ) depone a favore dell autonomia del reato in essa tratteggiato e dunque per la non cumulabilità delle due ipotesi criminose. La norma richiama evidentemente lo schema 43

46 dell art c.c., alla stregua di una fattispecie sanzionatoria di violazioni indirette di limiti legislativi posti all autonomia privata, e va letta alla luce della teoria oggettiva del contratto in frode alla legge. Il meccanismo della frode alla legge pare riemergere anche per quelle operazioni di esternalizzazione che a rigor di legge (o meglio decreto legislativo) risultano pienamente legittime (ad es. con il nuovo art c.c.). Il che significa che il legislatore della riforma, pur in un ampia ricostruzione dei paradigmi giuslavoristici, sembra consentire una valutazione e un giudizio anche sanzionatorio nei confronti di tendenze eccessivamente liberiste, concretamente sfocianti in somministrazioni e appalti apparentemente regolari, ma che rischiano per questa stessa via non solo di incappare nelle maglie dell art. 28 d.lgs. ma anche in quelle ben più stringenti della nullità dei negozi posti in essere in modo formalmente ineccepibile ma sostanzialmente fraudolento Gli appalti di lavoro La riforma del mercato del lavoro si è occupata anche del diffuso strumento degli appalti, frequentemente utilizzati in svariati settori produttivi con la finalità non sempre manifesta di consentire l utilizzo di manodopera non direttamente dipendente dall impresa utilizzatrice. Si può senza tema di smentita ritenere che tale istituto, ed il suo uso e talora abuso nei decenni scorsi, ha in definitiva indotto il legislatore a regolamentare un fenomeno economico che non trovava capienza nella preesistente normativa. O meglio, trovava una regolamentazione repressiva nella l. 1369/1960, appunto tesa ad evitare il fenomeno dell intermediazione e interposizione di manodopera. Come spesso accade l elaborazione in sede legislativa è risultata molto più lenta dello sviluppo socio-economico. Di qui un evidente ritardo tanto nell apertura ai privati nella funzione di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, resa praticamente e giuridicamente ineludibile solo alla metà degli anni 90, quanto nel riconoscimento del valore (positivo) di istituti sino a quel momento ritenuti sinonimi di lavoro irregolare. Il percorso si completa con il d.lgs. 251/2004, di integrazione al d.lgs. 276/2003, con il quale l ambito dell art. 29, relativo all appalto, veniva ampliato sino a ricomprendere, oltre alle opere anche i servizi, e con assimilazione del regime sanzionatorio rispetto a quello proprio della somministrazione irregolare di cui all art. 27 d.lgs. 276/2003. Già vigente la sola delega, la dottrina ravvisava nelle sue disposizioni il riconoscimento che l appalto potesse avere ad oggetto anche la fornitura di lavoro altrui, quale species di un genus più ampio e legittimo, dato appunto da appalto e somministrazione di manodopera. E proprio per questo suggeriva l accoglimento di un quadro normativo che, riconoscendo la molteplicità delle forme di utilizzazione di lavoro altrui, miri ad affermare tecniche di tutela dei rapporti di lavoro in tutte le forme di decentramento di attività d impresa. A conferma della dilatazione dell area di interposizione lecita nei rapporti di lavoro è sufficiente richiamare la citata norma di cui all art. 29 d.lgs. 276/2003, o meglio la sua parte nella quale è chiarito soprattutto alla giurisprudenza che l organizzazione dei mezzi ex art c.c. può risultare dal solo esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell appalto ; il che equivale a legittimare pienamente ogni forma di interposizione che non sia colpita dagli strali, peraltro residuali, della somministrazione irregolare o fraudolenta ovvero dell appalto del tutto estraneo ai requisiti più che ampi tracciati dal nuovo legislatore; dematerializzazione del requisito organizzativo dell appalto, e dunque patente di legittimità ad appalti nei quali il contributo organizzativo dell appaltatore sub specie di potere direttivo sia a tal punto significativo da riscattare il disvalore insito della mera fornitura di manodopera. Una volta eliminato, inoltre, il meccanismo di tutela della parità di trattamento tra dipendenti dell appaltante e dell appaltatore di cui all art. 3 l. 1369/1960, viene superata altresì la convenienza meramente organizzativa ed industriale che assume piuttosto una valenza economica e di competitività anche con riguardo ai trattamenti retributivi e normativi di fonte collettiva. Ora, è vero che la medesima norma avverte che la nozione di appalto tracciata ha riguardo ai fini dell applicazione delle norme contenute nel presente titolo. Così come la speculare disposizione di cui all art. 32 chiarisce trattarsi di nozione ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo, con ciò secondo alcuni delineando (finalmente?) una nozione di trasferimento d azienda a misura del diritto del lavoro. E tuttavia, come avvertito sin dall inizio di queste note, quanto riferito si colloca in (e crea i presup- 44

47 posti per) un più ampio clima giuslavoristico neo-liberista per il quale la soluzione ai problemi di competitività delle aziende del nostro paese troverebbero soluzione (solo) grazie ad un semplice meccanismo di dematerializzazione, frammentazione, esternalizzazione e delocalizzazione dei cicli produttivi. È così il caso di ribadire come, alla luce della ricostruzione sin qui compiuta, tutti gli strumenti considerati possano inserirsi in un evidente legittimazione di una situazione che, talora virtuosa, appare più spesso di tutt altro segno, disegnando e consentendo vieppiù di disegnare una catena di subappalti i cui ultimi anelli affondano nel lavoro sommerso o pericoloso ovvero perseguono la delega a terzi di mere operazioni di smagrimento aziendale a danno del personale. Per un chiaro paradosso tale situazione dà poi luogo ad un crescente sviluppo anche dimensionale delle imprese appaltatrici (magari sotto forma di società di global service), pur in un contesto di crisi delle imprese committenti (è invero evidente il continuo diffondersi di forme alternative di fornitura di manodopera, mascherate sotto appalti di servizio altre figure contrattuali, preferite alla somministrazione regolare perché meno regolate, meno costose, con minori diritti ai lavoratori e sottratte al controllo sindacale) Il distacco legificato L accennato processo di alterazione dei criteri di imputazione dei rapporti di lavoro nella riforma del 2003, che per alcuni non risponde al principio - ancora immanente nel nostro ordinamento - della corrispondenza tra qualifica di datore di lavoro formale e titolarità dei diritti e poteri sui dipendenti, e per altri invece è confermato dall abrogazione della l. 1369/1960 e non va considerato una ragione, o modalità, di lesione dei diritti dei lavoratori, trova ulteriore conferma nella prevista disciplina di un istituto precedentemente regolato solo nel settore pubblico e in quello privato dalla prassi giurisprudenziale. Ancora una volta così come ad esempio per il lavoro ripartito - il legislatore ritiene di dover dare una patente normativa ad un istituto sino a quel momento vissuto senza eccessive complicazioni, con ciò tuttavia, come da più parti ritenuto, destando nuove e sconosciute perplessità di ordine giuridico. Il legislatore delegante si preoccupava invero di tracciare la chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco ( ). Una previsione non chiara sia per quel che attiene alle nozioni degli istituti richiamati sia per quel che riguarda, più in generale, l inserimento dell istituto del distacco o comando nell ambito degli istituti precedentemente richiamati. Essi infatti non sono appalto, non possono essere somministrazione e non devono essere interposizione illecita (Esposito, op. ult. cit., 149). In una parola, il legislatore, pur affrontandola direttamente, non risolve la questione fondamentale del cos è il distacco! In questo modo, il legislatore introduce in verità più vincoli che flessibilità, contraddicendo sé stesso laddove apre scenari sconosciuti di recupero dell autonomia negoziale individuale ma nel contempo dilatando la nozione di distacco in quanto fondata su un interesse del distaccante che non viene altrimenti caratterizzato. Vi è da rilevare immediatamente come il distacco o comando si presti ad essere confuso da un lato con la fattispecie dell appalto, dall altro con quella del trasferimento di parte dell azienda, una volta dematerializzato del tutto quest ultimo alla luce di quanto sopra riferito, seguendo la riconduzione unitaria di una pluralità di istituti, nuovi o modificati, nell alveo del fenomeno dell esternalizzazione e dell interposizione. Così come un ulteriore conferma è ravvisabile addirittura in una precisa decisione della Corte di Cassazione sul rinnovato quadro delle regole del decentramento (Cass. 9 aprile 2001, 5232, MGL, 2001), laddove si intrecciano in fatto ed in diritto lavoro decentrato, interposizione vietata, appalto di servizi, fornitura di lavoro temporaneo, distacco. D altro canto, la stessa giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi sull opposto fenomeno dell internalizzazione, pur legata all applicazione dell art c.c., a conferma della complessità di lettura dei fenomeni qui esaminati e della ricerca da parte dell impresa di forme di organizzazione finalizzate ad un risparmio dei costi di transazione, considerata alla stregua di mission dall impresa medesima. Anche con riferimento alle sanzioni, infine, si sono ritenute assimilabili le figure della somministrazione, ovviamente irregolare, e del distacco, trattandosi, inoltre, di istituti regolati nello stesso titolo del d.lgs. 276/2003 e ad essi intitolato. 45

48 Riferimenti bibliografici Aa.vv. (1999), La trasmision de empresas en Europa, Cacucci, Bari Aa.vv. (2003), Lavoro e nuove regole. Dal Libro bianco al decreto legislativo 276/2003, Ediesse, Roma Alleva P.G. (2004), Ricerca e analisi dei punti critici del decreto legislativo 276/2003 sul mercato del lavoro, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, I Ballestrero M.V. (1998), Corte costituzionale e Corte di Giustizia. Supponiamo che, Lavoro e diritto, 485 ss. Bavaro V. (icp), Sul trasferimento dell articolazione funzionalmente autonoma, dattiloscritto Butera F. (1984), L orologio e l organismo: il cambiamento nella grande impresa in Italia, FrancoAngeli, Milano Carabelli U. (1999), Il trasferimento d azienda in Italia, in Aa.vv. (1999) Cester C. (2003), Le nuove disposizioni in materia di trasferimento di azienda, al Convegno Paradigma, 1-3 dicembre, Milano Cosio R. (2003), La cessione del ramo d azienda: dal caso Ansaldo alla legge 30 del 2003, 5 aprile a Catania De Luca Tamajo R. (2002), Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d azienda e rapporti di fornitura, in De Luca Tamajo R. (a cura di), I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici, Esi, Napoli Foglia R. (2003), relazione al Convegno Paradigma, 1-3 dicembre, Milano Ghera E. (2003), Azionariato dei lavoratori e democrazia economica, Rivista italiana di Diritto del lavoro, I, 437 Ichino P. (1999), La disciplina della segmentazione del processo produttivo e dei suoi effetti sul rapporto di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali Lambertucci P. (2004), Modifica all art. 2112, comma quinto, del Codice Civile, Gragnoli E. e A. Perulli (a cura di), Commentario al d.lgs. n. 276/2003, Cedam, Padova Mengoni L. (1998) Note sul rapporto tra fonti di diritto comunitario e fonti di diritto interno degli Stati membri, in Scritti in onore di G.F. Mancini, I, Diritto del lavoro, Milano Perulli A. (2003), Tecniche di tutela nei fenomeni di esternalizzazioni, Argomenti di diritto del lavoro, 473 ss. Pinto V. Speziale (2004) La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 277 Romei R. (1999), Cessione di ramo d azienda e appalti, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali Romei R (2003), Azienda, impresa, trasferimento, Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1, 49 ss. Roppo V. (2001), Verso un mondo globalizzato: trasformazioni economiche, mutamenti sociali, risposte politiche, Politica del diritto, 3 Speziale V. (2003), La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sul mercato del lavoro, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 277 Vallauri M.L. (2003a), Outsourcing e rapporti di lavoro, voce Digesto delle discipline giuridiche, sezione commerciale Vallauri M.L. (2003b), Studio sull oggetto del trasferimento ai fini dell applicazione del nuovo art c.c., Lavoro e diritto, 4 Zilio Grandi G. (2004), Trasferimento d azienda e fenomeni di outsourcing nella recente normativa lavoristica, in Bortone R. e Gottardi D. (a cura di), Lavori e precarietà. Il rovescio del lavoro, Editori Riuniti, Roma 46

49 Apprendere da casi aziendali e da vertenze

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51 Il magazzino FERRERO a Montegalda (VI): una vertenza sindacale emblematica Diego Brunello Il settore della logistica e della movimentazione merci risente di problematiche peculiari. L'informatizzazione e la meccanizzazione dei magazzini hanno notevolmente facilitato la gestione delle merci, ma creato nuove problematiche e nuove esigenze. Le merci delle grandi aziende produttrici e di quelle distributrici vengono concentrate in grandi magazzini, dai quali poi vengono smistate secondo gli ordinativi. Il tutto deve avvenire nel minor tempo possibile, in un'ottica di risparmio e salvaguardando qualità e buona conservazione del prodotto. In altri paesi il settore della logistica già da anni è considerato un settore di importanza vitale per il sistema delle imprese e per la competitività dei prodotti, e diventa quindi oggetto di forti investimenti. In Italia invece la tendenza prevalente rimane ancora quella di minimizzare i costi vivi del trasporto e dello smistamento merci nei magazzini, nell'ottica di diminuire il prezzo finale complessivo del prodotto. Tale politica però ha due principali conseguenze negative. Anzitutto conduce spesso a situazioni di sfruttamento dei lavoratori, che dovrebbero essere ormai superate grazie alla consapevolezza e ai diritti acquisiti nel corso degli anni, ma che ancora si celano dietro cooperative di facciata che applicano contratti non sempre del tutto legittimi e che non garantiscono la stabilità economica necessaria alla vita dei lavoratori. Inoltre le molte aziende, come quelle dolciarie e alimentari, che fanno della freschezza e della qualità del prodotto un marchio di riconoscimento per i consumatori, spesso, con la minimizzazione dei costi della filiera logistica, devono far fronte ad incidenti e ritardi notevoli dovuti alla scarsa specializzazione e alla disorganizzazione che le ditte appaltatrici portano con sé. La vicenda sindacale vissuta al magazzino della FERRERO di Montegalda (VI), che qui raccontiamo, si innesta proprio in questo settore dove il sindacato e la cultura sindacale faticano ad arrivare, dove la maggioranza degli addetti è straniera ed il turnover è elevatissimo. Dopo una lunga serie di piccole vertenze individuali, che hanno permesso agli addetti al magazzino ( tutti stranieri, soci lavoratori di una cooperativa) di conoscere il sindacato, il conflitto è esploso nell estate 2008, quando il posto di lavoro è stato messo in discussione e i lavoratori della cooperativa si sono messi in lotta e hanno bloccato l azienda, sostenuti dal sindacato dei lavoratori del trasporto (FILT Cgil). Contrariamente a quanto accade in altre realtà, i manifestanti sono stati sostenuti anche dal sindacato dei lavoratori dipendenti diretti della Ferrero (la FLAI Cgil) e dall intera CGIL (le Camere del lavoro vicentina e padovana). Insieme, tenendo conto degli interessi generali di tutti gli operatori del sito, coordinando le forze in un lavoro integrato, le organizzazioni sindacali hanno ottenuto risultati notevoli sul piano occupazionale e contrattuale. Il magazzino di Montegalda Fin dalla sua fondazione negli anni '40 la Ferrero, azienda alimentare dolciaria di prestigio internazionale, ha dovuto sviluppare una rete di vendita efficiente e capillare del prodotto. Col passare degli anni sono stati progressivamente abbandonati i vecchi camioncini per la vendita diretta, usati inizialmente per diffondere la pasta Gianduja e i cioccolatini in Italia, e l'azienda ha cominciato, dunque, ad affidare il trasporto su strada del prodotto a vettori conto terzisti. Con questo sistema di anno in anno perfezionato, il prodotto dai vari stabilimenti di produzione viene smistato nei principali magazzini italiani ed è in grado di raggiungere i consumatori in tutto il mondo. Una delle esigenze principali, di cui gli operatori della logistica che lavorano per Ferrero devono tener conto, è la deperibilità velocissima dei prodotti: cioccolatini, merendine, prodotti dolciari; tutti prodotti che oltretutto risentono di un mercato fortemente stagionale. La rete dei trasporti deve avere quindi le seguenti caratteristiche: coordinazione tra i vari soggetti impegnati, capacità di lavorare quasi in just in time, possibilità di smistare i prodotti a temperatura controllata, prontezza a far fronte a improvvisi picchi di lavoro e ai corrispettivi periodi di calo in funzione di esigenze di mercato difficilmente predeterminabili con precisione. Nel territorio veneto, ponte tra il nord Italia e l'europa dell'est, la Ferrero, per rendere più funzionale la distribuzione dei suoi 49

52 prodotti, chiusi i magazzini di Limena e Monselice, nel Padovano, ha deciso di creare un'unica maxi struttura, centro nevralgico della logistica del gruppo. Sorge in un territorio strategico, facilmente raggiungibile dallo svincolo autostradale di Grisignano (VI) sulla principale arteria est-ovest del nord Italia, e precisamente nel comune vicentino di Montegalda. La struttura raccoglie in sé tutti gli operatori della logistica: dagli impiegati, ai magazzinieri, agli spedizionieri. Inaugurata nel 2005, inizialmente occupava una cinquantina di operatori, alcuni dipendenti della Ferrero stessa, provenienti dai magazzini chiusi, e la maggioranza soci di una cooperativa di facchinaggio. Questi erano impegnati ventiquattro ore al giorno a caricare, scaricare e smistare la merce trasportata dagli oltre 40 camion che ogni giorno transitavano per il magazzino. I prodotti sono affidati, per il trasporto su strada, a vettori nazionali e internazionali tra cui i principali sono la ditta Romagna spa che copre la maggior parte dei collegamenti con i poli industriali di Alba (CN) e Pozzuolo (MI) e la BFC autotrasporti spa, ditta specializzata nel trasporto internazionale a temperatura controllata che copre la maggioranza delle tratte da e verso l'est Europa. La prima cooperativa Nei primi mesi ( ) tutti i reparti del magazzino erano interamente appaltati alla cooperativa Lavoro & Lavoro scarl con sede in Milano; questa impiegava nel cantiere una quarantina di soci-lavoratori senza un'organizzazione strutturata. I lavoratori, infatti, si trovavano a dover svolgere fino a quattordici ore al giorno, spesso senza mansioni specifiche assegnate. La cooperativa, comunque, riusciva a garantire il servizio di carico, scarico e smistamento senza eccessivi incidenti o ritardi e con costi abbastanza contenuti; i lavoratori di tredici (!) nazionalità diverse si dividevano i compiti nei diversi segmenti del magazzino, in base ai rapporti di forza tra le varie comunità; non erano molte le lamentele sui salari a fine mese che, visto il notevole monte ore, garantivano una retribuzione dignitosa. Passava, così, in secondo piano la correttezza formale della busta paga: formalmente risultavano poche le ore lavorate su cui pagare contributi e tasse, e molti invece i rimborsi e le indennità di trasferta, entrambi esentasse; tutti gli istituti contrattuali, anche quelli tipicamente differiti quali ferie, mensilità aggiuntive e Tfr, risultavano conglobati, pagati cioè di mese in mese di modo che nulla spettasse a chi non era fisicamente presente nel luogo di lavoro. La paga oraria era già stata concordata fin dall'inizio con la cooperativa sulla base di un netto forfettario, senza legame con alcun contratto collettivo nazionale; un accordo chiaro, a suo modo: tante erano le ore lavorate, tanto era il netto in busta. In questa fase tutto era spartito in base all etnia e ai rapporti di forza tra le diverse comunità spontanee in cui si dividevano i lavoratori. Le comunità e i loro leader cercavano di risolvere i problemi quotidiani sul lavoro e non di rado scoppiavano diatribe che sfociavano in risse tra interi gruppi. Fidandosi dei precari equilibri formatisi all'interno del cantiere la dirigenza della cooperativa, del tutto estranea e lontana, gestiva il sito attraverso i leader spontanei. Mansioni e ore da lavorare erano gestite dalle stesse comunità che se le spartivano: più ore si lavoravano più alto era il salario; più ore lavoravano i membri di una comunità più il leader di questa, che le aveva ottenute, era rispettato e ben voluto dai suoi. Considerando che tutte le ore erano pagate nella identica misura, senza maggiorazioni di straordinario, notturno, festivo e che venivano retribuite solo le ore effettivamente lavorate, non è difficile capire quale fosse il vantaggio principale del sistema: il costo era assolutamente contenuto e il rischio per la cooperativa era basso, se il lavoro calava calavano anche i costi, se c'erano improvvisi picchi i lavoratori erano pronti a sopperire alle nuove esigenze. Non poche, però, le controindicazioni che una tale gestione dei rapporti di lavoro porta con sé. Innanzi tutto, le differenze salariali rispetto ai contratti collettivi applicabili, nonché l evasione fiscale e contributiva: per tutti questi illeciti il committente è coobbligato in solido con la cooperativa a cui appalta il lavoro, per cui eventuali problemi legali derivanti da una vertenza individuale o da una ispezione degli Enti preposti avrebbe potuto creare grossi problemi anche per la Ferrero. Un secondo problema è costituito dai frequenti incidenti e ritardi dovuti alla scarsa professionalità e organizzazione del personale. In particolare, le situazioni di disagio cui erano sottoposti i lavoratori sfociavano spesso in alterchi e risse tra lavoratori, e talvolta in forme primitive di lotta quasi luddista, con danneggiamenti dei mezzi e delle strutture. In terzo luogo non mancano e non sono tutelati malattia ed infortuni, che mettono a repentaglio la sicurezza del personale. Tutti questi fattori comportavano inevitabilmente ritardi sulla consegna e sulla qualità del servizio complessivo offerto dalla Lavoro & Lavoro, come avviene in generale in tutte quelle cooperative che tendono a gestire in questo modo le relazioni industriali. 50

53 Il cambio d'appalto Nel luglio del 2007, allo scadere dell'appalto con la cooperativa Lavoro & Lavoro scarl, l'appalto viene concesso, senza revisione di tariffe, alla cooperativa EsseGi scarl del consorzio Cor.So. Cor.so è un consorzio di società cooperative, fortemente voluto da Legacoop per diventare il soggetto di riferimento nel territorio padovano vicentino per gli appalti della logistica e dello smistamento merci. In linea con la politica perseguita dal consorzio, EsseGi vuole avviare la sua gestione sotto il segno della trasparenza e della regolarizzazione dei rapporti di lavoro e, dunque, per poter rientrare nei costi imposti dalle tariffe della committenza, la cooperativa decide di ridurre i posti di lavoro fissi. I lavoratori, dieci giorni prima del cambio di appalto, allarmati dall'annuncio non ancora ufficiale della prossima riduzione, si sono rivolti alla FILT Cgil di Padova, zona di residenza della maggior parte dei lavoratori, per avere informazioni e rassicurazioni circa la loro posizione. In breve tempo i funzionari sindacali hanno preso contatto sia con la Cooperativa entrante sia con quella uscente. Le posizioni iniziali erano chiare: la cooperativa EsseGi aveva l'intenzione di ridurre quasi del 30% i posti di lavoro e la cooperativa Lavoro & Lavoro non poteva farsi carico degli esuberi. La Ferrero, pur senza in alcun modo esporsi formalmente, aveva offerto la sua disponibilità ad ospitare le parti per un incontro ai fini di definire le controversie che potevano insorgere tra i lavoratori e le cooperative appaltatrici e che potevano provocare danni ingenti alla committente a ai suoi prodotti. Dopo concitate trattative si conveniva che quasi tutti i quarantasette lavoratori rimanevano impiegati nel cantiere di Montegalda, ma con un contratto a tempo parziale misto con clausole elastiche e flessibili, in modo che la cooperativa era in grado di far fronte alla flessibilità richiesta dalla committenza. La mole di lavoro, come si è detto, non è costante né sul medio-lungo periodo, dal momento che i prodotti commercializzati dalla Ferrero risentono della stagionalità, né sul breve periodo, in quanto non sempre risulta possibile programmare esattamente l'arrivo dei prodotti da smistare: la flessibilità era necessaria e andava regolarizzata. I primi mesi di gestione EsseGi Il primo agosto 2007 nel magazzino di Montegalda la gestione del carico, scarico e smistamento merce vengono affidate ufficialmente alla cooperativa EsseGi scarl. La cooperativa, però, si è dimostrata fin da subito poco abile nella gestione dei problemi insiti nella struttura: tredici nazionalità diverse e difficilmente coordinabili; lavoratori non abituati a rispettare orari ridotti e a ricevere salari commisurati a questi e gravati dal carico contributivo e fiscale corretti; inoltre, il responsabile della gestione del personale si è dimostrato poco adatto alle mansioni affidategli dalla cooperativa, e, date queste difficoltà, molto presto si contavano i primi incidenti. Ricevuta la prima busta paga, i lavoratori hanno minacciato agitazioni perchè ritenevano il salario irrisorio rispetto ai precedenti, la ditta in risposta minacciava forti riduzioni di personale; in questa occasione l'intervento dei funzionari della FILT Cgil è tempestivo ed efficace nell evitare i licenziamenti. I lavoratori, di conseguenza, hanno cominciato a riporre una inizialmente timida fiducia nei funzionari e nel sindacato e, lentamente, a capire ed apprezzare l'importanza di un rapporto di lavoro, e di una busta paga regolari; dal canto suo anche la ditta, sostituito il preposto, cominciava ad organizzare in maniera più efficiente i lavoratori e a pretendere ed ad ottenere il rispetto degli orari di lavoro. La cooperativa, però, non riusciva a gestire la flessibilità richiesta: nel cantiere erano occupati sempre lo stesso numero di addetti che lavoravano tutti almeno otto ore al giorno, con la conseguenza che, in un periodo di picco di lavoro gli operai risultavano appena sufficienti e la cooperativa era costretta a impostare turni di straordinari molto costosi, mentre nei periodi di calo alcune figure risultavano in eccesso. I contratti con i quali erano stati assunti i lavoratori permettevano la flessibilità, ma la cooperativa si dimostrava troppo debole per modificare gli equilibri sedimentati tra i lavoratori e non in grado di far uso degli strumenti in suo possesso per gestire nuove relazioni industriali. Il costo che la EsseGi doveva sostenere per retribuire i lavoratori era sicuramente superiore a quello sostenuto dalla precedente cooperativa e le tariffe imposte dalla Ferrero risultavano perciò insufficienti. Nell'ottobre 2007, a soli due mesi dall'inizio della nuova gestione dell'appalto, i lavoratori minacciavano il fermo dell'impianto perché lo stipendio di settembre era in ritardo; anche in questa occasione la situazione è stata sbloccata solo con l'intervento mediatore dei funzionari della FILT CGIL. 51

54 Pochi giorni dopo, come promesso, la cooperativa è riuscita a far fronte al pagamento ma, in ogni caso, l'accaduto evidenziava la situazione di precarietà in cui versava l'appalto. Per risollevare le sorti della gestione, vista la situazione creatasi nello stabilimento, la cooperativa ha cercato di redistribuire i ruoli e le mansioni tra i lavoratori, rompendo, così, equilibri ormai stabiliti da tempo. Ne è seguita una presa di posizione di alcuni soci-lavoratori che alla fine sono stati allontanati e licenziati dopo la regolare procedura e, nei giorni successivi, tra i lavoratori rumeni e quelli delle altre comunità è scoppiata una rissa per i posti di lavoro sfociata in un altro licenziamento. Il culmine del disagio si è manifesto verso Natale 2007 con le violenze ai danni di una ragazza congolese addetta alla gestione dei turni e delle mansioni. In pochi mesi si susseguono una serie di incidenti e attriti tra la cooperativa e i lavoratori, con ripetuti blocchi della struttura da parte dei lavoratori che venivano risolti solo con l'intervento dei rappresentanti della FILT Cgil e la loro mediazione. Altre tensioni tra committenza e ditta appaltatrice sono sorte anche sulla scarsa vigilanza che la cooperativa riusciva ad avere sui soci-lavoratori. Non pochi sono stati gli ammanchi di merce che Ferrero ha documentato e dei quali accusava i soci lavoratori di EsseGi nel corso del : se la merce fosse stata smarrita o spedita su destinazioni errate per la cattiva gestione, oppure se effettivamente qualche lavoratore sottraesse merce per arrotondare le scarse entrate, non si è mai ben appurato né la cooperativa EsseGi ha mai saputo giustificare gli ammanchi. I primi passi verso l organizzazione sindacale e la contrattazione La situazione descritta è sin troppo simile a tante, troppe altre che abbiamo sotto osservazione, ma in essa bisogna evidenziare gli aspetti di discontinuità che dimostrano come, anche nelle realtà aziendali in cui sembrano impossibili relazioni sindacali corrette, un intelligente e paziente lavoro dei funzionari sindacali che sappia integrare i diversi interessi e unificare le forze di tutti lavoratori, può superare anche le barriere culturali e gettare le basi per una prima, basilare, ma corretta contrattazione. Col tempo i lavoratori, seppur sempre divisi tra loro in gruppi e provenienze etniche, cominciavano a individuare i loro interessi comuni e a muoversi insieme, mentre i funzionari FILT a quel punto cercavano la mediazione con la direzione della cooperativa: si passava così da rapporti basati sulla forza e sulla prevaricazione a rapporti che cominciavano a basarsi sul ruolo di rappresentanza e sul potere contrattuale delle parti. Come si è detto, quando nell'appalto è subentrata EsseGi, i lavoratori diffidavano di una regolarizzazione complessiva dei rapporti che comportava la riduzione degli stipendi netti e alcuni di loro la osteggiavano apertamente dal momento che imponeva un nuovo ordine degli assetti interni e un superamento degli equilibri di forza consolidati nel tempo. Nei fatti, la paura della perdita definitiva del posto di lavoro si è dimostrata uno strumento per far ragionare i lavoratori anche sui vantaggi della regolarizzazione: ottenere garanzie di mantenimento del posto di lavoro e di un salario nei periodi di malattia o di infortunio, eque ripartizioni delle ore da lavorare, riconoscimento delle mansioni in funzione delle capacità del singolo e non dell appartenenza ad un gruppo. Questa evoluzione lenta e, forse, nel cantiere di Montegalda mai conclusa del tutto, ha permesso di evitare che nei periodi di tensione lo scontro tra le parti sfociasse in violenze tra le persone e danneggiamenti a mezzi e strutture, che avrebbero compromesso non solo il proseguo della trattativa, ma probabilmente la possibilità per tutti di lavorare. La sindacalizzazione e il primo sciopero I funzionari sindacali, già nell'autunno del 2007 erano riusciti a stringere rapporti con un lavoratore italiano addetto al reparto resi e uno marocchino che si era fatto portavoce e mediatore per l'intero gruppo etnico all'interno del magazzino. Tramite questi lavoratori la FILT CGIL aveva creato una rete stabile che lentamente riusciva a diffondere la cultura sindacale e cementava il rapporto di fiducia tra i lavoratori e il sindacato. A gennaio 2008 la cooperativa aveva annunciato che non sarebbe stata in grado di pagare gli stipendi di dicembre e nemmeno quelli futuri se la committenza non avesse rivisto al rialzo le tariffe. I lavoratori, contattati i funzionari sindacali, hanno indetto uno sciopero immediato di quattro ore. Tutti i soci-lavoratori hanno incrociato le braccia e il magazzino, centro nevralgico della logistica del gruppo Ferrero, è rimasto bloccato per oltre quattro ore; onde evitare danni ingenti la committenza ha concesso alla cooperativa una somma una tantum necessaria a far fronte alle esigenze momentanee, ma non ha acconsentito alla revisione delle tariffe 52

55 in quanto riteneva che una corretta gestione della forza lavoro permettesse alla cooperativa di lavorare correttamente e di sopravvivere nei limiti delle tariffe imposte. Verso la rottura tra committente e cooperativa La cooperativa, per far fronte a nuove commesse estive, aveva nel frattempo (primavera 2008) assunto undici persone con contratto a tempo determinato, oltre alle trentasette che erano rimaste impiegate nell'impianto. Tutti questi lavoratori dovevano venir impiegati solo per le ore necessarie di giorno in giorno e la cooperativa pagava loro solo le ore svolte di mese in mese. Si voleva ottenere così la flessibilità necessaria alla gestione dell'impianto, ma la cooperativa, che già faticava a pagare i salari prima delle nuove assunzioni, riusciva a concedere ai lavoratori solo promesse di pagamento alle quali questi rispondevano puntualmente con ore di fermo finché la ditta non li pagava. A maggio 2008 il consorzio Cor.so. comunica che la cooperativa EsseGi non avrebbe potuto continuare a gestire l'appalto per lei antieconomico, in quanto nei primi mesi si era determinato un passivo di bilancio netto di Euro. In prossimità della scadenza del contratto (giugno 2008), la cooperativa EsseGi annunciava che volontariamente non avrebbe più pagato l affitto dei carrelli elevatori né gli stipendi dei lavoratori, fino a quando Ferrero non avesse rivisto le tariffe. Il 26 giugno 2008, quando la ditta noleggiatrice manda i furgoni per ritirare i suoi carrelli, i lavoratori, dopo aver contattato i rappresentanti della FILT Cgil che accorrono subito, bloccano i cancelli. Si decide che i cancelli resteranno bloccati finché il futuro lavorativo dei soci non avrà una risposta chiara. La lotta sindacale e l unità tra le due categorie I dipendenti della Ferrero occupati nel sito, già dal primo giorno di blocco dei cancelli hanno avuto i primi disagi e i primi sentori che l'agitazione dei lavoratori fermi all'ingresso potesse portare dei problemi anche a loro. Il giorno stesso la Flai vicentina, sindacato dei dipendenti Ferrero di Montegalda, informata dei fatti dai propri iscritti, dopo un chiarimento e un coordinamento telefonico con la Filt territoriale presente sul posto, ha deciso di scendere in campo formalmente al fianco dei dipendenti della cooperativa firmando fin da subito congiuntamente la richiesta d'incontro con la cooperativa, la Ferrero e le autorità locali. L'intervento del sindacato dei lavoratori della Ferrero al fianco dei soci-lavoratori è stata una scelta forte operata nell'ottica di una collaborazione tra le categorie che la Flai ha deciso di adottare in pieno accordo con le direttive dettate dal documento sottoscritto alla conferenza di organizzazione nazionale del maggio Una scelta politica che in altre realtà sarebbe potuta risultare poco appagante in quanto gli interessi stretti ed immediati degli iscritti vengono messi momentaneamente in secondo piano; ma essendo la Ferrero una realtà aziendale dove la cultura sindacale è radicata nel tempo e la fiducia nei funzionari sindacali notevole, è bastata un'assemblea e una buona piattaforma contrattuale da mettere sul tavolo per convincere i lavoratori, che nel breve dallo sciopero dei soci-lavoratori avrebbero solo potuto perderne, a non ostacolare la protesta e a dare sostegno politico agli scioperanti. Non bisogna dimenticare che la maggior parte dei dipendenti Ferrero del sito di Montegalda sono impiegati commerciali e una parte dei loro stipendi varia in base alle provvigioni sulle vendite e sulle spedizioni che risentono notevolmente del blocco del magazzino; nelle trattative per la conservazione del tenore occupazionale all'interno del magazzino la Flai non ha mai dimenticato i disagi subiti dai sui iscritti e alla fine è riuscita a ottenere un indennizzo per i lavoratori che hanno risentito negativamente dello sciopero dei soci-lavoratori. Alla fine di giugno 2008, prossima alla prima scadenza del contratto, la cooperativa EsseGi annunciava che volontariamente non avrebbe più pagato né i carrelli elevatori all'azienda dalla quale li ha in noleggio né gli stipendi dei lavoratori finché Ferrero non avesse rivisto le tariffe. Il giorno 26 giugno 2008, quando la ditta noleggiatrice ha mandato i furgoni per ritirare i suoi carrelli, i lavoratori, dopo aver contattato rappresentanti della FILT CGIL, hanno bloccano i cancelli. Sentite anche le organizzazioni sindacali arrivate sul posto si decide che i cancelli sarebbero stati bloccati finché non si fosse avuta una risposta chiara sul futuro lavorativo dei soci. I giorni dello sciopero ad oltranza La mattina seguente, dopo la prima notte fuori dai cancelli, gli scioperanti leggevano sui giornali resoconti e commenti a caldo sulla loro impresa: la stampa li tacciava di fare il gioco della cooperativa che li aveva fin lì sfruttati, di fare loro la voce grossa perché l'azienda da cui dipendevano si dimostrava senza mordente nelle trattative con la committenza. Ferrero nel 53

56 frattempo revocava ufficialmente l'appalto alla cooperativa del consorzio patavino. Solo dopo tanti comunicati stampa, bollettini sindacali e dopo giorni di resistenza i lavoratori e la Filt hanno dimostrato sul campo che il blocco non era tenuto per difendere la cooperativa EsseGi, ma per difendere il posto di lavoro. Il 26 giugno 2008 davanti ai cancelli del magazzino Ferrero di Montegalda comincia una lotta di altri tempi: in breve gli operai con l'aiuto dei funzionari della Filt organizzavano le turnazioni al presidio, riuscivano a portare due gazebi e ad arrangiare alla meglio lo stretto indispensabile per resistere alle temperature del sole estivo. I vertici della FILT CGIL, insieme alla FLAI CGIL, informati immediatamente della vicenda tentano di attivare un tavolo di confronto con le part chiedendo alla provincia di Vicenza di convocare Ferrero ed EsseGi, ma l'azienda committente dimostra di non voler trattare con i dipendenti della cooperativa; anche perché per Ferrero il danno economico notevole: il magazzino è pieno di merce velocemente deperibile che va smistata a breve; i prodotti Ferrero risentono della stagionalità, a fine giugno in piena estate bloccare il principale magazzino di stoccaggio e smistamento d'italia non può che creare un danno ingente. Al cancello principale non venivano fermati solo gli autoarticolati, venivano bloccati anche gli impiegati dipendenti diretti di Ferrero occupati all'interno della struttura. L'azienda perciò decide di trasferirli presso le altre sedi del gruppo dolciario in attesa che la situazione si sblocchi; Benché gli interessi dei lavoratori Ferrero non coincidessero con quelli dei lavoratori della cooperativa, dopo un confronto tra i funzionari di Filt e Flai le OO.SS. Hanno deciso di condividere un'unica linea, di unire le forze per riuscire ad ottenere un risultato che fosse di interesse per tutti i lavoratori indipendentemente dal datore di lavoro e indipendentemente dal loro status di dipendenti o di soci cooperatori. L'intervento diretto del sindacato dei dipendenti Ferrero a sostegno delle posizioni espresse dai dipendenti della cooperativa e con l'interesse di concludere rapidamente la vertenza, ha fortemente inciso nell'andamento della stessa. La camera del lavoro di Vicenza, la Filt Cgil nelle sue strutture territoriali e regionale e la Flai nelle sue strutture regionale e nazionale tutti insieme hanno collaborato per mantenere il più possibile stabile il livello occupazionale tra i soci lavoratori di EsseGi impegnati nel cantiere di Montegalda tenendo in tutte le fasi della vertenza una coordinazione tra le forze. La situazione si è sbloccata solo il 9 luglio verso le quattordici, quando una cinquantina di camion si sono presentati al magazzino pronti a caricare immediatamente tutta la merce deperibile ferma da due settimane. La colonna era accompagnata da mezzi della polizia e dei carabinieri con agenti in tenuta antisommossa. All'arrivo di una delegazione della Ferrero, dopo aver convocato le rappresentanze sindacali di FILT CGIL e FLAI CGIL e CGIL Vicentina, dopo concitate discussioni con le forze dell'ordine, le parti decidevano di incontrandosi attorno ad un tavolo immediatamente all'interno del sito. La FILT di Padova, a quel punto, ha preteso che fosse presente una rappresentanza dei lavoratori al tavolo della trattativa. Qui però i lavoratori si sono divisi: i due che si erano iscritti per primi, il lavoratore italiano e quello marocchino, che fino a quel momento avevano mantenuto i rapporti con le organizzazioni sindacali ed erano indiscussi portavoce degli operai Esse.gi, sono stati disconosciuti sul campo, non si sono dimostrati leaders nei giorni dello sciopero; i lavoratori sono stati perciò rappresentati al tavolo da due ragazze. La tregua, la trattativa, l accordo Dopo aver per giorni evitato ogni confronto, la Ferrero accetta di sedersi ad un tavolo con i dipendenti della cooperativa EsseGi. Alle richieste di smobilitazione immediata di tutta la merce deperibile e di ripresa delle attività nel magazzino, i lavoratori contrappongono la necessità di chiarezza nei rapporti, la richiesta di un lavoro stabile, di una paga oraria allineata agli standard del contratto nazionale. Dopo lunghe ore di trattative si concorda una tregua condizionata: Ferrero si impegna a stabilire un piano di ripresa dell'attività di logistica, della quantità e della qualità di questa, e dichiara di voler individuare un gestore dell'appalto e di presentarlo ai lavoratori ed alle OO.SS. entro due settimane; tale piano non dovrà presentare pregiudiziali sui lavoratori della cooperativa uscente in merito ad una loro possibile riassunzione e dovrà tener conto delle retribuzioni arretrate, compresi i periodi delle ultime settimane. I manifestanti dal canto loro si impegnano a lasciare entrare venti camion e a far caricare direttamente dagli autisti, visto il blocco che permane tra i soci-lavoratori, la merce individuata tra quella con scadenza ravvicinata. La trattativa viene poi aggiornata al 21 di luglio. Ai cancelli sarà mantenuto un presidio dei lavoratori solo nelle ore diurne, che non ostacolerà l ingresso di operatori Ferrero o manutentori fino alla conclusione della vertenza. Il 21 di luglio la trattativa riprende con toni più morbidi. Le parti 54

57 concordano che il magazzino, considerato tra i cinque siti deposito della Ferrero più rilevanti in Italia, riprenderà a pieno regime già dal primo di agosto, l'appalto sarà gestito da una nuova cooperativa direttamente legata al consorzio Romagna, lo stesso che gestisce il trasporto della merce. L'incontro viene aggiornato al 24 luglio per consentire alcune verifiche di funzionalità, nonché per definire tutti gli aspetti occupazionali, contrattuali, economici, relativi alla chiusura del rapporto con la cooperativa EsseGi e con la cooperativa subentrante nell'appalto di servizio di logistica. Le organizzazioni sindacali richiedevano continuità di reddito e lavoro per i lavoratori licenziati dalla cooperativa EsseGi per fine cantiere e venivano definite le pendenze del personale dipendente Ferrero che era stato trasferito presso altre sedi del gruppo. L'ipotesi di accordo (esito degli incontri successivi con Ferrero del 24, 25 e 29 luglio) per i lavoratori della cooperativa è chiara: su quarantasette lavoratori impegnati nel cantiere, dei quali tredici a contratto a tempo determinato scaduto il 30 giugno 2008, venti vengono assunti direttamente a tempo indeterminato dalla cooperativa Systema scarl, cooperativa subentrante nell'appalto; a questi sarà riservata l'applicazione del contratto nazionale del trasporto merci/industria, senza alcuna deroga o percentualizzazione degli istituti contrattuali; condizioni che la cooperativa accetta a fronte della possibilità di scegliere nominalmente i nuovi soci. Altri diciassette lavoratori avrebbero proseguito il rapporto con la cooperativa EsseGi scarl con contratto a tempo indeterminato in diversi cantieri dislocati nella provincia patavina. I restanti dieci avrebbero potuto usufruire di un incentivazione all'esodo di 8.500,00 Euro netti, pari a circa dieci mensilità. Entro metà agosto sarebbero state corrisposte le mensilità arretrate e il TFR, a tutti sarebbe stata riconosciuta un'indennità di Euro per il disagio fisico subito durante il mese di picchettaggio. Ferrero, infine, si impegnava a sanare la situazione venutasi a creare con la cooperativa Lavoro & Lavoro, nei confronti della quale la CGIL aveva rivendicato differenze retributive per oltre 30 lavoratori. Epilogo Il risultato è assai positivo per i lavoratori. Trentasette lavoratori hanno avuto il posto di lavoro a tempo indeterminato, agli altri veniva garantita la possibilità di cercarne uno avendo un sostegno economico nel periodo della ricerca. Per l'organizzazione sindacale tutta un risultato notevole: i lavoratori compatti, che comprendono sulla propria pelle l'importanza della lotta sindacale per i diritti; trentasette iscritti solidi che possono raccontare l'esperienza e una cultura della solidarietà potenzialmente diffusa tra i lavoratori anche in altri cantieri. Come si legge nel documento presentato alla conferenza stampa del 30 luglio da FLAI, FILT e dalle Camere del Lavoro di Vicenza e Padova: il risultato ottenuto è di grande importanza perché riafferma alcuni punti fondamentali che la CGIL ribadisce da anni: in caso di cambio d'appalto si deve prendere in considerazione la tutela occupazionale dei lavoratori utilizzati nel cantiere dando loro la preferenza nelle assunzioni; [...] il committente non può pensare solo all'aspetto economico ed alla produttività, ma deve considerare l attività in appalto come parte della stessa azienda ivi comprese le responsabilità in caso di violazioni dei diritti nei confronti di lavoratori, in special modo nelle cooperative dove vi sono situazioni di evasioni costanti. Alla fine, però, una volta che la cooperativa Systema aveva nominato i suoi nuovi soci scegliendo solo tra i lavoratori rumeni cristiani, rimaneva l'ingrato compito di determinare chi tra i lavoratori dovesse rimanere in forza alla cooperativa EsseGi e chi doveva rimanere senza lavoro; a questo scopo è stato istituito un tavolo intorno tra le rappresentanze sindacali firmatarie dell accordo e i rappresentanti della cooperativa EsseGi. Mentre la trattativa era in corso, il Presidente della cooperativa, non presente alla riunione, tramite il rappresentante della comunità marocchina, ha contattato direttamente i lavoratori e li ha convinti ad accettare il seguente accordo: come già concordato con le OO.SS., dieci di loro prendevano l'incentivo di euro e venivano licenziati immediatamente, mentre gli altri diciassette venivano assunti con contratto a tempo determinato per un mese e poi lasciati a casa con un incentivo di euro ciascuno. I lavoratori a quel punto si sono convinti e la trattativa si è interrotta; l'incentivo economico stava bene a tutti, meglio i soldi subito. Tale accordo, a onor del vero, è stato accettato da tutti tranne dal lavoratore italiano che non ha accettato i euro di incentivo, ma ha preteso ed ottenuto, come da accordo iniziale, di poter lavorare a tempo indeterminato con la cooperativa EsseGi presso un altro cantiere in Padova. 55

58 La TNT di Limena (PD): una vertenza di difficile gestione e dai molti insegnamenti Paolo Tollio La TNT a Padova, il settore e il contesto Padova è una provincia che ha visto crescere esponenzialmente negli ultimi vent anni le attività legate al trasporto e alla logistica delle merci. A Padova opera anche la TNT con diverse filiali e in diversi settori di attività. TNT, società olandese, è leader mondiale nel settore dei corrieri e da sempre opera nella movimentazione delle merci e prima di altri ha sviluppato le attività di logistica. Una delle filiali padovane si trova a Limena, a circa 1 km dal casello autostradale di Padova Ovest in una zona di facile comunicazione con l asse autostradale est-ovest dell A4, con il Brennero verso nord e con la A13 verso Bologna ed il sud. Questa filiale svolge la funzione di Hab: raccoglie le merci in arrivo dalle altre filiali e le distribuisce sia direttamente ai clienti sia verso gli altri hab aziendali che provvedono a consegnarle al destinatario. L edificio utilizzato a Limena è ormai vecchio ed è poco adatto ad organizzare con efficienza e celerità queste operazioni e rende più difficile il lavoro e la sua sicurezza. Nella sede di Limena lavorano una settantina di lavoratori dipendenti diretti TNT, prevalentemente impegnati nei reparti commerciale, spedizioni e call center che è il più grande e importante del gruppo in Italia. Oltre a questi settanta dipendenti di TNT, vi lavorano anche altri ottanta/novanta lavoratori, la maggior parte come soci-lavoratori di una cooperativa che si occupa della movimentazione delle merci in entrata e uscita dal magazzino e altri dipendenti di agenzie del lavoro interinale che integrano il reparto del call center. Se si considerano anche i lavoratori autonomi e gli autisti che giornalmente arrivano in questo impianto si può calcolare che attorno alla filiale lavorano circa quattrocento persone. In queste realtà, e tra i dipendenti TNT in particolare, la presenza sindacale è sempre stata debole, per la frantumazione del ciclo produttivo, la divisione e le diverse condizioni dei lavoratori occupati. Quelli che stanno meglio sono quelli del settore commerciale, ben pagati, continuamente coinvolti dall azienda nelle politiche commerciali, tanto che si sentono parte di essa. In questo reparto l adesione al sindacato è molto bassa, quasi sporadica. Nel call center invece lavorano circa quaranta persone, quasi tutte donne, assunte dopo aver effettuato un lungo periodo di precariato come lavoratrici interinali, e la loro retribuzione è medio bassa. Sono quasi tutte a part-time perché fanno un lavoro pesante, difficile da sostenere per otto ore. Le condizioni di lavoro sono molto intense, con turni rigidi al terminale e brevi pause programmate a rotazione: nessuno può iniziare la pausa prima che abbiano ripreso il lavoro quelli della pausa precedente. Anche il sindacato, se vuole parlare con la propria RSA, deve attendere che sia in turno di pausa. Le prime lotte sindacali alla TNT di Limena sono state organizzate dalla FILT-CGIL di Padova verso il 2000, proprio per migliorare questo reparto e per fare assumere le lavoratrici con rapporto di lavoro in somministrazione. Le prime lotte furono molto difficili, perché l azienda intervenne pesantemente per sconsigliare alle lavoratrici l adesione alla lotta e al sindacato. Ad ogni volantinaggio o sciopero arrivavano puntualmente i carabinieri per identificare i presenti e verificare che non ci fossero blocchi alle merci. Erano azioni che avvenivano sicuramente su richiesta TNT, che anche in questo modo voleva intimorire i lavoratori ed il sindacato. Un quadro, quindi, complicato e difficile- Il sindacato all inizio ritenne l intervento sul reparto callcenter il più urgente e meritevole dell azione sindacale, in quanto si riteneva ingiusto che, in una azienda multinazionale di grandi dimensioni e prestigio, vi fosse un reparto dove entravano giovani donne in possesso di titoli di studio medio-alto, assunte con forme contrattuali precarie, con bassa retribuzione e su lavorazioni monotone ad alta intensità e rigidità. Questa battaglia, durata anni e non ancora finita, è stata l impegno principale della Filt locale, ma anche nazionale, dentro la TNT. Non è stato un percorso facile e lineare, perché il sindacato ha sempre incontrato difficoltà a parlare 56

59 con questi lavoratori, sia per gli spazi inadeguati per fare le assemblee, a cui potevano partecipare tra l altro solo i dipendenti diretti, sia perché ogni reparto era fisicamente isolato dagli altri. Inoltre la frenesia del just in time, applicata alle merci, era l attività che aveva la prevalenza su tutto, con una scontata accettazione nell ambiente lavorativo, per cui anche i diritti (tanto più quelli sindacali) erano sottomessi a questa logica prioritaria. Era perciò impensabile fermare il lavoro, in quanto le attività del magazzino erano interessate dal continuo via vai dei camioncini, il call-center non poteva staccare perchè in linea con il mondo, il commerciale era prevalentemente occupato fuori azienda e anche poco interessato alle condizioni lavorative altrui. Il magazzino di Limena, la cooperativa, le troppe questioni irrisolte I lavoratori del magazzino, quasi tutti soci della cooperativa, non erano autorizzati a fare l assemblea nei locali aziendali in quanto non dipendenti di TNT. Ogni scelta aziendale era ispirata a ridurre al minimo tutti i costi delle operazioni collaterali al trasporto, dal momento che il costo del trasporto in Italia era molto più alto rispetto agli altri paesi a causa delle inefficienze del sistema stradale e della dimensione, polverizzazione e dispersione produttiva del sistema produttivo. La volontà di esternalizzare le attività di carico e scarico si fonda quindi su questi vantaggi: il minore costo del lavoro del personale di cooperativa, soggetto ad una contribuzione previdenziale minore e fissa (in base alla 602/72, indipendentemente dalle ore lavorate) una maggiore flessibilità, in quanto la cooperativa aumenta o diminuisce il personale a seconda del bisogno, facilitando la gestione dei processi consente comunque un controllo sul personale, in quanto esso può operare solo se gradito al committente ( avendone in cambio la totale sottomissione) nessuna responsabilità diretta nelle contestazioni di smarrimento merce o furto, assai frequente in queste lavorazioni; facilità di recuperare, attraverso le assicurazioni delle cooperative, il valore della merce sparita. Fino al 2000 la situazione del magazzino, anche se formalmente più debole sotto l aspetto contrattuale, era però meno problematica. I soci-lavoratori che vi operavano accettavano quel lavoro (anche se pesante) perché alla fine, data la scarsa contribuzione e le molte ore lavorate (e con orari particolari, come la primissima mattina o la notte, che rispondono talvolta anche ad esigenze particolari dei lavoratori), consentiva retribuzioni superiori alla media. Fino a quegli anni la cooperazione padovana era fatta prevalentemente di cooperative storiche che avevano finalità mutualistiche e quasi sempre buoni rapporti con i soci. La retribuzione era regolata esclusivamente dal regolamento interno, ma spesso i soci ricevevano anche un ristorno economico all atto dell approvazione del bilancio annuale. Spesso vi era anche una sensazione di maggiore libertà e di autonomia, nello svolgere quei lavori, non a contatto con dei veri e propri datori di lavoro, ma al fianco di altri soci-lavoratori, oppure altri lavoratori dipendenti, camionisti ecc. ecc.. Nel tempo le esigenze di flessibilità e tempestività di queste lavorazioni sono diventate indiscutibili, sempre più esasperate per far fronte a lavorazioni con volumi difficilmente prevedibili in anticipo, e dipendenti dei vettori di trasporto in viaggio ogni giorno per alimentare il sistema produttivo e consegnare al consumatore il prodotto finale. Ma dai primi anni 2000 le cose sono rapidamente e radicalmente cambiate, per diverse ragioni, cogliendo il sindacato impreparato. Si pensava che l approvazione della L. 142/01, fortemente voluta dal sindacato (che introduceva per i cooperatori il doppio rapporto, quello associativo e quello di lavoratore subordinato), consentisse di allargare i diritti sindacali dei soci e, nello stesso tempo, omogeneizzasse il trattamento retributivo tra i lavoratori, consentendo l applicazione anche ai soci lavoratori del CCNL applicato ai lavoratori dipendenti. Ci si aspettava, in atre parole, che le cooperative diventassero davvero uno spazio di democrazia economica. Sono intervenuti, al contrario, fattori nuovi ed imprevisti che hanno cambiato tutto: la crescita enorme del mercato della logistica e delle attività di magazzino esternalizzate dalle 57

60 aziende manifatturiere alle aziende di trasporto, e da queste alle cooperative. La conseguente nascita di decine e decine di cooperative, senza nessuna funzione mutualistica o sociale, con sedi legali lontane, preoccupate soltanto di fornire prestazioni lavorative flessibili ed al costo più basso alle imprese committenti. Le modifiche alla legislazione del mercato del lavoro (DL 276/03, applicativo della legge 30/2003 detta anche legge Biagi) che peggiorava la tutela dei lavoratori, esasperando la flessibilità ed indebolendo parti importanti della L. 142/01. Una minore disponibilità di lavoratori italiani a svolgere queste attività, compensata dalla disponibilità di un elevato numero di lavoratori extracomunitari, facilmente reclutabili, a bassa professionalità, privi di ogni conoscenza dei loro diritti e delle norme contrattuali, legati alla cooperativa per necessità economiche e di rilascio/conservazione del permesso di soggiorno. Questi fattori combinati tra loro, assieme alla trasformazione e alla perdita dei valori originari della cooperazione, hanno determinato una rivoluzione nel settore a cui il sindacato non ha saputo far fronte adeguatamente. Bastano pochi dati per descrivere questi cambiamenti. A Padova fino a anni fa operavano forse una cinquantina di cooperative prevalentemente locali, con soci di nazionalità italiana, intorno a siti come il Mercato ortofrutticolo, i Magazzini Generali, oppure in attività di traslochi, cura del verde e poco altro. Le attività erano sostanzialmente stabili, il rapporto delle cooperative con i soci era continuativo e di tipo fiduciario con buone retribuzioni e buon coinvolgimento. Oggi, invece, in provincia di Padova risultano iscritte all Osservatorio Provinciale per la Cooperazione circa 500 cooperative, con migliaia di soci ormai totalmente extracomunitari, che operano nelle attività della logistica, ormai completamente esternalizzate dalle aziende di produzione. I soci molto spesso credono di essere dipendenti e non sanno di essere soci della cooperativa né cosa questo significhi; non sanno cos è lo statuto, che differenza c è con il regolamento, non hanno mai partecipato ad una assemblea dei soci, all approvazione del bilancio. Le cooperative non hanno più radici locali, le loro sedi sono nel Lazio, Toscana, Lombardia, Campania ecc. e l unico collegamento tra la cooperativa e i soci lavoratori diventa il responsabile organizzativo locale, che quasi sempre è il caporeparto, individuato tra chi svolge la funzione di capopopolo o leader etnico. Essi ingaggiano facilmente i lavoratori extracomunitari, spesso attivando un tam tam etnico, molto adattabili a questi lavori perché giovani, robusti, privi di famiglia, senza vincoli di orario, disponibili alle notti. Basta poca formazione per essere subito idonei e produttivi. E con retribuzioni reali che vanno diminuendo. I lavoratori spesso ricevono una retribuzione inferiore al corrispettivo scritto in busta paga, la quale riporta un numero di ore inferiori a quelle effettivamente lavorate e la differenza o non viene retribuita affatto, oppure è in nero. La busta paga serve ai lavoratori quasi esclusivamente per il permesso di soggiorno, mentre la retribuzione reale viene concordata fissa (un tanto all ora) per le ore lavorate e calcolata al momento del pagamento. In caso di contestazione quasi mai i lavoratori riescono a produrre prova delle ore lavorate. Non esiste cartellino, e i dati dei più moderni palmari restano solo ad uso interno dell azienda. La retribuzione reale viene calcolata così ed è uguale per tutti (pertanto le detrazioni per carichi famigliari o gli assegni ecc. sono intascati dalla coop). La vita media delle cooperative è di uno-due anni, poi vengono sciolte, spariscono, cambiano nome, lasciano contributi e spettanze o TFR da pagare. Non hanno più nessun valore nè cultura cooperativa; la forma cooperativistica viene sfruttata per non avere nessun obbligo di retribuire il socio quando è sospeso dal lavoro; a chi lavora poche ore al mese corrispondono altri che ne fanno fino a 300, a dimostrazione che è sparita ogni traccia solidaristica. Vengono premiati coloro che entrano in grazia al capo, che lavorano tanto, non chiedono niente, sono disponibili a cambiare cantiere, ecc. Capita ancora di trovare facchini che ricevono parte della retribuzione sotto la voce trasferta, in quanto totalmente esente da contributi e tasse. Non si sa neppure quanti siano questi lavoratori, non portano il cartellino nei posti di lavoro, sono spesso spostati da un cantiere all altro, non hanno diritti da rivendicare quando rimangono a casa, tanto che non si rivolgono agli uffici del lavoro, perché privi fino ad inizio 2009 anche 58

61 dell indennità di mobilità e di disoccupazione. In queste condizioni è difficile che qualcuno entri in contatto con il sindacato. Questo solitamente avviene nei casi in cui si perde il lavoro o si viene sospesi, o a fronte di provvedimenti disciplinari. Difficile è poi il rapporto tra il sindacato e il lavoratore extracomunitario, per le difficoltà di comprensione linguistica, ma anche per la cultura profondamente diversa che hanno i lavoratori a seconda della loro provenienza. Per troppi di loro il rispetto delle regole o dei contratti vale poco o niente: prevale su tutto il dato economico, mentre passano in secondo piano la regolarità del rapporto di lavoro, i diritti e gli aspetti normativi e contributivi. Ma torniamo alla vicenda TNT. Mentre la Filt era ancora impegnata a strappare risultati sulla vertenza del reparto call center e del premio di risultato, si aggravano le condizioni dei lavoratori del magazzino soci della cooperativa Fastcoop, del consorzio Gesconet, che controllava la gestione del magazzino di Limena da quasi 10 anni, seppure ogni biennio l appalto passasse di cooperativa in cooperativa e i lavoratori venissero assunti ex novo, senza rispettarne l anzianità. Nel 2007 la situazione peggiora: le retribuzioni sono basse e si riducono drasticamente quando uno si ammala o si infortuna, aumentano i conflitti dovuti al peggiorare delle condizioni di lavoro, mancano gli spazi per la mensa, sono pessime le condizioni dei bagni e le brevi pause i lavoratori devono farle all esterno dell edificio. Tutti i soggetti imprenditoriali coinvolti (TNT e Fastcoop) sfuggono alle loro responsabilità, con motivazioni diverse. TNT dice di aver chiesto da tempo all Amministrazione comunale di Limena una variante urbanisitica per potersi trasferire nella parte Ovest della zona industriale e costruire una nuova filiale molto più grande e moderna, con significativi incrementi occupazionali; ma, su questa base, blocca ogni investimento nell attuale sede. Nel frattempo i lavoratori della cooperativa, vedendo che non cambia niente, attraverso le loro associazioni di migranti entrano in contatto con partiti politici della sinistra radicale e con il sindacato ADL-Cobas. In poco tempo quasi tutti i lavoratori si iscrivono ad ADL-Cobas, ritenendo la FILT troppo timida nei confronti di TNT e poco impegnata a risolvere i loro problemi. Nel corso dell estate 2007 viene sottoscritto un accordo che stabilisce che anche ai soci della cooperativa venga erogata una parziale integrazione economica di malattia e di infortunio da parte della cooperativa e un ticket restaurant per ogni giorno di lavoro. Ma a distanza di pochi mesi l accordo è ancora in parte da applicare, Fastcoop diventa sempre meno credibile e alcuni lavoratori sono oggetto di pesanti contestazioni per presunti furti. La situazione peggiora e si accumulano continue tensioni che non vengono risolte. I lavoratori della cooperativa accusano la Filt di fare troppo poco per loro e di essere subalterna nei confronti di Fastcoop e TNT. Il sindacato ADL-Cobas avvia da solo una serie di iniziative e rivendicazioni sindacali e diffonde ripetuti comunicati contenenti accuse alle imprese, ma anche alla CGIL. Il clima di tensione sale con effetti negativi sul lavoro, continuano le denunce per danni e furti, e cresce la contrapposizione tra lavoratori di TNT e lavoratori di Fastcoop. A gennaio 2008, in una situazione ormai ingovernabile, Fastcoop, annuncia di rinunciare all appalto e di uscire dalla gestione del cantiere TNT di Limena perché divenuto diseconomico; dimostrando ancora una volta tutta la sua incapacità imprenditoriale, e di essere completamente impreparata a gestire un impianto, nel rispetto delle regole, dei diritti e del salario dei lavoratori. Il rapporto tra FILT-CGIL e ADL-COBAS è pessimo, così come il rapporto tra i lavoratori iscritti alla CGIL e quelli iscritti ai COBAS; peggiora anche il rapporto tra i lavoratori TNT e quelli della cooperativa Fastcoop, che sono divenuti sempre più un corpo estraneo rispetto al resto dell azienda. Trattati sempre peggio dalle cooperative per cui lavorano, stretti tra la necessità di garantirsi un reddito e la difficoltà di conoscere e far valere i loro diritti, di conoscere le leggi, stentano a rivolgersi al sindacato, sono diffidenti, perché vedono che gli accordi fatti non vengono poi correttamente applicati. Ognuno scarica le colpe sugli altri, con una matassa che diventa sempre più ingarbugliata. Le difficoltà investono anche il sindacato che non ha tempo sufficiente per parlare con queste persone, di capirle, di rappresentarle effettivamente. Una montagna di problemi mai risolti, troppe volte rinviati, improvvisi cambi di cooperativa che comportano sempre qualche rinuncia per i lavoratori, divengono la miscela che ha fatto esplodere la vertenza TNT. 59

62 L iniziativa della FILT e la lotta ad oltranza condotta dai COBAS Di fronte al ritiro della Fastcoop la FILT convoca un assemblea per decidere il da farsi. La FILT considera quella di Fastcoop un esperienza ormai fallita e intende costringere la TNT a garantire la regolarità nel cambio di appalto e la continuità occupazionale per gli addetti. ADL-Cobas invece sabota la partecipazione all assemblea e porta i lavoratori della cooperativa in città, davanti alla Prefettura, e convoca la stampa. Al termine della manifestazione i lavoratori decidono l occupazione dell impianto TNT di Limena e organizzano il presidio continuo davanti ai cancelli. E il 20 gennaio La stampa locale dà ampio risalto al presidio e, due giorni dopo, ADL-Cobas, forte della pubblicità e del consenso che starebbero ricevendo i lavoratori in lotta, decide il blocco totale dell impianto. Lunedì 28 gennaio 2008 viene impedito di entrare ai dipendenti TNT, che vengono anche apostrofati con insulti, offese, scherno. Alcuni componenti della FILT portano al presidio dei Cobas la solidarietà, per ricostruire una piattaforma condivisa e sondare la possibilità di avviare il negoziato con TNT. Ma l offerta di convergenza della FILT viene rifiutata dai responsabili di ADL-Cobas; TNT rifiuta di aprire le trattative con soggetti privi di rappresentanza sindacale aziendale e non firmatari del CCNL e, in assenza di negoziato, dirotta l arrivo delle merci dirette a Limena su altre filiali e ordina il trasferimento provvisorio per ragioni oggettive dei propri lavoratori; l eventuale rinuncia del lavoratore al trasferimento comporta sospensione della retribuzione. Molti dei lavoratori TNT accettano e vengono trasferiti in altre filiali attive in province limitrofe, mentre gli interinali pagano subito il conto e vengono sospesi senza retribuzione. L iniziale solidarietà e comprensione per la lotta dei lavoratori del magazzino, si trasformano in distacco, disapprovazione e condanna da parte degli altri lavoratori TNT e in somministrazione. TNT intanto avvia la ricerca di un nuovo soggetto che subentri nella gestione del magazzino di Limena, ma dopo alcuni giorni lascia intendere che una parte di attività non saranno più fatte rientrare a Limena a causa sia della lotta in corso, ma anche delle difficoltà logistiche e di rapporto con il Comune. Le relazioni sindacali sono interrotte e la vertenza sta prendendo una brutta piega. Ogni tentativo di convergenza tra le OO.SS. viene respinta e il clima è ostile. Si ha la netta impressione che la conflittualità sia stata scelta come un fine e non un mezzo. ADL-Cobas è effervescente nel diffondere comunicati sulla lotta, promuovere trasmissioni radiofoniche, diffondere volantini in altre filiali, tenere i rapporti con alcune forze politiche (Rifondazione Comunista) ma non è in grado di presentare nessuna piattaforma alle controparti né di guidare i propri iscritti verso una ipotesi di soluzione. Il messaggio dei Cobas alimenta l esasperazione dei lavoratori e l illusione che il blocco del cantiere porterà grandi risultati per i lavoratori. Prevale la demagogia sindacale e ogni tentativo di soluzione viene visto come un cedimento e un tradimento. Contemporaneamente, in TNT ed in Fastcoop, cresce l indisponibilità al confronto con questi lavoratori rei di aver violato le regole consolidate e di aver procurato ingenti danni economici e all immagine della TNT. Tra i lavoratori invece prevale l entusiasmo per il potere che questa lotta gli sta procurando, la soddisfazione per essere al centro dell attenzione mediatica dei giornali locali. Dopo essere stati per molto tempo dimenticati, ora tutti si occupano di loro. A due settimane di blocco dell attività, TNT rimane contraria ad aprire le trattative e conferma la volontà di ridurre il volume di attività nella filiale di Limena. Il lavoro della Filt è incessante per costruire relazioni e percorsi che possano far uscire la vertenza dallo scontro frontale che ogni giorno di più compromette l esito della vertenza. Il tipo di lavoro si presta a facili ricollocazioni e TNT, considerato lo scontro in atto e le difficoltà di individuare in zona un area adeguata ai suoi progetti manifesta la volontà di abbandonare la filiale di Padova. Si rischia di compromettere il posto di lavoro di quasi duecento persone più tutto l indotto. ADL- Cobas continua a rifiutare ogni contatto e diffonde comunicati e volantini nei quali si accusa la CGIL di essere un sindacato giallo. È improponibile ricomporre un tavolo sindacale unitario e condividere un percorso di trattativa. 60

63 La trattativa in Prefettura e l accordo Dopo 15 giorni di lotta la stanchezza si fa sentire ed anche molti dei soci della cooperativa sono al limite della resistenza, perché non hanno le risorse per stare un mese senza retribuzione. La situazione dei lavoratori interinali è identica ed anche i lavoratori in trasferta sono costretti a subire pesanti disagi. La FILT, nonostante la contrapposizione in atto e la mancanza di un formale mandato da parte dei lavoratori, si impegna per evitare che si rompano definitivamente le relazioni tra le parti. Anche tra i lavoratori iscritti ai Cobas affiorano dubbi sulla conduzione della vertenza, ma la loro leadership, non sapendo come uscire dallo stallo, cerca di enfatizzare e capitalizzare con continui comunicati il successo della loro lotta, per evitare che nascano discussioni sul da farsi. In molti tuttavia cresce la paura che la lotta stia per tramutarsi in un imminente disastro. La FILT ha nel frattempo costruito una ipotesi di soluzione, ma non ha il mandato per avanzarla: dopo aver verificato alcune ipotesi e avuto la conferma che un consorzio locale di cooperative (CORSO) è disponibile a subentrare nella gestione del magazzino, la FILT avanza la richiesta che sia convocato un tavolo istituzionale che discuta della situazione del cantiere di Limena e degli effetti che stanno ricadendo sulle spalle di tutti i lavoratori, soci di cooperativa, dipendenti ed interinali. Intanto la voglia di scontro sembra lasciare il campo al bisogno di trattare. Dopo giorni di rifiuto reciproco delle parti all incontro, faticosamente inizia la trattativa in Prefettura che tuttavia risente di una impostazione non unitaria, con ognuna delle parti interessata a difendere le proprie posizioni. TNT vuole che si prenda atto di quanto successo e comunica che tutto non può tornare come prima: nell impianto di Limena, anche in caso di ripresa dell attività, l azienda intende ridurre l attività. Strumentalmente usa il motivo di mettere in sicurezza l impianto di Padova, e di dover accogliere le ripetute richieste avanzate nel passato, da parte di ADL-Cobas anche con esposti agli organi di vigilanza. La richiesta della Filt è di riportare quanto possibile del lavoro su Limena, di far rientrare tutti i lavoratori in trasferta e quelli interinali e di impegnare il Comune di Limena ad individuare nello strumento urbanistico uno spazio per consentire a TNT di sviluppare in futuro la propria attività. TNT comunica di aver affidato l appalto per le attività di carico e scarico al Consorzio CORSO per un volume di merci di circa la metà rispetto al passato. Si ipotizzano esuberi di personale, mentre la cooperativa uscente Fastcoop rifiuta ogni impegno di ricollocazione per il personale che occupava, anzi dichiara che a seguito della perdita d appalto licenzia tutto il personale di Limena. Il Consorzio Corso ritiene che l appalto del magazzino affidatogli da TNT possa occupare al massimo 40 lavoratori, assunti come soci: un dimezzamento dell organico. Dopo cinque giorni di serrata trattativa, il Prefetto di Padova, dopo aver sentito e verificato le richieste poste da ognuna delle parti, decide di fare un lodo prefettizio e invita tutti ad aderire. Nel lodo, il Prefetto prevede una soluzione solidale per tutti i lavoratori della operativa: il lavoro che c è viene ripartito e consentirà di reimpiegare 60 dei precedenti lavoratori con orario ridotto di 30 ore settimanali; gli altri venti lavoratori saranno ricollocati in altre aziende della Provincia. Qualora qualche lavoratore venga inviato a lavorare in cantieri fuori della provincia di Padova, oppure qualcuno rifiuti il nuovo lavoro e decida di dimettersi, riceverà un incentivo una tantum di 4.000,00. Inoltre viene riconosciuto ai soci della cooperativa un importo una tantum di 850, quale compenso di disagio dovuto ai giorni di mancato lavoro. Qualche giorno dopo, mentre faticosamente si cerca di far ripartire l attività e far rispettare l accordo, si scopre che i Cobas in una successiva trattativa fatta con Fastcoop, hanno contrattato un incentivo all esodo per i loro 4 RSA di cadauno. La voce si diffonde e il faticoso risultato raggiunto in Prefettura rischia di saltare, perché molti lavoratori, ritenendo a questo punto il precedente accordo insufficiente, esigono un incentivo maggiore, preferendo l incentivo economico alla salvaguardia del posto di lavoro. Ancora una volta ADL-Cobas dopo l accordo tenta il gioco al rialzo e spacca nuovamente i lavoratori. La cooperativa Fastcoop che prima dichiarava di non avere neppure i soldi per pagare quanto previsto dall accordo dell estate 2007, a titolo di ticket restaurant, adesso trova inspiegabilmente i soldi per pagare lautamente degli esodi incentivati, concordati extra-trattativa con ADL-Cobas. Ed anche per pagare gli incentivi all esodo ad un numero maggiore di lavoratori rispetto a quanto scritto nel lodo prefettizio. Stranezze inconcepibili di certe forme di cooperativa!!! 61

64 In una ulteriore trattativa con TNT, la Filt-CGIL riesce ad ottenere che tutti i lavoratori interinali sospesi riprendano il servizio a Limena ed il rientro di tutti quelli mandati in trasferta. Anche a questi lavoratori viene riconosciuto un contributo per i giorni di inoperosità involontaria di 850 ciascuno. Vengono presi impegni anche per chiedere al Comune di Limena di verificare e recepire le richieste di TNT di poter costruire su una nuova zona di espansione un nuovo Hab per il nord-est. La crisi amministrativa che qualche mese dopo colpirà il comune di Limena e porterà alle dimissioni del Sindaco e della giunta svuota questo risultato e porta la TNT a decidere all inizio del 2009 di trasferire buona parte delle attività dell Hab di Limena a Monselice (a ca 35 chilometri). L insana competizione tra sindacati aizzata a tutti i costi da ADL-Cobas, al solo fine di promuoversi quale unico sindacato difensore intransigente dei diritti dei facchini, posizione mantenuta anche durante tutta la fase di trattativa, ha portato a chiudere questa vertenza con un risultato di minore occupazione e minore salario per i lavoratori. A parte la sistemazione dei locali bagni e l individuazione di un locale per le pause, i lavoratori della cooperativa che riprendono il servizio sono una trentina di meno, lavorano a part-time e quindi percepiranno una retribuzione inferiore a quella di prima. La divisione tra lavoratori della cooperativa e quelli di TNT, e tra organizzazioni sindacali ha prodotto il risultato di avere meno tutele per il reparto che aveva maggiore bisogno di conquistare diritti. Mentre, considerata la piega che aveva preso lo scontro, si può considerare senz altro positiva la riapertura della filiale di Limena, con la conferma dei precedenti livelli occupazionale, sia dei dipendenti TNT, sia degli interinali. Qualche valutazione finale Nonostante le difficoltà di rapporto tra i vari segmenti di lavoratori, la FILT ha saputo mantenere un collegamento tra i diritti degli uni e degli altri, evitando che la vertenza si concludesse mettendo i lavoratori della cooperativa contro quelli di TNT, come qualcuno voleva. La modalità con cui si è avviata la lotta, ha coinvolto i soli addetti alla cooperativa e ha messo in difficoltà tutti gli altri lavoratori, e anche la FILT-CGIL. Ancora oggi le conseguenze di quella lotta rappresentano un elemento di disturbo e di tensione nel rapporto tra e con i lavoratori delle diverse aziende operanti nello stesso sito: ognuno tende ad addebitare agli altri i risultati negativi e non si riesce a sviluppare una analisi pacata e ragionata. L impostazione della CGIL di unificare la contrattazione di sito e di avvicinare le condizioni economiche e normative tra i lavoratori deve essere sempre, e in particolar modo laddove operano lavoratori di diverse imprese, con salari e normative che fanno riferimento a CCNL diversi, la strada da percorrere senza indugi. Inoltre, in condizioni di scarsa sindacalizzazione dei lavoratori, non si possono condurre vertenze con posizioni sindacali contrapposte o concorrenti, che non vengono capite. Ognuno deve sapere sacrificare l orgoglio delle proprie ragioni per non dare un ulteriore vantaggio alle controparti; specie quando esistono difficoltà reali, con organizzazioni sindacali radicate tra i lavoratori da un lato e chi governa davvero le relazioni sindacali dall altro. Quando ci sono diverse e contrapposte strategie sindacali in campo occorre che siano i lavoratori a scegliere, con un percorso trasparente e che chiami alla responsabilità. Oggi i lavoratori impiegati nelle lavorazioni di carico e scarico e nella logistica in genere, sono la parte più debole del settore dei trasporti. Sono subordinati alla nevrotica mobilità delle merci, soggetti a picchi di lavoro giornaliero e stagionale, subordinati agli ordini di un responsabile di filiale che sovente (a parte rare eccezioni) considera più importanti le merci delle persone. Le persone che vi lavorano sono quasi totalmente lavoratori stranieri, la cui condizione di debolezza è proporzionale al bisogno di avere un reddito. La loro condizione soggettiva è molto diversa a seconda della nazionalità di provenienza: diversa è la modalità di aderire alle regole, ai ritmi, agli orari, alle norme contrattuali, e questo (in un settore dove il lavoro consente comunque una certa autonomia) determina comportamenti spesso difficili da gestire con regole uguali per tutti. Di frequente capita che i lavoratori scelgano chi fa avere loro la retribuzione più alta, senza badare al modo in cui è erogata; privilegiano chi propone pagamenti in trasferta, senza contributi né tasse, o addirittura in nero. Per loro l aspetto contributivo e fiscale sono qualcosa di misterioso, così come sono sconosciuti molti altri diritti previsti dai contratti. La difficoltà di capirsi reciprocamente, di 62

65 comprendere la lingua è un altro aspetto che complica enormemente il rapporto con i lavoratori extracomunitari, che non riescono a spiegare correttamente le loro condizioni e neppure a comprendere i loro diritti. Inoltre quasi mai riescono a produrre documentazione scritta sugli orari effettuati. In questo comparto così irregolare gli extracomunitari finiscono per ritenere gli italiani persone che li sfruttano e quindi li vedono con diffidenza, indipendentemente dal loro ruolo, compresi i sindacalisti. Fanno inizialmente fatica anche a rivolgersi al sindacato e, quando ci arrivano, lo fanno dopo esser passati per i loro canali, spesso etnici o comunitari. Per loro ogni sindacato è uguale, non conoscono le differenze tra organizzazioni sindacali e quindi si affidano a chi dà loro maggiori garanzie immediate. Per tutelare adeguatamente questi lavoratori è richiesto alla nostra organizzazione molto più tempo, perché niente è scontato. Da questo punto di vista occorre che la FILT intrecci il suo impegno con l associazione immigrati della CGIL, per l individuazione di persone adeguatamente formate attorno a cui costruire dei riferimenti CGIL nei posti di lavoro; questione difficile, visto peraltro che è necessario rispondano ad ognuna delle (decine di) nazionalità presenti nei posti di lavoro. E anche necessario, insieme con le altre confederazioni, estendere tra gli immigrati la conoscenza del sindacato, dei CCNL, delle regole, dei doveri/diritti. Senza conoscenza e senza tutela il lavoratore extracomunitario è indifeso ed accetta condizioni che i lavoratori italiani rifiutano, con la conseguenza di dare fiato ad un sentimento di ostilità verso i lavoratori stranieri, accusati con superficialità di rubare il lavoro e di svuotare le regole acquisite. Le cooperative sorte negli ultimi anni non hanno più nessun valore in comune con la cooperazione storica, (il lavoro, la solidarietà, la socialità, l equa distribuzione dei doveri e dei diritti ecc). Esse non hanno nessuna mission sociale o valoriale, ma sfruttano semplicemente i benefici della forma cooperativa per trarne vantaggi economici e maggiori opportunità di conquistare fette nuove di mercato. Sono forme di cooperativa cosiddette spurie perché non garantiscono nessuna forma di partecipazione effettiva e collettiva e sono spesso strumento di dumping contrattuale verso gli altri lavoratori. Hanno messo fuori mercato le cooperative storiche, nate sui valori della solidarietà e della mutualità tra lavoratori, ormai in difficoltà a competere con questo fiume di abusivismo, di lavoro nero, di evasione contributiva, di applicazione distorta dei contratti. Lo spazio del sindacato e il loro ruolo di regolazione contrattuale non riescono ad affermarsi in queste realtà. Per fermare tale logica distruttiva serve un azione sindacale più estesa ed efficace, ma servono anche interventi di supporto da parte degli organi di vigilanza e controllo sul lavoro. Anche le imprese committenti e le loro associazioni (a partire da Confindustria) devono smettere di sottovalutare e tollerare questa distorsione del mercato e del mercato del lavoro: se questa appare loro come la soluzione più economica, è comunque fonte di concorrenza sleale, vertenzialità e irresponsabilità diffusa, incertezza di costi finali, perché poi in molti casi subentra la corresponsabilità del committente. Molti imprenditori e manager, ancora oggi, confidano sul fatto che la corresponsabilità del committente si risolve quasi sempre in transazioni economiche convenienti, perché i lavoratori interessati non sopportano percorsi giudiziari lunghi anni e magari non sono più reperibili al momento di chiudere la vertenza giudiziaria. Anche per il sindacato, quindi, è complicato seguire la via giudiziaria, anche di fronte a gravi illegalità. Le imprese dovrebbero assumere un comportamento etico ed adottare capitolati d appalto che impediscano alle ditte subappaltanti di fare ricorso a forme contrattuali e retributive irregolari. Quando si permette che gli appalti siano affidati a 3-4 /ora in meno di quello che viene considerato convenzionalmente il costo minimo del lavoro, è evidente che poi tutto viene scaricato sui lavoratori, sull evasione contributiva e fiscale, sull IVA, sulle assicurazioni per furti o danneggiamenti (a volte fasulli), sulle ore effettivamente lavorate e così via. Anche in questo settore bisogna ottenere che i lavoratori indossino durante il rapporto di lavoro il cartellino con foto, nome, codice fiscale e matricola INPS. Si trovano molti lavoratori in nero, ma capita anche di trovare cooperative che al posto di 80 lavoratori dichiarati ne utilizzano 200, alcuni per pochi giorni al mese, e ciò per consentire ai lavoratori di avere buste paga per ottenere permessi di soggiorno o favorire situazioni di ricongiungimento. Per ottenere questi documenti, il lavoratore extracomunitario è disponibile a tutto e quindi, anche di fronte a violazioni drammatiche dei suoi diritti, non si rivolge al sindacato. Senza un vero ruolo dei servizi ispettivi 63

66 (UPLMO e INPS) queste forme di falsa impresa continueranno a operare e, con loro, un mercato del lavoro fuori di ogni regola. L attuale sistema di controlli è enormemente inadeguato, con organici ridicoli rispetto ai compiti e nell impossibilità, poi, di far corrispondere sanzioni alle denunce. Senza un cambio di marcia nelle attività di controllo di questi istituti, anche il nostro lavoro immane rappresenta una goccia nel mare, generoso ma inefficace. Negli ultimi anni si è intervenuti attraverso protocolli, patti, accordi, avvisi comuni per aggredire e modificare questo stato di cose. Padova è stata la prima provincia in Italia a costituire l Osservatorio provinciale per la cooperazione. Ma subito alcune forze hanno tentato di minarne l attività, condizionandone l attività; come è avvenuto alla Direzione provinciale per l impiego, con l effetto di non dare trasparenza ai dati del comparto e di attenuare gli interventi ispettivi. Con questo Governo, ogni sforzo per rendere il mercato del lavoro trasparente e regolare è divenuto più arduo e i lavoratori di questo settore sono destinati a rimanere in larga misura sfruttai dall economia sommersa. Anche le norme che stabiliscono la corresponsabilità del committente fanno fatica ad affermarsi perché questi lavoratori, spesso si accontentano di percepire le loro spettanze ( poche e subito ) e rinunciano a contributi e differenze salariali. Di questo mondo sono ben a conoscenza tanti mercenari che operano con astuzia e senza scrupoli ai bordi del fragile sistema economico italiano, utilizzando la forma cooperativa solamente per gli enormi vantaggi di costi e flessibilità. Dentro questo mondo l azione del sindacato rimane schiacciata tra il dilemma della tutela immediata del lavoratore (economica, conservazione del posto ecc) e l affermazione dei diritti, delle regole, della concorrenza trasparente (che suggerirebbero frequenti ricorsi alla magistratura e agli organi di vigilanza). Solo un strategia complessiva che tenga insieme riqualificazione produttiva/organizzativa, selezione drastica tra le cooperative e qualità del lavoro degli operatori può dare una via d uscita ad un comparto, preda altrimenti di una deriva che pare inarrestabile. 64

67 Aster Coop: offrire logistica pregiata, valorizzare chi lavora Gabriele Brunello 1. Panoramica generale e principali problematiche Analizzare il settore delle cooperative di facchinaggio e movimentazione merci è cosa tutt altro che facile. Quarant anni fa qualsiasi impresa operante nel settore facchinaggio sarebbe stata catalogata come impresa che forniva servizi a basso valore aggiunto, con un organizzazione aziendale pressoché nulla, che non pianificava le sue attività e lavorava alla giornata. Tali aspetti ancora permangono nell immaginario collettivo e non si può negare che vi siano molti casi che confermano tale affermazione. Tali realtà si sostanziano soprattutto dove l attività aziendale risulta una mera messa a disposizione di manovalanza pronta a scaricare o caricare la quantità di merce richiesta dal committente in quel momento. Negli ultimi due decenni, invece, la dematerializzazione dell impresa e la terziarizzazione delle attività aziendali che non rappresentavano il core business ha provocato una massiccia esternalizzazione dei servizi di magazzino e di logistica. Le imprese produttrici si rivolgevano al mercato per assegnare alle condizioni più vantaggiose la gestione dei loro servizi; chiaramente la gara d appalto è finalizzata all abbattimento dei costi e vige la logica del massimo ribasso. Per aggiudicarsi tali gare in molti fanno ricorso allo strumento della cooperativa. Lo strumento cooperativo, nato con logica solidaristica e volto al perseguimento del fine mutualistico, veniva (e viene tuttora) utilizzato al solo scopo di godere dei vantaggi assicurati dalla normativa del settore e ricavarne pertanto un vantaggio concorrenziale e di contenimento dei costi di servizio. Il movimento cooperativo, esaltato e difeso dalla stessa Costituzione come modo di fare impresa non con il solo fine lucrativo ma come meccanismo di partecipazione democratica e di autoimprenditorialità e pervaso da una logica mutualistica tra i soci, ha visto nascere dentro di sé dei mostri che ne hanno offuscato l immagine e danneggiato i buoni attori. Un settore come il facchinaggio, come già detto, che all epoca si contraddistingueva per il basso valore aggiunto del servizio, a causa proprio di questa esigenza di compressione dei prezzi nel breve termine, invece che investire in tecnologia e formazione per ricevere un vantaggio sul lungo termine, ha applicato esclusivamente strategie per ridurre il costo del lavoro e sfruttare l assenza di leggi e normative per raggiungere un estrema flessibilità a favore del committente. Negli anni si sono moltiplicate le cooperative in mano a singoli individui che negano ogni forma di partecipazione sociale, volte a eludere la disciplina lavoristica e previdenziale per riuscire ad acquisire il maggior numero di appalti a scapito di organizzazioni serie e strutturate. Esse hanno vita breve (mediamente due anni) e nel tempo tendono continuamente a rifiorire sotto nuove vesti e con prestanomi riconducibili sempre alla medesima persona. Le prassi di gestione adottate da queste cooperative sono molto simili. Le assemblee sociali spesso non vengono tenute e sono indette in luoghi molto lontani rispetto a quelli nei quali si svolge l attività (per esempio cantieri dislocati nel Veneto e assemblee in Campania). Per quanto riguarda la gestione del rapporto di lavoro vi è una larga diffusione del lavoro irregolare, di falsi contratti di associazione in partecipazione che nascondono un rapporto di natura subordinata, del massiccio uso di lavoratori stranieri, disposti a sopportare lavori di fatica e mal retribuiti (non voluti da molti italiani) pur di avere uno stipendio, e che accettano qualsiasi tipo di sfruttamento pur di mantenere un posto di lavoro e avere così diritto a rimanere in Italia (Testo Unico D.Lgs. 286/98 e L. 189/02). Con lavoratori senza diritti e una pressoché totale elusione della normativa giuslavoristica, da quella sull orario di lavoro a quella previdenziale, è facile immaginare la rincorsa continua ad un costo del lavoro sempre più basso e la diffusione di forti tensioni all interno del settore. 65

68 Bisogna però fare alcune considerazioni. La prima osservazione è di tipo etimologico. Chiamare questo fenomeno con il nome di cooperazione spuria o falsa cooperazione lo ritengo errato. Non si dovrebbe continuare ad associare tali situazioni che sono di sfruttamento, illegalità e criminalità come parte quasi fisiologica e inestirpabile del mondo cooperativo; quasi da far pensare che esse siano una costola inevitabile di esso. Seppur si tratta di una mera questione lessicale, la ritengo importante per affrontare il problema con maggior radicalità e correttezza. In secondo luogo, bisogna considerare gli attori del settore. Queste cooperative gestite illegalmente instaurano appalti ovviamente con aziende attratte dal basso costo del servizio e dalla facilità con la quale il rapporto può essere gestito. Evidentemente le stesse aziende committenti dovrebbero scegliere le cooperative non soltanto valutando il vantaggio quantitativo immediato, ma anche quello qualitativo di medio periodo, tenendo in considerazione la responsabilità solidale che emerge e le possibili situazioni critiche che possono sorgere durante lo svolgimento dell appalto. Casi come quello della ditta Ferrero o della TNT di Padova, che si possono leggere in questa stessa ricerca, ne sono la dimostrazione lampante. I soggetti istituzionali che controllano il settore. Le Direzioni Provinciali del Lavoro hanno il compito di esaminare i Regolamenti per legge depositati dalle cooperative operanti nel territorio e svolgere un attività tesa a reprimere fenomeni elusivi della disciplina, nonché di raccogliere e vagliare i contratti d appalto di valore superiore ai euro che le stesse cooperative sono tenute a rendere disponibili. Inoltre, le Direzioni Provinciali del Lavoro, di concerto con le Camere di Commercio, le Organizzazioni sindacali e le Centrali cooperative, attraverso gli Osservatori provinciali dovrebbero svolgere una costante attività di monitoraggio e raccolta di dati sul settore, programmando le strategie da adottare per reprimere gli abusi. I pochissimi dati disponibili in Veneto e lo stallo nella costituzione degli Osservatori in diverse province, sono un segnale allarmante. Dobbiamo, cioè, constatare un inerzia e una passività preoccupante di tali organismi; compresa una certa stanchezza da parte delle associazioni di categoria e dei sindacati dei lavoratori. Ritengo che vi debba essere da parte degli attori un cambio radicale di approccio, se si vuole davvero offrire al settore un evoluzione positiva. L immagine che emerge è di un settore che non riesce più a trovare una giusta via per riqualificarsi e risolvere i suoi problemi. 2. Aster Coop. Storia di una buona cooperazione In verità, ad un analisi approfondita, la situazione appare a tinte chiaroscure, perché controbilanciata da soggetti che propongono un diverso modello di sviluppo delle cooperative della movimentazione merci: rispettano le normative vigenti, concorrono lealmente nel mercato, avendo ben chiaro cosa significa essere cooperativa, esaltandone peraltro il suo primo e nobile principio, quello solidaristico; dimostrando quindi che una buona cooperazione esiste e che da essa si possono trarre risultati economicamente e socialmente soddisfacenti. Non sono casi isolati e con le loro buone prassi dimostrano di poter operare in un ottica basata sull investimento sul capitale umano, in competenze gestionali, in tecnologia. Queste cooperative sono le prime a denunciare, presso le loro organizzazioni di categoria e pubblicamente, la concorrenza sleale di altri cooperatori, non soltanto per le ricadute che hanno sul loro volume d affari ma anche perché danneggiano l immagine di tutto il movimento. Osservare tali organizzazioni nel loro concreto funzionamento, rende possibile un operazione di benchmarking, cioè, costruire modelli esportabili e applicabili, per adattamento, ad altre realtà. E evidente l utilità di questa operazione ai fini di difendere e rilanciare un modello positivo di cooperazione. Abbiamo scelto per la ricerca di osservare la cooperativa Aster Coop Soc. Coop. (che di seguito chiameremo semplicemente Aster Coop) con sede a Udine, operante prevalentemente in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, specie nel settore dell elettrodomestico bianco (stabilimenti Electrolux di Porcia e Susegana), aderente alla Legacoop. 66

69 Si tratta di una cooperativa abbastanza grande, di circa 470 soci, e di un Gruppo composto da quattro società. La committenza è composta perlopiù da grosse società manifatturiere che hanno individuato in Aster Coop un partner affidabile, in grado di gestire completamente il servizio di magazzino e di logistica negli stabilimenti, sopportando per intero i costi del servizio, compresi eventuali danni e perdite di merce. L indagine si è svolta analizzando il bilancio d esercizio della cooperativa, i documenti e le pubblicazioni disponibili, e attraverso interviste ad alcuni dirigenti. Si è cercato di analizzare la storia e l organizzazione societaria, la strategia e gli obiettivi perseguiti, l approccio con gli altri attori dell ambiente in cui Aster Coop opera, la filosofia adottata; sempre nell ottica di capire come tali aspetti incidono sulla condizione dei soci lavoratori. Aster Coop nasce nel 1988 dalla fusione di 2 cooperative di facchinaggio operanti nel mercato ortofrutticolo di Udine, con l intento di eliminare la concorrenza deleteria all interno del mercato volta esclusivamente a comprimere i costi. Considerando la logistica non un mero utilizzo di braccia ma come un servizio organizzato e complesso, Aster Coop ha fin da subito puntato sull innovazione tecnologica e dei macchinari. La conseguenza di questa strategia si traduce in una costante ricerca all acquisizione di nuove commesse per la copertura dei costi per far fronte agli ingenti investimenti e sul coinvolgimento dei soci come soggetti attivi dell organizzazione, chiamati a decidere in prima persona sulle scelte da prendere. Vi è l esigenza anche di avere un partner finanziario che scommetta sulla cooperativa e che quest ultima offra sufficienti garanzie di solidità del gruppo e valide strategie di sviluppo che ne giustifichino l appoggio. La dimensione finanziaria pertanto non è slegata dalla logica cooperativistica, anzi può diventare parte integrante per rafforzare il proprio ruolo nel mercato. A tal proposito si pone una domanda legittima e una riflessione che scaturisce a seguito di recenti vicende finanziarie che hanno interessato la Legacoop, come il fallimento della scalata da parte di Unipol al gruppo BNL: come si connette la dimensione cooperativa con quella del mercato e della finanza? La risposta che stanno cercando di dare Aster Coop (e altri soggetti cooperatori) è rivalorizzare l aspetto etico e di rispetto per le regole e di rendere partecipi i soci in tutte le scelte da prendere, re-intrepretando in chiave moderna uno degli assunti originari del movimento cooperativo: il socio è proprietario della cooperativa e deve governarne i destini. Riaffermare centralità agli strumenti partecipativi e democratici serve a porre al centro del sistema organizzativo le persone, che di conseguenza saranno chiamate alla gestione responsabile dei capitali e del lavoro. Torniamo alla vicenda Aster Coop. All inizio della sua storia la cooperativa deve affrontare un problema di sostenibilità dei costi: la cooperativa aumenta il numero di appalti e si trova a fronteggiare di conseguenza anche un aumento del costo del personale impiegato, che porta ad uno squilibrio nei costi. Aster Coop vuole garantire occupazione e applicazione del Regolamento interno; per evitare la messa in liquidazione, è costretta a votare nel 1989 una compressione del costo del personale (nessuna quota di TFR accantonata per l anno corrente e tredicesima al 75%). In analoghe situazioni, tale decisione è sufficiente a far saltare la condivisone tra i soci e la stessa cooperativa; nel caso di Aster Coop, un adeguata informazione ai soci dell assemblea e una corresponsabilità unanime di fatto salvano la cooperativa. Aster Coop riesce a superare il momento critico e gli anni Novanta segnano la ripresa e lo sviluppo. La crescita dell intera economia del Nord Est e dell elettrodomestico, le permette di acquisire nuove commesse e di attrarre nuovi soci sovventori; una gestione oculata, volta al risanamento dei conti, porta ad un consolidamento dell attivo di bilancio (1994 l utile risultava di circa 400 milioni di lire); la cooperativa investe sulla dotazione tecnologica e sul miglioramento delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni dei soci. Aster Coop riceve svariati riconoscimenti per la buona gestione e per i progetti portati avanti negli anni: premio Bussola d oro (1997), la Medaglia d Oro della CCIA di Udine per essersi distinta per 67

70 dinamismo e spirito innovativo (1998) e vari riconoscimenti per l impegno profuso in materia di sicurezza e igiene sul lavoro. La cooperativa, raggiunto il consolidamento, ha continuato a stipulare nuovi contratti, ad espandersi in regioni come Lombardia e Toscana, e nello stesso tempo ad aumentare gli investimenti nelle nuove tecnologie e nell automazione dei processi. Nonché a perseguire una logica esplicita di investimento sulle persone, lo loro professionalità, riconoscendo loro retribuzioni e normative adeguate. In tal modo Aster Coop decide di superare il meccanismo della gradualità e attuando da subito la parificazione dei trattamenti economici e contributivi dei soci (sancita dalla legge 142/2001) sopportandone i costi e ammortizzandoli nel tempo. La storia di Aster Coop fa capire come una gestione intelligente e oculata, che ha ben chiaro che ai committenti va offerto un servizio sofisticato di logistica e di magazzino e che questo risultato diventa possibile se c è un coinvolgimento attivo e responsabile dei soci, dimostra l esistenza di uno spazio industriale, anche nel Nord ESt, per una cooperazione che scommette su una via alta alla competitività. Ciononostante essa ha attraversato periodi di difficoltà prima di rendere la sua strategia efficiente e consolidarsi finanziariamente. La sua situazione attualmente è piuttosto buona anche se risente della difficile congiuntura economica. La Cassa Integrazione Guadagni in deroga, alla quale da poco hanno accesso anche i soci di cooperativa, è stata richiesta esclusivamente in uno dei cantieri, senza peraltro diretta responsabilità di Aster (la società committente ha voluto riacquisire la gestione del servizio logistica) e per un numero limitato di soci. In ogni caso, Aster Coop sta cercando di non ricorrere a riduzioni d organico ma di operare affinché la perdita di fatturato venga minimizzata e distribuita tra tutti i soci (es. oltre all azzeramento dei ristorni per l anno in corso, il godimento delle ferie e dei permessi). 3. Organizzazione societaria e strategie di sviluppo: scommettere sul capitale umano Cerchiamo ora però di capire com è strutturato il gruppo, qual è più in specifico la sua organizzazione societaria, la figura del socio e il rapporto con gli altri attori del sistema cooperativo. Il Gruppo Aster Coop, oltre alla stessa Aster Coop, si compone di altre tre società controllate. La FriuliArchivi SrL che, utilizzando tecniche similari a quelle per l organizzazione della logistica nei magazzini, si occupa di catalogare e conservare i documenti di aziende ed enti pubblici. Crea archivi informatici consultabili, in caso di richiesta dell originale in sede spedisce il tutto entro un giorno. Madimer Friuli SrL è specializzata nella gestione di magazzini conto terzi e servizi logistici all impresa. In particolare ha sviluppato un particolare sistema di logistica rivolto alle aziende produttrici di vino, creando un magazzino che per tutto l anno conserva le bottiglie a temperatura costante e riesce a consegnare gli ordini in Italia in un tempo molto breve. Infine Aster Coop d.o.o., società di diritto croato, che si occupa di logistica nel mercato ortofrutticolo di Fiume e che rappresenta una finestra verso l Est Europa. Presso il complesso della sede di Aster Coop inoltre sono ospitate due importanti organizzazioni come Slow Food e Friuli Innova, con le quali la cooperativa mantiene sinergie e rapporti di collaborazione. L organizzazione societaria adottata può essere definita dualistica corretta e trae spunto dal modello di cogestione delle grandi imprese industriali tedesche (tipico quello della Volskwagen). Essa consiste nella presenza di due organismi: il Consiglio di Gestione e il Consiglio di Sorveglianza sulla gestione. L Assemblea dei soci elegge il Consiglio di Sorveglianza, che a sua volta elegge il Consiglio di Gestione. Il modello si intende corretto in quanto, per assicurare la trasparenza, l Assemblea comunque controlla l attività del Consiglio di Gestione e quest ultimo, nei passaggi strategici, compresa l approvazione del bilancio annuale, è tenuto a confrontarsi con essa. L assemblea generale è composta dai 470 soci; la partecipazione effettiva mediamente è del 50%. Per evitare la dispersività data dall ingente numero di partecipanti, essa viene anticipata da 68

71 assemblee di preparazione più snelle, che si svolgono nei vari cantieri di lavoro. Il Consiglio di Sorveglianza è composto da 24 soci tecnici specializzati (capi commessa, delegati sindacali o soci cooperatori, rappresentanti di tutte le sedi di lavoro) che cercano di analizzare in maniera dettagliata i vari temi e aspetti da affrontare poi in Assemblea generale. Siamo stati testimoni, il 10 maggio scorso, dell assemblea generale e ci hanno francamente stupito il rigore della discussione e delle votazioni e, insieme, la serenità del contesto; peraltro, erano evidenti sia l età media notevolmente giovane dei cooperatori sia la presenza, del tutto integrata, di lavoratrici e lavoratori immigrati. E facile fare un paragone con la cooperazione spuria, dove spesso il rappresentante legale è fittizio, il regolamento interno inesistente e neppure viene convocata l assemblea dei soci; vanificando la radice lo scopo mutualistico e lo stesso spirito cooperativo. Sul piano della politica industriale, una delle caratteristiche determinanti che danno la possibilità ad Aster Coop di essere una cooperativa in regola e nello stesso di applicare prezzi competitivi è la concezione della logistica come servizio strutturato, organizzato con l intento di non pesare in alcun modo sul committente. Per il raggiungimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità è richiesta la presenza di personale specializzato e non reclutato casualmente e al momento. Uno dei fattori che più di frequente si nota nelle cooperative di facchinaggio è proprio quello di impiegare persone appartenenti a fasce deboli della popolazione (stranieri, operai generici, a basso livello di scolarizzazione) che per la loro condizione si rendono disponibili a lavorare senza orari precisi e con trattamenti retributivi non regolari. Sono persone che vengono impiegate senza alcuna selezione e senza aver ricevuto alcuna formazione, semplicemente utilizzate secondo le esigenze dell azienda che affronta giorno per giorno le problematiche legate alla mancanza o all eccedenza di personale. Si giunge a situazioni non lontane dal caporalato e per questo ci è parso opportuno evidenziare come Aster Coop punti all inverso ad avere un organico specializzato. La formazione viene fatta in azienda ma Aster Coop si rivolge a società di formazione instaurando così rapporti di partnership. Con la società esterna si programma un percorso di formazione continua di lungo periodo. Il socio ha mediamente 8 ore di formazione annue oltre alle 40 ore per l inserimento iniziale. Inoltre per alcune figure come coloro che si occupano del trasporto merci su rotaia, la cooperativa si fa carico dei costi per la specializzazione. Sono inoltre attuati corsi per l integrazione e istruzione dei lavoratori stranieri per minimizzare le difficoltà nella comunicazione tra lavoratori. In ogni caso la presenza di stranieri rispetto ad altre realtà cooperative è molto bassa (circa il 36% sul totale dei lavoratori impiegati). Per di più la convivenza con lavoratori italiani favorisce l apprendimento della lingua ed anche una maggiore integrazione degli extracomunitari. L uso di tecnologie per la logistica avanzate presuppone la comprensione e la lettura della lingua italiana. Chi non riesce quindi a leggere l italiano di norma non viene nemmeno assunto in Aster Coop. Nella definizione del processo formativo resta fondamentale il coinvolgimento dei vertici delle società appaltanti per capire insieme le esigenze e le soluzioni migliori. Il connubio tra formazione e avanzamento tecnologico, sostengono gli intervistati, porta sul lungo termine a far risparmiare al committente circa il 20% dei costi di logistica rispetto alle altre cooperative concorrenti. Chiaramente l acquisizione dell appalto di Aster Coop presuppone un cambio di approccio da parte dall appaltante. Una differenza di non poco conto sta proprio nel fatto che Aster Coop chiede di gestire liberamente il reparto della logistica di magazzino senza interferenze di alcun tipo da parte dell azienda committente. Chiaramente, c è una periodica programmazione tra i vertici per migliorare sempre più il coordinamento tra le organizzazioni e l azienda comunica i piani di consegna per il giorno seguente, ma poi all interno del magazzino Aster Coop lavora in totale autonomia. Questo induce talvolta contrasti con i vertici dell azienda appaltante, se non sono disposti a cedere il loro potere decisionale. Ci dev essere quindi anche un cambio di cultura aziendale da parte del committente. Emblematico è un caso abbastanza recente nel quale la committenza non dava la possibilità ad Aster Coop di prendere decisioni in merito 69

72 all organico da impiegare giornalmente in quanto non forniva i piani di consegna in anticipo e Aster Coop così decideva di non rinnovare il contratto di servizio. Approfondiamo il ruolo del socio lavoratore, la sua conoscenza dei suoi diritti/doveri, la sua consapevolezza. Aster Coop si è mossa costituendo la figura del socio in formazione (nei primi 24 mesi dall assunzione). Per formare un socio ci vuole almeno un anno e sulla formazione Aster investe molto, perché la fidelizzazione del lavoratore è un lato essenziale del successo della cooperativa. I primi 3 mesi vengono considerati di prova: solo in questo periodo il neo-assunto può essere escluso dalla cooperativa, a differenza del diritto societario che prevede che egli possa anche perdere il ruolo se non si inserisce nel gruppo. Egli comunque non è penalizzato nemmeno sotto il profilo del trattamento economico. La differenza di trattamento tra il socio in formazione e il socio ordinario è riassumibile in due punti, a lungo dibattuti all interno della cooperativa: anzitutto, il socio, fino ai 24 mesi, non può votare le cariche sociali (attive e passive), mentre può votare il bilancio (nel caso in cui si ottenga un nuovo appalto ed arrivino cento nuove persone, nel determinare le cariche sociali vi sarebbe il rischio che il loro voto destabilizzi gli equilibri della cooperativa); in secondo luogo, il socio in formazione, che non ha cioè partecipato con il suo lavoro al raggiungimento del risultato economico, non accede agli utili (ristorni, rivalutazioni). Con la formazione, quindi, il socio ha la possibilità di inserirsi e capire il meccanismo decisionale della cooperativa, prendendo parte alle assemblee e sperimentando in prima persona il significato della mutualità, della partecipazione e della condivisione dei valori. A proposito delle assunzioni, Aster Coop usa molto il passaparola e le agenzie interinali, pur tenendo i lavoratori presso l agenzia il minor tempo possibile. Aster Coop si sente in realtà penalizzata dall immagine negativa della cooperazione che è diffusa nell opinione pubblica e vuole distinguersi come cooperativa seria. Quando avvia un nuovo stabilimento e serve personale, insieme all agenzia interinale, si organizza un corso di 40 ore dove la cooperativa si racconta, spiega i suoi valori, il suo metodo di lavoro, si crea già un gruppo, si riduce al minimo l ulteriore selezione nel periodo di prova. Va anche detto che ai vertici è richiesto di minimizzare il turn over, in quanto perdita sia sotto il profilo umano che economico. I capi commessa soprattutto sono a loro volta valutati anche sotto questo aspetto: un basso turn over è ritenuto indice di un gruppo unito e di un positivo clima aziendale. Non mancano i problemi. La stessa Aster Coop vive una situazione di conflittualità con l associazione presso la quale è iscritta (LegaCoop) e i sindacati. Non sempre questi due soggetti hanno avuto il coraggio di affermare alcuni concetti e portare avanti alcune battaglie per eliminare dal mercato la cooperazione spuria. L esempio più emblematico è sicuramente la partita giocata dopo l entrata in vigore della legge 142/2001, in ordine alla parificazione del trattamento economico e previdenziale tra socio e lavoratore dipendente, e il superamento della gradualità. I tempi infatti per l applicazione della norma si sono via via allungati, sino all esasperazione. Con il risultato che un operazione decisa per dare ad una ingente quantità di soggetti operanti nel settore il tempo per mettersi in regola, ha premiato i soggetti peggiori e messo in difficoltà quelle cooperative virtuose che avevano parificato subito i trattamenti e hanno dovuto sopportare costi del personale più alti. La domanda raccolta nelle interviste ci pare azzeccata: Se domani chiudessero le cooperative spurie si eliminerebbero i posti di lavoro nel settore logistica? La mia risposta è no, perché quello che producono queste cooperative non è un appalto di servizio, con tanto di miglioramento di efficienza e di qualità, ma intermediazione illegale di manodopera. Quando perciò nella logistica chiuderanno le cooperative spurie, esse saranno rimpiazzate da buone aziende, meglio se cooperative o da dipendenti dell azienda stessa. Rischi negativi per l occupazione perciò non ne vedo. 70

73 Parificare definitivamente i trattamenti nel settore porterebbe a risultati positivi anche per le aziende committenti, che si troverebbero ad instaurare appalti con cooperative serie e a non dover sopportare i riflessi di un inadeguata gestione del servizio. 4. Riflessioni finali Il caso Aster Coop è un buon esempio di come si possa fare cooperativa puntando sulla trasparenza dell organizzazione, sulla tecnologia e sulla specializzazione del personale. Le cooperative di facchinaggio, come dimostra questo contributo, possono evolversi offrendo alle imprese un servizio specializzato, a fronte sì di un innalzamento dei prezzi nel breve periodo ma di un pari se non superiore margine sul lungo termine; e tenendo insieme la necessità di garantire ai soci lavoratori rapporti di lavoro genuini e il riconoscimento dei diritti e delle tutele spettanti. Ma perché questa strategia abbia successo, vi sono delle condizioni ineludibili. La prima è la scelta di togliere dal mercato molte cooperative, i cui vertici usano la forma cooperativa come copertura per abbassare costi e diritti, sino al malaffare. In secondo luogo, occorre che gli organismi di controllo ritrovino forza e autorevolezza nella repressione dei fenomeni irregolari. In terzo luogo, vanno denunciate quelle associazioni di categoria, complici nel favorire fenomeni distorsivi della concorrenza attraverso la firma di CCNL, contratti collettivi dai quali deriva un costo del lavoro sensibilmente inferiore rispetto ai contratti stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative. Ma vi sono anche riflessioni di fondo fa portare all interno del movimento sindacale. Un settore di dimensioni così vaste, con sacche di illegalità così evidenti, ha bisogno di una maggiore conoscenza e di una strategia di intervento più robusta, non solo a valle dei fenomeni. Ritengo che ci si debba muovere con più decisione non soltanto sul versante della vertenzialità individuale, ma sulla corretta gestione del sistema di relazioni industriali, a cominciare dalla chiusura della gradualità nell applicazione ai soci del CCNL Trasporti e Movimentazione Merci. Infine non si può non affrontare la questione della contrattazione di sito. I soci lavoratori vivono a stretto contratto con i dipendenti dell azienda committente, che godono di diritti e tutele più favorevoli. La disparità di trattamenti generano frizioni tra i lavoratori e tensioni pericolose anche per la parte datoriale. Si leggano le vicende Ferrero e TNT. La contrattazione di sito, intesa come livello di contrattazione che considera l azienda nel suo complesso, se gestita con intelligenza dalle OO.SS. e dalle aziende committenti, renderebbe più gestibile l intera struttura aziendale. Il committente minimizza il rischio di empasse dell attività aziendale e ha uno strumento utile per selezionare di fatto i migliori partner tra le cooperative. Il sindacato, dal canto suo, realizza l unificazione dei lavoratori addetti che premia la sua rappresentatività. I lavoratori sono responsabilizzati e si vedono riconosciute le proprie competenze, con benefici effetti sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza. 71

74 Nuova Trasporti (TV): autogestire il lavoro, competere in Veneto Diego Brunello Gli inizi La cooperativa Nuovi Trasporti ha alle spalle l'intuizione di alcuni funzionari FILT Cgil di combinare l'esigenza delle aziende di terziarizzare la gestione dei magazzini e la logistica delle merci con l'esigenza dei lavoratori di lavorare in aziende che rispettassero i diritti e le regole del lavoro. Prendendo spunto dalla crisi strutturale che stava vivendo la ditta Domenichelli, storica ditta del trasporto milanese con sedi in tutto il nord Italia, venne proposto ai dipendenti dell'azienda delle filiali di Padova, Mestre e Treviso di chiudere il rapporto di lavoro dipendente e di diventare soci di una cooperativa autonoma; dislocata nelle tre province, forte della rete con la Domenichelli, la nuova cooperativa sarebbe diventata il punto di riferimento per la distribuzione delle merci in un area cruciale del Nord Est. Per i lavoratori, diventare imprenditori di se stessi era una scelta non facile. Dopo molte assemblee sindacali, vivacissime, al momento di decidere i dipendenti di Padova e Mestre si sono tirati indietro, mentre gli operai di Treviso hanno deciso di affrontare la prova: nell'ottobre 1985 nasce così la cooperativa Nuovi Trasporti. Nella cooperativa collaboravano sia operatori del magazzino che autisti: un aspetto fondamentale, per mantenere unito il ciclo produttivo e non lasciare che le forze si disperdessero tra facchini liberi (figura tipica degli anni 80) e piccoli padroncini: uniti si riusciva a fornire un servizio completo e a ottenere sul mercato prezzi migliori. Forte di una stretta collaborazione con il sindacato che aggiorna i soci sulle novità legislative e contrattuali, la cooperativa decide subito di applicare ai soci lavoratori un livello retributivo parificato a quello previsto dal contratto collettivo del trasporto merci e riesce a darsi una solida struttura democratica, che è diventata nel tempo la spina dorsale dell'azienda. Il fallimento Domenichelli e il nuovo inizio Punto di svolta della storia di questa cooperativa è il fallimento della ditta Domenichelli, che avviene nel La Nuovi Trasporti, che fin dalla sua nascita ha una collaborazione strutturale con la Domenichelli, vantava allora un notevole credito nei confronti della società fallita. Nelle assemblee si respirava già da tempo la voglia da parte dei soci più giovani di aprirsi al mercato e di abbandonare via via una collaborazione troppo stretta con la ditta che declinava, ma i soci più anziani non se la sentivano di abbandonare la collaborazione e rimanevano scettici. Il fallimento mette in ginocchio la cooperativa, che trova con poche commesse e senza liquidità. La cooperativa doveva trovare soldi ed energie per un nuovo inizio: in assemblea, assistiti dai funzionari sindacali e da commercialisti, i soci hanno delineato un piano per la ripresa, un piano che tra le altre cose prevedeva una decurtazione totale della retribuzione per due mesi. Molti soci hanno preferito abbandonare: dopo la crisi Domenichelli i soci lavoratori effettivi erano rimasti quindici. Ma la cooperativa riprende il cammino. La politica commerciale Da sempre la cooperativa ha cercato di ottenere appalti da gestire in esclusiva. Inizialmente questo risultava difficile, la concorrenza era molta e la cooperativa difficilmente riusciva ad ottenere l'esclusiva dalle aziende committenti; ma la cooperativa cresceva e, conquistando reputazione e professionalità, riusciva ad ottenere anche appalti in esclusiva. Gestire un appalto genuino in esclusiva significa che la cooperativa deve usufruire solamente di macchinari e tecnologia di sua proprietà, e che deve tenere la responsabilità e il controllo sull intero processo. I vantaggi in termini di rendimento e sicurezza del cantiere sono assicurati: personale competente, diretto da preposti 72

75 capaci, che gestisce macchinari cui è debitamente addestrato, aumenta la qualità ed il rendimento del magazzino in termini di quintali di merce gestita all'ora. Il socio della cooperativa, poi, in quanto lavoratore direttamente coinvolto, è molto sensibile alla manutenzione in sicurezza delle macchine presenti nel cantiere. L approccio risulta inviso ad alcune aziende committenti che si trovano a dover affidare una parte del loro ciclo produttivo all'esterno, ne perdono il controllo diretto e, cosa non secondaria, una tale gestione delle merci e del magazzino, ha un costo orario di molto superiore rispetto ai classici servizi offerti dalle normali cooperative di facchinaggio, quelle che offrono manodopera poco specializzata a basso costo. Il differenziale di costo per il servizio che la Nuovi Trasporti scarl è in grado di offrire ad un potenziale committente è anche del 40% superiore a quello medio di mercato, ma proprio grazie all'alta produttività (quantità merce gestita/ora e affidabilità) il costo di gestione sul medio periodo risulta conveniente e l offerta competitiva. Il consiglio di amministrazione della cooperativa scommette coerentemente su questa strategia, sino a rifiutare l'acquisizione di importanti appalti quando la sua politica gestionale non viene accettata dall'azienda (ad esempio la gestione dei magazzini Bartolini). Per avere qualità e competere la cooperativa ha deciso di puntare sulla valorizzazione del singolo socio, sul forte rapporto con il territorio e sull'innovazione costante delle tecnologie e dei mezzi applicati nei cantieri. I forti costi necessari agli investimenti sono sostenuti dal capitale sociale versato dai soci nonché dai ricavi annui non distribuiti tra i soci. Il socio-lavoratore: il cardine della cooperativa Fin dalla sua fondazione, la compagine sociale della cooperativa è formata solo da soci lavoratori: all'inizio erano una trentina, ora sono circa settantacinque. Essere soci ed insieme lavoratori nella cooperativa Nuovi Trasporti vuol dire essere sia gestori che esecutori del proprio lavoro. Come ha avuto modo di spiegarmi uno dei soci fondatori della cooperativa, il lavoratore che si sente parte anche della gestione dell'azienda, che non si sente mero esecutore di compiti o lasciato a se stesso, riesce a lavorare meglio perché si sente più responsabilizzato. E' così che la cooperativa riesce a garantire al cliente una produttività e una qualità di gestione del sito superiore alla media. La vita sociale La vita sociale in Nuovi Trasporti non si limita all'assemblea di approvazione del bilancio. Ogni anno vengono fatte almeno tre assemblee ordinarie e almeno una volta ogni 60 giorni vengono convocate delle sedute del CdA allargate, aperte a tutti i soci, per discutere dei problemi di lavoro e di gestione dei vari cantieri. Solo così anche i lavoratori impegnati in cantieri che richiedono la presenza di un solo operatore o due si sentono parte della cooperativa. Alle assemblee ordinarie e alle riunioni convocate durante l'anno l'affluenza è sempre forte e spesso i dibattiti sono molto accesi. La politica aziendale viene decisa in seno all'assemblea e dal CdA, che si fa esecutore della volontà generale. I componenti del consiglio di amministrazione sono scelti unicamente fra i soci della cooperativa e svolgono l attività come lavoratori anche durante il periodo in cui rivestono cariche amministrative. Ai consiglieri di nuova nomina viene garantito la formazione, in modo che essi siano in grado di leggere un bilancio e di gestire le normali funzioni amministrative. Alcuni professionisti esperti aiutano gli amministratori e i soci a prendere le decisioni più delicate. Per evitare di accentrare il potere decisionale nella figura del presidente, tutte le funzioni amministrative sono sempre state divise tra i vari membri del CdA. L'ammissione a socio Per far comprendere a chi si avvicina alla cooperativa che il lavoro offertogli non è mero lavoro di braccia ma è qualcosa di più, ai neo assunti non è concesso diventare subito soci: per un periodo di sei mesi vengono assunti con contratto di lavoro e annoverati tra i soci speciali, senza diritto di voto e senza versamento della quota sociale. Passati i sei mesi, il lavoratore può diventare socio della cooperativa, otterrà il diritto di voto e dovrà pagare la quota associativa che è stata stabilita in novecentocinquanta euro. La quota sociale, di una certa consistenza, serve sia a saggiare la reale volontà del socio sia per far fronte agli investimenti su macchinari e forniture necessarie per la gestione dei cantieri. 73

76 L'evoluzione della figura del facchino Negli anni, con l'innovazione tecnologica ed il cambiamento delle politiche di gestione dei magazzini si è molto evoluta anche la figura del facchino. La gestione di un magazzino informatizzato e l'uso di macchinari di ultima generazione necessitano di una certa preparazione da parte degli operatori: è per questo che la cooperativa ha investito e investe molto sulla formazione continua dei propri addetti. La cooperativa per mantenere questi standard negli ultimi anni ha dovuto anche applicare dei rigidi criteri di selezione in entrata, per avere lavoratori in grado di applicare tutte le regole e gli strumenti forniti. I lavoratori migranti La compagine sociale di Nuova Trasporti è formata per circa il 30% da soci di origine extracomunitaria. Una percentuale molto bassa rispetto ad altre cooperative di facchinaggio, che ha origine nella rigorosa selezione del personale in entrata. Tra i soci della cooperativa è forte lo spirito di solidarietà e, seppur con qualche resistenza, molte sono le iniziative che vengono organizzate per stimolare la coesione del gruppo e l'integrazione razziale con e tra gli immigrati. Il contratto collettivo Fin dalla sua fondazione la cooperativa aveva deciso di applicare integralmente ai suoi soci il CCNL della logistica e trasporto merci, nettamente migliorativo rispetto alle condizioni contrattuali che i facchini liberi o i padroncini avrebbero potuto realizzare muovendosi autonomamente nel mercato. Questa scelta politica non è mai stata abbandonata dalla cooperativa, salvo nei momenti veramente bui, come quello della crisi Domenichelli. Un passaggio importante è stata l'approvazione della legge n. 142 del 2001: la cooperativa ha deciso di adeguare fin da subito il versamento contributivo per tutti i soci lavoratori. Se prima infatti (secondo il principio della legge 602 del 1970) le cooperative di trasporto e facchinaggio potevano determinare la base dell'imponibile per i contributi per le varie forme di previdenza e di assistenza sociale su imponibili giornalieri e per periodi di occupazione mensile (determinato dal decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le OOSS nazionali), con l'approvazione della legge 142/01 tale regime contributivo speciale doveva essere superato in favore dell'applicazione del regime ordinario. Pur avendo il Governo, con l'approvazione del D.Lgs.423/01, concesso una deroga all'applicazione di tale disposizione fino al 31/12/2006, la Nuovi Trasporti ha deciso, con il versamento dei contributi, di garantire fin da subito ai propri soci un trattamento pensionistico adeguato, che il sistema 602/70 assolutamente non assicurava. La cooperativa, per far fronte al notevole aumento del costo di gestione che l'adeguamento contributivo comportava, ha deciso invece di applicare la percentualizzazione prevista dal CCNL per gli istituti contrattuali. Questa scelta ha comportato chiaramente un minor livello retributivo, compensato di fatto dalla redistribuzione di una parte degli utili tramite sostanziosi ristorni decisi di volta in volta dall assemblea dei soci. La cooperativa durante la crisi Più volte la cooperativa ha dovuto far fronte a periodi di crisi e li ha sempre gestiti internamente, cercando di limitare al massimo la riduzione dei posti di lavoro. Si è già decritto sopra come è stato affrontato il periodo di crisi successivo al fallimento Domenichelli, ma interessante è vedere come la cooperativa sta affrontando il difficile periodo di congiuntura economica del mercato. Se il 2007/2008 è stato un biennio positivo, già nell'ultimo trimestre 2008 la richiesta di lavoro per la cooperativa è diminuita e per il 2009 si prevede un calo di oltre il 20% del fatturato. Se nel 2008 sono stati distribuiti sostanziosi ristorni (oltre il 1400 euro pro capite) relativi al bilancio 2007, nel 2009 il ristorno derivante dalla gestione 2008 calcolato in 1600 euro pro quota sarà usato per compensare la riduzione dello stipendio derivante dall'accordo aziendale, in cui si prevede che ogni socio lavori un'ora in meno al giorno; così facendo i carichi di lavoro vengono distribuiti equamente e si eviteranno riduzioni del personale. Questo sistema, concordato tra i soci e approvato dal sindacato, dovrebbe anche evitare il ricorso all unico ammortizzatore applicabile ai soci lavoratori, la cassa integrazione in deroga, che garantirebbe comunque una protezione limitata nel tempo. 74

77 I rapporti sindacali La cooperativa, come si è detto, nasce da un'intuizione di alcuni sindacalisti della FILT Cgil, tra i quali Vito Guccione, allora segretario provinciale, e nel primo periodo ha avuto un rapporto molto intenso con il sindacato; ma col passare degli anni questo rapporto è diventato via via più rarefatto. Il nostro interlocutore, allora delegato CGIL alla Domenichelli, che ha partecipato alla vicenda come socio fondatore e poi, per anni, da presidente, sottolinea che i rapporti si sono sfilacciati quando Guccione, ha lasciato l'incarico. Chi l'ha sostituito ha sempre visto la Nuovi Trasporti come una azienda tra tante, e non come una cooperativa nata con un fine politico sindacale. In effetti, Vittorino Bettiol, segretario della FILT succeduto a Guccione, ha voluto sottolineare l importanza per la FILT di un graduale distacco della cooperativa dal sindacato. Un rapporto troppo stretto, come quello che si era creato durante la prima fase, avrebbe potuto sul lungo periodo indurre delle contraddizioni all azione sindacale, esponendo al FILT all accusa di collusione, e magari inibire le necessarie scelte imprenditoriali da parte della cooperativa. La Filt continua ad organizzare assemblee nei cantieri per informare i lavoratori di tutte le novità dei contrattuali, come fa in tutte le aziende in cui è presente, anche se continua a partecipare annualmente alle assemblee sociali. Molti soci lavoratori risultano iscritti al sindacato, alla FILT Cgil ma anche ad altre sigle confederali; per un periodo vi sono stati anche lavoratori iscritti ai COBAS. La cooperativa è un azienda ormai avviata, dove i lavoratori vengono rispettati e la partecipazione alla vita sociale è reale. E nata su spinta della CGIL, ma si è autonomizzata e oggi compete sul mercato con le proprie forze, e l adesione ad altre sigle dei lavoratori ne è la prova. Il rapporto con le OOSS rimane comunque saldo, perché la cultura sindacale tra i soci è diffusa e viene pure trasmessa alle nuove generazioni di lavoratori, in coerenza con lo spirito iniziale. La politica della cooperativa è, come è sempre stata, quella di rispecchiare in ogni scelta i principi politico-sindacali di uguaglianza nei diritti e nei doveri dei lavoratori. Nelle interviste non sono mancati accenti critici verso i funzionari delle altre categorie, che raramente dimostrato di avere un'ottica di tutela complessiva dei diritti di tutti i lavoratori impiegati in una azienda. Spesso tendono ad occuparsi solamente degli operai del loro settore, facendo finta di non vedere e probabilmente non conoscendo i problemi dei lavoratori soci di cooperativa impiegati nei magazzini. La terziarizzazione di alcune lavorazioni dà troppo spesso la stura a chi punta a rendere ancora più deboli e facilmente sfruttabili le fasce di lavoratori meno tutelate: ha messo in ginocchio prima i dipendenti dei piccoli laboratori, poi i padroncini, adesso i soci di cooperativa. E fondamentale, su questo piano, che l azione e la lotta sindacale siano rivolte alla tutela di tutti gli operatori impegnati nella filiera: solo così si supererà la disuguaglianza nei diritti tra i diversi segmenti dei lavoratori. Con un occhio al futuro E' su questo che si gioca il futuro: le cooperative devono diventare dei soci, non è importante cioè chi è il presidente, o se la sede è a Bolzano o è a Treviso: l'importante è che il socio abbia veramente in mano la situazione. Così l intervistato parla del rapporto che Nuova Trasporti ha voluto costruire con e tra i soci, ma così descrive anche quello che a suo modo di vedere è l'unica strada per cui le cooperative trovino ruolo sociale e competitività. La cooperativa, proprio per continuare a sopravvivere nel mercato, deve crescere mantenendo solidi i princìpi sopra esposti. Secondo lui, il modello Aster Coop, la fusione cioè di più cooperative per formarne una più grande, con un unico consiglio di amministrazione, è un modello a cui guardare con più favore rispetto a quello del consorzio di cooperative, che ha causato troppe volte un aumento secco dei costi di gestione del sistema senza riuscire a migliorare la gestione delle cooperative che lo formano. Qualunque sistema si adotti, non bisogna perdere il contatto diretto con il territorio e con il socio. Una sede sociale distante dai luoghi di lavoro può comportare un rapporto più debole tra il socio e la cooperativa; la partecipazione assidua e attiva alla vita sociale rende consapevole e duraturo il rapporto del socio lavoratore con la cooperativa: ecco le condizioni perché lo spazio economico e la qualità del lavoro nelle cooperative di facchinaggio abbiano un evoluzione positiva. P.S. Ringrazio Ermenegildo Milani che, con la sua disponibilità e le sue informazioni, mi ha permesso di riassumere in questo testo la storia della cooperativa Nuova Trasporti. Di quanto scritto, ovviamente, la responsabilità è mia. 75

78 Indicazioni bibliografiche Ballarino Gabriele, Contrattare l eterogeneità: il sindacato lombardo e la rappresentanza del lavoro atipico, in Lavoro e sindacato in Lombardia (a cura di D. Checchi e altri), Franco Angeli, Milano, 2002 Ballarino Gabriele, Il sindacato dei trasporti all inizio del nuovo millennio, 2006 Betta Federico, Martini Antonio, Perissinotto Luigi, Mondo camion, video inchiesta, 2007 Brunello Diego, Protocollo d intesa del 27/6/2002 per l applicazione del CCNL del Trasporto merci e della logistica alle cooperative di facchinaggio, tesi di laurea, PD, 2004 Brunello Gabriele, Le cooperative di lavoro nel settore del facchinaggio e movimentazione merci: la disciplina dei soci lavoratori e le dinamiche del settore, tesi di master, VE, 2008 Civiero Matteo, Miorin Thomas, Internazionalizzazione, autotrasporto merci e occupazione nel Veneto Paper Ires Veneto, Comunello Nicola, Il socio lavoratore in cooperativa: legge 142/01, Legacoop Veneto, 2001 Filt Cgil nazionale, Una politica per i trasporti, Ediesse, 2005 Imberbi Lucio, La disciplina del socio lavoratore tra vera e falsa cooperazione, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2 e , Saggi, Ediesse. Paggioro Gelindo, L autogestione nei trasporti, ESI, 1981 Pilati Luciano, L impresa cooperativa nella programmazione socio-economica, in Regole e libertà (a cura di A. Scaglia), Franco Angeli, Milano, 1999 Prospettiva Sindacale, Autogestione e azione sindacale, Rosenberg e Sellier, 1982 Quaderni veneti, Cisl regionale, Il movimento cooperativo nel Veneto, 1981 Ratti Luca, Mutualità e scambio nella prestazione di lavoro del socio di cooperativa, in Argomenti di Diritto del Lavoro, , CEDAM Stefanini Pierluigi, Le sfide della cooperazione, Donzelli Editore, 2008 Trentin Bruno, conclusioni al Convegno di Ires Veneto e Cgil Veneto, Democrazia industriale, esperienze di autogestione e cooperazione a Padova, paper, 1981 Unioncamere e Istituto Tagliacarne, Imprese, occupazione e valore aggiunto delle cooperative in Italia, Milano, 2009 Vedani Dario, Socio lavoratore di cooperativa: primi chiarimenti sulla riforma, in Dir. e Pratica Lavoro, 2002, 27, Opinioni e Commenti / Approfondimenti. Vedani Dario, Lavoro cooperativo chiarimenti sulla nuova disciplina, in Dir. e Pratica del Lavoro, 2004, 14, Opinioni e Commenti / Approfondimenti. Virginio Sergio, L ASTER, dalle cooperative di facchinaggio all impresa di logistica, Guarnerio, Zilio Grandi Gaetano, Trasferimento d azienda e fenomeni di outsourcing nella recente normativa lavoristica, in Lavori e precarietà. Il rovescio del diritto (a cura di R. Bortone e D. Gottardi) Editori Riuniti, Roma, 2004 Si vedano anche i riferimenti bibliografici in calce al saggio di Gaetano Zilio Grandi. 76

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