Funzioni a dominio intero per la rappresentazione di problemi di scattering tridimensionale

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1 Università degli Studi di Siena Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria delle Telecomunicazioni Funzioni a dominio intero per la rappresentazione di problemi di scattering tridimensionale Tesi di Laurea di Maria Grazia Petruzziello Relatore: Prof. Stefano Maci Correlatore: Ing. Massimiliano Casaletti Anno Accademico 2008/2009

2 Indice Introduzione vii 1 Lo scattering elettromagnetico Studio del problema dello scattering elettromagnetico tramite il Metodo dei Momenti Introduzione al Metodo dei Momenti Risoluzione della EFIE tramite il MoM Tecniche di estensione del MoM standard Spazi dotati di prodotto interno Esempi di funzioni di base a sottodominio Funzioni di base a dominio intero Funzioni di base per superfici planari Generalizzazione del teorema del campionamento Formulazione del problema Relazione di completezza spettrale e spaziale Spettro della funzione caratteristica Funzioni di Shannon Generalizzate (GS) Come stabilire il numero ottimo di funzioni di base Ortonormalizzazione delle funzioni i

3 Indice ii 2.4 Esempi di insiemi completi di funzioni di base a dominio intero per superfici planari Considerazioni finali Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali Formulazione A: Estensione diretta del caso bidimensionale al caso tridimensionale Derivazione delle funzioni di base Relazione di completezza spaziale e spettrale Formulazione B: Una scelta alternativa Ortonormalizzazione delle funzioni Formulazione C: Funzioni di base per lo scattering di strutture tridimensionali Calcolo dei gradi di libertà del problema Risultati numerici Analisi di strutture poligonali tridimensionali Primo esempio: il cubo Secondo esempio: il parallelepipedo Conclusioni 107 Bibliografia 109

4 Elenco delle figure 1.1 Geometria della superficie scatterante Delta di Dirac Funzione costante a tratti Funzione triangolare Sovrapposizione di funzioni triangolari Rappresentazione lineare costante a tratti Esempio di funzione roof-top per domini triangolari Geometria del problema Rappresentazione spaziale della corrente campionata sul contorno poligonale Griglia dei punti spettrali per il campionamento della corrente spettrale; il cerchio rappresenta la regione del visibile e la meshatura è fatta considerando una piastra di dimensioni Dx = 3λ e Dy = 4λ Geometria della superficie poligonale Rappresentazione simbolica delle Funzioni di Shannon in termini di onde piane generatrici a fase lineare Andamento del parametro η in funzione della distanza di osservazione z iii

5 Elenco delle figure iv 2.7 Andamento del parametro η al variare delle dimensioni della piastra Dominio triangolare confinato in un quadrato di lati Dx = Dy = 2λ Modi ortogonali per un dominio triangolare nel dominio spaziale Modi ortogonali per un dominio triangolare nel dominio spettrale Confronto tra le ampiezze delle correnti indotte sul piano E al variare del numero di funzioni di base utilizzato Confronto tra le ampiezze delle correnti indotte sul piano H al variare del numero di funzioni di base utilizzato Figura 2.9a Figura 2.9b Figura 2.9c Geometria del problema di scattering di una struttura tridimensionale Teorema di equivalenza Percorso di integrazione Spot sulla sfera del visibile Spot sulla sfera del visibile Copertura uniforme della sfera del visibile Geometria del problema Valutazione dell energia del sinc Geometria del problema Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi =

6 Elenco delle figure v 4.5 Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Confronto Near Field phi = Confronto Near Field phi = correnti cubo (F EKO) correnti cubo dovute allo sviluppo della corrente indotta sulla base trovata Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Confronto Near Field phi = Confronto Near Field phi = Geometria del problema Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi =

7 Elenco delle figure vi 4.31 Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Confronto Near Field phi = Confronto Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Near Field phi = Confronto Near Field phi = Confronto Near Field phi = correnti parallelepipedo (F EKO) correnti parallelepipedo dovute allo sviluppo della corrente indotta sulla base trovata

8 Introduzione Lo studio del fenomeno dello scattering elettromagnetico è uno dei principali settori di ricerca dell elettromagnetismo, soprattutto per quanto riguarda lo studio di tecniche innovative ed efficienti per migliorare le prestazioni dei metodi già esistenti. Nonostante la ricerca abbia fatto notevoli passi avanti, anche grazie all evoluzione dei mezzi di calcolo, lo sviluppo di nuove tecniche è sempre in atto soprattutto per poter trattare un numero sempre maggiore di problemi e strutture sempre più complesse. In quest ottica, gli scopi di questa tesi di laurea sono stati lo studio e l analisi della reirradiazione elettromagnetica (scattering) di una struttura tridimensionale, di forma e materiale generici, arbitrariamente posizionata nello spazio. In particolare, l attenzione si è concentrata sullo studio della complessità del problema, ossia sulla determinazione del numero, minimo e non ridondante, di funzioni di base necessario per rappresentare la corrente equivalente indotta sulla struttura e avere una buona rappresentazione del campo reirradiato ad una certa distanza. Questa tesi è così organizzata: nel primo capitolo viene introdotto il fenomeno dello scattering elettromagnetico e vengono citate alcune delle tecniche utilizzate per poter trattare anche strutture elettricamente grandi; in particolare, viene introdotto il Metodo dei Momenti, spesso indicato con l acronimo vii

9 Introduzione viii MoM, che è l approccio maggiormente usato per problemi di questo tipo e permette di calcolare i campi (sia elettrico che magnetico) a partire dalle correnti applicando le condizioni al contorno del problema tramite la definizione di funzioni di base e di test. nel secondo capitolo viene presentata l analisi dello scattering di una struttura 2-D, largamente trattata nell articolo [1], che è stata il punto di partenza del nostro studio; in tale articolo, viene presentata una nuova tecnica basata sulla definizione di un insieme ortonormale completo di funzioni di base, per correnti definite su superfici piane, generate grazie ad una generalizzazione del teorema del campionamento di Shannon. Tale rappresentazione ha la proprietà di avere le correnti spaziali e spettrali esprimibili in forma analitica. Viene inoltre introdotta una nuova tecnica per trovare i gradi di libertà del problema senza dover ricorrere ad una decomposizione a valori singolari (SVD), come nel caso dell SFX e del CBFM [2] [3]. Vengono, quindi, analizzati e presentati i risultati ottenuti utilizzando questa tecnica alternativa e innovativa. nel terzo capitolo viene studiato e analizzato il fenomeno dello scattering nel caso tridimensionale; vengono illustrate le varie fasi del lavoro, confrontate con quelle del caso bidimensionale evidenziandone le similitudini e le differenze, fino alla definizione dei gradi di libertà del problema per ottenere la rappresentazione del campo reirradiato ad una certa distanza dalla struttura. nel quarto capitolo vengono riportati e commentati i risultati e i grafici ottenuti che confermano la teoria sviluppata.

10 Capitolo 1 Lo scattering elettromagnetico Il problema dello scattering elettromagnetico consiste nello studio dell interazione tra un oggetto e il campo elettrico che incide su di esso; in generale, infatti, un oggetto investito da un onda elettromagnetica assorbe da essa energia e la riemette in tutte le direzioni. Il modo in cui si manifesta lo scattering dipende principalmente dal rapporto tra le dimensioni dell oggetto e la lunghezza d onda della radiazione incidente. Lo studio di tecniche numeriche e analitiche efficienti per la risoluzione dei problemi di scattering elettromagnetico è uno tra i principali settori di ricerca dell elettromagnetismo. Anche se, negli ultimi anni, l aumento della potenza dei mezzi di calcolo ha permesso di trattare strutture di dimensioni sempre crescenti, lo sviluppo di nuove tecniche che permettano di studiare problemi di crescente complessità è sempre attuale. 1

11 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico Studio del problema dello scattering elettromagnetico tramite il Metodo dei Momenti L approccio usualmente impiegato, grazie alla sua efficienza e robustezza, per la risoluzione dei problemi di scattering da corpi generici prevede la scelta di impostare il problema elettromagnetico sotto forma di equazioni integrali ottenute imponendo le condizioni al contorno dei campi elettrico e magnetico tangenti. Le equazioni così ottenute vengono chiamate rispettivamente Electric Field Integral Equation (EFIE) e Magnetic Field Integral Equation (MFIE). Data l impossibilità di risolvere tali equazioni a livello analitico, viene utilizzato un metodo numerico chiamato Metodo dei Momenti (MoM) che trasforma l equazione integrale di partenza in un sistema di equazioni lineari risolvibili tramite inversione di matrici Introduzione al Metodo dei Momenti Introduciamo brevemente la formulazione generale del MoM riprendendo la trattazione fornita in [4]. Consideriamo due spazi vettoriali V e W, e due vettori f e g tali che f V e g W ; consideriamo inoltre un applicazione lineare L : V W tale che: L[f] = g (1.1)

12 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 3 Supponiamo ora che il vettore g sia noto e che f sia incognito; data una base completa f n dello spazio V, possiamo proiettare f su tale base e scrivere: f = n α n f n (1.2) dove i coefficienti α n sono appunto le coordinate di f rispetto a f n. Il problema diventa dunque quello di trovare gli α n. Poiché, in generale, la base f n avrà infiniti elementi, viene introdotta la prima approssimazione del metodo numerico; considereremo infatti solo un numero finito N di funzioni di base, ossia approssimeremo f con: f N = α n f n (1.3) n=1 dove gli α n, con n = 1,..., N, rappresentano le coordinate nel sottospazio V, generato dalla base {f n } N n=1, dell elemento approssimato f. Quest ultimo è tale che il vettore errore {f f } ha norma minima, ossia {f f } V (il Metodo dei Momenti è infatti noto anche come metodo dei minimi quadrati). Sostituendo la (1.3) nella (1.1), e tenendo conto della linearità dell operatore L, otteniamo: N [α n L (f n )] = g (1.4) n=1 Introduciamo adesso la seconda approssimazione: definiamo un set limitato di funzioni w 1,..., w N, dette funzioni peso, ed effettuiamo il prodotto interno (che definiremo nel paragrafo 1.3) tra ciascuna funzione del set e la (1.4). Otteniamo un sistema del tipo:

13 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 4 < w 1, L (f 1 ) > < w 1, L (f 2 ) >... < w 1, L (f N ) > < w 2, L (f 1 ) > < w 2, L (f 2 ) > < w N, L (f 1 ) > < w N, L (f 2 ) >... < w N, L (f N ) > < w 1, g > < w 2, g >... < w N, g > α 1 α 2... α N = (1.5) che può essere riscritto come ZI = V dove Z = {Z i j = < w i, L (f j ) >} è detta matrice delle impedenze, V è detto vettore delle tensioni ed I vettore delle correnti. Se la matrice risulta non singolare, può essere invertita, ottenendo quindi il vettore α 1,..., α N ; da esso si risale, tramite la (1.3), ad una approssimazione di f. Vediamo ora su quali criteri si basi la scelta delle funzioni base e peso. La scelta dell insieme di funzioni {f n } N n=1 e {w m} N m=1 è di fondamentale importanza; essa influenza infatti sia l attendibilitá dei risultati ottenuti, sia l onere computazionale per il calcolatore. Consideriamo innanzitutto le funzioni peso; esse dovranno essere linearmente indipendenti, e tali da poter descrivere facilmente la funzione g. Poiché tale scelta influenza la complessità di calcolo dei prodotti interni nella (1.5), si dovrà cercare un compromesso tra l accuratezza della soluzione e l onere computazionale. Quale sia la scelta migliore per le funzioni peso è un argomento trattato da varie teorie; solitamente viene scelta una tra le seguenti opzioni: 1. w m = δ (x x m, y y m )

14 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 5 2. w m = f n La scelta 1, chiamata Metodo del Point Matching, consiste semplicemente nell imporre che la (1.1) sia verificata in un numero finito di punti del dominio di interesse; è evidente che per ottenere una soluzione sufficientemente accurata, si dovrà scegliere con cura il numero di punti. La scelta 2 è invece nota come Metodo di Galerkin e consiste appunto nello scegliere le funzioni di peso uguali alle funzioni di base Risoluzione della EFIE tramite il MoM In generale, la risoluzione della EFIE tramite il MoM consente di determinare il campo elettrico reirradiato da una superficie scatterante tramite la determinazione delle densità di corrente elettrica e magnetica J e K indotte dal campo incidente; tali densità possono essere sia le correnti vere, sia quelle fittizie derivanti dall applicazione del teorema di equivalenza. Una volta note J e K possiamo risalire ai campi reirradiati tramite relazioni integrali. Indicando con i n (r) la normale uscente dalla superficie scatterante nel punto r, come mostrato nella seguente figura 1.1: Figura 1.1: Geometria della superficie scatterante

15 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 6 per le densità di corrente valgono le relazioni: J (r) = i n (r) H (r) (1.6) K (r) = E (r) i n (r) (1.7) Se E i ed H i sono i campi elettrico e magnetico incidenti, ed E s ed H s sono i campi reirradiati (legati alle densità di corrente J e K), valgono le seguenti relazioni: E (r) = E i (E) + E s (r) (1.8) H (r) = H i (r) + H s (r) (1.9) Scrivendo il campo elettrico in funzione del potenziale vettore elettrico A s, del potenziale scalare φ s e del potenziale vettore magnetico F s : E s (r) = jωa s (r) Φ s (r) ( 1/εm ) F s (r) (1.10) tenendo conto delle (1.6), (1.7), (1.8), e supponendo valida la condizione di impedenza sulla superficie della struttura, si ottiene la seguente uguaglianza: { ηs (r) J (r) E i (r) } i n (r) = { ( ) } 1 jωa S (r) Φ S (r) F S (r) ε M i n (r) (1.11) dove η s rappresenta l impedenza superficiale. Per i termini all interno della (1.11) valgono le seguenti espressioni: A s (r) = µ m 4π F s (r) ε M 4π S S J (r ) e jkr R ds (1.12) (η s J (r ) i n (r )) e jkr R ds (1.13)

16 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 7 e, tenendo conto dell equazione di continuità della corrente: vale infine: dove: Φ s (r) = 1 4πε M J = jωσ (1.14) S è la superficie esterna della struttura; S J (r ) e jkr jω R ds (1.15) R = r r è la distanza tra il punto di osservazione r ed il punto sorgente r S ; ε M è la costante dielettrica del mezzo esterno; µ M è la costante magnetica del mezzo esterno; [ σ è la densità di carica superficiale C/m 2]. La (1.11) lega il campo elettrico incidente (noto) alla sola densità superficiale di corrente (incognita) tramite un operatore integrodifferenziale, quindi lineare. La (1.11) è infatti nota, appunto, come EFIE, ossia Electric Field Integral Equation. Grazie alla linearità dell operatore, possiamo applicare il Metodo dei Momenti. Proiettando la nostra incognita J (r) su di un set di N funzioni di base, definite sulla superficie S, otteniamo: J (r) = N I n f n (r) (1.16) n=1 e le nostre incognite sono ora i coefficienti I n, relativi alle densità di corrente incognite associate a ciascuno spigolo non di bordo (questo perchè le funzioni di base sono definite solo su spigoli non di bordo). Per snellire la notazione abbiamo utilizzato il segno di uguaglianza, pur trattandosi in realtà di una approssimazione, almeno nel caso generale. Supponiamo ora di utilizzare il

17 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 8 metodo di Galerkin, ossia scegliamo le funzioni peso w m uguali alle funzioni di base, e di definire il prodotto interno come: < h (r), k (r) >= h (r ) k (r )ds (1.17) Ipotizziamo infine di modellizzare la superficie con piastre piane triangolari, e di definire funzioni di base del tipo RWG, che verranno descritte nel sottoparagrafo 1.3.2, con espressione data dalla (1.6). Sotto tali ipotesi, si ottiene l espressione della EFIE in forma numerica mostrata di seguito: [ N jωl m I n A mn+ l m ε M [ n=1 ρm c+ 2 N I n F mn+ n=1 [ c+ ρm l m E m+ + E m 2 dove: + ρm c+ 2 ρm c 2 S N I n A mn n=1 + ] A ± mn = µ M 4π Φ mn ± = 1 jω F ± mn = ε M 4π T n + T n 1 4πε M ρm c 2 ] N I n F mn n=1 [ N l m I n Φ + mn ρm c 2 con m, n = 1,...N T n + T n T n + T n ed avendo indicato con R m ± la distanza: ] n=1 + ] N I n Φ mn + n=1 N I n < η s f n, f m >= n=1 (1.18) f n (r ) e jkr ± m ± R ds (1.19) m f n (r ) e jkr ± m ± R ds (1.20) m f n (r ) i n (r ) η S (r ) e jkr ± m R m ± ds (1.21) E m ± = E i ( r m c± ) (1.22) R m ± = r m ± r (1.23)

18 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 9 essendo r il generico punto sorgente e r ± m il generico punto di osservazione. Gli apici c + e c indicano rispettivamente i baricentri dei triangoli T n + e Tn. É stato quindi ottenuto un sistema lineare di N equazioni in N incognite, nella forma: ZI = V (1.24) dove: I è un vettore di dimensione N i cui elementi sono le incognite I n e rappresenta l incognita da determinare, ossia le funzioni di base. V è un vettore di dimensione N, legato al campo incidente, i cui elementi hanno espressione: ( c+ ρm V m = l m E m+ + E m 2 ρm c e rappresenta l eccitazione (che è nota) fornita dalle funzioni di test; Z è infine la matrice N N delle impedenze i cui elementi valgono: 2 ) (1.25) c+ ρm Z mn = l m [jω (A mn+ + A mn 2 + l c+ m ρm ( F mn+ + F mn ε M 2 ρm c 2 ρm c 2 ) ( Φ + mn Φ )] mn + ) + < η S f n, f m > (1.26) e rappresenta l interazione tra le correnti di base e di test presenti sulle facce della struttura. 1.2 Tecniche di estensione del MoM standard Il problema principale del MoM è legato alle dimensioni della matrice Z delle impedenze (di accoppiamento) al crescere delle dimensioni elettriche della

19 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 10 struttura considerata, non solo in termini di dimensioni, ma anche per il fenomeno del condizionamento della matrice che diventa rilevante all aumentare del suddetto parametro. Per ottenere una buona discretizzazione dell oggetto, la dimensione della matrice tende a diventare grande molto velocemente in rapporto all aumento della dimensione elettrica dell oggetto e questo appesantisce la CPU a livello di tempi di calcolo e di memoria. Un approccio noto e largamente usato per ovviare a questo problema consiste, come illustrato in [5], nell uso di Metodi Veloci Multipolo (FMM) [6] e Algoritmi Veloci Multilivello e Multipolo (MLFMA) [7], che riducono la complessità computazionale del problema in quanto prevedono la memorizzazione solo dei termini relativi al Near-Field nella matrice di accoppiamento, mentre quelli relativi al Far-Field vengono calcolati utilizzando un metodo iterativo. Una strategia che è stata introdotta per ridurre la complessità del MoM è quella che utilizza le sottomatrici formate a partire da quella originale del MoM; tali sottomatrici, che contengono gli accoppiamenti tra blocchi relativamente distanti (generalmente poche lunghezze d onda), sono difettosi di rango, ossia sono tali che il numero di gradi di libertà (il numero di funzioni di base necessario per avere una buona approssimazione del campo reirradiato) è più piccolo rispetto al numero di campioni usati. Per questo motivo, esse possono essere compresse usando tecniche quali la Adaptive Cross Approximation (ACA) [8] e l algoritmo di decomposizione matriciale; grazie a queste tecniche si riduce il numero di incognite del problema. Per ovviare al problema della complessità numerica, si possono utilizzare due tipi di approcci, come illustrato in [9], che sono tra loro complementari: utilizzare metodi veloci basati sull uso di tecniche iterative, che agiscono essenzialmente sui costi e sull occupazione di memoria; utilizzare metodi che si basano sul raggruppamento delle funzioni di

20 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 11 base in funzioni aggregate, che sono costruite in modo da restituire le informazioni relative alla natura della soluzione utilizzando direttamente la rappresentazione delle correnti incognite. Si può notare che, sfruttando la complementarietà dei due metodi, è possibile arrivare a formulare tecniche ibride che sfruttino i vantaggi di entrambe. In particolare, l aggregazione di funzioni potrebbe: essere usata per ridurre il numero di gradi di libertà (DoF) del problema; tale riduzione potrebbe permettere di calcolare la soluzione del MoM anche nel caso di oggetti grandi e complessi; permettere di migliorare la stabilità del sistema. In generale, le funzioni aggregate aggiungono una considerevole flessibilità al MoM che permette di sfruttare le proprietà fisiche e matematiche della struttura in esame col vantaggio di una riduzione della complessità computazionale e della stabilità della soluzione. Per lo studio di oggetti elettricamente grandi, una buona tecnica (che fa parte dei metodi a decomposizione di dominio) consiste nell introduzione di speciali funzioni di base, chiamate Funzioni Sintetiche [10] e anche indicate con l acronimo SF ; le suddette sono funzioni di base a dominio intero generate dalla soluzione del problema elettromagnetico su ogni singolo blocco, per effetto dell eccitazione dovuta a opportune sorgenti generatrici, che possono essere sia onde piane che sorgenti puntiformi. Tali funzioni si ottengono tramite la Decomposizione a Valori Singolari, conosciuta anche come SVD, descritta in [11], che permette di selezionare le risposte significative e linearmente indipendenti del sistema. Il punto di partenza di questo metodo alternativo, che può essere utilizzato per scatteratori di varia natura, è

21 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 12 l applicazione del teorema di equivalenza; la piattaforma viene isolata dal resto dell ambiente e racchiusa in una superficie equivalente virtuale. Un opportuno set di sorgenti generatrici tiene conto della presenza dell ambiente circostante; quest ultimo può essere riempito con un mezzo arbitrario che può essere scelto in modo da semplificare il più possibile la funzione di Green interna. Nel caso di una superficie liscia, la scelta più semplice non è lo spazio libero, ma il prolungamento della piattaforma fino ad ottenere un piano infinito. Il vantaggio, in questo caso, è che le correnti di Ottica Fisica sono note in forma chiusa e quindi facilmente calcolabili; dall altra parte, lo svantaggio è che non si tiene conto dei bordi e dei vertici della struttura e quindi c è bisogno di più correnti che irradino per avere una buona ricostruzione del campo. Una tecnica innovativa di tipo DD, illustrata in [12], è quella utilizzata nei modelli CBFM; essa consiste nel fatto che le correnti su una superficie arbitraria vengono rappresentate da un set di funzioni chiamate Funzioni di Base Caratteristiche (CBF) definite su tutti i blocchi nei quali la struttura viene suddivisa. Tali funzioni sono generate prendendo in considerazione la fisica del problema ; in questo modo loro sono adattate alle proprietà geometriche di ogni blocco e il loro uso consente una riduzione considerevole della matrice delle impedenze rispetto all originale basata sulle funzioni a sottodominio (ad esempio le funzioni Rao-Wilton-Glisson, anche conosciute come RWG e definite in [4]). Ogni funzione può essere vista come un aggregazione di funzioni di base di basso livello delle quali i pesi sono fissati quando le CBF vengono generate. La riduzione della dimensione della matrice permette di risolvere problemi per i quali precedentemente l unica soluzione possibile, a causa della matrice delle impedenze, era rappresentata dall uso delle tecniche iterative. Tuttavia in caso di strutture elettricamente

22 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 13 grandi, la riduzione della matrice potrebbe causare una riduzione troppo drastica del numero di incognite e questo potrebbe creare difficoltà nella risoluzione del problema. In casi come questi, possono essere utilizzate delle tecniche iterative, ad esempio combinando gli approcci CBFM e MLF- MA. Il Metodo delle Funzioni di Base Caratteristiche (CBFM) permette di affrontare problemi elettromagnetici di varia natura generalizzando il concetto del principio di localizzazione che costituisce il fondamento dei metodi asintotici. Il problema delle grosse dimensioni delle matrici che sorge quando si usa la formulazione convenzionale del MoM può essere superato dividendo il problema originale in sottoproblemi più piccoli che sono più facili da studiare. Tuttavia, diversamente dalle tecniche convenzionali DD che tipicamente utilizzano algoritmi iterativi per tenere conto degli accoppiamenti tra i sottodomini, il CBFM permette di risolvere direttamente il problema, in quanto riduce la matrice originale ad una di dimensioni più piccole che viene chiamata Matrice ridotta e questo permette di risolvere, numericamente ed efficientemente, problemi difficilmente risolvibili fino a pochi anni fa. 1.3 Spazi dotati di prodotto interno Il processo di discretizzazione di equazioni continue in forma matriciale pone un limite sull accuratezza del risultato numerico del MoM per un numero fissato di funzioni di base e di test, e determina se tale risultato potrà convergere all esatta soluzione all aumentare delle suddette funzioni. Il nostro obiettivo, come illustrato in [13], è risolvere un equazione della forma: L[f] = g (1.27)

23 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 14 dove L è un operatore lineare continuo. La funzione f è la variabile incognita da determinare e g rappresenta l eccitazione nota. Se la soluzione esiste ed è unica, essa è data da: f = L 1 [g] (1.28) dove L 1 è l operatore inverso di L, ed è proprio tale operatore, in generale, da determinare e valutare numericamente. L operatore lineare L mappa funzioni nel proprio dominio (come la funzione incognita f) in funzioni nel proprio codominio (come l eccitazione g); in generale, dominio e codominio sono spazi lineari diversi. Per esempio, nel caso in cui L sia un operatore differenziale, il dominio di L includerà delle condizioni a contorno non imposte sulle funzioni del codominio. E conveniente introdurre la nozione di prodotto interno, che è una quantità scalare, matematicamente indicata con il simbolo < a, b >, e che soddisfa le seguenti proprietà: < a, b >=< b, a> (1.29) < αa, βb + c >= α β < a, b > +α < a, c > (1.30) < a, a > > 0 se a 0 (1.31) < a, a > = 0 se a = 0 dove a, b, c sono funzioni, α e β sono scalari e l asterisco indica il complesso coniugato. Ogni prodotto interno che soddisfa le suddette proprietà può essere usato per definire una norma: ed una metrica associata: a = < a, a > (1.32) d (a, b) = a b (1.33)

24 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 15 che è in relazione con la nozione di distanza tra due funzioni. Due funzioni a e b, appartenenti ad uno spazio dotato di prodotto interno, si dicono ortogonali se: < a, b >= 0 (1.34) Similmente, un gruppo di funzioni {B n }, in uno spazio dotato di prodotto interno, formano un set di funzioni ortogonali se: < B m, B n >= 0 con m n (1.35) e tale set si dice completo se lo zero è l unica funzione ortogonale ad ognuna delle altre che appartengono ad esso. Un set di funzioni completo ed ortogonale prende il nome di base e può essere usato per rappresentare ogni altra funzione f appartenente allo spazio dotato di prodotto interno; ossia è tale che: f α n B n = 0 (1.36) n dove gli α n sono dei coefficienti scalari univocamente determinati utilizzando la seguente relazione: α n = < B n, f > < B n, B n > (1.37) In pratica, quello che si fa è proiettare le funzioni di interesse su un sottospazio (dello spazio di partenza) di dimensione finita, e in tale sottospazio le basi vengono troncate e la rappresentazione della funzione diventa del seguente tipo: f = f N = N α n B n (1.38) n=1

25 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 16 I coefficienti scalari {α 1, α 2,..., α N } sono selezionati in modo da minimizzare la distanza tra la funzione f di partenza e la funzione f N con cui la suddetta si vuole approssimare. L errore nella rappresentazione è dato da: d(f, f N ) = f f N (1.39) ed è minimo quando i coefficienti sono scelti in modo da rendere l errore ortogonale alla base N-dimensionale, ossia: < B n, f f N >= 0 con n = 1, 2,..., N (1.40) Quando si verifica la condizione espressa dalla (1.40), si ha una proiezione ortogonale. Grazie all ortogonalità delle funzioni di base, i coefficienti sono gli stessi sia nel sottospazio che nello spazio originale; quindi, la proiezione ortogonale è fatta utilizzando i coefficienti dell equazione (1.37). Consideriamo l equazione L[f] = g e cerchiamo una rappresentazione della soluzione f in un sottospazio N-dimensionale del dominio originale di L. L equazione (1.38) ne stabilisce la forma generale e la migliore approssimazione si ha quando si utilizzano i coefficienti dell equazione (1.37); il problema è che, siccome la funzione f non è nota, i coefficienti {α n } non si possono determinare utilizzando direttamente la relazione richiamata precedentemente. Per risolvere il problema, scegliamo un set di funzioni {T n } che formi una base nello spazio lineare dell operatore L, in modo che ogni altra funzione all interno di tale spazio possa essere rappresentata in un sottospazio N-dimensionale dato dalla combinazione lineare delle funzioni {T 1, T 2,..., T N } ; si avrà che: g N = g N = β m T m (1.41) m=1

26 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 17 La proiezione che minimizza l errore d(g, g N ) utilizza i coefficienti: β m = < T m, g > (1.42) < T m, T m > Se g è una funzione nota, i coefficienti {B m } sono facilmente determinati. Analogamente, la funzione L[B n ] può essere rappresentata utilizzando la seguente approssimazione: L[B n ] = N l m,n T m (1.43) m=1 dove i coefficienti {l m,n } che minimizzano l errore: sono dati da: LB n N l m,n T m (1.44) m=1 l m,n = < T m, LB n > (1.45) < T m, T m > I coefficienti dell equazione (1.45) permettono di avere una proiezione ortogonale nel dominio di L e quindi permettono di ottenere la migliore approssimazione della funzione. Ritornando all equazione L[f] = g noi vogliamo rappresentare la soluzione (approssimata) nella forma dell equazione (1.38), dove gli {α n } sono i coefficienti incogniti da determinare; puntiamo, quindi, ad ottenere una soluzione della seguente forma: Lf N = N α n L[B n ] (1.46) n=1 Proiettando questa funzione sul sottospazio N-dimensionale dato dalla combinazione lineare delle funzioni del set {T 1, T 2,..., T N }, si ottiene che: L[f N ] = N m=1 n=1 N l m,n α n T m (1.47)

27 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 18 dove i coefficienti {l m,n } sono ottenuti dall equazione (1.45). Eguagliando questa rappresentazione per L[f N ] con la rappresentazione fornita dalla (1.41) per g N, si ottiene il seguente sistema di equazioni discrete: N l m,n α n = β m conm = 1, 2,..., N (1.48) n=1 Questo sistema rappresenta un equazione matriciale di ordine N*N che può essere risolta calcolando i coefficienti {α n }. Sebbene utilizzando questa procedura si riesca ad ottenere la rappresentazione della funzione di partenza f N, i coefficienti {α 1, α 2,..., α N } ottenuti risolvendo la precedente equazione sono generalmente diversi da quelli che compaiono nell equazione (1.37); quindi, nonostante le proiezioni siano ortogonali nel codominio, non è assicurato che lo siano anche nel dominio e questo comporta che in generale l approssimazione non sarà buona. Dalle osservazioni precedentemente fatte, si deduce che una soluzione approssimata dell equazione lineare L[f] = g può essere espressa nella forma: f N = α n B n (1.49) n=1 dove le funzioni {B n } sono funzioni di base note definite sul dominio di L e gli scalari {α n } sono i coefficienti incogniti da determinare. Sostituiamo la precedente equazione nell equazione di partenza L[f] = g ; si ottiene un sistema di equazioni lineari forzando il residuo: N N L( α n B n ) g = α n LB n g (1.50) n=1 n=1 ad essere ortogonale al set di funzioni di test {T 1, T 2,..., T N }. Questo produce un equazione matriciale della forma Lα = β, avente come ingressi i coefficienti:

28 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 19 l m,n =< T m, LB n > (1.51) e β m =< T m, g > (1.52) L equazione matriciale Lα = β è formalmente identica all equazione (1.48), eccetto per la normalizzazione. Supponendo che la matrice L sia non-singolare, i coefficienti incogniti si possono calcolare usando un algoritmo standard per il calcolo delle matrici. Per il modo in cui è ottenuta, questa procedura è chiamata Metodo dei Residui Pesati o, come è più noto nel campo dell elettromagnetismo, Metodo dei Momenti e si rifà ai metodi di Rayleigh, Ritz e Galerkin per quanto riguarda il processo di discretizzazione. La discretizzazione di un equazione continua grazie al Metodo dei Momenti implica necessariamente la proiezione dell operatore lineare continuo su un sottospazio di dimensione finita definito dalle funzioni di base e di test. Tutto il discorso fatto fino ad ora è valido quando il set di funzioni (di base e di test) che si usano è completo, e in particolare ortogonale, ma questa, in generale, è una situazione che non si verifica nelle situazioni pratiche. Se l insieme di funzioni {T 1, T 2,..., T N } formano un set ortogonale, la proiezione del codominio sulle funzioni di test è ortogonale, e quindi si ha una buona approssimazione della funzione; in generale, però, anche se le funzioni di base sono ortogonali, non è garantito che la proiezione del dominio sulle funzioni di base sia ortogonale. Questo rende difficile lo studio della convergenza dell approssimazione numerica dell equazione (1.49) alla soluzione esatta quando N ; ad ogni modo, siccome N è necessariamente una quantità finita ai fini del calcolo numerico, il risultato ottenuto utilizzando la (1.49) rimane comunque approssimato. La scelta delle funzioni di base e di test è il principale problema che si deve affrontare quando si vuole implementare il MoM;

29 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 20 in particolare, la selezione delle funzioni di base influenza l accuratezza della soluzione, la complessità della matrice risultante e i limiti computazionali che si hanno a causa delle dimensioni della matrice. La formulazione del MoM potrebbe risentire, a livello di accuratezza, dei limiti computazionali a cui si va incontro quando si applica a certe tipologie di problemi. Questo metodo può essere applicato a geometrie semplici, strutture con contorni arbitrari e in generale di una certa complessità e le quantità considerate potrebbero essere scalari o vettoriali; per questa grande varietà di problemi che si possono trovare, potrebbe essere utile utilizzare delle funzioni speciali per risolvere i problemi elettromagnetici di interesse. A tal fine, è utile definire le funzioni a sottodominio o a dominio irregolare che sono funzioni definite su un sottodominio del dominio di partenza (a differenza delle funzioni a dominio intero definite su tutto il dominio di interesse). Tali funzioni differiscono dalle classiche funzioni di base in quanto: non formano, in generale, un set ortogonale; Aumentando l ordine N dell approssimazione viene modificato ogni elemento del set {B 1, B 2,...B n } Tuttavia queste funzioni sono abbastanza flessibili e quindi possono essere facilmente adattate a domini arbitrari Esempi di funzioni di base a sottodominio Illustriamo alcune delle più comuni funzioni di base e di test a sottodominio per la discretizzazione delle equazioni elettromagnetiche; consideriamo il caso di funzioni a sottodominio per quantità scalari mono-dimensionali. Tra le suddette, la più semplice è la Delta di Dirac:

30 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 21 B 0 (x) = δ(x x 0 ) illustrata nella seguente figura 1.2: Figura 1.2: Delta di Dirac Citiamo poi la funzione costante a tratti: 1 se x 1 < x < x 2 B 1 (x) = p(x; x 1, x 2 ) = 0 altrove illustrata in figura 1.3: Figura 1.3: Funzione costante a tratti

31 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 22 la funzione triangolare: B 2 (x) = t(x; x 3, x 4, x 5 ) = illustrata in figura 1.4: x x 3 x 4 x 3 se x 3 < x < x 4 x 5 x x 5 x 4 se x 4 < x < x 5 Figura 1.4: Funzione triangolare Su intervalli regolari, le funzioni costanti a tratti e triangolari sono i più semplici esempi di funzioni spline (in analisi matematica, una spline è una funzione costituita da un insieme di polinomi raccordati tra loro il cui scopo è interpolare in un intervallo un insieme di punti (detti nodi della spline) in modo da essere continua (almeno fino ad un dato ordine di derivate) in ogni punto dell intervallo) generate dalla convoluzione: B n (x) = B n 1 (x) 1 p(x; 2, 2 ) = B n 1 (x x )dx C è poi la famiglia delle funzioni quadratiche spline definite nel seguente

32 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 23 modo: 0 se x < 3 2 B 3 (x) = q(x; 3,,, 3 ) = x + x2 se 3 < x < x2 2 se 2 < x < 2 9 3x + x2 se < x < se x > 3 2 Funzioni più complesse possono essere ottenute utilizzando la formula ricorsiva delle funzioni spline. Supponiamo che il dominio di interesse sia diviso in intervalli, o celle, lungo l asse x. La funzione costante a tratti ha un supporto confinato nella singola cella ed è ortogonale a quelle localizzate nelle altre celle; un espansione di funzioni costanti a tratti produce una rappresentazione costante a tratti. La funzione triangolare sovrappone due celle adiacenti e divide ogni cella con funzioni triangolari adiacenti come si vede in figura 1.5: Figura 1.5: Sovrapposizione di funzioni triangolari Dalla continua sovrapposizione di tali funzioni sull intero dominio di interesse si ottiene un approsimazione lineare costante a tratti come si vede in figura 1.6:

33 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 24 Figura 1.6: Rappresentazione lineare costante a tratti Per quanto riguarda la funzione spline quadratica, essa sovrappone tre celle e divide ogni cella in altre due spline quadratiche. Si può notare che le funzioni triangolari assicurano la continuità delle funzioni che rappresentano, mentre quelle quadratiche della funzione e della sua derivata prima. E considerevole che nessuno dei due formi un set ortogonale. Consideriamo adesso la famiglia più utilizzata di funzioni di base a sottodominio. A questo scopo, dobbiamo innanzitutto discretizzare il dominio di interesse: ciò verrà effettuato tramite elementi piani, detti patch. Tali elementi saranno di forma triangolare: questa scelta è dettata dalla considerazione che, dati tre punti appartenenti ad una superficie, è sempre possibile individuare un piano passante per essi (affermazione non verificata per un numero maggiore di punti). L unica restrizione imposta da questa modellizzazione è che non vi siano più di due patch connessi allo stesso spigolo. Nell effettuare la discretizzazione si deve tener conto del fatto che, per problemi di corretta interpolazione dell incognita, gli spigoli degli elementi triangolari devono avere lunghezza non superiore ad un decimo della lunghezza d onda relativa alla

34 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 25 frequenza di lavoro. Le funzioni di base definite sui sottodomini triangolari sono le cosiddette funzioni roof-top: dato lo spigolo n, necessariamente non di bordo, esso individuerà due triangoli T+ e T -, sui quali è definita la funzione base f n come: f n (r) = dove: l n 2A n + ρ n + (r) se r T n + l n 2A n ρ n (r) se r T n 0 altrove l n è la lunghezza del generico spigolo (necessariamente non sul bordo); T n + e T n sono la faccia positiva e negativa connesse allo spigolo; A n + e A n sono le aree delle facce positiva e negativa; ρ n+ è il vettore che congiunge il vertice libero della faccia T n + con un generico punto di essa; ρ n è il vettore che congiunge il generico punto della faccia T n con il suo vertice libero; O è l origine del sistema di riferimento. La funzione così definita è tale da assumere valore nullo sui vertici opposti allo spigolo n; si ha inoltre che la componente normale allo spigolo assume valore unitario su ogni punto dello spigolo stesso La modellizzazione tramite funzioni roof-top definite su domini triangolari è appunto detta di Rao-Glisson-Wilton (RWG) [14]. Una rappresentazione grafica è mostrata in figura 1.7:

35 Capitolo 1. Lo scattering elettromagnetico 26 Figura 1.7: Esempio di funzione roof-top per domini triangolari Funzioni di base a dominio intero A differenza delle funzioni di base a sottodominio, le funzioni di base a dominio intero sono definite su tutto il dominio di interesse, ossia sono non nulle su tutta la struttura considerata. Un classico esempio di funzioni a dominio intero è quello delle funzioni sinusoidali; tali funzioni sono definite nel seguente modo: [ ] (2n 1) πx f n (x) = cos, con - l l 2 x l 2 dove l rappresenta la lunghezza della struttura considerata. Questo tipo di funzioni è largamente utilizzato quando si trattano distribuzioni di corrente di tipo sinusoidale.

36 Capitolo 2 Funzioni di base per superfici planari In questo capitolo viene presentato un metodo per la generazione di funzioni di base a dominio intero per correnti definite su superfici piane anche di grandi grandi dimensioni; i risultati ottenuti sono un estensione del teorema del campionamento di Shannon e, utilizzate all interno di schemi DD, permettono di selezionare una base completa per ogni blocco della decomposizione senza dover ricorrere ad un SVD [15] [16] [17]. Analogamente al teorema standard per il campionamento dei segnali, si ha la necessità di un criterio con cui troncare la serie del segnale ricostruito in modo da rispettare delle specifiche di accuratezza. Nel nostro caso, l accuratezza riguarda la ricostruzione del campo scatterato; quindi dobbiamo determinare i gradi di libertà del campo, ossia il numero di funzioni di base necessario per avere una buona approssimazione del campo reirradiato. L analisi qui di seguito illustrata (e che rappresenta il punto di partenza del nostro studio) è stata fatta su strutture planari isolate, ma la generazione di funzioni di base dovuta all associazione di due o più piatti può essere trattata similmente 27

37 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 28 tramite una tecnica di rotazione spettrale (come vedremo nel capitolo 3, che tratta il caso di una struttura tridimensionale). 2.1 Generalizzazione del teorema del campionamento L espressione generalizzazione del teorema del campionamento di Shannon si riferisce al fatto che il teorema del campionamento classico [18] è unidimensionale; nella sua estensione 2-D, è solitamente utilizzato nel caso di domini separabili, mentre in questa nuova formulazione viene utilizzato per trattare contorni arbitrari e senza assumere proprietà particolari del materiale scatteratore. Inoltre, rispetto alla versione usuale, in questa nuova versione viene invertito il significato di tempo e frequenza in quanto il campionamento viene fatto nel dominio spettrale piuttosto che in quello spaziale perché le funzioni di interesse sono a supporto compatto nel dominio spaziale Formulazione del problema Consideriamo il problema di scattering elettromagnetico mostrato in figura 2.1; la figura mostra una superficie planare, che chiameremo S, posizionata nel piano (x,y) con dimensioni massime lungo gli assi x,y rispettivamente indicate con D x ed y e illuminata da una sorgente generica. Consideriamo, per semplicità, la superficie isolata, anche se potrebbe più in generale essere una parte di una struttura molto più complessa.

38 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 29 Figura 2.1: Geometria del problema Sempre per ragioni di semplicità, consideriamo solo la corrente elettrica J(x, y); il discorso è analogo nel caso della corrente magnetica. La corrente indotta J(x, y) è una funzione spazialmente limitata: J(x, y) = 0 x > D x 2, y > D y 2 (2.1) ossia è una funzione a supporto compatto; questa proprietà permette di applicare il teorema del campionamento di Shannon per calcolare lo spettro della corrente come un set infinito di campioni spettrali. Dato che la corrente J è a dominio compatto è possibile costruirsi una funzione periodica J p ottenuta tramite ripetizione della corrente J: J p (x, y) = m,n= J (x nd x, y md y ) (2.2)

39 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 30 e, siccome Dx e Dy rappresentano le massime dimensioni della piattaforma, questa rappresentazione non risente del fenomeno dell aliasing. Riscriviamo la funzione (2.2) in termini di prodotto di convoluzione con una serie di Delta di Dirac spaziali: [ ] J p (x, y) = J(x, y) δ (x nd x, y md y ) (2.3) n,m= La precedente espressione, nel dominio spettrale assume la seguente forma: J p (k x, k y ) = J(k x, k y ) e j(k xnd x+k y md y) (2.4) n,m= Graficamente, la rappresentazione spaziale del problema è la seguente (Figura 2.2): Figura 2.2: poligonale Rappresentazione spaziale della corrente campionata sul contorno Si può notare che nella (2.4) la serie nel termine a destra può essere vista come la serie di Fourier di una ripetizione periodica di Delta di Dirac spettrali, ossia:

40 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 31 J p (k x, k y ) = J(k x, k y ) k x k y = n,m= n,m= δ (k x k xp, k y k yq ) = J(k xp, k yq ) k x k y δ (k x k xp, k y k yq ) dove i punti di campionamento spettrali sono dati da: (2.5) ( kxp, k yq ) = (p kx, q k x ) (2.6) e k x,y = 2π/D x,y La relazione (2.6) tra le ripetizioni della corrente spaziale e della corrente periodica spettrale è visualizzata in figura 2.3: Figura 2.3: Griglia dei punti spettrali per il campionamento della corrente spettrale; il cerchio rappresenta la regione del visibile e la meshatura è fatta considerando una piastra di dimensioni Dx = 3λ e Dy = 4λ É possibile ricostruire la corrente iniziale J filtrando la rappresentazione

41 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 32 spaziale tramite la funzione caratteristica W (x, y) della superficie S; ossia: dove: J(x, y) = W (x, y)j p (x, y) (2.7) W (x, y) = 1, for(x, y) S; W (x, y) = 0, for(x, y) / S (2.8) Sostituendo lo spettro della corrente periodica nella formula per la ricostruzione della corrente originale, si ottiene che: J(x, y) = 1 D x D y + p,q= J ( k xp, k yq ) W (x, y)e j(k xp x+k yq y) (2.9) Facendo la trasformata di entrambi i membri nel dominio spettrale, si ha che: J (k x, k y ) = k x k y + p,q= J ( k xp, k yq ) W ( kx k xp, k y k yq ) (2.10) dove W (kx, ky) è lo spettro della funzione caratteristica W (x, y) ed è dato da: con W (k x, k y ) = A k = k xˆx + k x ŷ, exp(jk ρ) da (2.11) ρ = xˆx + yŷ Per un dominio rettangolare, la coppia di equazioni (2.9) e (2.10) rappresenta il classico campionamento di Shannon per domini 2-D separabili, dove le funzioni W (k x, k y ) sono il prodotto di funzioni di tipo sinc; queste ultime si dimostrano essere funzioni interpolanti ideali in quanto rispettano il passo di campionamento di Nyquist. Le equazioni (2.9) e (2.10) costituiscono anche la generalizzazione del teorema del campionamento di Shannon per domini planari non separabili, dove le correnti a supporto compatto sono rappresentate

42 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 33 dai campioni spettrali J(kxp, k yq ) a passi di campionamento inversamente proporzionali alla dimensione massima della sorgente; in questa rappresentazione per domini non separabili, le funzioni sono rappresentate dagli spettri della funzione caratteristica che, per contorni poligonali, possiede una forma chiusa ed analitica Relazione di completezza spettrale e spaziale Una base è completa se in essa si riesce a rappresentare la Delta di Dirac; partendo dall equazione (2.9), se si considera lo spettro della corrente costante, si trova la seguente rappresentazione della Delta: δ(x, y) = 1 D x D y + p,q= W (x, y)e j (k xp x+k yq y) (2.12) Si può verificare la validità di questa relazione utilizzando la teoria delle distribuzioni, ossia proiettando la Delta su una qualunque funzione test a supporto compatto in S; da questo si deduce che la rappresentazione della corrente fornita nella (2.9) è completa ed essa è valida per ogni funzione trasformabile secondo Fourier e a supporto compatto, ossia nulla al di fuori della superficie di interesse S. Trasformando ambo i membri della (2.12) secondo Fourier si ottiene la relazione di completezza nel dominio spettrale: 1 = 1 D x D y + p,q= W ( k x k xp, k y k yq ) (2.13) in cui la somma degli spettri della funzione caratteristica traslata diviso per l area del rettangolo minimo che contiene S è pari all unità. La relazione (2.13) sarà utilizzata in seguito per determinare il numero di campioni spet-

43 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 34 trali, sufficienti e non ridondanti, necessari per la completa descrizione del campo scatterato Spettro della funzione caratteristica Nel caso di superfici S poligonali, è possibile derivare un espressione in forma chiusa della funzione caratteristica; a tale scopo indichiamo con Vm, conm = 1,..., N, i vertici del contorno della superficie poligonale, come indicato in figura 2.4: Figura 2.4: Geometria della superficie poligonale Tramite una semplice manipolazione algebrica, si ottiene che: W (k x, k y ) = N m=1 dove sin c(x) sin(x)/x e jkk s m k k exp ( j 1k ) ( 2 s+ m sinc 1 k 2 m) s k = k xˆx + k x ŷ s ± m = (v m+1 ± v m ) (2.14) (2.15)

44 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 35 Per la generalizzazione ad un contorno arbitrario, bisogna innanzitutto osservare che esso può essere approssimato da un contorno poligonale, con un numero di vertici che essenzialmente dipendono dalla sua lunghezza elettrica; questo permette di ottenere un espressione esplicita per lo spettro della funzione di base caratteristica unitaria nella forma dell equazione (2.14) che ha una complessità di risoluzione di tipo lineare. Alternativamente, il suddetto spettro può essere calcolato con un integrale di linea utilizzando il teorema di Stokes, direttamente applicato alla definizione di trasformata di Fourier che compare nella (2.11). L integranda può essere espressa in forma esatta, ossia: exp(jk ρ) = ẑ k ( exp(jk ρ) jk k ẑ k ) (2.16) Questo ci permette di riscrivere lo spettro della funzione caratteristica come un integrale di linea (calcolato sul contorno della superficie) usando il teorema di Stokes: W (k x, k y ) = 1 jk k A exp(jk ρ) (ẑ k) ˆt dl (2.17) dove t è il vettore tangente al contorno e dl è un elemento infinitesimo del contorno totale A ; si può notare che nel caso di una superficie circolare lo spettro si può calcolare in forma chiusa Funzioni di Shannon Generalizzate (GS) Il termine esponenziale che compare nell equazione (2.9) rappresenta la fase dell onda piana osservata sul dominio planare di interesse; per questo motivo, la rappresentazione della corrente indotta fornita nella (2.9) implica che ogni corrente planare può essere rappresentata esattamente in termini di un set discreto di onde piane a supporto compatto, che rappresentano le

45 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 36 funzioni di base; le suddette saranno chiamate Funzioni di Shannon e sono rappresentate nella seguente figura 2.5: Figura 2.5: Rappresentazione simbolica delle Funzioni di Shannon in termini di onde piane generatrici a fase lineare Si può osservare che le direzioni di incidenza delle onde piane necessarie alla rappresentazione della corrente sono i campioni spettrali definiti nella 2.6; questo permette di definire a priori un set di funzioni indipendenti in modo da mantenerci al di sotto di un certo limite imposto sulla ridondanza. Le Funzioni Generalizzate di Shannon corrispondono alle correnti di Ottica Fisica (PO) indotte sulla superficie poligonale da un onda piana caratterizzata da un appropriato vettore d onda; siccome non è rilevante, ai fini dello studio condotto, il significato fisico di queste correnti, non è richiesto che queste ultime siano quantità maxwelliane e non è determinante la polarizzazione di queste onde piane generatrici; infatti saranno le loro ampiezze le incognite dell equazione integrale per la rappresentazione del campo. Trascurando la decomposizione TE-TM, per semplicità e senza perdere di generalità, consideriamo due componenti indipendenti lungo x e lungo y, normalizzate

46 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 37 in modo da avere ampiezza unitaria: Ĵ GS p,q,i(x, y) = ˆξ i W (x, y)e j(k xpx+k yq y)ˆξ1 = ˆx, ˆξ 2 = ŷ (2.18) I coefficienti dell espansione delle correnti generalizzate di Shannon sono quelli della (2.9), e permettono di calcolare lo spettro della corrente iniziale: J(x, y) = 1 D x D y + p,q= i=1,2 J ( k xp, k yq ) Ĵ GS p,q,i(x, y) (2.19) dove le Funzioni Generalizzate di Shannon sono caratterizzate da uno spettro esprimibile in forma chiusa: J GS p,q,i (k x, k y ) = W ( k x k xp, k y k yq ) ˆξ i (2.20) 2.2 Come stabilire il numero ottimo di funzioni di base E stato dimostrato che è possibile rappresentare una generica funzione a supporto compatto tramite un set discreto e infinito di funzioni di base; a questo punto, il problema che ci si pone è come troncare questa serie di infiniti elementi in modo da utilizzarla all interno di un MoM. Il problema è quindi quello di determinare il numero di funzioni di base necessario per rappresentare il campo radiato da un arbitraria distribuzione di corrente; tale numero corrisponde ai gradi di libertà del campo, anche indicati con l acronimo DoF in [19]. La domanda che ci poniamo é: quante funzioni di base sono necessarie per avere una rappresentazione del campo radiato da un arbitraria corrente entro una certa soglia di tolleranza? O, analogamente, quali sono i gradi di libertá del campo? Per rispondere a tali domande, è

47 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 38 stato studiato lo spettro del campo radiato dalle correnti al variare della distanza di osservazione z dal piano. Per semplicità, è stato considerato solo il contributo direttamente proporzionale al vettore potenziale, ossia: E A (x, y, z) = jkζ g(k, z) J(k)d 2 k (2.21) dove: g(k, z) = e jz k 0 2 k k k0 2 k k (2.22) è lo spettro della funzione di Green e k è una variabile spettrale bidimensionale 2-D. Dobbiamo dividere lo studio in due casi distinti: Osservazione del campo scatterato ad una certa distanza z 0 dal piano; in tal caso la funzione di Green agisce come un filtro passa-basso in quanto decade esponenzialmente fuori dalla regione del visibile di raggio k 0. In queste condizioni, il campo prodotto da una generica corrente J(x, y) può essere rappresentato con un certo grado di accuratezza utilizzando un contenuto spettrale finito (la maggior parte dell informazione è concentrata nell intorno dell origine). Osservazione del campo scatterato nell origine del sistema di riferimento (z uguale a zero), che rappresenta il caso critico; in tal caso, il campo viene osservato direttamente sulla superficie di interesse. Partiamo dallo studio del primo caso; fissato un valore di soglia per lo spettro del campo radiato, che indicheremo ε min, il contenuto spettrale significativo sarà tutto concentrato all interno della regione: k k < (ηk) 2

48 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 39 di area: Ω η = π(ηk) 2 dove il parametro η è dato da: e kz min 1 η 2 ε min η = 1 + ( ) 2 ln (1/εmin ) (2.23) kz min Siccome le funzioni di base di Ottica Fisica costituiscono un set di funzioni indipendenti, per ricostruire una funzione arbitraria bisogna ricostruire lo spettro della delta di Dirac all interno della regione Ω η ; a tal fine, la relazione di completezza spettrale, espressa nella (2.13), è utile per calcolare un set di funzioni di base non ridondante. Per fare ciò, è conveniente definire la seguente quantità: Σ (k x, k y, γ) = 1 D x D y Ω γ W ( kx k xp, k y k yq ) (2.24) che rappresenta la versione troncata della serie a destra nella relazione di completezza spettrale espressa nella (2.13), con la sommatoria estesa ai campioni spettrali presenti nella regione Ω γ ottiene che: ; sfruttando proprio la (2.13), si Definiamo la regione troncata: lim Σ (k x, k y, γ) = 1 (2.25) γ Ω η = π(η k) 2 in modo che: 1 Ω η Ω η (1 (kx,k y, η )) 2 dk x dk y (ε min) 2 (2.26)

49 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 40 Come criterio di troncamento per definire i gradi di libertà, imponiamo che in Ω η l errore quadratico medio nella ricostruzione dell unità sia inferiore ad una certa soglia fissata ε min sommando le Funzioni Generalizzate di Shannon spettrali caratterizzate da numeri d onda interni alla regione Ω η. Anche se non è strettamente necessario, per semplicità di calcolo, il precedente integrale può essere approssimato dalla seguente relazione: dove: 1 N 1 1 Ω η D xd y g p p,q q Ω η g n,m = W ( k x n, k y m) 2 (ε min) 2 (2.27) e N k x k y /Ω η è il numero di campioni nella regione Ω η. La precedente equazione stabilisce una condizione su η come funzione di z min e della soglia; ossia: η = η (z min, ε min) Le funzioni GS non ridondanti sono quelle per le quali vale la seguente condizione: k 2 xp + k 2 yq < kη (z min, ε min) (2.28) Il numero di gradi di libertà (N DoF ) è dato dal numero di funzioni GS interne alla regione Ω η, moltiplicato per un fattore 2 che tiene conto delle due polarizzazioni: N DoF 2 π(kη (z min, ε min)) 2 k x k y = 2 πd xd y (η (z min, ε min)) 2 λ 2 (2.29) dove λ è la lunghezza d onda dello spazio libero. L approssimazione fornita dall equazione precedente sarà tanto più accurata quanto più aumenteranno

50 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 41 le dimensioni della piastra in termini di lunghezza d onda. La figura 2.6a riporta l andamento di η = η (z min, ε min) come funzione di z min (in termini di lunghezze d onda) al variare dei valori di ε min ; il grafico è relativo ad un triangolo con dimensioni D x = D y = 2λ. Dopo poche frazioni di lunghezze d onda, z min va fuori dalla regione reattiva della piattaforma ed η satura lentamente ad un valore fissato che dipende dalla soglia ε min : Figura 2.6: Andamento del parametro η in funzione della distanza di osservazione z La figura 2.6b mostra l andamento di η = η (z min, ε min) al variare del rapporto z min /λ per un valore fissato di ε min, e al variare delle dimensioni della piattaforma Dx e Dy; all aumentare delle dimensioni e fuori dalla regione reattiva, c è un andamento asintotico al valore fissato η = η :

51 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 42 Figura 2.7: Andamento del parametro η al variare delle dimensioni della piastra Concludiamo quindi che per grandi superfici e fuori della regione reattiva, N DoF diviene praticamente indipendente dalla precisione richiesta: N DoF 2 πd xd y (η ) 2 (2.30) λ 2 dove η è un fattore che dipende dalla geometria della struttura. Ad esempio, nel caso di una sorgente planare di area A, i gradi di libertà sono dati da: N DoF 2 2A (λ/2) 2 (2.31) che corrisponde al numero trovato in [19]. Confrontando la precedente equazione con la (2.30), si deduce che: η 8A (2.32) πd x D y dove A è l area della piattaforma. L approssimazione nella (2.30) è molto vicina al risultato trovato numericamente sulla base del processo descritto; comunque, la procedura descritta è valida per un campo interno alla regione

52 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 43 reattiva. Il processo spettrale descritto precedentemente consente di rappresentare il campo ad una distanza limitata dalla superficie di osservazione; adesso passiamo allo studio del campo direttamente sulla superficie. Per farlo, si parte dal fatto che in [20] è stato osservato che il troncamento spettrale della funzione di Green permette di ottenere la corretta soluzione del MoM; questo vuol dire che si può riscrivere la funzione g(k,z=0) che compare nell equazione (2.21), come il prodotto g(k, 0)P (k) dove P è una finestra che vale zero (o comunque assume un valore piccolissimo) quando si supera la soglia spettrale k max. Il problema è che il troncamento spettrale, al valore k max, dipende dalla densità della meshatura spaziale. Inoltre, sempre in [20], è risultato che è preferibile utilizzare finestre spettrali con un andamento tale da poter consentire un filtraggio graduale, e non netto, dell informazione di interesse; la bontà di tale filtraggio dipende dall accuratezza richiesta per le correnti sconosciute. Ad esempio, il filtraggio tramite finestre è necessario quando si vogliono risolvere problemi quali il calcolo del Near-Field nei quali le correnti incognite sono di grande importanza. In generale, la dimensione totale della struttura determinerà il passo di campionamento spaziale ed in seguito si potranno determinare le funzioni di base necessarie per il calcolo del campo; dalla meshatura spaziale si determinerà poi l estensione spettrale necessaria per la corretta rappresentazione della soluzione del problema. Il filtraggio tramite finestre esponenziali corrisponde a rimuovere la sorgente dalla superficie equivalente, come si può vedere in [20], o equivalentemente, ad osservare il campo scatterato ad una certa distanza z min dalle correnti equivalenti, dove questa distanza è direttamente proporzionale alla dimensione della meshatura; questo permette di troncare la larghezza di banda spettrale a kη nella (2.23). Dall estensione qui presentata del teorema del

53 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 44 campionamento di Shannon e dai risultati presentati in [20], si può dedurre che la dimensione elettrica complessiva della struttura determinerà il passo di campionamento spettrale e la forma delle funzioni di base spettrali; in un MoM convenzionale, la dimensione della meshatura spaziale (campionamento spaziale) determinerà l estensione spettrale complessiva necessaria per dare la stessa accuratezza nella rappresentazione della soluzione e poi il numero di funzioni spettrali che dovrà essere usato per coprire la stessa estensione. Quindi, il processo decritto non prevede una riduzione del DoF, ma che la quantità di informazione di un segnale cambi passando dalla sua durata (rappresentazione temporale) alla frequenza (rappresentazione di frequenza). 2.3 Ortonormalizzazione delle funzioni Introduciamo la definizione di prodotto scalare: f, g = f g ds (2.33) S per una coppia di funzioni f,g il cui dominio appartiene a quello planare di interesse. Un set completo e ortogonale di funzioni di base si può ottenere utilizzando la procedura di Gram-Schmidt applicata ad un numero sufficiente e non ridondante di funzioni GS per una certa distanza di osservazione z; chiameremo queste funzioni ortogonali modi e li indicheremo con f n (x, y). Il processo di ortogonalizzazione comincia considerando le funzioni GS il cui numero d onda associato è più vicino all origine e procede su un percorso quadrato a spirale aggiungendo sempre più funzioni ad ogni passo; indicata con: Ĵ GS 0,0,1(x, y)

54 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 45 la funzione iniziale, i modi ortogonali sono costruiti nella seguente maniera: f p,q,i = Ĵ GS p,q,i e normalizzati usando la norma: f 0,0,1 = Ĵ GS 0,0,1 (2.34) f p,q,i, ĴGS p,q,i fp,q,i, f f p,q,i (2.35) p,q,i (p p,q q) p,q (p,q) f = f, f Si ottiene così un set di funzioni del tipo: u p,q,i = f p,q,i fp,q,i (2.36) Si può notare che i coefficienti che compaiono nella (2.36) sono tutti espressi in forma chiusa. Il prodotto scalare tra due funzioni di base PO caratterizzate da due indici diversi è dato da: ( ) α p,q,i O p,q,i = ĴP p,q,i, Ĵ P p,q,i O = δ ii W (p p ) k x, (q q ) k y (2.37) dove δ ii è la Delta di Kronecker. Riprendendo le cose dette precedentemente, si possono includere nel procedimento di Gram-Schmidt un numero di funzioni GS pari ai gradi di libertà del campo che si vuole rappresentare, vale a dire quelle funzioni presenti all interno del cerchio di raggio kη, con η definita nella (2.28); l uso delle funzioni ortogonali nella (2.37) permette l espansione delle correnti spaziali attraverso i coefficienti di Fourier generalizzati, vale a dire: J(x, y) = N DoF J, up,q,i up,q,i (x, y) (2.38)

55 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 46 dove il numero di modi coinvolto è uguale ai gradi di libertà del campo osservato. 2.4 Esempi di insiemi completi di funzioni di base a dominio intero per superfici planari Esempi di modi ortogonali in domini spaziali e spettrali sono riportati in figura 2.9 e 2.10 per il caso di un dominio triangolare contenuto in un quadrato di lati D x = D y = 2λ Figura 2.8: Dominio triangolare confinato in un quadrato di lati Dx = Dy = 2λ Le figure mostrano i modi associati ad un unica polarizzazione (essendo uguale il modulo del corrispondente modo nell altra polarizzazione). Dalle

56 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 47 Figura 2.9: Modi ortogonali per un dominio triangolare nel dominio spaziale Figura 2.10: Modi ortogonali per un dominio triangolare nel dominio spettrale

57 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 48 figure, risulta evidente che i modi dominanti nel dominio spettrale sono concentrati nell intorno dell origine del piano spettrale e quelli di ordine superiore sono posizionati più vicini al confine della regione visibile; nel dominio spaziale, viceversa, le situazioni si invertono. Per mostrare la convergenza dell espansione in serie della corrente è stata considerata la proiezione sulle funzioni modali di una corrente reale ottenuta risolvendo un problema di scattering della struttura triangolare illuminata da un dipolo elettrico posizionato ad una distanza pari a λ 8 dalla superficie (figura 2.8) tramite un software commerciale (F EKO T M ) che implementa un MoM classico (Figure 2.11 e 2.12). Figura 2.11: Confronto tra le ampiezze delle correnti indotte sul piano E al variare del numero di funzioni di base utilizzato

58 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 49 Figura 2.12: Confronto tra le ampiezze delle correnti indotte sul piano H al variare del numero di funzioni di base utilizzato In figura 2.13,2.14 e 2.15 sono mostrati i confronti tra i campi irradiati dalla distribuzione originale e dal suo sviluppo in serie sul piano E e sul piano H a tre distanze diverse: Figura 2.13: Figura 2.9a

59 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 50 Figura 2.14: Figura 2.9b Figura 2.15: Figura 2.9c Il numero N 0 di modi scelti nei tre casi corrisponde ai gradi di libertà per un osservazione ad una distanza z = 0.5λ. In particolare: in figura 2.13, il campo è osservato ad una distanza pari a 0.5λ dalla superficie; in questo caso, il numero di modi è scelto utilizzando l espan-

60 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 51 sione del teorema di Shannon e si ottengono i seguenti valori: η = 1.5, N 0 = N DoF = 98 ; in figura 2.14 e 2.15 è mostrato l andamento dei campi osservati a distanze inferiori, 0.25λ e 0.1λ rispettivamente. Il numero di modi N 0 trovato dalla procedura sovraesposta è basato sul caso peggiore (distribuzione impulsiva); quindi, come mostrato in figura 2.15 la ricostruzione del campo risulta accurata anche ad una distanza di osservazione minore (z = 0.25λ), mentre comincia ad allontanarsi dalla curva del MoM ad un ulteriore diminuzione della distanza (figura 2.15). 2.5 Considerazioni finali In questo capitolo è stato introdotto un set completo di funzioni di base basato su una generalizzazione appropriata del teorema di Shannon, per rappresentare le correnti su una superficie planare; per semplicità sono state studiate le correnti elettriche, su superfici di PEC, ma questo ragionamento è valido anche in casi più generali. E stato quindi presentato un criterio sistematico per selezionare a priori un numero sufficiente e non ridondante di funzioni di base (gradi di libertà); questo criterio non richiede un SVD ed è basato sul riempimento uniforme di una regione spettrale circolare ad opera di un set di funzioni di base spettrali, e corrisponde alla versione spettrale della relazione di completezza della distribuzione Delta. Quando l osservatore è fuori dal campo reattivo e la superficie è grande in termini di lunghezza d onda, i gradi di libertà del campo tendono al numero teorico trovato in [19]. Dopo aver definito il numero sufficiente e non ridondante di funzioni, è stato costruito un set ortogonale di modi delle funzioni GS col metodo di Gram-Schmidt; questa costruzione non richiede alcuna integrazione numeri-

61 Capitolo 2. Funzioni di base per superfici planari 52 ca, essendo la proiezione tra le funzioni GS espressa in forma chiusa. Quando la corrente è nota a priori, essa può essere rappresentata utilizzando i modi di Shannon i cui coefficienti sono ottenuti da semplici proiezioni di Fourier; invece, quando la corrente è incognita, il criterio sistematico per selezionare un numero sufficiente e non ridondante di funzioni di base offre una struttura robusta per rappresentare le correnti in modo da avere una certa accuratezza nella rappresentazione del campo.

62 Capitolo 3 Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali In questo capitolo viene presentato un metodo di generazione di funzioni di base a dominio intero per la rappresentazione di correnti definite su strutture volumetriche; questo permette la selezione di una base non completa per ogni blocco della decomposizione della struttura considerata senza dover ricorrere ad un SVD garantendo una buona approssimazione del campo scatterato. Analogamente al caso bidimensionale (trattato nel capitolo precedente), lo studio si focalizza sull accuratezza della ricostruzione del campo scatterato; in particolare, l obiettivo è determinare i gradi di libertà del problema, ossia il numero di funzioni di base necessario per avere una buona approssimazione del campo reirradiato. L analisi dello scattering di una struttura tridimensionale, qui di seguito illustrata, è partita dallo studio dello stesso fenomeno nel caso bidimensionale, largamente trattato in [1]; a partire da tali risultati, sono state ottenute tre classi di funzioni di base per strutture 3-D (indicate con A-B-C), ognuna caratterizzata da particolari proprietà. 53

63 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali Formulazione A: Estensione diretta del caso bidimensionale al caso tridimensionale Il primo approccio implementato è stato l estensione diretta del caso 2-D al caso 3-D; abbiamo quindi, inizialmente, considerato una struttura tridimensionale volumetrica e abbiamo ripercorso tutte le fasi del caso bidimensionale Derivazione delle funzioni di base Consideriamo il seguente problema di scattering elettromagnetico (figura 3.1): Figura 3.1: Geometria del problema di scattering di una struttura tridimensionale

64 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 55 La figura 3.1 mostra un volume, che chiameremo V, posizionato sulla terna di assi (x,y,z); indicheremo con D x, D y e D z le massime ampiezze, rispettivamente lungo gli assi x, y e z. Consideriamo per semplicità il volume isolato, e sempre per ragioni di semplicità, consideriamo solo la corrente elettrica J(x, y, z) ; il discorso è analogo nel caso della corrente magnetica. La corrente indotta J(x, y, z) è una funzione spazialmente limitata: J(x, y, z) = 0, x > D x 2, y > D y 2, z > D z 2 (3.1) ossia è una funzione a supporto compatto; questa proprietà permette di applicare il teorema del campionamento di Shannon per calcolare lo spettro della corrente come un set infinito di campioni spettrali. Esprimiamo, quindi, la corrente come una ripetizione periodica degli infiniti campioni: J p (x, y, z) = m,n,p= J (x nd x, y md y, z pd z ) (3.2) e, siccome D x, D y e D z rappresentano le massime dimensioni della struttura, questa rappresentazione non risente del fenomeno dell aliasing. Riscriviamo la funzione periodica in termini di prodotto di convoluzione con una serie di Delta di Dirac spaziali: J p (x, y, z) = J(x, y, z) [ n,m,p= δ (x nd x, y md y, z pd z ) ] (3.3) La precedente espressione, nel dominio spettrale assume la seguente forma: J p (k x, k y, k z ) = J(k x, k y, k z ) n,m,p= e j (k x nd x +k y md y +k z pd z) (3.4) Si può notare che nella versione spettrale della corrente periodica la serie a destra può essere vista come la serie di Fourier di una ripetizione periodica

65 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 56 di Delta di Dirac spettrali, ossia: J p (k x, k y, k z ) = J(k x, k y, k z ) k x k y k z = n,m,p= n,m,p= δ (k x k xp, k y k yq, k z k zr ) = J(k xp, k yq, k zr ) k x k y k z δ (k x k xp, k y k yq, k z k zr ) e, in particolare, i punti di campionamento spettrali sono dati da: ( ) ( ) kxp, k yq, k zr = p kx, q k y, r k z dove k x,y,z = 2π/D x,y,z. (3.5) (3.6) Per ricostruire la corrente iniziale si può filtrare la rappresentazione spaziale periodica utilizzando la funzione caratteristica W (x, y, z) del volume V; ossia: dove: J(x, y, z) = W (x, y, z)j p (x, y, z) (3.7) W (x, y, z) = 1, per(x, y, z) V ; W (x, y, z) = 0, per(x, y, z) / V (3.8) Sostituendo lo spettro della corrente periodica nella formula per la ricostruzione della corrente originale, si ottiene che: 1 J(x, y, z) = D x D y D z + p,q,r= J ( k xp, k yq, k zr ) W (x, y, z)e j(k xp x+k yq y+k zr z) (3.9) Facendo la trasformata di entrambi i membri nel dominio spettrale, si ha che: J (k x, k y, k z ) = k x k y k z + p,q,r= J ( k xp, k yq, k zr ) W ( kx k xp, k y k yq, k z k zr ) dove W (k x, k y, k z ) è lo spettro della funzione caratteristica W (x, y, z). (3.10)

66 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali Relazione di completezza spaziale e spettrale Anche nel caso 3-D, per studiare la completezza dello spazio abbiamo analizzato il comportamento della Delta di Dirac spaziale; partendo dall equazione (3.9), se si considera lo spettro della corrente costante, si trova la seguente rappresentazione della Delta: 1 δ(x, y, z) = D x D y D z + p,q,r= W (x, y, z)e j (k xp x+k yq y+k zr z) (3.11) E da questo si deduce che la rappresentazione della corrente fornita nella (3.9) è completa ed essa è valida per ogni funzione trasformabile secondo Fourier e a supporto compatto, ossia nulla al di fuori del volume di interesse V. Trasformando ambo i membri della (3.11) secondo Fourier si ottiene la relazione di completezza spettrale: 1 1 = D x D y D z + p,q,r= W ( ) k x k xp, k y k yq, k z k zr (3.12) dove la somma degli spettri delle funzioni caratteristiche traslati divisa per il volume del parallelepipedo minimo che include la struttura è uguale all unità. La (3.12) può essere utilizzata, analogamente al caso 2-D, per determinare il numero di campioni spettrali, sufficienti e non ridondanti, necessari per la completa descrizione del campo scatterato. Formulando il problema in questo modo, abbiamo potuto evidenziare le somiglianze col caso bidimensionale; infatti: siamo in grado di trovare una base completa per la corrente spaziale tridimensionale; rimangono ancora valide le relazioni di completezza spaziale e spettrale;

67 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 58 Riepilogando, con questa scelta, si ottiene ancora una base completa; il problema però è che le funzioni di base ottenute attraverso tale procedimento non hanno in generale una forma spettrale analitica e di conseguenza non siamo in grado di ortonormalizzare le correnti in forma chiusa. 3.2 Formulazione B: Una scelta alternativa Per ovviare a tale problema, e per poter trattare un numero maggiore di casi, abbiamo pensato di considerare solo la superficie (l involucro) della struttura; infatti, tramite il teorema di equivalenza è possibile rappresentare una qualsiasi distribuzione di corrente volumetrica tramite una corrente equivalente definita sulla superficie che racchiude il volume, come mostrato nella seguente figura 3.2: Figura 3.2: Teorema di equivalenza La figura mostra il sistema di partenza (quello a sinistra) e il suo sistema equivalente (quello a destra). In particolare, nel sistema di partenza ci sono le sorgenti J i, J m che irradiano, esternamente alla superficie che le racchiude, i campi E, H; la superficie S divide il volume in due regioni: V i, che è limitata e contiene le sorgenti, e V e, che è illimitata. Per quanto riguarda

68 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 59 il sistema equivalente, il campo E 1, H 1 è uguale al campo E, H in V e ed è identicamente nullo in V i. Le sorgenti equivalenti sono le densità di corrente superficiale J is,j ms definite sulla superficie S. Applicando la procedura esposta nella formulazione A, otteniamo nuovamente una base completa. Lo spettro della funzione caratteristica può essere calcolato in forma chiusa nel seguente modo: J n (k x, k y, k z ) = J n (x, y, z)e j(kx ˆx+ky ŷ+kz ẑ) dxdydz = = lato n=1 dove: {t n = t nx + t ny t nx = x = t ny = y N n = z lato n=1 χ(x x, y ȳ)δ(z z)e j e jk inc ˆr χ(t n t n )δ(n n N n )e j(kx ˆx+ky ŷ+kz ẑ) dxdydz = [ kxinc (x e j loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )+k yinc (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z ] )+ k zinc (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z ) [ kx (x loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )+k y (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z ] )+ k z (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z ) f acciamo il seguente cambio di variabili : x x = x x = x + x y ȳ = y y = y + ȳ z z = z z = z + z dx dy dz =

69 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 60 = lato n=1 dx dy dz = j = e lato χ(x, y )δ(z )e [ ] (kx kxinc ) (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)+ (k y k yinc ) (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)+ (k z k zinc ) (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z) n=1 j = e e χ(x, y )δ(z )e [ ] (kx k xinc ) (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)+ (k y k yinc ) (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)+ lato (k z k zinc ) (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z) j (kx k xinc) (x loc1 (x +x)+y loc1 (y +y)+z loc1 (z +z))+ (k y k yinc ) (x loc2 (x +x)+y loc2 (y +y)+z loc2 (z +z))+ (k z k zinc ) (x loc3 (x +x)+y loc3 (y +y)+z loc3 (z +z)) j (k x k xinc ) (x loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )+ (k y k yinc ) (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z )+ (k z k zinc ) (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z ) n=1 [(k x k xinc )x loc1 +(k y k yinc )x loc2 +(k z k zinc )x loc3 ]x + j [(k x k xinc )y loc1 +(k y k yinc )y loc2 +(k z k zinc )y loc3 ]y + j = e lato χ(x, y )δ(z ) [(k x k xinc )z loc1 +(k y k yinc )z loc2 +(k z k zinc )z loc3 ] z } dx dy dz = [ ] (kx k xinc ) (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)+ (k y k yinc ) (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)+ (k z k zinc ) (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z) n=1 dx dy dz = χ(x, y )e j{[(k x k xinc )x loc1 +(k y k yinc )x loc2 +(k z k zinc )x loc3 ]x + [(k x k xinc )y loc1 +(k y k yinc )y loc2 +(k z k zinc )y loc3 ] y } dx dy = j = e lato n=1 [ ] (kx k xinc ) (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)+ (k y k yinc ) (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)+ (k z k zinc ) (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z) χ [(k x k xinc ) x loc1 + (k y k yinc ) x loc2 + (k z k zinc ) x loc3, (k x k xinc ) y loc1 + (k y k yinc ) y loc2 + (k z k zinc ) y loc3 ] Per ottenere tale risultato, abbiamo utilizzato la seguente matrice di rotazione:

70 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 61 x loc1 x loc2 x loc3 M = y loc1 y loc2 y loc3 z loc1 z loc2 z loc3 con il Jacobiano = 1 Grazie a tali matrici, è possibile calcolare lo spettro della corrente qualunque sia la posizione della struttura nel sistema di riferimento considerato; infatti la matrice di rotazione permette di passare dalle coordinate locali del sistema di riferimento a quelle globali e viceversa. Lo spettro del campo è dato da: Ẽ(k x, k y, k z ) = 1 j16π 3 dove: = 1 j16π 3 J locale (k x, k y, k z ) = e j(kx x+ky y) k 2 k k T J locale (k x, k y, k z )e jkz z dk x dk y dk z = e jk ˆr k 2 k k T J locale (k ˆx, k ŷ, k ẑ)dk x dk y dk z = J locale (x, y, z) = J locale (x, y)δ(z) e quindi: J locale (x, y, z)e j(k x ˆx+k y ŷ+k z ẑ)dk x dk y dk z = J locale (k x, k y, k z ) = J locale (x, y, 0)e j(kx x+ky y)dkxdky =

71 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 62 Utilizzando le seguenti relazioni: r = Mr r = M 1 r k = km 1 k = k M k T = (km 1 ) T k T = M 1 k T k r = k M M 1 r = k Ir = k r k k T = k M M 1 k T = k Ik T = k k T si ottiene che: Ẽ(k x, k y, k z ) = 1 j16π 3 dove: e jk r k 2 k k T J locale (k x, k y, k z)dk x dk y dk z = k x = k x k y = k y k z = k z e quindi: Ẽ(k x, k y, k z ) = 1 j16π 3 e jk r k 2 k k T J locale (k x, k y, k z )dk x dk y dk z Diversamente dal caso precedente, non è più vero che la somma di tutte le funzioni di base pesate dà l unità; quindi, la nuova relazione trovata non è adatta per trovare il numero di funzioni ottimo.

72 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali Ortonormalizzazione delle funzioni Si può ottenere sempre un set completo e ortogonale di funzioni di base utilizzando la procedura di Gram-Schmidt applicata ad un numero sufficiente e non ridondante di funzioni per una certa distanza di osservazione z; definiti il prodotto scalare e la proiezione: < f, g >= S f gds proiezione u j v k = < u j, v k > < u j, u j > u j il procedimento di Gram-Schmidt permette di trovare una base di funzioni ortonormali ed ortogonali a partire da un set di funzioni di partenza linearmente indipendenti, nel seguente modo: u k = v k k 1 j=1 < u j, v k > < u j, u j > u j Si può verificare l ortogonalità delle funzioni ottenute calcolando il prodotto scalare tra due funzioni utilizzando la definizione di Gram-Schmidt; si ottiene che: < u 1, u 2 >=< u 1, v 2 <u 1,v 2 > <u 1,u 1 > u 1 >= =< u 1, v 2 > <u 1,u 1 > <u 1,v 2 > u 1 2 = =< u 1, v 2 > u 1 2 <u 1,v 2 > u 1 2 =< u 1, v 2 > < u 1, v 2 >= 0 e quindi le due funzioni sono realmente ortogonali. Nel nostro caso, le funzioni di interesse sono le correnti (le funzioni di base); calcoliamo quindi il prodotto scalare tra due correnti che incidono sulla struttura con un generico vettore d onda:

73 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 64 < J n (x, y, z), J m (x, y, z) >= J V n(x, y, z)j m (x, y, z)dv = = lato V ejk inc,n ˆr e jkinc,m ˆr χ(t n t n )δ(n n N n )dv = = n,m=1 lato n,m=1 V χ(t n t n )δ(n n N n )dv = e j [(k xinc,n +k yinc,n +k zinc,n) (ˆx+ŷ+ẑ)] e j[(k xinc,m +k yinc,m +k zinc,m ) (ˆx+ŷ+ẑ)] = lato n,m=1 V e j[(k xinc,n ˆx)+(k yinc,n ŷ)+(k zinc,n ẑ)] e j[(k xinc,m ˆx)+(k yinc,m ŷ)+(k zinc,m ẑ)] χ(t n t n )δ(n n N n )dv = = lato n,m=1 e V [k xinc,n (x loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )]+ j [k yinc,n (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z [k )]+ xinc,m (x loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )]+ j [k yinc,m (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z )]+ e [k zinc,m (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z )] [k zinc,n (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z )] χ(x x, y ȳ)δ(z z)dv = facciamo il seguente cambio di variabili: x x = x x = x + x y ȳ = y y = y + ȳ z z = z z = z + z [k xinc,n (x loc1 (x +x)+y loc1 (y +y)+z loc1 (z +z))]+ lato j [k yinc,n (x loc2 (x +x)+y loc2 (y +y)+z loc2 (z +z))]+ [k e zinc,n (x loc3 (x +x)+y loc3 (y +y)+z loc3 (z +z))] n,m=1 V [k xinc,m (x loc1 (x +x)+y loc1 (y +y)+z loc1 (z +z))]+ j [k yinc,m (x loc2 (x +x)+y loc2 (y +y)+z loc2 (z +z))]+ [k zinc,m (x loc3 (x +x)+y loc3 (y +y)+z loc3 (z +z))] = e χ(x, y )δ(z )dv =

74 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 65 = e lato [k xinc,n (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ [k j [k yinc,n (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ xinc,m (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ j [k yinc,m (x [k zinc,n (x loc3 x+y loc3 y+z loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ loc3 z)] e [k zinc,m (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z)] V χ(x, y )δ(z ) n,m=1 [k xinc,n (x loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )]+ j [k yinc,n (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z [k )]+ xinc,m (x loc1 x +y loc1 y +z loc1 z )]+ j [k yinc,m (x loc2 x +y loc2 y +z loc2 z )]+ e [k zinc,m (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z )] e = e lato n,m=1 [k zinc,n (x loc3 x +y loc3 y +z loc3 z )] [k xinc,n (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ [k j [k yinc,n (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ xinc,m (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ j [k yinc,m (x [k zinc,n (x loc3 x+y loc3 y+z loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ loc3 z)] e [k zinc,m (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z)] V χ(x, y )δ(z ) dv = e j {[(k xinc,n k xinc,m) x loc1 +(k yinc,n k yinc,m) x loc2 +(k zinc,n k zinc,m) x loc3]x + [(k xinc,n k xinc,m) y loc1 +(k yinc,n k yinc,m) y loc2 +(k zinc,n k zinc,m) y loc3]y + [(k xinc,n k xinc,m) z loc1 +(k yinc,n k yinc,m) z loc2 +(k zinc,n k zinc,m) z loc3] z } dv = = e lato n,m=1 [k xinc,n (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ [k j [k yinc,n (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ xinc,m (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ j [k yinc,m (x [k zinc,n (x loc3 x+y loc3 y+z loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ loc3 z)] e [k zinc,m (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z)] S χ(x, y ) e j {[(k xinc,n k xinc,m) x loc1 +(k yinc,n k yinc,m) x loc2 +(k zinc,n k zinc,m) x loc3] x + {[(k xinc,n k xinc,m) y loc1 +(k yinc,n k yinc,m) y loc2 +(k zinc,n k zinc,m) y loc3] y } ds = = e lato n,m=1 [k xinc,n (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ [k j [k yinc,n (x loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ xinc,m (x loc1 x+y loc1 y+z loc1 z)]+ j [k yinc,m (x [k zinc,n (x loc3 x+y loc3 y+z loc2 x+y loc2 y+z loc2 z)]+ loc3 z)] e [k zinc,m (x loc3 x+y loc3 y+z loc3 z)] [(k xinc χ,n k xinc,m ) x loc1 ] + [(k yinc,n k yinc,m ) x loc2 ] +, [(k zinc,n k zinc,m ) x loc3 ] [(k xinc,n k xinc,m ) y loc1 ] + [(k yinc,n k yinc,m ) y loc2 ] + [(k zinc,n k zinc,m ) y loc3 ]

75 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 66 Grazie al procedimento sopra descritto, siamo riusciti a calcolare un set di funzioni ortonormali ed ortogonali che formano una base completa per lo studio del nostro problema. 3.3 Formulazione C: Funzioni di base per lo scattering di strutture tridimensionali Il passo ulteriore del nostro lavoro è stato quello di creare una base per le correnti ottima dal punto di vista della descrizione del campo reirradiato. Lo sviluppo delle funzioni si è basato sulla rappresentazione integrale del campo reirradiato; infatti esso può essere rappresentato tramite un integrale di convoluzione tra le correnti indotte e la funzione di Green dello spazio libero. Se lo spettro della corrente è noto, è possibile avere un analoga rappresentazione tramite antitrasformata (tridimensionale) del prodotto fra gli spettri della funzione di Green e della corrente indotta: = jωµ 0 da cui: E (x, y, z) = G E (x, y, z) J (x, y, z) = [( I ) e jk r 2 k 0 4πr E(x, y, z) = jk 0ς 0 (2π) 3 e j(kx ˆx+ky ŷ+kz ẑ) dk x dk y dk z = ] ( J x, y, z ) dx dy dz 1 k 0 2 k k (I k k) J(k x, k y, k z ) Osservando il campo reirradiato ad una distanza maggiore del diametro della sfera che racchiude la struttura in esame, è possibile applicare il teorema dei residui all integrale nella variabile spettrale k z :

76 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 67 e j k 0 2 kx 2 ky 2 ẑ k 0 2 k x 2 k y 2 k z 2 J(k k ˆnˆn)dkz Per farlo, scegliamo il percorso di integrazione γ mostrato in figura 3.3, e facciamo tendere R : Figura 3.3: Percorso di integrazione γ f dk z = lim r1 0 γr1 2πj Residui(f; k z1,2 ) f dk z + lim r2 0 γr2 dove: γ r1 = k z1 + r 1 e jt con 0 t π γ r2 = k z2 + r 2 e jt con 0 t π f dk z + lim R γr f dk z + lim R I 1 +I 2 +I 3 f dk z = A questo punto, calcoliamo gli integrali separatamente considerando che il

77 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 68 terzo integrale si annulla per il lemma di Jordan: π lim r1 0 0 π lim r2 0 0 f(k z = k z1 + r 1 e jt )jr 1 e jt dt = πjresiduo(f; k z1 ) f(k z = k z2 + r 2 e jt )jr 2 e jt dt = πjresiduo(f; k z2 ) Quindi: lim R I 1 +I 2 +I 3 f dk z = lim R R R f dk z = 2πj [Residuo(f; k z1 ) + Residuo(f; k z2 )] + πjresiduo(f; k z1 ) + πjresiduo(f; k z2 ) Osserviamo che: lim r 1 0 γr1 jr 1 e jt dt = = lim r1 0 e j π f(k z ) dk z = lim r1 0 0 k 0 2 k x 2 k y2 ẑ jr 1 = lim r1 0 e j e j k 0 2 k x 2 k y2 ẑ k 0 2 k x 2 k y 2 (k z1 + r 1 e jt ) 2 π 0 e jt k 2 0 k 2 x k 2 y k 2 dt = z1 2k z1 r 1 e jt r 2 j2t 1e k 0 2 k x 2 k y2 ẑ jr 1 π 0 e jt r 1 e jt (2k z1 + e 2 r 1 ) dt = = lim r1 0 e j k 2 0 k 2 x k 1 y2 ẑ ( j) π = 2k z1 + e 2 r 1 = πj e j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ 2k 2 0 k 2 2 x k = πjresiduo(f; k z 1 ) y Ora, calcoliamo i residui della funzione; per farlo calcoliamo le singolarità della funzione, ossia gli zeri del denominatore:

78 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 69 k 2 0 k 2 x k 2 y k 2 z = 0 da cui: k 2 z = k 2 0 k 2 2 x k y e quindi: k z1 = + k 2 0 k 2 2 x k y k z2 = k 2 0 k 2 2 x k y A questo punto, possiamo calcolare i residui: e quindi: Residuo(f; k z1 ) = lim (k z k z1 ) f(k z ) = k z k z1 = lim (k z k 2 0 k 2 x k 2 y ) k z + (k z + k 0 2 k x 2 k y 2 k 0 2 k x 2 k y 2 ) = e j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ 2 k 2 0 k 2 2 x k y e j k 0 2 k x 2 k y2 ẑ ( k z k 0 2 k x 2 k y 2 Residuo(f; k z2 ) = lim (k z k z2 ) f(k z ) = k z k z2 = lim (k z + k 2 0 k 2 x k 2 y ) k z (k z + k 0 2 k x 2 k y 2 k 0 2 k x 2 k y 2 ) = e+j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ 2 k 2 0 k 2 2 x k y e +j k 0 2 k x 2 k y2 ẑ ( k z 2πj [Residuo(f; k z1 ) + Residuo(f; k z2 )] + πjresiduo(f; k z1 ) + πjresiduo(f; k z2 ) = k 0 2 k x 2 k y 2 ) = ) =

79 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 70 = 2πj e j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ e+j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ + 2 k 2 0 k 2 2 x k y 2 k 2 0 k 2 2 x k y πj e j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ πj e+j k 2 0 k 2 x k y2 ẑ = 2 k 2 0 k 2 2 x k y 2 k 2 0 k 2 2 x k y = 2πj e jk z ẑ 2k z πj e jkz ẑ 2k z e+jkz ẑ e jkz ẑ e+jkz ẑ + 2πj + πj πj = 2k z 2k z 2k ( ) z e jk z ẑ e +jkz ẑ = πj 2k z πj e+jkz ẑ 2k z Quindi, rimettendo tutto insieme: E(x, y, z) = jk 0ς 0 8π 3 J (k k ˆnˆn) e j(kx ˆx+ky ŷ) dk x dk y = siccome e +jkz ẑ è un onda non fisica = jk 0ς 0 8π 2 2j j 3πj ( e jk z ẑ e ) ( +jk z ẑ I k k ) j 2k z e j k 0 2 k x 2 k y2 ẑ k 0 2 k x 2 k y 2 J (k k ˆnˆn) e j(k x ˆx+k y ŷ) dk x dk y ( I k k ) Risulta quindi che il contributo spettrale significativo è quello dato dalle correnti di base con spettro definito sulla superficie della sfera di raggio pari al valore del residuo ( k 0 = 2π λ, dove λ è la lunghezza d onda della radiazione incidente), detta sfera del visibile. Infatti, la funzione di Green agisce come un filtro passa-basso in quanto decade esponenzialmente fuori dalla regione del visibile di raggio k 0 e quindi forza k x e k y a rimanere all interno di tale regione; mentre k z è fissata dal valore del residuo che è proprio pari al raggio della sfera. La base per le correnti per strutture tridimensionali, trovata nei paragrafi precedenti, è ortonormale e completa, ma ha lo svantaggio che le funzioni di base sono definite su un ampia regione spettrale; quindi, esiste, per ogni

80 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 71 struttura considerata, un gran numero di funzioni di base con spettro significativo sulla sfera del visibile. Abbiamo cercato quindi una nuova base per le correnti (non completa) in modo da riuscire a rappresentare il campo reirradiato con un numero minimo di funzioni di base. Se consideriamo come funzioni di base le correnti di ottica fisica (PO) indotte sulla superficie da un onda piana incidente, abbiamo che il loro spettro risulta molto concentrato (spot) nel punto della sfera del visibile definito dal vettore d onda dell onda incidente; questo è dovuto al fatto che le correnti considerate hanno la caratteristica di essere tutte fasate e quindi, incidendo, irradiano tutte in un unica direzione. Dalla teoria delle antenne, sappiamo che un apertura fasata (che è proprio il tipo di apertura che noi abbiamo usato per il nostro studio), con modulo costante e fase lineare, ha la caratteristica di avere uno spettro tutto concentrato intorno ad un punto di massimo; inoltre, sappiamo che più grande è l apertura e più tale spettro è stretto. A partire da questo, possiamo affermare che la grandezza dello spot spettrale è inversamente proporzionale alla grandezza fisica della struttura. Le seguenti figure, 3.4 e 3.5, sono esempi di spot che si formano sulla sfera del visibile al variare della fasatura delle correnti incidenti nel caso di un cubo per due differenti direzioni di incidenza dell onda:

81 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 72 Figura 3.4: Spot sulla sfera del visibile Figura 3.5: Spot sulla sfera del visibile

82 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 73 Quindi, al variare della fase con cui le correnti di Ottica Fisica incidono, si formano degli spot in ogni punto della sfera fino a coprirla completamente e uniformemente, come mostrato nella seguente figura: Figura 3.6: Copertura uniforme della sfera del visibile L idea è stata quindi quella di calcolare il numero minimo di spot con cui è possibile coprire la superficie della sfera del visibile e abbiamo usato questo come criterio per calcolare i gradi di libertà del problema. 3.4 Calcolo dei gradi di libertà del problema Illustriamo ora il criterio studiato e utilizzato per trovare i gradi di libertà del problema in esame; esso permette di trovare il numero di funzioni di base ottimo, quindi minimo e non ridondante, per rappresentare il campo scatterato dalla struttura tridimensionale. Quello che si ottiene è che una stima approssimata di tale numero è data da quello teorico di Bucci: ( ) 2 λ N DoF = Superficie/ 2

83 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 74 trovato in [19]. Per poter effettuare una stima in forma chiusa dei N DoF, consideriamo la sfera di raggio minimo che include la struttura tridimensionale, come mostrato in figura 3.7: Figura 3.7: Geometria del problema Se utilizziamo il teorema di equivalenza su questa superficie, alla superficie equivalente dello scatteratore possiamo applicare la procedura esposta nei paragrafi precedenti. La funzione caratteristica della superficie può essere scritta nel seguente modo [21]: f(x, y, z) = χ(x 2 + y 2 + z 2 R 2 ) dove l argomento della delta è l equazione della sfera di raggio R (ossia la sfera del visibile) che rappresenta il nostro dominio di interesse. Facciamo un cambio di variabili; utilizziamo le coordinate sferiche: x = r sin ϑ cos φ y = r sin ϑ sin φ z = r cos ϑ

84 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 75 Nel nuovo sistema di riferimento, la nostra funzione sarà: f (r, ϑ, ϕ) = δ ( r 2 sin 2 θcos 2 ϕ + r 2 sin 2 θsin 2 ϕ + r 2 cos 2 θ R 2) che, tramite semplici manipolazioni algebriche diventa: f (r, ϑ, ϕ) = δ ( r 2 R 2) A questo punto normalizziamo la delta, ossia cerchiamo la costante K tale che: π 2π K δ ( r 2 R 2) r 2 sin θdrdθdϕ = Siccome la δ è una funzione solo di r, possiamo riscrivere il precedente integrale nel seguente modo: K 0 r 2 δ ( r 2 R 2) π dr 0 sin θdθ 2π 0 dϕ = 1 L integrale in ϕ può essere calcolato in forma chiusa e vale: C (ϕ) = 2π Γ (1) Moltiplicando il precedente integrale per quello in θ, l integrale di partenza si riduce a: π C (ϕ) 0 sin θdθ = (2π) 3 ( ) Γ 3/2

85 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 76 e quindi si ricava che la costante di normalizzazione K vale: K = ( ) Γ 3/2 π3 R Seguendo il procedimento utilizzato in [21], calcoliamo la trasformata della delta normalizzata: K π 2π δ ( r 2 R 2) e j2πkρ cos θ r 2 sin θdrdθdϕ Svolgendo gli integrali in ϕ e in r, ci rimane: { } π 1 KRC (ϕ) e j2πk ρ cos θ sin θdθ 2 0 Sostituendo i valori di K e C (ϕ), otteniamo: ( ) Γ 3/2 πγ (1) π 0 e j2πk ρr cos θ sin θdθ = ( ) π 2Γ 3/2 / 2 cos (2πk ρ R cos θ) sin θdθ πγ (1) Utilizziamo ora la funzione di Bessel: 0 { ( J ν (z) = z) } ν π / 2 ( ) cos (z cos k πγ ν 1 ρ )sin 2ν (k ρ )dk ρ 2 La trasformata della delta diventa: χ(k ρ ) = 0 2J 1 (2πk ρ R) 2 2πkρ R = sin (2πk ρr) 2πk ρ R Lo spettro della funzione caratteristica χ ha simmetria sferica. Vogliamo determinare la regione spettrale (o banda) dove è concentrata la quasi totalità

86 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 77 dello spettro; per fare questo, abbiamo fatto uno studio energetico della funzione sinc. In figura 3.8 è riportato l andamento, in scala logaritmica, ) dell energia di un sinc troncato con un passo di troncamento pari a (rappresentata dalla curva blu del disegno); in rosso, invece, è riportata l energia totale associata ad un sinc: ( kρ π Energia log(energia) Kro/pi Figura 3.8: Valutazione dell energia del sinc Dal grafico, si vede chiaramente che, dopo pochi valori (intorno a 3,5), l energia del sinc troncato converge esponenzialmente (si approssima ad una linea retta) all energia totale. quando: Per tale motivo, abbiamo troncato il sinc 2k ρ R = 3, 5 = 2 π ossia quando la funzione comincia ad avere un andamento esponenziale e quindi trascurabile. Nell intervallo considerato è concentrata più del 97% dell energia del sinc come si può vedere calcolando il seguente integrale: 3,5 0 sin c 2 (2k ρ R) dk ρ sin c 2 (2k ρ R) dk ρ 0

87 Capitolo 3. Funzioni a dominio intero per strutture tridimensionali 78 A partire da queste considerazioni, se chiamiamo k ρ il raggio dello spot, troviamo che la sua area sarà pari a: ( ) 2 ( ) 2 π π 2 Area spot = πk ρ = π = R R 2 Per quanto riguarda la superficie della sfera, avendo essa raggio pari a k 0, essa sarà data da: ( ) 2 2π superficie sfera = 4πk 2 0 = 4π = 16π3 λ λ 2 Dividendo la superficie della sfera per l area dello spot, il numero di funzioni di base ottimo è ottenuto come il numero minimo di spot con cui è possibile coprire la superficie della sfera del visibile, moltiplicato per le due polarizzazioni: Superficie sfera N DoF = 2 Area spot = 2 16π3 R 2 λ 2 π 2 Tale numero è uguale a quello teorico di Bucci; ossia: = 32πR2 λ 2 (3.13) Infatti: ( λ N DoF = Superficie/ 2 ) 2 N DoF = 2 Superficie sfera ( λ/2 ) 2 = 2 4πR2 ( λ/2 ) 2 = 32πR2 λ 2

88 Capitolo 4 Risultati numerici In questo capitolo vengono presentati i risultati ottenuti, utilizzando la formulazione C introdotta nel precedente capitolo. Sono state analizzate due strutture, un cubo ed un parallelepipedo. I risultati numerici ottenuti confermano la teoria sviluppata. 4.1 Analisi di strutture poligonali tridimensionali Innanzitutto cominciamo osservando che entrambe le strutture studiate sono state isolate e illuminate da un dipolo elettrico, diretto lungo la direzione x, e posizionato nel punto di coordinate: x = 2λ y = 0 z = 3λ Si è analizzato il comportamento del campo reirradiato dalle strutture in 79

89 Capitolo 4. Risultati numerici 80 esame in zona vicina (ossia il Near-Field); i grafici di seguito riportati mostrano il confronto tra il campo ottenuto utilizzando il simulatore commerciale F EKO e quelli ottenuti utilizzando il nostro criterio, che è stato implementato in matlab Primo esempio: il cubo La prima struttura volumetrica che abbiamo analizzato è stato un cubo di dimensioni Dx = Dy = Dz = 2λ illuminato dal dipolo elettrico, come mostrato in figura 4.1: Figura 4.1: Geometria del problema Abbiamo discretizzato la struttura con un passo di meshatura pari a λ / 10 e abbiamo così ottenuto una suddivisione della stessa in 6936 triangoli metallici. La corrente ottenuta dal MoM è stata proiettata sulla base ottenuta applicando la formulazione C al caso del cubo. Abbiamo quindi studiato il

90 Capitolo 4. Risultati numerici 81 comportamento del campo su di una sfera di raggio 8λ. Cominciamo presentando i risultati relativi al Near Field sul piano E (phi = 0) al variare del numero di funzioni di base utilizzate nello sviluppo delle correnti indotte: 50 onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.2: Near Field phi = 0 Osserviamo che, le curve in rosso sono quelle ottenute utilizzando per il calcolo del campo scatterato lo sviluppo della corrente indotta sulla nuova base; mentre le curve in blu sono le soluzioni di riferimento (F EKO).

91 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.3: Near Field phi = onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.4: Near Field phi = 0

92 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.5: Near Field phi = onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.6: Near Field phi = 0 Passiamo ora al Near Field sul piano H (phi = 90):

93 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.7: Near Field phi = onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.8: Near Field phi = 90

94 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.9: Near Field phi = onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.10: Near Field phi = 90

95 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.11: Near Field phi = 90 Sovrapponendo i risultati ottenuti relativi al Near Field sul piano E, si ottiene il seguente grafico: 50 Confronti Near Field cubo Phi= FEKO Onde Piane 50 Onde Piane 100 Onde Piane 150 Onde Piane 200 Onde Piane Theta [rad] Figura 4.12: Confronto Near Field phi = 0 Allo stesso modo, sovrapponendo i risultati relativi al Near Field sul piano

96 Capitolo 4. Risultati numerici 87 H, si ottiene: 35 Confronti Near Field cubo Phi= FEKO Onde Piane 50 Onde Piane 100 Onde Piane 150 Onde Piane 200 Onde Piane Theta [rad] Figura 4.13: Confronto Near Field phi = 90 Risulta chiaro che, utilizzando un numero di funzioni di base pari a quello definito in (3.13), che nel caso specifico sarebbe pari a 192 (ossia 96 funzioni moltiplicate per le due polarizzazioni), si ottiene una buona ricostruzione del campo scatterato dalla struttura. Le figure 4.14 e 4.15 mostrano le correnti che incidono sul cubo, rispettivamente nel caso in cui si utilizzi il simulatore commerciale (F EKO) e quello in cui si utilizzi il nostro criterio che si basa sullo sviluppo della corrente indotta sulla base trovata:

97 Capitolo 4. Risultati numerici 88 Figura 4.14: correnti cubo (F EKO) Figura 4.15: correnti cubo dovute allo sviluppo della corrente indotta sulla base trovata

98 Capitolo 4. Risultati numerici 89 Quello che si può vedere è che sui bordi della struttura, utilizzando la nostra formulazione, non si riesce a ricostruire bene il comportamento della corrente (Figura 4.15), diversamente da (F EKO) (Figura 4.14). Questo è dovuto al fatto che noi siamo interessati solo al contenuto spettrale concentrato nella sfera del visibile e quindi, appena ci si allontana da tale zona (quindi sui bordi, ad alta frequenza), il contributo informativo diventa per noi trascurabile. Il passo ulteriore è stato quello di considerare lo stesso cubo, con le stesse proprietà, ma di studiarne lo scattering ad una distanza pari a 4λ. Analogamente a come fatto prima, mostriamo i risultati relativi al Near Field sul piano E al variare del numero di funzioni di base utilizzate per incidere sulla struttura: 50 onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.16: Near Field phi = 0

99 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.17: Near Field phi = onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.18: Near Field phi = 0

100 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.19: Near Field phi = 0 Per quanto riguarda il Near Field sul piano H, si ottiene: 50 onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.20: Near Field phi = 90

101 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.21: Near Field phi = onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.22: Near Field phi = 90

102 Capitolo 4. Risultati numerici onde piane Near Field Phi=90 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.23: Near Field phi = 90 Sovrapponendo i grafici del Near Field sul piano E, si ottiene il seguente grafico: FEKO Onde Piane 50 Onde Piane 100 Onde Piane 150 Onde Piane 200 Near Field Phi=0 E [V/m] Theta [rad] Figura 4.24: Confronto Near Field phi = 0

103 Capitolo 4. Risultati numerici 94 Facendo allo stesso modo con i grafici del Near Field sul piano H, si ottiene: 55 Near Field Phi= E [V/m] FEKO Onde Piane Onde Piane Onde Piane 150 Onde Piane Theta [rad] Figura 4.25: Confronto Near Field phi = 90 Come si può notare nelle figure 4.24 e 4.25, il numero di gradi di libertà per descrivere il campo è sempre quello dato dalla (3.13) Secondo esempio: il parallelepipedo La seconda struttura che abbiamo analizzato è stato un parallelepipedo di dimensioni Dx = Dy = 2λ e Dz = 5λ illuminato da un dipolo elettrico in posizione (2λ;0;3λ), come mostrato in figura 4.26:

104 Capitolo 4. Risultati numerici 95 Figura 4.26: Geometria del problema Abbiamo discretizzato la struttura con un passo di meshatura pari a λ / 7 e abbiamo così ottenuto una suddivisione della stessa in 6862 triangoli metallici; abbiamo quindi studiato il comportamento del campo ad una distanza pari a 8λ. Cominciamo con i risultati relativi al Near Field sul piano E: 100 onde piane Near Field Phi=0 FEKO Onde Piane E [V/m] Theta [rad] Figura 4.27: Near Field phi = 0

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