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1 Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Farmacia Corso di Laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche Tesi sperimentale in Chimica Fisica "Caratterizzazione strutturale mediante diffrazione dei raggi X e dicroismo circolare del mutante des-(16-20)-rnasi A" Relatore: Ch.ma Prof.ssa Filomena Sica Candidata: Nancy Acampa Matricola: 512/2343 ANNO ACCADEMICO 2009/2010

2 Capitolo 1 INTRODUZIONE Negli ultimi anni, in campo scientifico grande attenzione è stata rivolta all aggregazione delle proteine. Questo processo è il risultato di differenti meccanismi tra loro interconnessi, come ad esempio cambiamenti conformazionali e strutturali delle singole molecole proteiche, processi di nucleazione, interazioni proteina-proteina e conseguente formazione di legami intermolecolari (Vitagliano et al.,1999). L aggregazione proteica è un fenomeno rilevante sia per l acquisizione di nuove funzioni, sia per la produzione di depositi di natura patologica. Infatti, alcune condizioni neurodegenerative, sono associate alla deposizione, in particolari aree celebrali o del sistema nervoso periferico, di aggregati fibrillari polimerici di specifiche proteine o peptidi. Queste patologie comprendono condizioni diffuse soprattutto nella popolazione anziana, come il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson e patologie non frequenti o addirittura rare, come varie encefalopatie spongiformi trasmissibili, come ad esempio l Encefalopatia spongiforme bovina (BSE) e la Sindrome di Creutzfeldt-Jakob (CJD) oppure vari tipi di atassia, sclerosi laterale amiotrofica, etc. La presenza di aggregati proteici è stata anche riscontrata, nelle cosiddette malattie da espansione glutamminica (ad indicare che la proteina in questione si aggrega quando il numero di residui di glutammina, costituenti sequenze ininterrotte nell ambito di essa, superi le 40 unità circa), quali, la malattia di Huntington e quella di Kennedy (Perutz, 1999). Gli aggregati proteici vengono definiti fibrille amiloidi quando si formano in vivo fuori la cellula e inclusioni intracellulari quando si formano in vivo nella cellula. Gli studi condotti nell ultimo decennio, hanno permesso di 4

3 stabilire la struttura a livello molecolare delle fibrille amiloidi, i cambiamenti strutturali cui vanno incontro le proteine e i peptidi che le costituiscono e i fattori che determinano tali cambiamenti. Ciò ha permesso di gettare le basi per possibili approcci terapeutici delle patologie connesse alla formazione di fibrille (M. Stefani 2004). Alla base del fenomeno di aggregazione, spesso, c è un evoluzione delle proteine, da una forma monomerica ad una oligomerica, che può presentare diversi vantaggi rispetto al relativo monomero, quali: la possibilità di un controllo allosterico dell attività enzimatica, una maggiore concentrazione locale dei siti catalitici, superfici di legame più estese, l evoluzione di nuovi siti attivi all interfaccia tra le subunità, l acquisizione di nuove proprietà biologiche (Liu e Eisenberg, 2002). 1.1 Il 3D-domain swapping Uno dei meccanismi proposti per spiegare la formazione di strutture oligomeriche a partire da forme monomeriche preesistenti, è il 3D-domain swapping (Bennet et al.,1995). Con tale termine si intende un fenomeno che prevede lo scambio reciproco di uno o più elementi strutturali ( domini ) tra subunità monomeriche identiche con conseguente formazione di un dimero o un oligomero di più alto ordine. Il dominio scambiato va ad occupare la stessa posizione e stabilisce con il resto della catena peptidica, le stesse interazioni che aveva nella forma monomerica. Il meccanismo di scambio di domini strutturali prevede la rottura delle interazioni tra i domini di una proteina monomerica strutturalmente complessa, con formazione di un monomero aperto. In questa conformazione la proteina riforma le interazioni con un dominio identico appartenente ad un altra unità monomerica con conseguente formazione di un dimero o, in generale, di un oligomero scambiante. Nella banca data di strutture di proteine, Protein Data Bank (PDB), sono state depositate oltre 110 strutture di proteine caratterizzate dal fenomeno del domain swapping e da un analisi di queste è emerso, 5

4 che non è possibile stabilire delle analogie di funzioni, dimensioni o sequenze, e ciò impedisce, nota una proteina e la sua sequenza, di stabilire a priori se questa scambierà un dominio o meno. In molti casi i domini coinvolti nello scambio sono localizzati nella regione N-terminale o C-terminale della proteina e in alcuni casi interessano entrambe le zone. Una caratteristica comune a molti oligomeri definiti scambianti, mostrata da analisi statistiche condotte sulle superfici di interazioni di dimeri scambianti (Schulunegger, et al.,1997; Sinha, et al.,2001), è la ridotta superficie di interazione, legata alla specifica struttura quaternaria. Ciò determina la possibilità di ampi moti intersubunità inusuali, se confrontati a quelli di dimeri convenzionali, che permettono l accesso a molteplici strutture quaternarie e quindi favoriscono la crescita dell aggregato (Merlino, et al.,2005). Per tali ragioni questo meccanismo, consentendo un certo grado di adattabilità della superficie oligomerica, può giocare un ruolo rilevante nei meccanismi di riconoscimento molecolare, che si verificano durante i fenomeni di aggregazione di proteine, compresi quelli di tipo patologico. In tutte le proteine che presentano scambio di domini strutturali, possono essere individuate tre regioni caratteristiche: l interfaccia chiusa ( interfaccia-c), che è costituita dalle regioni di contatto tra il dominio scambiato e il resto della catena polipeptidica ed è identica nella proteina monomerica e in quella oligomerica; l interfaccia aperta (interfaccia-o), che è rappresentata dalla regione di interazione che si viene a creare tra le subunità proteiche in seguito al fenomeno di scambio; essa è quindi presente nell oligomero scambiante ma non nel monomero; il peptide cerniera (hinge peptide), che è il segmento di catena peptidica che connette il dominio scambiato al corpo principale della proteina e che adotta conformazioni diverse nella proteina monomerica e oligomerica (Mazzarella, et al., 1993). Figura 1.1: 6

5 Figura 1.1: Illustrazione schematica della formazione di un dimero mediante 3D-domain swapping. L interfaccia chiusa determina nella massima parte la stabilità dell aggregato, mentre l interfaccia aperta e il peptide cerniera, sono importanti nel determinare la specifica struttura quaternaria dell oligomero. Studi energetici condotti sulla tossina della difterite (DT) una proteina monomerica secreta dal Corynebacterium difteriae che, in seguito a un trattamento di congelamento e scongelamento in tampone fosfato a ph neutro, forma un dimero scambiante (Bennet, et al., 1994-A) e indagini su altri sistemi scambianti (Chen, et al., 2005) hanno consentito di stimare la variazione di energia libera standard che si verifica durante il processo di scambio (Bennet, et al., 1994-B). Una caratteristica generale del fenomeno è che la forma monomerica e quella oligomerica scambiante della proteina, mostrano una piccola differenza di energia libera e sono separate da un alta barriera energetica. L energia paragonabile deriva dal fatto che, il dominio scambiato, ha un intorno proteico essenzialmente identico nel monomero in conformazione chiusa e nell oligomero scambiante e stabilisce identici legami non covalenti con i restanti domini della proteina in entrambe le forme, cosicchè l oligomero è stabilizzato dalle stesse interazioni che tengono insieme i diversi domini della proteina monomerica. La piccola differenza di energia libera tra il monomero e 7

6 la corrispondente forma dimerica è un indice della stabilità relativa della forma scambiante ed è influenzata da tre fattori: 1) la maggiore entropia dei monomeri rispetto all oligomero; 2) le nuove interazioni che il peptide cerniera sperimenta nel passare dalla forma monomerica a quella scambiante; 3) la formazione di un ulteriore interfaccia nell oligomero scambiante che non è presente nel monomero (l interfaccia aperta). L alta barriera che separa il monomero dall oligomero scambiante, può essere considerata l energia di attivazione del processo di oligomerizzazione tramite domain swapping ed è dovuta alla necessità di passare durante il fenomeno di scambio, attraverso uno stato di transizione, che è il monomero aperto. L energia di attivazione dello scambio, può essere ridotta da numerosi eventi molecolari e ambientali. In generale, transienti condizioni parzialmente denaturanti, destabilizzano il monomero in conformazione chiusa e, quindi, favoriscono lo scambio di domini tra subunità. Mutazioni, variazioni di ph o di temperatura, aumento della concentrazione proteica, interazioni con recettori o ligandi sono fattori in grado di influenzare la velocità di interconversione tra i diversi stati aggregati. In vivo queste condizioni si possono verificare come conseguenza di stati patologici o in seguito al passaggio di una proteina in tessuti o in compartimenti cellulari specializzati. Lo scambio potrebbe avvenire anche durante un processo di strutturazione (folding) di una proteina, se si accumulano intermedi che hanno domini strutturati ma non associati, ossia se l associazione dei domini strutturati è lenta rispetto al folding degli stessi. Il domino scambiato può consistere in un singolo elemento di struttura secondaria (un α-elica o un β-strand o un β- sheet) oppure di un intero domino globulare costituito da centinaia di residui (Schlunegger, et al., 1997). Ciò chiarisce perchè non si può prevedere se una proteina può dare o meno luogo al fenomeno dell interscambio dei domini, sulla sola base della sequenza amminoacidica che 8

7 la costituisce (Liu e Eisenberg, 2002). L unico requisito necessario è che la proteina contenga un segmento di catena polipeptidica che possa fungere da peptide cerniera: esso deve avere la lunghezza opportuna e la flessibilità intrinseca per poter adottare differenti conformazioni nella forma chiusa del monomero e in quella scambiante. Un esame dei peptidi cerniera di un gran numero di strutture proteiche scambianti, ha evidenziato che essi mostrano una varietà di lunghezze, di sequenze e di strutture secondarie, anche se è abbastanza frequente la presenza di residui di prolina e/o glicina rispetto ad altri residui (Schlunegger, et al., 1997). Entrambi sono residui con caratteristiche peculiari: la glicina è l amminoacido con la maggiore libertà conformazionale, la sua presenza potrebbe conferire al peptide cerniera la flessibilità necessaria per fargli adottare conformazioni alternative nel monomero e nell oligomero scambiante; la prolina invece, avendo la catena laterale legata covalentemente all azoto del gruppo peptidico, presenta un numero limitato di conformazioni accessibili e riduce lo spazio conformazionale dell amminoacido che lo precede. Tali vincoli tendono generalmente ad introdurre una maggiore tensione nella forma monomerica rispetto a quella dimerica, favorendo l oligomerizzazione. L effetto di mutazioni, delezioni o allungamenti sullo scambio di domini strutturali varia al variare del sistema proteico esaminato. 1.2 Le ribonucleasi come sistema modello Un sistema modello ideale per lo studio dello scambio dei domini strutturali, è rappresentato dalla famiglia delle ribonucleasi di tipo pancreatico (Raines, 1998) sia per la contemporanea presenza del prototipo monomerico, la ribonucleasi bovina pancreatica (RNasi A), e della controparte dimerica naturale, la ribonucleasi seminale bovina (BS-RNasi) (Mazzarella, et al., 1993), sia per la tendenza di molti suoi membri a generare oligomeri scambianti in condizioni 9

8 blandamente denaturanti. Le ribonucleasi di tipo pancreatico sono endoribonucleasi specifiche per substrati che presentano una base pirimidinica in posizione 3 del legame fosfodiestereo che viene idrolizzato (Raines, 1998). La reazione di degradazione dell acido ribonucleico (RNA) procede con un meccanismo a due stadi. Il primo stadio della reazione è una trans fosforilazione con formazione di un monofosfato ciclico 2-3, che rappresenta il substrato della successiva reazione di idrolisi in cui viene rilasciato il nucleotide 3 -monofosfato. Il substrato è, generalmente, RNA a singola elica (Usher, et al., 1972), ma alcuni membri della famiglia (ribonucleasi bovina seminale, ribonucleasi pancreatica umana) sono in grado di esercitare la loro azione catalitica anche su doppie eliche di RNA e su catene di acido ribonucleico in ibridi DNA-RNA (Libonati and Floridi 1969; D Alessio, et al., 1972; D Alessio, et al., 1974). Il meccanismo catalitico della degradazione dell RNA prevede il coinvolgimento di due residui di istidina (His12 e His119) e di un residuo di lisina (Lys41), che costituiscono la triade catalitica del sito attivo, localizzato tra i due lobi della tipica struttura a forma di V di questa classe di enzimi. Il prototipo monomerico della famiglia delle ribonucleasi di tipo pancreatico è la ribonucleasi pancreatica bovina (RNasi A), un enzima a lungo utilizzato come sistema modello per lo studio di aspetti funzionali e strutturali delle proteine (Blackburn, et al., 1982; Raines 1998). L RNasi A è una piccola proteina compatta di 124 residui amminoacidici, per cui non è nota alcuna funzione oltre quella di degradare l RNA (Raines, 1998). La stabilità della proteina è assicurata da quattro ponti disolfurici intracatena (Kartha, et al., 1967), mentre per il corretto ripiegamento della macromolecola sono fondamentali quattro residui di prolina, due dei quali, Pro93 e Pro114, hanno i corrispondenti legami peptidici in conformazione cis. La RNasi A è stata la prima proteina che ha mostrato, in condizioni blandamente denaturanti, la tendenza a generare diverse forme oligomeriche tramite il fenomeno dello scambio di elementi strutturali (Crestfield, et al.,1965). Nel 1962 si scoprì che l enzima, per liofilizzazione da soluzioni di acido acetico al 40%, formava, con una resa del 30% circa, due dimeri, stabilizzati dallo 10

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