- L anno della Misericordia. Dio perdona sempre, mons. Franco Risi p Il Cancro che non si vergogna, don Gaetano Zaralli p.

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1 Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del Redazione: C.so della Repubblica VELLETRI RM fax curia@diocesi.velletri-segni.it Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 12, n. 5 (119) - Maggio

2 2 - Anno Santo: La Divina Misericordia che pervade tutta la Storia della Salvezza, + Vincenzo Apicella p. 3 - L anno della Misericordia. Dio perdona sempre, mons. Franco Risi p Il Cancro che non si vergogna, don Gaetano Zaralli p. 21 Ecclesia in cammino Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni - La malattia più grave è l ingiustizia più grande per l Anziano, a cura di S. Fioramonti p. 4 - Nel messaggio Urbi et Orbi di Pasqua Papa Francesco prega per la pace dei paesi e gruppi umani che soffrono, a cura di S. Fioramonti p. 5 - Persecuzioni contro i Cristiani, una costante nella storia, Sara Gilotta p. 6 - Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: Comunicare la famiglia (...) p. 7 - Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: La famiglia può essere una scuola di comunicazione come benedizione, Costantino Coros p. 8 - Un Giubileo straordinario: Anno Santo della Misericordia. Misericordiae Vultus p. 9 - La tragedia dei migranti, dal SIR p Figlio solo se sano. La crudeltà della diagnosi preimpianto, Marta Pietroni p Monogamia o poligamia della specie umana: un fatto naturale o una scelta sociale?, Massimiliano Postorino p Così mi piace...,gilberto Borghi p.15 - Gratuità: senza prezzo oppure impagabile?, Laura Dalfollo p Messa: Riti di Comunione, don Alessandro Tordeschi p Dare a ciascuno il meglio, Sara Bianchini p.18 - L obbedienza dei religiosi e dell autorità alla volontà di Dio, don Antonio Galati p Il cammino dei fidanzati e delle famiglie, p. Vincenzo Molinaro p Gli impedimenti al matrimonio nel diritto canonico, Chiara Molinari p Pane e vita... è Festa!!!, a cura dell equipe dell UCD p Un weekend in compagnia dei Sette Doni dello Spirito Santo, Giulia Petrilli, p Giochiamo da Dio, servizio diocesano per la Pastorale giovanile p Con Lourdes nel cuore, Monica Casini p Colleferro: la Parrocchia san Bruno si prepara per l annuale pellegrinaggio (...), Giovanni Zicarelli p La Mater Divinae Gratiae di Artena, Sara Calì p Velletri, parrocchia Regina Pacis: Festa del Perdono, a cura del parroco e dei catechisti p Angeli della notte, M. Postorino p Il Sacro intorno a noi / 13: L eremo di Santa Maria Giacobbe al sasso di Pale (PG), S. Fioramonti p Il Primo Papa. La libertà di essere uomo, Mara Della Vecchia p Segni: Pericle Roseo nei ricordi della mia gioventù,valeriano Valenzi p Educare oggi: L educazione armoniosa, Antonio Venditti p Presentazione del libro: La Charta Borgiana e l Illuminismo a Roma, Rigel Langella p Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo, Stefano Boeris p La Madonna delle Grazie, Patrona di Velletri e il suo santuario (...) Sara Bruno p. 39 Direttore Responsabile Mons. Angelo Mancini Collaboratori Stanislao Fioramonti Tonino Parmeggiani Mihaela Lupu Proprietà Diocesi di Velletri-Segni Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l. Redazione Corso della Repubblica VELLETRI RM fax curia@diocesi.velletri-segni.it A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Franco Risi, don Antonio Galati, p. Vincenzo Molinaro, don Alessandro Tordeschi, don Gaetano Zaralli, Costantino Coros, Antonio Venditti, Sara Gilotta, Marta Pietroni, Massimiliano Postorino, Laura Dalfollo, Gilberto Borghi, Sara Bianchini, Sara Calì, Chiara Molinari, Sara Bruno, Giulia Petrilli, Monica Casini, Giovanni Zicarelli, Ufficio catechistico diocesano, Servizio diocesano Pastorale giovanile, Catechisti della Parrocchia Regina Pacis, Mara Della Vecchia, Valeriano Valenzi, Rigel Langella, Stefano Boeris. Consultabile online in formato pdf sul sito: DISTRIBUZIONE GRATUITA Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione. Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati, non si restituiscono. E vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore. In copertina: Madonna delle Grazie, scuola senese, XIV secolo, Cattedrale San Clemente, Velletri.

3 3 Vincenzo Apicella, vescovo L 11 aprile scorso, nella vigilia della II Domenica di Pasqua, In Albis, che San Giovanni Paolo II ha dedicato alla Divina Misericordia, Papa Francesco ha emanato la Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, che avrà inizio l 8 dicembre prossimo e terminerà il 20 novembre 2016, solennità di Cristo Signore dell Universo, ultima domenica dell Anno liturgico. Il testo è una splendida sintesi, che merita di essere letta per intero, di questo ricchissimo e fondamentale tema, che pervade tutta la Storia della Salvezza e la Divina Rivelazione, che hanno il loro centro e il loro punto focale nella persona di Gesù di Nazareth, Figlio Unigenito del Padre e Figlio di Maria. Non a caso la Porta Santa verrà aperta proprio nel giorno dell Immacolata Concezione, a 50 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, poiché Maria rappresenta la Porta attraverso la quale la Misericordia del Padre si è riversata in pienezza sull umanità e ha generato la Porta attraverso la quale l umanità può fare ritorno al Padre, che è Cristo stesso. Viene in mente che, nelle chiese orientali, sui due battenti della porta dell iconostasi, che divide lo spazio dell altare dal resto del tempio, sono sempre rappresentati Gabriele e Maria nel momento dell Annunciazione. Maria è la Madre della Misericordia, ricorda il Papa, aggiungendo che Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia, che si estende di generazione in generazione(lc1,50). In questo mese di maggio, in cui si moltiplicano nella nostra diocesi le grandi celebrazioni mariane, è veramente significativo porre l accento su questo aspetto della nostra devozione, che costituisce un magnifico prologo all Anno giubilare. Maria ha vissuto interamente la misericordia divina, unita indissolubilmente, per le sue viscere materne, al Figlio suo fino al momento supremo della Croce e della Resurrezione, dove ha ricevuto il dono immenso di estendere la sua maternità e di far giungere il suo amore viscerale ad ogni essere umano: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! (Gv.19,26s), sono le ultime parole ascoltate da Gesù morente. In Lei trova piena realizzazione l invito perentorio che viene rivolto ad ogni discepolo nell Evangelo di Luca, al centro del Discorso della pianura : Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. (Lc.6,36), che si illumina del suo più completo significato se messo a confronto col passo parallelo dell Evangelo di Matteo, nel Discorso della montagna : Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. (Mt.5,48). La perfezione di Dio, la sua Santità, la sua Onnipotenza, l insondabile e indicibile Mistero, origine e fine di ogni creatura, si identifica essenzialmente con la sua Misericordia: essa è la sorgente inesauribile della vita, dell umanità intera, chiamata a diventare Popolo suo, libero da ogni schiavitù e da ogni paura. La Storia della Salvezza non è altro che il dispiegarsi nel tempo di questo unico e primordiale progetto, in cui Dio si mette dalla parte del più debole, del povero, dell oppresso, per fare Giustizia, cioè per smascherare tutti gli idoli vani che ci tengono schiavi ed esercitano il loro potere malefico sugli uomini, al tempo stesso loro vittime e loro strumenti. Si comprende, in questo modo, che Giustizia e Misericordia non solo non si oppongono, ma in Dio si identificano, poiché Egli non è uno spettatore equidistante e indifferente, né un giudice contabile, intento a calcolare entrate e uscite, ma un Padre, che non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv.3,17). E l amore viscerale di Dio per il mondo si manifesta ultimamente proprio nella Croce e nella Resurrezione del Figlio, a cui la Vergine Maria è associata una volta per sempre. Per questo Ella è resa perfetta e, quindi, divinizzata, Assunta nella gloria con il suo stesso corpo, a immagine e somiglianza del Figlio suo. Tutto questo vale anche per noi: infatti per somma misericordia, e a partire dall Iniziazione completa in ogni sua parte, il Padre riassimila a sé nel Figlio con lo Spirito Santo i figli suoi peccatori e lontani, li raduna nella Comunità santa e li fa salire alla perfezione della sua Santità che è la vita della sua Carità misericordiosa, ricevuta e scambiata con Lui e con i fratelli. Dio è Carità (1Gv.4,8.16). Se i figli suoi accettano di diventare simili a Lui nella carità, ossia perfettamente simili a Dio, tanto da vederlo come è (1Gv.3,1-2), essi allora sono divinizzati. La Misericordia della Carità del Padre nel Figlio con lo Spirito Santo è divinizzante (T. Federici, Commento al lezionario, p.1866s). Su questi temi potremo e dovremo senz altro soffermarci a lungo nei prossimi mesi, anche per tradurli nella concretezza della nostra vita quotidiana, il mese mariano che stiamo vivendo ci apra la porta per entrare sempre più a fondo nel Mistero in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (At.17,28).

4 4 a cura di Stanislao Fioramonti Lo scorso 5 marzo papa Francesco ha incontrato nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico i membri della Pontificia Accademia per la Vita, riuniti in Assemblea generale per discutere sul tema Assistenza all anziano e cure palliative. Il tema degli anziani come parte di gruppi sociali scartati dalla nostra società è molto sentito da Francesco, perciò le sue parole rivolte ai congressisti rivestono un significato e una importanza speciali anche per altre categorie di persone, come i politici, le famiglie, i medici, gli infermieri, assistenti sociali e tanti altri. Sentiamole dunque come rivolte anche a noi. Le cure palliative sono espressione dell attitudine propriamente umana a prendersi cura gli uni degli altri, specialmente di chi soffre. Esse testimoniano che la persona umana rimane sempre preziosa, anche se segnata dall anzianità e dalla malattia. La persona infatti, in qualsiasi circostanza, è un bene per sé stessa e per gli altri ed è amata da Dio. Per questo quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell esistenza terrena, sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore. Il comandamento biblico che ci chiede di onorare i genitori, in senso lato ci rammenta l onore che dobbiamo a tutte le persone anziane. A questo comandamento Dio associa una duplice promessa: «perché si prolunghino i tuoi giorni» (Es 20,12) e - l altra - «tu sia felice» (Dt5,16). La fedeltà al quarto comandamento assicura non solo il dono della terra, ma soprattutto la possibilità di goderne. Infatti, la sapienza che ci fa riconoscere il valore della persona anziana e ci porta ad onorarla, è quella stessa sapienza che ci consente di apprezzare i numerosi doni che quotidianamente riceviamo dalla mano provvidente del Padre e di esserne felici. Il precetto ci rivela la fondamentale relazione pedagogica tra i genitori e i figli, tra gli anziani e i giovani, in riferimento alla custodia e alla trasmissione dell insegnamento religioso e sapienziale alle generazioni future. Onorare questo insegnamento e coloro che lo trasmettono è fonte di vita e di benedizione. Al contrario, la Bibbia riserva una severa ammonizione per coloro che trascurano o maltrattano i genitori (cfr Es 21,17; Lv 20,9). Lo stesso giudizio vale oggi quando i genitori, divenuti anziani e meno utili, rimangono emarginati fino all abbandono; e ne abbiamo tanti esempi! La parola di Dio è sempre viva e vediamo bene come il comandamento risulti di stringente attualità per la società contemporanea, dove la logica dell utilità prende il sopravvento su quella della solidarietà e della gratuità, persino all interno delle famiglie. Ascoltiamo, dunque, con cuore docile, la parola di Dio che ci viene dai comandamenti i quali, ricordiamolo sempre, non sono legami che imprigionano, ma sono parole di vita. Onorare oggi potrebbe essere tradotto pure come il dovere di avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o fatto morire. Tutta la medicina ha un ruolo speciale all interno della società come testimone dell onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano. Evidenza ed efficienza non possono essere gli unici criteri a governare l agire dei medici, né lo sono le regole dei sistemi sanitari e il profitto economico. Uno Stato non può pensare di guadagnare con la medicina. Al contrario, non vi è dovere più importante per una società di quello di custodire la persona umana. Il vostro lavoro di questi giorni esplora nuove aree di applicazione delle cure palliative. Fino ad ora esse sono state un prezioso accompagnamento per i malati oncologici, ma oggi sono molte e variegate le malattie, spesso legate all anzianità, caratterizzate da un deperimento cronico progressivo e che possono avvalersi di questo tipo di assistenza. Gli anziani hanno bisogno in primo luogo delle cure dei familiari - il cui affetto non può essere sostituito neppure dalle strutture più efficienti o dagli operatori sanitari più competenti e caritatevoli. Quando non autosufficienti o con malattia avanzata o terminale, gli anziani possono godere di un assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze grazie alle cure palliative offerte ad integrazione e sostegno delle cure prestate dai familiari. Le cure palliative hanno l obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano. Si tratta di un sostegno importante soprattutto per gli anziani, i quali, a motivo dell età, ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa e rimangono spesso abbandonati. L abbandono è la malattia più grave dell anziano, e anche l ingiustizia più grande che può subire: coloro che ci hanno aiutato a crescere non devono essere abbandonati quando hanno bisogno del nostro aiuto, del nostro amore e della nostra tenerezza. Apprezzo pertanto il vostro impegno scientifico e culturale per assicurare che le cure palliative possano giungere a tutti coloro che ne hanno bisogno. Incoraggio i professionisti e gli studenti a specializzarsi in questo tipo di assistenza che non possiede meno valore per il fatto che non salva la vita. Le cure palliative realizzano qualcosa di altrettanto importante: valorizzano la persona. Esorto tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nel campo delle cure palliative, a praticare questo impegno conservando integro lo spirito di servizio e ricordando che ogni conoscenza medica è davvero scienza, nel suo significato più nobile, solo se si pone come ausilio in vista del bene dell uomo, un bene che non si raggiunge mai contro la sua vita e la sua dignità. E questa capacità di servizio alla vita e alla dignità della persona malata, anche quando anziana, che misura il vero progresso della medicina e della società tutta. Ripeto l appello di san Giovanni Paolo II: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!». Vi auguro di continuare lo studio e la ricerca, perché l opera di promozione e di difesa della vita sia sempre più efficace e feconda. Vi assista la Vergine Madre, Madre di vita e vi accompagni la mia Benedizione. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Grazie.

5 5 a cura di Stanislao Fioramonti Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua. Gesù Cristo è risorto! L amore ha sconfitto l odio, la vita ha vinto la morte, la luce ha scacciato le tenebre! Gesù Cristo, per amore nostro, si è spogliato della sua gloria divina; ha svuotato sé stesso, ha assunto la forma di servo e si è umiliato fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e lo ha fatto Signore dell universo. Gesù è Signore! Con la sua morte e risurrezione Gesù indica a tutti la via della vita e della felicità: questa via è l umiltà, che comporta l umiliazione. Questa è la strada che conduce alla gloria. Solo chi si umilia può andare verso le cose di lassù, verso Dio (cfr Col 3,1-4). L orgoglioso guarda dall alto in basso, l umile guarda dal basso in alto. Al mattino di Pasqua, avvertiti dalle donne, Pietro e Giovanni corsero al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto. Allora si avvicinarono e si chinarono per entrare nel sepolcro. Per entrare nel mistero bisogna chinarsi, abbassarsi. Solo chi si abbassa comprende la glorificazione di Gesù e può seguirlo sulla sua strada. Il mondo propone di imporsi a tutti costi, di competere, di farsi valere Ma i cristiani, per la grazia di Cristo morto e risorto, sono i germogli di un altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi. Questa non è debolezza, ma vera forza! Chi porta dentro di sé la forza di Dio, il suo amore e la sua giustizia, non ha bisogno di usare violenza, ma parla e agisce con la forza della verità, della bellezza e dell amore. Dal Signore risorto oggi imploriamo la grazia di non cedere all orgoglio che alimenta la violenza e le guerre, ma di avere il coraggio umile del perdono e della pace. A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso. Ce ne sono tante! Pace chiediamo anzitutto per l amata Siria e per l Iraq, perché cessi il fragore delle armi e si ristabilisca la buona convivenza tra i diversi gruppi che compongono questi amati Paesi. La comunità internazionale non rimanga inerte di fronte alla immensa tragedia umanitaria all interno di questi Paesi e al dramma dei numerosi rifugiati. Pace imploriamo per tutti gli abitanti della Terra Santa. Possa crescere tra Israeliani e Palestinesi la cultura dell incontro e riprendere il processo di pace così da porre fine ad anni di sofferenze e divisioni. Pace domandiamo per la Libia, affinché si fermi l assurdo spargimento di sangue in corso e ogni barbara violenza, e quanti hanno a cuore la sorte del Paese si adoperino per favorire la riconciliazione e per edificare una società fraterna che rispetti la dignità della persona. Anche in Yemen auspichiamo che prevalga una comune volontà di pacificazione per il bene di tutta la popolazione. Nello stesso tempo con speranza affidiamo al Signore che è tanto misericordioso l intesa raggiunta in questi giorni a Losanna, affinché sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno. Dal Signore Risorto imploriamo il dono della pace per la Nigeria, per il Sud-Sudan e per varie regioni del Sudan e della Repubblica Democratica del Congo. Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita - uccisi giovedì scorso nell Università di Garissa, in Kenia -, per quanti sono stati rapiti, per chi ha dovuto abbandonare la propria casa ed i propri affetti. La Risurrezione del Signore porti luce all amata Ucraina, soprattutto a quanti hanno subito le violenze del conflitto degli ultimi mesi. Possa il Paese ritrovare pace e speranza grazie all impegno di tutte le parti interessate. Pace e libertà chiediamo per tanti uomini e donne soggetti a nuove e vecchie forme di schiavitù da parte di persone e organizzazioni criminali. Pace e libertà per le vittime dei trafficanti di droga, tante volte alleati con i poteri che dovrebbero difendere la pace e l armonia nella famiglia umana. E pace chiediamo per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne. Agli emarginati, ai carcerati, ai poveri e ai migranti che tanto spesso sono rifiutati, maltrattati e scartati; ai malati e ai sofferenti; ai bambini, specialmente a quelli che subiscono violenza; a quanti oggi sono nel lutto; a tutti gli uomini e le donne di buona volontà giunga la consolante e sanante voce del Signore Gesù: «Pace a voi!» «Non temete, sono risorto e sarò sempre con voi!». Cari fratelli e sorelle, desidero rivolgere i miei auguri di Buona Pasqua a tutti voi che siete venuti in questa Piazza da diversi Paesi, come pure a quanti sono collegati attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Portate nelle vostre case e a quanti incontrate il gioioso annuncio che è risorto il Signore della vita, recando con sé amore, giustizia, rispetto e perdono! Grazie per la vostra presenza, per la vostra preghiera e per l entusiasmo della vostra fede in una giornata tanto bella ma anche tanto brutta per la pioggia. Un pensiero speciale e riconoscente per il dono dei fiori, che anche quest anno provengono dai Paesi Bassi. Vi auguro una Buona Pasqua a tutti! Pregate per me, buon pranzo e arrivederci.

6 6 Sara Gilotta Le persecuzioni contro i Cristiani da parte di gruppi estremisti islamici di cui le cronache dolorosamente ci aggiornano, quasi giorno dopo giorno, non costituiscono se non l ultimo atto di una lunga storia, che ha intriso di sangue innocente l Europa e il mondo. Del resto, come è noto, le persecuzioni ebbero inizio addirittura quando non si poteva parlare propriamente se non di comunità giudaicocristiane e quando, perciò, il Cristianesimo non era ancora divenuto una religione autonoma rispetto a quella giudaica. Ma sin da allora evidentemente la nuova religione, o forse meglio e più semplicemente i seguaci di Gesù Cristo, erano ritenuti pericolosi per molte realtà sociali e politiche e forse ancor più economiche, non solo a Roma. Di ciò ben si accorse il potere imperiale che cercò di ostacolare in tutti i modi l espansione di quella che si poteva considerare una nuova visione del mondo. Così è importante ricordare che San Paolo già intorno al 50, parlando dell avvento del Regno di Dio essenziale nel messaggio cristiano, abbia insistito sul fatto che esso doveva essere preceduto dall avvento di un Anticristo che ancora non si era rivelato. Ed infatti nel 51 nella seconda lettera ai Tessalonicesi Paolo insiste nell affermare che l Anticristo si siederà nel tempio di Dio, mostrando se stesso come Dio. Cosa che era proprio quel che aveva in animo di fare Caligola, che desiderava addirittura porre una sua statua nel tempio di Gerusalemme. Certo un progetto sacrilego sia per i Giudei che per i Cristiani, pur ancora considerati una airesis (una setta) del mondo Giudaico. Ma la prima vera persecuzione si ebbe con l imperatore Claudio, che cacciò da Roma la comunità giudaico-cristiana in quanto accusata di provocare tumulti sotto la spinta di Cristo. Dunque la comunità cristiana di Roma è già considerata in lotta con lo stato romano e da esso ritenuta estremamente pericolosa. Perché? Perché se l intellettuale Claudio certo non capiva granché dei principi religiosi cristiani, fu forse il primo ad essere consapevole che essi avrebbero trasformato il mondo pagano, soprattutto ad opera di quei personaggi, per lo più provenienti dalla Palestina, portatori davvero di idee rivoluzionarie e, secondo l imperatore, fortemente propagandistiche e perciò altrettanto fortemente nocive. Del resto si sa con buona certezza che poco dopo la morte di Cristo fosse cominciata a Roma una vera e propria predicazione della Sua parola da parte di proseliti che godevano della cittadinanza romana ed essendo Roma la capitale dell impero, a maggior ragione Claudio doveva temere la diffusione di idee nazoree ai cui seguaci proibì di raccogliersi insieme. La proibizione non servì a molto, ma è chiaro che una notevole preoccupazione nei confronti dei cosiddetti cristiani stava affermandosi in modo ancora non del tutto chiaro ma indubbiamente notevole. Morto Claudio, salì al trono Nerone, colui che, secondo tradizione, fu il primo vero accusatore e persecutore dei Cristiani. Ma la questione dei rapporti tra il giovane imperatore e i seguaci di Cristo non è facilmente comprensibile, giacché dopo un periodo in cui l apostolo Paolo espresse la speranza ottimistica di una possibile conciliazione fra il Cristianesimo e le autorità romane, nel 64, quando scoppiò a Roma il famoso incendio, Nerone riversò tutta la colpa sulla comunità cristiana, i cui componenti furono sottoposti ad atroci supplizi, come è ben chiaro nella prima lettera di Clemente scritta ad un trentennio di distanza dalla persecuzione. Era ormai inevitabile considerare non sanabile il conflitto tra cristianesimo ed impero romano, essenzialmente derivato dalla convinzione degli imperatori che il regno di Dio atteso dai cristiani li minacciasse e minacciasse lo stesso impero. Anche perché forse essi intuivano che la predicazione cristiana distruggeva la sostanza della civiltà antica pagana basata su regole e schemi,come lo schiavismo, che una volta eliminati o mutati nel profondo, avrebbero causato la fine delle basi stesse su cui era nato e poggiava l idea stessa di impero. Tenendo presenti queste considerazioni, si può comprendere anche gran parte delle persecuzioni successive, di cui alcune furono più sanguinose, altre certamente meno gravi per il mondo cristiano, cui si deve ascrivere anche il fenomeno dei cosiddetti lapsi cioè di coloro che, per evitare le condanne accettarono di venerare l imperatore. Ma oggi qual è il significato dei massacri perpetrati dagli estremisti musulmani? La risposta non è semplice, se non altro per il fatto che tra le vittime il numero dei musulmani è altissimo, ma, forse, con una certa facilità si può dire che due sono le realtà alla base delle lotte e degli eccidi contemporanei, che si possono sintetizzare nella ricerca di supremazia politica e, quindi, economica, di un gruppo di musulmani sull altro, mentre, per quanto riguarda i cristiani, forse è valida la considerazione condotta per il mondo antico: i cristiani sono ancora una volta e come sempre considerati pericolosamente diversi e ostili per i gruppi che sotto il vessillo religioso nascondono, la rincorsa verso il raggiungimento di un potere che poco ha a che fare con la religione, quale che essa sia. Una tale opinione è confermata da autorevoli esponenti della chiesa cristiane e cattolica, che ritengono l essenza e il centro propulsore delle persecuzioni esulare del tutto o quasi dalla religione propriamente detta. Del resto come sempre. Tutto ciò rende le parole e le preghiere di Papa Francesco contro ogni tipo di persecuzione e di eccidio, fondamentali, per cercare di superare il difficilissimo momento storico che stiamo vivendo. Nella speranza che la terribile realtà di un vero e proprio genocidio a danno dei Cristiani possa ancora essere almeno in parte scongiurato. Nell immagine del titolo: Sermone dell anticristo, Luca Signorelli, , Cappella di san Brizio, Duomo Orvieto.

7 I Maggio l tema della famiglia è al centro di un approfondita riflessione ecclesiale e di un processo sinodale che prevede due Sinodi, uno straordinario - appena celebrato - ed uno ordinario, convocato per il prossimo ottobre. In tale contesto, ho ritenuto opportuno che il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali avesse come punto di riferimento la famiglia. La famiglia è del resto il primo luogo dove impariamo a comunicare. Tornare a questo momento originario ci può aiutare sia a rendere la comunicazione più autentica e umana, sia a guardare la famiglia da un nuovo punto di vista. Possiamo lasciarci ispirare dall icona evangelica della visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39-56). «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (vv ). Anzitutto, questo episodio ci mostra la comunicazione come un dialogo che si intreccia con il linguaggio del corpo. La prima risposta al saluto di Maria la dà infatti il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la gioia dell incontro è in un certo senso l archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. Il grembo che ci ospita è la prima scuola di comunicazione, fatta di ascolto e di contatto corporeo, dove cominciamo a familiarizzare col mondo esterno in un ambiente protetto e al suono rassicurante del battito del cuore della mamma. Questo incontro tra due esseri insieme così intimi e ancora così estranei l uno all altra, un incontro pieno di promesse, è la nostra prima esperienza di comunicazione. Ed è un esperienza che ci accomuna tutti, perché ciascuno di noi è nato da una madre. Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un grembo, che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita. È il legame che sta a fondamento della parola, che a sua volta rinsalda il legame. Le parole non le inventiamo: le possiamo usare perché le abbiamo ricevute. E in famiglia che si impara a parlare nella lingua materna, cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac 7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione. L esperienza del legame che ci precede fa sì che la famiglia sia anche il contesto in cui si trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. Quando la mamma e il papà fanno addormentare i loro bambini appena nati, molto spesso li affidano a Dio, perché vegli su di essi; e quando sono un po più grandi recitano insieme con loro semplici preghiere, ricordando con affetto anche altre persone, i nonni, altri parenti, i malati e i sofferenti, tutti coloro che hanno più bisogno dell aiuto di Dio. Così, in famiglia, la maggior parte di noi ha imparato la dimensione religiosa della comunicazione, che nel cristianesimo è tutta impregnata di amore, l amore 7 di Dio che si dona a noi e che noi offriamo agli altri. Nella famiglia è soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e tuttavia sono così importanti l una per l altra, a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità. Ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia: dal saluto di Maria e dal sussulto del bambino scaturisce la benedizione di Elisabetta, a cui segue il bellissimo cantico del Magnificat, nel quale Maria loda il disegno d amore di Dio su di lei e sul suo popolo. Da un sì pronunciato con fede scaturiscono conseguenze che vanno ben oltre noi stessi e si espandono nel mondo. Visitare comporta aprire le porte, non rinchiudersi nei propri appartamenti, uscire, andare verso l altro. Anche la famiglia è viva se respira aprendosi oltre sé stessa, e le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie. La famiglia è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell andare d accordo. Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono. Il perdono è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di riconciliazione. A proposito di limiti e comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno. In un mondo, poi, dove così spesso si maledice, si parla male, si semina zizzania, si inquina con le chiacchiere il nostro ambiente umano, la famiglia può essere una scuola di comunicazione come benedizione. E questo anche là dove sembra prevalere l inevitabilità dell odio e della violenza, quando le famiglie sono separate tra loro da muri di pietra o dai muri non meno impenetrabili del pregiudizio e del risentimento, quando sembrano esserci buone ragioni per dire adesso basta ; in realtà, benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l unico modo per spezzare la spirale del male, per testimoniare che il bene è sempre possibile, per educare i figli alla fratellanza. Oggi i media più moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46ª G.M. delle Comunicazioni Sociali, ). La possono favorire se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l incontro. Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l incontro, questo inizio vivo, noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. Ma non vanno lasciati soli; la comunità cristiana è chiamata ad affiancarli perché sappiano insegnare ai figli a vivere nell ambiente comunicativo secondo i criteri della dignità della persona umana e del bene comune. La sfida che oggi ci si presenta è, dunque, reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione. E questa la direzione verso cui ci spingono i potenti e preziosi mezzi della comunicazione contemporanea. L informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l una o l altra, anziché favorire uno sguardo d insieme. Anche la famiglia, continua nella pag. 8

8 8 Costantino Coros La famiglia è il primo luogo dove impariamo a comunicare. Scrive Papa Francesco nel Messaggio per la XLIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, presentato lo scorso 23 gennaio, vigilia della festa dedicata a san Francesco di Sales. L icona evangelica della visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39-56) è il centro intorno al quale ruota la riflessione contenuta nel Messaggio. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!. Questo dialogo si intreccia con il linguaggio del corpo. Infatti, la prima risposta al saluto di Maria la dà il bambino, sussultando gioiosamente nel grembo di Elisabetta. Esultare per la gioia dell incontro è in un certo senso l archetipo e il simbolo di ogni altra comunicazione, che impariamo ancora prima di venire al mondo. La nostra prima esperienza di comunicazione avviene dentro il grembo della mamma. E un incontro tra due esseri, insieme così intimi e ancora così estranei l uno all altro, un incontro pieno di promesse. Anche dopo essere venuti al mondo restiamo in un certo senso in un grembo, che è la famiglia. Un grembo fatto di persone diverse, in relazione: la famiglia è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Papa Francesco ci ricorda che è la famiglia, l ambiente dove si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione. E in famiglia che si saldano i legami. L esperienza del legame che ci precede fa si che la famiglia sia anche il contesto in cui si trasmette quella forma fondamentale di comunicazione che è la preghiera. [ ] In famiglia, la maggior parte di noi ha imparato la dimensione religiosa della comunicazione, che nel cristianesimo è tutta impregnata di amore, l amore di Dio che si dona a noi e che noi offriamo agli altri. La famiglia è viva se si apre oltre se stessa. Le famiglie che fanno questo possono comunicare il loro messaggio di vita e di comunione, possono dare conforto e speranza alle famiglie più ferite, e far crescere la Chiesa stessa, che è famiglia di famiglie. Famiglia scuola di perdono. La famiglia è più di ogni altro il luogo in cui, vivendo insieme nella quotidianità, si sperimentano i limiti propri e altrui, i piccoli e grandi problemi della coesistenza, dell andare d accordo. Non esiste la famiglia perfetta, ma non bisogna avere paura dell imperfezione, della fragilità, nemmeno dei conflitti; bisogna imparare ad affrontarli in maniera costruttiva. Per questo la famiglia in cui, con i propri limiti e peccati, ci si vuole bene, diventa una scuola di perdono. Il perdono è una dinamica di comunicazione, una comunicazione che si logora, che si spezza e che, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere. In famiglia s impara a diventare costruttori di pace. Un bambino che in famiglia impara ad ascoltare gli altri, a parlare in modo rispettoso, esprimendo il proprio punto di vista senza negare quello altrui, sarà nella società un costruttore di dialogo e di riconciliazione. Il Santo Padre rivolge poi lo sguardo a quel lato dell umanità che spesso si preferisce non vedere: la disabilità. A proposito di limiti e comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità. Il deficit motorio, sensoriale o intellettivo è sempre una tentazione a chiudersi; ma può diventare, grazie all amore dei genitori, dei fratelli e di altre persone amiche, uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo; e può aiutare la scuola, la parrocchia, le associazioni a diventare più accoglienti verso tutti, a non escludere nessuno. Nel Messaggio,Papa Francesco, in qualche modo declina alcuni valori che servono da bussola per orientarci e guidarci nel cammino della vita quotidiana: benedire anziché maledire, visitare anziché respingere, accogliere anziché combattere è l unico modo per spezzare la spirale del male, per testimoniare che il bene è sempre possibile, per educare i figli alla fratellanza. La parte finale del Messaggio si concentra sull influenza dei media più moderni. Soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili, possono sia ostacolare che aiutare la comunicazione in famiglia e tra famiglie. La possono ostacolare se diventano un modo di sottrarsi all ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che «il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto» (Benedetto XVI, Messaggio per la 46a G.M. delle Comunicazioni Sociali, ). La possono favorire se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l incontro. Riscoprendo quotidianamente questo centro vitale che è l incontro, questo inizio vivo, noi sapremo orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse. Anche in questo campo, i genitori sono i primi educatori. Ma non vanno lasciati soli; la comunità cristiana è chiamata ad affiancarli perché sappiano insegnare ai figli a vivere nell ambiente comunicativo secondo i criteri della dignità della persona umana e del bene comune. La sfida che abbiamo di fronte è quella di reimparare a raccontare, non semplicemente a produrre e consumare informazione [ ]. L informazione è importante ma non basta, perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse sollecitando a schierarsi per l una o l altra, anziché favorire uno sguardo d insieme. Anche la famiglia, in conclusione, non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche, ma un ambiente in cui si impara a comunicare nella prossimità e un soggetto che comunica, una comunità comunicante. Una comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare. [ ]. I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile. Il Papa chiude il Messaggio ricordando che: la famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro. La Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali si legge in un articolo del quotidiano di Avvenire.it del 29 settembre è l unica stabilita dal Concilio Vaticano II (Inter Mirifica, 1963) e viene celebrata in molti Paesi, su raccomandazione dei vescovi del mondo, la domenica che precede la Pentecoste (nel sarà il 17 maggio). Il testo del Messaggio del Santo Padre viene invece tradizionalmente pubblicato in occasione della ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti (24 gennaio). segue da pag. 7 in conclusione, non è un oggetto sul quale si comunicano delle opinioni o un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche, ma un ambiente in cui si impara a comunicare nella prossimità e un soggetto che comunica, una comunità comunicante. Una comunità che sa accompagnare, festeggiare e fruttificare. In questo senso è possibile ripristinare uno sguardo capace di riconoscere che la famiglia continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un istituzione in crisi. I media tendono a volte a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell amore ricevuto e donato. Raccontare significa invece comprendere che le nostre vite sono intrecciate in una trama unitaria, che le voci sono molteplici e ciascuna è insostituibile.la famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro. Dal Vaticano, 23 gennaio Vigilia della festa di san Francesco di Sales Francesco

9 9 13 marzo, Basilica di San Pietro Anche quest anno, alla vigilia della Quarta Domenica di Quaresima, ci siamo radunati per celebrare la liturgia penitenziale. Siamo uniti a tanti cristiani che, oggi, in ogni parte del mondo, hanno accolto l invito a vivere questo momento come segno della bontà del Signore. Il Sacramento della Riconciliazione, infatti, permette di accostarci con fiducia al Padre per avere la certezza del suo perdono. Egli è veramente ricco di misericordia e la estende con abbondanza su quanti ricorrono a Lui con cuore sincero. Essere qui per fare esperienza del suo amore, comunque, è anzitutto frutto della sua grazia. Come ci ha ricordato l apostolo Paolo, Dio non cessa mai di mostrare la ricchezza della sua misericordia nel corso dei secoli. La trasformazione del cuore che ci porta a confessare i nostri peccati è dono di Dio. Da noi soli non possiamo. Il poter confessare i nostri peccati è un dono di Dio, è un regalo, è opera sua (cfr Ef 2,8-10). Essere toccati con tenerezza dalla sua mano e plasmati dalla sua grazia ci consente, pertanto, di avvicinarci al sacerdote senza timore per le nostre colpe, ma con la certezza di essere da lui accolti nel nome di Dio, e compresi nonostante le nostre miserie; e anche di accostarci senza un avvocato difensore: ne abbiamo uno solo, che ha dato la sua vita per i nostri peccati! E Lui che, con il Padre, ci difende sempre. Uscendo dal confessionale, sentiremo la sua forza che ridona la vita e restituisce l entusiasmo della fede. Dopo la confessione saremo rinati. Il Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Lc 7,36-50) ci apre un cammino di speranza e di conforto. E bene sentire su di noi lo stesso sguardo compassionevole di Gesù, così come lo ha percepito la donna peccatrice nella casa del fariseo. In questo brano ritornano con insistenza due parole: amore e giudizio. C è l amore della donna peccatrice che si umilia davanti al Signore; ma prima ancora c è l amore misericordioso di Gesù per lei, che la spinge ad avvicinarsi. Il suo pianto di pentimento e di gioia lava i piedi del Maestro, e i suoi capelli li asciugano con gratitudine; i baci sono espressione del suo affetto puro; e l unguento profumato versato in abbondanza attesta quanto Egli sia prezioso ai suoi occhi. Ogni gesto di questa donna parla di amore ed esprime il suo desiderio di avere una certezza incrollabile nella sua vita: quella di essere stata perdonata. E questa certezza è bellissima! E Gesù le dà questa certezza: accogliendola le dimostra l amore di Dio per lei, proprio per lei, una peccatrice pubblica! L amore e il perdono sono simultanei: Dio le perdona molto, le perdona tutto, perché «ha molto amato» (Lc 7,47); e lei adora Gesù perché sente che in Lui c è misericordia e non condanna. Sente che Gesù la capisce con amore, lei, che è una peccatrice. Grazie a Gesù, i suoi molti peccati Dio se li butta alle spalle, non li ricorda più (cfr Is 43,25). Perché anche questo è vero: quando Dio perdona, dimentica. E grande il perdono di Dio! Per lei ora inizia una nuova stagione; è rinata nell amore a una vita nuova. Questa donna ha veramente incontrato il Signore. Nel silenzio, gli ha aperto il suo cuore; nel dolore, gli ha mostrato il pentimento per i suoi peccati; con il suo pianto, ha fatto appello alla bontà divina per ricevere il perdono. Per lei non ci sarà nessun giudizio se non quello che viene da Dio, e questo è il giudizio della misericordia. Il protagonista di questo incontro è certamente l amore, la misericordia che va oltre la giustizia. Simone, il padrone di casa, il fariseo, al contrario, non riesce a trovare la strada dell amore. Tutto è calcolato, tutto pensato Egli rimane fermo alla soglia della formalità. E una cosa brutta, l amore formale, non si capisce. Non è capace di compiere il passo successivo per andare incontro a Gesù che gli porta la salvezza. Simone si è limitato ad invitare Gesù a pranzo, ma non lo ha veramente accolto. Nei suoi pensieri invoca solo la giustizia e facendo così sbaglia. continua a pag. 10

10 10 Papa Francesco ha annunciato oggi, 13 marzo, nella Basilica di San Pietro la celebrazione di un Anno Santo straordinario. Questo Giubileo della Misericordia avrà inizio con l apertura della Porta Santa in San Pietro nella solennità dell Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre 2016 con la solensegue da pag. 9 come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia. Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo. Non dimentichiamo che Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d ora questo Anno alla Madre della Misericordia, perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino: il nostro cammino penitenziale, il nostro cammino con il cuore aperto, durante un anno, per ricevere l indulgenza di Dio, per ricevere la misericordia di Dio. Il suo giudizio sulla donna lo allontana dalla verità e non gli permette neppure di comprendere chi è il suo ospite. Si è fermato alla superficie alla formalità non è stato capace di guardare al cuore. Dinanzi alla parabola di Gesù e alla domanda su quale servo abbia amato di più, il fariseo risponde correttamente: «Colui al quale ha condonato di più». E Gesù non manca di farlo osservare: «Hai giudicato bene» (Lc 7,43). Solo quando il giudizio di Simone è rivolto all amore, allora egli è nel giusto. Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono. Più è grande il peccato e maggiore dev essere l amore che la Chiesa esprime verso coloro che si convertono. Con quanto amore ci guarda Gesù! Con quanto amore guarisce il nostro cuore peccatore! Mai si spaventa dei nostri peccati. Pensiamo al figlio prodigo che, quando decide di tornare dal padre, pensa di fargli un discorso, ma il padre non lo lascia parlare, lo abbraccia (cfr Lc 15,17-24). Così Gesù con noi. Padre, ho tanti peccati Ma Lui sarà contento se tu vai: ti abbraccerà con tanto amore! Non avere paura. Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. E un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: Siate misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36). E questo specialmente per i confessori! Tanta misericordia! Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell universo e volto vivo della misericordia del Padre. Affido l organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo continua nella pag. accanto

11 11 nità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell Universo. All inizio dell anno il Santo Padre aveva detto: Questo è il tempo della misericordia. È importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei diversi ambienti sociali. Avanti! L annuncio è stato fatto nel secondo anniversario dell elezione di Papa Francesco, durante l omelia della celebrazione penitenziale con la quale il Santo Padre ha aperto l iniziativa 24 ore per il Signore. Questa iniziativa, proposta dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, promuove in tutto il mondo l apertura straordinaria delle chiese per invitare a celebrare il sacramento della riconciliazione. Il tema di quest anno è preso dalla lettera di San Paolo agli Efesini Dio ricco di misericordia (Ef 2,4). L apertura del prossimo Giubileo avverrà nel cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, nel 1965, e acquista per questo un significato particolare spingendo la Chiesa a continuare l opera iniziata con il Vaticano II. Nel Giubileo le letture per le domeniche del tempo ordinario saranno prese dal Vangelo di Luca, chiamato l evangelista della misericordia. Dante Alighieri lo definisce scriba mansuetudinis Christi, narratore della mitezza del Cristo. Sono molto conosciute le parabole della misericordia presenti nel Vangelo di Luca: la pecora smarrita, la dramma perduta, il padre misericordioso. L annuncio ufficiale e solenne dell Anno Santo avverrà con la lettura e pubblicazione presso la Porta Santa della Bolla nella Domenica della Divina Misericordia, festa istituita da San Giovanni Paolo II che viene celebrata la domenica dopo Pasqua. Anticamente presso gli Ebrei, il giubileo era un anno dichiarato santo che cadeva ogni 50 anni, nel quale si doveva restituire l uguaglianza a tutti i figli d Israele, offrendo nuove possibilità alle famiglie che avevano perso le loro proprietà e perfino la libertà personale. Ai ricchi, invece, l anno giubilare ricordava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuovamente uguali a loro, avrebbero potuto rivendicare i loro diritti. La giustizia, secondo la legge di Israele, consisteva soprattutto nella protezione dei deboli (S. Giovanni Paolo II in Tertio Millennio Adveniente 13). La Chiesa cattolica ha iniziato la tradizione dell Anno Santo con Papa Bonifacio VIII nel Bonifacio VIII aveva previsto un giubileo ogni secolo. Dal per permettere a ogni generazione di vivere almeno un Anno Santo - il giubileo ordinario fu cadenzato con il ritmo dei 25 anni. Un giubileo straordinario, invece, viene indetto in occasione di un avvenimento di particolare importanza. Gli Anni Santi ordinari celebrati fino ad oggi sono 26. L ultimo è stato il Giubileo del La consuetudine di indire giubilei straordinari risale al XVI secolo. Gli ultimi Anni Santi straordinari, del secolo scorso, sono stati quelli del 1933, indetto da Pio XI per il XIX centenario della Redenzione, e quello del 1983, indetto da Giovanni Paolo II per i 1950 anni della Redenzione. La Chiesa cattolica ha dato al giubileo ebraico un significato più spirituale. Consiste in un perdono generale, un indulgenza aperta a tutti, e nella possibilità di rinnovare il rapporto con Dio e il prossimo. Così, l Anno Santo è sempre un opportunità per approfondire la fede e vivere con rinnovato impegno la testimonianza cristiana. Con il Giubileo della Misericordia Papa Francesco pone al centro dell attenzione il Dio misericordioso che invita tutti a tornare da Lui. L incontro con Lui ispira la virtù della misericordia. Il rito iniziale del giubileo è l apertura della Porta Santa. Si tratta di una porta che viene aperta solo durante l Anno Santo, mentre negli altri anni rimane murata. Hanno una Porta Santa le quattro basiliche maggiori di Roma: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore. Il rito di aprire la Porta Santa esprime simbolicamente il concetto che, durante il Giubileo, è offerto ai fedeli un percorso straordinario verso la salvezza. Le Porte Sante delle altre basiliche verranno aperte successivamente all apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro. La misericordia è un tema molto caro a Papa Francesco che già da vescovo aveva scelto come suo motto miserando atque eligendo. Si tratta di una citazione presa dalle Omelie di San Beda il Venerabile, il quale, commentando l episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi). Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina. Una traduzione del motto potrebbe essere Con occhi di misericordia. Nel primo Angelus dopo la sua elezione, il Santo Padre diceva: Sentire misericordia, questa parola cambia tutto. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza (Angelus 17 marzo 2013). Nell Angelus dell 11 gennaio ha affermato: C è tanto bisogno oggi di misericordia, ed è importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei diversi ambienti sociali. Avanti! Noi stiamo vivendo il tempo della misericordia, questo è il tempo della misericordia. Ancora, nel suo messaggio per la Quaresima, il Santo Padre ha detto: Quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell indifferenza! Nel testo dell edizione italiana dell esortazione apostolica Evangelii gaudium il termine misericordia appare ben 31 volte. Papa Francesco ha affidato al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, l organizzazione del Giubileo della Misericordia. Lista degli anni giubilari e relativi Papi 1300: Bonifacio VIII 1350: Clemente VI 1390: indetto da Urbano VI, presieduto da Bonifacio IX 1400: Bonifacio IX 1423: Martino V 1450: Niccolò V 1475: indetto da Paolo II, presieduto da Sisto IV 1500: Alessandro VI 1525: Clemente VII 1550: indetto da Paolo III, presieduto da Giulio III 1575: Gregorio XIII 1600: Clemente VIII 1625: Urbano VIII 1650: Innocenzo X 1675: Clemente X 1700: aperto da Innocenzo XII, concluso da Clemente XI 1725: Benedetto XIII 1750: Benedetto XIV 1775: indetto da Clemente XIV, presieduto da Pio VI 1825: Leone XII 1875: Pio IX 1900: Leone XIII 1925: Pio XI 1933: Pio XI 1950: Pio XII 1975: Paolo VI 1983: Giovanni Paolo II 2000: Giovanni Paolo II : Francesco Negli anni 1800 e 1850 non ci fu il giubileo per le circostanze politiche del tempo.

12 12 dal SIR del Isettimanali cattolici, in uscita in questi giorni, disapprovano l immobilismo che si registra di fronte al dramma dei barconi. Chissà se l ultima grande tragedia nel Mediterraneo - rilevano le testate Fisc - scuoterà le coscienze Gigliola Alfaro - Non possiamo restare a guardare. I giornali aderenti alla Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), in uscita in questi giorni, disapprovano l immobilismo che si registra di fronte al dramma dei barconi. Chissà se l ultima grande tragedia nel Mediterraneo - rilevano le testate Fisc - scuoterà le coscienze della politica europea e mondiale e se il Mediterraneo potrà mai tornare ad essere il Mare nostrum, da Mare Monstrum qual è ora. Tra gli altri argomenti affrontati dai settimanali: la festa della Liberazione, il convegno della Fisc all Aquila, cronaca e vita delle diocesi. Proponiamo una rassegna degli editoriali giunti ad oggi in redazione. Lo sgomento per l ultima strage dei migranti nel Canale di Sicilia accomuna molte riflessioni. Vincenzo Rini, direttore della Vita Cattolica (Mantova) dichiara: L Europa ha saputo offrire di sé il lato peggiore, quello dell indifferenza e, anche, del cinismo; in pratica ha detto all Italia: arrangiati; se i migranti vengono da te tieniteli. Archiviato il Mare nostrum della solidarietà, lo ha sostituito con il Triton dell autodifesa. La strage dei giorni scorsi mette però a nudo quanto è immorale e inumano un tale atteggiamento. Bruno Cescon, direttore del Popolo (Concordia- Pordenone), avverte: Immigrati morti nel Mediterraneo. Un ecatombe di vite umane. Non si possono abbandonare in balia delle onde e degli scafisti, come qualche chiacchiera d osteria, anche politica, talvolta osa dire. Sono persone umane. Uomini, donne, bambini, che fuggono dal dolore, dalla persecuzione, dalla miseria. La nostra coscienza non può cedere neppure col pretesto degli infiltrati. Non possiamo rinunciare ai principi umani, ai valori neppure dinanzi al problema dell accoglienza. L Araldo Abruzzese Teramo-Atri) concorda: Il Mediterraneo, culla della nostra civiltà, si tinge sempre più di rosso. Ogni giorno si assiste a decine di persone che perdono la vita in mare nel tentativo di sbarcare sulle nostre coste e sperare in un futuro migliore, dopo essere fuggite dalle guerre e dalla fame. Alberto Margoni, direttore di Verona Fedele (Verona), argomenta: Per fermare le morti in mare occorre bloccare i trafficanti di uomini. Operazione non certo facile in un paese, com è oggi la Libia, di fatto in una situazione di anarchia. La questione più urgente per le istituzioni internazionali sarà dunque quella di ricomporre il puzzle per poi prendere accordi (che di certo non saranno a costo zero) con un governo legittimo e riconosciuto. Per la Guida (Cuneo), adesso diventa urgente, oltre che salvare i disperati che annegano a centinaia nel Mediterraneo, salvare dal naufragio anche l Europa. E per riuscirci le parole non bastano. A Notizie (Carpi) sottolinea: Il timore che tra la folla anonima possa nascondersi un nemico, ci impedisce di riconoscere i fratelli in umanità. Ma l unica risposta possibile a chi, a queste notizie, oppone la distanza e il distacco, è che provare dolore, compassione, e questo senza lasciarsi andare all emotività fine a se stessa, è l unica via che ci mantiene, noi per primi, umani. Guglielmo Frezza, direttore della Difesa del Popolo (Padova), ammette: La politica ha oggi un compito alto e arduo di fronte: bisogna spingere l Europa a cambiare le sue leggi sul diritto d asilo, prendendo coscienza della gravità del problema. Per Elio Bromuri, direttore della Voce (Umbria), Qui non si progetta; si afferma, si declama, si asserisce, si accusa, ci si scaglia contro, si alzano i toni... e tutto ricade nel vuoto. La politica rischia l insignificanza, quando dovrebbe riscoprire la sua alta vocazione di perseguire con professionalità e coscienza il bene comune anche quando questo non s incrocia con il proprio interesse. Vincenzo Tosello, direttore di Nuova Scintilla (Chioggia), denuncia: Scafisti-schiavisti, stati africani allo sbando, minacce terroristiche, miraggi di vita migliore anche a rischio di morte...: un insieme di fattori che rendono il fenomeno migratorio pressoché ingovernabile. Il continente africano, infatti, è una polveriera. È là dunque che occorre intervenire - sanando i contrasti, debellando interessi, promuovendo governi saggi... - per dare qualche speranza di futuro ai milioni di fuggitivi. Questo è un problema ancora più grande e i maldestri tentativi di risposta finora hanno creato più danni. Stefano Fontana, direttore di Vita Nuova (Trieste), sostiene: Qui ormai si tratta di intervenire con una forza internazionale. Si tratta di controllare le coste africane, si tratta di fare operazioni di polizia e colpire gli scafisti. Ci sono molti aggressori in attività, bisogna fermarli. Luca Sogno, direttore del Corriere Eusebiano (Vercelli), afferma: L approccio europeo non brilla per lungimiranza: davvero si pensa di risolvere il problema con nuove regole di ingaggio? L ultima volta che abbiamo sentito evocare questi termini è stato in occasione dei provvedimenti contro la pirateria navale. Due nostri militari sono ancora in carcere in India per aver applicato le regole d ingaggio che erano state stabilite Forse le istituzioni internazionali dovrebbero almeno iniziare a imparare dai propri errori. La Valsusa (Susa) punta il dito: Meno soldi. Non più soccorso, ma solo controllo della frontiera. E così sempre più il Mediterraneo diventa una tomba, fino a quest ultimo episodio con centinaia di morti sepolti in mare. La Voce dei Berici (Vicenza) riprende un editoriale del Sir: La storia davvero non si dimostra maestra di vita in automatico, richiede che facciamo nostro il monito e usciamo da una tragedia che, per sempre, ci avrà segnati. Lo sterco del diavolo copre e inquina ormai le coscienze. Speriamo solo di essere capaci di liberarci dalla sua lordura.

13 13 Marta Pietroni Ulteriore importante prova di sopravvivenza per la legge 40, che già minata profondamente nella sua integrità e già analizzata per ben dieci volte in questi 11 anni e malridotta a suon di sentenze, deve passare ora al vaglio della Consulta per due aspetti determinanti: il divieto della diagnosi pre-impianto e la limitazione per le coppie fertili (anche se portatrici di malattie genetiche ereditarie) di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita., in quanto permessa soltanto nei casi di infertilità o sterilità. La questione è stata presentata in sede giudiziaria lo scorso luglio da una coppia di Milano che si è vista rifiutare dal Policlinico milanese, la richiesta di procreazione medicalmente assistita e la conseguente diagnosi preimpianto. La coppia, che non ha problemi di sterilità o infertilità, è portatrice, per parte maschile, di esosi multipla ereditaria, una malattia che comporta una crescita ossea esagerata in corrispondenza delle cartilagini. Il rischio di trasmissione, pari al 50%, aveva spinto la coppia in Grecia, dove avevano fallito i tre tentativi di fecondazione artificiale con embrioni selezionati. In seguito a tali fallimenti, la decisione di chiedere in Italia l accesso a tali procedure. Nel ricorso al tribunale, la coppia milanese fa appello alla discriminazione subita a causa del divieto di accesso, per le coppie fertili, alla procreazione medicalmente assistita, in quanto tale limite andrebbe a ledere l autodeterminazione nelle scelte procreative della coppia, entrando così in contrasto con i diritti inviolabili dell uomo protetti all art. 2 della Costituzione. Inoltre entrerebbe in gioco anche la violazione di un ulteriore diritto, quello alla salute perché, qualora venisse confermato il divieto di ricorso alla provetta, il concepimento di un figlio malato potrebbe concludersi con un aborto terapeutico, lesivo per la salute della donna. Di fronte a tali osservazioni, i giudici in questione hanno deciso di passare alla Corte Costituzionale tutte le obiezioni presentate. Esse sollevano indubbiamente importanti riflessioni sul diritto alla procreazione e sul diritto alla salute, ma la prospettiva resta esclusivamente quella della coppia, mentre non viene assolutamente contemplata la sfera di diritto degli embrioni concepiti, che in questa faccenda, così come in molte altre, finiscono per restare a margine, sullo sfondo, nel ruolo esclusivamente materiale, meri strumenti per la soddisfazione di un diritto altrui. Per effettuare la diagnosi preimpianto non si può prescindere dall avere a disposizione degli embrioni in vitro; a tal fine se ne producono artificialmente in vario numero, poi, una volta arrivati allo stadio di 6-8 cellule, si procede con l analisi genetica, attraverso il prelievo di una cellula. Dopo il test, se l embrione analizzato presenta anomalie, viene scartato e così via fino a trovare l embrione che risulti sano, buono da impiantare. Si tratta di una vera e propria selezione della vita umana, di eugenetica. Nessun sentimento o desiderio, benché sano e naturale, dovrebbe giustificare l accettazione da parte della società e del singolo di tale pratica. Certo, nessun genitore augura al proprio figlio una malattia ed ogni pensiero rivolto ad un figlio si accompagna alla costante preghiera che egli sia sano, sempre. Ma un figlio deve essere innanzitutto amato, accettato e soprattutto rispettato e il rispetto non può prescindere da quello primario e fondante che si deve alla sua esistenza, al suo esserci primariamente come vita biologica. Fabbricare vite umane è già un ardua questione morale, produrne in sovrannumero per trovare poi quella buona è una vergogna per il concetto stesso di diritto umano tanto acclamato. Come si può giustificare una così cruda discriminazione? Può il solo desiderio o giudizio dell individuo decretare la sopravvivenza di un altra vita umana? Tutto questo senza parlare dell illusione dell idea del figlio sano! Come affermato da Maurizio Genuardi - direttore dell Istituto di Genetica medica dell Università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma - in un intervista sul numero di Avvenire del 19 marzo scorso, esistono tra l altro in letteratura numerosi casi di embrioni impiantati sani, che hanno poi mostrato alterazioni non precedentemente rilevate. Per diverse malattie genetiche inoltre non si conoscono ancora gli sviluppi, benché si possa individuare il difetto genetico. Questo significa che a fronte di un test genetico positivo si rischierebbe di eliminare una vita umana che potrebbe avere nella malattia sviluppi meno gravi del previsto. Oggi inoltre si possono diagnosticare malattie che potrebbero insorgere molti anni dopo la nascita e sulle quali si potrebbe intervenire. Gli stessi genetisti sono pertanto inclini a sconsigliare una diagnosi preimpianto perché, come afferma sempre Genuardi, non si conoscono ancora con esattezza i modi in cui i geni interagiscono tra loro, con l ambiente che li circonda e con il fattore caso. E inoltre estremamente difficile decodificare i miriadi di risultati dei test genetici proliferati in questi anni. Dagli anni 70 la genetica ha fatto passi da gigante e con essi ha sfidato costantemente la riflessione etica in questioni sempre nuove. Le tante ricerche e le grandi speranze dell ingegneria genetica sono legate innanzitutto alla possibilità di curare importanti malattie, ma più grande è la capacità tecnica, maggiore deve essere il livello critico di vigilanza sulle applicazioni, che inevitabilmente non si limiterebbero alla sola sfera curativa. Proprio per questo non bisogna mai stancarsi di difendere la vita umana fin dal concepimento e pretendere una seria e costante riflessione sociale che possa incidere sui processi di presa di coscienza; molto belle al riguardo le parole di monsignor Cozzoli, riportate su Avvenire del 26 marzo, con le quali afferma che di fronte all offuscamento del valore della vita, a un idea perversa di libertà per cui l io diventa metro di giudizio del bene e all eclissi del senso di Dio e dell uomo, occorre incidere sui processi di formazione sociale. L apertura alla selezione eugenetica degli embrioni sarebbe il grave esito di una cultura dello scarto, specchio di un senso di amore che non è amore, profondamente malsano, di una società che giustifica il desiderio di annientamento del fragile e malato. Una società che alimenta e asseconda un infondato diritto al figlio, al figlio sano. Concezioni antropologiche legate ad un individualismo esasperato, che vede nell altro solo uno strumento per la realizzazione dei propri desideri o, al contrario, un ostacolo da eliminare.

14 14 Massimiliano Postorino Un tiepido sole al tramonto disegnava le ombre della città di Bangkok, mentre nel silenzio della sera sorseggiavo su di una terrazza un piacevole coktail. I raggi mesti del sole si riflettevano appena sui templi dorati e in quello scintillio di tenui bagliori i miei pensieri vagavano esuli e leggeri nell aria. In quel misto di luci ed ombre apparve accanto a me una figura silenziosa, un uomo sulla sessantina, graziosamente vestito all inglese, che sorseggiava due dita di Rum. Il volto, solcato dal tempo e dall esperienza, esprimeva la fatica di una vita vissuta intensamente, mentre lo sguardo, perso come il mio nell infinito navigare del pensiero, appariva aspro e dolce come quello di un marinaio al suo ultimo viaggio. In perfetto inglese mi chiese di dove fossi, che facevo a Bangkok e mi descrisse, da vecchio e buon conoscitore, la vita notturna e dissoluta di quella città dai mille volti. Parlammo e a tratti ridemmo delle sue storie vissute con le tante donne incontrate nella città dei colori e del sorriso; poi, mentre il sole veniva inghiottito all orizzonte dorato dei templi di Buddah, il mio zio Heminghway, come lo avevo soprannominato per l assomiglianza allo scrittore americano, mi salutò cordialmente e mi disse: ricordati, mio giovane amico, ricordati che se per natura l uomo non è monogamo, per indole può essere felice con una sola donna dopo sua madre. Rimasi stupito, cercando di capire se era stata semplicemente una frase ad effetto o la riflessione di tutta una vita. Mi domandai allora: ha forse ragione il mio anonimo e sconosciuto amico? davvero per natura l uomo non è monogamo? Alcune civiltà moderne e numerosi popoli nella storia praticano o hanno praticato la poligamia, ma per fornire una risposta scientifica se l uomo per natura è o non è monogamo, dobbiamo prima di tutto osservare se nel mondo animale, privo di condizionamenti religiosi o sociali, esiste un comportamento specie-specifico o se gli atteggiamenti sessuali sulla monogamia animale sono casuali. E in realtà noto a tutti che alcune specie animali,come il lupo o il pinguino, sono per natura monogami per tutta la loro esistenza, mentre altri animali, come i cani o i gatti, sono poligami. Per molto tempo non è stata data spiegazione a tale fenomeno, ma l univoco comportamento di tali specie ha fatto comprendere come la monogamia o poligamia fosse un carattere indotto per natura o non per scelta. Il comportamento animale è regolato dalla costante ricerca di uno stato di benessere; tale stato (assenza di dolore, di fame presenza di piacere) è regolato dalla produzione di sostanze ormonali cerebrali, definite neuro-endorfine. Queste sostanze sono prodotte principalmente nel cervello e agendo su specifici centri nervosi (ipotalamo) sono causa dello stato di benessere. Un esempio artificiale del meccanismo di tali sostanze fisiologiche è dato dall uso delle droghe, che mimano, agendo nello stesso modo, l effetto delle endorfine. La loro produzione è indotta dagli stimoli esterni visivi, olfattivi, tattili e nell uomo cognitivi. Per fare un esempio esplicativo, la visione di una donna o uomo appare piacevole poiché gli stimoli visivi ricordano un immagine (o una sommatoria di immagini) nella nostra memoria incosciente e questa immagine induce la produzione di neuroendorfine nel cervello, capaci di produrre piacere. Da questa complessa interazione fisico-ormonale nasce l attrazione e l innamoramento fra i sessi di tutte le specie animali. Per risolvere la Vexata Quaestio un gruppo di ricercatori americani ha dosato nel sangue di coppie di volontari le suddette endorfine, nel momento dell attrazione sessuale, dell innamoramento/passione e nel periodo successivo fino al decimo anno di convivenza. Un preliminare studio sugli animali monogami (lupo) ha evidenziato che esistono endorfine specifiche prodotte nel periodo dell attrazione, dell innamoramento/passione e nel periodo di legame affettivo continuativo (entro i 10 anni dall accoppiamento). In questi animali le endorfine della prima fase (attrazione sessuale) e della seconda fase (innamoramento /passione) tendono ad incrementarsi dopo l incontro ed a mantenersi ad una dose stabile in sinergia con le endorfine della terza fase, delineando dunque uno stato di piacere continuo che non si riduce durante la convivenza, non inducendo l animale alla ricerca di un altro esemplare. Tale dato non è però emerso nello studio effettuato sugli esseri umani,sia maschi che femmine (dati sovrapponibili fra i due sessi). Nella specie umana si osservano delle fasi in cui vi è un incremento rapido delle endorfine per l attrazione sessuale, poi per l innamoramento /passione, ma tali sostanze, dopo aver raggiunto un dosaggio massimo, progressivamente e con tempi diversi tendono a ridursi fino ad esaurirsi. Nei primi due anni si assiste alla riduzione costante delle endorfine della prima e seconda fase, fino al loro esaurimento a circa sette anni dal momento dell incontro; contemporaneamente si incrementano lentamente le endorfine della terza fase (quelle del legame affettivo continuativo) e raggiungono un platau (valore massimo stabile) entro i dodici anni. Le endorfine della terza fase sono meno irruente e passionali, ma ugualmente capaci di indurre uno stato di benessere, che però è meno rapido e stimolante sebbene più duraturo. Nel periodo di convivenza che quindi va dal quinto al nono anno si assiste ad stato di deprivazione endorfinica, con le endorfine stimolanti della prima fase in calo rapido, non sostituite ancora da quelle della terza fase. In termini pratici, fra il continua nella pag. accanto

15 15 Gilberto Borghi* Le indicazioni ministeriali mi suggeriscono di affrontare il tema in seconda. Ma in seconda han bel altro a cui pensare! come il buon vecchio Guccini ammoniva sui politici. Perciò l ho spostato in quinta. Esiste ancora l autonomia didattica? Così dopo aver presentato la teologia Buddhista sull uomo, il mondo e Dio, sulle stesse cose apriamo il capitolo sul Cristianesimo. Ma prof. lo sappiamo già!. Ne sei così sicuro, Luca? - gli faccio io. Ad esempio, il paradiso è un regalo di Dio o te lo guadagni tu?. E quasi come un coro, con il tono di chi è costretto a dire una cosa così risaputa e scontata, la classe ribatte: Tocca a noi!. Ce lo guadagniamo noi - ribadisce Chiara - facendo le cose che Dio ci chiede, prof. lo vede che lo sappiamo già! Io avrei qualche problema a darvi la sufficienza se fosse stata un interrogazione! - dico tra il serio e lo scherzo -. Insomma per voi il Cristianesimo funzionerebbe così: Dio ci ha detto che cosa è bene e che cosa è male. Noi dobbiamo tentare di starci dentro e alla fine lui metterà sulla bilancia quello che abbiamo fatto, e sulla base di questo manderà le persone in paradiso o all inferno?. Eh, certo, perché? Non è così?. No ragazzi, non è per nulla così. Ma scusate che bisogno c era di far morire sulla croce suo figlio, se Dio doveva solo dirci il confine tra bene e male? Che bisogno c era di darci quattro vangeli, invece di una lista chiara e precisa di che cosa va fatto e che cosa non va fatto? Che bisogno c era allora di dotarci di libertà, se poi Dio ci chiede di adeguarci a quello che Lui ha già deciso, che è uguale per tutti?. Eh prof., proprio per queste cose io non credo, perché è una religione assurda chiosa Maurizio. Se non credi a quel Cristianesimo che avete detto voi, fai molto bene e ne sono contento! Quello non è Cristianesimo. Il centro del cristianesimo è un altro. È che Dio ci ha regalato la possibilità di vivere la felicità intera e per sempre (il paradiso) senza che nessuno di noi se lo meritasse. E se dipendesse solo da Lui si salverebbero tutti, anche Giuda, anche il Diavolo. Il suo è un regalo! Un regalo non chiede nulla, non esige nulla. Lascia la persona davvero libera di reagire come vuole. Tanto che se poi noi diciamo di no a questo regalo Lui non può fare nulla. L esistenza dell inferno è la prova più chiara che Dio crede nella nostra libertà molto di più di quanto ci crediamo noi. Le loro facce sono stupefatte. E Chiara: Prof. non mi torna mica. Io faccio catechismo e dico ai bambini che la cosa più importante è che Dio ci giudicherà sulla base di quello che facciamo. Chiara, se questo è il centro della tua idea di Cristianesimo fai molto male a dirlo perché è falso. Incredibile ma vero, è una sesta ora quella, finiamo alle 14, di solito verso le 13,30 c è già fermento. Stavolta la campanella ci sorprende senza che ce ne siamo accorti. La volta dopo Chiara arriva con un pezzo del credo. Qui c è scritto che Lui verrà a giudicare i vivi e i morti. Come la mettiamo?. Chiara, quel verrà a giudicare non vuol dire che Lui sarà colui che manderà all inferno o in paradiso. Vuol dire che alla fine del mondo Gesù rivelerà la verità delle persone, della storia e del mondo. Tutto sarà chiaro. E di fronte a questo l uomo si auto giudicherà, proprio perché è un essere libero. Questo non lo dico io, lo dice il Catechismo della Chiesa cattolica. E le leggo il numero 679: Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori appartiene a Cristo. (...) Ora il figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in Lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica da sé stesso e può anche condannarsi per l eternità. Ah, qui è chiaro si. Così mi piace! Ma perché questo non viene mai detto in chiesa? Così non c è l incubo del giudizio, perché Dio ha deciso di non giudicare nessuno, aggiunge. Diciamo che Dio ha già giudicato tutti, in Gesù Cristo, e li ha già perdonati tutti. Noi possiamo accettare o no questo amore, ma non produrci con le nostre opere il bonus per entrare in paradiso. Ecco, appunto: perché non viene mai detto in chiesa? *da Vino Nuovo 14 aprile Nell immagine del titolo: Giudizio universale, part., Annuncio della fine dei tempi, , Cappella Sistina - Vaticano. segue da pag. 14 quinto e il nono anno di unione vi è il massimo rischio che l essere umano ricerchi nuovamente il suo stato di benessere con un altro individuo. Forse la cosiddetta crisi del settimo anno trova in ciò una spiegazione scientifica. Amaramente il mio amico zio Hemingway aveva ragione e l uomo non è per natura monogamo, ma può subire influssi ormonali che lo inducano alla poligamia; tuttavia il tono mesto della sua riflessione finale da uomo vissuto apre una questione psicologico-antropologica (del comportamento) più che scientifica. Dalla sua frase saggia emerge il bisogno umano di tranquillità, di sicurezza, di comunione e reciprocità che uno stato pedissequamente poligamo non garantirà mai. La monogamia per la specie umana è una scelta e non un fatto di natura e ciò nobilita enormemente la decisione di unirsi in matrimonio. Le coppie devono essere consce del fatto che negli anni subiranno fasi fisiologicamente diverse, che il loro rapporto cambierà e vi saranno momenti in cui ci si sentirà stancabilmente distanti, ma la consapevolezza del valore e del fine della loro scelta dovrà essere la forza per superare le crisi ed attendere al fine la stabilizzazione del proprio rapporto. Troppo spesso matrimoni terminano con un divorzio, assumendo il matrimonio stesso come un contratto, che ha validità fin tanto che i contraenti ne hanno benefici immediati. Questa società moderna, che mette al primo posto l egoistico, immediato e materiale benessere, ha mercificato anche una tale scelta d amore e di coraggio, che al contrario richiede rispetto e orgoglioso riconoscimento.in conclusione, caro zio Hemingway, io aggiungerei alla tua perla di saggezza che amarsi è umanamente divino e non scientificamente umano. Nell immagine del titolo: un opera pittorica di Andrew Conklin.

16 16 Laura Dalfollo La società contemporanea, attraversata da eventi funesti, è posta pericolosamente di fronte alla tentazione della diffidenza, il giudizio negativo sulle situazioni e le persone coinvolte è la più facile e presunta sentenza. Non è più solo il diverso a farci paura, anche l estraneo incute timore, non solo visto perché indicato, ma guardato come nemico, pericolo, possibile minaccia al nostro mondo in cui viviamo. Ci siamo adagiati sui preconcetti che gli strumenti di comunicazione di massa cercano di inculcarci, ci impongono come unica via di interpretazione. Le notizie negative, tragiche, con già l ingiusta condanna emessa, sono il cuore dei nostri giornali, telegiornali, del mondo del web. A volte sorge spontanea la domanda: ma non c è nulla di positivo nel mondo? Non ci sono notizie buone? Perché si passa dalla cronaca nera alla cronaca rosa, dimenticando qualsiasi tipo di altro colore? Chiunque si interessi o voglia conoscere anche l altro lato della medaglia sa ed è ben consapevole che la realtà non è solo nera, che esistono ancora brecce nella corazza che ci siamo costruiti, da cui entrano i raggi pieni di calore dell amore gratuito possibile nell incontro fra le persone, nella ricerca comune del bene, nella solidarietà e nella consapevolezza profonda di una personale responsabilità sociale. Queste facce, anche se dell unica medaglia, hanno dinamismi differenti. La paura, il timore, ci ripiega su noi stessi, ci fa divenire schivi e incapaci di guardare lontano, ci rende schiavi degli avvenimenti poiché ci fa esistere nella convinzione di essere prigionieri di un mondo che subiamo senza poter cambiare. Certo può essere anche comodo poggiare il proprio divenire sulle poche certezze di cui ci crediamo padroni e dimenticare il mondo, tuttavia non può non essere riconosciuto come un soffocamento di ciò a cui è destinato l uomo, di ciò che lo completa e lo apre ad essere un espansione di vita. L amore infatti è mosso dalla gratuità. Ora, nella nostra breve riflessione non vogliamo lasciare troppo spazio alle difficoltà appena accennate, bensì soffermarci su quella faccia della medaglia luminosa e il suo dinamismo di espansione. Fare qualcosa per gli altri, lasciando cadere il primato del proprio io, può essere forza di rigenerazione quando diviene reale e sincero dono di sé. Non offerta di qualcosa di esterno a me, non qualcosa di estraneo al mio intimo. Nell accogliere chi mi viene incontro io dono me stesso, quando questo manca, quando ci si sottrae al coraggio di compromettersi per il fratello bisognoso, allora l azione non è amore per l altro, bensì solo uso dell altro per amare se stesso, mettere a tacere quella coscienza che ancora con flebile ma insistente sussurro mi chiama a riconoscere il bene, non un bene qualsiasi, bensì quel bene che io per primo ho avuto. Ecco allora che si scopre quel dare qualcosa di sé, dare la propria esistenza in piccoli momenti, in piccoli gesti capaci di significare il mio amare perché consapevole di essere amato, donare qualcosa che non mi appartiene, ovvero la possibilità di riconoscere un bisogno, una necessità, una possibilità. Basta anche solo il versetto del vangelo di Matteo 25,35 per dare l opportunità di soffermarci a riflettere sul nostro tema: Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato. Può esserci capitato più volte di trovarci nella situazione di compiere una di queste azioni, ma la domanda vuole essere più profonda; cosa hanno di particolare queste azioni evangeliche? L attenzione non vuol essere sul cosa si fa, bensì sul perché lo si fa. Perché do da mangiare a questo affamato? Perché ospito questo forestiero? Forse perché persona importante che un domani può darmi un ritorno, oppure perché semplicemente persona, a cui io sono capace di rispondere? La gratuità è nel moltiplicare il bene avuto e godere del bene di chi riceve in forza del fatto che mi sono posto come strumento della grazia di Dio che io per primo ho ricevuto e riconosciuto. Nel mio dare, offrire, vi è una storia di amore che giunge fino a me e che io permetto continui nella vita di altri compiendo il senso della mia. Una circolarità amorosa che nel suo continuo diviene come una forza centrifuga di espansione e contagio. Come un ininterrotta aria fresca e purificante, capace di inebriare, incuriosire, incoraggiare, rafforzare, permettendo il divenire come individuo elemento di sostegno e al contempo sostenuto dal dono reciproco, che in questo respiro comune diviene naturale. Gratuità ci pare poter essere il modus di relazionarsi e operare dell uomo giusto, quindi per conseguenza logica del cristiano, in forza della sua appartenenza a Cristo. Ci viene qui suggerito che la gratuità può divenire un canale di convivenza dell umano, universale, così necessario se pensiamo al momento storico concreto in cui viviamo, in cui le bandiere si moltiplicano giorno per giorno in conflitti sempre più numerosi e sanguinosi. Necessario precisare la corretta interpretazione di ciò che intendiamo con gratuità. Non significa essere in un commercio in cui generosamente si dà senza chiedere di essere pagati. La gratuità come volontà di esprimere e donare l autentica umanità è in realtà impagabile, donando la propria vita, anche nel semplice bicchiere d acqua, si riceve il proprio essere, realizzato nella comunione con l altro e con Dio, nello sguardo trasparente di chi stacca lo sguardo da sé per vedere nel fratello che ha di fronte quell umanità ferita in cui egli stesso è ferito, offeso. Per questo non esiste moneta, non esiste possibilità di valutare, comprare. Ogni singolo atto arricchisce in se stesso chi lo compie nell amore unico, verso gli altri, verso se stessi, verso il mondo e verso Dio. Ritornando alle parole iniziali vediamo che fra la cronaca nera e la cronaca rosa vi è un mondo non solo da scoprire, ma da amare e voler abitare per poter costruire un mondo di esistenza umana per tutti, nella consapevolezza che non si può lasciare nessuno indietro, non si può escludere nessuno da questo abbraccio per il quale ciascuno di noi, secondo le sue reali possibilità è chiamato a vivere e operare. Nell immagine del titolo: Operai dell'ultima ora, Bachicca.

17 17 don Alessandro Tordeschi D opo il grande Amen che chiude la preghiera eucaristica, tutta l assemblea è in piedi perché è stata portata da questa preghiera alla presenza di Dio e dentro il suo futuro in Cristo. Ora inizia un altra unità della messa, chiamata rito di comunione. Che cosa accade in questo momento? Possiamo dire che accade l Amore. Ora viene rivelato l amore. L amore è comunione. L esperienza di comunione che la Chiesa ha sperimentato nella celebrazione eucaristica le ha insegnato che l amore non può essere definito in un modo qualsiasi, e certamente non in modo terreno. Per il cristiano, istruito in questo momento della liturgia, l amore è ciò che sta accadendo ora. Quello che l amore è, viene rivelato qui e ora. Qui, a questo punto della celebrazione l amore viene definito, viene rivelato l amore vero e divino. La Chiesa è ora nell unico amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo amore divino trinitario risponde a una forma, uno schema e una dinamica; e viene tutto rivelato in ciò che è possibile alla Chiesa in questo momento. Tutto ciò è possibile alla Chiesa ora è quanto segue nel rito della comunione.comincia con la preghiera del Signore. La preghiera del Padre nostro - il modo di pregare del Signore - ora è possibile per la Chiesa. Per mezzo dell esortazione del celebrante, Cristo invita a rivolgere le parole di una preghiera al Padre suo. LA PREGHIERA DEL SIGNORE. Esiste una ragione precisa per cui la preghiera del Signore viene recitata in questo momento. Essere recitata qui è alla base di ogni altro pregare questa preghiera nella nostra vita. Nell analisi della dossologia che ha chiuso la preghiera eucaristica, abbiamo visto in effetti che, con il sacrificio di Cristo, siamo stati introdotti nel cuore del Padre e nel nostro definitivo futuro con Dio. L offerta del sacrifico di Cristo al Padre culmina con le parole: A te Dio Padre onnipotente, ogni onore gloria. E ora il rito di comunione inizia con le parole Padre nostro. IL SEGNO DI PACE. Ora il sacerdote si rivolge direttamente a Cristo. È una preghiera per la pace. La preghiera richiama le parole di Gesù durante l ultima cena in cui lui stesso in effetti chiama il suo corpo e il suo sangue con quest altro nome: pace. Ha detto: Vi lascio la pace, vi do la mia pace 1. Queste parole fanno parte di un lungo discorso, in cui la notte prima di morire, Gesù spiega agli apostoli il significato della morte che sta per subire. Nascosta nella sua morte c è la nostra pace. La prima cosa che il Signore risorto dice ai suoi apostoli nell apparire loro è: Pace a voi 2. Scrive San Paolo: Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l inimicizia 3. Mentre ci prepariamo a ricevere il suo corpo e il suo sangue, ci rivogliamo direttamente a lui e, ricordando la pace che ha promesso, gli chiediamo questa stessa pace nel nostro presente e nel nostro futuro. E la chiamiamo con un altro nome: unità. Donale unità e pace secondo la tua volontà 4. Poi tutti i membri dell assemblea si voltano verso coloro che hanno vicino e porgono il saluto del Signore risorto: La pace sia con te e un gesto che significa il nostro amore l uno per l altro, stiamo attuando, quindi sperimentando, un altra dimensione della comunione; cioè il nostro essere uniti insieme come un solo corpo in Cristo. Noi che abbiamo appena detto a Dio: Padre nostro, ci rivolgiamo di conseguenza ora l uno all altro e diciamo fratello e sorella. Noi che abbiamo pregato: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, ci rivolgiamo gli uni agli altri con questo segno di riconciliazione e di pace. Quando questo rito è svolto bene, permette a coloro che stanno per ricevere il corpo e il sangue del Signore di farlo rendendosi conto che il Signore che viene ricevuto unisce l assemblea in sé come un unico corpo. LA FRAZIONE DEL PANE. Come abbiamo ascoltato dalle prime catechesi, uno dei nomi che si davano alla messa era Frazione del pane. Questo termine lo troviamo in Atti 2,46, il quale ci dà il vero senso della celebrazione: Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore. Nella prima Corinzi San Paolo scrive: il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell unico pane 5. Essendo il pane inteso come corpo di Cristo, era impossibile spezzare il pane senza vedere in questa azione rituale un immagine del corpo del Signore sulla croce spezzato per darci la vita, per essere distribuita a noi. Così abbiamo un azione della liturgia che è allo stesso tempo molto pratica ed estremamente evocativa a livello simbolico. Mentre è in atto tutto questo, l assemblea canta un inno, le cui parole aprono ulteriormente a questa dimensione simbolica: Agnello di Dio che togli i peccati del mondo. Cristo è il nostro agnello pasquale il cui corpo è stato sacrificato, il cui sangue è stato versato per il perdono dei nostri peccati. Noi riconosciamo questo e chiediamo il suo perdono. Questo inno è lo stesso cantato in eterno nella festa del cielo che l apostolo Giovanni ha riportato nel libro dell Apocalisse: Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». 6 E ancora: son giunte le nozze dell Agnello; la sua sposa è pronta Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell Agnello! 7 1 Gv 14,27 2 Gv 20,21 3 Ef 2, Messale Romano 5 1 Cor 10, Ap 5, Ap 19,7.9

18 18 Sara Bianchini* Si è svolto nelle scorse settimane l incontro annuale di formazione e condivisione degli operatori e dei volontari delle Caritas parrocchiali e diocesana. Mentre nel percorso formativo che si è dispiegato durante l anno, le tematiche affrontate sono state quelle relative all immigrazione o, meglio, all incontro con persone provenienti da diversi paesi e culture che possono vivere la condizione di migrante, spesso sfruttato da situazioni di induzione alla prostituzione (Casa Rut e suor Rita Giarretta) o di rifugiato (gli operatori del Centro Astalli), di uomini e donne in paesi in guerra o in cui l incontro fra le fedi determina momenti di confronto talora difficili o addirittura rischiosi (padre Jihad e suor Carole e il monastero di Mur Masa), l occasione del 12 aprile si è concentrata sulle difficoltà che trovano i volontari e gli operatori delle Caritas parrocchiali. Tali difficoltà sono emerse durante i momenti in cui il direttore e i volontari della Caritas diocesana si sono recati nelle singole parrocchie o nelle Caritas cittadine per avere un confronto sul campo con i volontari lì impegnati. Due ordini principali di ostacoli lungo il cammino: la logica della efficienza che anima lo stile di condivisione di alcuni gruppi parrocchiali e i rapporti umani fra volontari stessi. Per cercare di riflettere insieme in merito, la mattinata è stata scandita al ritmo della parabola degli operai dell ultima ora presentata dal Vangelo di Matteo (20, 1-16). Come dice Ermes Rochi, commentando tale passo sull Avvenire del 18 settembre del 2014, «A questo punto però qualcosa non torna: che senso ha assumere lavoratori quando manca un ora soltanto al tra monto? [ ] Allora nasce il sospetto che il padrone non assu ma operai per le necessità della sua azienda, ma per un altro motivo. Nessuno ha pensato a questi ultimi, allora ci penserà lui, non per il suo ma per il loro interesse, preoccupandosi non dei suoi af fari, ma del loro bisogno: non lavorare significa infatti non mangiare. Questo padrone spiazza di nuovo tutti al mo - mento della paga: gli ultimi sono pagati per pri - mi, e ricevono per un ora sola di lavoro la paga di un giorno intero. Non è una paga, ma un regalo. [ ] Nessun padrone farebbe così. Ma Dio non è un pa drone, neanche il migliore dei padroni. Dio non è il contabile del cosmo. Un Dio ragioniere non converte nessuno. Quel denaro regalato ha lo sco po di assicurare il pane per oggi e la speranza per domani a tutte le case». La logica dell efficienza per quanto cerchi di essere ciò che il suo nome dice, ossia efficiente, non potrà mai raggiungere il suo obiettivo. Perché la logica dell efficienza (organizzare il magazzino, compilare correttamente le schede, evitare qualunque tipo di possibile furto da parte di qualche persona più furba delle altre, non condonare alcune mancanza educativa che si presenti sotto forma di spreco o di incapacità di gestione del denaro e delle risorse), per quanto corretta, mira solo alla giustizia. Mentre la carità mira all eccedenza. L efficienza, ossia la giustizia, mira la bene, la carità al meglio. Continua Rochi: «La giustizia umana è dare a ciascuno il suo, quel la di Dio è dare a ciascuno il meglio. L uomo ra giona per equivalenza, Dio per eccedenza (Card. Martini). Il perché di questa eccedenza, che mi riempie di speranza, sta in evidenti ragioni d a more, che non cerca mai il proprio interesse (1Cor 13,5)». Il cristiano perciò, il volontario Caritas ovviamente, devono perciò sforzarsi ancora di più, cercare di compiere questo salto dal bene (già di per sé così difficile), al meglio (divino, ma non impossibile). Questa logica dell eccedenza è la logica dell incarnazione, che richiede di essere applicata anche nei rapporti fra singoli volontari all interno del gruppo Caritas, perché il compagno volontario è il primo povero che incontro (come lo sono del resto io per lui). La conclusione della giornata si è avviata poi, dopo la celebrazione eucaristica, alla presentazione di alcune attività di sostegno e di animazione portate avanti a livello diocesano (per esempio quella delle Famiglie solidali ) al fine di presentare dei percorsi ripercorribili a livello parrocchiale, per coinvolgere ogni fratello in questa logica dell eccedenza. *Caritas diocesana Nell immagine del titolo: I difensori della luce, opera pittorica di Boyko Kolev.

19 19 don Antonio Galati Concluso il discorso sul modo con cui l autorità regola la vita religiosa per il bene della Chiesa intera e per il bene specifico dei religiosi e la fedeltà al loro stile di vita, su cui si è riflettuto il mese scorso, il numero 45 della Lumen gentium prosegue descrivendo i rapporti che intercorrono tra i religiosi e l autorità ecclesiale, e quali devono essere gli atteggiamenti dei primi nei confronti della seconda. Questa parte inizia ribadendo la suprema autorità del papa su tutta la Chiesa e quindi anche la possibilità che ha di «esentare qualsiasi istituto di perfezione e i singoli membri dalla giurisdizione degli ordinari del luogo, riservandosene la sottomissione» (LG 45). Questa possibilità viene giustificata dal concilio stesso in forza del bene comune di tutta la Chiesa a cui presiede, per mandato divino, il papa stesso. In altre parole, il sommo pontefice può ritenere che un determinato istituto religioso possa essere un bene non solo per la Chiesa particolare in cui è sorto o a cui fa riferimento, ma per tutta la Chiesa universale, e quindi, avocandolo a sé, estende l interesse dello stesso ordine religioso su tutta la Chiesa universale. Tralasciando gli aspetti prettamente giuridici della questione, l affermazione conciliare permette, comunque, di sottolineare e ribadire il fatto che la vocazione e la vita religiosa non vanno considerate semplicemente come fine a se stesse o solo per la santificazione dei singoli, ma, come è stato possibile dire più volte finora, l accoglienza dei consigli evangelici e la conseguente vita che ne scaturisce sono sempre, prima di tutto, per il bene e la santificazione della Chiesa. Per questo motivo il papa può avocare a sé la giurisdizione su un ordine religioso: perché risponde alla necessità del ministero pontificio stesso, che è di pensare al bene della Chiesa, che si consegue anche attraverso la testimonianza della carità e della santità dei religiosi. Il bene della Chiesa è sempre, però, un bene incarnato in un luogo e in un contesto socioculturale, e quindi pastorale, particolare, per cui i religiosi, nel vivere la loro vita sono tenuti a considerare il contesto in cui sono inseriti, sapendo che la responsabilità pastorale di un luogo è, di norma, sulle spalle del vescovo del luogo, che presiede a quella Chiesa locale e che la guida con la propria sensibilità e progettualità. Per questo motivo il concilio si premura di ricordare ai religiosi la necessità di prestare la dovuta «riverenza e obbedienza ai vescovi» (LG 45). Riverenza e obbedienza che non sono da considerarsi solo segni di rispetto, ma che devono significare «quella concorde unità che si richiede nel lavoro apostolico» (LG 45). In altre parole, i religiosi, siano essi legati ad una Chiesa particolare oppure direttamente sotto l autorità pontificia, non devono considerare il loro stato di vita come a se stante, ma comunque in relazione alla necessità della Chiesa in cui sono presenti, per cui il loro vivere incarnando la santità e la carità della Chiesa deve significare, di fatto, saper testimoniare la santità e la carità in quella determinata Chiesa particolare con le proprie tradizioni e accogliendo quei determinati contesti pastorali e culturali. L autorità ecclesiale, nei confronti dei religiosi, non è, però, solo un termine di confronto di tipo giuridico e canonico, ma, anzi, il suo ruolo più importante è quello di essere mediatrice, a livello liturgico, tra la volontà dei religiosi, di accogliere la loro vocazione e l esercizio dei consigli evangelici, e l accoglienza, da parte di Dio, di questa consacrazione (cfr. LG 45). In effetti, tutto il discorso fatto in precedenza, sia sul rapporto di aiuto e vigilanza dell autorità ecclesiale sui religiosi, che sul rapporto di quest ultimi con le varie figure della gerarchia, è possibile solo se il religioso è effettivamente consacrato al Signore, cioè «viene donato in totale proprietà a Dio sommamente amato» (LG 44). Questa sottolineatura del ruolo liturgico e di mediazione dell autorità ecclesiale nei confronti della vita religiosa permette, quindi, di evidenziare come l atto liturgico della consacrazione ha un ruolo essenziale nella vita del religioso, ponendolo in un mondo particolare, che è quello riservato a Dio. Un mondo con il proprio stile di vita e le proprie regole, che sono i consigli evangelici, un mondo che configura il modo di vivere del consacrato nella Chiesa e nel mondo degli uomini. Il mondo che poi viene condensato e strutturato nelle leggi e nei regolamenti canonici, che però sono solo la concretizzazione visibile e pratica di quello che significa essere religioso. Ciò significa, fondamentalmente, che se l autorità può e deve regolamentare lo stato di vita religioso lo deve fare in conformità a quello che la consacrazione liturgica implica, e gli stessi singoli religiosi, e anche gli istituti, devono pensare la loro vita come conseguenza di questa consacrazione e in dipendenza da essa. Per concludere, quindi, considerando quanto detto adesso e le riflessioni fatte sulla prima parte di questo stesso numero 45 della Lumen gentium, il rapporto tra autorità ecclesiale e religiosi è un rapporto basato sul consiglio evangelico dell obbedienza, che deve essere messo in pratica, evidentemente, dai religiosi, ma anche dall autorità ecclesiale. Infatti, tenendo conto di quanto detto il mese scorso sul ruolo della gerarchia nel regolamentare la vita dei religiosi e cioè che il suo compito è quello di fare in modo che essi restino fedeli alla loro missione, incarnandola di volta in volta nelle mutate condizioni storiche, affinché ciò sia possibile, l autorità deve essere, essa stessa per prima, obbediente a quella determinata tradizione religiosa, sapendo vagliare il nucleo che rende specifica la vita religiosa da ciò che la rende possibile in un determinato contesto storico. È poi obbedienza dei religiosi all autorità ecclesiale, che si configura come una sorta di affidamento della propria vita e della propria vocazione a quell istituzione ecclesiale, che è la gerarchia, la quale viene deputata per custodire e dirigere anche la vita religiosa in conformità alla tradizione. In ultima analisi, e fondamentalmente, è l obbedienza dell autorità e dei religiosi a Dio e alla sua volontà che si manifesta nei segni e nei gesti liturgici, i quali, se rettamente compresi e accolti, vanno esattamente a indicare ciò che significano e ciò che vogliono implicare per la vita dei consacrati. Nell immagine: San Francesco e il voto di obbedienza, part. XVI sec, Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta.

20 20 mons. Franco Risi Papa Francesco nella Basilica Vaticana il 13 marzo ha annunciato un Giubileo straordinario, che si aprirà l 8 dicembre, solennità dell Immacolata Concezione, e si concluderà nella Solennità di Cristo Re dell Universo, il 20 novembre L indizione ufficiale e solenne di questo Anno Santo è avvenuta con la lettura e la pubblicazione della Bolla domenica 12 aprile, domenica della Divina Misericordia. Il Papa ha voluto annunciare questo Anno Santo della Misericordia in concomitanza di due ricorrenze importanti: la prima, particolarmente significativa, è il 50 anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, con il desiderio di testimoniare e di continuare l opera iniziata con il Vaticano II; la seconda in ricordo del suo secondo anniversario di pontificato. L idea di dedicare questo Anno di grazia alla misericordia non ci deve sorprendere, in quanto il Papa ne ha fatto la preoccupazione principale del suo pontificato, la goccia che instancabilmente scava la pietra. Infatti papa Bergoglio, ogni volta che tratta della misericordia, parte dalla sua esperienza di peccatore: tutte le volte che da cardinale capitava a Roma, andava a contemplare la Vocazione di san Matteo del Caravaggio nella chiesa di san Luigi dei francesi: «Quel dito di Gesù così [ ] verso Matteo, così sono io. Così mi sento. Come Matteo» spiegava lo stesso Bergoglio. Egli ha provato su di sé quello sguardo misericordioso di Gesù verso di lui, e vorrebbe che tutti lo provassero. Perciò spesso ritorna sul tema della misericordia come chiave e principio di tutto. Dopo quattro giorni dalla sua elezione, tutti ricordiamo con molta simpatia che, celebrando la Messa domenicale, come un semplice parroco nella piccola parrocchia vaticana di sant Anna, per la prima volta Francesco toccò questo tema: «Non è facile [ ] affidarsi alla Misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile, ma dobbiamo farlo! [ ] Il Signore mai si stanca di perdonare, mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono e chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché lui mai si stanca di perdonare». La misericordia è un imperativo ricorrente in papa Francesco, infatti negli Angelus domenicali, nelle catechesi del mercoledì, nelle omelie quotidiane che pronuncia nella celebrazione della Santa Messa a Santa Marta e in altre occasioni importanti in cui incontra le persone, sempre ne parla. Molti sono gli aspetti di questo pontificato che ci inducono a definire papa Francesco come il Papa della misericordia. Ne prendo due. Il primo riguarda la scelta del suo motto sullo stemma pontificio: vi è scritto miserando atque eligendo. Questa frase riprende un omelia di san Beda il venerabile e vuole essere un omaggio alla divina misericordia. È molto significativa per il cammino vocazionale e sacerdotale di Bergoglio perché lo riporta all età di 17 anni quando sperimentò in prima persona la presenza amorosa di Dio nella sua vita e, dopo una confessione ben fatta, egli decise di intraprendere la vita religiosa e sacerdotale. Il secondo lo troviamo nell Evangelii gaudium dove scrive che «la comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l iniziativa, l ha preceduta nell amore e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani, arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell avere sperimentato l infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (24). Inoltre non manca mai di ricordare a quanti amministrano il Sacramento della Confessione che «il confessionale non deve essere una sala di tortura, bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile». Il Papa, ancora una volta torna su questo tema. Lo ha fatto con la sua consueta chiarezza nella Liturgia penitenziale che ha presieduto lo scorso 13 marzo nella Basilica Vaticana. Egli mettendo in risalto il Sacramento della Riconciliazione invita ciascuno cristiano ad accostarsi a questo Sacramento con fiducia in Dio e con la certezza di essere perdonati perché «Egli è veramente ricco di misericordia e la estende con abbondanza a quanti ricorrono a lui con cuore sincero». La Chiesa, mediante i Sacramenti e in modo particolare con la Confessione, accoglie tutti e non rifiuta nessuno, spalanca le sue porte perché chi è toccato nella Grazia trovi perdono e pace. Che anno sarà questo Giubileo? Sarà un anno di misericordia alla luce della Parola del Signore: Siate misericordiosi come il Padre (Lc 6, 36). Sarà un anno di fiducia in Cristo e nella Chiesa per rinnovare il cuore dei cristiani e andare nelle periferie ad annunciare il Vangelo. Sarà un anno di speranza in cui tutti gli uomini di buona volontà, guidati dallo Spirito Santo, possano incontrarsi e sperimentare il volto di Cristo e così andare incontro al Signore che viene e professare la propria fede: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20, 28).

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