Lucca, 21 settembre 2013, Festa di S. Matteo ap. e ev. Luca Bassetti

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2 Centro Biblico Diocesano Da ormai due anni la nostra Chiesa ha fatto la scelta di dedicarsi alla lettura del Vangelo domenicale. In questo anno A ci accompagnerà il Vangelo secondo Matteo. Se Marco già indica le tappe essenziali della sequela di Gesù, con le condizioni per seguirlo e i principali ostacoli al cammino dei discepoli, Matteo offre un insegnamento dettagliato sul discepolato del regno, con una particolare attenzione alla formazione dei discepoli, a cui Gesù si presta con speciale dedizione. Quasi a cifra del modello discepolare che Gesù ha perseguito, Matteo sembra mettere al centro la figura dello scriba divenuto discepolo, capace di accedere al tesoro delle Scritture e di estrarne cose nuove e antiche. La lettura di Matteo, che in questo anno liturgico impegna l intera chiesa, è dunque un importante occasione per un autentica formazione al discepolato cristiano, fondato sulla risposta incondizionata all amore del Signore e sorretto dalla Parola delle Scritture, nelle quali continua a brillare la luce che rischiarò le regioni tenebrose dalle quali il Signore volle iniziare la sua opera di annuncio del regno. Il Centro Biblico offre alla nostra chiesa questo strumento per avere uno sguardo di insieme sull intero sviluppo del racconto evangelico e per entrare in modo un po più approfondito in alcuni testi, che si segnalano in modo particolare nella lettura liturgica. Il sussidio riproduce in parte il lavoro già fatto in occasione della lettura di Matteo nell anno pastorale L introduzione, rielaborata e ampliata rispetto all edizione precedente, è a cura del sottoscritto, come pure le schede da I a VII e le schede IX, XI e XIV. Don Francesco Bianchini, ha curato le schede VIII, X e XII, già presenti nel precedente sussidio come pure quelle elaborate da don Claudio Francesconi (XIII, XV e XVI). Affidiamo questo lavoro alla bontà paziente ed alla buona volontà di quanti, animati da un sincero amore per la Parola di Dio, desiderano farle spazio nella loro vita, per diventare discepoli un po più autentici del Signore e comunità di fratelli nei quali il Egli si compiace (Sal 133). Lucca, 21 settembre 2013, Festa di S. Matteo ap. e ev. Luca Bassetti 1

3 Lo scriba divenuto discepolo Discepolato e formazione nel vangelo secondo Matteo Premessa La lettura del Vangelo di Matteo in questo anno liturgico e pastorale può costituire per la nostra Chiesa una grande opportunità, particolarmente in una duplice direzione: quella della formazione al discepolato di Gesù e quella di una rinnovata comprensione dell identità della Chiesa e delle conversioni e riforme che si richiedono oggi per un autentica comunità di fede. Circa il primo aspetto è importante notare come Matteo, tra gli evangelisti, dedichi una particolare attenzione agli aspetti formativi del discepolato. Già Marco aveva strutturato il suo vangelo come percorso di fede del discepolo chiamato anzitutto a seguire Gesù per imparare a servirlo e a salire con lui a Gerusalemme (Mc 15,41). Matteo avverte la necessità di integrare la catechesi narrativa di Marco con ampie inserzioni didattiche che riguardano aspetti fondamentali del discepolato per il regno: si tratta dei cinque grandi discorsi che gettano luce sulla struttura del discepolato nei suoi fondamenti costitutivi, nelle dinamiche missionarie della sua diffusione esterna, nei delicati processi del suo interno sviluppo, nella sua concreta e storica dimensione ecclesiale e nella sua compiuta realizzazione escatologica. Il Vangelo di Matteo ha dunque, tra gli altri, l obiettivo di condurre attraverso una sequela incondizionata e sapiente alla piena realizzazione del regno di Dio nella vita dei credenti che accettano di seguire il Cristo e vogliono imparare da lui. Tra le righe del racconto evangelico sembra emergere quella particolare figura discepolare che può essere ricondotta all immagine esclusivamente matteana dello scriba che diviene discepolo del regno, all esperto delle Scritture di Israele che si fa piccolo accettando di mettersi alla scuola di Gesù (13,51), rinunciando a farsi chiamare maestro per seguire l unico Maestro (23,7-8). Il riferimento costante di Matteo alle Scritture spesso citate esplicitamente nella linea di un loro compimento nei gesti e nelle parole di Gesù, sembra confermare tale peculiarità scribale del discepolato matteano. In ordine al secondo aspetto, quello della conversione e riforma ecclesiale, si può facilmente constatare come Matteo sia tra gli scritti neotestamentari che manifestano una maggiore impronta etico-teologica, non semplicemente come pratica del fare, ma nella linea del discernimento in ordine all autentica conversione del cuore e della condotta, recependo in questo le istanze e lo stile della grande lezione sapienziale dell Antico Testamento e della tradizione rabbinica di Israele. In un tempo in cui si avverte la necessità e l urgenza di importanti decisioni ecclesiali per una riforma non soltanto organizzativa, ma spirituale, culturale e vitale delle nostre comunità cristiane, il vangelo secondo Matteo sembra poter offrire l aiuto e la luce che cerchiamo. L opera attribuita a Levi, il pubblicano convertito e conquistato dal Regno, rivela infatti una straordinaria sensibilità sapienziale in ordine alla conoscenza della volontà di Dio, cercata con accuratezza scribale nella luce delle Scritture di Israele. A differenza dell impeto kerygmatico di Marco, con l irruzione del Regno di Dio nella sua dirompente novità, diversamente dalla discontinuità posta dagli scritti paolini rispetto alla legge antica e alla sua osservanza e, seppure in modo più sfumato, anche dagli scritti lucani, che vedono ormai nella comunità dei discepoli la successione legittima a Israele, l andamento didascalico di Matteo cerca di approfondire il mistero di una continuità tra il vecchio ed il nuovo, mostrando come Gesù non sia venuto ad abolire, ma a compiere le antiche Scritture (5,17). Matteo si presenta dunque come uno scritto di conciliazione, di più pacato ripensamento della novità cristiana nel solco della grande ed autentica tradizione di Israele, redatto secondo una metodica scribale. Chi lo ha composto si è comportato come i sapienti di Israele: ha cercato nella meditazione e nello studio delle Scritture antiche la luce per riformulare coerentemente la novità 2

4 evangelica; ha consegnato nel suo stesso scritto criteri di discernimento sapienziale della volontà di Dio in Cristo; ha tentato, come scriba divenuto discepolo del Regno, di estrarre dal suo tesoro biblico cose nuove e cose antiche (Mt 13,52). Questo sussidio cerca di offrire nella sua prima parte una panoramica introduttiva sul Vangelo di Matteo, mentre propone nella seconda parte alcune chiavi di lettura su testi tra i più tipici del primo evangelista. La scelta tanto della presentazione introduttiva quanto dei testi proposti è stata guidata dal duplice intenzionalità sopra indicata: cercare di delineare l identità del discepolo e gli elementi della suo cammino di formazione e individuare i criteri più decisivi per un autentica conversione ecclesiale, nel discernimento della volontà di Dio manifestata nei tempi sempre nuovi in riferimento alla luce delle Scritture. I Parte Un introduzione alla lettura del vangelo secondo Matteo I Vangeli sono scritti di carattere narrativo; raccontano una storia che è essenzialmente un viaggio: il viaggio compiuto dal Figlio di Dio, Parola eterna del Padre, venuto in mezzo a noi per condividere in tutto la nostra umanità, che ha voluto essere in tutto simile a noi, per essere il Diocon-noi. Marco ha descritto tale venuta come irruzione gratuita e misericordiosa del Regno di Dio che guarisce e salva; Luca ne ha parlato come viaggio di amore che condivide il cammino dell uomo, come l Arca dell Alleanza, che contiene Parola e Pane ed è segno della premura di Dio in mezzo al popolo nel deserto; Giovanni ne ha raccontato come avventura amorosa della Sapienza eterna, che pone la sua tenda in mezzo a noi. Matteo rende testimonianza del Figlio di Dio fatto uomo come dell Emmanuele, di colui che dall inizio si fa chiamare il Dio-con-noi (1,23) e che alla fine ancora promette e rassicura di rimanere sempre con noi (28,20), secondo la significativa inclusione che incornicia tutta la narrazione matteana. Le indicazioni che seguono intendono essere una piccola guida, un orientamento minimo per accompagnare il lettore nel viaggio insieme al Diocon-noi, narrato dall evangelista Matteo, lasciandosi istruire dall esperienza costante del suo amore ed imparando a rileggere le Scritture nella luce della misericordia, come scriba sapiente, divenuto discepolo del regno dei cieli (13,51). 1. La struttura letteraria Un primo orientamento per la lettura viene da uno sguardo d insieme alla struttura letteraria dell opera. Una strutturazione coerente rivela infatti non soltanto l abilità creativa di chi ha scritto, ma è soprattutto indice di una particolare intenzionalità, relativa al messaggio che si vuole trasmettere. Alla possibile struttura letteraria si giunge tramite l esame di alcuni indici, quali ripetizioni (termini o frasi che ricorrono pressoché uguali e scandiscono ritmicamente il racconto), segnali (variazioni sorprendenti rispetto ad un andamento omogeneo che attirano l attenzione del lettore, il quale tuttavia non è ancora in grado di stabilirne il senso ed è invitato ad attendere il seguito del racconto), inclusioni cornice (ripetizioni all inizio e alla fine di una unità con funzione di delimitazione dell unità stessa), parole chiave (termini o espressioni dotate di una particolare densità di significato, magari assenti nelle fonti utilizzate ed inserite dalla rielaborazione dell autore stesso). Per un ipotesi di struttura può essere qui sufficiente limitarsi alla considerazione di alcune inclusioni e di alcune ripetizioni particolarmente significative. 3

5 Oltre alla macro-inclusione già segnalata, tra 1,23 e 28,20, che racchiude tutto il vangelo matteano sotto il segno dell Emmanuele, del Dio-con-noi, troviamo altre tre grandi inclusioni. La prima, tra 3,13-4,11 e 27,38-54, pone l intero racconto evangelico sotto il segno della relazione obbedienziale, tentata e sofferta del Figlio al Padre. La seconda, nell esatto richiamo verbale tra 4,17 e 16,21, scandisce la narrazione nelle due tappe fondamentali che la segnano cronologicamente e geograficamente: il ministero in Galilea con l annuncio e l insegnamento del Regno, e il viaggio a Gerusalemme, con l annuncio della Pasqua e l insegnamento della croce. La terza inclusione tra 4,23ss e 9,35,ss., due brani quasi identici che rappresentano forse gli unici sommari del primo vangelo, abbraccia riassumendola tutta la proclamazione del Regno da parte di Gesù in Galilea, nella sua proposta positiva e sostanziale, prima dell invio dei discepoli e delle contestazioni da parte delle autorità. Tra le ripetizioni se ne trova una particolarmente significativa, a motivo della sua ricorrenza per ben cinque volte, in 7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1: essa scandisce il passaggio da una sezione discorsiva ad una sezione narrativa, dal parlare prolungato di Gesù al movimento ed all azione. Grazie a tale ripetizione risultano evidenti nel Vangelo di Matteo cinque grandi blocchi, comprendenti da uno a tre capitoli, interamente dedicati ad insegnamenti di Gesù, ai quali si alternano sezioni narrative. Questi ed altri indicatori letterari non sono facilmente sovrapponibili, tanto da supportare univocamente un unica ipotesi di struttura letteraria. Si possono pertanto formulare diverse soluzioni di suddivisione ed articolazione del vangelo matteano. Ci si limita qui a segnalarne due: una essenziale, basata sull inclusione tra 4,17 e 16,21, che scandisce il racconto evangelico in quattro parti, in base ai suoi riferimenti geografici e cronologici; la seconda, più articolata e condivisa dagli studiosi, basata sulla scansione dei discorsi nella loro alternanza alle sezioni narrative. Ecco la prima ipotesi di struttura: I parte Il prologo: il Figlio di Dio nell umiltà degli inizi (1,1-4,16) A) Il racconto dell infanzia (1-2) B) La preparazione al ministero (3,1-4,16) II parte Il ministero in Galilea e l opera del Figlio (4,17-16,20) A) L insegnamento e l opera di Gesù (4,17-11,30) B) La divisione tra fede ed incredulità (12,1-16,20) III parte In viaggio verso il compimento: la venuta del Figlio (16,21-25,46) A) Viaggio a Gerusalemme e annunci della Pasqua (16,21-20,34) B) Ministero a Gerusalemme e insegnamento sulla fine (21,1-25,46) IV parte L epilogo: il Figlio di Dio nell umiltà del compimento (26-28) A) La passione e la morte di croce (26-27) B) La risurrezione di Gesù e il mandato ai discepoli (28) Questa prima ipotesi mette in evidenza la svolta narrativa di 16,21 quale spartiacque dell intero Vangelo, che culmina con il riconoscimento dell identità di Gesù da parte dei discepoli. Siffatta suddivisione ha il vantaggio di articolare la lettura di Matteo sul canovaccio narrativo di Marco, la sua fonte principale, ma non aiuta forse a cogliere il taglio particolare del Vangelo attribuito a Levi rispetto alla sua fonte marciana, che egli tuttavia segue come traccia, e riproduce quasi invariata, soprattutto nella III e IV parte. 4

6 Ecco la seconda ipotesi di struttura: I parte L annunciatore del Regno: il Figlio di Dio, povero tra i peccatori (1,1-4,22) A) L origine divina dell annunciatore, il Figlio piccolo e già perseguitato (1-2) B) L umile inizio: il Figlio riconosciuto e tentato, solidale coi peccatori (3,1-4,22) II parte Le parole e i segni dell annuncio del Regno per i poveri (4,23-9,35) A) L insegnamento sul Regno nelle parole di Gesù per i poveri (4,23-7,29) B) I segni della venuta del Regno nelle opere di Gesù per i peccatori (8,1-9,35) III parte Le reazioni al Regno: mistero dell incredulità e fede dei piccoli (9,36-12,50) A) L insegnamento ai discepoli, poveri per la missione del Regno (9,36-10,42) B) Opposti esiti del Regno: nascosto ai potenti, rivelato ai piccoli (11,1-12,50) IV parte Le modalità di attuazione del Regno e i criteri del suo discernimento (13-17) A) L insegnamento sulle modalità di attuazione del Regno (13,1-52) B) La fede umile e audace, criterio distintivo dei figli del Regno (13,53-17,27) V parte I frutti del Regno: la comunione dei piccoli e dei fratelli (18-23) A) L insegnamento sulla Chiesa-Regno, luogo di misericordia per i piccoli (18) B) Il Regno dei bambini e dei poveri, sottratto all ipocrisia idolatrica (19-23) VI parte Il compimento del Regno (24-28) A) L insegnamento sulla fine: discernere i tempi e disporre il cuore (24-25) B) Il compimento del Regno nell umiliazione e glorificazione del Figlio (26-28) Questa seconda ipotesi di struttura origina dalle ripetizioni di chiusura dei cinque discorsi e dall inclusione tra 4,23ss e 9,35ss, che invita a leggere insieme discorso e relativo sviluppo narrativo. Con questa articolazione si evidenzia maggiormente la peculiarità di Matteo, che riassume gli insegnamenti di Gesù in cinque grandi discorsi, alternandoli a testi narrativi che possono essere considerati in certo qual modo come attuativi o esemplificativi degli insegnamenti stessi. La suddivisione così ottenuta, in sei parti, con dodici sottodivisioni, si presenta come sostanzialmente coerente, tanto nell insieme letterario quanto nello sviluppo tematico-narrativo. Nei titoli indicati per ogni articolazione si è voluto privilegiare, sul versante dell azione divina, il tema conduttore del Regno dei Cieli, con riferimento all identità filiale-divina di Colui che lo annuncia e lo realizza, ai contenuti dell annuncio stesso e alla sua manifestazione nelle parole e nelle opere di Gesù, alle opposte reazioni da esso generate, alle condizioni e criteri della sua crescita e del relativo discernimento, ai frutti della sua realizzazione, alle modalità del suo compimento. Sul versante dei destinatari del Regno, nella loro somiglianza a Colui che lo realizza, si è privilegiato il tema dei poveri, soggetto della prima beatitudine, con tutte le sue varianti relative a peccatori, malati, piccoli, bambini, fratelli dipendenti l uno dall altro. Con riferimento a questa seconda ipotesi di struttura, ripercorriamo ora lo sviluppo tematico narrativo attraverso i cinque grandi discorsi. 5

7 2. La trama narrativa Come già si è visto dalla prima ipotesi di struttura letteraria, Matteo, nel suo sviluppo narrativo, segue sostanzialmente il canovaccio di Marco, che risulta essere la sua fonte principale. Il confronto sinottico tra gli evangelisti mostra, con evidente chiarezza, come Matteo e Luca abbiano assunto da Marco, forse il primo ad aver scritto un resoconto storico-teologico della vita pubblica di Gesù, lo schema fondamentale del loro racconto, insieme a svariate sequenze narrative. In entrambi è presente tuttavia abbondante materiale, soprattutto detti e discorsi, in parte comune, in parte proprio di ciascuno, che gli studi storico-critici attribuiscono ad altre fonti (in particolare una ipotetica fonte Q, una raccolta di detti di Gesù, per il materiale comune a Matteo e Luca). Matteo organizza tutto questo materiale discorsivo in modo alquanto diverso da Luca, compendiandolo in cinque grandi discorsi di Gesù, mentre, in modo simile a Luca, ma attingendo ad altra fonte, antepone al racconto evangelico una narrazione della nascita e dell infanzia di Gesù. I primi due capitoli di Matteo, così come Lc 1-2, non hanno un corrispettivo in Marco, il cui racconto inizia con la testimonianza del Battista ed il Battesimo nel Giordano: Luca e Matteo, coi capitoli cosiddetti dell infanzia, sembrano mossi dalla preoccupazione non solo di riempire un vuoto narrativo, ma di rispondere alle obiezioni circolanti nel loro tempo circa l origine divina di Gesù; a quanti ritenevano, facendo leva sul vuoto narrativo di Marco che Gesù, da semplice uomo, fosse stato adottato come Figlio di Dio soltanto al Battesimo nel Giordano e mantenuto in tale identità e prerogativa fino a poco prima della sua morte sulla croce (il grido «Dio mio, perché mi hai abbandonato» lo testimonierebbe), Matteo e Luca rispondono coi racconti dell infanzia in senso anti-adozionista. Ecco il seguito della successione narrativa di Matteo a confronto con quella di Marco. Matteo 3,1-4,22 segue la trama di Marco 1,1-20 nella successione dei fatti riguardanti la predicazione di Giovanni, il battesimo di Gesù, le tentazioni nel deserto, l annuncio del Regno, la chiamata dei primi discepoli, ma amplia notevolmente, così come Luca, rispetto alla sua fonte. Nell inclusione tra 4,23ss e 9,35ss, Matteo interrompe la narrazione di Marco, prima con il lungo discorso del monte (5-7), poi con i racconti di guarigione (8-9) per i quali tuttavia attinge da Mc 1,21-2,22 e da Mc 5, ma con una diversa successione, mostrando una chiara volontà di compendiare nella sezione narrativa dei cc 8-9, quanto ha trovato disseminato nel racconto di Marco. Anche quest opera di compendio, come i cinque discorsi, rivela lo stile e l intento didascalico di Matteo. Anche al c. 10, nel discorso missionario, Matteo fa opera di compendio, cucendo insieme i testi di Mc 3,13-19 e 6,7-11, riguardanti rispettivamente la designazione-costituzione e l invio dei Dodici, proseguendo, con riferimento a parte del discorso escatologico di Mc 13,9-13, con l annuncio delle persecuzioni per i suoi inviati, e chiudendo con un richiamo alla fiducia, alla necessità della rinunzia che abbraccia la croce e all accoglienza data ai suoi piccoli, dove utilizza alcuni elementi di Mc 8,34-38 e Mc 9, Al c. 12 Matteo riprende sostanzialmente la narrazione di Mc 2,23-3,35, proseguendo, nel discorso delle parabole al c. 13, con una rielaborazione delle parabole del Regno di Mc 4,1-34, alle quali aggiunge materiale suo proprio. Nell intera sequenza di 13,53-17,23, Matteo non fa che riprendere, con una successione sostanzialmente uguale, il testo di Mc 6,1-9,32, dal rifiuto dei nazaretani al riconoscimento di Pietro, attraverso la sezione dei pani (i due racconti del pane spezzato per le folle in territorio prima giudaico, poi pagano), e dalla trasfigurazione ai primi due annunci della Pasqua. Già in Marco i due racconti del pane spezzato inglobano, come in Matteo, tutta la riflessione sulle tradizioni giudaiche, sul vero criterio di discernimento tra il puro e l impuro, con i due significativi episodi della cananea e del lievito dei farisei, che sembrano costituire l applicazione narrativa delle considerazioni di Gesù circa l autentica osservanza, tanto in Matteo quanto in Marco. Giunto in corrispondenza del secondo annuncio della Pasqua, laddove Mc 9,33-37 prosegue con l interrogativo dei discepoli circa il più grande tra loro, e la risposta di Gesù che indica il bambino, Matteo sente la necessità di introdurre una prolungata riflessione sulla comunità cristiana con il discorso ecclesiale del c. 18, sviluppando il riferimento marciano al bambino con l identificazione dei piccoli e dei fratelli quali membri di una comunità che assolve al compito di essere 6

8 essenzialmente una struttura di misericordia, per la custodia dei piccoli e la correzione ed il perdono del fratello. Terminato il discorso ecclesiale, Matteo 19-20, riprende quasi esattamente la trama di Mc 10: la questione sul ripudio, il rapporto di Gesù coi bambini, la chiamata del ricco, fino al terzo annuncio della Pasqua e alla guarigione del cieco di Gerico (che Matteo, secondo un abitudine già altrove manifestata raddoppia in due ciechi), reso capace di seguire Gesù a Gerusalemme. In questa sezione che narra l ultimo tratto del viaggio a Gerusalemme, tanto Matteo quanto Marco evidenziano la piccolezza e la povertà quali condizioni per la sequela, possibile soltanto per grazia, attraverso la guarigione degli occhi della fede (il raddoppiamento dei ciechi in Matteo rafforza forse il valore simbolico dell episodio, già presente in Marco, come guarigione profonda del discepolo in funzione della sequela). Matteo si limita ad aggiungere, rispetto alla fonte marciana, la parabola degli operai chiamati ad ore diverse, quasi a rafforzare i riferimenti di Marco alla prontezza ed alla gratuità della sequela, in risposta all iniziativa purissima della grazia. Il racconto prosegue con l ingresso a Gerusalemme, l episodio della purificazione del tempio, teatro degli insegnamenti di Gesù e delle dispute con le varie categorie di esponenti religiosi e politici. Matteo segue quasi esattamente la scansione di Mc 11-12, limitandosi ad aggiungere le parabole dei due figli chiamati a lavorare e degli invitati al banchetto, entrambe col probabile scopo di rafforzare (insieme alle varianti matteane nella parabola dei vignaioli omicidi), rispetto a Marco, la denuncia ai figli di Israele, soppiantati dai pagani per il loro rifiuto. In corrispondenza di Mc 12,38-40, dove Gesù denuncia l atteggiamento auto-idolatrico degli scribi, con le loro ostentazioni di bene a nascondere i crimini da essi compiuti, Matteo sente il bisogno di ampliare con una denuncia all ipocrisia di scribi e farisei, estesa all intero c. 23, mediante un elenco di «guai», che sembra fare da contrappeso negativo alle beatitudini del c. 5, tanto da non trovare più uno spazio per inserire l episodio della vedova, che chiudeva la sezione di Marco. Segue, in Mt 24 il discorso escatologico, che ricalca sostanzialmente il testo parallelo di Mc 13, ampliato tuttavia da Matteo con le parabole sulla vigilanza operosa e la scena conclusiva del giudizio finale, al c. 25: tale aggiunta sembra rispecchiare la preoccupazione della generazione di Matteo di giustificare il ritardo della parusia come tempo di attesa paziente in vista delle autentiche disposizioni all incontro con Signore che ritorna. I capitoli 26-28, con il racconto della passione, morte e risurrezione, sino all apparizione finale in Galilea, con il mandato missionario universale conferito ai discepoli, non si discostano, se non per lievi differenze redazionali, dai relativi cc di Marco, considerando la sua finale cosiddetta lunga (Mc 16,9-20). 3. Le peculiarità dello sviluppo narrativo di Matteo Riconsiderando l intero movimento della narrazione matteana, si possono ora meglio cogliere alcune peculiarità rispetto a Marco. La narrazione di Marco procede più rapida e a tratti nervosa, con una continua successione di fatti e continui cambiamenti di luogo, mentre il racconto di Matteo ha un andamento più lento e pacato, con un tono forse più solenne. Marco ha una preoccupazione di tipo kerygmatico, relativa all annuncio del Regno di Dio, del quale descrive già dall inizio l irruzione nella storia, mentre Matteo si propone la finalità più didascalica di approfondire i contenuti dell annuncio e di meglio mettere a fuoco l identità del Regno annunciato. Il Gesù di Matteo ha i tratti prevalenti del maestro che insegna (5,2, ecc.), del rabbi che commenta la Legge alla luce della Profezia (7,12), dello scriba che trae dal suo tesoro la novità del Regno nella luce delle antiche Scritture (13,52). Forse, ancor più che tutto questo, il Gesù matteano è raffigurato come il nuovo Mosè, che non abolisce, ma porta a compimento le antiche Scritture (5,17). Il suo insegnamento si colloca, con significativa inclusione, tra il monte delle beatitudini (5,1), in cui egli dona ai discepoli il suo insegnamento nuovo, ed il monte dell apparizione da risorto, forse lo stesso monte, in Galilea (28,16), dal quale egli invia i discepoli ad insegnare, a loro volta, quanto hanno imparato da lui. Se Marco è stato indicato dalla tradizione come il Vangelo del catecumeno, per un primo approccio alla persona di Gesù, Matteo è il vangelo del credente nel quale è cresciuta 7

9 l esigenza di approfondire, nella luce delle Scritture, l intelligenza del Cristo e dell insegnamento sul Regno. 3.1 Marco e Matteo a confronto La narrazione di Marco punta allo svelamento progressivo di Gesù, quale messia di Israele e Figlio di Dio, salvatore delle genti. Questo sembra motivare le insistenze di Marco sul segreto, cosiddetto messianico, imposto da Gesù ai suoi interlocutori e l ordine ai demoni di tacere la sua identità, da essi compresa in modo distorto, giustificando l intero movimento narrativo come progressivo avvicinarsi del discepolo alla comprensione della piena identità di Gesù, prima quale Cristo d Israele, alla luce del ministero galilaico (8,37-30), poi come Figlio di Dio, alla luce della morte di croce (15,39). Matteo non ha necessità di riproporre la quasi suspence di tale svelamento progressivo: il lettore, già dai capitoli dell infanzia, ben conosce l identità di Gesù, che già Pietro a Cesarea di Filippo confessa in modo pieno (16,13-20). A Matteo interessa forse maggiormente mostrare la conformità della parola e dell opera di Gesù con le Scritture di Israele, la continuità del suo annuncio ed insegnamento sul Regno con la testimonianza della Legge e dei Profeti. Non a caso il Gesù matteano, pur nell apertura progressiva alle genti, sembra concentrare le sue attenzioni sulle pecore perdute della casa d Israele (10,6; 15,24). La narrazione di Marco, dopo l ouverture della testimonianza di Giovanni, punta direttamente all oggetto della buona notizia: il Regno di Dio che è ormai giunto. Marco più degli altri descrive con forza l irruzione della novità del Regno, nella instancabile predicazione di Gesù e nella forza delle guarigioni che, all inizio del racconto (1,14-3,6), sgorgano dalla misericordia del Signore senza neppure essere richieste, a testimoniare l assoluta gratuità del Regno veniente. Successivamente Marco mostra gli ostacoli esterni al discepolato (opposizioni familiari ed ambientali) e la necessità della fede persevarante per poterli superare (3,7-6,6). Subito dopo, egli rende conto anche degli ostacoli interiori, del cuore indurito degli stessi discepoli, che necessitano ancora della gratuita pazienza e dedizione di Gesù per una guarigione decisiva e profonda, che li consegni alla piena adesione a lui (6,7-8,30, con le difficili guarigioni simboliche del sordomuto e del cieco di Betsaida). La seconda parte (8,30-16,20), con il cammino della croce, scandito dagli annunci della Pasqua, condurrà il discepolo ad una fede purificata da ogni protagonismo e arrivismo, così da poter riconoscere nella debolezza del crocifisso l identità del Figlio di Dio (15,39). Marco descrive il cammino del discepolato, con le sue tappe obbligate, in vista di quella fede piena e purificata che sgorga soltanto dal crocifisso. La narrazione di Matteo, con le sue inserzioni e le sue variazioni rispetto alla fonte marciana, sembra animata da un altra preoccupazione: l identità di Gesù è già stata dichiarata dall inizio; si tratta di comprenderla in profondità; si tratta di entrare nel mistero del Regno per parteciparne in pienezza e comprenderne tutti gli aspetti. A tale scopo Matteo procede in modo didattico e pedagogico. Ripercorrendo il vangelo sezione per sezione occorre far emergere i tratti salienti della sua narrazione. Riservando una considerazione a parte per i cinque discorsi teologici si presterà qui attenzione alle sezioni dello sviluppo narrativo. 3.2 L insegnamento sul regno e i gesti della sua attuazione (4,23-9,38) Come si può vedere dalla suddivisione letteraria proposta, una grande inclusione incornicia la sezione degli insegnamenti sul regno di Dio e la sua attuazione, tra i due sommari tra loro simili di 4,23-25 e 9, In essi si evidenzia l efficacia dell opera di Gesù sulle folle, attratte dalle sue parole di speranza e confortate dai suoi gesti di misericordia. L intera sezione compresa tra i sommari si suddivide in due parti: il Discorso della montagna e il compendio delle azioni di Gesù verso ammalati e peccatori. Dopo aver annunciato la venuta del Regno al popolo galilaico, immerso nelle tenebre (4,12-17), Gesù procede a rischiarare, con il suo insegnamento, il buio della condizione umana: non c è miseria che non sia beata, perché la buona notizia è per i poveri, perché il Regno dei Cieli appartiene a loro (5-7). Insieme all insegnamento si mostrano, in immediata successione, le opere efficaci di Gesù, che instaura il Regno riscattando la condizione dei malati e 8

10 dei peccatori (cc. 8-9, dove guarigione fisica e perdono dei peccati procedono insieme, dove si alternano risanamento del corpo e offerta di misericordia). Nella sua intenzione didascalica Matteo distingue le raccolte dei detti e degli insegnamenti dal racconto di fatti e degli avvenimenti. I primi sono compendiati nei cinque grandi discorsi teologici, alternati alle sezioni di genere narrativo. Dopo il primo grande discorso in cui Gesù, annunciata la venuta del regno, ne descrive modalità di attuazione e condizioni di appartenenza (5-7), Matteo compendia in due capitoli (8-9) una serie di guarigioni compiute da Gesù, a indicare l efficace presenza del regno, della signoria di Dio, che risolleva l uomo dalla propria condizione di miseria e di peccato e lo invita alla relazione con sé nel discepolato di Gesù. Considerando più da vicino la sezione dei miracoli nei cc 8-9 si fa ancora evidente l intento catechetico di Matteo, che compendia diversi cosiddetti miracoli di guarigione che Gesù, stando agli altri Vangeli, avrebbe operato non in immediata successione, ma in tempi e luoghi diversi. Colpisce il fatto che tra questi episodi di guarigione siano collocati anche due racconti di vocazione (8,18-22 e 9,9-13) in due punti narrativamente strategici attorno ai quali ruota l intera sezione,. Tre guarigioni aprono il capitolo 8: il lebbroso (8,1-4), il servo del centurione (8,5-13), la suocera di Pietro (8,14-17). Il primo rispecchia probabilmente la situazione di morte progressiva in cui si trova l uomo, con la sua situazione apparentemente irrecuperabile. la supplica accorata e fiduciosa attira la benevolenza del Signore che tocca e risana, assumendo per contatto la situazione di impurità del uomo. Il secondo mostra l efficacia decisiva della fede nella Parola di Dio, capace di operare a distanza, senza altro concorso di prestazione, se incontra la fede del povero. Il terzo dice la capacità di Gesù di placare il bruciore febbrile che inutilmente indebolisce l uomo per restituirgli la capacità di servire con la dovuta calma ed energia. A seguito di questa prima serie, che si chiude con la citazione di Isaia sul servo di YHWH, venuto a prendere su di sé le nostre debolezze (8,17), si trova il primo episodio di vocazione, con le condizioni per la sequela (8,18-22). Non chi si propone autonomamente, ma solo chi il Signore stesso chiama e guarisce è realmente in condizioni di seguirlo. Il discepolato non è opera possibile alla carne e al sangue, ma soltanto alla fede che si lascia guarire nel proprio intimo. Solo per misericordia è possibile entrare nel regno e divenire discepoli: per rimanere tali occorre continuare a confidare in Colui che placa il mare in tempesta (8, 23-27) e che libera dall agitazione demoniaca (8,28-34). Il racconto del paralitico (9,1-8) dice l importanza dell intervento dei fratelli nelle situazioni di blocco non semplicemente fisico o morale (l incapacità di operare il bene, ma con la volontà di farlo, come dice Paolo in Rm 7,7-25), ma più radicalmente spirituale, in cui depressione e sfiducia scoraggiano dal continuare il cammino. Solo il perdono unilaterale dei peccati, offerto dalla misericordia del Signore, può rialzare da questa terribile paralisi, nella quale ha un ruolo decisivo anche l iniziativa di sostegno e accompagnamento della comunità di fede, rappresentata dai quattro portatori. A seguito l episodio della vocazione di Matteo (9,9-13), dove l invito di Gesù sblocca il pubblicano dalla sua paralisi interiore e lo rende capace di seguirlo. La scoperta del primato della misericordia sul sacrificio apre al discepolo un orizzonte nuovo in cui sono di slancio superati i pesi della legge e la tentazione dell autogiustificazione. Il nuovo portato da Gesù è sentito come ormai incompatibile col vecchio di una mentalità legalistica di autosufficienza (9,14-17). Gli episodi successivi della figlia di Giairo e dell emorroissa (9,18-26) insistono sulla potenza della fede nel superare le situazioni di infecondità e di morte che segnano la via del discepolato. Una fanciulla che muore a dodici anni quando si accinge a fiorire la sua capacità generativa e una donna che perde sangue e vita proprio laddove dovrebbe esprimere la sua fecondità. Solo la fede preserva il discepolato dallo scoraggiamento di una morte avvertita a rendere apparentemente vane le proprie fatiche e sterile la propria opera. Due guarigioni simboliche chiudono l intera sezione: quella dei due ciechi (9,27-31) e quella del muto indemoniato (9,32-35). Con la prima viene forse significata la necessità per il discepolo di ricevere continuamente luce nelle incertezze del cammino, che richiedono la fede di una preghiera accorata, per comprendere la volontà del Signore. Con la seconda si indica il pericolo sempre all orizzonte dell indurimento ad opera del demonio che tenta di chiudere il cuore dell uomo alla Parola di Dio, ripiegandolo su di sé. 9

11 Il capitolo si chiude con un sommario sull attività di Gesù per la diffusione del regno, che riprende, come già osservato, il sommario di apertura in 4,23, a concludere l intera sezione del Vangelo, secondo la suddivisione proposta (4,23-9,38), il cui tema complessivo è l avvento del regno di Dio, nel quale Gesù introduce i discepoli con il suo insegnamento e la sua opera di misericordia e guarigione. 3.3 La reazione al messaggio del regno (10-12) All insegnamento sul Regno con le parole (5-7) e le opere (8-9), Matteo fa seguire una sezione in cui evidenzia le razioni provocate dal messaggio del Regno. Chi lo ha accolto non può non renderne testimonianza, con la sua condotta povera e affidata, luminosa e salvata, e per questo patisce incomprensione e rifiuto, comincia a vivere le beatitudini (c. 10), mentre emerge con più evidenza (11-12) il mistero di un incredulità ostile ed aggressiva dinanzi a ciò che resta nascosto ai sapienti e potenti di questo mondo, mentre viene rivelato ai piccoli (11,25-27). Il capitolo 11 è attraversato da una serie di incomprensioni e opposizioni a Gesù. Il Battista dal carcere manda a dirgli se è veramente lui l atteso di Israele. Egli aveva annunciato il giudizio imminente di Dio, con la scure posta alla radice degli alberi, chiedendo frutti degni della conversione. Il Cristo doveva ai suoi occhi stabilire subito la giustizia di Dio e la vendetta verso ogni opera di male. Non solo la venuta di Gesù non sembra aver cambiato nulla in tal senso: addirittura il giusto che predicava l avvento del regno è in carcere, prossimo a morire, mentre i malvagi sembrano restare impuniti. La prova della fede espone il Battista al dubbio sulla persona di Gesù e sull intera sua missione di precursore (11,1-15). Di seguito Gesù denuncia l indifferenza di quella generazione, simile a bambini svogliati che non reagiscono né al lamento né alla danza, che non si sono lasciati interpellare né dall austero battezzatore penitente, né dal compagno di tavola dei pubblicani e peccatori (11,16-19). Gesù passa poi al rimprovero per le città alle quali più si è rivolta la sua predicazione e la sua opera e che meno hanno creduto in lui, paragonate a Tiro e Sidone e Sodoma e Gomorra. Con la maledizione posta sui luoghi prediletti della sua opera, Gesù assume direttamente il fallimento della sua missione (11,20-24). La serie delle incomprensioni e dei rifiuti si chiude inspiegabilmente con l esultanza di Gesù. dal suo fallimento Egli ha compreso l identità del Padre, povero e incompreso nel suo amore per gli uomini, amore che lo ha reso piccolo nel dono totale di sé. Il Figlio, proprio nella sua umiliazione, sente di essere come il Padre, avverte di conoscerlo veramente come non mai e prova la gioia di rimanere con lui. Per questo Egli è in grado di confortare gli affaticati e gli oppressi, chiamati a imparare dal magistero della sua umiliazione (11,25-30). La sezione narrativa prosegue con due controversie incentrate sul sabato:il fatto delle spighe raccolte tra i campi di grano (12,1-8) e la guarigione dell uomo dalla mano inaridita (12,9-14): in entrambi i casi Gesù viene contestato per la sua libertà nei confronti della legge. La dichiarazione della sua Signoria sul sabato è non soltanto segno di un nuovo corso, segnato dalla sua venuta e dall avvento del regno, ma espressione del primato, già dichiarato dai profeti, della misericordia sul sacrificio, come già a proposito della chiamata di Matteo. La guarigione dell indemoniato apre un altra controversia nella quale Gesù stesso è considerato alleato dei demoni. La contestazione su di lui è ormai a tutto campo. L agire di Dio è ritenuto satanico: il peccato contro lo Spirito Santo è in atto, quale contrasto deliberato e ripetuto all opera di Dio (12,22-32). L ombra del dubbio che insistentemente le autorità religiose proiettano su di lui spinge a chiedere un segno chiaro circa l autenticità della sua azione. Gesù offre il segno paradossale di Giona: proprio la sconfitta del Figlio dell uomo sarà decisiva per la conversione di un intera generazione (12,38-42). Davanti alla persistente incredulità Gesù riprende il riferimento all azione demoniaca mettendo in guardia quell intera generazione ad affrettarsi a consegnare il suo cuore a Dio e ad aprirlo alla venuta del regno perché non sia abitato dallo spirito maligno che la vuol tenere in suo potere (12,43-45). È sul cuore dell uomo infatti che Gesù invita ad esercitare il discernimento più decisivo, come a individuare le radici dell albero che produce frutti cattivi. Il Signore invita i suoi ascoltatori e oppositori a esaminare il loro cuore per cogliere le cause più vere del loro atteggiamento di chiusura 10

12 davanti a Dio. Le parole che essi dicono nei confronti di Gesù rivelano la chiusura del loro cuore, afferrato dallo spirito del male e accecato dall orgoglio di un autosufficienza che si nega all invito di Dio (12,33-37). Se alla prima ondata di opposizioni (cap 11) Gesù risponde benedicendo il Padre e chiamando a sé tutti gli affaticati e oppressi, a questa seconda ondata l evangelista stesso risponde, secondo il suo stile, con la profezia di Is 42,1-4: il servo del Signore, in cui Dio si compiace concorrerà all avvento del regno solo con la sua fiduciosa mitezza che lo consegna nelle mani del Padre (12,15-21). La sezione dei contrasti e delle contestazioni si chiude significativamente con l episodio dei veri parenti di Gesù, in cui si evidenzia ancora l opposizione tra una relazione a Gesù di presunta conoscenza che viene tuttavia solo dalla carne e dall apparenza, e che rimane all esterno della sua vicenda, e quella conoscenza che procede dalla fede sino all adesione alla sua persona che consente di diventargli familiari, come fratello, sorella e madre (12,46-50). La sezione narrativa di Mt 10-11, nel culmine dell opposizione al regno annunciato, insegnato e operato da Gesù, coglie il discepolato come vera relazione di familiarità con lui, autentica espressione del regno, che inizia ad attuarsi nella sua piccolezza. 3.4 Il mistero del regno e la sua crescita paziente (13-17) Con le parabole del capitolo 13 Matteo esprime l insegnamento centrale del suo Vangelo sul segreto della misteriosa crescita del regno, contrastato e ostacolato da opposizioni esterne e da impedimenti interni, che toccano la profondità del cuore di ciascuno; di seguito egli illustra narrativamente la dinamica di tali opposizioni nel cuore dei discepoli, indicando la pazienza della fede come atteggiamento decisivo per rimanere con il Signore e consentire la realizzazione della sua opera. In tal modo Gesù offre, a chi già da tempo lo sta seguendo, le indicazioni essenziali per non scoraggiarsi e non smarrirsi nelle difficoltà, mettendo in evidenza quelle disposizioni interiori che invece consentono di favorire la crescita, sino al compimento di quanto Dio sta nascostamente operando. Perché l affermarsi del Regno è così difficoltoso ed ostacolato, come già ha mostrato la sezione precedente del Vangelo di Matteo? Nei capitoli l evangelista cerca di dare risposta a tale interrogativo, illustrando le modalità di attuazione del Regno ed indicando gli atteggiamenti che consentono il suo sviluppo e la sua realizzazione. Nel discorso delle parabole (c. 13), Matteo riprende l insegnamento di Mc 4,1-34, che già poneva sotto il patrocinio della pazienza e della perseveranza la possibilità di attuazione del Regno nella sua pienezza di sviluppo. Egli aggiunge un insegnamento sulla pazienza perseverante non solo riguardo all attuazione del Regno, ma anche in ordine alla sua piena manifestazione sotto forma di giudizio discriminante del buono e del cattivo (le parabole del grano e della zizzania e della rete gettata nel mare), ed un insegnamento sulla gratuità della scoperta del Regno alla quale risponde la gratuità della scommessa della fede e della ricerca che continua incessantemente (le parabole del tesoro e della perla e dello scriba divenuto discepolo, che continua ad estrarre dal tesoro). Nel discorso delle parabole di Matteo Gesù vuole in qualche modo rassicurare i discepoli sulla normalità delle opposizioni che essi già hanno incontrato, indicando loro la strada della fede perseverante che non solo permane nel discepolato, ma scommette continuamente al rilancio per possedere il vero tesoro del Regno ed attende con fiducia pacificata la manifestazione dei figli del Regno, nella loro separazione dai figli del maligno. I capitoli successivi (14-17) sembrano costituire la rappresentazione narrativa del discorso in parabole. Essi contengono quella che già in Marco è conosciuta come la «sezione dei pani», incorniciata dai due racconti della frazione del pane, il primo in territorio giudaico (14,13-21), il secondo in territorio pagano (15,29-39), con al centro la controversia tra il puro e l impuro (15,1-20). Già in Marco tale sezione ha funzione di motivare il passaggio da Israele ai pagani alla luce del criterio della fede e della conversione del cuore, per opposizione a regole tutte esteriori e falsamente discriminatorie. Matteo rafforza la lezione di Marco, introducendo, dopo il primo racconto dei pani, il brano di Pietro che tenta invano di camminare sulle acque per la sua poca fede (14,22-36), quasi in opposizione al racconto della cananea, una donna pagana la cui fede umile e audace suscita la meraviglia di Gesù (15,21-28). Alla fine della sezione il racconto della fede di Pietro a Cesarea di Filippo (16,13-28). 11

13 Il movimento narrativo matteano sembra dunque dettato dalla volontà di stabilire nella fede il criterio decisivo di appartenenza a Dio, che sovverte la falsa religiosità farisaica con le sue regole di appartenenza, ed abbatte tutte quelle barriere, erette da principi di osservanza soltanto esteriore, che la presunta fedeltà di Israele alla Legge aveva posto nei confronti degli altri. Gesù qui stabilisce che il confine tra il vero e falso Israele non passa per le tradizioni esterne, che finiscono per diventare precetti di uomini, ma attraversa il cuore, sigillando la rettitudine della sua intenzione di fede davanti a Dio. L autentico criterio di appartenenza a Dio è la fede umile e audace, pronta e generosa, nella rettitudine dell intenzione e nella verità del cuore. Tutto questo sviluppo di pensiero confermato, ancora prima dell episodio di Cesarea, dal cenno al lievito ipocrita dei farisei (16,1-12), esplicita in certo modo i criteri di discernimento della presenza e della crescita del Regno, illustrati attraverso le parabole del capitolo 13. L intera sezione dei cc ha dunque la funzione di gettare una luce sul racconto delle opposizioni al Regno della sezione precedente (cc ), facendo emergere il criterio distintivo dell appartenenza al Regno, in base al quale si approfondisce il solco tra il vero ed il falso Israele, mentre l opposizione a Gesù diventa irriducibile, l annuncio della croce si fa più insistente ed i veri discepoli sono finalmente svelati come figli del Regno, secondo la conclusione, tutta matteana, della sezione: il singolare episodio della moneta nel ventre del pesce, con cui Matteo (17,24-27) ribadisce la libertà e la signoria dei figli del Regno, dichiarando la loro esenzione dalla tassa del tempio. Dopo aver illustrato il messaggio del Regno e le opere della sua attuazione, una volta descritte le reazioni alla parola del Regno, dalle quali trarre un insegnamento ulteriore sui criteri per un discernimento della sua reale e dinamica presenza e dell autentica appartenenza ad esso, Matteo ha posto le basi per il suo insegnamento sui frutti del Regno, su quanto esso genera, in altre parole: sul suo realizzarsi nella comunità ecclesiale, ormai separata, secondo i criteri di discernimento del puro e dell impuro appena indicati, dall Israele secondo la carne o, meglio secondo la legge solo esteriormente osservata. 3.5 L incarnazione del regno nella comunità dei fratelli (18-23) Con il capitolo 18 si apre la sezione più propriamente ecclesiologica del Vangelo di Matteo, composta anch essa da un insegnamento, il discorso cosiddetto ecclesiale (c. 18) e da un correlativo sviluppo narrativo in cui vengono esemplificativamente ritratti i veri soggetti del Regno (cc ). In corrispondenza del secondo annuncio della Pasqua, laddove Marco fa seguire l incomprensione dei discepoli, che si interrogano su chi sia il più grande nel Regno, Matteo avverte l opportunità di inserire uno sviluppo catechetico sulla comunità cristiana quale segno manifestativo del Regno di Dio. Già Marco pone la figura del bambino come criterio di appartenenza al Regno (Mc 9,33-37); Matteo la elabora (18,1-5) declinandola nel duplice riferimento ai piccoli (18,6-14) e ai fratelli (18,15-35). La prima parte del discorso (18,1-14, che ha come inclusione il termine «piccoli») è incentrata sulla condizione dei piccoli che non devono essere scandalizzati, perché non si perdano (18,1-9) e che devono essere ricercati con cura laddove si perdessero (18,10-14); la seconda parte (18,15-35, costruita sull inclusione del termine «fratello») è dedicata alle relazioni tra i membri della comunità quali fratelli soggetti a sbagliare, e perciò bisognosi di correzione (18,15-20) o di misericordia disposta a perdonare sempre, senza limite né calcolo alcuno (18,21-35). Nel discorso ecclesiale Matteo identifica dunque il Regno alla concretezza di una comunità di fratelli-piccoli, bisognosi l uno dell altro, quale struttura funzionale all esercizio della misericordia nella ricerca e nella correzione di chi si sbaglia e nel perdono di coloro che peccano, perché nessuno si perda a motivo della sua piccolezza e fragilità. La sezione narrativa che segue (19-23) illustra tale insegnamento ecclesiale. Il Regno costituisce i suoi membri nel bisogno reciproco della misericordia, tanto da ritenere desiderabile ogni situazione in cui la precarietà e la fragilità inducono all affidamento e al rinsaldarsi dei vincoli comunionali. Viene così proclamata indissolubile l unione matrimoniale (19,1-9), e frutto esclusivo di pura grazia la vita celibataria (19,10-12); viene indicata come desiderabile la condizione dei bambini (19,13-15) e di coloro che da ricchi si fanno poveri per seguire Gesù (19,16-30); viene dichiarata straordinariamente amabile e vantaggiosa la situazione di coloro che preferiscono l ultimo posto 12

14 (20,1-16) e che trasformano in primato di servizio ogni loro ambizione al dominio degli altri (20,17-28). Solo una guarigione profonda operata dalla grazia, che apre gli occhi dei discepoli a seguire Gesù sulla via del dono di sé consente di vivere tutto ciò (20,29-34). In opposizione a tale rinnovamento della vita e dei pensieri emergerà la condizione sterile del vecchio Israele che presume di detenere l accesso al Regno, di coloro che rifiutano di accogliere da piccoli il Re che viene (21,1-11). Essi saranno giudicati sterili ed infruttuosi (21,12-22), mentre il loro pensare sarà dimostrato inconsistente (21,23-22,46) e la loro vita condannata come ipocrisia che uccide la profezia per eludere la conversione (c. 23). Questa sezione narrativa, particolarmente negli episodi di Gerusalemme (cc ) riprende sotto forma di giudizio ormai definitivo sul vecchio Israele quell opposizione che già nelle sezioni precedenti emergeva come reazione alla proclamazione del Regno e quale non corrispondenza ai criteri per il suo discernimento. Qui Matteo, specialmente nelle parabole dei due figli (21,28-32, esclusivamente matteana), dei vignaioli omicidi (21,33-46, in comune con Marco, ma con la variante del passaggio del Regno ad un altro popolo) e degli invitati al banchetto (22,1-14, in comune con Luca 14,15-24, ma, diversamente da lui rielaborata in termini escatologici e collocata in un contesto di giudizio) rimarca, rispetto alla prospettiva di Marco, il passaggio del Regno di Dio dall Israele infruttuoso ad un popolo nuovo capace di portare frutto (21,43). 3.6 Il compimento escatologico del regno (24-28) Anche nell ultima parte (cc ) si alternano discorso di insegnamento e narrazione. Al discorso escatologico (cc ) segue il racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù (cc ). Il c. 24 di Matteo, con la prima parte del discorso escatologico segue sostanzialmente Marco 13: la domanda dei discepoli circa la sorte del tempio (24,1-3), motiva la risposta di Gesù per il quale il destino storico del luogo santo prefigura profeticamente il compimento della storia tutta; in esso Matteo distingue tre fasi: il tempo dell inizio dei dolori, con la prova e la persecuzione dei discepoli nel loro opporsi ai falsi cristi e ai falsi profeti (24,4-14); il tempo della grande tribolazione, con il sovvertimento menzognero della Parola divina e l inganno di molti da parte di colui che vorrà addirittura occupare il luogo santo (24,15-25); il giorno della venuta del Figlio dell uomo sulle nubi del cielo, con l oscuramento di ogni altra luce perché Egli, unico, si manifesti nella piena verità (24,26-35). Matteo prolunga il breve invito alla vigilanza di Marco con alcuni detti sul giudizio (24,36-44) e con la parabola del servo fidato (24,45-51), materiale tratto da Q, che Luca pone altrove. Il discorso escatologico avrebbe potuto concludersi al c. 24. Matteo avverte tuttavia il bisogno di prolungare il suo insegnamento sulla fine dei tempi indicando dapprima, attraverso due parabole, quali atteggiamenti devono caratterizzare il tempo presente per disporsi all incontro e all approvazione del Signore che viene, e concludendo con la grande scena del giudizio finale, in cui, secondo la sua ricorrente preoccupazione, l evangelista indica il criterio decisivo circa l esito del giudizio di Dio. Le due parabole delle vergini (25,1-13) e dei talenti (25,14-30) vertono rispettivamente sulla considerazione che certe attenzioni non si possono rimandare e che occorre cogliere l occasione presente, perché non si dispone del futuro, e sull invito a rischiare di mettere in gioco generosamente, quanto si è ricevuto dal Signore, scommettendo sulla forza intrinseca al dono stesso. La scena del giudizio finale (25,31-46) conclude il tutto con l affermazione del criterio unico delle opere di misericordia verso i piccoli, compiute nell incoscienza della fede. Tenendo conto del fatto che i piccoli sono altrove identificati con i discepoli da lui inviati (10,40-42) o con coloro che credono in lui (18,6), forse qui Matteo afferma come la sorte dei due gruppi in cui l umanità viene divisa si giochi sull atteggiamento avuto nei confronti di un terzo gruppo, che resta sullo sfondo, i cui membri Gesù considera come suoi fratelli più piccoli (25,40.45). Il racconto della passione, morte e risurrezione (26-28) sembra incentrato, come già quello di Marco (14-16), sulla scena del processo davanti al sommo sacerdote, in particolare sulla profezia della venuta del Figlio dell uomo sulle nubi del cielo, che Gesù dichiara ormai compiuta (26,64). Ci si allaccia così alla parte centrale dello stesso discorso escatologico, che descrive in tal modo, citando la profezia di Daniele, il ritorno del Signore (24,30). Con questo significativo richiamo Matteo, sulla scia di Marco, dichiara che con l evento della croce è iniziata la fine della storia. Colui che 13

15 l ha inaugurata vive già il compimento di una signoria universale in una costante presenza, quale Emmauele, in mezzo ai suoi, presenza che tuttavia si nasconde dietro l invio dei discepoli, e signoria che rinuncia ad ogni protagonismo, mediante il posto lasciato ai suoi (28,18-20). Dato uno sguardo generale all articolazione letteraria e allo sviluppo narrativo, si rende ora necessario, per meglio cogliere le particolarità di Matteo, prestare attenzione a quelle sezioni che più lo caratterizzano rispetto agli altri Vangeli: i racconti dell infanzia (1-2) e i capitoli dell introduzione al ministero (3,1-4,22) e i cinque grandi discorsi di insegnamento sul Regno dei Cieli. 4. Il carattere prefigurativo e riassuntivo del Vangelo dell infanzia (1-2) Il cosiddetto Vangelo dell infanzia costituisce l introduzione all intero Vangelo di Matteo, con una funzione molteplice. Esso raccorda anzitutto il racconto evangelico con la radice di Israele, con la storia del popolo eletto, ponendosi in continuità con la sue Scritture. D altro canto funge da introduzione a tutto il Vangelo, offrendo chiavi di lettura e quasi anticipandone l intero sviluppo teologico-narrativo. Completa inoltre la narrazione di Marco chiarificando, rispetto al suo racconto l origine divina di Gesù, Figlio di Dio già dal suo concepimento senza opera d uomo. Il racconto dell infanzia, nello stile delle storiografie ellenistiche, narra le origini del personaggio, nelle quali si colgono già i semi di una vocazione che fonda e chiarisce gli sviluppi successivi. Esso presenta inoltre una precisa struttura narrativa la cui individuazione favorisce il lettore nel cogliere gli aspetti principali del messaggio 4.1 La molteplice funzione del Vangelo dell infanzia Rispetto alla concisa narrazione di Marco, Matteo e Luca premettono una sorta di prologo all intero loro racconto, con alcuni episodi riguardanti la nascita di Gesù e le vicende che immediatamente la precedono e la seguono. Uno degli intenti dell autore lo si potrebbe definire apologetico nei confronti della verità dell incarnazione, messa in discussione da posizioni gnostiche o adozioniste, che tendevano a spiritualizzare l umanità del Figlio di Dio dissolvendo la concretezza dell incarnazione e spingendo a ritenere la vicenda di Gesù come quella di un semplice uomo investito di poteri divini solo in un particolare momento della sua vita. Raccontando le origini l evangelista precisa l identità divina del personaggio già dalla sua nascita, riaffermando la verità dell incarnazione e precisando i corretti presupposti della sua missione salvifica. I racconti dell infanzia hanno soprattutto un ruolo introduttivo e ricapitolativo dell intera narrazione evangelica. Essi aprono al lettore la porta di ingresso nel Vangelo. Hanno lo scopo di narrare non solo le origini del personaggio, secondo quella completezza di criteri per una biografia che Marco non contempla e che è invece conforme all ideale storiografico di autori come Plutarco, ma soprattutto di riassumere in breve, quale anticipazione teologica nella luce della Pasqua, l intera vicenda narrata nel corpo del Vangelo. I racconti dell infanzia sono, in sostanza, una sorta di miniatura ad alta densità teologica, cristologica e pasquale dell intero vangelo. Offrono al lettore una chiave di lettura anticipata del racconto successivo e contribuiscono a suscitare in lui l attesa di quanto sarà narrato in seguito. D altra parte essi hanno anche funzione di raccordo con la vicenda di Israele, di collegamento con la radice santa delle promesse ai padri e delle alleanze con i figli del popolo: devono mostrare la continuità della vicenda di Gesù con le scritture e le profezie perché si possa cogliere nel Cristo Signore il compimento delle promesse di Dio e delle attese del popolo. 4.2 Il senso della disposizione degli episodi Matteo si apre come Libro di genesi di Gesù Cristo Figlio di Dio (1,1) e si chiude con la promessa di Gesù di essere Emmanuele sino alla fine del mondo (28,20). La narrazione di Matteo assume dunque una dimensione cronologica universale, onnicomprensiva, dall alfa all omega. I Vangeli dell infanzia, mediante la genealogia (1,1-17), affondano nelle radici dell alfa; il racconto della risurrezione apre all omega del compimento escatologico. Il riferimento al Libro di genesi prosegue 14

16 nel primo brano narrativo che racconta la genesi-nascita di Gesù Cristo (1,18-25). Il passo, che vede protagonista Giuseppe, illuminato dall angelo portatore della profezia scritturistica, si lega alla genealogia attraverso il termine gancio ghénesis: ne è il naturale prolungamento a giustificare la mutazione del verbo generare dall attivo al passivo nell ultimo passaggio, dove Giuseppe è semplicemente indicato come lo sposo di Maria dalla quale è generato (senza il suo intervento) Gesù. La pericope si lega dunque alla genealogia, a illustrare quanto essa già lasciava intuire sulla nascita misteriosa del Cristo da Maria. Lasciando a sé per il suo particolare genere letterario la genealogia, la narrazione evangelica vera e propria si apre con il racconto della gravidanza di Maria e della riflessione di Giuseppe dal turbamento alla luce in 1, Tale passo apre una sequenza di cinque brani narrativi che mostrano una particolare disposizione strutturale ed hanno ciascuno un riferimento esplicito alla Scrittura: 1. L annuncio a Giuseppe (1,18-25), con rif. a Is 7,14. a. La ricerca dei magi (2,1-12), con rif. a Mi 4 e 2Sam 5,2 2. La fuga in Egitto (2,13-25), con rif. a Os 11,1 b. La strage degli innocenti (2,16-18), con rif. a Ger 31,15 3. Il ritorno a Nazareth (2,19-23), con rif. a Is 42,6 e 49,6. La disposizione evidenzia due blocchi testuali tra loro intrecciati. Il blocco è incentrato sull intervento dell angelo del Signore nei confronti di Giuseppe. Prima gli annuncia la conformità della nascita alle profezie, poi gli comanda di mettere in salvo la famiglia in Egitto, infine lo invita a tornare con la famiglia nella terra di Israele, stabilendosi in Galilea. La disposizione sequenziale all interno dei singoli episodi del blocco e la stessa: I) descrizione della situazione; II) messaggio dell angelo come invito ad una missione; III) conformità dell annuncio angelico alla parola della Scrittura; IV) esecuzione della missione affidata. Il secondo blocco a.b. è incentrato sull opposizione e presunta rivalità tra due re: Erode e Gesù. I due episodi che lo compongono sono collegati tra loro dalla testimonianza dei magi, accolta con apparenza di favore nel primo episodio, dove Erode si finge adoratore del nuovo re, suscitatrice di reazione violenta nel secondo episodio, dove Erode sparge morte per eliminare il nuovo re, avvertito come rivale. I due episodi tracciano una descrizione dei meccanismi del potere umano che, pur nella sua apparente solidità, si sente continuamente minacciato e, per affermarsi o sopravvivere, si avvale prima della menzogna poi della violenza, laddove la menzogna si rivela insufficiente. L intreccio dei due blocchi sembra evidenziare la fondamentale opposizione tra il progredire silenzioso e nascosto dell opera di Dio e l affermarsi prepotente e irriguardoso del potere umano. I due re hanno una modalità di presenza e di azione diametralmente opposta. L alternanza narrativa offre una synkrisis (confronto) efficace dei due mondi contrapposti del potere umano e della signoria divina. L intero Vangelo farà emergere progressivamente tale contrapposizione sino al rifiuto del Dio povero e crocifisso da parte degli esponenti del potere mondano e alla sua accoglienza convertita da parte di coloro che hanno sperimentato e riconosciuto nella loro vita la forza di amore del regno di Dio. L azione di Erode si dispiega per l immediatezza di una parola imperativa, che genera menzogna e semina morte; l agire di Dio percorre invece i sentieri misteriosi del cuore che si apre alla sua Parola, Parola che non si impone in modo diretto e imperativo, ma per la discreta mediazione interiore dell angelo del Signore e la ricorrente mediazione esterna delle profezie della Scrittura. Il ruolo della Scrittura si rivela decisivo per cogliere il valore ricapitolativo di questi primi capitoli di Matteo. 15

17 4.3 Un micro-racconto ricapitolativo Il riferimento alla Scrittura è particolarmente evidente in tutto il Vangelo di Matteo che, più degli altri, ricorre a numerose citazioni esplicite. Il ricorso alla Scrittura si fa oltremodo intenso e ricorrente nei capitoli dell infanzia, a scandire il senso di ogni episodio, come si è potuto vedere a proposito della disposizione dei passi e della struttura dell insieme. Oltre alle citazioni esplicite Matteo ricorre a riferimenti allusivi, con l utilizzo di una tipologia implicita, modellando la vicenda di Gesù su quella di Mosè, a indicare la partecipazione del Signore, già dalla sua nascita, alla storia di un intero popolo. Come Mosè il bambino Gesù è minacciato dalle disposizioni di morte di un re iniquo che semina dolore innocente: Erode, come il faraone, si macchia del crimine di un assurda strage che colpisce i piccoli. Un bambino su tutti, l eletto di Dio per una missione di salvezza, trova miracolosamente scampo per disposizione provvidenziale di Dio. Mentre l Egitto fu il luogo della morte per i piccoli di Israele, il piccolo Gesù trova invece scampo proprio in Egitto: la sua fuga nel paese della schiavitù e il suo ritorno nella terra di Israele ricapitolano l intera vicenda di un popolo, liberato dalla peso di una servitù e salvato da un potere iniquo ed oppressivo. Come Mosè Gesù è strumento di salvezza per il popolo fedele: non porta una liberazione politica o sociale, ma interiore, come l evangelista anticipa nell atto della imposizione del nome Jehoshua: «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati» (1,21). L utilizzo tipologico e midrashico della Scrittura da parte di Matteo, pur privilegiando la figura di Mosè e dell Israele oppresso in Egitto, si riveste di allusioni anche ad altri passaggi fondamentali della vicenda del popolo, come l esilio babilonese. Il richiamo alla profezia di Geremia 31,15 a proposito del dolore innocente a seguito della strage di Erode richiama infatti anche il dramma dell esilio che sembrava tagliare ogni radice di speranza per il futuro di un popolo, ormai privato di ogni prospettiva di sopravvivenza. Il ritorno di Giuseppe con Maria e il bambino dall Egitto può rappresentare, negli intenti di Matteo, una qualche allusione alla speranza post-esilica: il popolo disperso tornerà nella sua terra, ma non alla stessa maniera di prima. Lo stabilirsi della sacra famiglia nella Galilea delle genti sembra indicare una mutazione irreversibile nella vocazione del popolo eletto, chiamato ormai da Dio non alla riaffermazione del suo privilegio identitario, ma all accettazione di vivere in mezzo alle genti come lievito povero e nascosto di testimonianza dell amore di Dio. Matteo evidenzia, rispetto agli altri Vangeli, il valore teologico di questo territorio lontano e dimenticato come luogo iniziale della stessa missione di Gesù con il ricorso alla profezia isaiana in 4,15-16: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce» (Is 9,1ss). Se il riferimento a Mosè appare predominante per la forza delle allusioni tipologiche e midrashiche, con non minore evidenza si presenta il richiamo a Davide. La genealogia in particolare insiste sull origine davidica di Gesù, e il parallelismo di opposizione a Erode evidenzia il carattere del tutto differente della sua regalità. Gesù è il figlio di Davide, ma solo in rapporto a Giuseppe. È l erede di fatto solo giuridico di una monarchia ormai scomparsa, che si presenta al tempo stesso come l espressione di un potere alternativo, che ha origine direttamente da Dio e si esercita nella modalità amorevole e discreta del governo divino. Gesù sarà alla maniera di Davide, ma con modalità del tutto nuova, il pastore escatologico, che orienterà il suo ministero alle pecore perdute di Israele (10.6 e 15,24), aprendo al popolo disperso tra le genti della Galilea l orizzonte della speranza. La dedizione di Gesù ai figli di Israele nel vangelo di Matteo è solo apparentemente esclusiva: la Galilea, scelta da Gesù fin dal suo ritorno dall Egitto con Maria e Giuseppe, è cifra allusiva di quella missione ad gentes che Gesù assegnerà ai suoi all inizio del vangelo e che traspare già dalla riconosciuta fede del centurione (8,5ss) e dalla sorprendente e umile tenacia della donna siro-fenicia (15,21ss), davanti alla quale Gesù sembra egli stesso mutare orientamento nella destinazione della sua opera. La rilettura biblica che Matteo offre nel racconto dell infanzia ha dunque il respiro di una ricapitolazione universale della storia del popolo eletto in Abramo, salvato in Mosè, ristabilito in Davide e aperto a tutte le genti nel nuovo re-pastore che vive in se stesso l intera vicenda della fede di Abramo, di Mosè e di Davide, portando nella sua carne il dramma e il travaglio della storia di un intero popolo che diventa concreta speranza per tutti i popoli. 16

18 Compresa la funzione dei riferimenti impliciti e allusivi alla Scrittura è utile ora soffermarsi sul valore di alcune citazioni esplicite che segnano questi primi capitoli. 4.4 Il Vangelo dello scriba divenuto discepolo Nel primo dei due blocchi narrativi intrecciati a cui si è fatto sopra riferimento è centrale la figura di Giuseppe ed è ricorrente il richiamo del suo discernimento da un lato alla voce angelica dall altro alla parola della Scrittura, che trovano luminoso incontro nel suo cuore di persona giusta e retta, credente alla maniera di Abramo. Scoperta la gravidanza di Maria Giuseppe piomba nel dubbio sul da farsi e cerca sinceramente la volontà di Dio. Riflette nel suo cuore, come in atteggiamento di ascolto che si confronta con la parola delle Scritture. Egli cerca di far entrare la luce della Parola di Dio nella sua vita, aprendola all incontro con le vicende narrate nella Scrittura e con le profezie che le interpretano. Solo quando si lascia andare, come in sogno, all oblio dei propri ragionamenti e delle proprie valutazioni, gli viene incontro la parola attuale di Dio per la mediazione angelica, ed egli capisce la vicenda che lo coinvolge insieme con Maria nella luce della profezia isaiana. La pace entra nel suo cuore e la sua volontà si risolve all azione, fiducioso nell opera di Dio. Anche nel pericolo per la minaccia di Erode Giuseppe, avvertito dalla voce angelica, sembra far ricorso alla parola della Scrittura, che illumina la sua vicenda nella luce del vissuto di Israele ricapitolato nella profezia di Osea 11,1. Così pure alla morte di Erode Giuseppe, al suggerimento dell angelo, torna nella terra di Israele, lasciandosi orientare dalle profezie alla scelta della Galilea e di Nazareth. In tutti e tre i casi che riguardano Giuseppe ha dunque un ruolo predominante la parola della Scrittura che diviene parola attuale che illumina l oggi per l intervento interiore del messaggero celeste. Mediazione esterna della Scrittura accolta, meditata e ruminata e mediazione interiore della voce angelica nel momento in cui si incontrano e si accendono di luce attuale sono gli elementi decisivi del discernimento della volontà di Dio. Giuseppe si configura come scriba di Israele che medita le Scritture (citate addirittura secondo la LXX dove il termine ebraico significante giovane donna è tradotto col più radicale vergine, a indicare il carattere unico ed esclusivo di quella gravidanza che solo la parola profetica era in grado di rivelare nella sua verità). Giuseppe è l esempio della figura, cara a Matteo ed esclusiva del suo vangelo, dello scriba divenuto discepolo del regno, capace di estrarre dal suo tesoro il nuovo e l antico, facendoli incontrare e leggendoli l uno alla luce dell altro (Mt 13,51). Anche il cammino dei magi passa attraverso le profezie lette, studiate e confrontate nell esperienza di una stella luminosa che sorge nel cuore. L incontro con la luce genera un desiderio di nuovo incontro e nuova luce, che motiva il viaggio di ricerca dei magi. L oscurità che scende su di loro a Gerusalemme, nel disorientamento che li conduce da Erode, è vinta ancora soltanto dalla parola profetica citata dagli scribi, che invita a lasciare il palazzo per recarsi nella periferia povera e lontana, dove vivono i semplici pastori. L obbedienza riaccende la stella, la luce interiore che trasforma i pensieri, sino a riconoscere Dio nel bambino. Anche il viaggio dei magi è guidato dalle Scritture, pellegrinaggio esistenziale di scribi stranieri che, legandosi alle Scritture di Israele, diventano anch essi discepoli del regno dei cieli. Già dai testi dell infanzia Matteo introduce il suo modello di discepolato: quello dello scriba, ascoltatore attendo delle Scritture e della voce interiore del messaggero divino, che diviene discepolo di Cristo Signore. I tratti del discepolato, pazientemente incentrato sull ascolto della Parola delle Scritture, così come Matteo lo tratteggia, emergono in modo del tutto particolare nei cinque grandi discorsi di insegnamento sul Regno di Dio. 5. L insegnamento sul Regno nei cinque discorsi Dalle considerazioni appena effettuate risulta già evidente come la tematica del Regno sia assolutamente centrale nel Vangelo di Matteo. Già in Marco il Regno di Dio è una realtà centrale, oggetto dell annuncio di Gesù in parole ed opere, il cui avvento ha inizio nella chiamata al 17

19 discepolato e il cui sviluppo si attua nella sequela. Matteo approfondisce rispetto a Marco la natura e le modalità di realizzazione del Regno, particolarmente attraverso l insegnamento più diffuso e sistematico, offerto nei cinque discorsi. È necessario tracciarne brevemente la struttura ed individuarne i principali contenuti. 5.1 Il discorso della montagna (cc. 5-7) All annuncio del Regno veniente, con cui si apre il ministero di Gesù (4,17), segue subito il primo insegnamento circa la natura e l identità di questa nuova realtà. Gesù offre questo insegnamento sul monte, alla maniera di Mosè (salita e discesa dal monte in 5,1 e 8,1, ricordano rispettivamente Es 19 e 34), nell atteggiamento del maestro che siede in cattedra e, secondo l espressione enfatica e solenne utilizzata, apre la sua bocca (5,1-2). Gli ascoltatori formano due gruppi: i discepoli in primo piano e le folle sullo sfondo. Tutti ascoltano le sue parole. Il discorso sembra articolarsi in tre parti: 5,1-16; 5,17-7,12; 7, La prima parte, con le Beatitudini, contiene la sostanza della buona notizia del Regno con la sua destinazione ai poveri; la seconda esplicita il messaggio del Regno nei suoi contenuti e nella sua sostanza, indicandone la continuità e insieme la novità rispetto alle antiche Scritture; la terza chiude il tutto, chiedendo agli ascoltatori l accoglienza delle parole e l adesione obbedienziale della fede, in vista di una benedizione duratura, e pena l inconsistenza di un vano operare che costruisce sulla sabbia (7,24-27). Matteo sembra così riproporre la struttura dei discorsi di alleanza, che, dopo la formula introduttiva di proposta libera e amicale e l enunciazione degli impegni assunti dai contraenti, chiudono con un appello alla libera accoglienza e conseguente fedeltà, elencando benedizioni e corrispettive maledizioni a scongiurare la rottura del patto (Dt 27-28; 30,15-20). La prima parte propone dunque la sostanza di questo nuovo insegnamento, nell annuncio di una beatitudine per i poveri. Ogni beatitudine, con la sua paradossale struttura, in cui soggetti comunemente giudicati infelici e disgraziati sono proclamati beati, sembra ribadire, nell insistenza della ripetizione, una coincidenza tra croce e benedizione. Le beatitudini non propongono una linea di condotta etica, ma invitano tutti i poveri e gli oppressi a scoprire con gioia la benedizione legata alla loro condizione di persone che, avendo soltanto Dio dalla loro parte, sono nella sicurezza di essere amati e salvati da lui. A differenza della formulazione lucana in cui esse sembrano indirizzate direttamente ai discepoli (Lc 6,20-23), in Matteo le beatitudini, con l uso tipologico-sapienziale della terza persona, sono rivolte a tutti. Ai discepoli è indirizzata direttamente soltanto la replica dell ultima beatitudine, quella dei perseguitati per causa di Cristo. Tutti ascoltano le parole di Gesù, folle e discepoli, ma con un diverso grado di vicinanza a Gesù. Tutti sono destinatari delle beatitudini: folle anonime di poveri e piccoli, che si ritrovano tali senza loro colpa né scelta, e discepoli che hanno volontariamente abbracciato la piccolezza e la povertà per amore di Cristo. Se tuttavia la beatitudine è per tutti, al discepolo è riservato quel destino di esperienza consapevole e motivata della beatitudine, compresa alla luce di Cristo, a cui gli altri non possono pervenire, senza che il discepolo stesso non se ne faccia testimone alla maniera dei profeti: l ultima beatitudine ha infatti la particolarità di rivolgersi in modo diretto ai discepoli, paragonandoli ai profeti perseguitati prima di loro (Mt 5,11-12). Proprio a motivo del loro ruolo profetico, ai discepoli è riservata la condizione di essere sale della terra e luce del mondo: grazie al risplendere svelato e consapevole del loro vivere in Cristo essi possono condurre gli uomini, spesso afflitti dalla prova, a rendere gloria al Padre che è nei cieli (5,13-16). La seconda parte, la più ampia, è chiaramente suddivisa in tre blocchi, secondo lo stile di Matteo, che ama le composizioni ternarie: 5,17-48; 6,1-18; 6,19-7,12. Il primo blocco commenta i precetti della Legge mostrando come il Regno di Dio non venga ad abolirli, ma ad interiorizzarne l obbedienza e a radicalizzarne la portata, per una perfezione, alla maniera del Padre celeste, possibile solo per grazia (5,48). Il secondo blocco rafforza il movimento dell osservanza nella direzione dell interiorità, invitando a compiere i gesti della devozione religiosa diretti a Dio e agli uomini nel segreto del cuore e nella fuga da ogni esteriorità. Anche qui è evidente il movimento ternario in riferimento alla triade: elemosina, preghiera e digiuno. Il terzo blocco sembra il meno strutturato: contiene detti diversi che possono forse essere ricapitolati nell affermazione di un 18

20 primato reale dell opera di Dio, come grazia che tutto precede, in vista di una semplificazione ed essenzializzazione in cui si punta ormai all unico necessario, come ricapitolazione di tutta la Legge. L unico tesoro da cercare (6,19-21) e l unico padrone da servire (6,24), nello sguardo immune da invidie possessive e ottenebranti (6,22-23), da preoccupazioni ansiose e distraenti (6,25-34) e da giudizi laceranti e senza misericordia (7,1-5), si esprimono nell unica cosa da chiedere (7,7-11) e trovano sintesi nell unico principio che riassume tutta la Legge e i Profeti (7,12). Il movimento unificante che attraversa questo terzo blocco della seconda parte, ricorda il processo ricapitolativo ed unificante tutta la Legge, nell unico comandamento dello Shema, compiuto nel Deuteronomio (dall insieme dei comandamenti in Dt 5,1-6,3 alla ricapitolazione in Dt 6,4-9). La terza parte chiude, analogamente ai testi del patto di alleanza, con un monito di giudizio che pone davanti agli occhi di chi ascolta, attraverso la metafora della porta stretta, le due vie: la via della perdizione e la via della vita. La prima è larga e seducente, facile da imboccare, la seconda è invece stretta ed angusta, difficile non tanto da imboccare, quanto da trovare (7,13-14: il verbo «trovare», inserito qui da Matteo a differenza del passo parallelo di Lc 13,23-24, sposta l accento dallo sforzo etico dell uomo con i suoi tentativi, al senso di una scoperta che si opera nella grazia), dal momento che essa, come il mistero del Regno e della sua gratuità per i poveri, rimane nascosta alla sapienza mondana (11,25-27; 13, ). Le due vie ribadiscono il principio di discernimento già indicato per cui è preferibile ciò che è piccolo e nascosto, senza apparenza né esteriorità. Il criterio dell albero e dei frutti lo conferma (7,15-20): i frutti buoni del vero profeta non i richiami suadenti delle sembianze di pecora di cui è rivestito, ma le opere buone del discepolo che vive le beatitudini, visibili a coloro che condividono la sua povertà e piccolezza, perché rendano gloria al Padre dei Cieli (5,16). Similmente non è l esteriorità di chi compie miracoli nel nome di Cristo, ma il nascondimento di chi fa la sua volontà ad essere criterio del Regno (7,21-23). La metafora delle due case, al termine del discorso ribadisce il tutto, saldando insieme il tema del giudizio con quello della vera saggezza, nel discernimento di una condotta tesa a vivere quanto si è ascoltato (7,24-27). Anche qui torna, se si vuole il riferimento all esteriorità: non è la rapidità visibile con cui la casa esternamente si erge che Dio approva, ma la pazienza nascosta di scavare lentamente per porre il fondamento sulla roccia. La struttura appena illustrata ha al centro il blocco di 6,1-18, incentrato a sua volta sulla preghiera del Pater. Forse Matteo ha intenzionalmente dato tale centralità alla preghiera del Signore per due motivi: anzitutto il fatto che le sette domande del Pater, tra cui quella sull avvento del Regno, possono ben riassumere l insegnamento del monte; inoltre, non secondariamente il fatto che l insegnamento sul Regno non è una teoria da apprendere, ma una realtà vitale, che ha il suo autentico approdo nella relazione con Dio Padre, cioè nella preghiera. 5.2 Il discorso missionario (c. 10) Il discorso missionario rivela una struttura bipartita, alla luce del richiamo tra i detti di Gesù in 10,5s e 10,23, dove si limitano i destinatari della missione alle «pecore perdute della casa di Israele», espressione quasi tecnica che indica tutti quegli ebrei dispersi nelle città e villaggi della Galilea come minoranze in un contesto prevalentemente pagano, o coloro che, a motivo della loro condizione fisica, culturale e socio-economica sono spesso discriminati anche dalla religione ufficiale di Israele. La prima parte del discorso (10,1-23) dà istruzioni sulla modalità povera della missione, limitata all Israele disperso, e sulle conseguenze patite dagli inviati, con la garanzia dell assistenza dello Spirito operante in loro. La seconda parte (10,24-42) riprende quasi in parallelo diversi elementi della prima, indicando nelle persecuzioni che attendono i missionari il grado di somiglianza con il loro maestro inviante (10, , che riprende 10,16-20), esortandoli ancora a proclamare apertamente e senza timore la verità del Regno (10,26-27, che riprende ) e rassicurandoli ancora sull assistenza di Dio, nonostante la loro testimonianza provochi l opposizione, anche dei loro familiari (10,34-39, che ribadisce quanto già detto in 10,21-23). Al centro di tutto il discorso si trova una considerazione capitale, nella quale si offre agli inviati un criterio fondamentale per valutare l autenticità del loro affidamento: si tratta non del perseguimento 19

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