Sentenze interessanti N.11/2013

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1 1) Consiglio di Stato n del 20 marzo 2013 domanda di conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro subordinato diniego fondato sull insussistenza del requisito normativo illegittimità del diniego E infondato l appello dell Amministrazione e la sentenza impugnata va confermata. La Sezione invero condivide appieno le puntali ed esaurienti argomentazioni già svolte, in fatto e in diritto, dai giudici di prime cure, che non necessitano di integrazioni di sorta. L art. 14 del D.P.R. n. 394/1999 non pone alcuna preclusione esplicita alla conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro subordinato e la tipologia dei casi di conversione non può intendersi affatto tassativa né può giustificare un interpretazione restrittiva della sua portata. Tant è, come sottolinea il TAR, che laddove la norma ha inteso escludere tale possibilità lo ha esplicitamente previsto (cfr. art. 40 del D.P.R. n. 394/19. Né lo stesso art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998 stabilisce alcuna limitazione in ordine ai motivi di rilascio del permesso e quindi ai motivi religiosi, ed anzi prevede la valutazione degli elementi nuovi sopravvenuti, che nella fattispecie non risulta effettuata. Riferimenti normativi art. 14, Regolamento 2) TAR Lazio n del 27 marzo 2013 diniego di visto turistico per rischio migratorio illegittimità del diniego con condanna al risarcimento del danno a carico dell Amministrazione E accolto il ricorso avverso il provvedimento di diniego di rilascio di visto turistico, motivato sul rischio migratorio, e si condanna l Amministrazione a risarcire il danno nella misura di 410,00. Il ricorrente ha dimostrato sia la titolarità di un conto corrente con fondi per circa 8.000,00 euro, ovvero per somma non disprezzabile in Marocco, sia di svolgere attività di lavoro a tempo indeterminato presso un istituto di credito. Tali elementi, di per sé, escludono che egli possa essere ritenuto nullatenente ed indicano, in particolar modo il rapporto lavorativo, un radicamento sul territorio marocchino che l Amministrazione non ha tenuto in alcuna considerazione. Anzi, ponendo a raffronto il reddito del ricorrente con quello medio erogato dagli istituti di credito marocchini, anziché con il reddito medio di un cittadino marocchino, ha operato una valutazione esorbitante rispetto al fine di verificare se le condizioni di vita del ricorrente fossero così precarie, da indurlo alla migrazione. Riferimenti normativi art. 4, comma 3, periodi 1 e 2, TU art. 5, comma 6, lettera c), Regolamento 3) TAR Lazio n del 23 marzo 2013 domanda di concessione di cittadinanza italiana diniego motivato sull insufficienza del requisito reddituale legittimità del diniego E legittimo il provvedimento di diniego della domanda di concessione di cittadinanza italiana, opposto allo straniero risultato carente sotto il profilo reddituale. Correttamente l Amministrazione può porre a base del diniego di riconoscimento della cittadinanza una appurata carenza del requisito reddituale in capo all istante, atteso che la congruità dei redditi dell aspirante deve essere tale da garantire in ogni caso l autosufficienza economica e che tale valutazione, nel silenzio della legge, deve essere effettuata avendo come parametro di riferimento l ammontare prescritto per l esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la propria famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale. Riferimenti normativi art. 9, comma 1, lettera f), legge n. 91/1992 art. 3, decreto legge n. 382/1989 convertito in legge n. 8/ /04/2013 1/80

2 4) TAR Lazio n del 12 marzo 2013 diniego di rinnovo di permesso di soggiorno per lavoro stagionale non applicabilità della modifica introdotta dal decreto legge n. 5 del 2012 legittimità del diniego E respinto il ricorso avverso il provvedimento di diniego di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale. La normativa ratione temporis vigente, alla data di adozione del provvedimento impugnato, non prevedeva la possibilità di una proroga del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale e lo straniero, ove interessato ad un ulteriore periodo di lavoro stagionale (che, cumulato con quello già svolto, non superava, in ogni caso la durata massima dei nove mesi), era tenuto a rientrare nel paese di provenienza per ottenere il rilascio di un ulteriore visto da parte dell autorità consolare e quindi di un ulteriore permesso di soggiorno. Dunque, solo a partire dal 7 aprile 2012 ma tale non è il caso di specie è stata assentita al lavoratore extracomunitario, in caso di nuova opportunità di lavoro stagionale offerta dallo stesso o da altro datore di lavoro, la possibilità di conseguire il rinnovo del permesso di soggiorno senza uscire dal territorio nazionale. Riferimenti normativi art. 24, commi 3, 3 bis e 4, TU art. 17, commi 2 e 3, decreto legge n. 5/2012 convertito in legge n. 35/2012 5) TAR Lazio n del 6 marzo 2013 domanda di rilascio di permesso di soggiorno per lavoro subordinato rigetto motivato da pregresso decreto di espulsione non accompagnato dalla autorizzazione ministeriale al reingresso legittimità del rigetto E legittimo il provvedimento di rigetto della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, opposto a cittadino straniero attinto da un pregresso decreto di espulsione e privo della autorizzazione ministeriale al reingresso. Nel caso di specie dal ricorso non emerge alcuna prova della data in cui il ricorrente è effettivamente uscito dal territorio nazionale. Ne consegue che anche volendo, in sintonia con la tesi patrocinata in gravame, ipotizzare una automatica riduzione da 10 a 5 anni del termine del divieto di rientro nel territorio nazionale in ogni caso, parte ricorrente non ha, in alcun modo, soddisfatto i requisiti probatori dimostrando, come era suo onere attraverso l attestazione data dal timbro d uscita apposto sul passaporto, ovvero da ogni altro documento la sua assenza dal territorio dello Stato per un periodo almeno quinquennale. Riferimenti normativi artt. 4, comma 6 e 13, comma 13, TU artt. 19 e 19 bis, Regolamento 6) TAR Lazio n del 6 marzo 2013 domanda di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo diniego motivato dall insufficienza reddituale del richiedente impossibilità di tener conto del reddito della consorte legittimità del diniego E legittimo il provvedimento di diniego di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, opposto a cittadino straniero risultato carente sotto il profilo reddituale. Non può trovare accoglimento la tesi del ricorrente che lamenta che l Amministrazione avrebbe omesso di considerare che la sua consorte lavora regolarmente e produce un reddito in grado di assicurare una vita dignitosa per entrambi. In proposito, corre l obbligo di rilevare che, per quanto riguarda i modelli CUD per gli anni 2008 e 2009 della consorte del ricorrente, trattasi di elementi esibiti solo in corso di causa e che ovviamente non sono stati messi a disposizione dell Amministrazione non fosse altro perché postumi rispetto all atto impugnato. Quindi al momento dell adozione dell atto gravato non vi era alcun nuovo elemento sopraggiunto rispetto a quelli desumibili dall originaria domanda che potesse indurre l Amministrazione ad una valutazione difforme da quella di cui si discute. Altrimenti si finirebbe con il considerare illegittimo un provvedimento sulla base di circostanze di fatto emerse in epoca successiva al provvedimento stesso. In ogni caso, anche volendo dare peso ai redditi della consorte del ricorrente, il reddito complessivo della famiglia di quest ultimo rimane inferiore a quello richiesto dall art. 26, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998, e cioè il possesso di un reddito superiore all ammontare prescritto per l esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, indicatore, quest ultimo, di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale. 16/04/2013 2/80

3 Riferimenti normativi artt. 4, comma 3, 5, comma 5 e 26, comma 3, TU art. 3, decreto legge n. 382/1989 convertito in legge n. 8/1990 7) TAR Lazio n del 6 marzo 2013 nulla osta per lavoro stagionale visto d ingresso mancata instaurazione del rapporto di lavoro col datore richiedente il visto d ingresso per lavoro stagionale instaurazione di un rapporto di lavoro con un datore diverso diniego della domanda di rilascio del permesso di soggiorno motivato dalla diversità del rapporto di lavoro instaurato rispetto a quello originariamente autorizzato omessa valutazione circa la non imputabilità al lavoratore di circostanze a quest ultimo non ascrivibili illegittimità del diniego E illegittimo il provvedimento di rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, motivato dal fatto che il ricorrente aveva ottenuto il visto d ingresso per prestare il lavoro stagionale, mentre il contratto di soggiorno allegato all istanza prevedeva lo svolgimento dell attività lavorativa domestica a tempo indeterminato alle dipendenze di un datore di lavoro diverso da quello che richiese (e poi ottenne) il nulla osta. Anche nel caso di lavoro stagionale deve ritenersi applicabile l art. 22, comma 11, del D.Lgs. n. 286/1998, trattandosi di norma a tutela della parte debole del rapporto di lavoro; il lavoratore straniero, una volta entrato in Italia per prestare regolare attività lavorativa, non può essere lasciato all arbitrio del datore di lavoro senza disporre di alcuna tutela: l ordinamento prevede che in caso di perdita del posto di lavoro (alla quale deve essere equiparata la mancata stipulazione del contratto di soggiorno dopo aver ottenuto il regolare nulla osta) l Amministrazione debba esaminare compiutamente la vicenda al fine di verificare se dietro la mancata stipula del contratto di soggiorno si nasconda la fittizietà della richiesta di nulla osta, al fine di eludere la normativa sull immigrazione, ovvero se, invece, sussista l impossibilità di stipulare il contratto di soggiorno da parte del datore di lavoro per ragioni legittime, dovendo valutare, in quest ultimo caso, l opportunità di provvedere al rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, mentre nell altro caso qualora emergano fatti di rilevanza penale dovrà interessare della vicenda la Procura della Repubblica. Riferimenti normativi artt. 22, comma 11 e 24, TU 8) TAR Lazio n del 4 marzo 2013 diniego visto d ingresso per turismo motivato sul rischio migratorio correttezza del quadro probatorio compiuto dall Amministrazione legittimità del diniego E respinto il ricorso avverso il provvedimento di diniego della domanda di rilascio del visto d ingresso per turismo, motivato dal rischio migratorio. E poco plausibile che un soggetto, che intenda recarsi in Italia per motivi turistici e che ivi è già stato per le medesime ragioni, non sia in grado di specificare i luoghi già visitati, la natura dell amicizia che lo legherebbe a quelli che egli assume essere suoi amici italiani, possa assentarsi dal proprio posto di lavoro per un periodo, a titolo di congedo, incompatibile con un ben più breve periodo di congedo concesso ai lavoratori nel suo Paese. Implausibilità, queste, che rendono non manifestamente irragionevole il giudizio dell Ambasciata circa i reali motivi dell ingresso della ricorrente in Italia, riconducendoli a una possibile ragione di non consentita immigrazione. Riferimenti normativi art. 4, comma 3, periodi 1 e 2, TU art. 5, comma 6, lettera a), Regolamento 9) TAR Lazio n del 26 febbraio 2013 domanda di rinnovo di permesso di soggiorno diniego motivato dall insufficienza dei mezzi di sostentamento omessa valutazione circa il possesso di ulteriori redditi e dei legami familiari soggetto convivente con i genitori divenuti cittadini italiani requisito di inespellibilità illegittimità del diniego E illegittimo il provvedimento di diniego di rinnovo di permesso di soggiorno, motivato dall insufficienza dei mezzi di sostentamento. In detto provvedimento si è omesso di considerare che il ricorrente vive col proprio nucleo familiare, provvedendo al proprio sostentamento mediante la coltivazione del terreno di sua 16/04/2013 3/80

4 proprietà e l allevamento di animali, che i genitori sono cittadini italiani e che pertanto egli risulta per legge inespellibile e si trova in Italia da molti anni e i rapporti col Paese d origine sono da ritenersi ormai inesistenti. Alla luce di tali considerazioni si imponeva, pertanto, all Amministrazione l onere di verificare se il rinnovo del permesso di soggiorno non potesse essere concesso ad altro titolo rispetto a quello richiesto e ciò ai sensi dell art. 5, comma 9, del D.Lgs. n. 286/1998. Riferimenti normativi artt. 4, comma 3 e 5, commi 5 e 9, 19, comma 2, lettera c), TU artt. 13, comma 2 e 28, comma 1, lettera b), Regolamento 10) TAR Lazio n del 26 febbraio 2013 richiedente protezione internazionale trasferimento del ricorrente, ai fini della disamina della domanda, dall Italia alla Svizzera legittimità del trasferimento E respinto il ricorso avverso il provvedimento, col quale è stato disposto il trasferimento del ricorrente, ai fini dell esame della sua domanda di asilo, in Svizzera. Diversamente dalla disposizione normativa che il ricorrente pretenderebbe essere, quella applicabile (art. 17 del Regolamento Dublino II ), il caso di specie rientra viceversa nell ipotesi degli artt. 16 e 20 del Regolamento CE 343/2003, che disciplina la distinta figura della ripresa in carico, ovvero l ipotesi in cui versa il richiedente asilo che abbia già presentato una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro ed abbia poi successivamente presentato una seconda richiesta presso un altro Stato. In siffatta ipotesi, il combinato disposto dei surriferiti articoli prevede che il cittadino extracomunitario debba essere ritrasferito nello Stato in cui ha presentato la prima domanda di asilo, perché sia completato il percorso procedimentale avviato con la presentazione della (prima) domanda di asilo, ma non prevede il termine trimestrale cui fa riferimento il ricorrente. Riferimenti normativi artt. 16, 17 e 20, Regolamento CE 343/2003 artt. 3, comma 3 e 26, comma 3, D.Lgs. n. 25/ /04/2013 4/80

5 N /2013REG.PROV.COLL. N /2013 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1462 del 2013, proposto da: Ministero dell'interno, rappresentato e difeso per legge dall'avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; contro rappresentata e difesa dall'avv. Maria Rosaria Damizia, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, viale Carso n. 23; per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO ROMA- SEZIONE II QUATER n /2012, resa tra le parti, concernente diniego 16/04/2013 5/80

6 rinnovo/conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2013 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti gli avvocati Damizia e dello Stato Santoro; Visto l'articolo 60 c.p.a.; Considerato che sussistono i presupposti per definire il giudizio nel merito ai sensi della citata disposizione della cui applicabilità è stato dato avviso alle parti presenti alla camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza incidentale di sospensione della sentenza impugnata formulata dall'appellante; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Roma Sezione Seconda Quater, con sentenza n del 15 novembre 2012 depositata il 14 dicembre 2012, ha accolto, con condanna dell'amministrazione alle spese di giudizio, il ricorso proposto dalla signora cittadina del Congo, avverso il provvedimento in data 19 settembre 2011 con cui il Questore di Rieti ha respinto l'istanza di rinnovo/conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro subordinato, perché 16/04/2013 6/80

7 non consentita dalla normativa vigente (articolo 14 del D.P.R. n. 394 del 1999 modificato dal D.P.R. n. 334 del 2004). Il T.A.R. ha invece sostenuto che la tipologia dei permessi di soggiorno oggetto di conversione indicata dalla normativa non fosse tassativa e quindi non escludesse la conversione da motivi religiosi anche se non citata esplicitamente, e che, d'altra parte, quando si è inteso escludere tale possibilità, l'inconvertibilità è stata espressamente sancita. Lo stesso articolo 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286 del 1998 non pone alcuna limitazione ai motivi giustificativi del rinnovo del permesso anche se diversi da quelli posti a base dell'originario permesso, e d'altronde la ricorrente era presente in Italia da circa 10 anni e ha sempre svolto attività lavorativa. Per di più sarebbe illogico imporre il rientro nel proprio Paese solo a causa della rinuncia alla vita monacale. 2. Il Ministero dell'interno, con atto notificato il 14 febbraio 2013 e depositato il 27 febbraio 2013, ha interposto appello, con domanda di sospensiva, deducendo la tipicità e quindi la tassatività dei casi previsti dal citato articolo 14, nei quali è consentita la conversione del permesso di soggiorno, e pertanto il carattere vincolato del provvedimento questorile. Sottolinea la finalità della normativa volta a tutelare e a controllare il regolare afflusso degli stranieri. 3. La signora si è costituita con memoria depositata il 1 marzo 2013, a sostegno della legittimità della sentenza impugnata. 16/04/2013 7/80

8 Ripropone la censura circa l'omessa applicazione della direttiva CE 2003/109, concernente lo status dei cittadini terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, recepita con D.Lgs. 8 gennaio 2007 n. 3 e quindi prima dell'emanazione del provvedimento impugnato. In effetti l'interessata risiedeva in Italia dal 2002 e quindi ben poteva essere annoverata fra i soggiornanti di lungo periodo, posto che la direttiva ha fissato a tal fine il termine di 5 anni e non prevede alcuna preclusione per motivi religiosi come peraltro l'articolo 9 del D.Lgs. n. 286 del 1998 novellato dal citato D.Lgs. n. 3 del 2007; per di più la ricorrente è in possesso di sufficienti risorse economiche. Insiste ancora, in via subordinata, per il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Giustizia. 4. La causa, alla camera di consiglio del 15 marzo 2013, presenti i legali delle parti, è stata trattenuta in decisione ai sensi dell'articolo 60 c.p.a.. 5. L'appello è infondato e la sentenza impugnata va confermata. La Sezione invero condivide appieno le puntuali ed esaurienti argomentazioni già svolte, in fatto e in diritto, dai giudici di prime cure, che non necessitano di integrazioni di sorta. In effetti, la normativa richiamata nel provvedimento del Questore di Rieti non pone alcuna preclusione esplicita alla conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro subordinato e la tipologia dei casi di conversione non può intendersi affatto tassativa ( Ubi lex non dixit, non voluit ) né può giustificare un interpretazione restrittiva della sua portata. 16/04/2013 8/80

9 Tant'è, come sottolinea il T.A.R., che laddove la norma ha inteso escludere tale possibilità lo ha esplicitamente previsto (cfr. art. 40 D.P.R. n. 394/1999). Né lo stesso articolo 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998 stabilisce alcuna limitazione in ordine ai motivi di rilascio del permesso e quindi ai motivi religiosi, ed anzi prevede la valutazione degli elementi nuovi sopravvenuti, che nella fattispecie non risulta effettuata. Infatti l'appellante ha sempre lavorato, dapprima come religiosa e, quindi, ottenuta la dispensa dai voti, come lavoratrice subordinata in Rieti, per cui non si comprendono i motivi, come sottolinea il giudice di primo grado, che impediscono la permanenza in Italia sol perché l'interessata ha abbandonato la vita monacale, di fatto così imponendo, ai fini della permanenza e della conversione del titolo, di mantenere comunque lo status di religiosa. Sovviene altresì il richiamato D.Lgs. n. 3 del 2007, recante l'attuazione della direttiva 2003/109/CE, entrato in vigore prima dell'emanazione del decreto del Questore di Rieti. In conclusione, quel decreto è illegittimo per difetto del presupposto e va annullato come disposto dal T.A.R., salvi gli eventuali provvedimenti di competenza dell'amministrazione alla luce della presente pronuncia. 6. Per le considerazioni che precedono l'appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata. Le spese seguono la soccombenza, non essendovi ragione per disporre diversamente, visto che le deduzioni della parte appellante 16/04/2013 9/80

10 avevano già ricevuto adeguate risposte dalla sentenza di primo grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l effetto conferma la sentenza impugnata. Condanna il Ministero dell Interno al pagamento delle spese del grado in favore della controparte costituita liquidandole in 1500,00 (millecinquecento) oltre agli accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati: Pier Luigi Lodi, Presidente Bruno Rosario Polito, Consigliere Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore Angelica Dell'Utri, Consigliere Hadrian Simonetti, Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 20/03/ /04/ /80

11 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 16/04/ /80

12 N /2013 REG.PROV.COLL. N /2012 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4855 del 2012, proposto da: rappresentato e difeso dall'avv. Gennaro Santoro, con domicilio eletto presso Gennaro Santoro in Roma, viale Carso, 23; contro Ministero degli Affari Esteri, Consolato Generale di Casablanca, Ministero dell'interno, rappresentati e difesi per legge dall'avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l'annullamento rigetto domanda volta ad ottenere il visto di ingresso per motivi di turismo - risarcimento danni 16/04/ /80

13 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero degli Affari Esteri e di Consolato Generale di Casablanca e di Ministero dell'interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2013 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il ricorrente impugna il diniego di visto turistico oppostogli dal Consolato di Casablanca con atto notificato il 27 dicembre 2011 ed adottato il 12 ottobre precedente, e formula altresì domanda di risarcimento danni. L atto è stato assunto, poiché l amministrazione ha ritenuto sussistere il cd. rischio migratorio. Il ricorso denuncia violazione di legge, carenza di motivazione e difetto di istruttoria. In particolare, il ricorrente afferma di avere comprovato la titolarità di tutti i requisiti indicati dal reg. 810/09 CE e dal d.p.r. n. 394 del 1999 ai fini del visto (primo motivo); aggiunge che l amministrazione ha fissato il colloquio per valutare la domanda dopo la scadenza del periodo per il quale il visto era stato chiesto (7 agosto-23 agosto 2011), incorrendo in carenza istruttoria (secondo motivo); lamenta la violazione dell art. 10 bis della l. n. 241 del /04/ /80

14 I primi due motivi di ricorso sono fondati. Il ricorrente ha posto a base della domanda di visto un interesse meritevole di tutela (l intenzione di trascorrere le ferie con una cittadina italiana alla quale è legato sentimentalmente), ed ha assolto agli oneri imposti dalla normativa ai fini dell ottenimento del visto (sono stati depositati la lettera di invito; ricevuta dei biglietti aerei di andata e ritorno; una polizza assicurativa e una fideiussione bancaria a garanzia dei mezzi di sussistenza). Questo Tribunale ha già affermato che l amministrazione, pur non essendo tenuta a motivare il diniego di visto turistico per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico (art. 4 del d.lgs. n. 286 del 1998), è ugualmente onerata in giudizio della dimostrazione di avere adeguatamente e congruamente valutato la fattispecie. La relazione depositata a tal fine dal Consolato si limita a rilevare che il rischio migratorio è stato dedotto: a) dal fatto per cui il reddito del ricorrente è inferiore alla media degli stipendi erogati dalle aziende creditizie marocchine ; b) dal fatto che egli non possiede beni immobili in Marocco, al punto da essere giudicato nullatenente. Si tratta di conclusione palesemente incongrua, e perciò viziata. Il ricorrente ha dimostrato sia la titolarità di un conto corrente con fondi per circa 8000,00 euro, ovvero per somma non disprezzabile in Marocco, sia di svolgere attività di lavoro a tempo indeterminato presso un istituto di credito. Tali elementi, di per sé, escludono che egli possa essere ritenuto nullatenente, ed indicano, in particolar modo il rapporto 16/04/ /80

15 lavorativo, un radicamento sul territorio marocchino che l amministrazione non ha tenuto in alcuna considerazione. Anzi, ponendo a raffronto il reddito del ricorrente con quello medio erogato dagli istituti di credito marocchini, anziché con il reddito medio di un cittadino marocchino, ha operato una valutazione esorbitante rispetto al fine di verificare se le condizioni di vita del ricorrente fossero così precarie, da indurlo alla migrazione. Al fine di dimostrare l eccesso di potere, sub specie di carenza di istruttoria, non può poi trascurarsi che il colloquio con il ricorrente, teso a verificarne gli intenti, è stato fissato dopo la scadenza del periodo di vacanza per il quale il visto era stato domandato, tradendo in tal modo un approccio dell amministrazione pregiudizialmente contrario all accoglimento dell istanza. Tali elementi conducono, in definitiva, all annullamento dell atto impugnato, con assorbimento della censura relativa alla violazione dell art. 10 bis della L. n. 241 del È altresì fondata la domanda di risarcimento danni. È stato infatti dimostrato che l amministrazione ha adottato un atto illegittimo, e non sono stati indicati da quest ultima elementi idonei a comprovare il difetto di dolo o colpa. Né vale osservare che l amministrazione avrebbe potuto comunque rigettare la domanda di visto con altra, più congrua motivazione. Infatti, nel peculiare caso di specie, tale motivazione, legittimamente omessa in sede di adozione dell atto, avrebbe dovuto sopravvenire proprio nel corso del giudizio: proprio il fatto che essa abbia continuato a mancare dimostra che il visto avrebbe dovuto essere rilasciato. 16/04/ /80

16 Sono perciò risarcibili, in quanto spese causalmente legate all atto illecito: a) 110,00 euro per la polizza fideiussoria; b) 60,00 euro per l assicurazione; c) 140,00 euro per i biglietti aerei; 100,00 euro per i 7 viaggi compiuti per raggiungere il Consolato, per un totale di euro 410,00. Non sono risarcibili a titolo di danno le spese legali di euro 1240,00, né sono stati comprovati altri danni patrimoniali: non ricorrono gli estremi per risarcire il danno in via equitativa, come richiesto, atteso che il diniego di visto turistico lede un interesse legittimo del richiedente, e non certo un diritto costituzionalmente garantito. La somma di euro 410,00, costituendo debito di valore, andrà rivalutata secondo indici Istat dal 12/10/2011 (data del fatto illecito) fino alla data di pubblicazione della presente sentenza; gli interessi legali andranno computati giorno per giorno fino al saldo. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in euro 1200,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, Annulla l atto impugnato. Condanna l amministrazione a risarcire il danno, che liquida in euro 410,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come in motivazione. Condanna l amministrazione a rifondere le spese, che liquida in euro 1200,00, oltre accessori di legge. 16/04/ /80

17 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati: Elia Orciuolo, Presidente Giampiero Lo Presti, Consigliere Marco Bignami, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 27/03/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 16/04/ /80

18 N /2013 REG.PROV.COLL. N /2010 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4769 del 2010, proposto da: rappresentato e difeso dall avv. Ameriga Petrucci ed elettivamente domiciliato presso lo Studio dell avv. Emanuela Reggio in Roma, Via Tuscolana, n. 1400; contro il MINISTERO DELL INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; per l'annullamento, previa sospensione dell efficacia - del provvedimento di rigetto dell istanza di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91 del 1992, avanzata dal ricorrente; 16/04/ /80

19 - di ogni altro atto e provvedimento presupposto, connesso e conseguente. Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la costituzione in giudizio dell Amministrazione intimata nonché i documenti prodotti; Visti gli atti tutti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2013 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il ricorrente, cittadino del Marocco e residente in Italia a Melfi (provincia di Potenza), ha impugnato il provvedimento prot. n. K10/ del 28 ottobre 2009 con il quale i competenti uffici del Ministero dell interno hanno respinto l istanza dallo stesso proposta al fine di ottenere la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91. Egli precisa di essere entrato in Italia nel 1989 per motivi di lavoro e di essere titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, di talché ha presentato in data 11 settembre 2006 istanza di concessione della cittadinanza italiana che, tuttavia, è stata respinta con il qui gravato provvedimento. Egli contesta la legittimità di quest ultimo in quanto: A) con esso sarebbe stato violato l art. 8, comma 2, della legge n. 91 del 1992 il quale stabilisce che la emanazione di una decisione di rigetto dell istanza di concessione della cittadinanza è preclusa 16/04/ /80

20 quando sia spirato il termine di due anni dalla presentazione dell istanza, corredata dalla prescritta documentazione. Nel caso di specie, quindi, essendo trascorsi oltre tre anni dalla data di presentazione dell istanza, l Autorità ha visto consumarsi il potere di negare il riconoscimento della cittadinanza all odierno ricorrente; B) l adozione del provvedimento di diniego, comunque, non è stata preceduta dalla comunicazione del preavviso ai sensi dell art. 10-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, impedendo quindi l Amministrazione ogni esercizio di diritto partecipativo all interessato; C) il provvedimento in questione non reca neppure una adeguata motivazione circa le ragioni che avrebbero indotto l Autorità a denegare la richiesta cittadinanza e neppure vi sono tracce di riferimenti per relationem ad elementi idonei a disvelare il formarsi della volontà negativa con riferimento all istanza presentata. 2. Costituitasi l Amministrazione resistente in giudizio, essa ha depositato copia del preavviso di diniego del 27 aprile 2009 trasmesso, per raccomandata A.R., all odierno ricorrente e rispetto alla cui comunicazione si ebbe a realizzarsi la compiuta giacenza, oltre ad ulteriore documentazione. 3. Alla pubblica udienza del 17 gennaio 2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione I motivi di censura dedotti con il ricorso non sono fondati ed il gravame va quindi respinto. Nel preavviso di diniego trasmesso all odierno ricorrente dai competenti uffici del Ministero dell interno si legge che dai documenti acquisiti agli atti, è emerso che il reddito percepito ( ) 16/04/ /80

21 nell anno 2006, pari a 6.719,00, è insufficiente per un cittadino straniero che chiede la cittadinanza con a carico il coniuge e 2 figli ; nel contempo si chiedeva all interessato di trasmettere le fotocopie dei modelli fiscali relative ai redditi percepiti e dichiarati dal 2007 al La prima parte di tale contenuto, esplicativa della ragione che ha imposto agli Uffici di non accogliere la domanda di cittadinanza per come presentata dall interessato, è pianamente riprodotta nel corpo del provvedimento qui impugnato. Come è noto le determinazioni dell'amministrazione sulle domande di concessione della cittadinanza italiana al cittadino straniero, che risieda in Italia da oltre dieci anni, e si trovi quindi nella condizione di cui all'art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91, sono non vincolate (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 766 e 26 gennaio 2010 n. 282) ma a carattere discrezionale. L'Amministrazione, pertanto, dopo aver accertato l'esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale; sicché non può ritenersi illegittimo, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 91 del 1992, il provvedimento con il quale viene negata la cittadinanza italiana sulla base di considerazioni di carattere economico patrimoniale, relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 1999 n. 1474). 16/04/ /80

22 In particolare, il rilascio o il diniego di cittadinanza, concernendo il conferimento di uno status di rilevante importanza pubblica, comporta valutazioni essenzialmente discrezionali, in cui l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico. Lo straniero viene infatti con tale provvedimento inserito a pieno titolo nella collettività nazionale, acquisendo tutti i diritti ed i doveri che competono ai suoi membri, tra i quali non assume un ruolo secondario il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale all'erogazione dei servizi pubblici essenziali. La verifica della Amministrazione in ordine ai mezzi di sostentamento dell'istante non è pertanto soltanto funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale; ma è anche funzionale all'accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia poi in grado di assolvere i ricordati doveri di solidarietà sociale. Ne deriva che, essendo affidato ad una valutazione ampiamente discrezionale, il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un danno e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. Il parametro sindacatorio è, quindi, quello della abnormità/irragionevolezza, e si estende, ovviamente, all'elemento "sfavorevole" al richiedente valorizzato dall'amministrazione e 16/04/ /80

23 sotteso al diniego (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011 n. 5913). 5. Precisato quanto sopra segue che, correttamente, l'amministrazione può porre a base del diniego di riconoscimento della cittadinanza una appurata carenza del requisito reddituale in capo all'istante, atteso che la congruità dei redditi dell'aspirante deve essere tale da garantirne in ogni caso l'autosufficienza economica e che tale valutazione, nel silenzio della legge, deve essere effettuata avendo come parametro di riferimento l ammontare prescritto per l esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall art. 3 del decreto legge n. 382 del 25 novembre 1989, convertito in legge 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall art. 2, comma 15, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, fissato in 8.263,31 annui, incrementato a ,05 annui in presenza di coniuge a carico e di ulteriori 516,00 annui per ciascun figlio a carico, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale. Ciò costituisce un requisito minimo indefettibile, in assenza di particolari benemerenze, che possano compensare l insufficienza del reddito dichiarato, di talché l insufficienza reddituale può costituire causa idonea ex se a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro: situazione la cui persistenza, comunque, è assicurata dalla carta di soggiorno (cfr., tra le più recenti, T.A.R. Lazio, Sez. II, 9 maggio 2012 n. 4189). 16/04/ /80

24 Tenuto conto di quanto sopra, agli atti del processo non risulta che le dichiarazioni dei redditi dell odierno ricorrente, prodotte in giudizio fino al CUD 2010 abbiano mai raggiunto la soglia minima di cui sopra. Tale riscontro documentale esclude che possano trovare conferma le doglianze dedotte dal ricorrente. Per quanto riguarda la censura inerente la tardiva emanazione dell atto, basti osservare che l invocato termine biennale è previsto dalla legge solo con riferimento alle istanze volte alla concessione della cittadinanza per matrimonio, per cui non si applica all odierna fattispecie. 6. Per quanto concerne la pretesa mancata comunicazione del preavviso di diniego, l Amministrazione ha dimostrato (anche con documentazione versata in atti) di avere trasmesso il ridetto atto di preavviso adottato in data 27 aprile 2009 con raccomandata A.R. e che la comunicazione si sarebbe perfezionata in data 7 maggio 2009, per compiuta giacenza. Peraltro non risulta che la nota recante il preavviso di diniego sia stata notificata nelle forme degli atti giudiziari né tantomeno che siano stati compiuti tutti gli adempimenti prescritti dall'articolo 8 della legge n. 890 affinché al compimento del decimo giorno dalla scadenza si determini l'effetto di conoscenza legale dell'atto notificato. Infatti negli atti acquisiti al processo risulta la copia fotostatica di un ordinario avviso di ricevimento di una raccomandata postale (e non un atto giudiziario) recante l'annotazione a penna (presumibilmente vergata dall'addetto al recapito) "avv " e una sorta di sigla illeggibile. Da ciò si 16/04/ /80

25 desume che il Ministero si è limitato a spedire all odierno ricorrente una normale raccomandata con avviso di ricevimento (non esistendo obbligo per le amministrazioni pubbliche di comunicare i propri atti mediante notifica secondo le forme previste per gli atti giudiziari, per come chiaramente indicato nell art. 21-bis della legge n. 241 del 1990) e che, non avendo il portalettere trovato il destinatario, stante la sua momentanea assenza, né persona idonea a ricevere l'atto, egli si sia limitato a immettere nella cassetta postale l'avviso di giacenza (senza avere necessità di provvedere, come accade per la notifica degli atti giudiziari, ad effettuare un ulteriore tentativo di consegna ed a registrarlo sulla cartolina di avviso di ricevimento): in questi casi il perfezionamento della comunicazione presuppone il compimento del periodo di giacenza di trenta giorni ovvero l'effettivo ritiro presso l'ufficio postale (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 1 aprile 2011 n. 305 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia 11 luglio 2008 n. 402). Nella fattispecie, dunque, non vi è stato perfezionamento del periodo di giacenza perché la compiuta giacenza è stata considerata come realizzata il 7 maggio 2009, per come si legge espressamente nel corpo del provvedimento qui impugnato e non, come sarebbe stato corretto, trenta giorni dopo. Precisato quanto sopra, tuttavia il Collegio ritiene, alla luce dei deficit sostanziali che caratterizzano la condizione dell interessato rispetto alla richiesta di cittadinanza, che le suesposte considerazioni conducono esclusivamente a considerare l incompleta modalità di trasmissione e conoscenza del preavviso di diniego quale un mero profilo di irregolarità del percorso procedimentale svolto dall Amministrazione, dal momento che essa non avrebbe potuto 16/04/ /80

26 comunque accogliere la domanda siccome presentata dall odierno ricorrente per le ragioni sopra ampiamente sviluppate. Resta comunque salva la possibilità di riproporre l'istanza di cittadinanza al verificarsi di tutte le condizioni legittimanti, non ostandovi il pregresso diniego, trattandosi di provvedimento reso sotto la condizione implicita rebus sic stantibus. 7. In ragione delle suesposte osservazioni il ricorso va respinto. Ad avviso del Collegio sussistono i presupposti, ai sensi dell art. 92 c.p.c., per come richiamato espressamente, dall art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti costituite. P.Q.M. definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati: Angelo Scafuri, Presidente Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere Stefano Toschei, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE 16/04/ /80

27 DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 23/03/2013 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 16/04/ /80

28 N /2013 REG.PROV.COLL. N /2012 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso n. 1593/2012 R.G. proposto da rappresentato e difeso dall avv. V. De Luca, presso il cui studio in Roma, via G. Pisanelli nr.2, è elettivamente domiciliato; contro il Ministero dell Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall Avvocatura generale dello Stato di Roma; per l'annullamento del provvedimento del Questore di Roma, notificato il , recante rigetto dell istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro stagionale. Visti il ricorso e i relativi allegati; 16/04/ /80

29 Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2013 il Consigliere Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il ricorrente, cittadino egiziano, già titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale con scadenza , ha impugnato, col ricorso introduttivo del corrente giudizio, il provvedimento col quale il Questore di Viterbo, investito della richiesta di rinnovo del citato titolo ne ha decretata la reiezione non consentendo l art.24 del d.l.lgs n.286 del 1998 la rinnovazione della citata abilitazione al soggiorno per motivi di lavoro stagionale. Ha dedotto le seguenti censure: a) violazione dell art.3 c.3 del d.p.r. n.394 del 1999, essendo stato il provvedimento gravato redatto esclusivamente in lingua italiana, a lui non comprensibile: vizio, questo, non sanato dalla produzione del ricorso in argomento; b) violazione degli artt. 3 e 10 bis della legge n.241 del L atto impugnato è stato adottato prima della scadenza del termine per la produzione di eventuali osservazioni e, inoltre, non tiene conto della memoria prodotta dal ricorrente; c) inosservanza dell art.3 c.4 del T.u. (nr. 286 del 1998). Non essendo stato emanato, per l anno 2012, alcun decreto volto a 16/04/ /80

30 stabilire la quota di lavoratori stagionali extracomunitari impiegabili nel Paese nei relativi settori, tale circostanza ha spinto l istante a presentare domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro stagionale direttamente dall Italia, non avendo egli altro modo di rimanervi legittimamente in assenza della previsione di flussi per l anno in corso. Si è costituita in giudizio l intimata amministrazione curando il deposito, per il tramite del Pubblico Patrocinio, di nota contro deduttiva in cui ha sottolineato la natura di atto dovuto del provvedimento impugnato e di non aver tenuto conto delle osservazioni presentate ai sensi dell art.10 bis citato, apparendo evidente la loro natura pretestuosa e inaccoglibile (in particolare laddove si evoca quanto sarebbe stato affermato da un dato Direttore generale delle Politiche Sociali sull impossibilità di emissione del decreto flussi per l anno 2012). In data la Difesa erariale ha depositato memoria nella quale ha, a più riprese, sottolineato che l istanza di rinnovo respinta col provvedimento avversato era per motivi di lavoro stagionale. All udienza del la causa è stata trattenuta per la relativa decisione. DIRITTO Con la domanda di giustizia in epigrafe, il ricorrente ha impugnato il provvedimento col quale il Questore di VT ha respinto l istanza (non unita in atti) volta al rinnovo, per motivi di lavoro stagionale, del precedente permesso di soggiorno rilasciato a tale titolo all interessato il ed in scadenza alla data del La causa, quindi, non attiene alla questione relativa alla conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in quello per lavoro a 16/04/ /80

31 tempo determinato o indeterminato (materia su cui si registra, in giurisprudenza, una significativa divergenza di indirizzi di pensiero: cfr. ad. es., la sent. di questa Sezione nr del e, sul versante opposto, la decisione del Cons. St. 21 febbraio 2012 n. 939); ma verte, in sostanza, sulle condizioni inerenti la proroga, sempre per motivi di lavoro stagionale, di un permesso già a tale titolo rilasciato e prossimo alla sua naturale scadenza. Il quadro normativo che regola la fattispecie in esame è dato, prioritariamente, dall art.24 del T.U. nr. 286 del 1998 ( di seguito: T.U.): disposizione che è stata di recente, e cioè a partire dal ) modificata con l aggiunta del comma 3 bis ad opera dell art.17 c.2 del d.l. n.5 del 1012 convertito, con modificazioni, nella legge nr.35. Orbene l art.24 citato ai commi 3 e 4 (la cui originaria versione è rimasta immutata) prevede che: - comma 3: << L'autorizzazione al lavoro stagionale ha validità da venti giorni ad un massimo di nove mesi, in corrispondenza della durata del lavoro stagionale richiesto, anche con riferimento all'accorpamento di gruppi di lavori di più breve periodo da svolgere presso diversi datori di lavoro.>>; - comma 4:<< Il lavoratore stagionale, ove abbia rispettato le condizioni indicate nel permesso di soggiorno e sia rientrato nello Stato di provenienza alla scadenza del medesimo, ha diritto di precedenza per il rientro in Italia nell'anno successivo per ragioni di lavoro stagionale, rispetto ai cittadini del suo stesso Paese che non abbiano mai fatto regolare ingresso in Italia per motivi di lavoro>> (Il rimanente periodo di tale comma concerne la conversione del 16/04/ /80

32 permesso di soggiorno per lavoro stagionale in quello per lavoro a tempo determinato o indeterminato ed è, pertanto, per le ragioni in precedenza esplicitate, estraneo alla fattispecie in esame). Dunque la normativa ratione temporis vigente, alla data di adozione del provvedimento impugnato, non prevedeva la possibilità di una proroga del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale e lo straniero, ove interessato ad un ulteriore periodo di lavoro stagionale (che, cumulato con quello già svolto, non superava, in ogni caso la durata massima dei nove mesi prevista dal comma 3), era tenuto a rientrare nel paese di provenienza per ottenere il rilascio di un ulteriore visto da parte dell autorità consolare e quindi di un ulteriore permesso di soggiorno (ved. anche il comma 6 dell art.24 del T.U. che così recita: << Il datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze, per lavori di carattere stagionale, uno o più stranieri privi del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito ai sensi dell'articolo 22, comma 12. >>. Tale regime è mutato, a partire dal con l aggiunta, ad opera del d.l. n. 5/2012 sopra evocato, del comma 3 bis in seno all art.24 del T.U. : detta disposizione ( Fermo restando il limite di nove mesi di cui al comma 3, l'autorizzazione al lavoro stagionale si intende prorogata e il permesso di soggiorno può essere rinnovato in caso di nuova opportunità di lavoro stagionale offerta dallo stesso o da altro datore di lavoro ) si completa, poi, con quella del comma 3 dell art.17 del decreto citato che così recita: << L'autorizzazione al lavoro stagionale di cui agli 38 e 38 bis del d.p.r. n.394 del 1999 può essere concessa, nel rispetto dei limiti temporali minimi e 16/04/ /80

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