ARGOMENTARE CORSO DI FILOSOFIA PER PROBLEMI MANUALE DI FILOSOFIA PER PROBLEMI COS E LA NATURA? PAOLO VIDALI GIOVANNI BONIOLO EDIZIONE DIGITALE

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1 CORSO DI FILOSOFIA PER PROBLEMI ARGOMENTARE MANUALE DI FILOSOFIA PER PROBLEMI PAOLO VIDALI GIOVANNI BONIOLO EDIZIONE DIGITALE COS E LA NATURA? PRESOCRATICI, PLATONE, ARISTOTELE, STOICISMO 2013 VERSIONE A STAMPA EDITA DA BRUNO MONDADORI, MILANO

2 COS E LA NATURA? PRESOCRATICI, PLATONE, ARISTOTELE, STOICISMO1 SOMMARIO 1. Introduzione... 3 Il problema della filosofia della natura nel mondo antico I Presocratici Gli esiti delle prime ricerche dei Presocratici Pluralismo, meccanicismo e teleologia nei Presocratici... 5 Testo 1 Anassagora... 5 Testo 2 Democrito Platone: la natura come organizzazione razionale Premesse teoriche La soluzione platonica... 8 Testo 3 Platone Strumenti filosofici presenti nella soluzione platonica Aristotele: la natura come principio di vita e movimento Premesse teoriche La soluzione aristotelica Testo 4 Aristotele Lo Stoicismo: la natura come ordine e necessità Premesse teoriche La soluzione stoica Testo 5 Lo Stoicismo Strumenti filosofici e limiti della soluzione stoica Laboratorio didattico Sez. A Il problema e il senso comune Sez. B Ripercorrere le diverse soluzioni Strumenti filosofici Il «principio dell empirismo» Sez. D Piano di discussione Bibliografia minima Scheda didattica Testi a integrazione Democrito Anassagora Platone La studio della natura come storia verisimile La formazione del cosmo Aristotele La natura della fisica Che cos è la natura La natura come causa finale Gli Stoici La razionalità del Lógos La struttura del cosmo Testo a cura di Mauro Sacchetto P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 2

3 COS E LA NATURA? PRESOCRATICI, PLATONE, ARISTOTELE, STOICISMO INTRODUZIONE: IL PROBLEMA DELLA FILOSOFIA DELLA NATURA NEL MONDO ANTICO Lo sforzo di spiegare che cosa sia la natura e quale la logica del suo comportamento, ancora prima di essere un tema capitale della ricerca filosofica, è perseguito già dal mito nella Grecia arcaica. Diversi miti cercavano infatti di chiarire l origine del cosmo e per questo sono stati poi detti cosmogonici (dal greco kósmos = cosmo e gígnesthai = nascere): uno, assai celebre, riportato nell Iliade di Omero (VIII sec. a.c.) racconta che l universo era stato generato dal dio fluviale Oceano e dalla sua sposa Teti. Il mito, termine che letteralmente significa parola, discorso e anche racconto, costituisce dunque già una spiegazione, ma viene ritenuto dai Greci un sapere immutabile a causa della sua antichità: le spiegazioni mitologiche erano percepite come un insieme di nozioni talmente remote e trasmesse in forma identica per tanti secoli (cosa peraltro non vera, perché nella sua trasmissione orale il mito subiva una serie amplissima di variazioni) che nessuno aveva il diritto di modificarlo. Il mito andava creduto così com era e non si sentiva il bisogno di sottoporlo a una qualche verifica: insieme alle credenze religiose, esso era parte essenziale di un ampio patrimonio di tradizioni e di nozioni che i greci condividevano. L irruzione della filosofia, tra il VII e il VI secolo a.c., mantiene la centralità delle tematiche cosmologiche, ma modifica radicalmente l atteggiamento intellettuale con cui esse vengono affrontate: la filosofia non si accontenta più di accogliere per vero quanto narrato dal mito, ma intende analizzare come stiano effettivamente le cose. All accoglimento acritico del mito si sostituisce insomma l alleanza di una ricerca empirica e di una riflessione razionale, sebbene poi esso non venga del tutto respinto. In taluni casi il mito stesso sembra confermato dalla ricerca filosofica, ma la novità sta nel fatto che esso ora viene creduto solo perché ha superato l esame della nuova ragione e non più in base alla sua autorità: quando per esempio Talete trova che la vita è presente dove c è acqua, gli sembra di ottenere un indiretta conferma del mito omerico che abbiamo citato sopra. Intorno all origine del termine "natura" Il termine greco che significa natura, e cioè phýsis, deriva dalla radice indoeuropea *bhu- che significa spingere, crescere, svilupparsi ; in alcune lingue indoeuropee il senso della radice si è evoluto nel significato di divenire e infatti essa viene usata in certi casi per completare il sistema del verbo essere come in latino, dove abbiamo est / fuit e dove inoltre tale radice genera il verbo fio = divengo. Se l italiano natura deriva dal latino nascor, il senso etimologico della parola greca phýsis è del tutto diverso: non si tratta infatti di una nascita, cioè dell insorgenza di qualcosa di assolutamente nuovo o di una creazione dal nulla (teoria quest ultima detta creazionismo) nozione del resto assente in tutte le culture arcaiche, ma di un processo di trasformazione e di ordinamento di una materia originaria che esiste da sempre e che per sempre esisterà. Il problema dei Greci è allora spiegare in quali modalità e per quali cause esista un insieme organizzato di materia che costituisce per l appunto la natura, ma c è una seconda novità: la filosofia cerca di spiegare l intera natura col numero maggiormente preciso ed economico di princìpi, di ricondurre l eterogenea molteplicità degli oggetti naturali a una spiegazione unitaria, fondata su di un principio detto arché. Bandita la numerosa e pittoresca schiera degli dei, la filosofia presocratica si può vedere come la sempre più articolata ricerca di questa arché, materia originaria di cui e da cui tutte le cose sono fatte, ma anche ragione e modo del loro organizzarsi. P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 3

4 2. I PRESOCRATICI 2.1 GLI ESITI DELLE PRIME RICERCHE DEI PRESOCRATICI L avvio della filosofia viene convenzionalmente indicato nella scuola ionica: per il suo iniziatore Talete (VII-VI sec. a.c.) tutte le cose sono fatte di acqua (DK 11 A 12), per il suo discepolo Anassimandro (610/ /546 a.c.) di una materia indistinta battezzata ápeiron, che significa illimitato (DK 12 B 1), per l altro suo discepolo Anassimene (568 ca ca a.c.) di aria (DK 13 A 5); e per tutti gli altri primi presocratici c è in ogni caso una e una sola materia da cui tutte le cose der ivano. Essa non è solo ciò di cui le cose sono fatte, ma anche la causa in virtù della quale esse es istono, il principio vivo e vitale del loro ordinamento; non una sostanza morta, ma un perenne dinamismo universale. I pensatori successivi cercano di trovare delle spiegazioni sempre più adatte a rendere conto della dinamica concreta e particolare dei fatti empirici. Così i Pitagorici (movimento sviluppatosi nel corso del V sec. a.c.) ed Eraclito (550 ca ca a.c.) non si accontentano di identificare in natura un elemento originario, ma si sforzano di coglierne l intrinseco carattere razionale: non solo la materia, ma la legge a cui la materia stessa obbedisce, gli aspetti regolari e costanti che ne regolano il funzionamento. I Pitagorici, riscontrando come i principali eventi naturali, fra cui il giorno e la notte, le stagioni e l apparizione delle costellazioni in cielo, si possano esprimere e conoscere in forma numerica in quanto periodici, e rilevando che anche la musica sia riconducibile a relazioni numeriche (DK 44 B 6), concludono che il principio delle cose è il numero, il quale però secondo loro non è solo un astratta formulazione di quantità, ma davvero un elemento dotato di specifiche qualità e di caratteristiche materiali (DK 58 B 4). Allo stesso modo Eraclito individua il principio delle cose in una legge che chiama lógos (DK 22 B 1), anche se poi lo identifica materialmente col fuoco (DK 22 B 30). A seguito della constatazione che nel mondo sono presenti infiniti contrasti (DK 22 B 10) come il giorno e la notte, la vita e la morte, la via all in su e quella all in giù (DK 22 B 60) e tanti altri ancora, egli conclude che la natura è la perenne lotta di un contrario per sopraffare l altro, è strutturalmente l opposizione di contrasti (DK 22 B 53). Ma, a una considerazione più approfondita, il filosofo si accorge che i contrari hanno un bisogno essenziale l uno dell altro, dal momento che è solo grazie all uno che l altro può sussistere, come senza il caldo non ci sarebbe il freddo, e conclude che la legge più profonda e basilare è quella della complementarità, della armonia nascosta dei contrari stessi (DK 22 B 8 e 51). La parità dei contrari implica che nessuno possa essere considerato solo causa e nessuno solo effetto, o verrebbe introdotta una indesiderata gerarchia di princìpi. Tutti questi filosofi gli Ionici come i Pitagorici e come Eraclito assumono un elemento unico come arché (l acqua, l ápeiron, l aria, il numero, la legge dei contrari) e di conseguenza sono stati definiti monisti (dal greco mónos = uno solo). Ciò da cui invece parte Parmenide (prima metà del V sec.) è la denuncia delle oscurità e delle contraddizioni determinate dall esperienza: esse sono dovute al fatto che i sensi per lo più ci ingannano, per cui è impossibile attribuire qualsiasi validità all osservazione e più in generale all esperienza sensibile (DK 28 A 25). Conseguenza di questo atteggiamento è la negazione dell esistenza stessa della natura, teoria che costituirà uno dei grandi temi della scuola eleatica. Il discorso parmenideo sulla natura è condotto per intero sul piano logico: come impone il principio di non contraddizione, dell essere si può dire soltanto che è e mai che non è, mentre della natura si dicono cose contraddittorie e si può predicare la negazione; essa è infatti il dominio del molteplice (in natura ci sono alberi stelle colline ecc., e gli alberi non sono le stelle, le stelle non sono le colline ) e del diveniente (perché in natura tutto diviene, gli alberi mettono le foglie, le uova vengono covate diventando pulcini e via dicendo). Insomma della natura è impossibile non predicare in modo contraddittorio, ma dal momento che quanto è contraddittorio non esiste, la natura stessa non esiste; di conseguenza per Parmenide non ha alcun senso parlare di uno studio rigoroso della natura, perché non si tratta che di parole prive di valore e di consistenza (DK 28 B 7, vv ), di semplice opinione (DK 28 B 7, vv ). P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 4

5 2.2 PLURALISMO, MECCANICISMO E TELEOLOGIA NEI PRESOCRATICI PREMESSE TEORICHE Melisso (fine VI sec. - inizio V sec. a.c.), uno dei due discepoli di Parmenide, modifica l intendimento del principio di non contraddizione come formulato dal suo maestro: egli continua a considerare il divenire come contraddittorio perché se una determinazione cambia non si capisce da dove derivi il nuovo se non da qualcosa che prima non c era e cioè dal nulla, o dove vada a finire il vecchio se non nel nulla, il che è assurdo. Tuttavia il filosofo non sente più il molteplice di per sé contraddittorio, a patto che non implichi anche il divenire. Di conseguenza sarebbe disposto ad ammettere nell ambito dell essere un molteplice che fosse indiveniente (DK 30 A 5): dell essere si può dire soltanto che è, ma di questo essere potrebbe far parte adesso anche un molteplice indiveniente. Anassagora (496 ca ca a.c.) e Democrito (460 ca ca a.c.), insieme a Empedocle (484/ /421 a.c ca)., si valgono della possibilità logica introdotta da Melisso per conciliare il mantenimento del principio parmenideo di non contraddizione con l ammissione della natura. Da un lato essi continuano a non voler mescolare essere e non essere, ma dall altro esattamente come i primi Presocratici prestano fiducia alle testimonianze dei sensi e ammettono la molteplicità. E poiché il mondo naturale ci attesta indubitabilmente il divenire, essi sono costretti a intenderlo non come il semplice sorgere o sparire di entità o determinazioni (che sorgerebbero dal nulla o finirebbero nel nulla), ma come l unirsi e il dividersi in composti da parte di materie che tuttavia in sé non cambiano mai. In secondo luogo essi, per dare ragione in modo maggiormente felice della varietà degli oggetti empirici, hanno bisogno di assumere diversi elementi come arché e non più uno solo come invece avevano fatto i monisti: le quattro radici dell essere per Empedocle, le omeomerie per Anassagora, gli atomi per Democrito. Per questo sono stati detti pluralisti ANASSAGORA Le premesse teoriche di Anassagora sono le stesse che troveremo in Democrito: giustificare la molteplicità naturale mediante il ricorso a una serie di princìpi che di per sé continuino a rispettare il principio di non contraddizione di Parmenide. Così egli identifica l arché nelle omeomerie, (termine che probabilmente significa «parti uguali»; dal greco hómoios = uguale e móira = parte), elementi materiali originari in possesso di specifiche determinazioni qualitative e divisibili all infinito (DK 59 A 41). Esistono omeomerie di osso, di capello, di carne, di legno e via dicendo, tante quante sono le materie che l esperienza ci attesta. Infatti le materie derivano da omeomerie identiche e non possono essere formate da composti, perché in questo caso una qualità sorgerebbe da due o più qualità diverse da essa e dunque dal suo non essere (in questa visione il verde non può derivare dal blu e dal giallo), violando ancora una volta il principio parmenideo di non contraddizione (DK 59 A 45). ( Testo 1). Pre quanto riguarda l impostazione generale della fisica, secondo Anassagora in origine le omeomerie sono tutte mescolate, tanto da non consentire l identificazione di alcuna qualità specifica, tanto meno l esistenza di oggetti particolari (DK 59 B 1). Ma poi in questa massa confusa chiamata mígma si attiva un principio attivo, detto Noûs (che significa Intelletto ): si tratta una forza cosmogonica che organizza il mondo secondo un piano intelligente e prestabilito, che separa le varie materie e costituisce gli oggetti particolari. Questi ultimi sorgono dall intenzione dell Intelletto, che progettando di produrre un determinato risultato seleziona e assume le omeomerie adatte e quindi esercita la sua azione organizzatrice (DK 59 B 12 e 15). La cosmologia di Anassagora è finalistica: si tratta di un caso unico nella filosofia presocratica, anche se destinato ad avere un larghissimo seguito nei pensatori successivi. Per tutti gli altri filosofi il principio che metteva in movimento l arché era qualcosa di cieco: dal vortice che traeva le cose dall ápeiron in Anassimandro all Amore e all Odio di Empedocle, tutte le fisiche erano meccanicistiche. Qui invece troviamo un principio razionale che agisce progettando, sapendo quali fini perseguire, scegliendo i modi e gli elementi più adatti per attuare quanto progettato; un modo di concepire la fisica che diventerà assolutamente dominante nel mondo greco. TESTO 1 ANASSAGORA P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 5

6 In questo frammento vengono analizzate alcune caratteristiche fondamentali delle omeomerie e in particolare, dopo aver chiarito come esse sia connotate qualitativamente, il principio per cui c è tutto in tutto. Si tratta di un esigenza logica piuttosto che empirica, che serve a garantire il rispetto del principio di non contraddizione di Parmenide. Dal momento che Anassagora pone come princìpi le omeomerie, infiniti per numero, [Aristotele] ci indica anche il motivo per cui Anassagora è giunto a tale supposizione e dimostra che lui deve dire che non solo il miscuglio intero è infinito per grandezza, ma anche ciascuna omeomeria, in quanto ha allo stesso modo del miscuglio intero tutti i componenti e non solo infiniti, ma infinite volte infiniti. A tale concezione Anassagora giunse perché riteneva che niente si produce dal non ente e che ogni cosa si nutre del simile. Vedeva infatti che tutto viene dal tutto, anche se non immediatamente ma secondo un ordine Perciò suppose che fossero nel cibo e che anche nell acqua, se di questa si nutrono gli alberi, ci fosse legno, corteccia, frutta. Quindi diceva che ogni cosa è mescolata in ogni cosa e che la nascita avviene per separazione. [ ] Vedendo dunque che da ciascuna di quelle cose che adesso risultano dalla divisione tutte le cose si separano, per esempio dal pane la carne, l ossa e il resto, quasi che in esso pane tutte le cose si trovino nello stesso tempo e mescolate insieme, da ciò egli supponeva che tutte le cose fossero mescolate insieme prima della separazione. [DK 59 A 45; trad. it. in I Presocratici, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1969, pp ] Per la comprensione Rispondi alle seguenti domande dopo aver letto il passo: 1. Che cos è quello che il testo chiama miscuglio intero? 2. Che cosa significa che niente si produce dal non ente? 3. La logica di Anassagora segue Parmenide o Melisso? DEMOCRITO Per Democrito la natura è costituita da elementi minimi privi di qualità detti atomi (dal greco a- privativo e témno, taglio) perché non si possono ulteriormente scindere in parti più piccole (DK 68 A 38). Dal momento che gli atomi sono l essere, proprio come l essere di Parmenide essi devono risultare eterni, indivisibili, incorruttibili, immutabili, assolutamente semplici, ma come l essere di Melisso possono presentare alcune differenze. Gli atomi devono essere in possesso soltanto di quelle caratteristiche che conferiscono loro l essere, senza che tali caratteristiche li determinino come un particolare corpo differenziato qualitativamente da altri: se un atomo avesse una qualità specifica e uno un altra, allora si reintrodurrebbe una nozione contraddittoria di molteplicità. Ecco perché gli atomi presentano tre sole caratteristiche che li distinguono e che in seguito verranno chiamate qualità oggettive o primarie: la forma (come nell alfabeto A è diverso da B), la disposizione (così come io posso rovesciare la lettere A ottenendo o traslare E ed N ottenendo rispettivamente e Z) e l ordine (per cui nei composti potrò avere ABC oppure BCA e via dicendo). Ma se gli atomi hanno solo questa caratteristiche, come mai noi percepiamo i composti come dotati di molte altre qualità, fra cui il colore, il sapore o l odore? Questi ultimi tratti, che saranno detti qualità soggettive o secondarie, sono in realtà il risultato dell azione degli atomi sul nostro sistema percettivo e dunque non esistono propriamente negli oggetti, ma nel soggetto che li percepisce (DK 68 A 129 e 139). Determinati composti atomici produrranno sui sensi dell uomo degli effetti gradevoli, e noi percepiremo un suono gradevole, un buon sapore come il dolce e via dicendo; altri invece produrranno effetti sgradevoli, e noi sentiremo suoni disarmonici, gusti cattivi ecc. La formazione dei mondi ha luogo per la casuale aggregazione o disgregazione degli atomi nello spazio vuoto (DK 70 A 64), la cui esistenza viene ammessa come condizione per il loro moto. Gli atomi cadono nel vuoto a velocità infinita, ma non possono farlo semplicemente in linea retta, o non si incontrerebbero mai: di conseguenza Democrito ipotizza che nel vuoto abbia luogo un vortice che imprime agli atomi una confusa rotazione, a seguito della quale hanno luogo incontri e scontri. Alcuni atomi restano impigliati fra loro e l aggregato continua a catturare altri atomi in caduta, finché i composti diventano grandi abbastanza da costituire i pianeti; poi lo scontro con altri aggregati ne determina la rottura, e il ciclo continua all infinito (DK 68 A 40). ( Testo 2). P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 6

7 TESTO 2 DEMOCRITO In questo frammento si descrivono le caratteristiche principali degli atomi, in particolare che essi non possiedono alcuna qualità percepibile dai sensi e che il loro comportamento dipende soltanto dagli urti reciproci e non da forze esterne, non meccaniche e tanto meno razionali. dice Democrito, ritenendo che tutte quante le qualità sensibili, ch egli suppone relative a noi che ne abbiamo sensazione, derivino dalla varia aggregazione degli atomi, ma che per natura non esistano affatto bianco, nero, giallo, rosso, dolce, amaro: infatti l espressione per convenzione equivale, per esempio, a secondo l opinione comune e a relativamente a noi, cioè non secondo la natura stessa delle cose, la quale egli indica con l espressione secondo verità. il vuoto è uno spazio nel quale tali corpuscoli si muovono tutti quanti in alto e in basso eternamente o intrecciandosi in vario modo tra loro o urtandosi e rimbalzando, sicché vanno disgregandosi e aggregandosi a vicenda tra loro in composti siffatti; e in tal modo producono tutte le altre maggiori aggregazioni e i nostri corpi e le loro affezioni e sensazioni. Suppongono, poi, che i corpi primi siano inalterabili [ ], anzi che neppure possano subire per qualche forza esterna quelle modificazioni a cui tutti gli uomini li credono soggetti. [DK 68 A 49; trad. it. in I Presocratici, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1969, pp ]. Per la comprensione Rispondi alle seguenti domande dopo aver letto il passo: 1. Qual è la differenza fra ciò che è per natura e ciò che è per convenzione? 2. Descrivi il moto a cui sono soggetti gli atomi. 3. In che senso i corpi primi (gli atomi) non si possono alterare o modificare? STRUMENTI FILOSOFICI: MECCANICISMO E FINALISMO Quello democriteo e la sua più tarda ripresa da parte di Epicuro sono le uniche espressioni antiche di determinismo. Si tratta però di una forma assai diversa rispetto a quella che si affermerà con la rivoluzione scientifica del Cinque-Seicento (la cosmologia copernicana, la dinamica di Galilei), perché adesso l idea di fondo è che il mondo funzioni in modo totalmente casuale. Ciò significa che tutte le cose hanno cause naturali, ma che tali cause non sono poste in vista di un fine o secondo un progetto intelligente. Questo meccanicismo è inoltre materialistico, perché ritiene che tutto sia composto di atomi, mentre esclude l esistenza degli dei. Il meccanicismo antico non deriva il suo nome dall analogia con la macchina, perché le parti delle macchine sono assemblate razionalmente, in vista il fine specifico a cui servono, mentre Democrito non ammette nessuna azione oltre al contatto casuale fra gli atomi. Il suo cosmo è un ammasso confuso e irrazionale di materia, dove l uomo non ha alcun posto particolare e nulla ha un senso o una meta. Invece il finalismo, sebbene tra i filosofi presocratici sia presente solo in Anassagora, conoscerà una fortuna enorme nella successiva riflessione filosofica greca, perché sarà ripreso con importanti modificazioni e ampliamenti da Platone, da Aristotele e dagli Stoici, e in particolare in Aristotele come vedremo diventerà l impostazione globale ed esclusiva della fisica. In tal modo si offrirà anche alla ricerca filosofica successiva un modo di pensare lo studio della natura come ricerca di fini che svilupperà un ottica del tutto diversa da quella che riscontreremo nell elaborazione dell astronomia e della fisica di età moderna e tenderà a scavare una separazione fra la ricerca scientifica in senso stretto e la riflessione filosofica sulla natura molto evidente già in età ellenistica. 3. PLATONE: LA NATURA COME ORGANIZZAZIONE RAZIONALE 3.1. PREMESSE TEORICHE Per Platone ( a.c.) il mondo fisico non è che l imitazione, realizzata in forma materiale, delle idee, e come ogni imitazione non è mai perfettamente simile all originale e presenta invece un ampia serie di incompiutezze e di difetti. L ontologia di Platone (come emerge dalla Repubblica) si dispone così secondo una gerarchia di entità al cui vertice sta l idea del bene, quindi le P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 7

8 idee-modelli delle cose, le idee matematiche, e infine le cose materiali; ne consegue la svalutazione delle realtà naturali e del loro studio, che non si occupa degli oggetti davvero stabili e in possesso di un valore pieno (che poi sono le idee), ma solo di oggetti in possesso di una minore dignità ontologica. Questo spiega perché l interesse naturalistico sia così scarso in Platone: il tema difatti è assente negli scritti giovanili e viene preso in considerazione solo in quelli della maturità, quando la riflessione platonica affronta tutti i temi dell ontologia e non può pertanto sottrarsi allo studio del mondo naturale. Nei dialoghi centrali, come la Repubblica, il cosmo appare la manifestazione sensibile del principio buono che ha fatto ogni cosa intelligentemente e al meglio, ma lo studio della realtà naturale in sé non trova mai spazi propri e discipline come la cosmologia e la fisica non vengono affatto riconosciute nella loro autonomia. Se nei dialoghi successivi, a partire dal Fedro e dal Teeteto, Platone tende a ridurre il distacco fra idee e cose, la natura è considerata solo all interno di un globale discorso sull ontologia e dovremo aspettare il Timeo per leggere la genuina cosmologia platonica LA SOLUZIONE PLATONICA Il Timeo, uno degli ultimi dialoghi di Platone, inizia (27de) proponendo la distinzione fra l essere che sempre è e mai diviene (le idee) e il non-essere che mai è e sempre diviene (le cose): non si tratta di una valutazione ontologica assoluta, ma relativa ai valori. In altre parole Platone non vuol dire che esiste soltanto l essere, consistente nelle idee, e tanto meno relegare la natura nel campo del non essere, come aveva fatto Parmenide. Vuole invece dire che l essere è distinto in due ambiti: quello stabile che possiede un valore elevatissimo (le idee) e quello diveniente che vale molto meno, ma che esiste ugualmente (la natura). Quindi Platone passa ad analizzare la dimensione naturale e propone una cosmologia sotto forma di narrazione mitologica che egli stesso definisce solo verosimile perché non c è nessun modo per verificare se le cose siano andate esattamente come egli racconta, perché per esse non si può addurre alcuna prova, dal momento che non c è nessun testimone che abbia assistito a quei fatti primordiali (29cd). Platone dà per scontato che la realtà empirica esista (dunque aderisce all eleatismo solo per ribadire il maggior valore delle idee e per farne le uniche realtà davvero stabili e immutabili) e anche che esista una ampia ed eterogenea molteplicità di materie (assumendo per vera la lezione dei pluralisti). La natura risulta essere così una realtà ordinata, composta da materia e forma. Le materie essenziali sono il fuoco, che serve a rendere visibile la natura, e la terra, che serve perché essa sia tangibile. Ma come in ogni proporzione aritmetica i termini sono quattro, per creare la giusta proporzione fra queste due materie ne serviranno altre due: l acqua e l aria (31b-32c). Le materie e le entità particolari che ne derivano sono il risultato della combinazione di questi elementi, e Platone si diffonde a descriverne tutte le caratteristiche fisiche. La materia disponibile è interamente impiegata nella formazione del cosmo, che risulta così unico e pienamente autosufficiente (32c-33b). Gli elementi sono di per sé già dei corpi e possiedono dunque una loro specifica forma: ma poiché ogni forma si può scomporre in triangoli e i triangoli più perfetti sono quelli equilateri, le materie più perfette saranno quelle i cui elementi di base possono a loro volta scomporsi in triangoli equilateri. Secondo una transizione dalla geometria piana a quella solida che si riscontra già nei Pitagorici, i solidi così nati sono i princìpi dei corpi fisici (53c-54d). Al di là della complessa strutturazione delle materie e al tentativo platonico di dedurne le varie caratteristiche dalla loro conformazione geometrica, quello che importa maggiormente è il tentativo di considerare le realtà fisiche mediante espressioni matematiche: per Platone come già per i Pitagorici la ricerca naturale ha come obiettivo riprodurre la natura come sistema di relazioni matematiche astratte, rintracciando al di sotto dell accadere apparentemente disordinato dei fatti (attestato dai sensi) la regolarità della legge (rivelata per contro dall intelletto). La combinazione delle materie, palesemente ordinata e razionale, dipende da un intelligenza superiore che le ha organizzate in vista di un fine: per l appunto creare un cosmo armonico. Questa intelligenza è una figura divina, il Demiurgo (termine che in greco significa artigiano ). Il Demiurgo contempla le idee e ne ama la perfezione, per cui vuole riprodurla, diffonderla; e allora prende la materia originaria detta Ricettacolo Universale, che in sé è priva di forma e di razionalità (tanto da essere in sé impensabile), e la modella secondo le idee ( Testo 3). Il cosmo è vivo perché le realtà dotate di anima e di vita sono più belle di quelle che ne sono prive, e in questo senso Platone lo chiama Animale. Esso inoltre è bello perché è l attuazione concreta della bellezza e della bontà delle idee: nel mondo greco era diffusa l idea di questa connessione fra bellezza e bontà, per la quale i greci P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 8

9 avevano addirittura coniato un termine apposito, kalokagathía, composto da kalós (= bello) kaí (= e) agathós (= buono). Si ha insomma una ripresa del modello teleologico di Anassagora, ma con una importante differenza almeno sul piano teorico: Platone vuole che tutto il disegno del cosmo sia retto da intenti finalistici, tanto che imputa al finalismo di Anassagora di essere solo parziale. Nella filosofia del presocratico gli eventi particolari non discenderebbero dall assunzione di un autentico e globale intento finalistico, quanto piuttosto da cause meccaniche; Anassagora infatti attribuiva l intera organizzazione del cosmo all Intelletto, ma poi nella spiegazione dei fenomeni particolari non si rifaceva al generico progetto razionale dell Intelletto, ma al vecchio sistema dei vortici diffuso nei meccanicisti. In realtà anche la cosmologia di Platone, a differenza di quanto accadrà poco dopo in Aristotele, non è esclusivamente finalistica, ma conserva un ampio spazio al meccanicismo. Quando infatti nel Timeo si deve dare ragione di processi specifici, come le interazioni fra corpi, i vari processi di separazione e unione ecc. e anche delle qualità dei corpi, tutto viene spiegato semplicemente in base a urti fra le particelle componenti. E tuttavia in Platone si ha la subordinazione delle cause meccan iche a quelle finali: il meccanicismo, in ultima analisi, risulta essere una serie di strumenti con cui opera l intelligenza del Demiurgo ed è bel lungi dall apparire sinonimo di caso, come invece abbiamo constatato in Democrito. TESTO 3 PLATONE In questo passo Timeo spiega le ragioni per cui l artefice divino, cioè il Demiurgo, fu indotto a generare il cosmo, ossia a produrre l organizzazione razionale della materia. TIMEO Diciamo dunque per qual cagione l artefice fece la generazione e quest universo. Egli era buono, e in uno buono nessuna invidia nasce mai per nessuna cosa. Immune dunque da questa, volle che tutte le cose divenissero simili a lui quanto potevano. prese dunque quanto c era di visibile che non stava quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all ordine, giudicando questo del tutto migliore di quello. Ora né fu mai, né è lecito all ottimo di far altro se non la cosa più bella. Ragionando dunque trovò che delle cose naturalmente visibili, se si considerano nella loro interezza, nessuna, priva d intelligenza, sarebbe stata mai più bella di un altra, che abbia intelligenza, e ch era impossibile che alcuna cosa avesse intelligenza senz anima. Così dunque secondo ragione verosimile si deve dire che questo mondo è veramente un animale animato e intelligente generato dalla provvidenza di dio. E dio volendolo rassomigliare al più bello e al più compiutamente perfetto degli animali intelligibili, compose un solo animale visibile, che dentro di sé raccoglie tutti gli animali che gli sono naturalmente affini. Ma abbiamo detto noi rettamente che uno è il cielo oppure era più retto dire che sono molti e infiniti? Affinché dunque questo mondo, per esser solo, fosse simile all animale perfetto, per questo il fattore non fece né due né infiniti mondi, ma v è questo solo unigenito e generato cielo, e ancora vi sarà. (Timeo, 29d-31b; trad. it. in Platone, Opere, Laterza, Roma-Bari 1974, vol. 2, pp ) Per la comprensione Rispondi alle seguenti domande: 1. Il Demiurgo dà forma al cosmo per necessità o liberamente? 2. Perché il mondo è animato e intelligente? 3. Perché il cosmo è uno solo? 3.3. STRUMENTI FILOSOFICI PRESENTI NELLA SOLUZIONE PLATONICA Quando Platone inizia a darsi alla ricerca filosofica sembrava che un po tutte le soluzioni possibili per una fisica filosofica siano state toccate (monismo e pluralismo, finalismo e teleologia, ammissione e rifiuto dell esistenza del movimento e della natura stessa), e Socrate e i Sofisti avevano spostato il fuoco del dibattito filosofico su altre tematiche, antropologiche etiche e politiche. Ma ciò non spiegherebbe da solo il persistente disinteresse di Platone per lo studio della natura. In realtà esso viene considerato una materia secondaria, che per importanza viene dopo l indagine sulle idee, sull anima, sull ontologia, sulla politica. Ciò porta alla scarsa importanza attribuita dal filosofo innanzitutto ai sensi reputati P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 9

10 il semplice stimolo per avviare la reminiscenza e quindi, più in generale, a tutto il mondo sensibile, appunto copia delle idee. Insomma l empirismo per Platone non è che uno strumento della ragione, non invece una fonte autonoma di conoscenza, e dev essere abbandonato non appena si possa iniziare a usare il ragionamento. Abbiamo visto come nel Timeo la fisica non possieda alcuna scientificità e resti soltanto verosimile. Che dunque tale narrazione non sia passibile di verifica, di un adeguata conferma empirica è cosa che preoccupa assai poco il filosofo: ma, allo stesso modo, a suo avviso non avrebbe alcun senso contestare la liceità delle dimostrazioni aritmetiche obiettando che nel mondo non riusciamo a ottenere figure perfette come quelle, ideali, su cui lavora la geometria. Insomma nella fisica di Platone abbiamo due aspetti contrapposti: da un lato la sottovalutazione dei componenti empirici della conoscenza, dall altro la sopravvalutazione di quelli esclusivamente razionali. 4. ARISTOTELE: LA NATURA COME PRINCIPIO DI VITA E MOVIMENTO 4.1. PREMESSE TEORICHE Già nel giovanile trattato Sulle idee Aristotele aveva chiarito alcune delle posizioni che lo manterranno sempre lontano da parecchi atteggiamenti di fondo del platonismo: i difetti strutturali che vengono imputati alla teoria delle idee sfociano in una teoria della conoscenza di taglio nettamente empiristico, dove l avvio della conoscenza risiede nella sensazione e dove le idee non sono che l esito dell opera di astrazione dell intelletto; ad esse non spetta più alcuna esistenza separata e superiore rispetto alla realtà concreta dell esperienza. Questo nuovo, forte senso dell esperienza si traduce nell ottica del tutto nuova con cui Aristotele affronta non solo le problematiche fisiche e cosmologiche, ma anche quelle biologiche e politiche (per esempio lo studio delle costituzioni della Grecia), dove il momento iniziale dell accertamento dei fatti ha uno spessore essenziale e fornisce il materiale senza cui è impossibile che l intelletto lavori. In generale, la tesi di Aristotele è che ogni ricerca muove dall esperienza e quindi si realizza nel l avoro di organizzazione e interpretazione da parte dell intelletto. Non serve fornire alcuna giustificazione dell evidenza empirica perché essa si attesta da sola, in quanto non c è nulla di più chiaro e indubitabile dell evidenza: i dubbi radicali di Parmenide sull affidabilità dei sensi vengono dunque subito scartati. In secondo luogo per Aristotele, in netta contrapposizione a Platone, quella sensibile è una forma di conoscenza autonoma e di cui non si può fare a meno e le idee sono una conseguenza delle sensazioni, ottenute mediante il procedimento astrattivo LA SOLUZIONE ARISTOTELICA LA NATURA COME DOMINIO DEL MOVIMENTO Per Aristotele la natura è il dominio del movimento e gli oggetti naturali sono definiti precisamente quelli che hanno in sé il principio del movimento. Quest ultimo non dipende però tanto dalla materia di cui sono composte le cose, quanto piuttosto dalla loro forma; e infatti per capire la struttura e il comportamento dei corpi naturali non si può guardare semplicemente alla materia di cui sono fatti, com è invece possibile per gli oggetti artificiali. La fisica, a sua volta, è una scienza teoretica che si occupa degli oggetti generabili e corruttibili (mentre la metafisica di quelli ingenerati e incorruttibili) e in movimento (mentre la matematica di quelli immobili) ( Testo 4). Dal momento che gli oggetti fisici sono sempre in movimento e non sono necessari, la disciplina che li studia non può pervenire al rigore della matematica; i suoi risultati non godranno di universalità e necessità, ma saranno validi soltanto per la maggior parte dei casi. Ciò non toglie che la fisica possieda per Aristotele i contrassegni generali che lui attribuisce alle scienze in senso pieno, ancora una volta contro la posizione di Platone, che l aveva relegata al rango di una narrazione solo verosimile. Sappiamo dalla metafisica che i corpi naturali sono sinoli, e cioè individui composti di materia e forma. Da quale di queste due dipende il movimento? Aristotele riporta la considerazione del sofista Antifonte secondo cui se noi seppellissimo un letto di legno e questo, anziché putrefarsi, germinasse, germinerebbe legno e non un letto, provando che è la materia a determinare il comportamento di un P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 10

11 corpo, Eppure, obietta Aristotele, l uomo non genera carne e basta (e cioè materia), ma l uomo (e cioè forma); infatti la materia è tale solo quando è in atto, cioè quando possiede una forma. Questo prova che è allora la forma a determinare il comportamento? Nemmeno, perché in linea con la tesi che la sostanza è sinolo egli ritiene che la spiegazione delle dinamiche naturali debba trovare risp osta nella considerazione parallela sia della materia sia della forma degli oggetti naturali. TESTO 4 ARISTOTELE Il passo, tratto dalla Fisica, definisce che cos è la natura e ne chiarisce le condizioni, anche in relazione alla teoria della potenza e dell atto. Infine esplicita il carattere sempre finalistico di tutti i movimenti. Poiché la natura è principio del movimento e del cangiamento e noi stiamo studiando metodicamente la natura, non ci deve rimaner nascosto che cosa sia il movimento. È inevitabile, infatti, che, se questo si ignora, si ignori anche la natura. [ ]. Non vi è, però, un movimento al di fuori delle cose; infatti, perché vi sia cangiamento, è indispensabile la cosa che cangia o per sostanza o per quantità o per qualità o per luogo, né, come noi abbiamo detto, si può trovare alcunché di comune alle cose soggette al cangiamento, senza che esso sia né essenza determinata né quantità né qualità né alcuna delle altre categorie [ ]. Poiché, a proposito di ciascun genere, ciò che è in atto è stato distinto da ciò che è in potenza, l atto di ciò che è in potenza, in quanto tale, è il movimento Una delle ragioni per cui il movimento sembra indeterminato sta nel fatto che esso non si può porre in senso assoluto né nella potenza degli enti né nel loro atto. Difatti, né la quantità in potenza né la quantità in atto si muovono necessariamente; e il movimento sembra esser, sì, un certo atto, ma imperfetto. E la causa sta nel fatto che imperfetto è il possibile di cui il movimento è, appunto, l atto. [ ] Perciò il movimento è l entelechia del mobile in quanto mobile, e ciò accade per contatto del motore, sicché nello stesso tempo quest ultimo patisce anche. E il motore apporterà sempre qualche forma, cioè o l essenza determinata o la qualità o la quantità; e questa forma, quando muoverà, sarà il principio e la causa del movimento [Fisica, III, 1 e 2; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 3, Laterza, Bari 1973, pp e 54-55] Per la comprensione Rispondi alle seguenti domande: Che cos è per Aristotele la natura? Quali sono gli enti che appartengono al dominio naturale? Quali sono i tipi di movimento? In che senso il movimento sembra indeterminato? Il movimento ha luogo per necessità naturale o in vista di un fine? TIPI E CAUSE DEL MOVIMENTO Secondo la definizione aristotelica, inteso nel senso più generale il movimento è passaggio dalla potenza all atto. Ogni corpo può infatti subire un movimento, ma esso resta solo una possibilità finché non ci sia un altro corpo che lo attua concretamente; a sua volta il corpo che funge da motore e che prima era motore solo in potenza lo è diventato concretamente perché un altro precedente motore lo ha mosso. Ora, sono da escludere sia l ipotesi che un corpo muova se stesso sia l ipotesi di un regresso che proceda all infinito, o sarebbe impossibile spiegare l insorgenza effettiva del movimento. Deve allora esistere un primo motore che per muovere non ha bisogno di essere mosso da nessun altro, che Aristotele chiama Motore Immobile e che è Dio. Quest ultimo svolge dunque una funzione esclusivamente cosmologica. Nel cosmo il movimento parte dalla sfera più esterna, quella delle stelle fisse, che lo comunica con un sistema di altre sfere a quelle dei vari pianeti sino alla più interna, la sfera della luna. La zona degli astri che va dalla luna alla sfera delle stelle fisse è costituita da una materia particolare, diversa da quelle P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 11

12 che formano la terra (e che sono aria, acqua, terra e fuoco): l etere, una materia perfetta e inalterabile che si muove di un moto circolare, regolare e dotato di una perfezione che ne consente il trattamento matematico. Perché non si riproponga un assurdo regresso all infinito, è necessario porre un motore che muova senza essere mosso da altro, in cui il movimento non sia mai stato potenziale ma da sempre attuale. Questo primo motore non può tuttavia muovere il cosmo secondo una modalità fisica, come fanno tutti gli altri motori, perché il movimento fisico implica comunque un passaggio dalla potenza all atto che viene escluso per il primo motore, del tutto privo di potenzialità. Di conseguenza esso muove solo in quanto suscita il movimento del cosmo che tende a esso, che ruota per avvicinarglisi: muove dunque come oggetto di desiderio e non desidera nulla, viene amato e non ama. Questa divinità è per diversi aspetti simile al Demiurgo di Platone: entrambi svolgono un ruolo fisico in quanto cause dell ordine del cosmo, entrambi incarnano la perfezione e sono in grado di conferire bontà e bellezza al loro operato. I tipi di movimento per Aristotele sono quattro: a) locale, b) qualitativo, c) quantitativo, d) sostanziale. Il primo è la traslazione, cioè lo spostamento di un corpo da un luogo all altro; il secondo è l alterazione, ovvero la modificazione di una qualche caratteristica del corpo (colore, sapore ecc.); il terzo è l accrescimento o la diminuzione (dimensioni, volume ecc.); l ultimo è la generazione e la corruzione (la nascita e la morte). A loro volta, le cause del movimento sono quattro: a) materiale, b) formale, c) efficiente, d) finale. La prima è la materia di cui un oggetto è composto (per esempio per una statua di marmo come Il Discobolo di Mirone), la seconda è la forma che assume (la statua rappresenta un lanciatore di disco), la terza è ciò che ha conferito alla materia la forma (nel nostro caso, lo scultore e cioè Mirone), l ultima lo scopo che ha spinto la causa efficiente a dare quella determinata forma alla materia (l intenzione dello scultore nel mostrare l equilibrio fisico e interiore del gesto sportivo). È necessario specificare tutte e quattro queste cause se si vuole comprendere pienamente una cosa, anche se in molti casi almeno due coincidono; per esempio nel caso di una pianta, la causa formale e quella finale coincidono perché lo scopo del seme è generare la pianta e la forma, cioè la condizione matura e definitiva del seme, è appunto l essere pianta. Le ragioni del movimento ci mostrano il carattere finalistico della fisica di Aristotele: ogni corpo si muove infatti per raggiungere un fine, sia pure con una importante distinzione fra corpi inanimati e animati. 1) I corpi inanimati tendono a raggiungere il loro luogo naturale: secondo la fisica aristotelica esistono dei luoghi nel cosmo in cui si raccolgono le materie fondamentali dette corpi semplici, e cioè aria acqua terra e fuoco. Gli oggetti fatti di fuoco tendono al luogo naturale del fuoco, che sta in alto, quelli di terra il luogo naturale della terra, che sta in basso e via dicendo: è per questo che le cose leggere come le fiamme tendono sempre verso l alto e gli oggetti pesanti come i sassi (fatti prevalentemente di terra) cadono verso il basso; a meno che qualcosa, con violenza, non ne impedisca il movimento. 2) I corpi animati invece tendono a raggiungere la loro d estinazione naturale chiamata entelechia (dal greco en télei échein = essere nello scopo), e cioè a raggiungere la condizione definitiva del loro sviluppo. Il seme tende a diventare pianta, l uovo gallina, il bambino uomo, a meno che, ancora una volta, non intervenga un moto violento che blocca lo sviluppo naturale. Nella natura nulla pertanto è dovuto al caso o alla cieca necessità naturale. Ciò è mostrato in primo luogo dalla grande regolarità che la caratterizza e che indica la presenza di una intrinseca organizzazione razionale, e secondariamente dall evidente comportamento finalistico degli esseri naturali e soprattutto dagli animali, che agiscono sempre per raggiungere un determinato obiettivo. P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 12

13 4.3. STRUMENTI FILOSOFICI E LIMITI DELLA SOLUZIONE ARISTOTELICA Considerare le entità naturali in termini di sostanze e interpretarne la dinamica alla luce di un generale finalismo mostrano il carattere qualitativo e non quantitativo della fisica di Aristotele; in questo modello fisico c è infatti una totale assenza della matematica, a differenza del grande ricorso a essa che troviamo in Platone. In contrasto coi moderni come Copernico e Galilei, Aristotele sembra ritenere che tradurre in termini matematici l'esperienza ne faccia perdere degli aspetti essenziali. La matematica dei tempi di Aristotele non era sviluppata in forma utile da favorirne l applicazione alla fisica, e se ne concepiva piuttosto l uso a vantaggio dell astronomia; inoltre la visione aristotelica della natura come movimento e i risultati specifici della sua dinamica sono strettamente connessi, e la fisica appare subordinata alla filosofia. Se la strettissima integrazione di fisica e filosofia fu una delle ragioni principali dell attecchimento della fisica di Aristotele e della sua influenza in contrapposizione ai modelli meccanicistici (quelli di Democrito ed Epicuro), il vitalismo che la pervade tutta, e cioè l idea per cui il cosmo è animato e la natura contiene in sé il principio del proprio movimento, non poteva accettare la matematizzazione della natura e costituirà un elemento di freno alla ricerca scientifica in questa direzione. 5. LO STOICISMO: LA NATURA COME ORDINE E NECESSITÀ 5.1. PREMESSE TEORICHE Lo Stoicismo è una corrente ampia e differenziata, la cui prima fase, detta Antica Stoa, fu fondata verso il 300 a.c. da Zenone di Cizio (335/3-263 a.c.) e annovera fra i suoi esponenti anche Cleante (304/ a.c.) e Crisippo (281/ /205 a.c.). Come tutte le filosofie sorte in epoca ellenistica, anche questa ha per suo tema centrale il problema etico e di conseguenza il suo interesse nei confronti delle problematiche naturalistiche risulta secondario. In secondo luogo, seguendo la generale teoria per cui tutto quanto esiste è materia (anche se poi gli Stoici non riescono a liberarsi completamente dalle entità immateriali), lo Stoicismo è una filosofia spiccatamente materialistica, ma con differenze profondissime rispetto all antico atomismo e alla sua ripresa da parte di Epicuro LA SOLUZIONE STOICA Secondo gli Stoici i princìpi della natura sono due, uno attivo detto Anima del mondo o Lógos e uno passivo detto Materia. Il primo, che ha una valenza sia religiosa (la Provvidenza ) sia cosmologica (il Destino ), è la causa efficiente immanente e insieme la legge della natura; esso viene identificato col fuoco, e il fatto che venga chiamato pýr technikón (ovvero qualcosa come fuoco capace di procedere con arte ) ci mostra che è intrinsecamente razionale. L adozione del fuoco come principio ha un origine eraclitea, ma ora esso viene interpretato come un entità razionale piuttosto che fisica: esso non è il fuoco di cui l uomo si serve, quanto piuttosto un soffio caldo che conserva e sorregge tutto vivificandolo; esso viene chiamato anche ragione seminale del mondo perché è grazie ad esso che ogni cosa si genera. Il secondo principio, in base una concezione della materia già riscontrata in Platone (il Ricettacolo Universale del Timeo) come in Aristotele (la sua materia prima ), è la mera disponibilità ad assumere qualsiasi forma e appare priva di connotati qualitativi propri. I due princìpi ricordano il dualismo aristotelico di forma e materia, ma a differenza di quest ultima coppia possono essere distinti per sé e non solo in base a un operazione astrattiva dell intelletto, tanto più che sono entrambi materiali: il Lógos è semplicemente costituito da un materia più sottile rispetto alla Materia Prima. Quando il principio attivo permea il secondo, la materia assume le fondamentali caratteristiche qualitative, e cioè caldo, freddo, umido o secco, trasformandosi in una delle materie prime, terra, aria, acqua e fuoco; da queste ultime a loro volta nascono tutti gli altri elementi. Viene dunque rifiutata la quinta materia di Aristotele, l etere, perché il cosmo è per gli Stoici omogeneo e non presenta la tipica distinzione aristotelica fra mondo lunare e mondo sublunare. L universo è nato da un indebolimento della tonicità del fuoco primordiale, che con un processo simile alla rarefazione di Anassimene si è P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 13

14 trasformato prima in aria e poi in acqua; da un lato sorse allora la terra che si collocò al centro dell universo e dall altro le sfere celesti, dove una nuova condensazione produsse i pianeti. Questo ci mostra che la concezione dell universo fisico degli Stoici è continuista, cioè antiatomistica: gli elementi sono infatti le qualità della sostanza fisica, non oggetti chiaramente distinti come gli atomi di Epicuro, e trapassano continuamente gli uni negli altri, scindendosi e poi di nuovo fondendosi. Questo processo è ciclico (e assomiglia alla dinamica del cosmo ipotizzata da Empedocle, dove si alternano fasi di prevalenza dell Odio e dell Amore), perché dopo la formazione del cosmo e dopo una fase intera di vita del cosmo (sulla cui durata gli stessi stoici hanno opinioni divergenti, valutandola da 2484 a anni) avrà luogo la riappropriazione da parte del fuoco di tutto il cosmo mediante un incendio universale, e quindi il processo ricomincerà come già da sempre è successo, secondo Zenone in modo esattamente uguale per infinite volte. Sebbene siano state prodotte innumerevoli opinioni sulle modalità di questo processo, come pure su quello della nuova formazione del cosmo, l idea di fondo che accomuna tutti gli stoici è che i fenomeni naturali sono intrinsecamente razionali e retti da precise leggi. La fisica stoica, benché materialistica come quella epicurea, è nettamente avversa al meccanicismo e si regge sulla convinzione che il Lógos prefiguri e disponga tutti gli eventi senza lasciare nulla al caso, e che la Provvidenza sappia in anticipo del loro accadere e li faccia accadere al momento opportuno ( Testo 5). Tutto ciò non è affatto privo di rilevanti conseguenze etiche, che vanno dalla possibilità di conoscere il futuro (con la conseguente pratica dell astrologia) all ammissione del determinismo universale. Se infatti tutto accadrà in modo analogo al passato, se esisteranno persone del tutto uguali a noi che faranno cose del tutto uguali a quelle che abbiamo fatto noi, esse non saranno libere di scegliere ma potranno solo ripetere il già accaduto e per conseguenza non vi sarà libertà; per evitare questa conseguenza, implicita nella teoria di Zenone, Crisippo indebolì la sua teoria dicendo che le cose si sarebbero ripetute in maniera simile ma non esattamente uguale. TESTO 5 LO STOICISMO Il passo, benché testimonianza tarda e indiretta, spiega il carattere intelligente della natura, lo giustifica con la virtù del principio che è il fuoco (cioè il Lógos) e infine spiega il carattere finalistico del suo funzionamento. Dunque Zenone definisce la natura così: dice che essa è un fuoco dotato di capacità di produrre artigianalmente, che procede alla produzione con metodo. È proprio dell arte, egli ritiene, il generare e produrre; e ciò che la mano compie nelle opere delle nostre arti, con arte molto maggiore sa compierlo la natura Secondo questa argomentazione, tutta quanta la natura è dotata di tale capacità, perché ha in sé un metodo e una via tracciata da seguire. E non solo essa è dotata di capacità artigianale, ma è direttamente artefice dell universo stesso, che contiene e abbraccia tutte quante le cose; e ciò ancora secondo la definizione di Zenone, che la dichiara dotata di consiglio e preveggente procuratrice di ogni tipo di utilità e opportunità. Tale dunque essendo la mente del mondo, e potendosi per questa ragione chiamare prudenza o provvidenza (il che in greco si dice prónoia), a questo soprattutto provvede e attende, che in primo luogo che il mondo sia costituito nel modo più adatto a conservare la sua esistenza, in secondo luogo che non presenti alcun difetto, poi infine che in esso sia bellezza straordinaria e ogni ornamento. (Cicerone, La natura degli dei, II, 22, 57-58; trad. it. in Gli Stoici. Opere e testimonianze, a cura di M. Isnardi Parente, Tea, Milano 1994, pp ) Per la comprensione Rispondi alle seguenti domande: Che differenza c è tra il fuoco degli Stoici e quello di Eraclito? In che senso il fuoco possiede capacità artigianale? Il Lógos stoico è una forza meccanica o finalistica? P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 14

15 5.3. STRUMENTI FILOSOFICI E LIMITI DELLA SOLUZIONE STOICA Come innumerevoli filosofi greci, a cominciare da Platone e Aristotele, ritenevano che i corpi celesti fossero esseri divini o almeno corpi naturali retti però da intelligenze divine e che guidassero in varia misura gli eventi del nostro mondo, così gli Stoici ritengono il cosmo una organizzazione immutabile, razionale, perfetta e necessaria, che in ultima analisi si identifica con Dio stesso: cosicché la dottrina stoica altro non è che una forma di rigoroso panteismo. D altro canto il continuismo di questa visione si deve più a ragioni etiche che fisiche: solo istituendo un integrazione completa di tutto il cosmo si poteva ritrovare il senso del mondo, istituire un nesso forte fra l individuo e la totalità cosmica, eliminare il discrimine (tipico in Aristotele) fra sapere ed etica e le stesse disuguaglianze sociali: se tutti siamo risultato del fuoco divino, appaiono infondate le differenze fra liberi e schiavi, fra ricchi e poveri. Allo stesso tempo tuttavia la distanza che separa questa cosmologia dall astronomia matematica della stessa epoca è del tutto evidente per l esplicita declinazione religiosa che lo Stoicismo intende prendere: così Cleante volle attribuire una valenza religiosa alla fisica di Zenone ed è sempre per ragioni religiose oltre che fisiche (soprattutto la non ammissione della possibilità di scomporre i moti evidenti in moti semplici) che egli stesso si oppose con durezza all ipotesi eliocentrica di Aristarco di Samo. Proprio questa dimensione etico-religiosa rispondeva pienamente alla domanda di senso e di orientamento dei Greci ormai sudditi dell Impero alessandrino e bene spiega perché due opere stoiche, l Inno a Zeus di Cleante e i Fenomeni del poeta Arato (310 ca ca a.c.), furono tra le opere più lette dell età ellenistica. Ma la ricerca scientifica perseguiva ormai altre vie, adottava metodologie notevolmente diverse e il suo divorzio dalla filosofia si era consumato con nettezza. P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 15

16 LABORATORIO DIDATTICO SEZ. A IL PROBLEMA E IL SENSO COMUNE 1) Mettere in relazione le espressioni sottoelencate con i filosofi che le sottoscriverebbero, e che sono a) Democrito b) Anassagora, c) Platone, d) Aristotele, e) Zenone di Cizio: 1. natura lo suo corso prende dal divino intelletto e da sua arte; e se tu ben la tua Fisica note che l arte vostra quella, quanto pote segue, come l maestro fa il discente; sì che vostr arte a Dio è quasi nepote (Dante, Inferno). 2. L uomo a somiglianza della terra modella se stesso, la terra modella se stessa a somiglianza del cielo, il cielo si modella a somiglianza degli uomini (proverbio cinese). 3. Quelli che risalgono al principio di tutte le cose deducono poi da esso, considerando questo anche causa che abita nell universo scorrendo per tutte le cose e non solo causa motrice, ma anche causa produttrice (Plotino, Enneadi). 4. La natura non dà una grande idea dell intelletto di chi è o fu autore di tale ordine (Leopardi, Zibaldone). 5. Il senso non ci solleva verso l infinito e non favorisce la nostra conoscenza di esso, dal momento che ad esso non compete; ma, solo stoltamente, la molesta turba del Sofista potrà ritenere che ciò che è espresso dai sensi sia la verità (Bruno, L immenso e gli innumerevoli). 6. Nessuna cosa nasce e muore, ma a partire dalle cose che sono si produce un progresso di composizione e divisione; così dunque si dovrebbe correttamente chiamare il nascere comporsi e il morire dividersi (Empedocle). SEZ. B RIPERCORRERE LE DIVE RSE SOLUZIONI (Esercizi per comprendere ed utilizzare le diverse soluzioni proposte) 2) Individua le affermazioni presocratiche vere tra quelle che seguono: 1. Per Talete l arché è composto da infinite materie. 2. Secondo i Pitagorici, la natura presenta un organizzazione di tipo matematico. 3. Secondo Parmenide la conoscenza deve iniziare dai sensi. 4. Gli atomi secondo Democrito possiedono infinite forme, colori, sapori. 5. Nel cosmo democriteo lo spazio è interamente riempito dagli atomi. 6. Le omeomerie di Anassagora sono infinitamente divisibili. 7. L Intelletto di Anassagora muove le omeomerie sapendo perché e come. 8. Secondo Platone la natura rivela un organizzazione razionale e matematica. 9. Il Demiurgo di Platone usa esclusivamente il finalismo nell organizzare il cosmo. 10. Gli oggetti naturali si dividono secondo Aristotele in mobili e immobili. 11. Per Aristotele solo gli oggetti animati sono retti da un comportamento finalistico 12. La fisica degli Stoici e contemporaneamente sia materialistica sia meccanicistica. 13. Per gli Stoici il Lógos è immateriale. 3) Elimina dal seguente passo di Platone le espressioni erronee: Il cosmo è stato organizzato da un principio intelligente/in intelligente (1), il Demiurgo. Esso provava amore/invidia (2) per la bellezza del cosmo e quindi ne produsse un imitazione traendo spunto dalla materia/dalle idee (3). Quindi, volendo che tutte le cose fossero buone/cattive (4) e dal momento che di per sé la materia era ordinata/disordinata (5), decise di attribuire/non attribuire (6) a quest ultima l intelligenza. Ne risultò un solo cosmo/una molteplicità di cosmi (7) non in possesso di animazione/in possesso di animazione (8). P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 16

17 4) Dopo aver letto il seguente passo aristotelico, svolgi gli esercizi sotto proposti: Per chi si attiene, invero, agli antichi l oggetto della fisica potrebbe risultare essere la materia (in piccola parte, infatti, Empedocle e Democrito si accostano alla forma o al concetto); d altra parte però, se l arte imita la natura ed è compito della medesima scienza conoscere fino a un certo punto la forma e la materia (come, ad esempio, è compito del medico conoscere la salute e la bile e il muco nei quali la salute risiede, e similmente è compito del costruttore conoscere la forma della casa e la materia ossia mattoni e legna, e lo stesso discorso vale anche per quelli che praticano le altre arti), certamente sarà compito anche della fisica conoscere entrambe le nature. Inoltre è compito della medesima conoscere la causa finale e il fine e quante cose sono in virtù di questi. La natura infatti è fine e causa finale [Fisica, II, 194 a 19-27; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 3, Laterza, Bari 1973, pp ] 1. Individua la distinzione presente in Democrito e in Anassagora fra la materia e il principio della sua animazione. 2. Spiega perché secondo Aristotele un sasso lasciato andare cade. 3. Spiega perché secondo Aristotele un seme nel terreno fa nascere una nuova pianta. 6) Per quanto riguarda gli Stoici, scegli l alternativa corretta fra le seguenti: 1. I principi secondo gli Stoici sono: a) infiniti b) due c) uno solo 2. Il Lógos viene identificato: a) con una natura infinita b) col fuoco c) con l essere 3. Il principio attivo funziona: a) finalisticamente b) meccanicisticamente c) in modo sia meccanico sia finalistico 4. La materia è: a) dotata di forma b) impossibilitata ad assumere mai alcuna forma c) priva di forma 5. La materia primordiale si trasforma:: a) grazie a un vortice b) mediante un processo di rarefazione c) per via degli scontri tra le particelle materiali 6. Il divenire del cosmo è: a) un progresso continuo b) un regresso rispetto alla condizione originaria c) ciclico, fatto di ripetizioni P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 17

18 Sez. C STRUMENTI FILOSOFICI (Come utilizzare gli strumenti logici e argomentativi del filosofo) IL «PRINCIPIO DELL EMPIRISMO» a) I presocratici, ad eccezione degli Eleati, sembrano confidare tutti nella validità dell esperienza immediata, nella rispondenza diretta fra la conoscenza e la realtà. Ad esempio Eraclito osservava, a proposito della grandezza del sole, che ha la larghezza di un piede umano (DK 22 B 3), senza preoccuparsi del fatto che le cose lontane ci appaiono più piccole; per lui insomma le cose erano esattamente uguali alle sensazioni che ce ne derivano. Solo più tardi ci si accorse che invece le risultanze dei sensi non devono essere ritenute vere senza che siano sottoposte a una riflessione ulteriore: il bastone immerso nell acqua sembra spezzato in due, ma noi sappiamo perfettamente che ciò non è vero. Rilevi in qualche filosofo presocratico un atteggiamento maggiormente critico verso i sensi? b) Considera adesso il seguente breve passo di Aristotele: Ridicolo, poi, sarebbe cercar di dimostrare che la natura è: è evidente, infatti, che di tali enti ve ne sono molti. E dimostrare le cose evidenti mediante le oscure è proprio di chi non sa distinguere ciò che è conoscibile di per sé e ciò che non lo è. (Fisica, II, 193 a 2-6; trad. it. cit., p. 28) Rispondi adesso alle seguenti domande: 1. Crea qualche esempio di conoscenza empirica che stai effettuando adesso. 2. Tali esempi appartengono tutti al campo dell evidenza? 3. Enuncia qualche esempio di nozioni evidenti ma non empiriche. 4. Tra i filosofi oggetto di questo capitolo, chi ti sembra formulare una teoria della conoscenza dove l esperienza ha un ruolo subordinato? c) Alle lettere a) e b) abbiamo constatato che l esperienza viene ritenuta da molti filosofi greci la fonte privilegiata della conoscenza (e abbiamo altresì constatato che non coincide con la nozione di evidenza: l evidenza empirica non esaurisce infatti il campo intero dell evidenza). Nel passo che segue, del celebre filosofo della scienza Karl Popper ( ), l esperienza, identificata nel caso specifico con l osservazione, viene invece considerata l elemento che decide della validità delle conoscenza, non necessariamente la loro origine. Sono pronto ad ammettere che soltanto l osservazione può fornirci la conoscenza dei fatti e che (come dice Hahn) possiamo diventare consapevoli dei fatti soltanto in base all osservazione. Ma questa consapevolezza, questa nostra conoscenza, non giustifica, né consolida, la verità di nessun asserzione. Non credo perciò che la domanda che l epistemologia deve porsi sia su che cosa riposa la nostra conoscenza? o, piuttosto, più esattamente, come posso, dopo aver avuto l esperienza S, giustificare la mia descrizione di tale esperienza, e difenderla contro il dubbio?. Secondo me ciò che l epistemologia deve chiedersi è, piuttosto: in qual modo controlliamo le asserzioni scientifiche? (Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino , p. 91) Adesso rispondi alle seguenti domande: 1. Che differenza istituisce il passo popperiano fra la pura e semplice conoscenza dei fatti e la loro giustificazione 2. Fai qualche esempio di proposizioni non derivate direttamente dall esperienza che si possono verificare in modo empirico. d) Considera infine il seguente passo del fisico Werner Heisenberg ( ):

19 L idea di piccolissimi, indivisibili blocchi da costruzione della materia si presentò dapprima in connessione con l elaborazione dei concetti di materia, essere e divenire, che contraddistinsero la prima epoca della filosofia greca. Questo periodo comincio nel sesto secolo a.c. con Talete, il fondatore della scuola di Mileto, a cui Aristotele attribuisce l affermazione: L acqua è la causa materiale di tutte le cose. Questa affermazione, per strana che possa apparirci, esprime, come Nietzsche ha messo in rilievo, tre fondamentali idee filosofiche. Primo, l esistenza di un problema circa la causa materiale di tutte le cose; secondo, l esigenza che a questa domanda si debba rispondere in conformità alla ragione, senza ricorso ai miti, o al misticismo; terzo, il postulato che in definitiva sia possibile ridurre ogni cosa ad un principio unico. C è un enorme differenza fra la scienza moderna e la filosofia greca ed essa consiste proprio nell atteggiamento empiristico della scienza moderna. alcune determinazioni della filosofia antica sono abbastanza vicine a quelle della scienza moderna. Il che mostra semplicemente quanto lontano si possa arrivare combinando l esperienza ordinaria della natura, che noi abbiamo senza ricorrere ad esperimenti, con l instancabile intento di porre un certo ordine logico in codesta esperienza per intenderla in base a dei princìpi generali. (Fisica e filosofia, Il Saggiatore, Milano 1963, pp. 65 e 78-79). Rispondi adesso alle seguenti domande: 1. Quali sono secondo Heisenberg i tre risultati dell indagine dei presocratici? 2. Quali ne sono a suo avviso i limiti rispetto alla scienza contemporanea? 3. Qual è secondo Heisenberg la fondamentale differenza fra la ricerca naturalistica dei Greci e l indagine scientifica dei contemporanei? SEZ. D PIANO DI DISCUSSIONE 1. Si può spiegare la natura essendone parte? Se sì, come? 2. Si può spiegare la natura esperendone parte? Se sì, come? 3. Si può spiegare perché spiegare la natura? Se sì, come? 4. Immagina un mondo in cui la priorità della vista fosse sostituita con quella dell olfatto o del tatto: si tratta comunque di forme di conoscenza empirica. Potrebbe esserci una scienza basata sull odorazione o sulla palpazione al posto che sull osservazione? Perché? 5. Qualunque sia il modo in cui vengono concepite le leggi di natura e qualunque ne sia il contenuto, esse si accomunano nel rispetto del principio di non contraddizione: il moto terrestre non può essere e non essere rotatorio. Il principio di non contraddizione è dunque una legge di natura? 6. L osservatore è altrettanto essenziale alla creazione e sviluppo dell universo quanto l universo lo è per la creazione dell osservatore? 7. Quale potrebbe essere, rispetto a temi finalistici, il ruolo di Dio nella creazione dell universo? 8. Essere finalisti è compatibile con la scienza? BIBLIOGRAFIA MINIMA G. Cambiano, Filosofia e scienza nel mondo antico, Loescher, Torino N. D Anna, Il gioco cosmico, Rusconi, Milano E. J. Dijksterhuis, Il meccanicismo e l immagine del mondo, Feltrinelli, Milano R. French, Gli antichi e la natura, ECIG, Genova R. Lenoble, Storia dell idea di natura, Guida, Napoli P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 19

20 SCHEDA DIDATTICA SCHEDA DIDATTICA SUL PROBLEMA Sommario inquadramento storico dei filosofi citati capacità di analisi del testo, sapendone individuare i nessi centrali Prerequisiti capacità di riconoscere termini specifici della disciplina capacità elementare di valutare un argomento razionale: distinguere la tesi e i motivi a supporto conoscere la valenza del concetto di esperienza Conoscenza Acquisizione di un lessico specifico relativo alle seguenti nozioni: arché Obiettivi monismo pluralismo meccanicismo finalismo natura materia Competenza Avviare l utilizzo del lessico filosofico Saper collocare storicamente gli autori affrontati Focalizzare i nuclei teorici delle diverse posizioni Capacità Analizzare e confrontare le diverse concezioni che assume il tema della natura nei diversi autori Analizzare le diverse soluzioni proposte al problema Confrontare tra le diverse soluzioni individuandone specificità e premesse Sintetizzare il problema negli aspetti comuni rilevati nei diversi autori Attualizzare il problema Programmazione Tre lezioni Termini illustrati atomo cosmogonia cosmologia entelechia finalismo immanenza luogo naturale materialismo meccanicismo monismo movimento natura omeomeria Pluralismo principio (arché) Lessico filosofico impiegato nell esposizione del problema atto causa creazionismo determinismo esperienza fisica forma idea mito potenza principio di non contraddizione qualità sinolo vitalismo P. Vidali, Argomentare I - Versione digitale Pagina 20

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