Catechiste e catechisti capaci di Vangelo

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1 1 Catechiste e catechisti capaci di Vangelo La modifica operata sul titolo della lettera pastorale che il Vescovo Francesco ha indirizzato alle nostre Comunità: Donne e uomini capaci di Vangelo non è arbitraria, perché l identità del/la catechista può definirsi soltanto in stretto rapporto all identità del cristiano. È a partire dalla fede, dalla sua singolare forma evangelica, che siamo invitati a riflettere sul dono e sulla responsabilità di essere oggi catechiste/i nella nostra Chiesa. 1. La fede è una cosa per pochi o è una cosa da poco? (7) È un interrogativo che dà molto da pensare. A giudicare dai numeri forniti dalle indagini statistiche, il panorama della pratica religiosa e delle forme dell appartenenza ecclesiale appare profondamente mutato. Già il vescovo Roberto e le Costituzioni sinodali del 2007 ( 312; cfr. anche 17 e 99) avevano richiamato l attenzione a questo fenomeno: i grandi rivolgimenti storico-culturali che presiedono alla secolarizzazione hanno accelerato l erosione di quel catecumenato sociale e familiare che favoriva un appartenenza religiosa quasi spontanea e pubblicamente riconoscibile. In una cultura rurale, la trasmissione della visione della vita legata al Vangelo poteva contare su di una tradizione che garantiva la grammatica fondamentale dell esperienza cristiana, in termini di ritmi di preghiera, calendario di celebrazioni e regole di comportamento. Alla comunità cristiana non si chiedeva di iniziare alla fede, ma di coltivare ed irrobustire una scoperta già avvenuta, in un contesto di profonda osmosi tra le istituzioni civili e l appartenenza ecclesiale. Oggi quel legame si è spezzato. Ciò che, sul piano pedagogico, viene diagnosticata come una generale crisi della trasmissione di stili e di valori, trova conferma nel difetto di persuasività delle parole e dei gesti della fede e, più in generale, nel ridimensionamento della simbolica religiosa. Le ricadute nella pratica catechistica ci sono ben note. Probabilmente anche a noi è capito di condividere l amarezza di un lavoro che sembra sia cosa da poco, perché conta poco, dato che ci viene concesso un credito a tempo, come una parentesi stretta in un agenda sovraffollata. Per non dire poi dell esito frustrante di alcune richieste di collaborazione, che hanno suscitato la reazione stupita da parte di chi pensava di avvalersi soltanto di una prestazione di servizio Non è questa la sede per impegnarci nella diagnosi puntuale di alcune caratteristiche salienti della cultura occidentale contemporanea, riconoscibili al fondo delle dinamiche citate (pensiamo, in particolare, all individualismo e all ideale dell auto-realizzazione, alla seduzione consumistica ed alla riduzione funzionale dei legami). Tantomeno vogliamo crogiolarci in rimpianti o nostalgie (che distorcono anche le memorie più preziose) o sognare la costruzione di un mondo alternativo: rifuggiamo dalla controffensiva ostile e dalla militanza intonata al risentimento. Però non vogliamo nemmeno peccare di ingenuità, dissimulando alcune insidie rivolte specificamente agli aspiranti credenti di oggi. Penso alla seduzione estetica ed alla riduzione psicologica. Riguardo alla prima, in una maniera come al solito diretta e salace, papa Francesco, lo scorso 27 giugno, commentando il brano di Mt 7,21-29, si esprimeva così: «[Tra i cristiani senza Cristo abbiamo] il cristiano light, che invece di amare la roccia, ama le parole belle, le cose belle e si rivolge verso un dio spray, con atteggiamento di superficialità e leggerezza». Quando la valorizzazione della bellezza (che trova grande ispirazione nelle immagini e nei testi della tradizione credente) rimane disgiunta dalla passione per la verità, la fede si riduce a suggestione ornamentale, perché non raggiunge

2 2 il piano della decisione e non si dedica alla plasmazione delle pratiche concrete. Quanto alla riduzione psicologica, dobbiamo riconoscere che la disgregazione delle identità sociali forti, così come l accresciuta competizione e la privatizzazione dei sentimenti e degli ideali, hanno accresciuto l esigenza di nuove forme di aggregazione, nelle quali l intensità e la gratificazione assurgono a criteri decisivi per l adesione credente. Senza sminuire le nuove opportunità, dobbiamo ammettere che la strategia del contagio non costituisce rimedio autentico all anonimato, così come il criterio del proprio sentire non è titolo sufficiente per certificare la validità obiettiva di un esperienza di fede. Nell interrogazione da cui siamo partiti è rimasta in sospeso una domanda: dunque la fede è una cosa per pochi?. Tenendo conto della condizione di minoranza del cristianesimo nelle società postmoderne, dobbiamo rassegnarci ad una concezione elitaria della fede, soltanto un po più blasonata di un avventura settaria? Al cuore del Vangelo di Gesù c è un offerta di grazia per tutti, la proposta di un alleanza che dal punto di vista del desiderio di Dio non esclude nessuno. Ecco perché anche quando la Chiesa non è più di tutti come accadeva invece nel regime della societas christiana, deve essere per tutti: non può mancare di rivolgere a tutti la testimonianza della speranza che riceve dall incontro con il Signore. Precisato questo, si può comunque dire che la fede è una cosa per pochi, perché non possiamo (più) adagiarci nell abitudine: non possiamo accontentarci di un cristianesimo di facciata, non più motivato da convinzioni personali e non più in grado di parlare in modo significativo al cuore delle persone (cfr. Costituzioni sinodali 19). I margini di tolleranza nei confronti della mediocrità si stanno sempre più riducendo: il nostro mondo già Gesù ci aveva avvisato, parlando del sale scipito (cfr. Mt 5,13) non sa che farsene di cristiani tiepidi, tanto meno di ipocriti. C è bisogno di donne e di uomini che non prendono la fede come pretesto per la loro meschinità e i loro intrallazzi, ma che proprio dalla fede in Gesù attingano forza per testimoniare una bontà che guarisce ed una speranza che infonde coraggio. 2. Fare della fede non un abito da esibire, ma la sorgente viva della propria esistenza (2) Di fronte a questa raccomandazione la prima reazione è che si tratta di un impresa è impossibile. Non per le presunte condizioni sfavorevoli del nostro tempo, ma per una ragione fondamentale: che non si può avere Dio senza Dio! Solo per arroganza potremmo pensare che la fede ci spetta come premio per le nostre prestazioni. Chi pretende di scalare il Cielo di Dio, nel caso migliore, finisce per compiacersi della propria immagine. La fede è piuttosto una questione spirituale, cioè è sospesa alla benevolenza di Dio che mediante il suo Spirito ci lega a Gesù e ci introduce nella comunione con Lui. Dunque, l impresa di fare della fede la sorgente viva della nostra esistenza diviene possibile a condizione che lasciamo zampillare in noi lo Spirito che il Signore riversa nei nostri cuori (cfr. Rom 5,5). Con il tuo amore rendimi capace di amarti : potrebbe suonare così la preghiera che deve valere come cantus firmus delle nostre giornate. La fede può scaturire ed alimentarsi soltanto in un intima relazione con il Signore (con Colui che ci ha conquistati: cfr. Fil 3,12) Qualche giorno fa il 31 ottobre 2013, commentando il brano di Rom 8,31ss, papa Francesco si esprimeva così: «[ ] Senza l amore di Cristo, senza vivere di questo amore, riconoscerlo, nutrirci di quell amore, non si può essere cristiano». Il cristiano «si sente guardato dal Signore con quello sguardo tanto bello, amato dal Signore e amato sino alla fine». Incontro relazione amore : sono parole forti. Magari in un

3 3 tempo come il nostro, in cui sembra che i segni della presenza di Dio si siano rarefatti e molti nemmeno ne provano nostalgia, qualcuno le considera esagerate. Eppure è proprio in questi termini che il Vaticano II, in particolare il primo capitolo della Dei Verbum, racconta l identità della nostra fede: Gesù è colui che ci narra gli intima Dei (DV 4); mediante lui il Dio invisibile, nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé (DV 2). Noi potremo diventare uomini e donne capaci di Vangelo nella misura in cui ci lasciamo modellare da Lui. Dove e come tutto questo può accadere anche per me? L interrogativo è vitale e le risposte si compendiano in un ritmo scandito nel testo dei vangeli da due verbi inseparabili: dimorare e seguire. Del primo, di spiccato sapore giovanneo (cfr. Gv 15), offre una rappresentazione efficace proprio l immagine scelta per l anno pastorale diocesano. La Chiesa ci indica alcuni luoghi privilegiati per vivere di questa confidente intimità: la Scrittura («Il cristianesimo», infatti, «non comincia dicendo agli uomini quello che devono fare, ma quello che Dio ha fatto per loro in Cristo Gesù» R. CANTALAMESSA, Prima predica d Avvento alla presenza di Benedetto XVI, 5 dicembre 2008) e i sacramenti, disposti su di un arco che ha come pilastri il Battesimo (il sacramento dell inserzione nel Mistero pasquale) e l Eucaristia (il banchetto dello Sposo con lo Sposo). Ecco perché la celebrazione eucaristica è per ogni cristiano una questione di identità e di sopravvivenza: Sine Dominico vivere non possumus. Al riguardo sono decisamente più convincenti le parole che papa Francesco ha rivolto proprio ai catechisti il 27 settembre 2013: Prima di tutto, ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui, avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù! È un rimanere attaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui: rimanere in Gesù. La prima cosa, per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita. [ ] Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare è semplice! È un po noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista: è parte dell essere catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell amicizia col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. Ciò significa che, soprattutto un catechista, non può presumere di conoscere il suo Signore (cfr. Fil 3,8). Quando cediamo a questa tentazione, per pigrizia o magari soltanto per la fretta, coloro che ci sono affidati hanno immediatamente la sensazione che stiamo sbrigando una faccenda pedante e noiosa anzitutto per noi, che non merita troppa passione. Mancheremmo di rispetto a Dio e non saremmo capaci di educare alla pazienza necessaria con Lui. Avere rispetto per Dio esige che, come catechisti, confezioniamo delle proposte serie, affinché Lui non venga ridicolizzato dal nostro dilettantismo. La serietà si misura appunto nel lasciarsi condurre per mano dalla Scrittura e nell avere cura dell arte del celebrare. Quando viviamo la preghiera comunitaria e personale come uno stare con il Signore, come un lasciarci guardare da Lui, ci tocca un esperienza curiosa, simile a quella di Zaccheo (Lc 19,1-10): l esperienza di essere ospitati da Colui che ospitiamo! L anno liturgico ci offre proprio questa opportunità: nel ritmo delle stagioni, la liturgia dischiude accessi sempre nuovi all unico, delicato, mistero di Gesù.

4 4 È rimasto in sospeso il secondo verbo: dimorare con Gesù per seguire Gesù. Già, ma dove ci porta? L essere ospitati da Lui dove ci spinge? Per rispondere dobbiamo invertire il titolo della lettera pastorale. 3. Un Vangelo capace dell uomo In Gesù abbiamo scoperto un Dio capace per intero della nostra umanità, anche di coloro che lo rifiutano e lo osteggiano. Ecco perché, se segui Gesù, Lui ti conduce dentro la storia effettiva, nella trama concreta delle persone che incontri. È lì che siamo chiamati a testimoniare che nel Vangelo di Gesù si trova la verità dell uomo e che il cuore del Vangelo è la passione per l uomo. Secondo il Vangelo di Gesù, la storia ha una dignità divina: Dio vuol costruire il Suo futuro dal/col nostro presente. L Incarnazione non designa soltanto una parte circoscritta della storia della salvezza; piuttosto rivela la forma, il modo in cui Dio è sempre con noi. Come l Emanuele, appunto. Sullo sfondo della variegata offerta religiosa del mondo globalizzato suona quasi scandalosa questa confessione che sta al cuore del Vangelo: Dio salva la storia da dentro, perché Gli sta troppo a cuore la nostra libertà, anche quando ne paga il prezzo. Quindi, non sarebbe degno dell uomo un dio che ti porti fuori dal mondo, che istilli disprezzo per l umanità, che induca la fuga dalla responsabilità per la casa comune che è il mondo. Sull intreccio tra la fedeltà a Dio e la fedeltà alla terra il Vaticano II ci ha consegnato pagine memorabili. Ricordiamo alcuni brani di Gaudium et Spes 22: «In Lui [in Gesù] la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» [EV 1/1386]. «Cristo [...] è morto per tutti e la vocazione ultima dell uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» [EV 1/1389]. Tutto ciò che è umano ci interessa, non è soltanto uno slogan, tanto meno ci autorizza ad un adesione acritica al nostro tempo. Piuttosto è una questione di fedeltà alle scelte del nostro Signore: nella logica evangelica l umanità non viene mai relegata al ruolo di spettatrice defilata dell agire di Dio, dato che il Dio di Gesù Cristo trova gloria proprio nel suscitare la nostra corrispondenza (ecco perché non c è nulla di autenticamente umano che sia estraneo al Mistero di Cristo). Sopra si diceva che non si può avere Dio senza Dio (se non è il suo Spirito ad ammetterci alla comunione con Lui). Ora dobbiamo specificare: non possiamo avere Dio ponendoci sopra il mondo, dato che la Chiesa ha bisogno del mondo per imparare quel Vangelo che gli annuncia. Sempre nel Concilio, ancora nella Gaudium et spes, leggiamo infatti: «[ ] La Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall evoluzione del genere umano. [ ] Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione» [EV 1/ ]. Il linguaggio ci sembra forse troppo prudente. Però a noi catechisti fornisce un criterio per misurare la qualità evangelica della missione che svolgiamo: quanto impariamo dai bambini, dai ragazzi, dai giovani che incontriamo? Chi pensa di non ricevere mai nulla e di avere soltanto da dare deve preoccuparsi molto, perché vuol dire che si è spezzato l equilibrio evangelico dell admirabile commercium. Di fronte alla sfiducia e perfino al nichilismo che nella nostra società affliggono non soltanto le nuove generazioni, è impellente la responsabilità di risvegliare un idea di uomo all altezza di un Dio che ci prende così sul serio. Si tratta della questione educativa, a più riprese evocata nei

5 5 documenti dei vescovi italiani. Perché il Vangelo di Gesù possa sprigionare il Suo fascino abbiamo bisogno di educare ad uno sguardo sapienziale sulla vita, che comincia nel cogliere lo spessore reale delle cose di ogni giorno. Un esempio attualissimo e doloroso? Il lavoro non è soltanto uno strumento per fare soldi, ma un requisito di dignità. Potremmo proseguire parlando dell amore, che non è uno scherzo, perché tocca le corde fondamentali della vita: l alleanza e il perdono, l attesa e la consolazione, la fiducia e il coraggio. È in questa direzione che, in particolare tra noi adulti, possiamo risvegliare il gusto della libertà e disporre alla sorpresa di un Dio che non ti prende di peso, usando violenza, ma che ti cerca rimanendo come in sospeso di fronte alla tua decisione. A mo di epilogo Nei confronti delle nuove generazioni e di tutti coloro che se ne prendono cura, in primo luogo le famiglie, la catechesi è la proposta più importante delle nostre comunità, proprio perché offre la possibilità di scoprire la storia di Gesù, di affezionarsi a Lui, e di entrare nel mondo con la Sua amicizia. L iniziazione alla fede delle nuove generazioni è, pertanto, per la parrocchia «non uno tra i tanti settori della pastorale, ma ne è il momento fondamentale. Dovrebbe infatti fungere da modello ispiratore di tutte le attività della comunità ecclesiale e, plasmando il tratto iniziale della vita cristiana, ne determina l intero itinerario» (Costituzioni sinodali 308). a) La catechesi è un esperienza Nel dopo Concilio, sulla scia del Documento base (Il rinnovamento della catechesi, pubblicato il 2 febbraio 1970), siamo abituati a dirlo, per superare una concezione nozionistica della trasmissione della fede (non dimentichiamoci, però, che quando ciò avveniva, provvedeva il contesto a colmare il gap esperienziale). Ora, però, affinché l incontro di catechesi assuma la fisionomia di un esperienza di fede, deve essere costruito con tutti i sensi: non solo con l udito, ma anche con la vista, l olfatto, il tatto e il gusto. Nell appellarci ai cinque sensi non facciamo altro che riconoscere che la proposta della fede ha bisogno di concretezza: proprio perché ha come centro l annuncio di una salvezza della/nella carne (la gloria pasquale coinvolge e trasfigura la vita del Crocifisso), vive di carne, di una umanità non dimidiata, ma valorizzata anche nella sua dimensione sensibile. Una nozione magari la dimentichi, ma una carezza mai. Di qui l importanza di far passare con il corpo l annuncio di un Dio che ha a cuore l uomo. b) da vivere insieme È un avverbio scomodo perché conosciamo bene le fatiche del muoverci coordinati, come un corpo armonico che ha molte membra. La catechesi come esperienza di fede esige il protagonismo di coloro che ne ricevono il mandato; vuol contare sulla loro creatività. Però non può mai ridursi ad un avventura individuale o di piccoli gruppetti isolati; dobbiamo trovare modi e forme per crescere nella consapevolezza di far parte di un unica comunità e di muoverci in comunione con la Chiesa, che è la custode e garante della nostra esperienza di fede sempre originale. Un modo semplice per vivere l ecclesialità ed esercitare la responsabilità profetica che il battesimo ci assegna è la verifica dei nostri cammini di catechesi (per condividere dobbiamo però superare anche le invidie e le gelosie ).

6 Nella prima parte di questa riflessione, parlando della condizione di minoranza del cristianesimo ho scansato di proposito un interrogativo: nel nostro tempo la fede potrà ancora assumere una dimensione popolare? Non sono in grado di diramare una prognosi. Però oso dire che non è questo il problema centrale. Ciò di cui dobbiamo preoccuparci è di vivere la missione catechistica come un esperienza ecclesiale. Il riscontro che siamo sulla buona strada ci viene da un duplice retrogusto: quello della gratitudine e del coraggio. Nel fare catechesi le fatiche si sprecano e gli utili si azzerano; però, la consapevolezza di essere scelti come mediatori del desiderio di Gesù di incontrare i figli dell uomo riesce ad accendere la nostra riconoscenza? La gratitudine alimenta il coraggio, perché se il Vangelo ci testimonia un Dio che educa e nutre il suo popolo mettendo in conto persino di pagare del suo, vuol dire che non dobbiamo avere paura quando diamo fiducia al nostro mondo e ci incoraggiamo a vicenda nel costruire fraternità. Nei bambini, il desiderio di scoprire e lo stupore sono di casa. Quando li trovi negli adulti rimani spiazzato, perché vuol dire che ti trovi di fronte ad una donna, ad un uomo che non si sono seduti, ma che, proprio perché conquistati, diventano cercatori insaziabili. Dio non se ne dispiace: non è forse Colui che è e rimane nuovo per eccellenza? Soltanto chi ha rispetto per Lui mette in conto, ad ogni età, di lasciarsi sorprendere. 6

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