Contrastare il declino europeo: quale ruolo per le riforme del mercato dei prodotti?

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1 Contrastare il declino europeo: quale ruolo per le riforme del mercato dei prodotti? Di Riccardo Faini, Jonathan Haskel, Giorgio Barba Navaretti, Carlo Scarpa, and Christian Wey Sintesi del rapporto Nel 2001, di fronte al rallentamento dell economia degli Stati Uniti, i policy makers europei sembravano abbastanza certi che l Europa sarebbe divenuta il motore trainante della crescita economica internazionale. I forti fondamentali macroeconomici, tra i quali la bassa inflazione, l assenza di disavanzi di bilancio, e una situazione dei conti pubblici in costante miglioramento, erano tutti fattori che portavano a formulare previsioni ottimistiche sul futuro dell economia del continente europeo. A posteriori, è facile rilevare come molte di queste aspettative peccassero di eccessivo ottimismo. Il rallentamento della crescita economica dopo il 2001 è stato decisamente più forte in Europa che negli Stati Uniti. A quanto pare, l Europa non ha ancora trovato la ricetta per una crescita sostenuta. Questa mediocre performance ha suscitato nuovi timori riguardo alle prospettive economiche di lungo periodo dell Europa. Un aspetto particolarmente preoccupante è rappresentato dal fatto che la crescita della produttività, al contrario di quanto avvenuto negli Stati Uniti, è rimasta stagnante: se non aumenta l efficienza nell utilizzo dei fattori produttivi molti degli obbiettivi fissati dall agenda di Lisbona saranno difficili, se non impossibili, da raggiungere. Un insufficiente crescita della produttività è alla radice del problema della scarsa competitività europea che si riflette nella costante erosione delle quote mondiali di esportazioni e dalla continua riduzione della capacità di attrarre investimenti diretti esteri (IDE). 1

2 Obiettivi e motivazioni del rapporto Esiste una qualche relazione tra le riforme del mercato dei prodotti e le performance deludenti delle economie europee per quanto riguarda la crescita e la produttività? Rispondere a questa domanda è l obiettivo principale del rapporto. Che la rigidità dei mercati sia tra le principali ragioni della bassa produttività dell economia europea è un ipotesi condivisa da molti. Fino ad oggi, una parte preponderante dell attenzione dei policy maker e dell opinione pubblica è stata attratta dalle riforme dei mercati del lavoro e dei sistemi pensionistici europei. Tuttavia, le diffuse inefficienze e distorsioni non si limitano al mercato del lavoro: l agenda delle riforme da ancora portare a compimento riguarda soprattutto il settore terziario. L esigenza di procedere ad ulteriori liberalizzazioni nel settore dei servizi, però, non raccoglie consenso unanime. Le preoccupazioni più ricorrenti riguardano la possibilità che si verifichino perdite di posti di lavoro e riduzioni negli investimenti infrastrutturali e che i benefici dell aumentata concorrenza non ricadano sui consumatori finali sotto forma di riduzioni dei prezzi. Effettivamente, quello delle liberalizzazioni è un processo complicato, che molti stati europei sono riusciti a mettere in atto solo sulla spinta delle Direttive della Commissione Europea. Le riforme, oltre alle difficoltà connesse alla loro implementazione, non producono automaticamente degli effetti positivi su variabili quali l occupazione, gli investimenti ed i prezzi. Le specificità settoriali sono importanti nel determinare questi effetti. Queste argomentazioni vengono spesso sollevate da gruppi di interesse, ma trovano anche riscontro nella letteratura teorica che mostra i possibili effetti perversi prodotti da un incremento nella concorrenza. Ad esempio, Aghion e al. (2003) sostengono che la relazione tra struttura di mercato e innovazione ha un andamento a parabola, per il quale l innovazione viene stimolata sia da un mercato molto competitivo sia da un mercato molto concentrato. Se le barriere all ingresso non sono troppo elevate, inoltre, un impresa monopolistica può avere un forte incentivo a continuare ad investire in innovazione allo scopo di scoraggiare i potenziali concorrenti e mantenere le sue ampie rendite di monopolio (Etro, 2004). Nonostante queste preoccupazioni, è opinione comune nella comunità accademica e tra i policy maker che i benefici della concorrenza superino ogni eventuale costo. Questo consenso si fonda su due ordini di ragioni. Innanzitutto, degli interventi di riforma dei mercati dei prodotti ben disegnati hanno effetti positivi sulla produttività nel suo complesso (Nicoletti and Scarpetta, 2003). Secondo, 2

3 molte rigidità del mercato del lavoro sono intrinsecamente legate a distorsioni esistenti nei mercati dei prodotti (Blanchard and Giavazzi, 2003; Jean and Nicoletti, 2003). In particolare, regolamentazioni inefficienti generano spesso rendite economiche che, a loro volta, alimentano lo sviluppo di ulteriori rigidità nel mercato del lavoro: intervenire sui mercati dei prodotti può facilitare il verificarsi di cambiamenti strutturali anche nel mercato del lavoro. A riprova di queste posizioni, lo studio dell evidenza empirica, sebbene non sia unanime, suggerisce, in genere, che un maggior livello di concorrenza aumenta la produttività, così come mostrato in alcune recenti ricerche dell OCSE (Nicoletti e Scarpetta, 2003). Questa evidenza empirica, tuttavia, spesso non tiene conto del complesso dei fattori che possono influenzare la relazione tra deregolamentazione e produttività. La struttura del rapporto In questo rapporto, dunque, viene approfondito questo tema adottando due prospettive di analisi empirica diverse da quanto fatto finora. La prima è quella di dedicare particolare attenzione agli aspetti settoriali delle riforme e dei loro effetti, esaminando gli interventi di riforma attuati in settori chiave da tre Paesi europei: Germania, Italia e Gran Bretagna. La scelta di questo campione è stata dettata dalla necessità di considerare un insieme rappresentativo di nazioni all interno dell arena europea e dal desiderio di approfondire lo studio di una gamma sufficientemente ampia di esperienze nazionali. Le caratteristiche e gli effetti delle riforme vengono esaminate per singoli settori in quanto la questione della regolamentazione e i suoi effetti presentano aspetti industryspecific: le problematiche con le quali si misurano industrie di rete come l energia e le comunicazioni sono completamente diverse da quelle che riguardano i servizi alle imprese, come i revisori contabili e gli avvocati. Finora gran parte dell attenzione a livello europeo si è focalizzata sulla riforma del quadro di regolamentazione delle industrie di rete. Altri settori, inclusi la vendita all ingrosso e al dettaglio e i servizi professionali, hanno ricevuto minor considerazione, nonostante siano cruciali per la competitività e l efficienza del sistema economico. La seconda direzione di analisi seguita da questo rapporto è quella che analizza gli effetti indiretti del settore terziario come fornitore di input chiave per la produzione manifatturiera. Generalmente, il dibattito sui servizi si concentra sui loro effetti per i consumatori finali e i legami input-output vengono raramente considerati (si vedano, tuttavia, due importanti eccezioni: Grillo, 2004, e Nicoletti e Scarpetta, 2003). Ciononostante, ai servizi è riconducibile un importante quota dei costi 3

4 complessivi di altri settori quali la manifattura e l agricoltura. Sotto quest aspetto, l efficienza del settore terziario ha importanti implicazioni per l efficienza complessiva dell attività economica. Principali risultati Il risultato principale di questo rapporto è che, nonostante la difficoltà di attuare le riforme e la possibilità che esse non portino sempre agli effetti sperati (soprattutto nel breve periodo), la deregolamentazione dei servizi nei tre Paesi analizzati risulta correlata positivamente con una più rapida crescita della produttività e della competitività dell economia nel suo complesso. Questo risultato è sostanzialmente dovuto al fatto che i servizi svolgono un ruolo molto più pervasivo nell economia di quanto venga generalmente riconosciuto, dato che essi fungono da input nella maggior parte delle produzioni manifatturiere ed agricole. Di conseguenza, cambiamenti anche limitati nell efficienza, nella qualità e nei costi dei servizi genera ampi guadagni di competitività sull economia nel suo complesso. La conclusione è che la liberalizzazione dei servizi genera importanti guadagni di benessere e che i governi dovrebbero perseverare nei loro sforzi di riformare il settore terziario. In quanto segue illustriamo questi risultati con maggiore dettaglio. Le liberalizzazioni hanno effetti diretti positivi sulla produttività nei servizi, ma non sempre producono riduzioni nei prezzi ed incrementi nei livelli occupazionali. Le liberalizzazioni hanno effetti positivi sulla produttività, che spesso per la riduzione dell occupazione in eccesso aumenta in tutti i casi per i quali la misurazione è possibile ed affidabile. La produttività può aumentare anche prima della privatizzazione e della liberalizzazione, in quanto le imprese anticipano il futuro aumento di concorrenza dei mercati che segue alle riforme. Per quanto riguarda i prezzi e l occupazione il verdetto non è ancora definitivo. I prezzi si riducono e i livelli occupazionali aumentano quando le liberalizzazioni riescono effettivamente a stimolare lo sviluppo della concorrenza. Questo accade in settori naturalmente concorrenziali dove la regolamentazione non svolge altra funzione che proteggere i produttori oppure quando il progresso tecnologico permette alle imprese entranti di offrire prodotti nuovi o spinge le imprese già presenti nel mercato ad essere innovative loro stesse. Il settore delle telecomunicazioni è un chiaro esempio di questo circolo virtuoso. Gli effetti sono, invece, meno positivi in altre industrie, caratterizzate da una limitata innovazione di prodotto e processo, dove la presenza di elementi di monopolio naturale impediscono ai potenziali 4

5 concorrenti di competere facilmente con imprese già attive nel mercato. In termini generali, la contenuta riduzione dei prezzi è parzialmente imputabile alla limitata concorrenza che i governi nazionali hanno potuto, o voluto, introdurre. Inoltre, le liberalizzazioni sono state attuate in settori dove le tariffe erano inizialmente fissate ben al di sotto dei costi: nonostante il mantenimento dei sussidi, in settori quali le ferrovie e l acqua, la probabile conseguenza di riforme market-oriented è quella di un incremento dei prezzi, soprattutto quando è necessario finanziare sul mercato gli ingenti investimenti infrastrutturali. Infine, per quanto riguarda il settore dell energia, le aspettative sull efficacia delle riforme sono state probabilmente eccessive: i prezzi per i consumatori finali sono influenzati in larga misura dal costo del carburante, dalla tassazione e dalla necessità di effettuare ingenti investimenti per aumentare l efficienza del settore. Il terziario svolge un ruolo importante e crescente come fornitore di input al settore agricolo e manifatturiero. I benefici delle riforme dei mercati dei prodotti vanno ben oltre il loro impatto settoriale diretto. In particolare, il settore terziario fornisce una quota sostanziale degli input all industria manifatturiera e gioca, di conseguenza, un ruolo primario nell influenzare la competitività dell industria e, più in generale, del sistema economico. I servizi, infatti, sono sempre più orientati al business e la loro efficienza può sensibilmente migliorare la competitività di altri settori dell economia. In questo rapporto documentiamo il ruolo del settore terziario come fornitore-chiave di input per il settore manifatturiero. L analisi input-output è utilizzata per mostrare che la quota crescente attribuibile ai servizi sull occupazione ed il Prodotto Interno Lordo non riflette soltanto il maggior orientamento della domanda dei consumatori verso i servizi, ma anche il loro crescente peso come fornitori di input ad altri settori del sistema economico. La nostra analisi prende in considerazione gli effetti diretti ed indiretti dell utilizzo degli input. Gli effetti diretti consistono nei costi che un dato settore manifatturiero A deve sostenere per l acquisto dei servizi che utilizza come input nella produzione. I costi indiretti, invece, catturano i costi ulteriori sostenuti dal settore A per i servizi che fungono da input per altri prodotti manifatturieri che A utilizza come beni intermedi. Quando si valutano congiuntamente gli effetti diretti ed indiretti, emergono tre risultati principali. Primo, il costo degli input di servizi superano mediamente il 40% del valore della produzione negli altri settori. Secondo, questa quota è stata stabilmente crescente a partire dalla meta degli anni 80 per tutti e tre i Paesi del campione scelto. In Gran Bretagna, ad esempio, è aumentata dal 25% nel 1984 al 45% della fine degli anni 90. Questo aumento è più 5

6 ampio e più rapido dell incremento complessivo del peso dei servizi sul Pil: quest ultimo è aumentato dal 62% nel 1970 a circa il 74% nel 2001 per gli Stati Uniti, e dal 52,2% al 70% per l Unione Europea nello stesso periodo. Terzo, scomponendo la quota complessiva del settore terziario nei contributi di ciascuna singola industria industrie di rete (trasporti, energia e telecomunicazioni), commercio (al dettaglio e all ingrosso), finanza e altri servizi per l impresa (avvocati, contabili, ecc.) troviamo che le quote delle singole industrie sono generalmente simili. È interessante sottolineare che i servizi professionali alle imprese, generalmente considerati meno importanti rispetto alle industrie di rete e alla finanza, è attribuibile una quota rilevante (intorno al 10%) in ciascuno dei tre paesi. Il rapporto evidenzia anche che, nonostante un progressivo aumento degli scambi internazionali di servizi alle imprese, il terziario rimane decisamente meno aperto al commercio estero rispetto alla manifattura. Se la penetrazione delle importazioni definita come il rapporto tra le importazioni e il valore della produzione nazionale oscilla tra il 23% e il 43% per il settore manifatturiero, essa varia tra il 2% e il 3% per quello dei servizi. Questo implica sia che i servizi non sono esposti alla concorrenza internazionale e quindi le regolamentazioni nazionali sono l unico mezzo per aumentarne la concorrenza sia che le attività produttive che adoperano tali servizi come input non possono importare servizi alternativi ad un minor prezzo. Diffuse rigidità nell offerta di input chiave prodotti dal settore terziario e non commerciabili internazionalmente scoraggiano gli investimenti diretti esteri (IDE) e privano, di conseguenza, il paese di destinazione degli IDE di numerose esternalità positive, quali gli ulteriori guadagni in termini di salari e produttività. L efficienza dei servizi alle imprese è un fattore cruciale nelle decisioni di localizzazione delle imprese multinazionali. Gli investimenti diretti esteri, a prescindere dalle ragioni che li determinano (l ingresso in nuovi mercati o la riduzione dei costi di produzione) richiedono una rete efficiente di fornitori e produttori di servizi. A differenza degli input commerciabili internazionalmente che possono essere importati, gli input non commerciabili e abbiamo visto che i servizi sono molto meno commerciabili dei manufatti - devono essere acquistati sul posto: la loro disponibilità e i loro costi sono una variabile importante che influenza le decisioni d investimento delle imprese multinazionali. Di conseguenza, regolamentazioni inefficienti che riducono la qualità e la varietà dei servizi offerti alle imprese finiscono per scoraggiare gli investimenti diretti esteri. 6

7 I servizi, quindi, sono una determinante cruciale della competitività dell economia. Servizi di alta qualità, efficienti e a prezzi competitivi permettono forti risparmi di costi per tutti gli altri settori. Anche quando i guadagni delle riforme nel settore terziario sono contenuti, essi possono essere moltiplicati se si prende in considerazione l insieme degli effetti indiretti sul resto dell economia. Diffuse rigidità nel settore terziario possono penalizzare la produzione manifatturiera, particolarmente in quei settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale, e scoraggiare gli investimenti diretti esteri. Complessivamente, i risultati del rapporto aiutano a comprendere numerosi fatti stilizzati. La Gran Bretagna è di gran lunga il Paese meno regolato in Europa. Tuttavia, all inizio del periodo considerato, la crescita della produttività nella maggior parte dei settori manifatturieri era più bassa in Gran Bretagna che in Germania o in Italia. Nel corso degli anni successivi il divario di produttività della Gran Bretagna si è colmato rapidamente, un fatto che le nostre stime porterebbero ad attribuire ad una favorevole cornice di regolamentazione piuttosto che ad un semplice effetto- Paese. In conclusione, quindi, è stato probabilmente il favorevole quadro di regolamentazione che ha permesso alle imprese britanniche di catturare pienamente le nuove opportunità tecnologiche o, più modestamente, di evitare il declino nella crescita della produttività che ha caratterizzato molte industrie in Germania e Italia. Prospettive future La liberalizzazione dei servizi ha incontrato forti resistenze. Ci sono state ripetute affermazioni dell esigenza di trattare il settore dei servizi in maniera diversa dal resto dell economia. La necessità di fornire servizi universali, nell energia e nelle telecomunicazioni, è spesso richiamata come una delle ragioni a favore di questo trattamento speciale e differenziato. Altri settori i servizi professionali in particolare sostengono, in genere, che si debba loro garantire un trattamento particolare date l esistenza di forti asimmetrie informative e la necessità di assicurare la qualità ai clienti. Noi non siamo affatto convinti da questi argomenti. Prima di tutto, non c è evidenza che la capacità di fornire servizi universali sia minata dalla liberalizzazione. Secondo le restrizioni alla concorrenza difficilmente assicurano una qualità più elevata dei servizi, anzi è più probabile che avvenga il contrario, come suggerito dalla teoria e dall analisi empirica. Analogamente, le asimmetrie informative non sono una caratteristica esclusiva dei servizi professionali. Di conseguenza, non vediamo ragioni per le quali i servizi, servizi professionali inclusi, dovrebbero essere protetti dalla libera concorrenza. 7

8 Alla luce dei molti benefici associati alla liberalizzazione dei produttori di servizi può sembrare poco comprensibile il fatto che i governi nazionali non abbiano sostenuto con maggior decisione l agenda delle riforme in questo settore. Questo interrogativo di political economy viene diffusamente trattato nel rapporto di Galasso e al. (2004). Ciononostante, noi presentiamo alcune semplici ipotesi esplicative. L evidenza empirica esposta in questo rapporto sottolinea che l impatto di breve periodo delle liberalizzazioni sull occupazione può essere sfavorevole. Per molti settori, la combinazione tra l eccesso di mano d opera assunta in periodi di elevata regolamentazione, la necessità di generare ampi guadagni di produttività e il fatto che la domanda di servizi sia inelastica implica che i livelli occupazionali debbano scendere nel periodo immediatamente successivo alla liberalizzazione. Inoltre, le perdite settoriali di posti di lavoro non vengono sempre facilmente riassorbite. Se il lavoratori sono almeno in parte, con caratteristiche specifiche del settore in cui operano, ed è senz altro così nel breve periodo allora alcune perdite di occupazione sono praticamente inevitabili. Non deve quindi sorprendere che i processi di liberalizzazione vengano generalmente osteggiati dai lavoratori. Il sostegno alla liberalizzazione può essere ulteriormente ridotto dal fatto che i prezzi si riducono solo moderatamente nel periodo successivo alla deregolamentazione. È sorprendente anche il fatto che la spinta alle liberalizzazioni non sia stata sostenuta dai settori che utilizzano i servizi come input nella produzione. Un risultato standard della letteratura sulla political economy del commercio internazionale è che le imprese che prevalentemente forniscono input ad altre imprese incontrano maggiori difficoltà nell ottenere protezione. Ma questo esito può non verificarsi nel caso dei servizi, perché gli utilizzatori di servizi sono più dispersi e possono quindi organizzarsi con minor facilità rispetto agli utilizzatori di beni intermedi. Inoltre, la nostra evidenza empirica mostra che la quota totale dei servizi sul valore della produzione industriale è ampiamente superiore a quello che è il suo peso diretto. Di conseguenza, gran parte degli input di servizi acquistati dalle industrie è incorporata in altri input e non è immediatamente identificabile dai compratori; fintanto che gli acquirenti non siano completamente consapevoli di questi effetti di equilibrio generale non daranno supporto alle proposte di deregolamentazione. In ogni modo, le considerazioni di political economy offrono solo una spiegazione parziale della frequente scarsa efficacia delle politiche di liberalizzazione. Anche il disegno di tali politiche deve essere migliorato: liberalizzazioni a metà, che non riescono a produrre riduzioni nei prezzi, 8

9 finiscono per indebolirsi, non riuscendo ad ottenere il sostegno pubblico necessario a procedere con ulteriori riforme. Le autorità preposte alla regolamentazione devono essere effettivamente indipendenti dal potere esecutivo e devono ricevere un chiaro mandato. Ugualmente cruciale è l esigenza di delineare una cornice di regolamentazione stabile e prevedibile. Altrimenti, gli investimenti ne risentiranno creando diffusi colli di bottiglia e indebolendo ulteriormente il sostegno alle liberalizzazioni. Rimane comunque valido il fatto che la liberalizzazione dei servizi ha il potenziale di generare considerevoli guadagni di benessere, aumentando la produttività e la quota di investimenti esteri nel sistema economico nel suo complesso. Per ora la liberalizzazione dei servizi ha fatto passi avanti soprattutto grazie alle spinte della Commissione Europea. E auspicabile che i governi nazionali in Europa riconoscano gli importanti dividendi economici che possono derivare da un quadro di regolamentazione dei servizi ben disegnato. Riforme ambiziose in quest area dovrebbero essere una priorità centrale per la politica economica. Purtroppo, l impegno ondivago nei confronti dell agenda di Lisbona non lascia molto spazio all ottimismo. 9

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