L Europa e l economia mondiale

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1 Vittorio Valli L Europa e l economia mondiale Versione preliminare Febbraio,

2 Cap. 1: Le tendenze di fondo dell economia mondiale 1.1 L ascesa ed il declino economico relativi Le tendenze di fondo dell economia mondiale dal 1870 ad oggi mostrano enormi cambiamenti. Grandi potenze economiche sono sorte e fiorite, o sono in rapida ascesa, altre si sono progressivamente indebolite, altre sono oggi in crisi. Gli equilibri economici mondiali sono profondamente mutati, così com è grandemente cambiata la mappa del potere politico e militare. Due concetti utili per analizzare i mutamenti economici di fondo sono quelli di ascesa economica relativa e di declino economico relativo. Il primo può essere definito come «quella tendenza che porta ad una crescita economica nettamente e durevolmente superiore a quella media mondiale». Simmetricamente si ha declino economico relativo quando «si ha una crescita economica nettamente e durevolmente inferiore a quella media mondiale». Convenzionalmente si può considerare durevole un trend che permanga per almeno un paio di decenni. Utilizzando per la crescita un indicatore d uso comune, sebbene parziale, cioè il tasso di variazione medio annuo del PIL reale pro capite basato sulle parità dei poteri d acquisto, fornito da Maddison e dal gruppo da lui fondato dell Università di Groningen, si può ricostruire, per quelle che oggi sono le maggiori economie del mondo, il quadro presentato nella Tabella 1.1 La tabella mostra che la fine del secolo XIX e la prima metà del XX secolo hanno visto soprattutto l emergere della super-potenza americana, mentre gli ultimi decenni del XX secolo hanno visto l ascesa economica dell Asia orientale e meridionale: prima il Giappone, poi le tigri asiatiche (Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore), poi la Cina ed infine anche altri paesi dell Est Asia e l India. Alterno è stato invece l andamento dei maggiori paesi dell Europa occidentale e della Russia- Unione sovietica. Fra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo i primi hanno avuto un andamento tendenziale vicino alla media mondiale, 2

3 Tabella 1.1 I principali mutamenti nell economia mondiale: Periodi Ascesa relativa Declino relativo Forte ascesa degli USA, debole ascesa del Giappone Le potenze europee, la Russia e soprattutto la Cina, l India, il Brasile Gli USA, l URSS ed il Brasile L Asia (escluso il Giappone) ed in particolare Cina ed India Forte ascesa del Giappone, buon recupero dell Europa occidentale (Regno Unito escluso), dell URSS, dell Europa dell Est, del Brasile e di Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong Leggero declino degli USA, forte declino dell India e soprattutto di gran parte dell Africa Forte ascesa di Cina (dal 1978) ed altri paesi dell Est Asia, minore ascesa di Giappone, India, Europa occidentale e USA Continua l ascesa della Cina, dell India e d altri paesi dell Est Asia (Indonesia esclusa dopo il 1997), ascesa anche degli USA Cfr. tabella 1.2 e 1.3 per la derivazione di queste tendenze di fondo Debole declino del Brasile, forte declino di molti paesi africani e (soprattutto dal 1989) d URSS - Russia e dell Est Europa Forte declino relativo della Russia e di diversi paesi dell Est Europa e dell Africa, più lento declino relativo del Giappone ma nettamente inferiore a quello degli USA, e, per il secondo periodo, anche inferiore a quello dell Unione Sovietica. Vi è stata quindi la graduale, ma inesorabile, perdita dell egemonia economica mondiale da parte dei maggiori paesi dell Europa occidentale a favore degli Stati Uniti ed in parte anche dell Unione sovietica. Vi è stato, infatti, fino al 1950 un forte indebolimento dei paesi dell Europa occidentale nei confronti degli USA e dell Unione Sovietica, data la minore dimensione di Regno Unito, Francia, Germania, Italia per popolazione, territorio, PIL complessivo e potere militare rispetto alle due superpotenze emergenti. Come si vedrà meglio nel capitolo 3, una delle ragioni principali dell avvio del processo d integrazione economica e politica europea è dovuta, infatti, al tentativo di reagire rispetto al indebolimento relativo delle singole potenze europee. Negli anni vi è stato per molti paesi europei (ma non il Regno Unito), un certo recupero rispetto agli USA, ma tale ricupero si è sostanzialmente arrestato negli anni successivi, mentre negli anni Ottanta e Novanta vi è stato il recupero nei confronti dell Unione Sovietica, dapprima entrata in crisi e poi dissoltasi. Dopo il crollo dell impero russo zarista con la rivoluzione d ottobre del 1917, i suoi territori erano stati compresi nell URSS (Unione delle repubbliche socialiste sovietiche), costituitasi ufficialmente nel Nel 1990 Boris Eltsin proclamò l autonomia della Russia dall URSS, dissoltasi nel 1991 dando luogo al CSI. Nel 1992 si è costituita infine ufficialmente la Federazione russa. Essa comprendeva quasi la metà della popolazione dell ex URSS (147 milioni contro 292) e più di tre quarti (il 77%) del territorio di quest ultima. L Unione Sovietica, ed al suo interno la Russia, ha visto una netta ascesa economica relativa fino al 1973 e poi un declino economico relativo negli anni ottanta del XX secolo, accentuatosi 3

4 fortemente negli anni Novanta con la dissoluzione dell URSS e col difficile periodo della transizione. 1.2 I mutamenti dell economia mondiale nel periodo Un quadro più dettagliato dei principali mutamenti nell economia mondiale è fornito nelle tabelle 1.2 e 1.3 che mostrano rispettivamente i tassi di crescita del PIL pro capite reale dei principali paesi od aree del mondo ed il PIL complessivo delle maggiori economie mondiali in percentuale del PIL degli USA. La tabella 1.2 mette, ad esempio, in evidenza che il PIL pro capite è cresciuto negli USA più rapidamente che nel resto del mondo in quattro dei cinque sotto-periodi considerati ( , , , ). Solo nell età dell oro dello sviluppo europeo e giapponese, e cioè negli anni , gli USA hanno perso parte del vantaggio accumulato sull Europa ed il Giappone. E soprattutto dal 1870 al 1913 che si è costruita la base dell egemonia economica americana. Infatti, in quegli anni cresceva rapidamente negli USA, come si vedrà meglio nel par. 1.3, sia il prodotto pro capite sia la popolazione, per cui il PIL complessivo, che è il prodotto fra le due variabili, cresceva ancora più rapidamente. Dalla tabella 1.3 si può vedere come il distacco del PIL USA rispetto a quello del Regno Unito, che era assai esiguo nel 1870 (il 2,8%), diventò elevatissimo nel 1913 (il 57%). La forte ascesa del PIL USA faceva, infatti, rapidamente accrescere le dimensioni del mercato interno che superarono di gran lunga quelle dei principali paesi europei. Ciò consentì grandi e crescenti economie di scala e quindi l applicazione della legge di Verdoorn, secondo la quale la crescita della produttività è positivamente associata alla crescita del prodotto. Ciò rese anche possibile, con grande anticipo sui paesi europei, la piena affermazione dagli anni dieci del XX secolo del modello fordista di sviluppo economico, di cui si tratterà nel paragrafo 1.3, e, negli anni Novanta, una più rapida affermazione della new economy, cioè della nuova economia basata su internet. Naturalmente nella prima metà del XX secolo il Regno Unito, la Francia, la Germania e altre potenze europee avevano ancora un più o meno grande impero coloniale, per cui la loro forza economica complessiva era nettamente superiore a quello del solo centro dell impero. Tuttavia gli imperi coloniali erano colossi dai piedi d argilla, minati dalla discontinuità territoriale e dalle grandi divisioni etniche, linguistiche, culturali interne agli imperi. Inoltre all interno degli imperi coloniali era stata in genere perseguita una miope logica economica centro-periferia. La maggior parte dei frutti dell industrializzazione era stata, infatti, riservata al centro degli imperi, cioè alle nazioni colonizzatrici, e questo aveva contribuito ad ampliare grandemente i divari economici e sociali fra il centro e la periferia, contribuendo a provocare alla lunga lo smembramento degli 4

5 imperi, realizzatosi, in effetti, con gli estesi movimenti di indipendenza e decolonizzazione del secondo dopoguerra. I paesi dell Europa occidentale sono in ogni caso mediamente cresciuti all incirca come la media mondiale dal 1870 al 1950 e nettamente più della media mondiale dal 1950 al 1992, per poi ritornare vicini alla media mondiale. Essi hanno quindi subito un netto indebolimento dal 1870 al 1950 nei riguardi degli USA, che erano invece cresciuti ben più della media, e tale declino è stato solo in parte recuperato (fatta eccezione per il Regno Unito) negli anni dell età dell oro: Il recupero rispetto agli USA si è sostanzialmente interrotto dopo la grande crisi energetica del Negli anni Novanta l Europa occidentale ha avuto infine una performance economica nettamente inferiore a quella degli USA, per cui il distacco per PIL e PIL pro capite è ancora aumentato nei confronti della potenza egemone americana. Nel confrontare gli USA ed i paesi dell UE, va anche tenuto presente che nell ultimo trentennio il tasso di crescita della popolazione è stato nettamente più basso nella UE che negli USA. Tabella 1.2 Tassi di variazione % medi annui del PIL pro capite reale: Paesi o aree Mondo 1,3 0,9 2,9 1,2 2,0 USA 1,8 1,6 2,4 1,4 2,8 Europa occidentale 1,2 0,8 4,1 1,7 1,7 Russia- URSS - Russia 0,9 1,8 3,4-1,4-2,4 Giappone 1,4 0,9 8,0 3,0 1,7 Cina 0,6-0,3 2,9 5,2 6,8 India 0,4-0,3 1,6 2,4 4,4 Brasile 0,3 1,9 3,8 0,9 2,0 Africa 0,4 1,0 2,0-0,1 0,4 ** * Dati basati sulle PPPA (parità dei poteri d acquisto) ** Fonti Maddison (1995), pp. 60 e 62-3; GGDC (2001), IMF, World Bank. I dati sull Europa occidentale includono anche Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia (nostra elaborazione su dati di fonte Maddison, GGDC ed Eurostat) 5

6 Tabella 1.3 Andamento del PIL in alcune economie: (USA=100) Paese Cina 190,2 60,4 16,5 21,0 37,7 43,9 58,5 59,7* India 120,4 33,5 14,7 14,1 19,0 21,3 25,5 25,7* USA 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Regno Unito 97,2 43,0 23,7 19,2 17,2 16,4 15,5 15,2 Russia- URSS 85,0 46,6 35,0 43,0 37,6 15,2 8,7 8, 8* Francia 72,6 28,7 15,0 19,2 18,2 18,5 16,5 16,2 Germania 44,8 29,1 14,7 23,2 20,6 24,2 21,0 20,5 Italia 41,0 18,7 11,1 16,2 16,6 16,8 14,4 14,1 Giappone 25,9 13,8 10,7 34,0 40,3 43,2 35,4 34,2 Brasile 7,4 4,0 6,0 11,1 13,9 13,1 12,7 12,6* Fonte Maddison (1995) e GGDC (2001): nostre elaborazioni. I dati sono basati sulle parità dei poteri d acquisto (PPA) e si riferiscono, tranne che per Russia- URSS e Germania, alle frontiere del I dati della Germania si riferiscono alla sola Germania dell Ovest per gli anni , alla Germania unificata con frontiere del 1990 per gli altri anni. I dati della Russia- URSS si riferiscono alla Russia fino al 1913, poi all URSS e dal 1992 alla federazione Russa. Dal 1950, in caso di discordanza fra le stime di Maddison (1995) e quelle del GGDC, si sono usate le più recenti stime GGDC, che portano ad una netta riduzione dei dati per la Cina e per la Germania. I dati con asterisco si riferiscono a nostri aggiornamenti dei dati GGDC per il 1999 con i dati World Bank per il A tassi di crescita del PIL pro capite abbastanza vicini nel complesso del periodo hanno perciò corrisposto, tassi di crescita del PIL maggiori per gli USA che per l UE, per cui è aumentato dal 1973 il divario in termini di PIL complessivo. L unificazione tedesca ha permesso peraltro alla Germania di conservare negli anni Novanta una quota del PIL decrescente, ma superiore ad un quinto di quella degli USA. In ogni modo nel 2000 la graduatoria per dimensione del PIL vedeva dopo gli USA tre potenze asiatiche, la Cina (con quasi il 60 % del PIL USA), il Giappone con poco più del 34 % e l India con poco meno del 26%. Seguiva la Germania unificata col 20,5%. A netta distanza vi erano poi Francia (16,2%), Regno Unito (15,2%), Italia (14,1%), Brasile (12,6 %) e, dopo altri paesi, la Federazione Russa (8,8%). Il Giappone ha registrato un tasso di crescita del PIL pro capite vicino alla media mondiale dal 1870 al 1950, e quindi un aggravarsi del distacco economico dagli USA, ma dal 1950 al 1973 ha avuto un tasso di crescita prodigioso (+ 8% all anno per il PIL pro capite e circa + 9% per il PIL) recuperando rapidamente terreno sia rispetto agli USA sia rispetto all Europa occidentale. Dalla prima grande crisi energetica del 1973 alla fine degli anni Ottanta il tasso di crescita del Giappone, pur scendendo nettamente, ha consentito ancora un certo recupero rispetto agli USA ed ai paesi della UE, mentre gli anni Novanta hanno visto una gran crisi finanziaria del paese seguita da una crisi strutturale nelle variabili reali che dura per molti aspetti ancora oggi. La Cina e l India hanno avuto dal 1870 al 1950 un tasso di crescita del PIL pro capite grandemente inferiore a quello medio mondiale, subendo quindi un gravissimo declino economico relativo. Nel periodo il tasso di variazione del PIL pro capite è stato nei due paesi addirittura negativo. Nei sottoperiodi successivi 6

7 l andamento dei due paesi è stato differente. La Cina ha avuto, infatti, una performance mediamente in linea con quella mondiale dal 1950 al 1973 ed un recupero assai vigoroso dalle riforme economiche del 1978 ad oggi. La Cina è così giunta a superare per dimensione del PIL anche il Giappone ed a divenire la seconda grande potenza economica mondiale, con quasi il 60% del PIL USA nel L India ha avuto invece una continuazione del declino economico relativo sino al 1973 ed un buon recupero solo negli ultimi due decenni, che gli ha permesso di giungere nel 2000 alla quarta posizione nel mondo per dimensione del PIL, e cioè a poco meno del 26% del PIL USA. Il Brasile ha avuto, infine, un andamento alterno: pessimo dal 1870 al 1913, discreto nel periodo , deludente nel periodo e oscillante negli anni Gli altri paesi dell America latina hanno avuto in media una performance economica un poco peggiore di quella del Brasile, fatta eccezione per due sottoperiodi: il primo e l ultimo. L Africa ha avuto invece nel complesso, con l eccezione di pochi paesi, un netto e continuo declino economico relativo nella seconda metà del XX secolo. Tale declino è stato particolarmente severo per i paesi poveri dell Africa sub-sahariana, in genere gravati negli anni Ottanta e Novanta da un enorme debito verso l estero. Le tendenze generali delle maggiori economie del mondo sono state quindi dapprima l affermarsi degli Stati Uniti e, nella seconda metà del secolo XX, l inizio dell ascesa economica dell Est Asia. Vi è stato inoltre il progressivo e sempre maggiore distacco economico di molti paesi poveri dell Africa e di parte dell Asia e dell America latina rispetto all occidente industrializzato ed ad alcuni paesi emergenti dell Est Asia. L Europa occidentale ha nettamente perso l egemonia economica mondiale a vantaggio degli USA, mentre la Russia e l Europa dell Est, conclusasi la lunga parentesi del socialismo reale, stanno attraversando una difficile transizione verso l economia di mercato. Mentre l URSS era ancora nei primi anni Ottanta la seconda potenza economica del mondo per dimensione del PIL, la più piccola Federazione russa era scesa nel 2000 al tredicesimo posto, nettamente dietro l Italia ed il Brasile, ma anche dopo la Corea del Sud, l Indonesia ed il Canada. 1.3 L ascesa economica relativa degli Stati Uniti: dalla frontiera all alta tecnologia Intorno alla metà del secolo XIX Francia e Regno Unito erano le principali potenze industriali mondiali. Se è vero, infatti, che la Cina e l India, data la loro sterminata popolazione, avevano allora un assai più elevato PIL complessivo, è anche vero che erano paesi abbastanza poveri. Essi avevano un PIL per abitante nettamente più basso, una minore produzione industriale ed un livello tecnologico assai inferiore a quello di Francia e Regno Unito che avevano visto un assai maggiore diffusione dell industria. Gli Stati Uniti erano una potenza emergente, ma con una popolazione allora nettamente inferiore a quella di Francia e Regno Unito. La Russia zarista, dotata di un ampia popolazione, un enorme territorio ed estese risorse naturali, era da 7

8 parte sua ingessata da una struttura sociale assai rigida e stratificata che generava profonde tensioni politiche e sociali. Le cose tuttavia stavano rapidamente mutando. Nei decenni successivi in Europa cominciò, infatti, l ascesa economica della Germania e della Russia, mentre in Giappone iniziò un esteso processo di modernizzazione e sviluppo dopo la fine del periodo Tokugawa e la restaurazione Meji del Ma soprattutto vi fu nel Nord America la rapidissima ascesa economica degli Stati Uniti, acceleratasi dopo la conclusione della sanguinosa guerra di secessione. L esistenza della «frontiera» giocò un ruolo essenziale nella crescita demografica ed economica degli Stati Uniti. Infatti, la disponibilità di grandi terre e risorse naturali in parte non ancora sfruttate all Ovest consentì all economia americana quattro grandi vantaggi. Il primo vantaggio consisteva nella possibilità di ottenere una rapidissima crescita della popolazione, alimentata sia da un elevato saldo demografico naturale che da un fortissimo flusso d immigrati dall Europa e da altre aree. In effetti, come si può vedere nella tabella 1.4, la popolazione degli USA più che quadruplicò dal 1850 al 1913, passando da poco più di 23 milioni a 98, mentre la popolazione di Francia e Regno Unito, che ancora nel 1850 erano superiori a quella degli USA, salivano rispettivamente soltanto a 41 e 43 milioni. La forte crescita della popolazione degli USA, non limitata dalla ristrettezza delle risorse naturali e del cibo, conduceva da parte sua ad una robusta crescita della domanda per abiti, alimenti, abitazioni, ferrovie, strade ed altri beni di consumo e d investimento. Vi era di conseguenza il secondo grande vantaggio, cioè il rapido aumento dell ampiezza del mercato interno, che nel 1870 giunse a superare quello della maggiore potenza industriale dell epoca, e cioè il Regno Unito. La tabella 1.3 mostra, infatti, che già nel 1870 il PIL complessivo degli USA giunse a superare del 3% quello del Regno Unito e del 27 % quello della Francia che ancora nel 1850 erano nettamente superiori. Nel 1913 il distacco diventò abissale: il PIL complessivo degli USA superava in quell anno di ben 2,3 volte quello del Regno Unito e di 3,5 volte quello della Francia. Mentre inoltre ancora nel 1850 e 1870 il PIL complessivo degli USA era nettamente inferiore a quelli di paesi più poveri e meno industrializzati, ma assai più popolosi, e cioè la Cina e l India, nel 1913 esso già superava di circa 1,7 volte a quello della Cina e di più di tre volte quello dell India. Il terzo vantaggio per gli USA fu determinato dal forte stimolo ad effettuare allo stesso tempo molti investimenti intensivi e grandi investimenti estensivi. I primi consentono di accrescere la produttività per ogni dato livello di produzione, i secondi ad accrescere la capacità produttiva e l occupazione. Le imprese furono stimolate a fare investimenti intensivi, di tipo risparmiatore di lavoro, per aumentare rapidamente la produttività. Tendeva, infatti, ad aumentare la concorrenza interna ed esterna e diverse imprese erano indotte a concedere aumenti dei salari reali per mantenere la forza lavoro di migliore qualità che in caso contrario avrebbe potuto tentare l avventura all Ovest. Esse erano inoltre indotte a fare anche investimenti estensivi 8

9 per espandere la capacità produttiva in modo da far fronte senza perdite di quote di mercato alla crescita della domanda. Vi era quindi in forte stimolo sia ad introdurre innovazioni di processo, per contenere i costi ed aumentare la produttività, sia a creare, od acquistare, od imitare e in ogni caso diffondere innovazioni di prodotto. Negli anni gli investimenti crebbero quindi assai più rapidamente che nei maggiori paesi europei, anche perché trascinati dalla costruzione delle grandi infrastrutture necessarie per penetrare nell Ovest (ferrovie, strade, ponti, porti e poi anche il telegrafo). Tale grande flusso d investimenti incorporava al suo interno dosi massicce di progresso tecnico e richiedeva una quantità crescente d istruzione formale e di preparazione tecnica e professionale da parte della forza lavoro. Tabella 1.4 PIL, Pil pro capite e popolazione in alcuni paesi: Paesi PIL (USA=100) PIL per abitante (USA=100) Popolazione (milioni) Cina 1243,2 190,2 60,4 40,6 21,3 13,0 381,0 412,0 358,0 437,1 India 749,1 241,6 120,4 33,5 41,2 30,1 22,7 12,5 175,3 187,7 212,2 251,9 Francia 306,2 142,9 72,6 28,7 94,6 91,8 75,6 60,4 31,3 36,3 38,4 41,4 Russia 304,6 85,0 46,6 58,4 41,6 28,0 50,4 62,4 81,7 156,2 Regno Unito 280,2 142,4 97,2 43,6 136,4 129,9 132,8 94,8 19,8 25,6 29,3 43,0 Italia 177,3 41,6 18,7 84,9 59,7 47,2 20,2 25,6 27,9 37,2 Giappone 175,6 25,9 13,8 54,7 30,2 25,1 31,0 32,0 34,4 51,7 Germania 131,9 69,3 44,8 29,1 86,4 81,1 77,9 60,8 14,8 19,9 23,1 37,8 Stati Uniti 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 9,7 23,3 40,1 97,6 Brasile 24,3 12,2 7,4 4,0 52,1 39,1 30,1 15,8 4,5 7,2 9,8 23,7 Fonte: Maddison (1995), nostre elaborazioni. su dati basati sulle PPA (parità dei poteri d acquisto) Il quarto vantaggio, indirettamente associato all esistenza della frontiera, sta nell utilizzo crescente delle economie di scala in settori, come la siderurgia, la chimica di base ed alcuni comparti dell industria meccanica dove esse sono decisive. Le economie di scala consentono di ridurre i costi unitari di produzione e quindi aumentare la produttività del lavoro all aumentare della scala, vale a dire delle dimensioni, di produzione. Valeva quindi, come abbiamo già ricordato, la legge di Verdoorn, per cui all aumentare della produzione aumentava anche la produttività. Nel 1912, con l entrata in produzione del modello T della Ford, iniziava anche il cosiddetto «modello fordista «della produzione. Henry Ford aveva avuto l intuizione che un forte aumento della scala di produzione e dei salari unitari poteva aprire una sorta di circolo virtuoso. Com è illustrato nella tabella 1.5, un forte aumento della produzione può dare origine, col passaggio dalla produzione d elite alla produzione di massa e lo sfruttamento delle economie di scala, ad un forte aumento della produttività del lavoro. Ciò consente da una parte di aumentare i salari unitari e dall altra di ridurre i prezzi delle autovetture, mentre l aumento della produzione richiede anche un progressivo incremento degli occupati nel settore automobilistico. I tre fattori concorrevano tutti a far salire la domanda aggregata e quindi anche la domanda d automobili. Infatti, la crescita dei salari unitari insieme all aumento degli occupati dava luogo alla crescita del monte salari, cioè dei salari complessivi erogati 9

10 nell economia. Una parte dell aumentato potere d acquisto dei lavoratori era destinato all acquisto d automobili, anche perché il prezzo relativo delle auto tendeva a scendere nei confronti dei prezzi degli altri beni. L aumento della domanda rendeva possibile un accrescimento ulteriore della produzione, quindi un maggiore sfruttamento delle economie di scala, un ulteriore crescita della produttività, altre riduzioni dei prezzi, nuovi aumenti dei salari unitari e dell occupazione, e così via. Tabella 1.5: una rappresentazione stilizzata del modello fordista di sviluppo? PIL (ampiezza del mercato)? economie di scala?? produttività?? costi unitari di produzione????? profitti? occupazione?? Monte salari? salari unitari? prezzi relativi???? investimenti?? domanda aggregata?? consumi Tale processo era potenziato dalla catena d interdipendenze produttive che esso innescava. L aumento della produzione d automobili generava l incremento della domanda di materie prime dell industria siderurgica e d altri comparti produttori di materie prime o componenti o servizi per l automobile. Diverse fra queste industrie beneficiavano anch esse d economie di scala e potevano quindi iniziare un processo di tipo fordista simile a quello dell industria automobilistica. Ad esempio, i lavoratori dell industria siderurgica che vedevano aumentare i propri salari potevano acquistare anch essi autovetture, e così via. L aumento dei salari unitari poteva avvenire senza riduzioni dei margini di profitto delle imprese, poiché gli aumenti di produttività consentivano di compensare gli aumenti salariali. Essi producevano invece grandi incrementi nei volumi dei profitti, data la forte crescita della produzione e delle vendite. I maggiori profitti consentivano più autofinanziamento delle imprese e stimolavano nuovi investimenti, ulteriori aumenti del prodotto, e così via. Un primo punto importante che va sottolineato è, tuttavia, che non tutti i comparti produttivi hanno economie di scala importanti come il settore delle automobili, o quello della gomma, o quello della grande siderurgia integrata, e che l ampiezza del mercato non è data solo dall ampiezza della popolazione, ma da questa e dal potere d acquisto che essa esprime sul mercato. Talvolta, come avveniva in Cina ed India fino a, rispettivamente gli ultimi anni Settanta ed Ottanta del XX secolo, gran parte della produzione è produzione agricola di sussistenza. Vi è allora poco mercato di beni dell industria moderna a causa del basso PIL pro capite spendibile sul mercato della maggioranza della popolazione, e anche un grande PIL complessivo non innesca i fenomeni delle economie di scala. Se viceversa, come avveniva allora negli USA, vi era un grande e rapidamente crescente PIL in un paese già relativamente ricco, ciò contribuiva fortemente a determinare economie di scala. Un altro punto importante da sottolineare è che mentre negli USA il sistema fordista di produzione si affermò nel settore dell auto ed in altri comparti già negli anni dieci 10

11 del XX secolo, esso giunse ad affermarsi negli stessi settori nei paesi europei solo negli anni Cinquanta e Sessanta, e cioè ben anni dopo gli USA. Infatti i singoli paesi europei avevano dal 1910 agli anni Cinquanta una popolazione troppo piccola ed un PIL pro capite troppo basso per innescare una forte domanda di beni di consumo durevole come negli USA. Solo negli anni Cinquanta, quando un certo aumento della popolazione ed un PIL pro capite crescente combinati insieme condussero a dimensioni del PIL tali da assicurare un adeguato sfruttamento delle economie di scala, il modello fordista di sviluppo fu in grado di decollare pienamente anche nei maggiori paesi dell Europa occidentale. Tale decollo fu favorito anche dalla progressiva liberalizzazione degli scambi avvenuta negli anni Cinquanta e Sessanta, che permise una più agevole espansione sui mercati esteri. Vi sono qui due importanti fattori che, insieme a diversi altri, contribuiscono a spiegare le ragioni per le quali gli anni Cinquanta e Sessanta segnarono l età di più alto sviluppo economico di Francia, Germania ed Italia. Fa in parte eccezione il Regno Unito. Infatti quest ultimo paese, grazie anche al suo vasto impero coloniale, aveva già potuto usufruire delle economie di scala nel periodo fra le due guerre mondiali, sebbene in misura nettamente inferiore agli USA degli anni Venti. Negli anni Cinquanta e Sessanta invece il Regno Unito, perdendo via via pezzi dell impero, passò per un periodo di difficile riaggiustamento economico. L emergere del modello fordista di produzione nelle grandi imprese industriali contribuì a consolidare in diversi paesi le grandi organizzazioni sindacali, e cioè un «potere contrapposto» a quello delle grandi imprese, un vero e proprio countervailing power secondo la definizione di Galbraith. Il periodo fordista segnò, infatti, l era del «big business e del «big labour», che prevalse in diversi paesi fino agli anni Settanta, quando il modello fordista cominciò gradualmente ad andare in crisi, aprendo in parte la via ai modelli di produzione flessibile. Il modello fordista non ha avuto, tuttavia, soltanto aspetti positivi. Esso era associato alla produzione standardizzata su larga scala, fatta in grandi impianti le cui catene produttive erano in genere organizzate con metodi tayloristici, che portarono all estremo la parcellizzazione del lavoro ed aumentarono grandemente l alienazione degli operai. L industria di massa favorì anche in diversi paesi la crescita delle disuguaglianze economiche e sociali fra i maggiori capitalisti e manager delle grandi imprese ed il resto della popolazione. Un altro fattore che contribuì a favorire la crescita dell economia americana dal 1870 agli anni Cinquanta del XX secolo fu la grande dotazione di risorse interne di materie prime agricole e minerarie e l accaparramento, tramite un crescente flusso d IDE (investimenti diretti esteri) di una quota importante delle materie prime mondiali. Ancora alla fine degli anni Quaranta del XX secolo gli USA erano, infatti, grandi produttori della maggior parte delle più importanti materie prime e per molte di queste essi erano del tutto auto-sufficienti od esportatori netti. Fra la fine degli anni Quaranta e l inizio degli anni Cinquanta, la situazione cominciò tuttavia a mutare soprattutto per una materia prima fondamentale, e cioè il petrolio. Pur rimanendo fra i maggiori produttori mondiali, gli Stati Uniti iniziarono a non essere più auto- 11

12 sufficienti per l enorme crescita dei consumi interni, ma anche per l esigenza di non esaurire troppo rapidamente le proprie riserve interne. Dopo il 1947 essi diventarono, infatti, importatori netti per quote via via crescenti del proprio fabbisogno. Nel 1999, ad esempio, circa la metà del fabbisogno interno di petrolio fu importata. La crescita della dipendenza estera fu vigorosamente contrastata negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo da un aggressiva politica d investimenti diretti esteri (IDE) che assicurò alle principali multinazionali USA del petrolio il controllo su una quota importante della produzione e del commercio mondiale dei prodotti petroliferi. Sebbene nei decenni successivi diversi paesi produttori (Libia, Arabia Saudita, ecc.) nazionalizzassero i loro giacimenti o li riacquistassero dalle multinazionali, i grandi gruppi americani mantennero un ruolo prevalente nei mercati mondiali del petrolio e del gas naturale, grazie anche alle loro avanzate capacità tecnologiche e finanziarie ed alla protezione politica e militare accordata in varie occasioni dal governo americano agli interessi petroliferi. Se mediamente la crescita registrata dall economia degli USA dal 1870 al 1950 fu assai notevole e nettamente superiore a quella media mondiale, essa subì nel tempo due grandi contraccolpi. Questi furono il progressivo esaurirsi della frontiera, man mano che le risorse dell Ovest erano sempre più pienamente sfruttate, e la grave interruzione del processo di sviluppo avvenuta con la grande depressione degli anni Trenta, innescata dalla crisi di Wall Street del L esaurirsi della frontiera si ebbe sostanzialmente negli anni Dieci e Venti del XX secolo e comportò diverse importanti conseguenze, fra le quali ad esempio l introduzione dopo la prima guerra mondiale di forti restrizioni ai flussi migratori, con un conseguente netto rallentamento del tasso di crescita medio annuo della popolazione. Quest ultimo calò dal 2,3% del periodo all 1,3% degli anni , per poi portarsi intorno allo 1,1-1,2% dal 1950 ad oggi. La grande crisi degli anni Trenta condusse negli USA ad una caduta di quasi il 40% del PIL reale dal 1929 al 1933 ed ad un crollo degli investimenti e dell occupazione. Il PIL pro capite impiegò oltre 10 anni per ritornare al livello del Nel secolo XX solo le crisi del periodo della seconda guerra mondiale in alcuni paesi europei e la grande crisi economica della fase di transizione fra il 1989 ed i primi anni Novanta in alcuni paesi dell Est Europeo furono più severe. Gli effetti della grande depressione sulla politica economica USA furono duraturi. Innanzi tutto, con la politica del «new deal» di Roosevelt ed i successivi indirizzi della politica USA d ispirazione neo- keynesiana prevalenti dalla fine degli anni Trenta agli anni Settanta, fu data una considerevole importanza al raggiungimento di un livello elevato d occupazione, anche se solo in alcuni fasi si raggiunse realmente la piena occupazione. In secondo luogo si imparò ad usare dalla fine degli anni Quaranta in poi la politica macro-economica d ispirazione keynesiana in modo da evitare gravi e prolungate recessioni. Vi furono sì da allora diversi cicli brevi dell economia degli USA, ma rispetto al secolo precedente le fasi recessive si rivelarono relativamente limitate sia nella loro intensità (non superarono il 4-5% della caduta del PIL) che nella loro durata (non superarono i due- tre anni). Negli anni Settanta tali politiche giunsero a scontrarsi con due problemi: la crescita del tasso d inflazione dopo la crisi 12

13 energetica del e il progressivo aumento del carico fiscale sui contribuenti. Tali tendenze generarono una reazione politica profonda in favore di una riduzione del carico fiscale e del peso dello Stato nell economia che dalla California si estese rapidamente a tutto il paese e favorì l ascesa alla presidenza di Ronald Reagan nel La politica reaganiana (reaganomics) si basava su un taglio contemporaneo delle tasse e della spesa pubblica per fini sociali ed un aumento della spesa per armamenti e tendeva a favorire una politica dell offerta (supply side economics). La politica di bilancio fu quindi, nel complesso, espansiva, mentre la politica monetaria era restrittiva. Tale combinazione condusse ad un forte aumento del tasso d interesse, sia monetario sia reale, ed ad un peggioramento del disavanzo pubblico. L afflusso di capitali esteri attirati dall alto tasso d interesse determinò un dollaro forte fino alla prima metà del 1985, nonostante la progressiva crescita del deficit delle partite correnti dovuto anche all apprezzamento del dollaro. Dato che il taglio delle tasse favoriva soprattutto i più ricchi ed il taglio delle spese sociali andava a scapito soprattutto dei ceti poveri, la politica di Reagan aumentò nettamente le disuguaglianze economiche, nonostante una ripresa dell economia e dell occupazione. Nell estate del 1985 iniziò una leggera flessione del dollaro, che divenne assai più forte dopo l incontro al vertice dei paesi più industrializzati tenutosi al Plaza Hotel. La crescita nella spesa militare ed il lancio da parte di Reagan del programma dello «scudo spaziale» contribuirono ad indurre nella seconda metà degli anni Ottanta l Unione Sovietica a rinunciare alla corsa agli armamenti, divenuta ormai insostenibile per l economia sovietica, ed ad accettare con Gorbaciov una politica concordata di riduzione degli arsenali nucleari Il secondo mandato di Reagan ( ) e quello successivo di Bush ( ) confermarono il trend espansivo dell occupazione e una discreta crescita economica, in parte minata dal deficit pubblico e dall associata crescita del debito pubblico, nonché dal continuo disavanzo delle partite correnti. Alla fine degli anni Ottanta sembrava tuttavia che l egemonia economica degli USA fosse seriamente scalfita. In Europa il modello di sviluppo «renano» della Germania ed in Asia il modello giapponese sembravano vincenti rispetto al modello americano. Non solo i due paesi crescevano maggiormente degli USA per il PIL, il PIL pro capite, e soprattutto per la produttività del lavoro, ma l unificazione tedesca del 1990 aveva accresciuto nettamente il potenziale del colosso tedesco come motore della CEE. Ad Oriente il modello giapponese sembrava trionfare ancora di più di quello renano. Negli anni Ottanta il Giappone era, infatti, cresciuto più rapidamente degli USA e dell Unione europea ed in alcuni comparti ad alta tecnologia aveva superato gli stessi Stati Uniti. Dopo dieci anni la prospettiva si è completamente rovesciata: il modello anglosassone degli USA ed in parte del Regno Unito, sembra dominante. Come si può vedere nella Tabella 1.6, gli USA avevano nettamente superato negli anni Novanta per crescita del PIL, degli investimenti e dell occupazione sia il Giappone sia l Unione Europea. Anche la produttività non cresceva più ad un tasso inferiore 13

14 rispetto a quello degli altri maggiori paesi industrializzati, mentre nell alta tecnologia gli USA avevano ripreso quasi dovunque il sopravvento. Come si può chiaramente vedere nella tabella 1.6, mentre nel 1980 il tasso di disoccupazione era maggiore negli USA che nell UE ed in Giappone, nel 2000 esso era diventato inferiore. Inoltre, mentre negli anni il PIL, la produttività e gli investimenti in termini reali salivano nettamente meno negli USA che nell UE ed in Giappone, negli anni queste tendenze si capovolsero. Tabella 1.6: La ripresa dell egemonia economica americana negli anni Novanta Paesi o aree PIL reale * Produttività reale ** Investimenti fissi lordi reali * Tasso di disoccupazione (%) USA 3,2 3,2 1,3 1,7 2,7 6,1 7,1 5,6 4,3 UE 15 2,4 2,0 1,9 1,8 2,6 2,0 5,8 7,7 8,5 Giappon e 4,0 1,3 3,1 0,9 5,2 0,4 2,0 2,1 4,9 *Tassi di crescita medi annui composti. **Produttività = PIL/ occupati. I dati del 2000 sono stime provvisorie; i dati degli anni Novanta, in particolare per gi investimenti reali, non sono del tutto confrontabili poiché gli USA utilizzano deflatori diversi, che sovrastimano i risultati USA rispetto a quelli dell Europa e del Giappone. Fonte: EU Commission, European economy (2000), n. 70, pp. 165, , 199. La politica economica seguita nei due mandati di Clinton ( ) contribuì notevolmente a rinvigorire l espansione economica americana negli anni Novanta, dopo la fine della recessione del Vi fu una forte e stabile crescita economica per circa un decennio, con alcuni segni di rallentamento solo all inizio del 2001, nel periodo dell insediamento alla presidenza di George Bush jr., dopo la sua contestata vittoria elettorale su Gore. L attentato terroristico alle Due Torri di New York ed al Pentagono dell 11 settembre 2001 contribuì naturalmente ad accentuare la recessione. I principali fattori che determinarono la ripresa dell egemonia economica degli USA negli anni Novanta furono i seguenti: a) una poderosa spinta alla liberalizzazione dei flussi di capitale e quindi alla crescita del processo di globalizzazione finanziaria. Tale processo permise agli Usa di attrarre un gran volume di capitali esteri, soprattutto dal Giappone e dall Europa. Tali capitali consentirono al sistema produttivo americano di aumentare nettamente il tasso di crescita degli investimenti, e soprattutto di quelli estensivi, e di riprendere in tal modo la leadership tecnologica anche in quei settori dove il Giappone e l Europa l avevano sopravanzato negli anni Ottanta. b) una politica macro-economica nettamente più espansiva di quella europea e giapponese che contribuì a determinare un tasso di crescita degli investimenti, del PIL e dell occupazione maggiore di quello del Giappone e dell Unione Europea e di 14

15 riequilibrare gradualmente, tramite le maggiori entrate fiscali associate al rapido sviluppo economico, i conti pubblici. c) una politica tecnologica volta a favorire, attraverso le» autostrade elettroniche», l elevata spesa pubblica per la R.& S, e la politica monetaria espansiva, i comparti ad alta tecnologia dei settori dell industria e del terziario e lo sviluppo delle quotazioni di borsa e della «new economy». La notevole crescita della produttività in tali settori permise di contenere le tensioni inflazionistiche dell intero sistema, sebbene la politica economica fosse, nel complesso, espansiva. d) lo sfruttamento, in diversi settori moderni, delle maggiori economie di scala, della maggiore grandezza ed efficienza dei mercati finanziari e dalla maggiore flessibilità del sistema produttivo rispetto al Giappone ed all Unione europea. Le maggiori economie di scala erano dovute ad un più esteso mercato interno, che è di norma più facile da penetrare di quelli esteri. Ciò consentiva di ammortizzare più velocemente le enormi spese in R.& S. e di ottenere buoni risultati economici che permettevano di attrarre più risorse finanziarie nei grandi mercati finanziari USA. Tali risorse, reinvestite, ampliavano le dimensioni della produzione e tendevano ad accrescere, fino al marzo 2000, le quotazioni di borsa, da qui l attrazione di nuovi capitali, e così via. Il Giappone, in crisi strutturale negli anni Novanta, non riusciva invece ad espandere a ritmi adeguati il proprio mercato interno, mentre l Unione Europea, pur avendo avviato nel 1993 il «grande mercato unificato» esteso anche a settori del terziario, come quelli bancario ed assicurativo, aveva ancora differenze linguistiche, normative e d altro tipo che ostacolavano gli scambi e la reale unitarietà del mercato. La supremazia tecnologica degli Stati Uniti d America, che era stata in parte erosa negli anni Settanta ed Ottanta, ha ripreso quindi ad accrescersi negli anni Novanta, sebbene le fasi di forte crescita e poi di flessione dei valori di borsa introducessero rischi crescenti di gravi crisi finanziarie, per ora tenute sotto controllo dalla abile politica monetaria di Greenspan. La persistenza di un forte deficit nelle partite correnti e del conseguente passaggio a metà degli anni Ottanta da una posizione creditoria netta ad una posizione debitoria netta e poi il progressivo ingrandirsi del debito estero era sopportabile solo perché gli Stati Uniti erano gli Stati Uniti, cioè la potenza egemone nel sistema monetario internazionale. Essi potevano, infatti, fare affidamento sul ruolo- chiave del dollaro nel sistema monetario e finanziario internazionale. Il dollaro rappresenta, infatti, il principale mezzo di pagamenti internazionali, la moneta più usata per le attività finanziarie ed un importante moneta di riserva per gran parte delle banche centrali. Si poteva quindi, in fasi di crescita dell economia mondiale, stampare sempre più dollari senza generare crisi di fiducia nella moneta USA poiché vi era una crescente domanda di dollari nel mercato mondiale. Solo l euro potrà in un non vicino futuro scalfire l egemonia del dollaro sui mercati monetari internazionali. Nel primo biennio di vita l euro ha visto tuttavia scendere nettamente il suo valore nei confronti del dollaro, che ha continuato ad attrarre masse ingenti di capitali esteri. Diversa potrà essere la situazione allorché l euro avrà consolidato la propria reputazione ed allorché gli USA dovranno cercare di contenere 15

16 l eccessivo apprezzamento del dollaro, anche per limitare la progressiva crescita dello stock di debito nei confronti dell estero. 1.4 Ascesa e declino dell URSS e dell Est Europa Nel 1928, dopo il travagliato periodo della prima guerra mondiale, della Rivoluzione d ottobre, del comunismo di guerra e della discreta ripresa economica della NEP, l Unione Sovietica aveva un PIL reale complessivo ancora inferiore a quello dell impero russo del Essa aveva anche un PIL pro capite inferiore per circa il 7% a quello del 1913, sebbene distribuito in modo nettamente meno disuguale. Rispetto all altra grande potenza del XX secolo, gli USA, l URSS aveva nel 1928 una dimensione economica assai inferiore (un PIL complessivo pari al 29% di quello USA) ed un PIL pro capite pari soltanto a poco più di un quinto (il 20,8%) di quello USA. Da allora e fino ai primi anni Settanta l URSS ebbe, nonostante la battuta d arresto conseguente alle grandi distruzioni della seconda guerra mondiale, un notevole recupero. Nel 1973 il PIL ed il PIL pro capite giunsero ad essere, rispettivamente, il 43% ed il 36,4% di quello USA. In nessun momento le dimensioni del PIL dell Unione sovietica giunsero comunque a superare la metà di quello degli USA, sebbene negli anni Settanta la popolazione vi fosse superiore di circa il 18%. Negli anni Ottanta il distacco relativo aumentò gradualmente per poi schizzare all insù nei difficili anni della transizione, dal 1989 in poi, come si può chiaramente vedere nella Tabella 1.7. Nel 1992 il PIL pro capite della ex Unione sovietica era, ad esempio, sceso al 21,5% di quello USA, e quello della Russia era il 26,2%, mentre nel 2000 esso era sceso in Russia al 16,7%, sempre rispetto a quello USA. L URSS aveva tradizionalmente una popolazione superiore a quella degli USA, sebbene il distacco era gradualmente sceso da circa il 40% nel 1928 a meno del 16% nel Dato che la popolazione della Russia era pari a poco più della metà della popolazione dell Unione Sovietica, ne discende che la popolazione della federazione Russa era nel 1992 solo il 58% di quella degli USA per poi scendere fino al 53% del Tabella 1.7: L andamento del PIL e del PIL pro capite e della popolazione in URSS e Russia (USA=100) Russia-Urss- Federazione Anni PIL PIL pro capite Popolazione Russa Russia ,6 28,0 160,0 URSS ,1 20,8 139,9 URSS ,0 29,6 118,2 URSS ,0 36,5 117,9 URSS ,6 32,5 115,7 URSS ,8 21,5 114,4 Federazione Russa ,2 26,2 58,0 16

17 Federazione Russa ,7 16,3 53,4 Federazione Russa ,8 16,7 53,0 Fonti: Maddison (1995) e GGDC (2001). I dati sono riferiti ai confini dell Unione Sovietica del 1989, tranne che nelle tre ultime righe in cui essi si riferiscono ai confini della Federazione Russa. L andamento economico è stato quindi alterno nei vari periodi storici, cui corrispondono, come si può vedere nella Tabella 1.8, diversi modelli di regolazione dell economia e differenti fasi dello sviluppo economico dell URSS o della Russia. Dopo il periodo di commistione fra pianificazione e mercato della NEP, alla fine del 1927, Stalin, infatti, introdusse col Primo piano quinquennale del un modello di pianificazione centralizzata che, con diversi cambiamenti introdotti in seguito, prevalse in URSS fino alle riforme di Gorbaciov della seconda metà degli anni Ottanta. Tale modello è rappresentato in forma semplificata nella tabella 1.9, Dalla tabella emerge il quadro apparente di un economia pianificata centralmente, od un economia di comando secondo la felice definizione di Gregory Grossman. Secondo una rappresentazione semplificata di tale modello, il centro pianificatore (il Gosplan) seguendo le indicazioni degli organi dirigenti del partito comunista sovietico (PCUS), trasmetteva direttive ai singoli ministeri e questi a loro volta impartivano direttive più dettagliate alle singole imprese statali o collettive. Le direttive riguardavano tutti i 17

18 Tabella 1.8 Principali tendenze della Russia ed Unione Sovietica: Anni o Eventi principali Modello di regolazione prevalente Fasi di sviluppo periodi 1917 Rivoluzione d ottobre Dal mercato alla pianificazione Disordini sociali ed economici Comunismo di guerra Pianificazione centralizzata: il piano Economia di guerra sostituisce il mercato NEP (1924: morte di Lenin ed ascesa al potere di Stalin) Misto fra piano e mercato Discreto sviluppo fino al Primo piano quinquennale Pianificazione di tipo sovietico e modello Fase estensiva di sviluppo. ( ) e successivi piani pluriennali staliniano di sviluppo con priorità date all industria sull agricoltura ed all industria pesante su quella leggera Seconda guerra mondiale Economia di guerra Ricostruzione economica. Zona d influenza sovietica nell Est Europa. Inizia la guerra fredda Continua il modello staliniano di pianificazione e sviluppo, che si estende poi ai paesi dell Est Europa ed alla Cina Morte di Stalin (1953) Continua il modello staliniano di pianificazione e sviluppo fine anni 60 Anni 70 e 80 Anni 90 Chruscev al potere fino all ottobre 1964; poi Breznev. Interventi militari russi a Budapest (1956) e Praga (1968) Breznev, al potere fino alla morte (1982), poi Andropov (1982-4), Chernenko (1984-5) e Gorbaciov dal marzo : caduta del muro di Berlino Dissoluzione dell URSS; 1992 Federazione russa (con Eltsin al potere, dal 2000 Putin) Continua la pianificazione diretta dal centro con tentativi parziali di riforme nel 1965 e 1967 Continua la pianificazione diretta dal centro con limitate riforme nel 1979 (Breznev) e più incisive nel ( perestroika di Gorbaciov) Il mercato sostituisce gradualmente il piano sia nell ex URSS sia negli altri paesi dell Europa dell Est. Cade il Comecon. Periodo della ricostruzione Continua la fase estensiva, con difficoltà crescenti, solo lenite dalle riforme Continua la fase estensiva, con problemi crescenti nella seconda metà degli anni 60 Fase intensiva di sviluppo con difficoltà crescenti nell economia Fase della transizione, con grave crisi economica, privatizzazioni e tentativi di stabilizzazione 18

19 Tabella 1.9: una rappresentazione stilizzata della pianificazione centralizzata nell URSS Organi politici (PCUS)? Centro pianificatore (Gosplan); ufficio centrale dei prezzi; banca centrale?????? Ministero A Ministero B Ministero C Ministero D Ministero E Ministero F?????????????????? A1* A2* A3* B1* B2* B3* C1* C2* C3* D1* D2* D3* E1* E2* E3* F1* F2* F3*? Distribuzione commerciale? Consumatori finali Nota *: imprese A1, A2, ecc. principali indicatori della pianificazione, come i volumi di produzione da raggiungere, gli input (lavoro, materie prime, beni intermedi, capitale) da distribuire, i livelli dei prezzi dei singoli beni e dei salari, ecc. In realtà la situazione era più complicata ed è per questo che le frecce potrebbero anche nei due sensi, e non solo dall alto verso il basso come nella Tabella 1.9. Le direttive scendono infatti dal centro alla periferia, ma sono sostanzialmente basate su informazioni che salgono dalla periferia (le imprese) e più indirettamente dai consumatori ai ministeri ed al centro pianificatore. Le imprese potevano quindi condizionare le scelte dei pianificatori attraverso le informazioni, talvolta distorte, che esse fornivano e la cui completa affidabilità era ben difficile da accertare da parte del centro pianificatore. L influenza dei consumatori era invece assai più debole, poiché essa si manifestava essenzialmente col rifiuto di acquistare merci troppo brutte od inservibili, e con la conseguente accumulazione di scorte invendute dalle stesse. Le economie socialiste pianificate centralmente sono state chiamate da Kornai «shortage economies» (economie della penuria). Nelle economie di questo tipo le imprese non avevano un vero vincolo di bilancio. Secondo la terminologia di Kornai esse avevano infatti un soft budget constraint, e cioè un vincolo di bilancio molle, tenero, e non un hard budget constraint, e cioè un vincolo di bilancio duro, rigido, poiché lo Stato non ne consentiva in genere il fallimento. Di conseguenza esse tendevano a richiedere più risorse di quanto in realtà occorresse, anche per poter più agevolmente far fronte agli obiettivi di aumento della produzione o ad interruzioni impreviste nei rifornimenti di input. Le imprese richiedevano quindi più lavoratori, più materie prime, più capitale di quanto fosse necessario ed in tal modo l economia nel suo complesso si trovava sempre in condizioni di penuria di risorse. Si poteva, ad esempio, avere la coesistenza di eccesso di lavoro a livello micro- economico, cioè nelle singole imprese, e di una carenza di lavoro nel sistema, a livello macroeconomico. Il risultato della penuria era un razionamento attraverso le quantità, che si manifestava nelle lunghe code ai negozi, nelle lunghe liste di attesa per certi beni di 19

20 consumo durevole come le automobili, ecc. Mentre infatti nell economie di mercato dell Occidente il razionamento avviene soprattutto tramite i prezzi ed i redditi (i beni ci sono in abbondanza nei negozi, ma spesso non possono essere acquistati dai consumatori per mancanza di soldi rispetto ai loro prezzi), in URSS e nell Est Europa fino alla fine degli anni Ottanta esso era infatti basato soprattutto sulle quantità. Il funzionamento di tale meccanismo economico aveva condotto a risultati relativamente buoni nella fase estensiva dello sviluppo, cioè la fase che va nell Unione sovietica dagli anni Venti agli anni Sessanta, sebbene pagando il gravissimo prezzo, soprattutto nel periodo staliniano, dei gulag, di una fortissima repressione sociale e del contenimento della produzione di beni agricoli e di consumo in favore dell industria pesante. Vi era stata in quel periodo un ascesa economica relativa dell Unione sovietica ed un parziale recupero rispetto agli USA. Nella fase estensiva la crescita economica si è accompagnata ad una forte crescita nello stock di capitale, nella forza lavoro utilizzata nei settori extra-agricoli e nella formazione della forza lavoro. I difetti della pianificazione centralizzata di tipo sovietico (grande rigidità, spreco di risorse e poca efficienza statica, scarsa capacità di diffondere il progresso tecnico, scarsa qualità nella produzione di uso civile, ecc.) erano state compensate dal vantaggio di poter programmare e realizzare tassi di investimento molto elevati, di poter utilizzare pienamente la forza lavoro (alzando i tassi d attività e riducendo al minimo la disoccupazione), di poter avviare degli efficaci sistemi scolastici ed universitari e di poter mantenere una distribuzione del reddito e della ricchezza non troppo diseguale. Negli anni Settanta diventava tuttavia impraticabile la continuazione dello sviluppo estensivo. Un forte aumento dello stock di capitale fisico conduceva a rendimenti rapidamente decrescenti, il serbatoio di forza lavoro disposto a trasferirsi dall agricoltura ai settori extra-agricoli si era pressoché esaurito e la crescita demografica era modesta; la crescita dei livelli formativi era contrastata dal fatto che i laureati spesso erano meno retribuiti della forza lavoro meno istruita, ecc. Era in tal modo necessario passare dalla fase di sviluppo estensivo alla fase di sviluppo intensivo, dove l accento andava posto sull aumento della produttività del lavoro più che sull aumento dei fattori impiegati, nonché sull aumento della qualità dei beni e dei servizi offerti. Il rigido modello della pianificazione di tipo sovietico mal si prestava, tuttavia, ad aver successo in questa fase di sviluppo. Infatti è estremamente difficile con un modello così rigido e centralizzato diffondere il progresso tecnico in modo pervasivo all interno del sistema produttivo ed accrescere la qualità dei beni e servizi, aggiustando l offerta ai gusti mutevoli dei consumatori. Il progresso tecnico viene in genere introdotto nelle economie di mercato sulla spinta dei seguenti fattori: a) una forte concorrenza interna b)la concorrenza estera c)la spinta sindacale che fa salire i salari e costringe le imprese a cercare di aumentare la produttività Tutti e tre questi fattori mancavano quasi del tutto nelle economie pianificate. 20

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