L approccio alle nuove tabelle come tutela dei lavoratori

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1 L approccio alle nuove tabelle come tutela dei lavoratori Marco Bottazzi, Gianpiero Cassina, Giovanni Sicuranza, Lelia Della Torre Patronato INCA: Coordinamento medico-legale nazionale Con l entrata in vigore delle nuove Tabelle delle malattie professionali non è venuto meno il quadro normativo previgente ed in particolare il sistema misto così come definito dal D.Lgs 38/2000 che all articolo 10 comma 4 stabilisce che: Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale. L inserimento tabellare riveste particolare importanza in quanto nell assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali la causalità giuridica assume diverse connotazioni a seconda che la malattia sia o non sia inclusa nella tabella di legge. Nel primo caso opera la presunzione legale dell origine professionale della malattia per cui l assicurato deve dimostrare l esposizione ad una delle lavorazioni tabellate ed una malattia ad essa riferibile; non deve invece fornire la prova del rapporto di causalità fra la prima e la seconda. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata la presunzione è relativa, ammette cioè la prova contraria, che si traduce nella possibilità per l Istituto Assicuratore di dimostrare l irrilevanza del lavoro come fattore causale o concausale del danno sulla base di dati scientifici (ad esempio una esposizione troppo ravvicinata nel tempo rispetto alla comparsa della malattia etc). Una prova di rilevanza tale da superare la presunzione legale di origine non potrà essere prodotta dall'istituto Assicuratore se non attraverso un rigoroso e convincente vaglio dei classici criteri medici-legali di affermazione del nesso causale, primo fra tutti quello epidemiologico-statistico e di attendibilità scientifica, così come, peraltro, richiesto sistematicamente al lavoratore per la dimostrazione delle malattie da lavoro o anche di quelle tabellate con la formula aspecifica altre malattie causate da. Nel caso di malattia non tabellata il diritto alle prestazioni assicurative è subordinato alla dimostrazione della causa lavorativa secondo i criteri ordinari: cronologico, qualitativo, quantitativo e modale. Per queste ragioni, sotto lo stretto profilo della tutela assicurativa, la riconducibilità di una patologia occupazionale alle voci previste nelle tabelle offre una serie di vantaggi notevoli ai fini dell indennizzo. Innanzitutto quello di non dover sostenere l arduo onere della prova dell origine professionale della malattia, essendo sufficiente, perché possa essere fatta valere la presunzione legale del nesso causale, che il quadro patologico sia etiologicamente

2 compatibile con l esposizione lavorativa. Tale compatibilità è stata ulteriormente rafforzata dall' introduzione tabellare dell'elenco delle diverse malattie correlabili ad ogni specifico agente causale. Questa introduzione dettagliato delle patologie costituisce, certamente, la novità più significativa di questo aggiornamento tabellare in quanto viene a riformulare il principio della presunzione legale dell etiologia professionale delle malattie tabellate. In secondo luogo perché i principi su cui si fonda la disciplina assicurativa italiana, al fine di garantire la tutela di tutti i lavoratori al di là delle differenze dovute alla suscettibilità individuale, non contemplano, entro i limiti suggeriti dalla plausibilità scientifica, né i valori minimi di concentrazione degli agenti causali né periodi minimi di durata dell esposizione al rischio, elementi che possono essere fonte di posizioni contrastanti nella valutazione, spesso problematica, dell origine professionale di una tecnopatia. Queste indicazioni tabellari devono essere applicate in modo da ricercare/verificare l esposizione a rischio e non devono costituire una occasione per ricercare oltre ogni ragionevole dubbio altre cause non professionali di patologia tali da permettere all istituto stesso di negare la malattia professionale e le prestazioni che ne derivano; e ciò è valido innanzitutto per le patologie diagnosticate a carico di lavoratori impegnati per anni nello svolgimento di lavorazioni tabellate ma anche ed ancor più oggi con la novità tabellare per quelle patologie non ricomprese nelle nuove. In tema di criteriologia medico-legale sono venute negli ultimi anni a definirsi posizioni condivise ed è proprio partendo da tale criteriologia che occorre chiedersi quale sia la gradazione del nesso quando si tratti di malattie professionali. L'attuale riduzione dei casi da alta specificità nosologica con l'aumento di patologie cronico-degenerative e multifattoriali ha portato ad adottare una criteriologia di tipo probabilistico. In ambito previdenziale, quando si tratta di stabilire il nesso di causa delle malattie professionali, si è ben lontani dalla certezza o dalla quasi certezza che opera in ambito penale e facendo, invece, ricorso al criterio di probabilità. Criterio probabilistico che se vogliamo tentarne una sua graduazione in ambito previdenziale deve essere quello della causalità debole, avendo sopratutto ben presente che in tale ambito deve trovare applicazione il criterio della ragionevolezza per cui è sufficiente che la patologia risulti compatibile con il rischio cui il lavoratore è o è stato esposto. Particolare attenzione, nella determinazione del nesso, va posta al ruolo della CONTARP. a cui è demandato il compito di dimostrare l insussistenza o inefficacia del rischio (anche in lavorazioni tabellate). In buona sostanza, non deve essere ribaltato il compito

3 affidato dal Legislatore all Istituto: di ricercare il fondamento della tecnopatia per riconoscerla e indennizzarla; per tendere ad una visione secondo la quale gli si chiede di cercare qualunque elemento che possa negare la sussistenza del rischio e della tecnopatia. A questo riguardo nel percorso che porta al riconoscimento del nesso si deve sempre avere presente il valore igienistico dei TLV ed il fatto che essi non costituiscono una linea di demarcazione netta fra concentrazione non pericolosa e pericolosa e, dunque, non possono essere impiegati per fini quali la prova o l esclusione di una malattia in atto. Allora mantiene pienamente la sua validità quanto l INAIL affermava nella sua Circolare n 79 del 24 ottobre 2001 Il giudizio sulla natura professionale della malattia, tabellata e non, è funzione quindi, squisitamente medico-legale e, come tale, implica l apprezzamento delle caratteristiche individuali, peculiari e non standardizzabili della persona. Ciò significa, tra l altro che i valori limite e/o indicatori statistici di rischio hanno per il medico un valore orientativo ma non possono assurgere a elemento dirimente per il giudizio, stante l esigenza di considerare la risposta individuale del soggetto alla causa nociva, diversa essendo la capacità di resistenza di ciascun organismo. E prosegue, poi, Il sistema di tutela prevenzionale e quello di tutela assicurativo-previdenziale delle tecnopatie, pur avendo ovviamente punti di convergenza, restano concettualmente distinti ed autonomi, diverse essendo la ratio e le finalità. Ciò significa, tra l altro, che i criteri normativamente enunciati a scopi prevenzionali hanno valore vincolante per le aziende che sono tenute a uniformarsi, ma non possono condizionare la valutazione medico-legale sul danno alla salute che il singolo lavoratore può subire nonostante l adozione delle prescritte misure prevenzionali. Il contributo del medico del lavoro al nesso di causalità Per affrontare adeguatamente tale tema non si può, a nostro avviso, prescindere da uno sguardo critico relativamente al coinvolgimento del medico-competente nel sistema integrato di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Nonostante gli apporti legislativi ed i codici etici si rileva che nella maggioranza dei casi il medico competente è relegato in ambulatorio, è un corpo estraneo nell azienda; non effettua la valutazione dei rischi nè partecipa alla elaborazione del documento di valutazione (DVR), redatto da tecnici (RSPP e consulenti esterni), documento che è chiamato poi a sottoscrivere. Ciò ha portato ad un impoverimento del DVR in cui i rischi per la salute vengono valutati in modo parziale od incompleto: non viene adeguatamente indicata nel DVR la probabilità che i lavoratori che svolgono una data mansione in un dato reparto hanno di contrarre una certa

4 malattia. Non viene così valorizzata la conoscenza del legame tecnologia, macchine, rischi, uomo/donna che è tipica della medicina del lavoro e che naturalmente si deve integrare con le conoscenze tipiche delle altre figure professionali. Proprio questa separatezza tra chi effettua le visite mediche e chi valuta i rischi per la salute può spiegare in parte la sottonotifica delle malattie professionali. Non è infrequente osservare, che strutture specialistiche di Medicina del Lavoro ospedaliere e universitarie nella valutazione del nesso di causa si esprimono per una tecnopatia solo quando a loro parere sussiste l alta probabilità. Negli ultimi anni si è venuta affermando una tesi secondo cui il primo ed elettivo impegno del medico specialista in Medicina del Lavoro dovrebbe essere il raggiungimento di una diagnosi perfetta di malattia professionale, perfezionata cioè sino al punto di comprendere sempre anche la valutazione di un elevato grado di attribuibilità,. Questa tesi si traduce nell'affermazione che in nessun passo delle normative vigenti tanto in ambito amministrativo quanto in ambito penale viene fatto riferimento all obbligo di segnalare casi sospetti di malattia professionale, argomentando al proposito che il riconoscere l esistenza di una malattia professionale non equivale a sospettarla, che nel procedimento diagnostico va esclusa ogni altra possibile causa, in modo da isolare il solo fattore eziologico al quale attribuire la malattia in esame e che il possono di cui all art. 365 c.p. va inteso nei confronti di un ipotesi di reato e non di una natura eziopatogenetica di malattia. I fautori di questa tesi sostengono inoltre che è sul concetto stesso di malattia che occorre trovare una convergenza e che la semplice modificazione morfologica stabile, in assenza di una componente funzionale non sarebbe sufficiente a fare da sola la malattia. Affermano inoltre che l obbligo del sanitario di compilare il primo certificato medico non è, a rigore, sancito esplicitamente dalla legge, ma si configura come dovere generico del medico. Non condividiamo simili tesi: il ritenere che la denuncia di malattia professionale richieda il raggiungimento di una diagnosi perfetta contrasta con il dettato legislativo in ambito penale, amministrativo ed assicurativo, con pericolose ricadute anche sul livello preventivo. Quanto all art. 365 c. p. il possono dilata considerevolmente, o rende comunque molto indeterminate le fattispecie da riferire all autorità giudiziaria, come se si sia voluto che gli esercenti le professioni sanitarie segnalino ad abundantiam situazioni riguardanti la salute e/o l incolumità individuale, riservando poi al magistrato il vaglio del rilievo penalistico da assegnare loro. Quanto all aspetto amministrativo va di nuovo sottolineato che la finalità della denuncia ai sensi dell art. 139 del DPR 1124/65 e dell art. 10 del Dlgs 38/2000 è di natura preventiva. La

5 pretesa di denunciare solo i casi di diagnosi perfetta ne snaturerebbe la funzione di costituire per l Autorità Sanitaria una informazione del tipo evento sentinella nel quadro dei programmi di sorveglianza epidemiologica. Non crediamo che nè i medici specialisti in Medicina del Lavoro, né i servizi specialistici di Medicina del Lavoro possano surrogare l Autorità sanitaria rappresentata nel nostro ordinamento dall ASL. Quanto alla natura perfetta della diagnosi vorremmo ci si limitasse a un concetto di diagnosi vera, più problematico convinti che in materia medico legale, la verità si stabilisce nel corso del procedimento amministrativo o giudiziario; verità fallibile, ma almeno definita nelle sedi dove vi è il contraddittorio tra le parti. Consigliamo un approccio più modesto alla verità diagnostica, se non altro in considerazione del non trascurabile tasso di discordanza nei criteri diagnostici dei diversi istituti. Anche per le ricadute a livello preventivo ed assicurativo Meglio una denuncia in più che una in meno sostengono gli istituti assicuratori tedeschi che invitano i medici a segnalare ogni sospetta malattia professionale e lavoro-correlata. Ma è poi sul piano assicurativo e più in particolare di una assicurazione sociale che tale tesi non può essere condivisa. Questa tesi è, infatti,smentita dalla stessa lettera del Direttore Generale INAIL del , dove, nel definire i criteri da adottare nella diagnosi del nesso di causa si danno ai medici legali dell Ente le istruzioni operative che seguono. -Nel caso in cui risulti accertato che gli agenti patogeni lavorativi siano dotati di idonea efficacia causale rispetto alla malattia diagnosticata, quest ultima dovrà essere considerata di origine professionale, pur se sia accertata la concorrenza di agenti patogeni extralavorativi (compresi quelli genetici) dotati anch essi di idonea efficacia causale, senza che sia rilevante la maggiore o minore incidenza nel raffronto tra le concause lavorative ed extralavorative. -Se gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di autonoma efficacia causale sufficiente a causare la malattia, concorrono con fattori extralavorativi, anch essi da soli non dotati di efficacia causale adeguata, e operando insieme, con azione sinergica e moltiplicativa, costituiscono causa idonea della patologia diagnosticata, quest ultima è da ritenere di origine professionale. In questo caso, infatti, l esposizione a rischio di origine professionale costituisce fattore causale necessario, senza il quale l evento non avrebbe potuto determinarsi (ad es. tumore del polmone in soggetto fumatore esposto a rischio lavorativo da amianto). -Quando gli agenti patogeni lavorativi, non dotati di sufficiente efficacia causale, concorrano con fattori extralavorativi dotati, invece, di tale efficacia, è esclusa l origine professionale della malattia.

6 Si ritiene che la lettura combinata del DM e dell art. 365 c.p. dovrebbe semmai comportare per i medici e i servizi specialistici di Medicina del Lavoro, nei casi in cui ritengono di non denunciare la malattia professionale, l obbligo, quanto meno deontologico, di portare le motivazioni per cui questa è altamente improbabile e cioè fornire la prova contraria che esiste una causa extralavorativa che è l unica o assolutamente prevalente. Un altra osservazione frequente è quella per cui alcune Unità Operative specialistiche di Medicina del Lavoro, ma anche molte sedi INAIL; si basano per la valutazione del nesso di causa sulla documentazione fornita dal datore di lavoro, utilizzata perciò come fonte privilegiata di valutazione delle condizioni espositive. Non condividiamo questa prassi in quanto il documento di valutazione dei rischi nella previsione legislativa del Dlgs 626/94 prima ed oggi del D.Lgs 81/08 è finalizzato ad esclusivi scopi de prevenzione e controllo del rischio professionale. Il suo utilizzo per la caratterizzazione dell esposizione professionale nella valutazione del nesso di causa appare impropria sotto i diversi profili giuridico, tecnico, medico legale. Giuridico, in quanto rappresenta un documento di parte la cui redazione è di esclusiva responsabilità datoriale. Tecnico in quanto la stima dell esposizione professionale, se occasionale e non condotta con rigorosa metodologia statistica, non rappresenta quella vera se non in un ampio campo di variabilità. Medico legale in quanto la valutazione è riferita quasi sempre ad una condizione di esposizione attuale non espressiva della situazione storica. I cicli lavorativi reali non coincidono con quelli teorici. Spesso le esposizioni più significative avvengono per esposizione indiretta o per interventi occasionali e non prevedibili con picchi espositivi, che possono avere un impatto rilevante nell eziopatogenesi delle malattie professionali. Nella valutazione del nesso di causa professionale l efficienza lesiva dei fattori di rischio professionali va valutata tenendo in debita considerazione i fattori di ipersuscettibilità individuale. La raccolta della storia professionale costituisce un momento fondamentale e insostituibile nella ricostruzione dell esposizione a rischio, quasi sempre l unico nella ricostruzione delle esposizioni non attuali 1. 1 A questo riguardo si segnala con preoccupazione il venire meno di sistemi di registrazione della storia lavorativa ed espositiva dei lavoratori.

7 Altrettanto fondamentale è il riferimento alla letteratura scientifica non solo sul versante degli studi epidemiologici, ma anche nell ambito degli studi di igiene industriale per quanto riguarda le stime dell esposizione nelle diverse lavorazioni e nelle diverse epoche storiche. Le stime del rischio contenute nel documento di valutazione vanno assunte con estrema cautela, e quand anche si giudichi corretta la metodologia di analisi, esso può semmai costituire un elemento di giudizio da affiancare agli altri altrettanto fondamentali nella ricostruzione dell esposizione professionale: l anamnesi professionale, le conoscenze tecnologiche, il criterio epidemiologico. Se realizzato con corretta metodologia il documento di valutazione dei rischi può fornire elementi utili limitatamente alla stima delle condizioni espositive contemporanee e/o temporalmente prospettiche con riferimento alla data di redazione. La valutazione del nesso di causa spesso presuppone il ricorso al criterio di diagnosi per esclusione. La coerenza tra l anamnesi professionale, le conoscenze tecnologiche, le evidenze epidemiologiche e il modello eziopatogenetico, in assenza di altre cause efficienti, fornisce criterio sufficiente per il giudizio di causa professionale. Anche l Inail fornisce pressoché le stesse indicazioni nella lettera del Criteri da seguire per l accertamento della origine professionale delle malattie denunciate : Le patologie denunciate all Istituto come malattie professionali dotate di una patognomonicità che consenta una attribuzione di eziologia professionale con criteri di assoluta certezza scientifica costituiscono ormai una limitata casistica.. Il lungo periodo di latenza di alcune di queste malattie, inoltre, rende difficoltosa, quando non impossibile, la puntuale ricostruzione delle condizioni esistenti nell'ambiente di lavoro, nel momento in cui si sarebbe verificata l esposizione a rischio. Il rapido mutamento delle tecnologie produttive, infatti, ha indotto le imprese ad adeguare i macchinari, le attrezzature, i cicli produttivi e l organizzazione aziendale, con la conseguenza che la situazione oggettivamente riscontrabile al momento della denuncia della malattia professionale è radicalmente diversa da quella esistente all epoca rispetto alla quale va valutata l eziologia della malattia stessa.. In conseguenza di ciò e del lento decorso delle patologie, sono numerosi i casi in cui la malattia viene denunciata comunque all Istituto molto tempo dopo che il soggetto è stato esposto a rischio e la patologia stessa ha iniziato il suo decorso La presenza nell ambiente lavorativo di fattori di nocività, quando non sia possibile riscontrare con certezza le condizioni di lavoro esistenti all epoca della dedotta esposizione a rischio, può essere desunta, con un elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla

8 natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro e dalla durata della prestazione lavorativa. A tale scopo ci si dovrà avvalere dei dati delle indagini mirate di igiene industriale, di quelli della letteratura scientifica, delle informazioni tecniche, ricavabili da situazioni di lavoro con caratteristiche analoghe, nonché di ogni altra documentazione e conoscenza utile a formulare un giudizio fondato su criteri di ragionevole verosimiglianza.

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