LE IMPRESE ITALIANE OLTRE I LUOGHI COMUNI TRA VALORIZZAZIONE MANCATA E SPONTANEISMO DI SUCCESSO

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1 LE IMPRESE ITALIANE OLTRE I LUOGHI COMUNI TRA VALORIZZAZIONE MANCATA E SPONTANEISMO DI SUCCESSO Novembre 2013

2 Il rapporto è stato realizzato da un gruppo di lavoro della Fondazione R.ETE. Imprese Italia, diretto da Maria Pia Camusi e composto da Manuel Ciocci e Maurizio Mastrolembo Ventura.

3 Sommario KEY NOTES Quel vizio italiano di arrivare in ritardo Più grandi dei grandi, ma senza rendersene conto Comprendere i problemi, non di hardware ma di middleware Il paradosso del lavoro, tra costo che sale e salari bloccati Lo strabismo del sistema bancario Tornare a investire, continuare a innovare Le imprese italiane quotidianamente nel mondo Le buone performance dell imprenditoria nascente, nonostante tutto... 59

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5 KEY NOTES PRIMA PARTE: L ITALIA IN EUROPA, L EUROPA NEL MONDO L Europa è un continente che sta attraversando una fase di complessa trasformazione. Gli si pongono sfide nuove, che riguardano innanzitutto la capacità di costruire un modello di sviluppo e di prosperità condivise, capace di considerare le esigenze e le specificità dell intera Unione. Sul piano delle questioni interne, infatti, l impostazione attuale sta fortemente penalizzando la parte Meridionale della regione. Nel contempo, alla Unione sembra mancare una visione di lungo periodo, che non si limiti a garantire la stabilità dell area ma prefiguri prospettive di crescita su scala globale. Oltre agli aspetti problematici legati alla loro progressiva torsione verso nuovi schemi competitivi, l Europa e l Italia presentano anche alcuni indiscussi punti di forza. Quelli più evidenti riguardano proprio la struttura imprenditoriale che, sia a livello comunitario, sia in Italia rappresenta un asset strategico imprescindibile. Traiettorie di sviluppo Dall'inizio della crisi si è ridotta del 20% la produzione industriale italiana, del 37% quella delle costruzioni e del 7,2% il fatturato generato dai servizi 10 anni non saranno sufficienti all'italia per tornare ai livelli pre-crisi, mentre ne sono bastati 3 a Stati Uniti e Germania, 4 alla Francia e 7 al Regno Unito Si stima che tra il 2005 e il 2018 il ritardo nei livelli di crescita Pil reale aumenterà di 8 punti percentuali rispetto alla Spagna, di 12 rispetto alla Francia, di 15 rispetto al Regno Unito e di 18,5 rispetto alla Germania In una prospettiva di lungo periodo, tuttavia, l'intera Europa sembra destinata ad essere una delle aree del Pianeta caratterizzate dai più bassi livelli di crescita, con tassi per l'eurozona dell'1,5% medio annuo tra il 2010 e il 2060, contro l'1,8% dei Paesi Ocse e valori superiori al 3% per le principali economie emergenti Struttura e valore imprenditoriale Sono italiane il 18% di tutte le imprese europee ed oltre il 20% delle realtà manifatturiere dell Unione. Nel manifatturiero soltanto le imprese tedesche sono in grado di realizzare una produzione di maggior valore Peculiarità del modello produttivo italiano è la forza delle MPMI. In Paesi come la Germania o la Gran Bretagna la maggior parte del fatturato è generato dalle grandi imprese. In Italia, invece, per il 69% è frutto delle realtà di micro, piccole e medie dimensioni (un incidenza 12 punti percentuali più elevata rispetto alla media europea e che non ha eguali in nessun altro Paese) Il 10,2% di tutta l occupazione europea è garantito dalle sole MPMI italiane con i loro 12,3 milioni di addetti, mentre sono 9,2 milioni gli addetti delle grandi imprese tedesche e 8,4 milioni nelle grandi imprese britanniche Il fatturato delle MPMI italiane pari complessivamente a miliardi di euro è superiore rispetto a quello di tutte le grandi imprese britanniche (1.834 miliardi di euro) o francesi (1.458 miliardi di euro) e corrisponde al 76,4% del fatturato totale delle grandi imprese tedesche L Italia è il primo Paese europeo per numero di MPMI manifatturiere specializzate nei comparti hi-tech e medium hi-tech (43.287), è il Paese europeo dotato del maggior numero di MPMI che offrono KIS, knowledge intense services ( ) Il fatturato medio per azienda delle imprese italiane tra i 50 e i 249 addetti è il più alto d'europa e raggiunge i 28,9 milioni di euro. Analoghe prestazioni contraddistinguono anche il segmento della piccola impresa italiana (10-49 addetti). Le più piccole, quelle che hanno tra i 10 e i 19 addetti, fatturano in media il 19% in più rispetto alla media europea, il 47% in più rispetto alle realtà tedesche d analoghe dimensioni. Quelle più strutturate, che raggiungono tra i 20 e i 49 addetti, fatturano in media il 17,4% in più rispetto alla media europea ed il 33% in più rispetto alle loro competitors tedesche. 5

6 KEY NOTES SECONDA PARTE: LA VALORIZZAZIONE MANCATA Paesi come la Germania e la Francia stanno attualmente tentando di consolidare e valorizzare il proprio sistema delle MPMI, esattamente come avviene più in generale nell intera Unione europea. Non altrettanto avviene, invece, in Italia. Il nostro Paese è uno dei pochi in cui l incidenza delle MPMI si sta (leggermente) riducendo, per effetto di un contesto che sembra premiare innanzitutto la grande impresa a scapito dell impresa diffusa. Le imprese italiane si devono confrontare principalmente con un mercato interno asfittico, con consumi in forte contrazione per via del perpetuarsi di politiche di contenimento della spesa e con risparmi che si stanno progressivamente erodendo; inoltre, il sistema Paese sembra distratto, avvitato intorno a discussioni spesso irrilevanti e incapace di affrontare le questioni che realmente limitano le sue potenzialità di sviluppo. 6

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8 KEY NOTES TERZA PARTE: LO SPONTANEISMO DI SUCCESSO Le imprese italiane reagiscono e come ai nodi del contesto? Effettivamente ci sono alcuni processi in atto che segnalano una loro implicita vitalità, a tutt oggi attiva, che aspetta di essere adeguatamente riconosciuta per crescere. In primo luogo, le imprese che nascono traducono il loro spontaneismo e la loro determinazione nel rafforzamento del tessuto produttivo che costituiscono. 8

9 1. Quel vizio italiano di arrivare in ritardo 10 anni dall inizio della crisi non saranno sufficienti, all Italia, per tornare ai livelli raggiunti prima del Lo scenario congiunturale, il contesto economico e strutturale del Paese ma soprattutto le scelte politiche finora adottate dai differenti Governi che si sono succeduti hanno dimostrato di non essere in grado di sostenere gli sforzi di riposizionamento intrapresi, almeno in parte, dal nostro tessuto imprenditoriale. L impossibilità (o la mancata volontà) di intervenire in maniera coraggiosa sulle leve fiscali e sulle strategie di spesa, associata al limitato controllo sulle politiche monetarie e alla maniera in cui ci si è adeguati all ideologia dell austerità, stanno rendendo vano ogni tentativo di rilancio collettivo del sistema economico nazionale. Mentre gli altri Paesi, spesso dotati di una struttura produttiva meno solida e diffusa rispetto a quella italiana, si inventano riforme o soluzioni per uscire dalla crisi e ripartire, in Italia sembra ancora prevalere la retorica del declinismo e un sentiment di generale rassegnazione che rende più difficile la ricerca di alternative percorribili. Così, mentre per recuperare il terreno perduto alla Germania, agli Stati Uniti e alla Russia sono stati sufficienti 3 anni, alla Francia 4 anni, al Giappone 6 anni e al Regno Unito 7 anni, l Italia si trova sospesa in un limbo del quale è difficile intravedere la fine. Secondo le più recenti proiezioni del Fondo Monetario Internazionale nel 2018, a 10 anni dall inizio della crisi, perfino la Spagna sarà tornata ai livelli di Prodotto interno lordo raggiunti in precedenza. L Italia no: nel 2018, secondo gli esperti di tale organizzazione, l Italia potrebbe riuscire a recuperare al massimo i livelli del Fig. 1.1 Tempo necessario affinché il Pil (a prezzi costanti) torni ai livelli pre-crisi Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati FMI 9

10 L Italia sembra quindi destinata ad accumulare un ritardo importante rispetto alle altre grandi economie. Ponendo quale termine di paragone il 2005, fino al 2018 si dovrebbe assistere ad un costante incremento del differenziale relativo alla crescita di Prodotto interno lordo, che potrebbe raggiungere alla fine del periodo un gap pari a: - 8 punti percentuali rispetto alla Spagna; - 10 punti percentuali rispetto al Giappone; - 12 punti percentuali rispetto alla Francia; - 15 punti percentuali rispetto al Regno Unito; - 18,5 punti percentuali rispetto alla Germania; - 28 punti percentuali rispetto agli Stati Uniti. La forbice si allargherebbe ulteriormente, in maniera ancor più significativa, estendendo lo sguardo dagli anni immediatamente precedenti alla crisi per includervi anche la stagione di mancata crescita che ha accompagnato il nostro Paese all inizio del nuovo millennio. Tab. 1.1 Differenziale nei livelli di crescita del Pil a prezzi costanti tra l Italia e altri Paesi all orizzonte del 2018 (diff. %) Cina Russia Stati Uniti Germania Regno Unito Francia Giappone Spagna Rispetto all anno ,9-57,9-27,7-18,5-14,6-12,4-10,3-7,6 Rispetto all anno ,4-107,7-38,8-16,9-27,7-16,7-12,0-21,4 Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati FMI Osservando le curve di crescita delle principali economie mondiali si possono cogliere alcune evidenze degne di nota, che aiutano a comprendere la natura del ritardo che l Italia sta accumulando. A parte Cina e Russia, i cui modelli di sviluppo e gli alti tassi di crescita che li contraddistinguono non possono essere paragonati a quelli del nostro Paese, è opportuno focalizzare l analisi sui 5 più importanti Stati europei, nonché sugli Stati Uniti e sul Giappone. In tutti e 7 i casi si può cogliere: - un primo periodo ( ) caratterizzato da ritmi di crescita sostanzialmente omogenei; - un secondo periodo ( ) in cui, con maggiore o minore intensità, la crisi ha fatto avvertire ovunque in maniera rilevante i propri effetti; - infine, il periodo che va dal 2009 in poi, nel quale si coglie appieno la capacità di reazione che ciascun Paese ha saputo offrire, anche in maniera molto diversificata. Gli Stati Uniti hanno avviato una politica espansiva decisamente controversa sul fronte interno (è nota, ad esempio, l opposizione dei repubblicani che ha portato al recentissimo shutdown delle spese federali e al 10

11 rischio di default tecnico), ma che ha consentito performance macroeconomiche indubbiamente positive, le migliori tra i 7 Paesi considerati. La Germania, dal canto suo, cresce in maniera continua e regolare facendo invece leva sul rigore e la stabilità. La Francia soffre d una ormai prolungata stagnazione che dovrebbe proseguire fino al 2014, lasciando però spazio ad una successiva ripresa; dinamiche simili si possono cogliere nel Regno Unito. La Spagna sembra aver toccato il punto più basso nel 2013, ma il Fondo Monetario Internazionale si mostra abbastanza fiducioso sulle sue prospettive di crescita per il prossimo quinquennio. Un discorso a parte merita il confronto tra Italia e Giappone. Tra il 2005 e il 2009 i due Paesi hanno degli indici di crescita del Pil perfettamente sovrapponibili: sono cresciuti in egual misura negli anni immediatamente precedenti alla crisi e hanno sofferto nello stesso identico modo gli effetti della prima ondata recessiva (perlomeno in termini quantitativi). Da allora il percorso dei due Paesi si è però progressivamente allontanato. L Italia, come è noto, ha seguito una via di austerità che l ha portata ad avere un tasso di crescita medio annuo del Pil per il periodo negativo e pari a - 0,4%. Il Giappone, al contrario, ha avuto nello stesso intervallo temporale un tasso di crescita medio annuo dell 1,9% (seppur molto instabile), favorito dalle audaci strategie monetarie della Banca centrale giapponese e dall adozione di un mix di politiche espansive che hanno recentemente trovato una cornice d insieme nella famosa - per qualcuno imprudente - Abenomics (la manovra economica voluta dal premier Abe e incentrata su deprezzamento dello Yen, tassi di interesse negativi, progressivo aumento del tasso d inflazione con l obiettivo di raggiungere la soglia del 2% e un incremento della spesa pubblica fino a portare il deficit all 11,5% del Pil). Fig. 1.2 Indice di crescita del Pil a prezzi costanti nelle principali economie mondiali nel periodo e proiezioni al 2018 (anno base 2005=100) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati FMI 11

12 Per l Italia, in tutti gli ambiti d attività economica si è registrata una contrazione dei livelli produttivi di eccezionale gravità: sia che si guardi alla produzione manifatturiera o alle costruzioni che alle vendite del settore terziario, il risultato complessivo dell ultimo quinquennio è pesantemente negativo. Ponendo quale punto di riferimento il terzo trimestre del 2008, alla fine del 2 trimestre 2013 l Italia aveva perso: - il 20% della propria produzione manifatturiera, a fronte di una contrazione media europea pari al 7,9%; - il 36,9% della produzione nel settore delle costruzioni, comparto che nell intera Unione europea subisce una flessione del 20,2%. Sono pochi, i Paesi europei che hanno subito una flessione della produzione manifatturiera così marcata. Oltre all Italia, nell elenco figurano soltanto la Spagna, la Grecia e Cipro, la Finlandia (in larga misura a causa del ridimensionamento di Nokia) e il piccolo Lussemburgo. Tra i Paesi in difficoltà sul piano industriale va però annoverata anche la Francia, dove si registra un calo della produzione di quasi 13 punti. Resiste, invece, la Germania (-1,8%), così come le confinanti Austria e Olanda (rispettivamente -0,6% e -1% in 5 anni). Fig. 1.3 Variazione della produzione nell'industria manifatturiera e nelle costruzioni tra il III trim e il II trim (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat 12

13 Fig. 1.4 Variazione della produzione manifatturiera nell Unione Europea tra il III trim e il II trim (val. %) > 10% Tra 0 e 10% Tra -10% e 0 Tra -20% e -10% < -20% Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat Parte della capacità produttiva dell industria europea sembra essersi progressivamente spostata dall arco mediterraneo verso i Paesi ubicati sul confine orientale dell Unione. A crescere in maniera considerevole è infatti soprattutto l attività manifatturiera di Polonia e Romania (rispettivamente +22% e +18% nel periodo considerato), nonché delle Repubbliche Baltiche e della Slovacchia. L Italia ha perso terreno soprattutto nelle produzioni a medio-basso contenuto tecnologico, che hanno conosciuto una flessione del 27,5%, quasi doppia rispetto alla media europea. Resiste, almeno in parte, il segmento delle produzioni hi-tech che in Italia negli anni della crisi hanno limitato al 6,6% la contrazione della propria attività. Anche in questo caso, tuttavia, preoccupa il divario rispetto al resto del continente che nonostante una flessione pari al -7,9% della produzione manifatturiera nel suo insieme ha visto crescere del 3,2% il livello dell attività nei comparti ad alta tecnologia, quelli che richiedono i maggiori investimenti e portano maggiore valore aggiunto, confermando il progressivo riposizionamento sui segmenti alti della produzione manifatturiera attualmente in atto a livello europeo nel suo complesso. 13

14 Fig. 1.5 Variazione della produzione manifatturiera in Italia e nell'intera UE tra III trim e II trim. 2013, per contenuto tecnologico dell'attività (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat Se le tendenze relative al settore industriale sono quelle appena evidenziate, l Unione europea non sembra in grado di compensare puntando su un potenziamento del terziario. Nell insieme, anche l attività dei servizi subisce una pur lieve contrazione: -0,8% a livello comunitario tra il 3 trimestre 2008 ed il 2 trimestre La contrazione è tuttavia causata da un preoccupante impoverimento del terziario nei Paesi dell Europa mediterranea. Le vendite subiscono una flessione: - del 43% in Grecia; - del 26% in Portogallo; - del 23% in Spagna e a Cipro. L Italia riesce in qualche modo a resistere, restando complessivamente al riparo da una simile tendenza, pur avendo ridimensionato il livello delle vendite e subendo gli effetti delle due ondate recessive che hanno investito il Paese. L indice delle vendite per il settore dei servizi (inizialmente posto pari a 100) subisce un iniziale flessione di 10 punti tra il III trimestre 2008 e la fine del Recupera poi terreno fino alla metà del 2011, tornando a quota 98,4, ma da allora è ricominciata una flessione che l ha condotto al più recente 92,8: 7,2 punti in meno rispetto all inizio della crisi. Le difficoltà in cui si trova il terziario nell Europa meridionale contrastano con le migliori performance di Paesi quali la Francia (+2,1%) o la Germania (+0,8%) e con gli eccellenti risultati britannici (+14,5%). 14

15 Fig. 1.6 Variazione delle vendite nel settore dei servizi nell Unione europea tra il III trim e il II trim (val. %) > 10% Tra 0 e 10% Tra -10% e 0 Tra -20% e -10% < -20% Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat 15

16 Da questo rapido inquadramento generale, l Europa si profila come un continente che sta attraversando una fase di complessa trasformazione. Vi si pongono delle sfide nuove, che riguardano innanzitutto la capacità di costruire un modello di co-sviluppo e prosperità capace di considerare le esigenze e le specificità dell intera Unione. L impressione (fin troppo evidente) è che l impostazione attuale stia fortemente penalizzando la parte meridionale della regione. Oltre agli equilibri interni in trasformazione, all Unione sembra inoltre mancare una visione di lungo periodo, che non si limiti a garantire la stabilità dell area ma prefiguri prospettive di crescita su scala globale. In tal senso è importante osservare come, secondo proiezioni Ocse al 2060, per i prossimi 50 anni il tasso di crescita medio annuo per l Area Euro sarà tra i più bassi al mondo, pari mediamente all 1,5%. Mantenendo lo stesso orizzonte temporale l economia mondiale dovrebbe invece crescere con un tasso medio annuo del 2,8%, trainata da Paesi quali l India, l Indonesia, la Cina, il Sud Africa, la Turchia o il Messico. Fig. 1.7 Proiezioni Ocse relative al tasso di crescita medio annuo tra il 2010 e il 2060 (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse 16

17 2. Più grandi dei grandi, ma senza rendersene conto Con riferimento all analisi comparata della struttura imprenditoriale dei vari paesi europei, la lettura dei dati nella loro interezza e complessità, senza lasciarsi tentare dalle facili scorciatoie e dalle banalizzazioni (implicite nell analisi dei soli valori medi) e senza farsi trarre in inganno da stereotipi e pregiudizi, porta a prendere coscienza delle potenzialità produttive di cui l Italia ancora dispone. Non è nella struttura imprenditoriale nazionale che vanno ricercate le ragioni fondamentali delle debolezze evidenziate nel capitolo precedente. Indagare le caratteristiche imprenditoriale del tessuto produttivo dell Italia e dell Europa fa riflettere, innanzitutto, sul fatto che sono italiane il 17,9% di tutte le imprese europee ed oltre il 20% delle realtà manifatturiere dell Unione. Quindi, circa un quinto della struttura produttiva comunitaria ha il proprio radicamento in Italia. Con riferimento in particolare all attività manifatturiera, si può notare come, nell intera UE, ancora oggi soltanto le imprese tedesche sono in grado di realizzare una produzione di maggior valore rispetto a quella italiana. Fig. 2.1 Il valore della produzione manifatturiera in Italia e nei principali Paesi industrializzati dell Unione europea (mld. ) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat, 2011 La caratteristica fondamentale dell impresa italiana è il suo carattere diffuso e il prevalere della micro, piccola e media dimensione con un intensità superiore rispetto a quella che si può cogliere nel resto del continente (nel senso che in Italia il 99,9% delle aziende ha meno di 250 addetti, mentre nei 27 Paesi europei le MPMI rappresentano il 99,6% delle imprese attive ed in Germania, per esempio, il 99,5%). 17

18 Lungi dall essere un sintomo di debolezza come talvolta si tende a presentarla, la realtà delle MPMI rappresenta un asset strategico imprescindibile per l intera Unione europea. Basti pensare che, a livello comunitario, le sole realtà con una dimensione inferiore ai 250 addetti sono in grado di garantire oltre i due terzi dell occupazione, il 57,6% del valore aggiunto complessivo e il 57% del valore della produzione. Fig. 2.2 L importanza economica ed occupazionale delle MPMI nell Unione europea (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat, 2010 In Italia sono 3,9 milioni le micro, piccole e medie imprese non agricole, contro le 2,5 milioni che si contano in Francia e in Spagna, le 2 milioni di MPMI tedesche e le 1,6 milioni britanniche. Questo tessuto imprenditoriale diffuso rappresenta una risorsa preziosa, sia per il contributo occupazionale e sociale che è in grado di offrire che per le performance economiche che lo contraddistinguono. Per fare solo qualche esempio, nel 2010: - il fatturato delle MPMI italiane pari complessivamente a miliardi di euro è superiore rispetto a quello di tutte le grandi imprese britanniche (1.834 miliardi di euro) o francesi (1.458 miliardi di euro) e corrisponde al 76,4% del fatturato totale delle grandi imprese tedesche (pari a miliardi di euro); - il 10,2% di tutta l occupazione europea è garantito dalle sole MPMI italiane; - gli addetti delle MPMI italiane sono più della metà di quelli che congiuntamente lavorano presso le grandi imprese tedesche, francesi e britanniche: il 53%, per l esattezza, ossia 12,3 milioni a fronte di un totale per i tre Paesi pari a 23,2 milioni di addetti. 18

19 Fig. 2.3 Il posizionamento delle MPMI italiane rispetto alle grandi imprese europee in termini di fatturato (mld. ) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat, 2010 Fig. 2.4 Il posizionamento delle MPMI italiane rispetto alle grandi imprese europee in termini di occupazione (v.a.) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat,

20 Si potrebbe obiettare che nonostante la loro consistenza numerica quelle italiane sono spesso realtà poco qualificate, incapaci di innovare e di reggere le sfide d un mercato sempre più complesso, globale e competitivo. Eppure, ancora una volta, i dati smentiscono tale pregiudizio. Nessun altro Paese europeo ha, infatti, un potenziale di MPMI d eccellenza paragonabile a quello italiano. L Italia raggiunge, infatti, 3 primati importanti: - è il primo Paese europeo per numero di MPMI manifatturiere specializzate nei comparti hi-tech e medium hi-tech; - con riferimento al terziario, è il Paese europeo dotato del maggior numero di MPMI che offrono KIS, knowledge intense services; - è il Paese europeo con il maggior numero di MPMI proiettate oltre i confini nazionali, sia per quanto riguarda le esportazioni dirette che con riferimento a forme più complesse di internazionalizzazione. Nello specifico, le MPMI manifatturiere specializzate in comparti ad alta o medio-alta tecnologia sono, a livello comunitario, 239mila. Di queste, il 18,1% sono italiane: si tratta di realtà industriali operanti in comparti quali quello farmaceutico o biomedicale, l aerospaziale, la meccanica di precisione, l ottica o l elettronica. Sono comparti nei quali il tessuto produttivo italiano è più denso sia di quello tedesco (34mila aziende) che di quello britannico (25mila), spagnolo (18mila) o francese (17mila). Fig. 2.5 Stima del numero di MPMI manifatturiere attive nei comparti hi-tech e medium-hi tech nei Paesi dell Unione europea (v.a.) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ecorys-Commissione europea

21 L Italia inoltre primeggia anche nel terziario ad alto valor aggiunto. Ci si riferisce a quelle micro, piccole e medie imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo oppure che operano nell ambito delle telecomunicazioni, dell informatica, dell intermediazione finanziaria, dell educazione, della sanità o della cultura. Sono le imprese che offrono KIS, knowledge intense services. Il loro numero, a livello europeo, è di e di queste il 18,2% (784mila) sono italiane. Fig. 2.6 Stima del numero di MPMI del terziario attive nei comparti KIS, knowledge-intensive services nei Paesi dell Unione europea (v.a.) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ecorys-Commissione europea 2012 L Italia è, inoltre, il Paese che può di gran lunga contare sul maggior numero di MPMI internazionalizzate. Secondo la più recente EU Survey realizzata dalla Commissione europea, ad esportare sarebbe il 27,3% delle MPMI italiane a fronte del 23,8% di quelle spagnole, del 21% di quelle britanniche e del 19% di quelle tedesche e francesi. Inoltre, le MPMI italiane con investimenti oltre i confini nazionali sarebbero 61mila, contro le 48mila realtà tedesche, le 53mila spagnole e le 36mila britanniche (nei paragrafi successivi si avrà modo di approfondire con più dettaglio questo aspetto). La struttura produttiva dell Italia le consente quindi di operare sia sul mercato interno che su quello internazionale. Affinché ciò avvenga è tuttavia necessario che gli interventi strategici, dettati dalla politica, del Paese siano calibrati e funzionali al sostegno e all affiancamento del modello imprenditoriale italiano quale realmente è e non quale si vorrebbe che fosse. L Italia differisce infatti dagli altri Paesi europei perché dispone di un sistema di MPMI oggettivamente più diffuso, più solido, a volte anche più competitivo e, in una parola, migliore. Un 21

22 simile vantaggio non si ripropone, invece, con riferimento alle pur importanti grandi aziende. Da un punto di vista numerico, innanzitutto, le grandi imprese italiane (quasi 300 in più di quelle spagnole) sono un terzo di quelle tedesche, poco più della metà di quelle britanniche ed il 75% di quelle francesi. Non è sulla grande impresa che si regge l economia italiana. Si consideri, ad esempio, il valore del fatturato: in Paesi come la Germania o la Gran Bretagna la maggior parte del fatturato è generato dalle grandi imprese; in Italia, invece, per il 69% è frutto delle MPMI (un incidenza 12 punti percentuali più elevata rispetto alla media europea e che non ha eguali in nessun altro Paese). Fig. 2.7 Suddivisione del fatturato realizzato dal sistema imprenditoriale dei Paesi dell Unione europea per classe dimensionale (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat, 2010 Non sono soltanto i grandi numeri a fare grande la micro, piccola e media impresa italiana. Se ci si focalizza, ad esempio, sul segmento della media impresa (con una dimensione compresa tra i 50 e i 249 addetti), nessun Paese europeo è in grado di realizzare un fatturato medio per azienda paragonabile a quello delle realtà italiane. In media, le aziende italiane nella classe addetti fatturano 28,8 milioni di euro, che è: - il 37,8% in più rispetto al fatturato medio delle imprese europee d eguale grandezza; - il 45% in più rispetto a una media impresa tedesca (che non raggiunge i 20 milioni di euro l anno); - quasi 600mila euro in più rispetto al fatturato annuo d una media impresa francese. 22

23 Fig. 2.8 Fatturato medio per azienda delle piccole e medie imprese dei principali Paesi europei ( ) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat,

24 Analoghe prestazioni contraddistinguono anche il segmento della piccola impresa italiana propriamente detta (le quasi 200mila unità di dimensione compresa tra i 10 e i 49 addetti). Le più piccole, quelle che hanno tra i 10 e i 19 addetti, fatturano in media 2,4 milioni di euro l anno: il 19% in più rispetto alla media europea, il 47% in più rispetto alle realtà tedesche d analoghe dimensioni. Quelle più strutturate, che raggiungono tra i 20 e i 49 addetti, fatturano in media 6,7 milioni di euro: il 17,4% in più rispetto alla media europea ed il 33% in più rispetto alle loro competitors tedesche. Nel caso delle realtà di piccole dimensioni, soltanto le aziende francesi hanno un fatturato unitario più elevato di quello italiano. Una delle accuse che spesso vengono rivolte al sistema produttivo nazionale è quella di non essere abbastanza grande, di avere una dimensione media di soli 4 addetti per azienda a fronte dei 12 addetti per azienda della Germania e dei 5,8 che mediamente si contano a livello europeo. Come la riflessione fin qui svolta dimostra, tuttavia, tale evidenza non deve condurre ad una condanna aprioristica del presunto nanismo imprenditoriale che caratterizzerebbe l Italia. Al contrario, è la conseguenza di uno dei punti di forza dell Italia: del suo avere molte realtà d eccellenza (e non pochi campioni nazionali) di medie, piccole e perfino micro-dimensioni. Il basso valore medio non è determinato solo dalla assenza di grandi imprese (che in realtà, come si è visto, sono sostanzialmente in linea rispetto alla numerosità che si può riscontrare negli altri Paesi), bensì dal proliferare d una imprenditorialità diffusa numericamente molto significativa. Per ciascuna classe d addetti, tra l altro, le MPMI italiane si confermano più solide e strutturate delle corrispondenti realtà che esistono negli altri Paesi ed hanno caratteristiche dimensionali non molto differenti rispetto a quelle tedesche. Tab. 2.1 Confronto tra la struttura del tessuto produttivo italiano e tedesco per dimensione media e numero di imprese per classe d addetti (v.a. e val. %) Fino a 9 addetti addetti addetti addetti 250 addetti e oltre Totale Dimensione media per classe d addetti Italia 2,0 13,1 29,7 96,4 186,1 4,0 Germania 2,8 13,3 30,5 96,8 189,9 12,0 UE 27 1,8 11,5 26,2 94,8 191,0 5,8 Numero di imprese per classe d addetti Italia Germania UE Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat,

25 È interessante osservare che Paesi come la Germania e la Francia stanno attualmente tentando di consolidare e valorizzare il proprio sistema delle MPMI, esattamente come avviene più in generale nell intera Unione europea. Secondo le stime riportate dalla Commissione europea nell Annual Report on European SMEs, in tali Paesi l incidenza delle MPMI sembra essere cresciuta, tra il 2005 e il 2013, sia in termini di occupati che di valore aggiunto: - passando, in Germania, dal 60,2% al 62,8% l occupazione generata dalle realtà con meno di 250 addetti e dal 52,4% al 53,8% il relativo valore aggiunto; - passando, in Francia, dal 61,4% al 63,7% l occupazione generata dalle realtà con meno di 250 addetti e dal 54,2% al 58,9% il relativo valore aggiunto; - passando complessivamente, nell Unione europea, dal 66,8% al 67% dell occupazione generata dalle realtà con meno di 250 addetti e dal 65,3% al 65,5% del relativo valore aggiunto. Non altrettanto avviene, invece, in Italia. Il nostro Paese è uno dei pochi in cui l incidenza delle MPMI si sta riducendo, per effetto di un contesto che sembra premiare innanzitutto la grande impresa a scapito dell impresa diffusa (evidenza palese, per esempio, con riferimento all accesso al credito bancario, come si vedrà in seguito). Prendendo quale termine di paragone l anno pre-crisi (2007), in Italia nel 2013 si può constatare che: - il valore aggiunto generato dalle MPMI ha subito una contrazione pari a -5,5%, aumentando al contempo del 4,3% il valore aggiunto della grande impresa; - l occupazione delle grandi imprese è aumentata di 60mila unità (+2%), mentre quella delle MPMI si è ridotta di oltre 500mila unità (-4%). Si tratta di risultati che vanno attribuiti non all inefficienza o all inadeguatezza delle MPMI, ma a un contesto ben preciso e a scelte politiche che, anziché tutelarle e valorizzarle, sembrano penalizzarle. 25

26 Fig. 2.9 Stima relativa alla variazione nell incidenza percentuale delle MPMI in alcuni Paesi europei tra il 2005 e il 2013 (diff. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Eurostat-Annual Report on European SMEs

27 3. Comprendere i problemi, non di hardware ma di middleware Se il problema non è di hardware, dal momento che la struttura produttiva italiana con le sue specificità resta tutto sommato più che solida, a cosa si possono attribuire le non positive performance del Sistema Italia evidenziate nel primo capitolo? I problemi derivano essenzialmente dal contesto in cui le imprese italiane si trovano ad operare, un ambiente operativo che le penalizza e le rende estremamente vulnerabili. In estrema sintesi si può affermare che le imprese italiane lavorano in un contesto caratterizzato: - da un mercato interno asfittico, con consumi in forte contrazione per via del perpetuarsi di politiche di contenimento della spesa e con risparmi che, a loro volta, si stanno progressivamente erodendo; - da un Sistema Paese che sembra distratto, avvitato intorno a discussioni spesso irrilevanti e incapace di affrontare le questioni che realmente limitano le sue potenzialità di sviluppo. Seguendo l approccio comparato adottato in questa analisi, è necessario allora porre attenzione su alcune questioni essenziali quali quelle dell accesso al credito o del costo del lavoro. Prima di addentrarsi nelle specificità di simili tematiche è opportuno, tuttavia, fornire un inquadramento generale sulle differenti difficoltà riscontrate dal mondo imprenditoriale in Italia e nei principali Paesi dell Area Euro. Sulla base di un indagine condotta a metà del 2013 dalla Banca Centrale Europea si può osservare come siano essenzialmente di 5 tipi, i problemi che colpiscono le imprese italiane: - il più diffuso è un problema di mercato. Circa il 23% del campione nazionale, indipendentemente dalla classe dimensionale in cui rientra, dichiara di fare fatica a trovare clienti cui vendere i propri prodotti o servizi; - micro, piccole e medie imprese lamentano, poi, l eccessivo costo del lavoro (nel 20,7% dei casi) o le difficoltà nell accesso al credito (nel 18%); - per le grandi aziende al contrario in seconda e in terza posizione si collocano, rispettivamente i problemi legati alla regolamentazione e alla concorrenza (nazionale e soprattutto internazionale). Emergono, quindi, due ordini di priorità ben distinti che chiamano in causa responsabilità differenti e che richiedono differenti modalità d intervento. 27

28 Fig. 3.1 Principali problemi riscontrati dalle imprese italiane nel corso del primo semestre 2013, per classe dimensionale (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati BCE Concentrandosi sulle esigenze delle MPMI è possibile comprendere l effettiva gravità e le specificità della situazione italiana confrontando le risposte con quelle degli altri Paesi oggetto d indagine. Rispetto alla media dell Area Euro le imprese italiane lamentano soprattutto: - l eccessivo costo del lavoro (una quota di aziende superiore di 6 punti percentuali rispetto alla media dell Area Euro lo segnala come il principale problema con cui ha a che fare), A indicarlo in maniera analoga o superiore rispetto all Italia sono soltanto le MPMI di Francia, Belgio e Finlandia; - le difficoltà nell accesso al credito (primo problema per il 18,4% delle aziende italiane, 2 punti percentuali in più rispetto alla media). Quello del credito è un problema di eccezionale gravità in Grecia, segnalato dal 38% delle MPMI, mentre gli altri Paesi in cui assume una rilevanza significativa sono Spagna, Irlanda e Polonia; - la regolamentazione e i vincoli (burocratici e di altra natura) che ostacolano l attività d impresa. In questo caso è proprio in Italia che si raggiunge l incidenza più elevata (14,8%), analoga a quella che si può cogliere in Irlanda e in Belgio. 28

29 Tab. 3.1 Confronto tra i principali problemi riscontrati dalle MPMI dell Area Euro nel primo semestre 2013 (val. %, tot. di riga = 100) Trovare clienti Costo del lavoro Accesso al credito Regolamentazione Concorrenza Competenze del personale Altro Italia 23,4 20,7 18,4 14,8 11,7 3,8 7,1 Germania 31,3 8,2 8,5 11,7 9,1 27,2 4,1 Francia 24,2 21,5 13,1 13,4 10,9 10,1 6,8 Spagna 28,9 11,8 25,1 6,3 10,7 4,8 12,4 Grecia 24,1 9,4 38,3 7,7 17,5 0,8 2,2 Irlanda 23,3 8,1 24,2 15,0 14,2 5,0 10,1 Belgio 16,0 26,4 10,7 15,1 11,2 14,8 5,9 Olanda 30,6 10,7 15,0 11,1 16,2 13,1 3,3 Austria 29,9 11,4 7,8 9,7 9,6 27,7 4,0 Polonia 28,4 6,1 20,7 14,3 15,5 5,8 8,5 Finlandia 12,2 23,3 11,4 9,5 21,7 18,2 3,7 Totale 26,8 14,4 16,1 11,8 11,6 12,8 6,5 Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati BCE Dalla lettura dei dati della BCE vale la pena segnalare l anomala situazione in cui si trovano Germania ed Austria. Per le MPMI di questi due Paesi i problemi che affliggono le realtà imprenditoriali nel resto dell Area Euro non sono problemi. In Germania ed in Austria non è un problema la concorrenza, né l accesso al credito o il costo del lavoro e neppure la regolamentazione interna. Le MPMI tedesche e austriache sono invece quelle che maggiormente lamentano le difficoltà nel trovare clienti ma soprattutto nel trovare personale che disponga di competenze adeguate. Il fatto che oltre il 27% delle MPMI tedesche o austriache segnali quest ultimo come il principale problema dà la misura dello stato di salute delle rispettive economie. Per l Italia i dati dell indagine della BCE non fanno altro che confermare, invece, quanto già emerso nel 2012 dal rapporto della Banca Mondiale sulla facilità di fare impresa. Nella classifica che viene annualmente presentata l Italia si attesta al 25esimo posto tra i 27 Paesi che nel 2012 componevano l Unione europea, seguita soltanto dalla Grecia e da Malta. A livello mondiale, su 185 Paesi non si posiziona che 73esima, perdendo tra l altro due posizioni rispetto all anno precedente. D altra parte, non può certamente essere considerato amico delle imprese un Paese i cui si richiede che per i soli adempimenti fiscali siano dedicate 269 ore l anno (equivalenti a circa 34 giornate lavorative). Si tratta di ben 106 ore in più (ossia 13 giornate di differenza) rispetto alla media dei Paesi dell Area Euro, 83 ore in più (10 giornate) rispetto alla media dei Paesi Ocse. Sempre con riferimento alla tassazione, oltre a quello dei tempi che la burocrazia sottrae alle imprese vi è però, ancora più grave, il problema del livello di imposizione fiscale. Calcolato come quota dei profitti commerciali al netto di Iva e imposte sul reddito, in Italia il livello di imposizione fiscale sulle imprese raggiunge il 68,3% collocandosi ben 24 punti percentuali al di sopra della media europea, 26 punti percentuali superiore alla media dei Paesi Ocse. 29

30 Tab. 3.2 Paesi europei in cui è più facile fare business # Paese Rating Trend Banca Mondiale rispetto al Danimarca 5 2 Regno Unito 7 3 Finlandia 11 4 Svezia 13 5 Irlanda 15 6 Germania 20 7 Estonia 21 8 Lettonia 25 9 Lituania Austria Portogallo Olanda Belgio Francia Slovenia Cipro Spagna Slovacchia Ungheria Polonia Lussemburgo Rep. Ceca Bulgaria Romania Italia Grecia Malta 102 Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Banca Mondiale,

31 Fig. 3.2 Numero di ore annualmente necessarie per espletare gli adempimenti fiscali dell impresa (v.a.) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse, 2012 Fig. 3.3 Livello di imposizione fiscale sui profitti commerciali delle imprese* (val.%) (*)Il livello di imposizione fiscale misura l'ammontare di tasse e contributi che le imprese devono pagare al netto di detrazioni e deduzioni. Sono escluse imposte indirette (Iva) e trattenute. Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse,

32 I problemi di contesto, per le imprese, non riguardano però soltanto le risorse economiche cui faticano ad avere accesso o i difficili rapporti col fisco. Operare in un contesto favorevole dovrebbe implicare, per esempio, anche la possibilità di contare su un sistema infrastrutturale e logistico adeguato ad accompagnare le realtà imprenditoriali sul mercato, comprimendo costi e tempi di accesso. Da tale punto di vista, le performance del sistema logistico nazionale (calcolate dall Ocse per ciascun Paese secondo un indice che varia da un minimo di 1 per le situazioni pessime a un massimo di 5 per quelle ottimali) si dimostrano peggiori rispetto a quelle spagnole, francesi, britanniche e tedesche. Fig. 3.4 Indice di performance del sistema logistico nazionale (compreso tra 1=pessimo e 5=eccellente) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse, 2012 Le questioni cui finora si è fatto riferimento non rappresentano, ad ogni modo, una novità. Non è una novità l eccessivo e iniquo sistema fiscale, né il fardello burocratico che grava sulle imprese o le altre inefficienze cui si è rapidamente accennato o su cui ci si soffermerà con maggiore attenzione nei prossimi capitoli. L indicatore che meglio fotografa il recente cambiamento di clima è invece un altro, quello che registra la rilevante contrazione dei consumi verificatasi a partire dal Negli ultimi 5 anni il livello totale della spesa, in Italia, si è ridotto complessivamente del 4,4%: una flessione pari a -4,8% per quel che riguarda i consumi privati e pari a -3,2% per quel che riguarda la spesa pubblica (variazione percentuale e non dei livelli). 32

33 L Italia non è, ovviamente, l unico Paese europeo ad aver conosciuto una contrazione, anche grave, dei consumi. In molti altri Paesi la spesa privata si è ridotta in misura ancora più elevata. È il caso della Romania, per esempio, dove si è registrata nell arco del quinquennio una flessione dei consumi privati pari al -35%, sia pur in parte compensata dall incremento della spesa pubblica. È il caso inoltre di Grecia, Portogallo e Irlanda, delle Repubbliche Baltiche, della Bulgaria e dell Ungheria. All interno dell Unione europea l Italia è però uno dei pochi Paesi (7 in tutto) in cui negli anni della crisi si è assistito ad una significativa compressione della spesa pubblica. Osservando le dinamiche dei consumi nei 27 Paesi dell Unione emerge un evidenza piuttosto significativa: in nessuno di loro i consumi privati sono aumentati senza un contemporaneo incremento della spesa pubblica da parte del Governo e degli enti locali. Fig. 3.5 Variazione percentuale reale della spesa per consumi privati e della spesa pubblica tra il 2007 e il 2012 nei Paesi dell Unione europea (val. %) (-; +) (+; +) (0; 0) (-; -) (+; -) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Banca Mondiale 33

34 Al tempo stesso, oltre ai consumi si sta progressivamente riducendo la capacità nazionale di risparmio. Il tasso nazionale lordo di risparmio nel 2012 si attesta ormai al 17,1%: 1,5 punti percentuali in meno rispetto alla media dei Paesi dell Unione europea e 3 punti percentuali al di sotto rispetto a quello che caratterizza i soli Paesi dell Area Euro. Il gap nei confronti della Germania è di quasi 7 punti percentuali. Si tratta di un cambiamento profondo rispetto al passato, che si può cogliere appieno considerando come fino all inizio degli anni 2000 la propensione al risparmio degli italiani fosse superiore non solo rispetto alla media dell Unione europea ma anche a quella che caratterizzava la Germania, attestandosi all epoca al 20,6% contro il 20,2% dei tedeschi. Fig. 3.6 Tasso nazionale lordo di risparmio nel 2000 e nel 2012* (val. %) (*)Derivante dal saldo tra reddito nazionale lordo e totale dei consumi, più i trasferimenti netti Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Banca Mondiale 34

35 4. Il paradosso del lavoro, tra costo che sale e salari bloccati Vi è una (solo) apparente contraddizione tra l enfasi posta sull eccessivo costo del lavoro da parte delle imprese e le ben note critiche per il basso livello dei salari italiani, supportate da qualsiasi confronto internazionale. Il più accreditato è senza dubbio quello presentato dall Ocse, che annualmente stila una classifica in cui l Italia è costantemente relegata nella parte bassa, intorno alla 20-esima posizione tra i 29 Paesi per cui è disponibile tale informazione. Al di là del ranking in sé, l aspetto più preoccupante deriva dall osservare come, nel corso del primo decennio del nuovo millennio, l Italia sia, tra gli Stati membri dell Organizzazione, quello in cui l incremento dei redditi da lavoro è stato più basso, con un tasso di crescita medio annuo in termini reali - pari ad appena lo 0,13%. In Germania il pur modesto incremento dei salari ha invece raggiunto lo 0,3% all anno mentre in Francia superava la soglia dell 1%. Fig. 4.1 Tasso di crescita medio annuo dei salari tra il 2000 e il 2011 e loro valore nell anno 2011* (val. % e US$ 2011 ppp.) (*) Per i livelli si considera il salario lordo percepito dal lavoratore e non il costo complessivo sostenuto dall azienda. I tassi di crescita sono invece in termini reali e quindi tengono già in considerazione gli effetti dell inflazione. Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse 35

36 In realtà la contraddizione è, per l appunto, soltanto apparente perché negli ultimi anni l Italia è riuscita nell impresa di essere uno dei Paesi in cui il costo del lavoro è aumentato di più mentre il compenso dei lavoratori è cresciuto di meno. Considerando il 2005 quale termine di paragone, per esempio, nel secondo trimestre del 2013 l indice relativo al costo per unità di lavoro era aumentato ben del 17,4% in 7 anni e mezzo: 4 punti percentuali in più rispetto alla media dell Area Euro. Nello stesso intervallo temporale il compenso per unità di lavoro non è cresciuto che del 12,2%: 6 punti percentuali in meno rispetto alla media dell eurozona. Confrontando le dinamiche italiane con quelle che si registrano in Germania, in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti si può osservare come l Italia sia il Paese in cui il costo del lavoro è cresciuto più del compenso per unità di lavoro. Tra i due indici si registra invece un differenziale, a favore di quest ultimo, pari a 5 punti percentuali in Francia e in Germania (leggermente superiore rispetto a quello che contraddistingue l intera Area Euro) e di oltre 10 punti in Spagna o negli Stati Uniti. Nel Regno Unito, che tra quelli esaminati è l unico Paese in cui il costo del lavoro è cresciuto più che in Italia, a tale incremento corrisponde un analogo incremento dei salari. Fig. 4.2 La dinamica del cuneo fiscale: variazione percentuale del compenso per unità di lavoro e del costo per unità di lavoro tra il 2005 e la metà del 2013 (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse 36

37 Di fronte ad una situazione del genere, caratterizzata da un eccessivo costo del lavoro (cui viene però attribuito un modesto valore) non stupisce che l Italia sia il solo grande Paese in cui si registra un calo della produttività del lavoro. Fig. 4.3 Variazione dell indice di produttività del lavoro tra il 2005 e la metà del 2013 (2005=100) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati Ocse 37

38 5. Lo strabismo del sistema bancario Dal mese di giugno del 2011, le risorse che il sistema bancario italiano mette a disposizione delle imprese si sono progressivamente ridotte. Lo stock di prestiti erogati alle società non finanziarie è passato da 914 miliardi di euro agli 839 miliardi di euro dell agosto Si è assistito così, in 26 mesi, ad una flessione pari a 75 miliardi di euro, ossia ad una contrazione dell 8,2% nell ammontare complessivo di prestiti bancari su cui le imprese italiane (società non finanziarie) possono contare. Nello stesso periodo di tempo le risorse destinate alle imprese francesi si sono ridotte soltanto dell 1%, mentre quelle destinate alle imprese tedesche sono aumentate di circa 5 miliardi di euro. Fig Variazione percentuale dello stock di prestiti concessi dalle banche alle società non finanziarie nel periodo compreso tra giugno 2011 e agosto 2013 (val. %) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati BCE Ancora nel 2011 l Italia era il Paese dell eurozona le cui banche sostenevano con maggior vigore il sistema imprenditoriale nazionale, tramite interventi che sopravanzavano di 15 miliardi di euro quelli delle banche tedesche, di 46 miliardi quelli delle banche francesi e di 30 miliardi quelli delle banche spagnole (all epoca ancora molto presenti). Ad agosto il ridimensionamento del sistema bancario nazionale ha portato l Italia al terzo posto a livello europeo, con un esposizione inferiore di 20 miliardi di euro rispetto alla Francia e di 65 1 Per ragioni di confronto internazionale si fa riferimento ai prestiti destinati all intera Area Euro e non soltanto alle imprese residenti in Italia, benché queste ultime siano beneficiarie della quasi totalità delle risorse complessive (circa il 99%) e sia verosimile che la quota restante vada comunque, almeno in parte, ad imprese controllate dall Italia 38

39 miliardi rispetto alla Germania. Il fatto che nel frattempo le banche spagnole abbiano ridotto la propria presenza a fianco delle imprese ben del 26,4% e che le risorse decisamente meno consistenti concesse da quelle di Portogallo e Grecia abbiano registrato una flessione del 14% non è, di per sé, un motivo di consolazione. Fig. 5.2 Stock complessivo dei prestiti concessi alle società non finanziarie dei principali Paesi dell Area Euro alla fine del mese di giugno 2011 e del mese di agosto 2013 (mld. correnti) Fonte: elaborazioni Fondazione R.ETE. Imprese Italia su dati BCE Resta da capire in che misura la contrazione che si è qui riscontrata sia da attribuire ad un atteggiamento restrittivo delle banche e quanto, invece, sia dovuta ad una diminuita propensione delle imprese italiane a finanziarsi attraverso tale canale. Una risposta attendibile a un simile interrogativo è in parte fornita da una recente indagine che la Banca Centrale Europea ha realizzato su un campione rappresentativo di imprenditori dei principali Paesi dell Area Euro. Il primo dato da segnalare riguarda il limitato numero di imprese italiane che all inizio del 2013 avevano linee di finanziamento attive presso il sistema bancario nazionale: erano soltanto il 35,7%, a fronte del 36,4% della Spagna e a valori superiori al 40% che si riscontravano in Francia o in Germania. È tuttavia osservando la distribuzione dei prestiti per classe dimensionale che si possono cogliere le tendenze più significative. Infatti, in Italia il sistema bancario tende a privilegiare le grandi imprese in una misura che non ha eguali nel resto d Europa: 39

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