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1 Previdenza (Assicurazioni Sociali) - Contributi Assicurativi Soggetti Obbligati - In Genere - Società cooperative - Obbligo contributivo a carico della società - Soci lavoratori - Equiparazione ai lavoratori subordinati - Sussistenza. Corte Cassazione, Sez. Lavoro n Pres. De Renzis - Rel. La Terza - P. M. Lo Voi - INPS. (Avv. Sgroi, Correra, Coretti) - Società Cooperativa a.r.l. "S. 85" (Avv. Longo, Caparvi ). Anche con riferimento al regime anteriore all'entrata in vigore della legge n. 142 del 2001, le società cooperative, in virtù dell'art. 2, comma terzo, r.d. 28 agosto 1924 n il quale dispone che dette società "sono datori di lavoro anche nei riguardi dei loro soci che impiegano in lavori da esse assunti"- sono da considerare ai fini previdenziali come datrici di lavoro rispetto ai soci assegnati a lavori dalle stesse assunti. Ne consegue che sono assoggettati a contribuzione previdenziale i compensi da esse corrisposti ai propri soci che abbiano svolto attività lavorativa, indipendentemente dalla sussistenza degli estremi della subordinazione e dal fatto che la cooperativa svolga attività per conto proprio o per conto terzi, purché, naturalmente, tale lavoro sia prestato in maniera continuativa e non saltuaria e non si atteggi come prestazione di lavoro autonomo. FATTO Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d'appello di L'Aquila, all'esito di consulenza contabile, in riforma della statuizione di primo grado, condannava la soc. cooperativa r.l. S. 85 a pagare all'inps la somma di euro ,88 oltre sanzioni. Il primo Giudice aveva revocato i decreti ingiuntivi emessi a favore dell'inps n. 501, 502, 503 e 524 del 1995, sulla considerazione che l'obbligo di pagare i contributi previdenziali non sussiste a carico della cooperativa quando l'attività lavorativa svolta dai soci rientri nell'ambito dell'oggetto dello statuto sociale, mentre la Corte territoriale riteneva, di contro, che tale obbligo sussistesse ai sensi dell'art 2 R.D del 1924, per cui le cooperative, essendo considerate datori di lavoro nei confronti dei soci che impiegano in lavori da esse assunti, sono soggetti, per essi, ai comuni obblighi contributivi; in altri termini, attraverso la fictio iuris propria della legislazione in materia previdenziale, le cooperative sono considerate datori di lavoro, mentre i soci, quando l'attività è conforme alle previsioni del patto sociale ed è svolta in corrispondenza con le finalità istituzionali della società, sono equiparati ai lavoratori subordinati, a prescindere se vengano 1

2 impegnati per lavori assunti direttamente dalla società ovvero per conto terzi. Nella specie la società non aveva negato che i soci erano impegnati nell'esecuzione dei lavori assunti da essa cooperativa, ma aveva sostenuto che si trattava di lavori eseguiti in virtù di convenzioni stipulate con gli enti locali, il che determinerebbe l'assimilabilità dei soci ai lavoratori socialmente utili, con esonero dall'onere contributivo. La Corte territoriale rigettava detta difesa, sul rilievo che risultava dalla consulenza contabile che la cooperativa aveva eseguito lavori anche per altri soggetti, diversi dagli enti locali. I Giudici d'appello, concordando con le difese della Cooperativa, escludevano invece l'obbligo contributivo per alcuni collaboratori esterni, nonché per i contributi al Servizio Sanitario Nazionale, e riducevano, nelle misure già indicate, le somme di cui ai decreti ingiuntivi, mentre disattendevano la ulteriore pretesa alla restituzione della somma pagata a titolo (parziale) di condono, sul rilievo che la società doveva all'inps somme ben maggiori. Avverso detta sentenza la Società Cooperativa a.r.l. S. 85 propone ricorso sulla base di due motivi. L'Inps ha depositato procura. DIRITTO Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 R.D. n del 1924 e si invoca l'orientamento giurisprudenziale di cui alla sentenza delle Sezioni unite n del 2004, la quale avrebbe fatto ordine in materia alla luce della sopravvenuta legge 142 del 2001, avendo affermato che, anche con riferimento al regime anteriore all'entrata in vigore della legge n. 142 del 2001, le società cooperative devono ritenersi assoggettate all'obbligo contributivo nei confronti dei soci lavoratori, con la contribuzione propria del tipo di lavoro (subordinato o autonomo) effettivamente prestato, senza possibilità di distinguere tra lavori assunti dalla società per conto terzi e lavori rientranti nello scopo mutualistico. Nella specie sarebbe mancato ogni accertamento sulla natura subordinata della attività lavorativa prestata dai soci. Con il secondo motivo si denunzia difetto di motivazione, perché vi sarebbe contraddittorietà tra due passi della sentenza. Si rileva altresì in ricorso, che la sentenza sarebbe errata per avere accolto i conteggi della consulenza, che aveva effettuato il calcolo per tutto il periodo ( ), senza distinguere tra i periodi in cui la Cooperativa era esentata dal versamento dei contributi ai propri soci, che erano equiparabili ai lavoratori socialmente utili, per avere lavorato attraverso convenzioni stipulate con gli enti locali. 2

3 Inoltre la sentenza avrebbe errato nell'escludere il diritto alla restituzione delle somme versate a titolo di condono, senza motivare sulla natura transattiva dell'avvenuto pagamento. Il ricorso non merita accoglimento. 1. Quanto al primo motivo, prima dell'intervento delle Sezioni unite con la sentenza 13967/2004 (1) invocata dal ricorrente, la tesi maggioritaria era quella secondo cui l'art 2 R.D. n del 1924, regolamento attuativo della legge delegata R.D. 30 dicembre 1923 n. 3184, equipara con una finzione, e per i fini assicurativi, la posizione dei soci lavoratori di società cooperative a quella dei lavoratori subordinati, con conseguente sussistenza dell'obbligazione contributiva a carico di tali società a prescindere dalla sussistenza degli estremi della subordinazione e dal fatto che la cooperativa svolga attività per conto proprio e per conto terzi. Né si riteneva rilevante, in senso contrario, il disposto del D.P.R. n. 602 del 1970, che si limita ad indicare alcune categorie di lavoratori soci di società ed enti cooperativi (specificamente indicati in allegato elenco) assoggettandole, sia pure a determinate condizioni, agli oneri contributivi previdenziali, senza peraltro incidere sulla disciplina dettata in via generale dal citato art. 2 R.D. n del In tal senso si è espressa Cass. 16 luglio 2002 n (2), la quale ha aggiunto che il principio della equiparazione ai fini contributivi della posizione del socio lavoratore di società cooperativa al lavoratore subordinato, assume una valenza generale che ne consente l'estensione alle assicurazioni cosiddette minori. Nello stesso senso ex multis Cass. 25 maggio 2002 n. 7668, 14 dicembre 2002 n , 1 agosto 2003 n. 3053, 7 marzo 2003 n (3), 28 marzo 2003 n. 4767, quest'ultima riferita soltanto a lavoratori subordinati. 2. La dottrina, anch'essa maggioritaria, che aderiva a questo indirizzo interpretativo, osservava come l'art. 2 R.D. n del 1924 dovesse essere interpretato anche in base alla normativa sopravvenuta, tenendo conto specialmente della necessità di fornire una tutela previdenziale ad una categoria di soggetti più ampia di quelli originariamente ipotizzata, ossia a tutti i lavoratori in diverso modo associati nell'impresa mutualistica.. 3. Tra le norme sopravvenute di equiparazione tra lavoratori dipendenti e soci di cooperative, si possono annoverare, quelle tributarie, che assimilano i soci lavoratori ai prestatori d'opere subordinati (art. 47, lett. a), D.P.R. n. 597 del 1973, art. 11 D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, conv. in l. 22 dicembre 1980 n. 891). L'art. 24, comma 2, l. 24 giugno 1997 n. 196 (norme in materia di promozione della occupazione) estende l assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria ai lavoratori soci di cooperative di lavoro. L'art. 6, comma 7, d.lgs. 2 settembre 1997 n. 314 estende i criteri di determinazione della base imponibile, previsti nello stesso decreto per i lavoratori subordinati, al calcolo delle contribuzioni previdenziali dovute per i soci delle medesime cooperative. 3

4 4. Le Sezioni unite hanno affermato che, considerata la varietà degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, il significato dell'art. 2, terzo comma, R. D. n del 1924, non possa essere definito senza tener conto della successiva evoluzione legislativa, a partire dall'art. 45 Cost. e fino alle leggi successive ai fatti di causa e cioè alla legge 142/2001, così praticamente estendendo quest'ultima anche ai periodi anteriori alla sua entrata in vigore. 5. La tesi non può essere condivisa, come hanno affermato molteplici sentenze successive, per la considerazione che la nuova legge ha un impianto del tutto diverso rispetto alla previgente regolamentazione. (Cass. n /2007, n. 222/2008, n /2008, n /2008). Ed infatti cardine della nuova disciplina, sconosciuta nell'assetto precedente, è che il socio, all'atto dell'adesione alla cooperativa, o successivamente, instauri un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, finalizzato al raggiungimento degli scopi sociali, in forma subordinata o autonoma, di talché è applicabile la tutela previdenziale prevista per l'una o per l'altra forma, ossia, si deve fare riferimento alle normative vigenti per le diverse tipologie di rapporto di lavoro (art. 4 comma 1). Nella nuova legge è quindi tutto chiaro: la tutela previdenziale non viene ancorata al rapporto associativo, ma al rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, che si affianca a quello associativo. 6. Ma cosi non era nell'assetto precedente, in cui l'unico rapporto del socio con la cooperativa era quello associativo, di talché se non si interpreta l'art. 2 del R.D del 1924, nel senso peraltro fatto palese dalle parole, per cui il rapporto di associazione in cooperativa, è regolato, dal punto di vista previdenziale, come lavoro subordinato, ossia interpretando la norma citata del 1924 alla luce della normativa successiva del 2001, nella sostanza rimarrebbero privi di ogni tutela previdenziale i rapporti associativi in cooperativa a cui non si accompagnasse un rapporto di lavoro subordinato. Dispone infatti l'art. 4 della legge 142/2001 che "Ai fini della contribuzione previdenziale ad assicurativa, si fa riferimento alle normative vigenti previste per le diverse tipologie di rapporto di lavoro adottabili dal regolamento delle società cooperative nei limiti di quanto previsto dall'art. 6". 7. Poiché fino al gennaio 1996 sono rimasti privi di tutela assicurativa di sorta i lavoratori autonomi (non iscritti alle gestioni autonome Inps per artigiani, commercianti e coltivatori diretti), ne conseguirebbe che il lavoro associato in cooperativa, esplicato in forma di collaborazione autonoma, al di fuori della subordinazione, non riceverebbe tutela. La legge 142/2001 interviene infatti in epoca in cui la generalità dei consociati gode di tutela previdenziale, e per ciascuno vale quella che è prevista per il tipo dell'attività lavorativa espletata, in 4

5 un quadro di "universalizzazione" delle tutele, che prima non esisteva. E' noto infatti che la tutela previdenziale fu introdotta, in principio, solo per i lavoratori dipendenti, mentre solo con leggi successive questa fu estesa agli artigiani, ai commercianti, ai coltivatori diretti. La tutela del lavoro autonomo inteso come lavoro parasubordinato, di prestazione coordinata e continuativa art. 409 c.p.c. sorse solo con la legge 8 agosto 1995 n La disposizione cardine in tal senso si trova all'art. 2 commi 25 e 26. Con il comma 25 è stato delegato il Governo ad emanare norme volte ad assicurare la tutela previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, il cui esercizio è subordinato all'iscrizione in appositi albi o elenchi. Si trattava, in questo caso, di regolamentare quei liberi professionisti per i quali esisteva un ente deputato alla tenuta degli albi, ma che non avevano, a differenza di altre categorie, una apposita cassa di previdenza e che erano quindi privi di tutela previdenziale. Il successivo comma 26 del medesimo art. 2 della legge 335/95, prevede invece la costituzione presso l'inps di una cd. gestione separata (ovvero quarta gestione) in cui devono essere iscritti quei lavoratori autonomi che svolgono attività professionale per la quale non è prevista l'iscrizione in albi o in elenchi, e che quindi non hanno alcun ente deputato alla relativa tenuta che possa decidere sulla forma di gestione della tutela previdenziale. Il medesimo comma 26, ai fini della individuazione dei soggetti tenuti all'iscrizione a detta gestione separata, traccia una fondamentale bipartizione: a) i "lavoratori parasubordinati" in senso proprio, e cioè coloro che percepiscono redditi da collaborazione continuativa e coordinata (ultima parte del citato comma 26); b) i "lavoratori autonomi" in senso stretto e cioè coloro che, ai sensi dell'art. 53 dello stesso t.u.i.r., godono di redditi derivanti da attività di lavoro autonomo, svolta come professione abituale, ancorché non esclusiva, si tratta cioè di quelli che la vulgata definisce come il popolo delle partite Iva. I soci di cooperativa lavoratori autonomi potrebbero dunque essere assicurati nelle forme previste dal citato comma 26, ma ciò solo a partire dalla data di entrata in vigore della legge sulla gestione separata. 9. Conclusivamente, si deve confermare l'indirizzo giurisprudenziale precedente sulla equiparazione tra soci di cooperativa e lavoratori subordinati, ciò al fine di evitare la assenza di tutela previdenziale in capo ai soci di cooperativa che non fossero anche lavoratori dipendenti, giacché per costoro detta tutela è stata prevista, solo dall'entrata in vigore della citata legge 335/95 sulla assicurazione dei lavoratori autonomi. 10. Anche le altre censure non meritano accoglimento: non la contradditorietà di motivazione di cui al secondo motivo, giacché, trattandosi di interpretazione di 5

6 legge, questo vizio è, in ogni caso, irrilevante. Non si comprende poi la invocata equiparazione dei soci ai lavoratori socialmente utili, per avere lavorato attraverso convenzioni stipulate con gli enti locali; la censura è in primo luogo generica, non precisandosi né i nomi dei soci, né i periodi interessati. In ogni caso non è stata citata, né è ravvisabile nell'ordinamento una disposizione siffatta ed ovviamente non è vincolante in giudizio la citata direttiva dell'inps. Parimenti infondato è l'addebito mosso alla sentenza impugnata per non avere escluso il diritto alla restituzione delle somme versate a titolo di condono. Infatti in sede di condono, ancorché non sia precisato in ricorso di quale legislazione si trattasse, si beneficia della diminuzione delle sanzioni, ma non vi è esonero dal pagamento dei contributi se, all'esito del giudizio di accertamento, questi risultino dovuti, com'è nella specie. Il ricorso va quindi rigettato. La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese della discussione orale dell'inps, liquidate come da dispositivo. OMISSIS (1) V. in q. Riv., 2005, p. 637 (1) Idem, 2002, p. 893 (1) Idem, 2003, p

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