Rassegna Recenti Prog Med 2015; 106: Approccio al trattamento di prima linea del carcinoma renale a cellule chiare metastatico

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1 37 Rassegna Recenti Prog Med 215; 16: Approccio al trattamento di prima linea del carcinoma renale a cellule chiare metastatico Palma Giglione 1, Fiorella Lombardo 1, Ilaria Toscani 1, Chiara Paglino 1,2, Camillo Porta 1,2 Riassunto. Il trattamento medico del carcinoma renale è stato rivoluzionato, nel corso degli ultimi anni, grazie alla traslazione delle nostre sempre più accurate conoscenze sulla patogenesi molecolare di questa neoplasia, e del suo istotipo a cellule chiare in particolare, in un accelerato sviluppo farmacologico e quindi nella pratica clinica. In questa rassegna, partendo dalla patogenesi del carcinoma renale a cellule chiare, ripercorreremo i risultati degli studi clinici che hanno portato alla registrazione di ben sette farmaci a bersaglio molecolare per questa patologia una volta orfana di trattamenti attivi, tenendo in considerazione i diversi gruppi prognostici nei quali possono essere suddivisi i pazienti affetti da essa. Affronteremo poi lo spinoso problema relativo al momento migliore per iniziare un trattamento sistemico, argomento di grande attualità e non scevro di controversie. Tutte le principali linee-guida internazionali concordano sulle opzioni terapeutiche standard relative alla prima linea di terapia, opzioni rappresentate da sunitinib, bevacizumab (associato all interferone α) e pazopanib per i pazienti a prognosi buona o intermedia, e dal temsirolimus per i pazienti a cattiva prognosi. Tutte queste opzioni di trattamento si sono dimostrate in grado di prolungare la sopravvivenza libera da progressione all interno di studi randomizzati di fase III. Il ricorso a un periodo di osservazione, prima di iniziare un trattamento sistemico, appare ragionevole, per lo meno nelle neoplasie maggiormente indolenti e a migliore prognosi, anche se l argomento è ancora dibattuto. Infine, l individualizzazione della terapia e un corretto svolgimento della stessa sono essenziali per il successo del trattamento. Parole chiave. Carcinoma renale, cellule chiare, farmaci a bersaglio molecolare, gruppi prognostici, strategia terapeutica. Current approaches to the first-line treatment of clear-cell renal cell carcinoma. Summary. The medical treatment of renal cell carcinoma has been revolutionized in recent years, thanks to translation of our increasingly accurate knowledge on the molecular pathogenesis of this tumor, and of its clear cell histology in particular, into an accelerated drug development, and then into everyday s clinical practice. In this review, starting with the pathogenesis of clear cell renal cell carcinoma, we shall address the results of the clinical trials that led to the registration of seven targeted agents for this disease once orphan of active treatments, taking into account the different prognostic groups in which the patients suffering from it can be divided. Finally, we shall discuss the complex and controversial issue of the ideal timing to start a systemic treatment, a critical and still highly debated topic. All major international guidelines agree on the standard first line therapeutic options, which are represented by sunitinib, bevacizumab (associated with interferon-α) and pazopanib for patients with good or intermediate risk features, and temsirolimus for poor-risk patients. All these agents proved able to prolong progression-free survival within randomized phase III trials. The use of an observation period, before starting a systemic treatment, seems also reasonable, at least in the more indolent tumors and in patients with a better prognosis, even if the topic is still controversial. Finally, the individualization of therapy and the proper conduct of the same is essential for a successful outcome of the treatment. Key words. Clear cell, prognostic groups, renal cell carcinoma, targeted agents, treatment strategy. Introduzione Il trattamento medico del carcinoma renale (renal cell carcinoma - RCC) avanzato è radicalmente cambiato nel corso degli ultimi dieci anni grazie all avvento dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare, che hanno completamente modificato la prognosi dei pazienti affetti da questa neoplasia, aumentandone in modo significativo l aspettativa di vita. L attuale disponibilità di numerosi farmaci attivi nei confronti di questa neoplasia ha inoltre fatto sì che per la maggioranza di questi pazienti siano oggi disponibili diverse linee di terapia sistemica, il cui sequenziamento ha consentito, nella media, di triplicare la sopravvivenza attesa rispetto all era dell immunoterapia con citochine. Di seguito riassumeremo l evidenza a supporto delle diverse opzioni di trattamento disponibili per la prima linea, toccando brevemente alcuni altri punti critici, quali, per esempio, la patogenesi molecolare del RCC e il timing dell inizio del trattamento. Patogenesi molecolare del carcinoma renale e implicazioni terapeutiche Il trattamento medico del RCC è radicalmente cambiato nel corso degli ultimi anni, allorché 1 SC di Oncologia Medica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia; 2 Gruppo Italiano di Oncologia Nefrologica (GION). Pervenuto su invito il 19 marzo 215.

2 P. Giglione et al.: Approccio al trattamento di prima linea del carcinoma renale a cellule chiare metastatico 371 Complesso multiproteico Distruzione del complesso VHL Dominio-α mutante Proteina VHL Dominio-β Accumulo di HIF1-α e HIF2-α Aumentato efflusso/influsso di glucosio HIF HIF HIF Glut-1 CXCR4 VEGF PDGF TGF-α Figura 1. Schematizzazione della patogenesi molecolare del ccrcc. Modificata da Bernards 1 e Lineham 2. Metastatizzazione organo-specifica Angiogenesi Stabilizzazione endoteliale Stimolazione autocrina della crescita Legenda: VHL= gene oncosoppressore di von Hippel- Lindau; CXCR4 = C-X-C chemokine receptor type 4; VEGF = vascular endothelial growth factor; PDGF = platelet-derived growth factor; TGF-α = transforming growth factor alpha. lo sviluppo di nuove terapie mirate, sempre più efficaci, ha portato a un sostanziale ampliamento delle opzioni terapeutiche disponibili per questa neoplasia, tipicamente chemioresistente. Il tutto, grazie a una sempre più approfondita comprensione della patogenesi molecolare del RCC a cellule chiare (ccrcc), la sua variante istologica di gran lunga più frequente (figura 1) 1,2. Nel ccrcc, infatti, l inattivazione del gene oncosoppressore di von Hippel-Lindau (VHL) innesca una serie di eventi molecolari a cascata, che in ultima analisi contribuiscono a determinare quell esasperata neoangiogenesi che è la caratteristica principale del ccrcc 3. Normalmente, VHL codifica per una proteina, componente di una ligasi per l hypoxia-inducibile factor (HIF). In condizioni di normale pressione parziale di ossigeno, l azione della ligasi inattiva HIF; in condizioni di ipossia, invece, ovvero in presenza di una inattivazione di VHL, HIF up-regola la trascrizione dei cosiddetti geni inducibili dall ipossia, con conseguente iperproduzione di una serie di fattori di crescita, tra i quali soprattutto il fattore di crescita dell endotelio vascolare (vascular endothelial growth factor - VEGF) 4. Il VEGF rappresenta la chiave di tutto questo complesso processo; esso, infatti, esercita i propri effetti biologici principalmente sulle cellule endoteliali vascolari; una volta legatosi ai propri recettori, e in particolare al VEGFR-2, VEGF induce la crescita, la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali, promuove la sopravvivenza delle cellule endoteliali immature attraverso l inibizione della loro apoptosi e aumenta la permeabilità vascolare 5,6. L aver riconosciuto l angiogenesi come elemento primario nell eziopatogenesi del ccrcc ha portato, in tempi più recenti, allo sviluppo di almeno cinque farmaci a diretta attività antiangiogenica (bevacizumab, sorafenib, sunitinib, pazopanib e axitinib) e altri due a indiretta (o complementare) attività antiangiogenica (temsirolimus ed everolimus), farmaci che nell insieme hanno straordinariamente migliorato la prognosi dei nostri pazienti affetti da ccrcc. Stratificazione prognostica dei pazienti Una prima stratificazione dei pazienti affetti da RCC avanzato non può che suddividere i pazienti, a seconda dell istologia, in due gruppi: pazienti affetti da ccrcc (o con prevalenza di cellule chiare) e pazienti affetti da carcinomi non a cellule chiare (nccrcc). Per quanto quest ultimo gruppo sia estremamente disomogeneo, la nostra attuale incapacità di sviluppare farmaci specificatamente diretti contro i meccanismi molecolari sottesi a ciascun istotipo non a cellule chiare rende al momento inutile, da un punto di vista terapeutico, una più precisa sottoclassificazione degli istotipi non a cellule chiare.

3 372 Recenti Progressi in Medicina, 16 (8), agosto 215 Un secondo momento chiave è rappresentato dalla stratificazione dei pazienti a seconda delle loro caratteristiche prognostiche. Per quanto sia stato recentemente aggiornato per meglio rispecchiare la realtà dei pazienti trattati con i nuovi farmaci a bersaglio molecolare 7,8, il sistema prognostico utilizzato pressoché in tutti gli studi clinici condotti finora è quello elaborato da Robert Motzer presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center (classificazione MSKCC) e a questo sistema faremo riferimento 9. Timing dell inizio di un trattamento sistemico Il RCC metastatico è una malattia molto eterogenea ed è osservazione comune come alcune di queste neoplasie possano presentare un comportamento molto indolente. Per tale motivo, alcune recenti linee-guida suggeriscono l opportunità di ricorrere a un periodo di osservazione prima di iniziare un qualsivoglia trattamento sistemico, in particolare nei pazienti con massa tumorale limitata e asintomatici o paucisintomatici 1. I rischi legati a un ritardo nell inizio di un trattamento attivo non sono mai stati pienamente affrontati in studi prospettici disegnati ad hoc. Tuttavia, i dati provenienti dagli studi randomizzati di fase 3 confrontanti il sorafenib o l everolimus con il placebo 11,12 hanno dimostrato chiaramente come la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival - PFS) sia simile indipendentemente dal fatto che il farmaco attivo sia dato immediatamente, o dopo un breve periodo di terapia con placebo (che, a questo punto, può essere considerato come un periodo di osservazione), e come la sopravvivenza complessiva (overall survival - OS) risulti simile in entrambi i gruppi; ovviamente, queste osservazioni suggeriscono come ritardare la terapia, almeno per pochi mesi, non rappresenti una scelta dannosa per i pazienti. Inoltre, alcuni studi retrospettivi confermerebbero l ipotesi che l osservazione sia una strategia sensata, per lo meno in pazienti selezionati. La più grande esperienza in tal senso viene dal gruppo del Royal Marsden di Londra 13, che ha riportato i risultati relativi all osservazione di 62 pazienti; la maggior parte di essi presentavano un istologia a cellule chiare (82,5%) e appartenevano al gruppo prognostico a buona prognosi (62,5%) o a prognosi intermedia (35,9%). Il periodo medio di osservazione è risultato pari a 18,7 mesi, con una PFS e una OS simili a quelle ottenuta in pazienti immediatamente trattati con una terapia sistemica comprendente interferone o sunitinib. Recentemente, i ricercatori della Cleveland Clinic hanno riportato i risultati di uno studio osservazionale condotto su 52 pazienti affetti da RCC metastatico osservati nel tempo 14. Il tempo mediano dall inizio dell osservazione all avvio di una terapia sistemica è stato di 14,1 mesi (95% CI 1,6-19,3), con una percentuale di pazienti sottoposti a sorveglianza a 12 mesi e 24 mesi pari al 58% e 33%, rispettivamente. L incremento mediano della massa tumorale nel corso dello studio è risultato pari a,8 centimetri (-6,5cm), con una variazione relativa pari a +34% (-311%) e un tasso di crescita medio pari a,14 centimetri al mese (-1,75); 31 pazienti hanno terminato il periodo di osservazione (il 61% causa progressione) e 25 pazienti hanno ricevuto una terapia sistemica. Sulla base di tutti questi dati, il ricorso a un periodo di osservazione, prima di iniziare un trattamento sistemico, appare ragionevole e addirittura consigliabile, soprattutto in pazienti asintomatici e con un carico relativamente ridotto di malattia, dando ovviamente per scontata un accurata presentazione e discussione dei pro e dei contro di tale approccio, e una indispensabile condivisione della scelta risultante. Carcinoma renale a cellule chiare in classe prognostica favorevole o intermedia Per quanto la prognosi dei pazienti a buona prognosi sia significativamente differente da quella dei pazienti a rischio intermedio (la popolazione di più frequente riscontro nella pratica clinica quotidiana), le raccomandazioni terapeutiche relative a un trattamento di prima linea al momento non differiscono tra questi due gruppi prognostici. Praticamente tutte le principali linee-guida internazionali concordano sulle opzioni terapeutiche standard relative alla prima linea di terapia: sunitinib, bevacizumab (associato all interferone α) e pazopanib rappresentano, infatti, le opzioni tra le quali scegliere una prima linea di terapia nella pratica clinica quotidiana. Tutte e tre queste opzioni di trattamento si sono infatti dimostrate in grado di prolungare la PFS all interno di studi randomizzati di fase III, rispetto a un controllo rappresentato o dall interferone α o dal placebo (figura 2) 15. Sunitinib maleato Il sunitinib è un inibitore multichinasico selettivamente diretto contro tutti e tre i recettori del VEGF (VEGFR-1, 2 e 3), contro il platelet-derived growth factor-α e β, oltre che contro altre chinasi meno rilevanti dal punto di vista terapeutico; dai risultati di diversi studi di fase I, è emersa la dose da utilizzarsi nelle successive fasi di sviluppo, ovvero 5 mg/die, somministrati per 4 settimane ogni Il successivo sviluppo del sunitinib nel trattamento del carcinoma renale è proseguito con l esecuzione di due studi di fase II condotti in pazienti refrattari alle citochine 17,18 ; in questi studi, il sunitinib si è dimostrato in grado di indurre tassi di risposte obiettive molto elevati (4% e 39%, rispettivamente), unitamente a un interessante tempo alla progressione (time to progression - TTP) (8,7 mesi) e a una OS estremamente incoraggiante

4 P. Giglione et al.: Approccio al trattamento di prima linea del carcinoma renale a cellule chiare metastatico 373 RCC avanzato o metastatico Istologia a cellule chiare Istologia non a cellule chiare Prognosi buona o intermedia (criteri MSKCC*) OPZIONI TERAPEUTICHE STANDARD 1. Sunitinib 2. Pazopanib 3. Bevacizumab + INF Cattiva prognosi (criteri MSKCC*) OPZIONI TERAPEUTICHE STANDARD 1. Temsirolimus 2. Sola terapia di supporto Considerare di ritardare l inizio del trattamento in pz con basso carico di malattia (prevalentemente polmonare) Figura 2. Algoritmo di trattamento per il carcinoma renale metastatico. I fattori di rischio associati a una peggiore prognosi secondo la classificazione MSKCC erano: bassi valori di emoglobina, elevati valori di calcemia corretta, elevati valori di LDH, cattivo performance status e intervallo tra la diagnosi e l inizio del trattamento inferiore all anno. Modificata da Motzer 15. (16,4 mesi). Un analisi combinata di entrambi gli studi ha rappresentato non solo la base razionale per la successiva conduzione di uno studio registrativo, ma ha anche portato alla registrazione del sunitinib da parte della Food and Drug Administration statunitense. Nello studio registrativo del sunitinib 19,2, 75 pazienti mai trattati in precedenza sono stati randomizzati a ricevere o il sunitinib o l interferone α. L obiettivo principale dello studio era rappresentato dalla PFS, con la OS compresa tra gli end-point secondari. La PFS media nel gruppo di pazienti trattati con sunitinib è risultata significativamente più lunga rispetto a quella dei pazienti trattati con interferone α (11 vs 5 mesi) (figura 3a) 19, corrispondente a una riduzione del rischio di progressione del 58% (HR:,42; 95% CI:,32-,54; P<,1), vantaggio mantenuto in tutti e tre i gruppi prognostici considerati. Come previsto sulla base dei risultati dei due studi di fase II, il sunitinib si è dimostrato inoltre in grado di indurre risposte obiettive in un elevata percentuale di pazienti (31%). Dal punto di vista del profilo di tollerabilità, i pazienti trattati con sunitinib hanno presentato (rispetto ai pazienti trattati con interferone α) una maggiore incidenza di diarrea di grado 3 (5% vs %), vomito (4% vs 1%), ipertensione (8% vs 1%) e sindrome mano-piede (5% vs %; P<,5 per tutti i confronti citati). Analogamente, tossicità ematologiche di grado 3 o 4 sono state osservate più frequentemente nei pazienti trattati con sunitinib 19,2. Complessivamente, il 38% dei pazienti trattati con sunitinib e il 32% di quelli trattati con interferone α hanno dovuto sospendere il trattamento a causa di eventi avversi, mentre il 32% e il 31% rispettivamente hanno necessitato di una riduzione di dose. Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, essa è risultata superiore (ancorché non statisticamente significativa) nei pazienti trattati con sunitinib: 26,4 mesi rispetto a 21,8 mesi per quelli trattati con interferone α (HR:,821; 95% CI:,673-1,1) 2. Allorché dall analisi statistica sono stati esclusi i pazienti che, originariamente randomizzati a ricevere l interferone α, hanno effettuato il cross-over al sunitinib al momento della progressione di malattia, tale differenza diveniva statisticamente significativa. Il successivo utilizzo del sunitinib in una vasta popolazione di pazienti non selezionati, all interno di un expanded access program 21, ha permesso di confermare l attività di questo farmaco in sottopopolazioni di pazienti usualmente escluse dagli studi clinici quali i pazienti anziani, quelli affetti da metastasi cerebrali, quelli con istotipo tumorale non a cellule chiare, ecc. Bevacizumab e interferone α L anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato diretto contro il VEGF, bevacizumab, è in grado di legare selettivamente e neutralizzare tutte le isoforme attive del VEGF (note anche come VEGF-A), ma non gli altri membri della famiglia del VEGF 22. L attività del bevacizumab contro il carcinoma renale è stata inizialmente valutata all interno di uno studio randomizzato di fase II 23, nel quale 116 pazienti refrattari a un precedente trattamento sono stati randomizzati a ricevere il placebo, oppure il bevacizumab a basso dosaggio (3

5 374 Recenti Progressi in Medicina, 16 (8), agosto 215 mg/kg), o ancora il bevacizumab ad alto dosaggio (1 mg/kg), ogni 2 settimane, per via endovenosa. La TTP osservata nel gruppo trattato con 1 mg/kg di bevacizumab (4,8 mesi) è risultata significativamente più lunga che nel gruppo trattato con placebo (2,5 mesi, P<,1), mentre la differenza osservata tra il gruppo trattato con il basso dosaggio e il gruppo trattato con placebo risultava borderline (P=,41). Il successivo sviluppo del bevacizumab nel carcinoma renale è proseguito con la combinazione con l interferone α; tale combinazione è stata valutata da due studi randomizzati di fase III, molto simili (ma non eguali) tra loro: lo studio AVOREN e lo studio CALGB 926. Lo studio AVOREN 24, in particolare, ha portato l associazione di bevacizumab e interferone α a ottenere l indicazione nel trattamento di prima linea del RCC. In questo studio, pazienti affetti da RCC a cellule chiare, oppure da una forma mista con almeno il 5% di cellule chiare (tutti precedentemente nefrectomizzati), sono stati randomizzati a ricevere una combinazione di interferone α (somministrato alla dose di 9 MU 3 volte a settimana, con possibile riduzione della dose a 6 o 3 MU in caso di tossicità) e bevacizumab (1 mg/kg e.v. ogni 2 settimane) oppure interferone α e placebo. Obiettivo primario dello studio era la OS, mentre obiettivi secondari erano la PFS, il tasso di risposte obiettive e il profilo di tollerabilità. Fin dalla prima analisi dei risultati ottenuti si è chiaramente evidenziato un vantaggio statisticamente significativo in termini di PFS a favore del braccio comprendente bevacizumab e interferone α (mediana: 1,2 vs 5,4 mesi; HR:,63; P=,1) (figura 3b), vantaggio equivalente a una riduzione del rischio di progressione o di morte del 37% 24 ; tale vantaggio è tuttavia risultato evidente solo nei pazienti a prognosi favorevole e intermedia, ma non in quelli a prognosi sfavorevole. Dal punto di vista dell attività antitumorale, il tasso di risposte obiettive osservato nel braccio sperimentale è risultato pari al 31%, di contro al 13% ottenuto dall interferone α associato al placebo. Pur essendosi riscontrato un 25% in più di eventi avversi di grado 3-4, il trattamento sperimentale si è dimostrato molto ben tollerato, avendo causato proteinuria di grado 3-4 nel 6,5% dei pazienti, nonché un modesto aumento, peraltro non significativo, di incidenza di emorragie, ipertensione, eventi tromboembolici e perforazioni gastrointestinali (tutti eventi avversi attribuibili al bevacizumab), rispetto alla combinazione di interferone α e placebo 24. Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, end-point primario dello studio, l analisi finale non ha sorprendentemente evidenziato una differenza statisticamente significativa tra i due bracci di trattamento (OS mediana: 23,3 vs 21,3 mesi; P=NS) 25. Per quanto riguarda lo studio del gruppo cooperativo americano CALGB 26, esso presentava un disegno statistico quasi identico a quello dello studio AVOREN, se non per il fatto di non prevedere il placebo nel braccio di controllo. Analogamente a quanto osservato nello studio AVOREN, il braccio sperimentale (bevacizumab e interferone α) dello studio CALGB ha mostrato una superiore PFS rispetto al braccio di controllo (mediana: 8,4 vs 4,9 mesi; HR:,71; P<,1), un tasso di risposte obiettive quasi doppio rispetto a quanto osservato nei pazienti trattati con solo interferone α, di contro a una peraltro attesa maggiore percentuale di eventi avversi di grado severo 26. Per quanto riguarda la OS, anche lo studio americano non ha raggiunto la significatività statistica (18,3 mesi per il braccio bevacizumab e interferone α vs 17,4 per il braccio trattato con il solo interferone α, P=NS) 27. In realtà, la negatività in termini di OS dei due studi AVOREN e CALGB 926 è spiegabile sulla base di alcune importanti considerazioni. Particolarmente rilevante appare il ruolo confondente giocato dai successivi trattamenti attivi ricevuti dai pazienti, trattamenti che hanno assai verosimilmente condizionato i risultati finali in termini di OS. Basti pensare che, nello studio AVOREN, il 55% dei pazienti trattati con bevacizumab + interferone α, e addirittura il 63% di quelli trattati con interferone α più placebo, hanno successivamente ricevuto una o più ulteriori linee di trattamento attive 28. Pazopanib Il pazopanib è un altro inibitore multichinasico orale in grado di inibire l attivazione di svariati recettori ad attività tirosin-chinasica implicati nei meccanismi di angiogenesi (VEGFR-1, 2 e 3, PDGFR-α e β, ecc.) 29. La dose consigliata derivante da uno studio di fase I è risultata pari a 8 mg/die 3. La prima dimostrazione di attività del pazopanib nel carcinoma renale si è avuta da un randomized discontinuation trial (RDT), risultante in una PFS complessiva di 52 settimane (95% CI: 44-6), un tasso di risposte obiettive del 34,7% e un disease control rate (DCR) del 79,5% 31. Sulla base dei risultati del RDT è stato disegnato uno studio registrativo di fase III 32, in cui 435 pazienti con carcinoma renale localmente avanzato o metastatico sono stati randomizzati (2:1), in doppio cieco, a ricevere o il pazopanib o il placebo. I pazienti potevano essere treatment-naïve o pretrattati con una precedente linea di immunoterapia; l end-point primario dello studio era la PFS. Un significativo vantaggio in termini di PFS è stato osservato sia nei pazienti treatment-naïve, sia in quelli pre-trattati con citochine, con una PFS mediana, a favore del pazopanib, rispettivamente di 11,1 mesi (vs 2,8 mesi per i pazienti trattati con placebo HR:,4; 95% CI:,27-,7) e di 7,4 mesi (vs 4,2 HR:,54; 95% CI:,5-,84) 32 ; le curve di PFS relative alla popolazione globale arruolata nello studio sono riportate in figura 3c. Rispo-

6 P. Giglione et al.: Approccio al trattamento di prima linea del carcinoma renale a cellule chiare metastatico 375 A PFS di sunitinib vs interferone α 16 Sopravvivenza libera da progressione 1,,9,8,7,6,5,4,3,2,1 HR,,42; 95% CI,,32-,54; P<,1, Mesi N. pazienti a rischio Sunitinib Interferone α Sunitinib Interferone α B Probabilità di sopravvivenza libera da progressione N. pazienti a rischio Placebo + interferone α Bevacizumab + interferone α 1,,9,8,7,6,5,4,3,2,1, ,4 PFS di bevacizumab + interferone α vs interferone α + placebo Tempo (mesi) Placebo + interferone α Bevacizumab + interferone α C PFS di pazopanib vs placebo 29 1, Mediana PFS (mesi) Pazopanib 9,2,9,8,7,6,5,4,3,2,1 Placebo 4,2 HR,,46; 95% CI,,34-,62; P<,1, 5 1 Tempo (mesi) N. pazienti a rischio Proporzione libera da progressione Pazopanib Placebo Pazopanib Placebo 2 6 Figura 3 a-c. Studi registrativi di sunitinib, bevacizumab + interferone α e pazopanib: risultati in termini di PFS (primary end-point per tutti e tre gli studi).

7 376 Recenti Progressi in Medicina, 16 (8), agosto 215 PFS di sunitinib e pazopanib nello studio COMPARZ 31 Probabilità di sopravvivenza libera da progressione N. pazienti a rischio Pazopanib Sunitinib 1,,9,8,7,6,5,4,3,2,1 HR,,42; 95% CI,,32-,54; P<,1, Mesi dalla randomizzazione Pazopanib Sunitinib Figura 4. Studio COMPARZ di non inferiorità tra pazopanib e sunitinib: risultati in termini di PFS. ste obiettive sono state poi osservate nel 3% dei pazienti trattati con pazopanib (vs 3% nel gruppo placebo). Per quanto riguarda la OS, la differenza tra pazopanib e placebo evidenziata all analisi finale è risultata non statisticamente significativa: 22,9 vs 2,5 mesi, rispettivamente (HR:,91; 95% CI:,71-1,16; P=,224), a causa del precoce e frequentissimo ricorso al cross-over 33. Dal punto di vista del profilo di tollerabilità, i più comuni eventi avversi imputabili al pazopanib, comunque per lo più di grado 1 e 2, comprendevano la diarrea (4%), l ipertensione (4%) e l astenia (3%), mentre tra le alterazioni di laboratorio più frequenti va in particolare segnalata l elevazione delle transaminasi, evento osservato in più del 5% dei pazienti; in particolare, l elevazione dell ALT si è dimostrata il più comune evento avverso di grado 3 o 4 (12%) 32,33. Gli studi COMPARZ e PISCES Più recentemente, due studi randomizzati hanno messo tra loro a confronto due di queste tre opzioni di trattamento di prima linea, in particolare quelle più comunemente utilizzate: sunitinib e pazopanib. Un primo studio randomizzato di fase III, lo studio COMPARZ 34, si è posto l obiettivo di verificare la non inferiorità (in termini di efficacia) del pazopanib rispetto al sunitinib, mentre lo studio PISCES 35 aveva come obiettivo quello di valutare la preferenza dei pazienti per l uno (pazopanib) o per l altro (sunitinib), sulla base della loro esperienza personale di trattamento. Lo studio COMPARZ ha dimostrato la non inferiorità di pazopanib rispetto a sunitinib in termini di PFS (HR: 1,5; 95% CI:,9-1,22) (figura 4); analogamente, anche l OS è risultata simile tra i due bracci di trattamento 34. Sia dallo studio COMPARZ, sia da quello PI- SCES 34,35, è poi chiaramente emerso un diverso profilo di tollerabilità dei due farmaci, tale tuttavia da indurre la maggioranza dei pazienti (7%) a preferire il pazopanib rispetto al sunitinib all interno dello studio PISCES 35. Per quanto questi due studi siano stati oggetto di svariate critiche metodologiche, la sostanziale equiefficacia dei due trattamenti appare attualmente indubbia, così come consolidato è oramai il concetto che i due farmaci siano dotati di un profilo di tossicità completamente diverso. Conseguentemente, tutte le principali lineeguida concordano nell assegnare lo stesso livello di evidenza e grado di raccomandazione alle tre opzioni terapeutiche sopra citate. Carcinoma renale a cellule chiare in classe prognostica sfavorevole I pazienti affetti da carcinoma renale metastatico a prognosi sfavorevole rappresentano una popolazione di pazienti dall aspettativa di vita purtroppo molto breve. Per questi pazienti, le linee-guida suggeriscono l utilizzo del temsirolimus o, in alternativa, del sunitinib, sulla base dei risultati di un analisi di sottogruppo dello studio registrativo relativa ai pazienti a cattiva prognosi. È altresì ovvio che per molti pazienti a cattiva prognosi l unica scelta corretta è spesso quella della sola terapia di supporto.

8 P. Giglione et al.: Approccio al trattamento di prima linea del carcinoma renale a cellule chiare metastatico 377 Probabilità di sopravvivenza 1,,75,5,25 OS di temsirolimus vs interferone α vs temsirolimus + interferone α 37 Interferone Temsirolimus Combinazione N. pazienti a rischio Interferone Temsirolimus Combinazione, Mesi Figura 5. Studio registrativo del temsirolimus nei pazienti a cattiva prognosi: risultati in termini di OS (primary endpoint dello studio). Temsirolimus Il temsirolimus, un derivato solubile in acqua del sirolimus, è un inibitore estremamente selettivo di mtor 36, un essenziale sensore fisiologico del contenuto energetico e dello stato metabolico della cellula. L inibizione di mtor da parte del temsirolimus porta anche a una soppressione di svariate altre proteine implicate nei processi di angiogenesi, quali HIF e il VEGF 37. L ottimo profilo di tollerabilità del temsirolimus, caratterizzato da tossicità di grado per lo più lieve, è emerso chiaramente fin da uno studio di fase I, studio in cui, già a dosi basse, sono state anche evidenziate alcune risposte obiettive. In un successivo studio randomizzato di fase II 38, 111 pazienti affetti da carcinoma renale avanzato, pesantemente pre-trattati, sono stati randomizzati a ricevere 25, 75 o 25 mg di temsirolimus, come infusione endovenosa settimanale. In questa popolazione di pazienti con malattia estesa e pesantemente pre-trattati, la percentuale di risposte obiettive ottenute (indipendentemente dal livello di dose) è risultata pari al 7%, con una TTP e una OS (sempre in tutti i pazienti arruolati) pari, rispettivamente, a 5,8 e 15 mesi. Nonostante ciò, non si sono osservate differenze significative di attività tra le diverse dosi di temsirolimus; la sopravvivenza nei tre gruppi di rischio secondo la classificazione MSKCC è risultata pari a 23,8, 22,5 e 8,2 mesi, rispettivamente. Allorché confrontati con controlli storici, i pazienti a prognosi intermedia e cattiva sono risultati quelli che maggiormente hanno beneficiato del trattamento. In un secondo studio di fase I-II, è stata valutata l attività di una combinazione di temsirolimus e interferone α 39 ; le dosi raccomandate dei due farmaci derivanti da questo studio sono risultate pari a 15 mg per il temsirolimus e 6 MU per l interferone α. Del 39% dei pazienti che hanno ricevuto le dosi raccomandate dei due farmaci, l 8% ha ottenuto una risposta parziale e il 36% una stabilizzazione di malattia, con una PFS complessiva osservata per tutti i pazienti risultata pari a 9,1 mesi. Proprio sulla base di tutte queste osservazioni, è stato disegnato uno studio randomizzato di fase III 4, avente finalità registrative, con l obiettivo di investigare l efficacia del temsirolimus come monoterapia (25 mg settimanali), rispetto all associazione di temsirolimus e interferone α (15 mg settimanali e fino a 6 MU partendo da 3 di interferone), o al solo interferone α (fino a 18 MU se tollerati 3 volte la settimana) in pazienti a cattiva prognosi. L end-point primario dello studio era rappresentato dall OS. In seguito a difficoltà nell arruolamento, gli originali criteri MSKCC sono stati modificati aggiungendo ai tradizionali cinque un sesto criterio, rappresentato dalla presenza di metastasi in organi multipli. Tale modifica ha fatto sì che una rilevante percentuale dei pazienti arruolati nello studio fosse a prognosi intermedia. Un altra caratteristica rilevante di questo studio consisteva poi nel consentire l arruolamento anche di pazienti con nccrcc. Complessivamente, il trattamento con temsirolimus è risultato associato con una riduzione del rischio di morte del 27% (HR=,73; 95% CI:,76-1,2) (figura 5), una OS e un tasso di risposte obiettive pari, rispettivamente, a 7,3 mesi e 4,8% nel gruppo trattato con interferone α, 8,4 mesi e 8,6% nel gruppo trattato con la combinazione dei

9 378 Recenti Progressi in Medicina, 16 (8), agosto 215 due farmaci, e 1,9 mesi e 8,1% nel gruppo trattato solo con temsirolimus 4. Una successiva analisi di sottogruppo ha suggerito come del trattamento con temsirolimus abbiano beneficiato soprattutto i pazienti realmente a cattiva prognosi e quelli con istologia non a cellule chiare 41. I più comuni eventi avversi imputabili al trattamento con temsirolimus si sono rivelati il rash cutaneo, l astenia, la mucosite (soprattutto orale), gli edemi e l anoressia; tra le anomalie di laboratorio più frequenti vanno poi ricordate l anemia, l iperglicemia e l incremento di colesterolo e trigliceridi. Molto meno frequenti, ma potenzialmente seri, sono poi altri due eventi, comuni agli inibitori di mtor: le polmoniti non infettive e l aumentato rischio di sviluppare infezioni 4. Conclusioni Lo scenario relativo al trattamento di prima linea del carcinoma renale avanzato è radicalmente cambiato, in meglio, con l avvento dei farmaci a bersaglio molecolare, fino a configurare un abbondanza di trattamenti attivi addirittura imbarazzante 42. I risultati degli studi clinici condotti finora, le linee-guida internazionali e la pratica clinica quotidiana ci suggeriscono come non vi siano clamorose differenze, in termini di attività, tra le opzioni di trattamento disponibili. Differenze, a volte anche rilevanti, esistono invece, nel profilo di tollerabilità, nella frequenza e nella severità degli eventi avversi dei diversi farmaci. Ciò rende ragione della necessità, al momento di scegliere una prima linea di terapia per ciascun paziente, di valutare attentamente e confrontare tra loro le caratteristiche del paziente stesso con il profilo di tollerabilità di ciascun farmaco (senza dimenticare il fine ultimo del nostro trattamento che, di volta in volta, può anche essere diverso), cercando così di selezionare il miglior trattamento possibile per ciascun singolo paziente 43. Una volta iniziato un trattamento, poi, diventa essenziale portarlo avanti correttamente, in termini di dose e schedula, cercando di evitare il più possibile riduzioni di dose o interruzioni di trattamento non necessarie, in quanto potenzialmente in grado di inficiarne l attività antitumorale 44 ; ancora una volta, infatti, non conta tanto quale farmaco scegliere, quanto il modo in cui si conduce il trattamento e si gestiscono paziente ed eventi avversi. Take home messages Il trattamento medico del RCC avanzato è radicalmente cambiato nel corso degli ultimi dieci anni grazie all avvento dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare. Il ricorso a un periodo di osservazione, prima di iniziare un trattamento sistemico, appare ragionevole e in alcuni casi consigliabile, anche se l argomento è ancora controverso. Praticamente tutte le principali linee-guida concordano sulle opzioni terapeutiche standard relative alla prima linea di terapia per i pazienti a prognosi buona e intermedia: sunitinib, bevacizumab (associato all interferone α) e pazopanib rappresentano infatti le opzioni tra le quali scegliere una prima linea di terapia nella pratica clinica quotidiana. Tutte queste opzioni di trattamento si sono dimostrate in grado di prolungare la PFS all interno di studi randomizzati di fase III. Il temsirolimus ha dimostrato di impattare positivamente anche sull OS nei pazienti a cattiva prognosi e rappresenta l opzione terapeutica standard per questa categoria di pazienti. L individualizzazione della terapia e un corretto svolgimento della stessa, nel senso di mantenere dose e schedula corrette, sono essenziali per il successo del trattamento. Bibliografia 1. Bernards R. Cancer: cues for migration. Nature 23; 425: Lineham WM, Walther MM, Zbar B. The genetic basis of cancer of the kidney. J Urol 23; 17 (6 Pt 1): Kaelin WG Jr. The von Hippel-Lindau protein, HIF hydroxylation, and oxygen sensing. Biochem Biophys Res Commun 25; 338: Su D, Stamatakis L, Singer EA, Srinivasan R. Renal cell carcinoma: molecular biology and targeted therapy. Curr Opin Oncol 214; 26: Ferrara N, Gerber HP, LeCouter J. The biology of VEGF and its receptors. Nat Med 23; 9: Carmeliet P. VEGF as a key mediator of angiogenesis in cancer. Oncology 25; 69 (suppl 3): Heng DY, Xie W, Regan MM, et al. 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