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1 Tutto il materiale che consulti su è gratuito. Ti chiediamo solo di citare, nei tuoi lavori scientifici, il nome dell autore della tesi o dell articolo. Grazie!

2 Università di Pisa Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Filosofia Agire politico ed etica politica. Studio su Hannah Arendt Candidata: Giusy Cavalieri Relatore: Chiar.mo Prof. G. M. Barale

3 Indice Introduzione 2 1. Genesi del pensiero di Hannah Arendt: il totalitarismo come condizione spirituale dell umanità La crisi della tradizione europea 4 L interpretazione del fenomeno totalitario: movimento e processo 11 L esperienza desolante 16 La comprensibilità dell accaduto storico 19 Il totalitarismo come questione etica: la banalità del male Dal totalitarismo alla Vita Activa Il concetto di polis 31 La fondazione della libertà 38 Il concetto di storia Tra passato e futuro : l etica della pluralità Renè Char e Franz Kafka: la lacuna tra passato e futuro 56 L oblio dell autorità 69 Educare alla riscoperta del passato attraverso la tradizione 79 4.Azione ed Agire politico: attualità dell etica politica di Hannah Arendt La condizione umana: lettura fenomenologica dell uomo come essere plurale 83 La Vita Activa come rivalutazione della politica Conclusioni Appendice Bibliografia 140

4 Introduzione Questo lavoro di tesi nasce da una casuale lettura di Vita Activa che mi ha profondamente colpita per le argomentazioni trattate e che mi ha spinta ad una iniziale riflessione, per poi sfociare in una vera e propria ricerca che trova la sua espressione in questo lavoro. Nell analizzare la vastissima letteratura critica dedicata all opera di Hannah Arendt ci si imbatte in una interpretazione piuttosto standardizzata che fa dell autrice una pensatrice nostalgica e antimodernista, la quale cerca di riproporre uno standard politico a modello della polis greca, per far fronte alla decadenza cui si assiste da parte della sfera pubblica.viene anche posta nella categoria degli storici del totalitarismo, aspetto, quest ultimo, che viene messo in luce ultimamente, per la sua denuncia ai sistemi totalitari e al cambiamento che hanno portato nella nostra società. Attraverso le mie letture, mi sono sempre più convinta che il percorso del pensiero arendtiano, da questo punto di vista, dovesse essere riproposto sotto un aspetto diverso, rispetto ai soliti standard di lettura con cui ci si accosta. La prima parte di questo studio presenta la riflessione arendtiana sul totalitarismo non come un punto conclusivo della sua opera, ma come un punto di partenza per decodificare ciò che l agire politico e l etica politica in sé debbano rappresentare in una società complessa come quella in cui viviamo. Il totalitarismo, come punto di partenza, nel pensiero arendtiano, serve anche come termine di paragone di ciò che manca nell etica politica attuale: la scomparsa dell autenticità del termine politica. 2

5 Da qui la necessità di riaffermare, sempre esaminando i testi arendiani, quei capisaldi atti a rendere possibile un passaggio dal totalitarismo ad una vita activa, quindi ad una riqualificazione e riappropriazione dei significati di libertà e di storia, attraverso i quali è possibile osservare il nostro passato, per costruire il nostro futuro di uomini liberi che agiscono politicamente e come tale pensano. Infine, attraverso un analisi fenomenologica dell azione e dell agire, supportata dal testo arendtiano, ho cercato di definire i termini del discorso, riaffermando la necessità di riqualificare l etica politica e l agire politico, dando fiducia alle nostre azioni ed alle parole, prendendo spunto dal sentimento della spontaneità che anima tutti gli uomini. 3

6 Capitolo Primo Genesi del pensiero di Hannah Arendt: Il totalitarismo come condizione culturale e spirituale dell umanità 1- La crisi della tradizione europea L opera di Hannah Arendt si colloca all interno di quella categoria che ella stessa definisce teoria politica e che trova il suo αρχη, ovvero la sua origine, nell esperienza totalitaria. E necessario partire dall analisi del fenomeno totalitario, operata dalla Arendt, per comprendere non solo il suo pensiero, ma tutto l intero corpus di opere che si sviluppano a partire dalla stesura de Le Origini del Totalitarismo. Cosa intende la Arendt per totalitarismo? Nelle pagine de Le Origini del Totalitarismo si evidenzia la tesi secondo cui il totalitarismo sia una forma politica nuova e diversa rispetto alle forme autoritarie, precedentemente conosciute. Il totalitarismo non è solo un tragico avvenimento storico che ha cambiato e turbato le coscienze europee, in esso è necessario ricercare un significato che vada oltre la dimensione politica di ciò che rappresenta. Bisogna pensare il totalitarismo come condizione culturale dell umanità. E importante focalizzare l attenzione sul fatto che la Arendt rifiuti la concezione di storia intesa come categoria della catastrofe: il totalitarismo è un avvenimento che si colloca nella storia del XX secolo e, pertanto, nel contesto di ciò che attualmente chiamiamo modernità, deve essere considerato ed analizzato. Per quanto asserito precedentemente, il totalitarismo diviene l esito di una serie di eventi che in esso stesso erano contenuti, eventi che non sono fatti qualsiasi, ma fatti e contestualizzazioni che rappresentano il culmine della modernità stessa. 4

7 Analizzando la Prefazione alla prima edizione ( del 1951) de Le origini del totalitarismo, emerge una chiara indicazione, che la stessa autrice ci fornisce, su come interpretarne le affermazioni. Innanzi tutto, Hannah Arendt identifica il totalitarismo in termini metaforici come un edificio costruito utilizzando mattoni e pietre che in passato erano servite per erigere altre costruzioni che sono cadute in rovina. Quest immagine esprime egregiamente il significato che la Arendt vuole dare all esperienza totalitaria. A mio avviso, dona una forma ad un concetto che potrebbe apparire erroneamente astratto e quanto mai lontano nel tempo. Ritengo assurdo pensare, secondo quanto si evince dalle pagine arendtiane, il totalitarismo come qualcosa di astratto e lontano, poiché nessun regime politico è immune da una simile degenerazione. Il forte atto d accusa con cui Hannah Arendt prende posizione nella sua opera, non è altro che la manifestazione di una preoccupazione, dettata dalle sue esperienze personali e suscitata dalla tragedia dell ultimo conflitto mondiale. Si esprime chiaramente, a mio avviso, questo adoperarsi dell autrice per rendere chiara la pericolosità di ideologie che hanno cambiato il volto dell umanità. Cercare di tramandare la memoria dei fatti è lo sforzo che Hannah Arendt si assume, cercando di non presentarli come eventi puramente autobiografici, ma di comprenderli alla luce di quella tradizione, ormai seppellita sotto le macerie del regime e dell ideologia totalitaria. Il dissolversi di questa tradizione, così come viene esperesso nella Prefazione de Tra Passato e Futuro attraverso l aforisma di Renèe Char La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento - non rappresenta altro che l origine del sistema 5

8 totalitario, nel senso che, attraverso i mezzi del terrore e dell ideologia, vengono cristallizzate tutte le categorie che erano appartenute alla struttura politica tradizionale della cultura europea. Bisogna osservare che il processo di frattura della tradizione europea, come sostiene la Arendt, è un fatto compiuto [ che non nasce per scelta deliberata di qualcuno, né può essere cancellato da un ripensamento ]. La frattura di cui sopra, segna una divisione tra l età moderna ( che ha come culmine politico le rivoluzioni del XVIII) e il mondo del XX secolo, nato dopo le catastrofi che si sono succedute dopo la prima guerra mondiale. Il giudizio arendtiano circa la frattura della tradizione europea, presenta delle importanti implicazioni che è necessario citare, per meglio comprenderne il pensiero. La sua critica alla modernità non deve essere scambiata come un atto nostalgico per il passato.hannah Arendt, nel suo riscoprire comprendendo, volge la sua attenzione verso le esperienze politiche del passato, ricercando in esse quella tradizione che è necessario riscoprire, per comprendere il fenomeno nuovo che ha mutato l andamento della storia. L atto interpretativo arendtiano, infatti, ha sempre dinnanzi il presente come tempo di ciò che è esperibile. Credo che l esperienza politica greca, cui la Arendt si richiama, non è da leggersi come un voler adottare tale sistema come modello del presente, ma vuole essere un valido supporto a ciò che si presenta come testimonianza di un passato della nostra tradizione, in cui si ritrovano le forme più pure della tradizione politica europea. Analizzando le strutture della polis greca, Hannah Arendt vuole comprendere l originaria forma politica e spirituale dell occidente. Ella rintraccia questa forma 6

9 all interno del pensiero platonico, in quel ri-volgimento dell anima simboleggiato dal Mito della Caverna nel settimo libro della Repubblica di Platone. Platone definisce la sfera degli affari umani come un mondo di tenebre, confusione ed inganno, che deve essere fuggito da coloro che aspirano a scoprire il cielo limpido dei concetti eterni. Perché Hannah Arendt fa riferimento al mito platonico? La risposta si palesa in modo duplice: da un lato la Arendt è convinta che la rappresentazione dualistica della realtà nasca da un rivolgimento della tradizione espresso nella polemica di Platone contro Omero e la religione omerica ( di cui il mito della caverna ne rappresenta la testimonianza nel parallelo tra la caverna platonica e l Ade omerico): non è la vita delle anime incorporee, ma quella dei corpi a svolgersi in un luogo sotterraneo; a paragone del cielo e del sole, la terra è un Ade. Vero e reale non è il mondo in cui ci muoviamo e che dobbiamo abbandonare morendo, ma vere e reali sono le Idee, viste ed afferrate con gli occhi della mente. Dall altra parte, ella afferma che la gerarchia che la tradizione impone tra pensiero ed azione crea un problema di modalità. Infatti, l enorme peso della contemplazione nella gerarchia tradizionale ha oscurato le distinzioni e le articolazioni all interno di tutte le attività degli uomini. E evidente un doppio registro risolutivo che, per la Arendt, è rappresentanto dall erronea convinzione della prevalenza di uno dei due termini all interno del concetto di tradizione. Rimane accertato che l interpretazione della realtà in termini dualistici, che pone il dualismo nell opposizione delle categorie di pensiero e azione, 7

10 è stata accolta dalla tradizione occidentale e che da qui scaturiscono gli ulteriori rivolgimenti di quest ultima. La crisi della tradizione, di cui parla la Arendt, la frattura che segna il suo definitivo tramonto, non consiste nel privilegiare il polo dell azione rispetto a quello del pensiero, con tutti i rivolgimenti ad esso connessi, ma nell abbandono della modalità dualistica di rappresentazione della realtà. Ritengo che, parlando di dualismo, nell accezione arendtiana, non si possa intendere la gerarchia con cui la tradizione lo ha connotato, ma la forma duale in quento tale, cioè la forma generale di rappresentazione della realtà. Da qui, per la Arendt, si delinea anche la constatazione che, dopo la fine della tradizione, esistono due modernità. La prima di queste è quella che si cristallizza nel totalitarismo. La seconda è quella che, venuta meno la tradizione, non ha perduto il passato e permette alla storia umana di entrare nell epoca delle rivoluzioni. In altre parole, per Hannah Arendt, ci si può rapportare alla tradizione in modo duplice: il primo modo è quello di considerare ciò che è già venuto meno, tanto della gerarchia posta in essere, quanto dell idea di una costruzione duale; il secondo è quello del mantenimento della rappresentazione duale che, a questo punto, sopravvive al crollo della sua organizzazione tradizionale. L uscita dalla tradizione diventa la premessa per una più profonda fedeltà a quanto di vero ed umano in essa viveva. Credo sia necessario capire in cosa consista l analisi del totalitarismo. Perché guardarsi indietro, come fa la Arendt nel suo testo, per comprendere l accaduto nella sua interezza? Le Origini del Ttotalitarismo viene scritto negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, in un periodo di relativa calma dopo momenti di orrore e 8

11 confusione. La Arendt ha pensato a questo libro come punto di partenza, una riflessione per capire e meditare. L analisi del totalitarismo attuata da Hannah Arendt si divide in tre grandi blocchi tematici che è necessario pensare in stretta connessione l uno con l altro. Il primo blocco riguarda le condizioni giuridico-politiche dell Europa al momento della nascita dei movimenti totalitari. Il secondo riguarda il soggetto e le forme organizzative tipiche del totalitarismo. Il terzo riguarda il suo contenuto spirituale essenziale, ammesso che sia lecito usare questo termine per un complesso fenomeno storico come quello che consideriamo. Banalizzare un fenomeno simile a quello totalitario può indurci in una molteplicità di equivoci e questo avviene quando si considera il fenomeno totalitario alla stregua di una qualsiasi dittatura. In effetti, il punto nodale di tale determinazione è rappresentato dal rapporto del totalitarismo con la politica :o il totalitarismo viene considerato come eccesso di politica o come politica portata alle estreme conseguenze; o il totalitarismo è pensato come una scomparsa della politica, o meglio come la sua distruzione, attuando una smentita di ciò che era la tesi aristotelica che identificava l uomo come animale politico. Dall analisi di queste due ipotesi, notiamo che dalla prima consegue che ci si trova a dovere affermare che è la politica stessa a determinare il male totalitario, essendo esso una esagerazione degenerata della politica. Se al contrario pensiamo il totalitarismo come distruzione della politica, alla fine dell esperienza totalitaria si cercherà di riscoprire l esperienza politica, affermandone la dignità. 9

12 Una riscoperta, dunque, delle cose politiche che l esperienza totalitaria ha distrutto. Questo modello di interpretazione del totalitarismo ci permette di mettere in luce un atteggiamento di diffidenza nei confronti dell esperienza politica, che si è largamente diffuso in quei paesi che sono usciti dall esperienza totalitaria. Oggi, infatti, non possiamo non considerare questo fenomeno che come altri hanno sconvolto l Europa del 900, ed è da esso che bisogna partire per potersi orientare e per comprendere il vero senso della politica, ma anche della nostra storia. Precedentemente avevo accennato al totalitarismo come distruzione della politica. Questa distruzione equivale ad un attacco nei confronti della pluralità, ovvero la vera condizione ontologica della politica;solo il rispetto della condizione della pluralità assicura la possibile esistenza di un mondo e solo l esistenza di un mondo siffatto, è la condizione di possibilità di uno spazio pubblico-politico, come spazio di libertà. Così come la Arendt spiega più volte, distruzione della politica, significa distruzione della libertà e parimenti negazione della libertà di agire, possiamo affermare che la caratteristica fondamentale di un regime, per definirsi totalitario, consiste nel distruggere la politica nella misura in cui esso( il regime) nega ciò che ne costituisce l atto fondante, ovvero la pluralità umana. Se la politica ha ancora un senso, ovvero la libertà, si comprende come tutti i mali del totalitarismo, a torto attribuiti alla politica come eccesso, siano in realtà imputabili al dominio, alla divisione tra dominanti e dominati, che non si svolge alla pari. 2- L interpretazione del fenomeno totalitario: movimento e processo 10

13 Hannah Arendt, per spiegare il fenomeno totalitario, non si limita a una descrizione empirica, poiché non ritiene che, una semplice sommatoria di caratteristiche possa cogliere l essenza di questa forma di dominio. Nel riproporre la questione, infatti, parte dalla differenza tra un regime politico libero ed il suo contrario, cercando di combattere gli effetti e i fraintendimenti della sua stessa definizione. La sua critica del totalitarismo, parte da una teoria dei regimi ripresa da Montesquieu, profondamente modificata, nel momento in cui aggiunge ai criteri di Montesquieu 5 un nuovo elemento: la definizione di un esperienza fondamentale su cui ogni regime si fonda e che rinvia ogni volta ad una dimensione della condizione umana. Per quanto detto, la monarchia si fonderebbe sull esperienza intrinseca della condizione umana, secondo cui gli uomini sono distinti tra loro dalla nascita; la repubblica sull opposta esperienza di un uguaglianza naturale che si manifesta attraverso un uguaglianza di potere e rinvia alla condizione della pluralità. Infine la tirannia, che conduce alla paura, si fonderebbe sull esperienza dell angoscia che proviamo in una situazione di totale isolamento. Attraverso questi tre criteri, Arendt definisce il totalitarismo: esso ha come natura il terrore, come principio d azione l ideologia ed infine si fonda su un esperienza fondamentale che ha a che fare con l isolamento che porta alla disperazione. Quest analisi ci porta a capire come il totalitarismo possa distruggere la vita politica, la sfera degli affari umani. La distruzione della politica equivale ad un vero e 5 Secondo Montesquieu esistono tre specie di governo: il repubblicano, il monarchico e il dispotico. Il governo repubblicano è quello in cui il popolo, nella sua totalità, possiede il potere sovrano; il monarchico è quello in cui governa uno solo, in base a leggi fisse ed immutabili; mentre in quello dispotico governa sì uno solo, ma senza legge o regola, decidendo in base alla sua volontà e al suo capriccio. Queste tre forme di governo sono tipicizzate da rispettivi principi etici che sono la virtù per la forma repubblicana, l onore per la forma monarchica e la paura per quella dispotica. 11

14 proprio attacco nei confronti della condizione della pluralità, del fatto che sono gli uomini ad abitare la terra, non un uomo soltanto; la pluralità che include al tempo stesso, l essere-tra (mit-sein) gli uomini e l unicità, ovvero la reale condizione ontologica della politica che, secondo la Arendt, deve suscitare lo stupore di una filosofia politica rinnovata. Distruzione della politica non significa tanto la distruzione degli uomini, quanto quella del mondo che rappresenta un orizzonte di senso in cui si edifica l intreccio di opera e di azione; il mondo è quello spazio dove si giocano gli affari umani, è uno spazio di apparenza dove io appaio agli altri e gli altri appaiono a me. Solo il rispetto della condizione della pluralità assicura la possibile esistenza di un mondo, e solo l esistenza di tale mondo è la condizione di possibilità di uno spazio pubblico-politico come spazio di libertà. Distruzione della politica, infine, significa negazione della libertà in un duplice senso: negazione della libertà di esprimere e scambiare opinioni e negazione della libertà di agire, del poter-iniziare, della capacità, quindi, di poter stabilire un nuovo inizio che dipenda dalla presenza dell altro e dal confronto reciproco: negazione dell azione di concerto. In altre parole, il carattere essenziale del dominio totalitario consiste nel distruggere la politica nella misura in cui esso nega ciò che ne costituisce il fatto fondatore, la pluralità umana. Credo che, il percorso totalitario che la Arendt descrive sia molto complesso, soprattutto per le conseguenze che porta all interno del suo pensiero quest analisi così profonda, contornata anche dall esperienza che l autrice stessa vive. L interpretazione del totalitarismo come negazione della politica non nasce certo dall innaturalezza di un esperienza vissuta. Questa, infatti, tende a prospettarcelo come un esempio di 12

15 politicizzazione totale e in questo continua a scorgervi quell opinione comune che identifica politica e dominio. Qui invece, si deve distinguere la politica dal dominio e riscoprire il senso della politica, vale a dire la libertà; ci si distacca da questo insieme confuso di politica e dominio e si riscopre la politica come luogo originario di un miracolo propriamente umano, il miracolo dell agire, dell azione di concerto, della pluralità. Se la politica ha ancora un senso, quello della libertà, si comprende come tutti i mali del totalitarismo, erroneamente attribuiti alla politica, siano, invece, attribuibili al dominio, alla divisione tra dominanti e dominati e non all azione orientata alla libertà che si svolge tra pari: I regimi totalitari non si sono accontentati di porre fine alla libertà di opinione, ma si sono accinti a distruggere in tutti i campi, per principio, la spontaneità degli uomini 6. Eliminato il connubio dannoso tra politca e dominio, Hannah Arendt presenta un quadro ambivalente: dal lato della pluralità, il dischiudersi del potere di agire di concerto, l esperienza dell uguaglianza del potere tra gli uomini; dal lato dell isolamento, la volontà di dominio di un uomo sugli altri uomini. Si descrive la tirannia come fondata sull impotenza connaturata a tutti gli uomini che sono soli 7. In questo senso il totalitarismo, inteso come forma di dominio totale, esclude, per la confusione che instaura tra gli uomini e la distruzione del legame umano, la possibilità stessa del potere e del suo sorgere. Non bisogna stupirsi, quindi, se in un progetto di ricerca del 1948 Hannah Arendt abbia fatto del campo di concentramento 6 Cit. A. Dal Lago La lingua moderna. La condizione umana ed il pensiero plurale (a.c. di) p. 38, Mimesis, Milano 7 Cit Essays in Understanding Uncolletted and Unpublished works by Hannah Arendt (a c. di) J. Kohn. Trad it p.338 Harcourt Brace, New York 13

16 l istituzione essenziale dei regimi totalitari, organizzati allo scopo di produrre una condizione di apatia politica e sociale e di distruggere alla radice ogni spontaneità umana, ogni potere di iniziare, creando un dominio totale sull uomo e la sua azione. Potremmo dilungarci, esponendo la teoria arendtiana, mostrando come un regime totalitario possa effettivamente distruggere la politica; ciò che adesso preme, nella trattazione, a mio avviso, sta nel mettere a fuoco, di come l ideologia possa realmente essere il principio d azione di questa nuova forma di regime. Lo diventa, può diventarlo, prospettando l ideologia del terrore. Il terrore è la realizzazione della legge del movimento; si propone principalmente di far sì che le forze della natura o della storia corrano liberamente attraverso l umanità, senza l impedimento dell azione umana spontanea 8. Si potrebbe forse dire che il terrore, come essenza del regime totalitario, è esso stesso processo e movimento: legge di una Storia o di una Natura in movimento. L essenza di cui stiamo parlando, l unità che un regime totalitario può proprio riguardo invocare, non allude più ad un quadro di riferimento stabile e permanente, poiché è comprensibile solo come il dispiegarsi di un processo. Possiamo così spiegarci l affermazione della Arendt secondo cui il terrore assolve a una duplice funzione, quella di essenza del regime totalitario e quella di principio processuale, che all azione sostituisce il movimento. Mentre l essenza di un regime classico (repubblica o monarchia) è quella di fornire un quadro di riferimento stabile all interno del quale gli uomini possono dare libero corso all azione, nella sua piena spontaneità di manifestarsi; in un regime totalitario la legge, essendo legge di movimento, e il terrore che è la realizzazione di 8 Cit. Arendt, Le origini del Totalitarismo Einaudi. pag

17 questa legge, come movimento, stabilizzano gli uomini, li irrigidiscono ed impediscono loro di manifestarsi spontaneamente in un azione che li rappresenti. La caratterizzazione della Arendt, il suo tentativo di cogliere una vera e propria essenza del fenomeno che considera, va ben oltre le empiriche e formali definizioni proposte da Montesquieu. Il carattere senza precedenti del regime totalitario viene ricondotto per un verso al fatto che la sua essenza è movimento e processo, per un altro verso al fatto che per la sua dimenzione essenzialmente ideologica. Il principio che lo anima non è principio d azione, ma un principio di movimento che rende superfluo ogni principio d azione e che elimina tutto ciò che anche vagamente può assomigliare all azione umana. Parlando di ideologia, a dispetto di quelle che possono essere le apparenze, ci rendiamo conto come essa, per quanto detto fin ora, sia solo un principio di movimento che non ha nulla di politico. Questa sua caratteristica emerge chiaramente se raffrontiamo lo statuto dell assunto ideologico con quello dei giudizi a cui si sostituisce. Più esattamente a quella facoltà di giudicare che mette fuori gioco e che la Arandt riconosce essenziale nella definizione stessa di un orizzonte politico. 9 Per contro, l isolamento ideologico esige una semplice adesione alla legge interna di un movimento che ha la pretesa di spiegare ogni cosa e si fonda sull illusione che un uomo solo basti per comprendere le leggi della Natura e della Storia e per produrre l umanità, nella facoltà di giudicare, in quanto pensiero aperto. Si tratta di pensare mettendosi al posto di tutti gli altri esseri umani, pensando la pluralità. 9 Rimando alla Terza Critica kantiana, cui la Arendt imprime una curvatura particolare nella sua interpretazione Mettersi al posto di tutti gli altri esseri umani, grazie al rapporto di intelletto e di immaginazione, è ciò che rende possibile un pensare di concerto, o un pensiero che virtualmente mantiene, in un certo modo, il proprio giudizio nei limiti della ragione umana nel suo complesso. Cit da Immanuel Kant, Critica del Giudizio, ed. Laterza Roma- Bari 15

18 3- L esperienza desolante In ogni regime totalitario la distruzione della politica avviene a livello più profondo, là dove ad essere distrutte sono quelle tra le sue condizioni di possibilità che rimandano ad una dimensione originariamente comunitaria dell esistenza. L analisi della Arendt punta l attenzione sulla capacità di attrazione che le ideologie onnipervasive e dai risvolti terroristici esercitano su uomini isolati e, svolgendo questo filo, che l isolamento dello stesso tiranno rende più visibile, aiuta a capire come il totalitarismo si basi anche sull esperienza della desolazione, sugli incubi di una esistenza abbandonata e superflua. Andando oltre il significato ontico delle differenze tra solitudine, isolamento e desolazione, l assenza di pari ed uguali, distrugge ogni possibilità di potere, inteso come potere-con e potere-tra. Esiste, quindi, una relazione tra assenza di potere ed isolamento e pertanto il totalitarismo appare come un non-regime, dal momento che la desolazione ostacola la costituzione di ogni legame politico e di ogni spazio tra gli uomini dove si possa manifestare la loro qualità di essere-per-la-libertà e per l inizio. Il regime totalitario, al pari di ogni tirannide, non può certo esistere senza distruggere il settore pubblico, senza distruggere con l isolamento le capacità politiche degli uomini. Ma esso (...) lungi dall accontentarsi dell isolamento, distrugge anche la vita privata. Si basa sull estraneazione, sul senso di nonapparteneza al mondo, che è fra le più radicali e disperate esperienze umane 10. L esperienza fondamentale da cui il totalitarismo deriva è unica. La desolazione apre 10 Cit. Arendt, Le origini del totalitarismo Einaudi, p

19 un nuovo modo di esistere, l essere abbandonato da tutti e da tutto che si sperimenta attraverso una triplice perdita: di se stesso, degli altri e del mondo. In seguito alla distruzione dell esperienza di me come essere umano, la desolazione colpisce la stessa condizione umana: l essere abbandonato. Il dominio totalitario è proprio questa esperienza senza precedenti di distruzione della politica, del suo ambito, delle sue condizioni di possibilità. E quel tentativo di produrre una umanità che incarni la legge del movimento e che conduca l uomo a vedersi come animale antipolitico: destinato a vivere lontano dalla città, contro la pluralità degli altri. Secondo lo storico Meier, 11 con la fondazione di concetti costituzionali che terminano in archia e kratia, gli uomini hanno acquisito la possibilità di decidere da se stessi il tipo di ordine entro il quale vivere, costituendosi, in tal modo, in entità politica. Tutto questo, a detta di Meier, ha il significato di una rivoluzione nella storia del mondo. In termini arendtiani questa rivoluzione è dovuta alla polis greca che sta alla base della nostra politica. E necessario, infatti, sapere a cosa ci si impegna nel pronunciare la parola politica e distinguerla, pertanto, dal suo contrario, il dominio 12. In questi termini è possibile misurare il fraintendimento cui va incontro il fenomeno del totalitarismo se pensato come un eccesso di politica ed è possibile, inoltre, constatare i danni che simili fraintendimenti procurano al nostro rapporto con la politica, impedendoci di pensarla come tale. In altre parole, accade che anzichè 11 Cit. C. Meier, 1984 Introduction à l antropologie politique de l antiquitè classique, PUF, Paris 12 Queste conclusioni corrispondono a quanto troviamo scritto, alle voci politica e dominio nel Dizionario Italiano Ragionato, di G. D Anna e Sintesi, 1988, Firenze.Politica: deriv. da polis, momento centrale della socialità. Propriamente l arte di essere cittadino e la Scienza della cosa pubblica come la intendevano i Greci: politikè (téchne), la tecnica o arte del cittadino, primo dovere e compito di ogni uomo libero nella città Stato, della polis greca. Dominio: padronanza, potere incontrastato, autorità assoluta. 17

20 soccorrere la politica, ci allontaniamo da essa dando credito ai pregiudizi che nell epoca post-totalitaria hanno provocato l orrore nei confronti della politica stessa. La stessa Hannah Arendt afferma che il totalitarismo lascia solo macerie ; macerie della politica e macerie del mondo, poichè ha distrutto quell orizzonte di senso che nasce e si sviluppa tra gli uomini, quella pluralità che ogni essere arricchisce con la sua nascita, con il suo inizio. Questo spazio intermedio viene distrutto, lasciando spazio all acosmismo generato dalla desolazione, tipica del dominio totalitario. Soltanto una sua rinascita dalle macerie del dominio totalitario, può restituire alla politica quel senso che non può più avere per noi. Rileggendo i passi in cui Hannah Arendt esprime, in modo chiaro, la sua denuncia verso questo fenomeno nuovo, non possiamo trascurare l ansia di fondo che ne permea la trattazione. Una preoccupazione continua, dettata, senza ombra di dubbio, dal trauma subito dalla stessa autrice. Per quanto cerchi, nella sua analisi, di comprendere il fenomeno totalitario con coerenza ed obiettività, non possiamo pretendere di isolare la sua esperienza da ciò che è la sua indagine. Hannah Arendt è figlia del suo tempo, ha vissuto il fenomeno nella sua totale interezza e questa ossessione di comprendere, diviene per lei un dovere morale da lasciare come monito ai posteri. 4- La comprensibilità dell accaduto storico 18

21 Quando definisce il totalitarismo un...fenomeno senza precedenti, la Arendt intende sottolineare quanto inattuali ed inappurabili, ai fini di una sua comprensione, debbano ritenersi non solo le categorie politiche, ma anche le modalità storiografiche del passato. Nel pensiero arendtiano, la realtà è un complesso intreccio che ella stessa definisce un plurale irrappresentabile. E il nuovo e l imprevisto che prende vita dagli uomini che vengono al mondo, riempiendo lo spazio di azioni e discorsi. Ma se la realtà è quel plurale irrappresentabile, la realtà totalitaria sembra davvero rispettare questo presupposto, al di là di ogni previsione. La realtà del totalitarismo, oltre ad essere intricata e molteplice è, soprattutto nuova. Comprendere tale realtà è un compito gravoso, soprattutto per la mancanza di strumenti. Hannah Arendt procede rifacendosi principalmente all accaduto storico e si sforza di comprenderlo senza giustificarne le premesse, leggendone la realtà al di fuori delle categorie tradizionali della politica, ma con occhio che politico esso stesso può definirsi, perché attento a quella dimensione plurale e contingente della politica che permette di trattare ogni accaduto storico con la consapevolezza del suo status di evento essenzialmente sociale. Ne La banalità del male 13 la Arendt dichiara illecita la pretesa di rintracciare le cause sociologiche, politiche, economiche o filosofiche che hanno portato al totalitarismo, quasi a volerne giustificare il male, assimilandolo ad un processo storico che inevitabilmente segue il suo corso. Solo a partire da preliminari interrogativi di ordine etico ed epistemologico diventa possibile capire che la novità 13 Cit. Arendt, La banalità del male 1964, pag 147, Feltrinelli, Milano 19

22 del totalitarismo sta proprio nella sua renitenza a quegli interrogativi: nella sua etica ed epistemologica incomprensibilità. Vista l incomprensibilità della realtà totalitaria, è necessario riannodarne le trame per comprendere meglio questo fenomeno, che viene concepito come un insieme indecifrabile di elementi 14. Secondo il pensiero arendtiano, la realtà è irrappresentabile, è l infinitamente improbabile. Come rapportarsi ad una simile realtà che ci pone davanti la questione del male? Sicuramente, credo che se da un lato la realtà politica (in generale) è fragile nel suo darsi, la realtà totalitaria assume un duplice aspetto, ovvero, fragile perchè composta da elementi contingenti, ma allo stesso tempo è lacerante nella sua opera di distruzione. Scientificamente parlando, di una simile composizione si potrebbe parlare come di un precipitato. Il precipitato totalitario si presenta come un dato di fatto, caratterizzato dal fatto di essere prodotto in base a premesse ideologiche che trovano nella contingenza degli altri fenomeni storici, cui erroneamente si rapporta, un humus per svilupparsi. Di questo la Arendt parla, un autocostrizione del pensiero ideologico che porta alla distruzione dei legami con la realtà; relatà condivisa, che perde, nel mondo pervaso dall ideologia, la sua oggettività. L ideologia svolge un ruolo di manipolazione totale della realtà stessa, rendendo abile il fenomeno totalitario di produrre una realtà e farla valere usando una logica che rende vana ogni pretesa di comprensione oggettiva,in cui la comprensione della realtà stessa perde di significato. Dove la realtà, intesa come intersoggettività, viene a 14 In origine il libro doveva avere un altro titolo: Elements of Shame: Antisemitism Imperialism Racism. Tra questi tre elementi quello amalgamante doveva essere l antisemitismo. 20

23 mancare poichè manca lo spazio comune che permette agli esseri umani di porsi in relazione tra loro, è possibile si radichi la fabbricazione ideologica di una relatà apparentemente in sè coerente. Le masse, infatti, si rifiutano di ammettere che è la casualità che pervade la realtà tutta. Esse sono predisposte all ideologia perchè spiegano i fatti come semplici esempi ed eliminano le coincidenze, creando, in tal modo, una sorta di onnipotenza che suppongono si trovi all origine di ogni caso. Se da un lato questo atteggiamento soddisfa il bisogno di coerenza delle masse, dall altro ha reso la realtà infinitamente manipolabile, eliminando proprio quei tratti di casualità che le sono propri: viene eliminata la pluralità su cui effettivamente si fonda la realtà. Definire realtà politica quella di un regime totalitario, secondo quanto detto, sembra un assurdo. La realtà si fonda proprio sull indistinzione tra realtà e finzione, sull assenza di quello spazio comune che genera la pluralità. La realtà dell apparenza, della condivisione delle percezioni, cede il posto ad una realtà più vera; il pensiero ideologico diventa, pertanto, indipendente da ogni esperienza, da ogni fatto umano: le ideologie classificano i fatti in base ad un meccanismo assolutamente logico che di fatto non esiste nella realtà positivamente intesa. Quando il pensiero si rende autonomo dalla realtà e rende persino prevedibile l azione umana, classificandola come comportamento, è perfettamente in grado di produrre il dominio totalitario e ad essere controllato da esso. Questo è il fenomeno nuovo cui si trova di fronte la Arendt e che, responsabilmente, ci invita ad una riflessione sulla fatalità dell incontro tra ideologia e storia: fioriera di fraintendimenti. Ci si trova dinnanzi ad un abisso e che proprio l incapacità di capire 21

24 questa realtà e quindi di giudicarla è l unica spiegazione plausibile per una realtà violata che ci strania e ci estromette dal mondo condiviso, dalla pluralità. Soltanto rileggendo tra le righe la storia di queste macerie, cercando di affrontare in modo obiettivo la realtà che dinnanzi a noi si pone, possiamo evitare che un simile orrore venga dimenticato. E necessario ricordare che la realtà è sempre sulla soglia e quindi leggerla non solo come evento del passato, ma come un evento che appartiene alla storia dell uomo e che va riannodato, necessariamente al suo presente. 5- Il totalitarismo come questione etica: la banalità del male Dopo aver descritto la rottura con la tradizione e aver analizzato, alla luce degli avvenimenti storici, quelle capacità umane che emergono in una condizione totalitaria, la Arendt si pone una domanda fondamentale per la sua analisi: quale relazione intercorre tra il totalitarismo e l idea del male? L obiettivo del totalitarismo di rendere gli uomini del tutto superflui ha permesso di evidenziare la comparsa di quello che si definisce come male radicale, un concetto che nè filosofia, nè religione sono riuscite a spiegare in maniera esauriente. Ne Le origini del totalitarismo si usa il concetto di male radicale per esprimere la mostruosità dei fatti accaduti nei campi di sterminio. Per esprimere questo concetto la Arendt fa propria un idea che Kant elabora nel suo scritto Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernuft. In questo testo, Kant rifuta l idea che natura e peccato originale fossero le cause del male e sposta 22

25 quest ultimo nella sfera della libera volontà. Da questo Hannah Arendt prende spunto e su questo basa la sua riflessione; dal suo punto di vista si poteva liberare il male da quell eterno contrasto che lo legava ad una violazione consapevole della legge morale, ed era necessario porlo in un contesto concreto di storia e responsabilità del soggetto. Ritornando a Kant è necessario specificare che la volontà non è una particolare capacità intellettuale, come lo è il pensiero. Se la volontà fosse pensata unicamente come organo esecutivo della facoltà della ragione, risulterebbero infondate tutte le contraddizioni concernenti il male, indicato come fenomeno della volontà. A questo punto a Kant non resta che ripiegare sull umanità come soggetto della specie; il singolo non può provocare la vittoria del bene ma, per la comunità umana, con la nascita di una società che si basi sulle leggi morali, il principio del bene riuscirà a vincere il male. Secondo quanto detto, si potrebbe attribuire al male il ruolo di forza creatrice. Il singolo ne esperisce gli effetti, ma visto nell insieme, questa esperienza del male da parte del singolo, contribuisce a dispiegare tutte le condizioni naturali della specie umana. Secondo la Arendt, Kant fugge la storicità delle aporie della volontà. Non possiamo capire il male totalitario inserito nel contesto kantiano, quindi intendendolo come un fenomeno della volontà. La volontà, essendo una capacità spontanera dell uomo, presuppone l esistenza di comunicazione interpersonale basata su diritti e torti; nel nostro caso Arendt fa propria la formula kantiana del male radicale, consapevole della provvisorietà della sua riflessione, cercando sempre nuovi spunti per arricchirne la definizione stessa. 23

26 La metafora del deserto ne è un esempio lampante; il male radicale è ciò che gli uomini non possono nè punire, nè perdonare : Nel suo continuo cercare di dimostrare che tutto è possibile, il dominio totale, ha involontariamente scoperto che un male radicale esiste realmente ed è ciò che gli uomini non possono nè condannare nè perdonare. Quando l impossibile è divenuto possibile si è appurata la sua identità con quel male radicale imperdonabile e non punibile, quel male che non si può nè comprendere nè spiegare ricorrendo a malvagie motivazioni come l interesse personale, l avidità, l invidia, la sete di potere, il risentimento, la codardia e quant altro di simile nei cui confronti ogni reazione umana si rivela inerme; nessuna collera potrebbe vendicarlo, nessun amore sopportarlo, nessuna amicizia scusarlo e nessuna legge punirlo 15. Il male radicale opera nel mondo umano portandolo alla distruzione, eliminando, innanzi tutto, la persona giuridica, poi la persona morale ed infine la specifica e peculiare individualità dell uomo. Da qui si apre una sorta di abisso, nessuna riflessione filosofica riesce a cogliere la specificità del male radicale. Rimane aperta la questione proposta dalla Arendt seguendo un percorso, da lei proposto, che non segue rigidamente il metodo kantiano di esaminare le premesse teoriche dell esperienza, ma quello nietzschiano del metodo dell esperimento intellettuale, ovvero la descrizione di tutto ciò che ci è più prossimo. Questa posizione la possiamo comprendere alla luce di ciò che l ha ispirata in queste riflessioni: il processo di Adolf Eichmann, gerarca nazista. Dalle dichiarazioni dell imputato, ad Hannah Arendt apparve lampante il perchè della sua incomprensibile dipendenza dalla tradizione: era l idea kantiana della radicalità che, 15 Cit da Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, pag

27 tradizionalmente, si associava alla dimensione della profondità: (...) E mia opinione che il male non è mai radicale, è solo estremo e non possiede nè profondità alcuna nè un volto demoniaco. Esso può invadere e devastare il mondo intero perchè si espande dalla sua superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero come ho dettoperchè il pensiero cerca di raggiungere le profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perchè non trova nulla. Questa è la sua banalità 16. Hannah Arendt mette in evidenza come il gerarca nazista Adolf Eichmann fosse una persona normale, un individuo tutt altro che disumano. Prendere atto di questa normalità non fu cosa facile, anche perchè ci si aspettava di trovarsi dinnanzi ad un mostro; questo servì quasi da stimolo per indagare la spaventosa banalità del male: alla base della partecipazione agli eventi più terrificanti (Eichmann era accusato del genocidio degli ebrei) può esservi non la diabolica consapevolezza e scelta del male, ma talvolta la semplice superficialità, il distacco dalla realtà, l incapacità di pensare e quindi di giudicare, dunque la tendenza a subire ordini. Si delinea una inquietante concezione del male, sicuramente diversa da quella che fin ora abbiamo considerato come corrente, secondo cui il male derivi da condizioni malvagie. Ne Le origini del totalitarismo si parla di male radicale come di un male che ha delle motivazioni così basse da andare oltre ogni umana comprensione. Le peggiori atrocità possono scaturire da ciò che apparentemente ci sembra innocuo e banale. Se è vero che Hannah Arendt organizza la sua analisi del totalitarismo su una complessa e, a mio avviso, inusuale stratificazione ermeneutica, che la distingue da 16 Cit da Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, pag

28 autori che considerano l evento totalitario come l esito inevitabile della filosofia occidentale, ciò non le impedisce di incorrere nelle loro stesse difficoltà e contraddizioni. Il rischio di interrogarsi sulle radici del male è quello di rimanere all interno di un circolo vizioso, instaurato dalle filosofie della storia, nella logica dei vincitori e dei vinti. Il processo ad Eichmann, cui ella assiste, la avvia ad una nuova riflessione: si accorge che non è più sufficiente guardare dall esterno il rapporto tra totalitarismo e politica. Eichmann rimette in moto l interrogazione arendtiana, riproponendo la questione su termini puramente etici. Ho volutamente sottolineato il termine, perché ritengo che in questo contesto, la Arendt non faccia distinzioni tra etica e morale. Infatti, nella prospettiva della radicalità del male, nazismo e stalinismo sono presentati come equivalenti, nella prospettiva della banalità del male soltanto Hitler pare compiere una vera soluzione dei criteri etici; Hitler ed i suoi funzionari avevano redatto una nuova tavola di valori morali ed impostato su di essa il sistema giuridico. Spiegato questo, che apparentemente potrebbe sembrare una contraddizione, ben si comprende come mai la Arendt parli di Eichmann in termini di vittima del sistema. Scrivendo di Eichmann, la Arendt parla di una normale passività della vita quotidiana, l unica caratteristica che si potesse cogliere nel suo passato, come anche nel suo comportamento, nel corso del processo, era un qualcosa di totalmente negativo: non si trattava di ottusità, ma di una strana autentica incapacità di pensare Cit. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, pag

29 Secondo l autrice la mancanza di pensiero è forse la caratteristica principale dell azione di massa attuata nell epoca del totalitarismo: la figura di Eichmann incarna, nella sua terrificante normalità, l espressione del nazismo inteso come assenza di pensiero e di giudizio del singolo. L etica di Eichmann è obbedire: solo l obbedienza può generare una società ed una comunità politica; se Eichmann fosse vissuto in un epoca diversa, sicuramente il dovere morale per se e per gli altri non sarebbe stato lo sterminio degli ebrei. A questo punto Arendt, nel riferirsi alla coscienza di Eichmann, determina un paragone che risulta essere di fondamentale importanza, per delineare e comprendere quel male radicale. La coscienza di Eichmann viene vista come un contenitore vuoto messo a tacere dalla costatazione dello zelo con cui la società reagiva, tutta al suo stesso modo. Si individua, quindi, un esempio in cui può collassare in modo estremo, la morale corrente della buona società: l etica diviene un mores di abitudini e la cosicenza un prodotto della società cui ci si adegua, nel bene e nel male. L errore di fondo sta nel considerare l obbedienza come valore supremo dell etica, quindi nel considerare alla stessa stregua consenso ed obbedienza. Come la stessa Arendt ci spiega, solo un bambino obbedisce, se lo fa un adulto in realtà appoggia l autorità che pretende tale obbedienza. Ritenere responsabili questi criminali delle loro azioni sta nel fatto che in politica come nella morale, non esiste qualcosa come l obbedienza. Simona Forti 18,nella sua raccolta di saggi, sostiene che nella visione arendtiana il totalitarismo si configuri come un luogo di cristallizzazione delle contraddizioni 18 S.Forti, op cit, Hannah Arendt, pp. 1-15, 16-44,

30 dell epoca moderna e segni la comparsa, nella storia occidentale, di qualcosa di nuovo, la cui comprensione conduce a porsi problemi etici. Se fino a questo punto tante domande si erano risolte attraverso l utilizzo delle categorie della politica, dell etica e della filosofia, quello che accade nei regimi totalitari richiede non soltanto la descrizione di esso a qualificarsi come fenomeno oppressivo della libertà del soggetto, ma richiede ulteriormente una narrazione che non cada nel falso perbenismo della neutralità. Non possiamo esaminare e valutare ciò che andava bene nel nostro passato e definirlo retaggio storico e ciò che andava male scartarlo affidandolo all oblio del tempo. Fortunatamente ogni fine della storia possiede un nuovo inizio; questo inizio (...) è la suprema capacità dell uomo, politicamente si identifica con la libertà umana, è garantito da ogni nuova nascita: è verità in ogni uomo 19. Dopo l abisso totalitario, il pensiero è ancora possibile ovunque gli uomini vivano in condizioni di libertà politica 20 ; soltanto ponendosi fuori dal tempo, in uno spazio edificato nella lacuna tra passato e futuro, l uomo è in grado di vivere in tutta la pienezza attuale del suo essere concreto 21. Ritornando ad Eichmann, la Arendt vuole studiarne gli stati d animo al fine di comprendere l evidente contraddizione che esprimono. La sua coscienza è occupata da steriotipi che formano uno spazio chiuso all esterno: questo mondo resta chiuso se si tenta di parlare alla sua coscienza, perchè essa funziona come la voce della società che lo circonda. 19 Cit. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, pag Cit. Hannah Arendt, Vita Activa, pag Cit. Hannah Arendt, Vita Activa, pag

31 Sarebbe stato troppo semplice fare di Eichmann un assassino stupido; questi era, soprattutto, incapace di abbandonare il suo mondo ideale, identico in ogni sua parte al mondo del sistema. Nel momento in cui i diritti umani, soprattutto il diritto a riconoscersi uomo, non possono più essere tutelati da un potere trascendente dinnanzi al quale tutti sono uguali, la distruzione dello spazio delle leggi e delle istituzioni all interno delle quali gli uomini si garantiscono il riconoscimento della loro stessa dignità, produce l effettivo dispiegarsi del Nulla. La banalità del male si realizza non nello spazio tra gli uomini, ma solo quando questo spazio viene ad essere distrutto. La banalità del male non è nè un fenomeno della morale, nè della volontà, ma mancanza di giudizio, incapacità di pensare la differenza: La linea si demarcazione tra coloro che giudicano e quelli che non giudicano corre trasversalmente a tutte le differenze sociali, culturali ed intellettuali. A tal riguardo, il totale disfacimento della società durante il regime hitleriano può insegnarci che coloro che si dimostrano affidabili in tali circostanze non sono quelli che rispettano i valori o rispettano le norme ed i criteri morali; sappiamo ora che, nell arco di una notte, tutto può cambiare e ciò che resta di superfluo è l abitudine a fidarsi in qualcosa. 22 La scoperta della banalità del male fu una semplice coincidenza: la Arendt sottolinea questa esperienza subito trasformatasi in idea. Questa idea non possiede, tuttavia, il valore di prova tale da poter fondare una teoria, ma è da considerarsi come un evento che richiama ulteriori metamorfosi della tradizione che si pongono, alla realtà del male totalitario, senza condensarsi in costruzioni filosofiche. 22 Cit. Hannah Arendt, Diktatur und persoenliche Verantwortung. In Befreiung. Zeitschrift für Politik und Wissenschaft, Quaderno nr.29, giugno

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