Molti quarantenni si domandano se l attuale sistema previdenziale
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1 Economia Giulio Prosperetti Reddito minimo di cittadinanza Molti quarantenni si domandano se l attuale sistema previdenziale sarà in grado di garantire loro una pensione così come è avvenuto per i loro genitori, e tutti sanno che seppure potranno godere di un qualche trattamento previdenziale questo sarà di importo significativamente più contenuto. Le ragioni della ormai riconosciuta inadeguatezza del sistema previdenziale attuale risiedono non solo nell allungamento della vita media e nel calo demografico, ma in qualche cosa di più profondo che coinvolge direttamente il nostro modello di civiltà. Il sistema pensionistico nasce in Italia ai primi del Novecento e tale previdenza diviene pubblica, obbligatoria e generalizzata nel 1919, nel 1933 nasce l Inps. La pensione veniva erogata ai sessantacinquenni in un epoca in cui la durata della vita media era inferiore a tale soglia di età; è come se oggi si desse la pensione agli ultraottantacinquenni. Si deve all allungamento della vita l avvento di un aspettativa generalizzata a godere di una terza età, non destinata ad una mera sopravvivenza, ma ad una piena realizzazione, ormai liberi dall onere del lavoro. Siamo in presenza di un nuovo assetto dei modelli sociali e si parla di superamento della cronologizzazione delle fasi della vita; sicché allo schema studio, lavoro, pensione, si è ormai sostituita una nuova realtà, incentrata sulla formazione permanente, il lavoro flessibile e discontinuo ed un concetto di pensione non più espressione dello status di pensionato, ma piuttosto inteso quale rendita finanziaria, perfettamente compatibile con una perdurante attività di lavoro. Il superamento del welfare lavoristico Il nostro welfare è costruito su un impronta previdenziale, cioè sulle contribuzioni correlate al lavoro di ciascun assistito, ma tale forma di previdenza è destinata a coprire il solo segmento della previdenza complementare, essendo ormai acquisito che la previdenza di base dovrà essere generalizzata e tendenzialmente fiscalizzata. La sempre crescente durata della vita, non è rappresentabile secondo criteri di coerente sviluppo, ed è per questo che le previsioni attuariali in materia si basano sulla ragionevole presunzione di modificazione secondo le conoscenze attuali, ben sapendo che la realtà futura, oggi coerentemente prevista sul piano tecnico attuariale, sarà però nei fatti sicuramente diversa. In questa logica il sistema previdenziale viene finanziato in parte dai contributi degli assicurati e in parte dallo Stato che periodicamente ripiana i bilanci dell Inps. Se poi altre gestioni diverse dall Inps vanno in crisi, come è avvenuto per l Istituto di previdenza dei dirigenti industriali, queste gestioni con legge vengono incorporate nell Inps. Erogando una somma anche ai lavoratori regolarmente occupati, si otterrebbe un vantaggio per le imprese, al riparo da censure comunitarie 116
2 A ben vedere è in crisi proprio il concetto di previdenza, cioè la possibilità di avere assicurato il rischio vecchiaia La gestione Inps diventa così esponenziale di una solidarietà previdenziale riferita a tutto il sistema Paese. A ben vedere è in crisi proprio il concetto di previdenza, cioè la possibilità di avere assicurato il rischio vecchiaia per un tempo indeterminato lo stesso Modigliani aveva proposto un sistema di fondi pensione che erano più simili a delle forme di investimento finanziario che non di investimento previdenziale. Vi sono tutta una serie di stratificazioni concettuali ed ideologiche che continuano a convivere, anche contraddittoriamente, nell attuale sistema previdenziale, che è un assicurazione per chi lavora, ma che tutela anche con prestazioni universalistiche gli ultrasessantacinquenni con scarso reddito, ai quali eroga l assegno sociale. Una forte impronta lavoristica del nostro sistema Ciononostante, rimane comunque forte l impronta lavoristica nel nostro sistema previdenziale, ed anzi, il superamento di un concetto unitario di sicurezza sociale è stato in qualche modo sottolineato dall accentuarsi delle differenze tra la previdenza da una parte e l assistenza dall altra. Anche in sede di comparazione a livello europeo, tra le diverse forme di sicurezza sociale, è risultato indispensabile poter distinguere tra ciò che spetta a titolo di previdenza, per avervi contribuito, e ciò che invece compete in quanto cittadino di un determinato Stato. Ora, poiché la gestione dell Inps è integrata dalla fiscalità generale, siamo di fronte ad una forma ibrida di solidarietà previdenziale e la differenza tra assistenza e previdenza diviene una nozione soltanto convenzionale. In maniera molto riassuntiva, possiamo dire che la previdenza pensionistica è correlata alla società industriale, all esigenza di garantire un reddito ai vecchi che non potendo più lavorare in fabbrica avevano perso nel lavoro parcellizzato del sistema tayloristico ogni capacità e possibilità di un diverso lavoro, a differenza dei contadini, che conservavano capacità di auto-produzione e di auto-consumo. È necessario ricostruire un modello economico sociale con un proprio equilibrio non potendosi più forzare strumenti nati in una società industriale matura per regolare la deindustrializzazione e la delocalizzazione delle imprese. Il sistema corporativo prima, e la Costituzione sociale dopo, muovevano dal presupposto di una tendenziale piena occupazione, sicché il cittadino era per definizione il cittadino occupato ed il lavoro rappresentava la porta di tutte le tutele (anche quella sanitaria prima dell istituzione del Servizio Sanitario Nazionale del 1978). Effetti di liberalizzazione e globalizzazione Tutto si svolgeva, pertanto, su una base lavoristica che comprendeva anche quelle situazioni di tutela del non lavoro, come l invalidità, la malattia, la disoccupazione, che comunque, anche per differenza, si riconnettevano sempre al concetto di lavoro. A ben vedere, un sistema su base lavoristica che in qualche modo presupponeva la piena occupazione, era di fatto un sistema di protezione universalistica ed è perciò che si è sviluppata nel nostro Paese la teoria di un sistema di sicurezza sociale che svalutava le differenze tra assistenza e previdenza in senso tecnico. 117
3 Gli effetti della globalizzazione dell economia e la liberalizzazione del mercato hanno prodotto tipologie di lavoro destrutturate e flessibili, e soprattutto hanno definitivamente cancellato la speranza di un organica soluzione del problema della disoccupazione: se prima si parlava di disoccupazione frizionale, ora si parla di disoccupazione strutturale; su ciò ha influito anche la rivoluzione microelettronica ed informatica, sicché si è potuto verificare uno sviluppo senza correlativi incrementi occupazionali, ed anzi in maniera perversa è sceso il tasso di disoccupazione, anche a fronte di un aumento del Pil. In questa situazione, dove le aziende investono per ridurre la manodopera ed il costo del lavoro frena lo sviluppo industriale, e dove centinaia di aziende manifatturiere ogni anno lasciano l Italia per delocalizzarsi all estero, il welfare viene, in linea di principio, sempre finanziato dalle contribuzioni individuali dei lavoratori; ma questi con il lavoro flessibile sono destinati a contribuire in misura sempre inferiore e ciò anche in presenza di un aumento del Pil. Il problema del passaggio a una logica universalistica La forza economica di un impresa, nella società industriale, era valutata, innanzitutto, in ragione del numero degli addetti oggi tale rapporto, per alcuni versi, può dirsi invertito, stante la capacità del capitale di generare profitto, sostituendo con sistemi di automazione, le intelligenze e le braccia delle maestranze. A ciò, si aggiunge il noto fenomeno della finanziarizzazione dell economia, che stravolge la logica marxiana del plusvalore, secondo la quale il valore di un bene sarebbe dato dal lavoro necessario a produrlo. Come si vede, nella vecchia società industriale, la razionalizzazione del prelievo previdenziale, con contributi parametrati alle retribuzioni corrisposte, era in rapporto alla forza dell azienda, che tanti più lavoratori aveva, tanto più produceva, e tanti più contributi versava. Nell attuale situazione di trasformazione dell economia, non ha più senso un sistema di welfare basato sulle contribuzioni individuali, giacché questo è funzionale solo ad un economia che presuppone la piena occupazione. Il ruolo degli ammortizzatori sociali Oggi, vanno valorizzate occupazioni, apparentemente marginali a livello economico, capaci invece di offrire occasioni di lavoro a larghi strati della popolazione: il volontariato, le attività artistiche, l apprendistato artigiano e professionale. Insomma, anche attività non in grado di contribuire sul piano previdenziale, svolgono in realtà una funzione fondamentale in tema di civiltà e di ricostruzione di un equilibrato tessuto sociale. In passato si è fatto welfare costituendo al Sud imprese destinate al fallimento, ciò che ha consentito di immettere nel sistema previdenziale degli ammortizzatori sociali, centinaia di migliaia di lavoratori, che dopo sei mesi di formale lavoro, sono rimasti per decenni a ricasco delle provvidenze pubbliche. Si è insomma preferito dissipare risorse per costituire finte imprese, propedeutiche però all immissione di nuovi lavoratori nel circuito assistenziale, e tutto ciò per evitare di affrontare il tema di un nuovo modello È stata definitivamente cancellata la speranza di un organica soluzione del dramma della disoccupazione 118
4 Il problema è quello di costruire un sistema adeguato alla società postindustriale, capace di piegarsi alle esigenze della flessibilità del lavoro di società e conseguentemente di welfare. Il problema è quello di costruire un sistema adeguato alla società postindustriale, capace di piegarsi alle esigenze della flessibilità del lavoro e della inoccupazione, non più relegata al prima o al dopo di un periodo di attività lavorativa, ma fisiologicamente intersecante tutta la parabola della vita degli individui. Invero già alla fine degli anni ottanta e per tutti gli anni novanta si è sviluppata l esperienza di un occupazione in attività socialmente utili, destinate non solo ai lavoratori espulsi dal processo produttivo, ma anche ai giovani e ai disoccupati di lunga durata. Già questo dato, anche se tale esperienza ha avuto una battuta d arresto, per la pretesa dei addetti ai lavori socialmente utili che pretendevano immissioni nei ruoli della Pa, era comunque nel senso di un collegamento dello stato di cittadinanza ad una posizione professionale. La questione politico-ideologica Con la Finanziaria per il 2004 è stata istituita una provvidenza per attribuire un reddito minimo in favore di quanti sono esclusi dagli ammortizzatori sociali (essenzialmente pertanto a quanti non hanno avuto una pregressa occupazione), che letteralmente dispone: ( ) lo Stato concorre al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro. Ecco allora che il problema politico-ideologico è quello del passaggio da tale esperienza ad un sistema generalizzato di interventi assistenziali sottratto alla discrezionalità politico-amministrativa. Infatti il riempimento delle lacune di welfare viene creato attraverso complessi accertamenti che sfociano poi in un ampio e costoso contenzioso giudiziario (decine di migliaia di avvocati assistono milioni di persone che accedono ai trattamenti assistenziali a seguito di una causa). Come evitare la creazione di riserve indiane È giunto il momento di vedere il problema da una diversa angolazione; se infatti consideriamo che tutti i cittadini riescono (per indennità di disoccupazione, assegno sociale, invalidità civile, Cigs, mobilità, Lsu, reddito di ultima istanza ecc.) a ad avere un reddito in buona parte imputabile alla fiscalità generale, si potrebbe pensare all istituzione di un reddito minimo di cittadinanza. La questione che si pone immediatamente è come evitare la cosiddetta trappola del welfare, cioè la creazione di riserve indiane di persone irrecuperabili, per loro scelta, ad una vita attiva. Il problema si coniuga alla piaga del lavoro nero che notoriamente si sposa con gli ammortizzatori sociali: insomma se la disoccupazione è in gran parte virtuale, e ne è prova la grande affluenza di immigrati nel nostro paese, si tratta di ridefinire i ruoli, nel senso che oggi in Italia per disoccupato o inoccupato si deve intendere chi non è formalmente inserito in un lavoro regolare, essendo assolutamente marginale la fascia dei cittadini esclusi in concreto da ogni chanche occupazionale. È necessario togliere i vantaggi 119
5 connessi allo status di disoccupato e ciò è possibile attribuendo a tutti i cittadini indistintamente un reddito minimo di cittadinanza. Si potrebbe anche pensare all ipotesi di reinserire i lavori socialmente utili (ma senza maggiorazione rispetto al suddetto reddito minimo) per quei cittadini che non siano in grado di dichiarare una qualsiasi utile occupazione, per evitare appunto la loro emarginazione nella trappola del welfare e al contempo per contrastare il lavoro nero. Più tasse ma meno oneri per le imprese Un ulteriore progresso in tale nuova logica, che però a ben vedere è solo una razionalizzazione dell esistente, potrebbe essere costituito dal ricomprendere nel reddito minimo anche i lavoratori regolarmente occupati; ciò avrebbe un effetto di abbassamento del costo del lavoro a carico delle imprese e costituirebbe un indubbio vantaggio per le imprese italiane, al riparo dalle censure comunitarie giacché l universalità del provvedimento non potrebbe essere considerata violazione della concorrenza. Naturalmente una politica di questo tipo comporterebbe un innalzamento della pressione fiscale, ma sgraverebbe le aziende dei maggiori oneri retributivi e contributivi che oggi sostiene. In conclusione nell economia globalizzata è anacronistico che il reddito minimo, garantito dall art. 36 della Costituzione, sia a carico del sistema delle imprese che soffrono il dumping sociale e sono costrette alla delocalizzazione: nell ipotesi prospettata sarebbe la fiscalità generale a garantire la sufficienza delle retribuzioni, creando una perequazione tra attività produttive che comportano un grosso impiego di manodopera rispetto a quelle ad alto tasso di capitalizzazione le quali attualmente pagando pochi contributi non concorrono al finanziamento del welfare. Per disoccupato o inoccupato si deve intendere chi non è formalmente inserito in un lavoro regolare 120
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