Laboratorio di storia A.S. 2006/2007

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1 Laboratorio di storia A.S. 2006/2007 Storia: ricordare raccontare ascoltare trasmettere trasformare Quaderni del Mameli n

2 INDICE: Per una coscienza storica migliore Non chiedetevi perché (Auschwitz - Novembre 2006) Freddo...nebbia filo spinato...file di baracche questa è Auschwitz Auschwitz 2006 io ero tra quei giovani.. Dov era Dio ad Auschwitz? Viaggio all inferno Il senso della memoria Il racconto contagia anche chi ascolta Auschwitz: sono trascorsi due anni ora tocca a mia sorella Il giorno della memoria Zio Alfredo: <<Andiamo via dall Italia finché siamo in tempo>> Giuliana Fiorentini: il manifesto degli scienziati razzisti Ma tu Dio dove stavi? Elvira De Rita: 8 settembre 43 <<ora comincerà la guerra vera>> Maria Luisa Masini : << vidi la mia amica e la sua famiglia trascinai con violenza per strada Maria Grazia Bompiani: <<mio padre Carlo Carletti, coraggioso medico di molti partigiani, salvò molti ebrei. Non fu mai denunciato>> Ho fame ho sete ho sonno..ma ho potuto pensare sono felice non mi avrete Mio nonno che mi parla della guerra vista con gli occhi di un bambino Giornata della memoria: 27 gennaio 1945

3 gli alunni che hanno partecipato a questo lavoro: Armanni Enrico I B Castrini Daria I B Costanzo Roberta I B Festuccia Filippo I B Gallotti Maria Gloria I B Lottini Raffaele I B Mongiello Maria Romana I B Nola Ludovica I B Zanetti Camilla I B Monduzzi Alessandra I B De Liguori Carino Alessandra II A Cominetti Valentina II B Leonardi Marta II B De Liguori Carino Francesca II C Barenghi Giulia II D Della Chiesa Lodovico II D Balducci Adriana III A Collaboratrice grafica : M. Gloria Gallotti I B

4 Coordinatrici del laboratorio di storia professori : Carrella Luisa Baratta Irene Gizzi Federico Trifogli Sergio Si ringraziano i testimoni: sig. Giuliana Fiorentini sig. Elvira De Rita sig. Maria Luisa Masini sig. Maria Grazia Bompiani sig. Ludovico Barbiano di Belgiojoso sig. Franco Cosimini Stampato in proprio

5 PER UNA COSCIENZA STORICA MIGLIORE Memorie fluttuano. Trasportate da un vento impietoso si nascondono nella nebbia. Parlano di molte cose, diverse e lontane fra loro. Ma, chissà perché, tutte quante hanno un unica, amara destinazione: la nebbia. Quell impenetrabile cortina di grigia foschia che è il tempo. Tutte, una dopo l altra, vengono prese e portate via. Memorie che si perdono, scivolano come comete nel cielo. E che ne sarà di loro, di quegli essenziali attimi di Storia? Persi, per sempre. E dire che sarebbe bastato poco. In fondo era solo necessario non farle scappare. Se non avessimo dimenticato non sarebbero lì, ora. Sarebbero tra noi, vivide immagini nelle nostre menti di un passato che vorremmo non fosse mai esistito. E sarebbero soprattutto il più grande avvertimento a noi e ai nostri figli che possa esistere. Ma abbiamo dimenticato. E non sapremo mai se i nostri errori saranno gli stessi di altri che, nei secoli, hanno arrecato sofferenze. Non sapremo di sbagliare, ma sapremo sbagliare. E, ignoranti di ciò che ci ha preceduto, di certo sbaglieremo. Allora la Storia si ripeterà, in un continuo ciclo di crimini, sino a diventare nient altro che un macabro affresco di distruzioni. Perché abbiamo dimenticato, e questa è la nostra colpa. Voi, voi potete ancora impedirlo, però. E avete una sola via che porta alla salvezza, quella del ricordo. Serbare in voi il passato che è stato, di fianco al presente che vivete e al futuro che state costruendo, vi condurrà verso meritati lidi di pace, scaldati al tiepido sole di primavera. L oblio non dà speranza, il disinteresse verso la Storia non è un sentiero percorribile senza rischi. È ridicolo persino pensare il contrario, ignorare l evidente legame tra ogni crimine del passato e il tempo che ci appartiene ma che non tutti riusciamo a sentire nostro. Eppure c è chi disputa, si batte, si accanisce in favore di un negazionismo falso e assurdo, difendendo tesi storicamente improponibili o tentando di nascondere verità ineluttabili. Più preoccupante della propaganda di questi personaggi è però il fatto che le folle li seguano, accecate dall ignoranza e manovrate da demagoghi criminali persi dietro ai loro sogni di potere. È per questo, dunque, che la memoria diventa fondamentale, un obiettivo imprescindibile dell umanità intera. Il futuro dipende da noi, perciò spetta a noi l onorevole dovere di ricordare. Così nessun altro fantasma di odio, nessuno spietato dittatore infesterà il nostro tempo. A nessuno sembrerà normale deportare altri uomini, né tanto meno ucciderli. Il ricordo di orrori indimenticabili risveglierà in noi, citando Shakespeare, quello strano

6 demone chiamato coscienza, che troppo, troppo a lungo dorme nel cuore di un uomo. Una coscienza non solo personale, intesa come rifiuto morale della privazione della libertà altrui, ma storica. Un collettivo impegno non solo a non dimenticare, non solo a trasmettere tutto questo ai posteri, ma soprattutto ad evitare ad ogni costo il riproporsi di qualsiasi tipo di atrocità contro il genere umano. Per tutto questo noi ricordiamo. Ricordiamo il 27 Gennaio, ma dovremmo farlo sempre. Ogni giorno tenere a mente, accanto alla Storia grande e gloriosa, tutte le Storie personali mai insignificanti di coloro che hanno combattuto l orrore o l hanno subito. Delle migliaia di Anna Frank senza nome che hanno incontrato la fine prima del previsto, delle giovani vite private di identità e dignità da non-uomini, da servi di un potere fondato sull odio e sul terrore reciproco. I loro destini, intrecciati e uniti ai nostri, sono il monito più efficace per noi e tutti coloro che ci succederanno. La loro tragica fine reca inciso questo lamento: mai più. Filippo Festuccia IB

7 NON CHIEDETEVI PERCHÉ (Auschwitz-Novembre 2006) Quando entrate ad Auschwitz non chiedetevi perché Primo Levi ha riassunto così il pensiero che si pone chiunque visiti un campo di sterminio. E questo è stato proprio quello che mi sono chiesta io. E difficile raccontare cosa ho vissuto quei tre giorni di inizio novembre. C è chi lo chiama viaggio di conoscenza, di riflessione, o della memoria: io credo semplicemente che sia un esperienza unica ed inimmaginabile. Non la si può descrivere con il linguaggio di tutti i giorni perché lì è un altro mondo e ci vorrebbe un linguaggio dell altro mondo (P.Levi). Ammetto di aver avuto qualche dubbio quando il sindaco Veltroni, nel discorso d introduzione, ci ha detto: Questa è un esperienza che vi cambierà eppure anche se sono sempre la stessa persona mi porto dentro qualcosa che non potrò mai dimenticare. Sì perché aver visto un luogo dove in pochissimi anni sono stati eliminati un milione e mezzo di esseri umani, ti rende testimone della storia dell umanità. Il 6 novembre era una giornata piovosa, tipica del rigido clima polacco, ma, soprattutto, faceva freddo: nel campo come nel cuore. Quante volte tutti noi abbiamo visto film, documentari o letto libri sull olocausto: davvero tante. Pensavo, così, di non vedere niente di nuovo. Ma sbagliavo. Scesa dal pullman ero finalmente ad Auschwitz ed, in particolare, a Birkenau, il luogo che da tanti è stato riconosciuto come l inferno in terra. Davanti a me si apriva uno scenario spettrale, che lascia senza parole ogni visitatore, anche noi che eravamo 300 ragazzi. Camminavo proprio lì, dove sono passate centinaia di migliaia di vite umane morte per un sì o per un no di qualche ufficiale tedesco. Ad accompagnarci: Samuele Modiano, Piero Terracina, Shlomo Venezia, Andra e Tatiana Bucci; cinque anziani signori che apparentemente potrebbero essere i nonni di chiunque di noi ma con dietro un passato impossibile da dimenticare: Auschwitz. Le loro parole, le lacrime, le espressioni e quei numeri sul braccio hanno contribuito in maniera eccezionale a rendere ancora più unica la visita di quel luogo. Nonostante le difficoltà di trovarsi lì non hanno esitato a spiegare il campo passo per passo; ognuno con la sua storia, con il ricordo delle urla tedesche, del fumo delle camere a gas e degli addii dati ai familiari.

8 Il resto lo ha fatto il museo di Auschwitz, ogni sala porta con sé una drammaticità unica: foto, vestiti, capelli, valigie e celle dove si sono consumate le più atroci torture. Perché tante erano le realtà di quel folle progetto di Hitler. Non era, però l unico perché già nel 1855 Artur de Gobineau scriveva nel Saggio sull ineguaglianza delle razze umane sulla superiorità della razza ariana: costituita proprio dalle componenti più pure originarie del ceppo germanico. Su questa convinzione, rafforzatasi negli anni grazie alla propaganda nazista, si era arrivati agli esperimenti nei campi. Il dottor Mengele, famoso, appunto, per i suoi esperimenti ad Auschwitz, era convinto di contribuire al bene della nazione tedesca uccidendo bambini, nani e chiunque presentasse una deformazione fisica. Iniettando acido fenico nel cuore e dissezionando i loro cadaveri era certo di capire le cause delle malformazioni; e facendo ammalare chi era sano, con strazianti piaghe e morti lente, credeva di trovare vaccini contro le malattie ancora incurabili. L importante era Deutschland uber alles (La Germania al di sopra di tutto). Cade leggera la neve e ci fermiamo per una pausa, su un bel prato verde con qualche mattone sparso ma ben presto veniamo a conoscenza di una realtà sconcertante: quelle belle margherite nascondono i resti delle camere a gas. Proprio qualche metro sotto di noi migliaia di persone morivano nel giro di pochi minuti grazie ad uno o due barattoli di Zyklon B. E impressionante sapere che quando riaprivano le porte trovavano masse di corpi accalcati uno sull altro: si erano calpestati a vicenda per qualche minuto in più di vita. Una lotta per la sopravvivenza fino alla fine; infatti, nello strato più basso c erano vecchi e bambini, poi le donne e in cima gli uomini adulti. Ma come è possibile che un padre di famiglia calpestasse la figlia o graffiasse la moglie per un minuto in più di vita? Eppure è successo... Purtroppo sono tanti altri gli orrori che sono accaduti ad Auschwitz, come a Buchenwald, Dachau, Mathausen e negli altri campi di sterminio e non. Non chiedetevi perché sia successo, non è possibile dare una risposta a questa domanda. A Norimberga i responsabili hanno detto che avevano riposto ad ordini superiori: molti di loro sono stati giustiziati, alcuni si sono suicidati prima e altri sono scappati ed hanno continuato a vivere. Ma non c è stata e non potrà mai esserci giustizia per le milioni di famiglie sterminate senza colpa, l unica vera giustizia sarebbe forse che tutto ciò che è successo in quegli anni e in quei luoghi non ricapitasse più.

9 Eppure passati sessant anni oltre a chi nega l olocausto c è chi imita i metodi dei campi di concentramento e c è chi continua ad uccidere convinto della propria superiorità: Non chiedetevi perché. Adriana Balducci III A

10 FREDDO... NEBBIA... FILO SPINATO FILE DI BARACCHE... QUESTA È AUSCHWITZ.. Freddo!... Scendendo dal pullman in quella gelida mattina invernale è la prima cosa che mi colpisce. Intorno a noi, nella nebbia, file di baracche e filo spinato, interrotte da qualche solitaria casetta a due piani: fiori nei giardini e panni stesi sotto i piccoli portici. In giro, per le strade asfaltate non c è nessuno. Sentiamo i latrati di una cane, un suono lugubre che si perde nella nebbia. Poi più nulla. Scendiamo in fila e ci avviamo lungo una stretta strada delimitata da un canneto. Siamo quattrocento studenti, ma i rumori sono soffocati dalla pioggia e nessuno ha davvero voglia di parlare. Lentamente, alla nostra sinistra, si cominciano a distinguere i contorni di vecchie rotaie arrugginite, rialzate rispetto alla strada e ricoperte di pietre nere. Accanto alle due file di rotaie c è una lapide in memoria dei due milioni di persone che hanno perso la vita lì, nel luogo diventato il simbolo del Male (Assoluto): il campo di concentramento di Auschwitz. Ma Auschwitz era talmente grande che, come ci spiegano i nostri sopravvissuti, i nazisti lo divisero in due campi principali: Auschwitz era un campo di lavoro e Birkenau era il luogo dello sterminio. Sulle rotaie è rimasto un vagone piombato: uno di quelli, terribili, usati per il trasporto dei deportati in quei viaggi da incubo che potevano durare giorni e giorni, e durante i quali ai prigionieri venivano negati cibo e acqua. Uno dopo l altro, con grande dignità e commozione i cinque sopravvissuti che ci accompagnano, Shlomo Venezia, Piero Terracina, Sami Modiano raccontano il momento del loro arrivo al campo, quando non gli venne neppure concesso di dire addio a un padre, una madre, un fratello, una sorella. E così noi ragazzi, così lontani ma allo stesso tempo tanto vicini a quella tragedia ci ritroviamo in silenzio sulla ferrovia a piangere per quei sei milioni di esseri umani che furono assassinati. Poco dopo, mentre camminiamo tra le baracche di legno, sulle rovine della camera a gas in cui così tante persone hanno trovato la morte, fissando in silenzio il grande cancello con la scritta in tedesco Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi), sento entrarmi dentro un freddo

11 terribile che nulla ha a che vedere con le condizioni atmosferiche. Il pensiero che sessant anni fa esseri umani vestiti di soli stracci, affamati, senza scarpe, venivano costretti ogni giorno, in qualunque condizione di tempo, a orari di lavoro massacranti, con la paura di non arrivare vivi alla fine della giornata, ha fatto entrare quel gelo dentro di me. E tuttavia questo viaggio faticoso nella sofferenza ha fatto nascere in ognuno di noi una sconfinata ammirazione per queste cinque persone: uomini e donne che hanno trovato il coraggio di tornare tra quelle baracche fantasma, tra quei canali di memorie in cui troppi esseri umani sono morti senza ragione per raccontarci, immobili sotto la pioggia, davanti alla voragine che è ormai la camera a gas, di quei parenti cui hanno detto addio, come il piccolo Simone di cinque anni, cugino delle sorelline Bucci. Drammatico è il racconto di Shlomo costretto a lavorare nella camera a gas: un giorno fu costretto persino a portare per mano alla morte il cugino di suo padre. La loro testimonianza ci aiuta a dare nome e volto a qualcuno di quei sei milioni di vittime morti nei campi di sterminio per la sola colpa di essere Ebrei. Giulia Barenghi II D

12 AUSCHWITZ 2006 IO ERO TRA QUEI GIOVANI Scrivere qualcosa riguardo ad Auschwitz sembra banale poiché è stato fatto molte volte. Eppure nonostante tante parole e tante pagine è un argomento ancora relativamente sconosciuto. Ad alcuni ragazzi dei licei romani è stata data la possibilità di conoscere i sopravvissuti di Auschwitz e con loro ripercorrere quelle che sono state le atrocità dei campi di sterminio da loro subite sulla pelle. Io ero tra quei giovani, ho ascoltato parole colme di dolore, narrazioni impossibili anche solo da immaginare. Ma tutto ciò, ed è la cosa che più mi ha colpita, è l'assenza totale di odio e rancore, che hanno lasciato il posto a sdegno e incomprensione per quelle persone che hanno ucciso altri esseri umani a sangue freddo senza neanche domandarsi se l'uomo che stavano uccidendo fosse padre o marito, o senza rendersi conto che la donna che chiedeva aiuto cercava semplicemente un futuro per suo figlio, ancora troppo piccolo e puro per venire a conoscenza della crudeltà dell'uomo. Ammiro Sami per la sua mitezza, Shlomo per la sua fermezza e Piero per la forza con cui ha saputo perdonare. Le sorelle Bucci per la dolcezza dei loro occhi sopravvissuta nonostante tutto quello che hanno vissuto e sopportato. Sono purtroppo poche testimonianze, ma fondamentali per noi giovani che abbiamo ora, e in particolare in futuro, il compito di diffondere queste storie dallo sfondo drammatico e crudele. Ci si chiede come persone, nate e cresciute nel 20 secolo, quindi ritenute civilizzate, abbiano potuto uccidere in massa altre persone, uomini e donne comuni che avevano come unica colpa essere nate credendo in Dio, un Dio che aveva un nome diverso dal loro. Una risposta che mi è piaciuta particolarmente, citata nel film Il Processo di Norimberga probabilmente è l unica plausibile e relativamente comprensibile: forse abbiamo sopravvalutato la civiltà. È una frase sulla quale riflettere come del resto tutti gli avvenimenti del periodo nazifascista, che hanno segnato non solo la storia e un epoca ma anche l interiorità di persone e generazioni a venire. Francesca de Liguori Carino II C

13 DOV ERA DIO AD AUSCHWITZ? Prima di visitare i campi di concentramento, ero si consapevole di ciò che è accaduto, delle cifre indicative sul numero dei morti, degli scempi commessi, ma tutto a livello storico. Andare nei luoghi in cui è avvenuta la strage, camminare su quel terreno freddo, fangoso, visitare le baracche, ha suscitato in me emozioni indescrivibili. Sentire i racconti dei testimoni, le loro storie, mi ha commossa profondamente. I risultati di anni di ricerche stimano un numero di oltre 10 milioni di morti; è solo una cifra che non rende bene l idea: bisogna contare uno per uno, pensare che dietro ad ogni singola persona c è una storia, un padre, una madre, una moglie, un marito, un figlio. Visitando il campo ho provato dolore, è ovvio, ma soprattutto, ed è la cosa più struggente, un senso di impotenza di fronte alla cattiveria umana. Le fotografie in bianco e nero appese sui muri, rappresentano al meglio le espressioni dei detenuti, di quel cielo grigio, di quegli occhi ormai stanchi di implorare, come se l assenza di colore eguagliasse l assenza di ogni tipo di sentimento umanamente piacevole. Ho tante domande, tutte confuse; alcune però spiccano fra i miei pensieri: Perché?Perché l uomo commette questi gesti?fino a che punto lo spingerà l odio? E ancora Perché non si è riuscito a fermare tutto ciò? Ricercare nel passato per rispondere a interrogativi forse più grandi di noi e ostinarsi a capire. Ma questa non è la soluzione: non esistono risposte sicure. Ci sono solo i racconti dei sopravvissuti, le testimonianze di quell odio insensato che ha portato alla morte milioni di persone. Ci sono quegli occhi silenziosi, lucidi, di chi ritorna nel luogo dei propri incubi, delle sofferenza. Gli uomini venivano privati di tutto, sia a livello fisico che mentale; venivano privati della loro dignità, del loro semplice essere uomini. Ed è proprio in questo frangente che mi sorge una domanda, secondo me fondamentale: In quelle condizioni che rapporto si aveva con la fede? Rimaneva inalterato, si fortificava, o spariva? Io non sono in grado di dare risposte su questo argomento. Mi limito a citare una poesia:

14 "Dov'era Dio ad Auschwitz?" è, naturalmente, Dio non c era ad Auschwitz. Oppure si era addormentato Solo per cinque minuti. Come sta dormendo ancora oggi Mente Gli eccidi nel mondo Si succedono Come niente fosse. In questo momento proprio, c è un eccidio In Africa. E nessuno dice niente. I giornalisti sono molto occupati In questi giorni A filmare e descrivere Il dolore in Israele ed in Palestina. Dell Africa se ne parlerà quando Le sue anime Si saranno spente. Non ci sono i popoli Santi, né i Santi, né i Santi Popoli: c è solo un piccolo pianeta che sta andando a rotoli nello spazio, e c è anche un genere umano che sta perdendo i suoi colori ed i suoi profumi. (ignoto) Alessandra De Liguori Carino II A

15 VIAGGIO ALL INFERNO I deportati venivano ammassati in vagoni merci contenenti dalle 80 alle 120 persone e trasportate fino ai campi in inimmaginabili condizioni igieniche e di vita. I treni fino al 1942 si fermavano nei pressi del lager principale Auschwitz 1, in seguito i binari arrivavano fin dentro al lager Birkenau. Arrivati a destinazione i vagoni venivano scaricati e i prigionieri messi in fila, accolti con queste parole pronunciate per la prima volta da Karl Fritzsch: Non siete venuti in un sanatorio ma in un campo di concentramento tedesco. Da qui non c è altra via d uscita che il cammino del crematorio. Se a qualcuno questo non piace può andare subito contro il filo spinato. Se in un trasporto ci sono degli ebrei, non hanno diritto a sopravvivere più di due settimane, i preti un mese e gli altri tre mesi. Ma in seguito furono adottate delle misure preventive per non seminare il panico e velocizzare le operazioni di scarico e selezione, infatti le SS trattavano i nuovi arrivati con maniere parzialmente gentili. A questo punto, separati gli uomini da donne e bambini e create due file avveniva la selezione tra coloro destinati direttamente alla morte e coloro abili al lavoro. Generalmente solo il 25% di questi aveva la possibilità di sopravvivere, almeno per il momento. I destinati alla morte immediata erano mandati nelle 4 camere a gas di Birkenau. Invece gli abili al lavoro venivano condotti nei bagni dove dovevano consegnare la biancheria e ogni documento. Poi li radevano su tutto il corpo, consegnandogli una casacca e un paio di scarpe. Successivamente venivano registrati: compilavano un modulo con i nomi dei familiari più prossimi. Ricevevano così un numero che sostituiva la loro identità, che veniva tatuato sul braccio sinistro. Questa cifra era anche cucita sulla giacca e sui pantaloni insieme ad un segno di riconoscimento: -un triangolo rosso per i prigionieri politici -un triangolo verde per i criminali comuni -un triangolo nero per gli asociali -un triangolo rosa per gli omosessuali -triangolo viola per i testimoni di Geova che avevano attentato contro l autorità nazista -un triangolo giallo per gli ebrei.

16 Dopo ciò venivano scattate ai prigionieri delle fotografie. Nei campi non c erano servizi igienici e sanitari. Epidemie e fame erano all ordine del giorno. Gran parte dei deportati lavorava per la ditta che produceva il gas, impiegato per sterminare gli stessi. Le condizioni dei detenuti erano disumane. Coloro che passavano la prima selezione andavano incontro ad una sofferenza estenuante, alla privazione della dignità e alla distruzione dell uomo come tale. Spesso un simile peso portava direttamente contro il filo spinato, unico modo per cessare quel supplizio e per raggiungere quel Dio tanto pregato per dei giorni migliori. Scienziati, studiosi, ingegneri e architetti, tra i migliori nel loro campo, hanno inventato e costruito terribili impianti di messa a morte. Il 27 Gennaio 1945 le truppe sovietiche entrano nel campo e lo liberano. Proprio il 27 gennaio, dal 1996, viene ricordato come la Giornata della Memoria. Francesca e Alessandra De Liguori Carino

17 IL SENSO DELLA MEMORIA Sono due mesi che la mia vita è cambiata; quando mi avevano avvertito che sarebbe successo non ne ero così convinta. Ho avuto la fortuna di essere invitata dal Comune di Roma e dalla Comunità Ebraica Romana per partecipare ad un viaggio straordinario con meta Auschwitz per perpetuare la memoria della shoah. Il concetto più difficile da comprendere appieno e da assimilare è stato proprio quello di memoria. Che cos è la memoria? Come fare memoria? Solo lì, a Krakovia, sono riuscita a capirlo: me lo hanno insegnato giorno per giorno tutti coloro che mi hanno accompagnato nel viaggio. I testimoni, sopravvissuti alla deportazione nei campi di sterminio, che hanno riaffrontato i loro più strazianti ricordi perché noi potessimo diventare testimoni a nostra volta; i miei compagni, che hanno saputo ascoltare con un attenzione, un silenzio e un rispetto innaturali per così tanti giovani; tutte quelle persone esperte, sindaco compreso, che hanno trascorso il loro tempo anche fino a notte fonda- a rispondere alle nostre domande, a saziare ogni nostro dubbio e curiosità. Ho così finalmente appreso che tutti noi, cui è stato regalato questo viaggio, siamo stati investiti di un importantissimo compito: raccontare a chiunque quello che abbiamo visto, la sua concretezza, l ingiustizia e l insensatezza di fondo, il dolore. Quello che tutti noi conosciamo grazie alla scuola, ai mass-media, ai libri, ai racconti indiretti non riesce a sconvolgerci e coinvolgerci come invece possono farlo andare sul luogo e ascoltare una persona che lo ha vissuto. È tutto così vero, così evidente e tangibile, ogni cosa perde quell alone di virtualità e immaginazione, per lasciare spazio alla cruda verità. Non è importante, ma necessario ricordare, affinché crudeltà e ingiustizie così atroci non possano mai più ripetersi, affinché l accezione negativa del concetto del razzismo scompaia per sempre, affinché tutti si possano rendere conto del punto cui sono potute giungere la perversione e la pazzia umane. Quindi non sono tempo perso e parole sprecate quelli per rendere possibile la memoria, anzi vi va dedicato ogni istante possibile: ogni occasione, ogni momento sono buoni per raccontare, ricordare o rivivere e per continuare a fare ardere il fuoco di questo ricordo che non si dovrà mai spegnere. Ricordarsi di quelle vittime serve a mantenere memoria delle loro esistenze e del perché esse vennero troncate: finché verrà conservato il loro ricordo vorrà dire che l ultimo anelito di vita di ciascuno di loro non sarà

18 speso invano, che non è stato raggiunto dai persecutori lo scopo tanto agognato, cioè distruggere ciò che consideravano diverso, che ogni nube di fumo sarà salita al cielo con uno scopo, che l incessante attività dei forni può aver bruciato ciò che c era di concreto, ma non ciò che di loro resterà in eterno: la memoria di un passato che serve a costruire un futuro, ci si augura, migliore. Nell archivio della memoria umana si trovano migliaia di orrendi esempi di soprusi e di stragi, ma questa è diversa: pianificata a tavolino per eliminare ogni resistenza, ogni diversità, per soffocare voci dissidenti, idee di eguaglianza, a favore di una razza autoelettasi migliore. È questo il motivo per cui si parla di unicità della shoah. Passeggiando mestamente con i miei compagni per questi luoghi mi è rimasta addosso una strana sensazione: ho sentito le urla, le tante disperazioni, gli ultimi istanti tremendi e solitari perché anche se si muore tutti insieme, in quell istante si è sconfinatamene soli- le infinite urla del silenzio. E i forni di quelle tremende bocche ancora oggi spalancate i cui fumi sono ancora lì, in quel plumbeo cielo che sovrasta i campi, grigio e silenzioso. I fumi sospesi nel cielo, a testimoniare i milioni di anime uscite da quei camini e che non se ne vogliono andare per costringerci a ricordare, sempre, e per sempre, affinché non si perpetui mai più un orrore così sconvolgente che ti si attacca all anima, non se ne va più e contagia anche chi riceve il tuo racconto di viaggio, così come è accaduto alla mia più cara amica. Non dimentichiamo, non sviliamo, non sottovalutiamo, non neghiamo, vietiamoci l indulgenza, continuiamo ad andare, come in pellegrinaggio, in questi luoghi, anche solo con la memoria, anche se non fisicamente. Non concediamo pietà a chi sottovaluta o, addirittura scherza sull argomento. Rigore, rigore per mantenere viva la ferita, come un cilicio degli antichi religiosi, per non dimenticare. Il perdono, poi, sembra impossibile. Ma chi deve veramente perdonare è chi è stato colpito direttamente. A noi spetta il compito di vigilare affinché non accada mai più. Valentina Cominetti II B

19 IL RACCONTO CONTAGIA ANCHE CHI ASCOLTA Di fronte al racconto di fatti così terribili la mia reazione da sempre è rimanere sgomentata. Vivere di persona anche solo il ricordo di un esperienza tanto traumatica è ben diverso dal sentirla raccontare. Ho capito l importanza di quest iniziativa dai resoconti della mia migliore amica. Vedevo nei suoi occhi mentre mi raccontava- scorrere le immagini dipinte a colori vividi dalle sue parole, mentre mi sconvolgeva la loro inaudita violenza e la malinconia che ne traspariva, Immaginavo le grandi montagne di capelli, occhiali, scarpe, che rimarranno a testimonianza un odio feroce. La domanda che si faceva strada nella mia mente era perché tutto questo? Perché tanta violenza?. Come si può privare un essere umano della dignità che gli spetta in quanto tale, semplicemente perché è ritenuto diverso? Non riesco a comprendere perché si debba temere o respingere la diversità, quando essa da sempre caratterizza il mondo, ne costituisce una intrinseca ricchezza, soprattutto mi tormenta l idea che ancora oggi, di fronte a tutto ciò, più di qualcuno possa rimanere indifferente o ancora peggio sminuire o negare una realtà così evidente, anche perché chi l ha vissuta ne porta ancora i segni. Infatti questa offesa rimarrà insanabile in chi l ha vissuta ed eterna tramite i loro racconti. Quello che più sconvolge, a mio avviso, è che di questi uomini non rimane che l ombra, fantasmi che ancora sembrano aleggiare in quei luoghi a ricordare come si può essere privati della propria intima essenza, svuotati dell umanità. Come dice Primo Levi il lager per ridurci a bestia ma anche in questo luogo si può sopravvivere. Mai più i diritti naturali dell uomo dovranno essere violati in questo modo, mai più dovranno essere colpevolizzati individui senza alcun motivo, mai più occhi innocenti dovranno assistere a questi soprusi, e subirli a loro volta, mai più un uomo dovrà essere svuotato di tutto quello che ha e che costituisce il patrimonio del genere umano. Marta Leonardi II B

20 AUSCHWITZ:SONO TRASCORSI DUE ANNI, ORA TOCCA A MIA SORELLA Con l occasione datami dalla mia professoressa di storia, mi ritrovo a intervistare mia sorella sul suo viaggio ad Auschwitz. Eppure non sembravano passati due anni... seduta sulla mia poltrona mi ritrovo a raccontare di nuovo il viaggio che mi portò, ancora sedicenne, nella fredda Polonia, in quell'area di terrore, mistero e morte cui fui dato nome "AUSCHWITZ". Sono seduta davanti a mia sorella, ma la testa è altrove: sto ripercorrendo le vie del ghetto di Cracovia, la piazza centrale, poi d'un tratto un binario sono davanti al cancello di Auschwitz, cammino al fianco di Terracina e Venezia. Il clima è mite, o per lo meno così appare ai miei occhi: contrasta con le immagini dei libri, dove Auschwitz è raffigurato sempre coperto da una folta foschia (il fumo dei camini mischiato all'incessante passaggio dei treni e della loro nera scia). Una giornata serena, il cielo azzurro sopra le nostre teste, non una nuvola. Poi il silenzio. Hanno iniziato a raccontare e ai passi dei testimoni si mischiano ricordi e antiche sensazioni: stanchezza, freddo, fame e soprattutto paura. Quanto sembrava diverso ai loro occhi quell'enorme cancello, simbolo di un circolo vizioso, ovvero della morte che non porta altro che morte, e con essa nuovo dolore. Percorro il binario centrale, e di quella o quell'altra zona ci vengono raccontati aneddoti, storie di vita quotidiana e di morte, oltre alle semplici spiegazioni. Ci sediamo in cerchio, un gruppo di persone adulte ci passa affianco: chissà se loro sanno tutta la verità...si siedono con noi, in silenzio, ed ascoltano storie di uomini e donne e bambini rapiti dalle terre natie per essere trasportati come bestie, e per essere venuti in gabbia, prigionieri di una sorte comune: la morte. La morte, talvolta vicinissima, sino a quasi sentirne l'odore, altre volte lontana, e forse per questo persino bramata. Gli amici vengono meno, e diventano cenere e fumo: poi due immagini di morti, il viaggio di un bambino, simbolo di vita e speranza e l'ira funesta, non del fùrer, ma di un soldato semplice. Poi il sangue caldo del piccolo sporca le mani del carnefice. Ho i brividi, è come se io stessa fossi stata lì in quel momento. Siamo tutti commossi. "Tentativi di ribellione?" domandano curiosi, tutti finiti in tragedia. Amicizie? chiede un altro. Difficile provare affetto quando vieni privato perfino della cosa che più ci riflette,il nostro nome,diventando null'altro che una serie di numeri da imparare. Uno sguardo alle liste dei morti; i nomi possono anche non far rabbrividire, ma l'età si: anni. Ragazzi stroncati, che nella loro vita non hanno

21 avuto modo di conoscere l'importanza del rispetto, di una parola affettuosa, di una carezza, magari il brivido del primo bacio, ne sono stati privati per sempre, e di loro non resta che una matassa di capelli nella stanza affianco, dei giochi rubati, di occhiali, di valigioni pieni di vestiti ma soprattutto di speranza. Alzo lo sguardo, torno in camera mia; mia sorella mi sta ancora fissando. Ci sono riuscita, ho esaudito la loro richiesta: "ho passato il testimone". Mi torna in mente la dedica di "se questo è un uomo " di Primo Levi: "Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi, ripetetele ai vostri figli. o vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi ". (Primo Levi)

22 Solo a giugno mi ero trovata a riflettere su queste parole e quindi mi chiedo se questo è un uomo. Se questo che dal bisogno incontenibile di far sapere, di testimoniare per non dimenticare, arriva al suicidio; se questo che lavora nel fango, lotta per mezzo pane, muore per un si o per un no. E QUESTO UN UOMO? Voglio saperlo e ripeto è questo un uomo? Colui che ormai incapace di scacciare i fantasmi del passato, preferisce la morte? È questo un uomo? Denutrito, assetato, denudato come una bestia, deportato in vagone merci, rasato, tatuato a fuoco sulla pelle viva e poi rinchiuso in un recinto sottomesso alle polveri e alle ceneri dei suoi compagni che rendono quell'aria ancora più pesante e affaticano il respiro. E poi ancora privato della propria cultura, della libertà di pensiero e di parola e più di ogni altra cosa del proprio nome, e con esso della propria dignità. È questo l'uomo nuovo, l'uomo del ventesimo secolo? A voi il potere e sopratutto il dovere di riflettere... Ludovica Nola I B

23 IL GIORNO DELLA MEMORIA La storia del genere umano ha conosciuto innumerevoli eccidi e stermini. Quello attuato in Europa nel Novecento contro gli ebrei è differente dagli altri per le sue caratteristiche di radicalità. Shoah è un vocabolo ebraico che significa catastrofe, distruzione. Esso è sempre più utilizzato per definire ciò che accadde agli ebrei d Europa dalla metà degli anni Trenta al 1945 e in particolar modo nel quadriennio finale, caratterizzato dall attuazione del progetto di sistematica uccisione dell intera popolazione ebraica. Ricordarsi di quelle vittime serve a mantenere memoria delle loro esistenze e del perché esse vennero troncate. E la memoria di questo passato serve ad aiutarci a costruire il futuro. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giornata della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del Giorno della Memoria, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere. Una domanda mi torna spesso alla mente quando penso a tutto ciò e non trova risposta: Come poterono degli uomini concepire una malvagità tale? Come poterono i nazisti essere tutti convinti che questo era giusto? Uomini, donne, bambini privati della loro dignità, del loro essere uomini, mutilati, torturati, bruciati, resi oggetto di una grande catena di montaggio che aveva come stadio finale la cremazione dei loro corpi, ma soprattutto privati dell anima, della volontà di vivere!

24 Auschwitz. Una parola che evoca timore, orrore. Si parla tanto di quello che è successo, si possono leggere le testimonianze dei sopravvissuti, ma, come capita per molte cose, è vedere che aiuta veramente a rendersi conto. L impressione che può fare rende solo vagamente l idea di quello che dovevano provare i prigionieri. Apprendere notizie sull Olocausto non può non far sorgere una domanda: perché, qual è il senso di tutto questo? Non si può dare una vera risposta, ma come recita una lapide posta a Birkenau: Grido di disperazione ed ammonimento all umanità sia per sempre questo luogo, affinché nessuno possa dimenticare e non si ripeta mai più. Enrico Armanni I B

25 ZIO ALFREDO: ANDIAMO VIA DALL ITALIA FINCHÈ SIAMO IN TEMPO Parole di una nonna sopravvissuta, stanca della sua verità nascosta. Zio Alfredo l aveva detto tante volte: <<Andiamo via dall Italia finche siamo in tempo>>. Il varo delle leggi razziali nel 38 era un segnale chiaro per gli ebrei. Tutto non sarebbe stato come prima: Hitler e Mussolini avevano deciso di giocare con il genere umano come fa il gatto con il topo. Gli altri delle famiglie, con il nonno Giosuè in testa, pensavano che i due tiranni si sarebbero fermati davanti ad una tragedia tanto mostruosa quanto inutile, su pressione anche delle potenze democratiche del mondo. Ma non fu così. Subito dopo la promulgazione delle leggi razziali da parte del re, il negozio di tessuti di Zia Maria in Piazza del Popolo fu preso d assalto da una squadraccia fascista e fu dato alle fiamme. Fu questo l atto decisivo che convinse mio padre e mia madre a partire. Con un mezzo di fortuna, un camion carico di biciclette, la mia famiglia si portò a Madrid e da lì con un aereo andammo in Argentina, a Buenos Aires, dove avevamo dei parenti che avevano una grande fattoria con allevamento di mucche e cavalli. Stavamo in Argentina quando scoppiò la guerra e l Europa divenne un campo di sterminio, dove l umanità entrava in un tunnel di sangue senza fine. I parenti che erano rimasti in Italia non ci facevano mancare le notizie di tutto quello che accadeva nel nostro paese. Zia Maria morì per un colpo d arma da fuoco in una retata dei tedeschi nel quartiere del ghetto. Zio Alfredo ed i suoi figli Laura e Pietro furono portati in Polonia in un campo di concentramento: vide l alba del ritorno solo Pietro. Noi rientrammo nel gennaio del 1946 quando l Italia voltava pagina e il fascismo era ormai finalmente sepolto. Il popolo e la nazione tutta potevano sperare in un futuro migliore. E stato un sopruso, una vergogna, un oltraggio alla dignità umana..l orgoglio è andato perduto e la paura ha preso possesso dei cinque sensi: paura di essere scoperti, paura della morte, paura della stessa vita, paura di non essere accettati e oggi paura di ricordare.

26 Parole che lasciano testimonianze e segni diversi per tutti. Al di là della sofferenza, della vergogna, del male nato e vissuto nella seconda guerra mondiale costruiamo un futuro migliore sulla separazione ed elaborazione di questo avvenimento di tragicità enorme che mai nella storia di ogni persona si vorrà o si potrà dimenticare. Un male che nessuno mai si augurerà, ma che hanno creato i nostri progenitori manipolati da un dittatore e dalla sua follia umana. Segno di una degenerazione e perdita di valori che hanno dilaniato il mondo. Troppo, assurdo, inverosimile! E stata prefissata una data, 27 Gennaio per ricordare l orribile notte della storia in cui furono uccisi tanti di quegli ebrei che la mente umana fatica ad accettare. Una data per farci capire che anche dimenticare è un crimine. Maria Romana Mongiello I B

27 GIULIANA FIORENTINI: IL MANIFESTO DEGLI SCIENZIATI RAZZISTI Giuliana Fiorentini, una donna ebrea scampata alla deportazione, ex professoressa di italiano, che, riuscendo a sfuggire la deportazione, ha vissuto in prima persona le vicende che hanno riguardato la persecuzione ebraica. Raccontami di quando è cominciato tutto e di come vi siete accorti che la situazione stesse diventando grave. Le prime avvisaglie della discriminazione verso noi Ebrei ci furono quando venimmo cacciati dalle scuole perché considerati inferiori. Le maestre divennero razziste ed anche i compagni di scuola ci videro in modo diverso, ricordo per esempio mia cugina scacciata da un giorno all altro dalla sua migliore amica perché considerata sporca ebrea. Allora si dovette organizzare una scuola privata ebraica pomeridiana (nell edificio dell Umberto, oggi diventato Omni Comprensivo), dato che la legge non poteva impedirci di andare a scuola privatamente, con professori in maggioranza ebrei. La situazione peggiorò quando l 8 settembre 1943 i nazisti, che parlavano di soluzione finale senza che noi potessimo capire di cosa si trattasse, presero in mano la situazione. Una grande speranza fu per noi quando i nazisti chiesero alla comunità ebraica cinquanta chili d oro per lasciarci vivere. Ad onor del vero il Vaticano si offrì di completare il peso in caso di difficoltà ma non ce ne fu bisogno. Dopo qualche giorno dal consegnamento della cifra prestabilita ed esattamente il 16 ottobre cominciarono i rastrellamenti. Alcuni di noi non se ne preoccuparono molto, ad esempio mio zio, il quale sosteneva che lo avrebbero lasciato stare perché di un vecchio non se ne sarebbero fatti nulla, o come la famiglia Mortera che scappò di corsa solo nel momento in cui vide prendere i vicini di casa. Per fortuna il Monsignor Martini avvertì la mia famiglia e scappammo a Fiuggi, ma, quando verso dicembre cominciarono a sospettare di noi, tornammo a Roma dove io e mia madre ci rifugiammo presso il convento di suore di Santa Dorotea mentre mio fratello minore, poi morto di meningite, e mio padre presso Nostra Signora di Sion. L altro mio fratello invece andò in montagna con i partigiani dove faceva l ufficiale di collegamento. Comunque la massa degli ebrei venne presa dal ghetto con treni che partivano dalla Tiburtina. All interno di questi treni, che più che treni erano carri bestiame in cui chi era a bordo nemmeno poteva bere. Mia sorella venne deportata e suo figlio piccolissimo morì proprio a

28 bordo di uno di questi treni. A Roma venne addirittura affisso il MANIFESTO DEGLI SCIENZIATI RAZZISTI in cui alcuni scienziati spiegavano la superiorità degli ariani e l inferiorità di noi ebrei. Gli ebrei venivano uccisi, oltre che negli altri modi, anche nelle camere a gas con il gas EPALON Z tra atroci dolori e i tedeschi avevano degli oblò per guardarli contorcersi. I corpi venivano trasportati da altri ebrei per una doppia razione di brodaglia. Tutte le atrocità commesse nei campi di concentramento vennero alla luce quando nel 1945 i russi invasero la Polonia, e vennero alla luce tutti gli schedari in cui i Tedeschi scrivevano tutto, e praticamente si sono fregati con le proprie mani proprio per questo motivo. Dalle testimonianze di noi ebrei vivi ancora oggi (circa settanta) è nato il libro Ora mai più realizzato in collaborazione con la scuola Omni Comprensivo di via Cassiodoro in cui anche bambini molto piccoli, tramite vignette, esprimono i propri pensieri sull argomento. Raffaele Lottini I B

29 MA TU DIO DOVE STAVI? Da Cracovia percorriamo in auto circa 70 km per arrivare ad Auschwitz, facciamo a piedi gli ultimi metri su una strada non asfaltata e polverosa Si vedono qua e là alberi verdi,ma radi,poi finalmente giungiamo al tristemente famoso cancello su cui si legge in tedesco il motto IL LAVORO RENDE LIBERI. Entriamo, abbiamo davanti separati da una strada non asfaltata due gruppi di edifici in cemento, uno a destra, l altro a sinistra: sono bassi (a due piani) ed abbastanza ben conservati sia all esterno che all interno. Sono ormai Musei ed ognuno di essi conserva le tragiche testimonianze della follia nazista. All interno, in grandi bacheche appaiono incalcolabili quantità di oggetti come occhiali, scarpe, valige, protesi, capelli (tutti di colore biondo grigiastro, perché disinfettati), un gran rotolo di stoffa tessuta con quei capelli, e ancora indumenti piccolissimi di bambini e neonati. La conservazione di questi blocchi abbastanza decorosa è dovuta al fatto che gli edifici, in origine, erano caserme dei polacchi e solo in un secondo momento, furono trasformati in campi di concentramento. Vi sono stati rinchiusi uomini e donne di tanti paesi: polacchi (quanti!), cechi, iugoslavi, francesi, austriaci, tedeschi, zingari, ebrei (per giungere alla soluzione finale) ed altri. Nella loro atroce realtà, i singoli blocchi appaiono in ordine, terribilmente netti e levigati (troppo) senza alcuna traccia delle atrocità e delle violenze che vi sono state compiute. Nessun graffito sui muri, nessun segno particolare sui pavimenti, nessun elemento che rievochi le sofferenze, le torture di quella povera umanità devastata nell animo e nel corpo. È tutto alquanto asettico, meticolosamente sistemato e ben conservato. Camminiamo ancora, inoltrandoci interamente nel Campo vediamo il muro della morte dove avvenivano le fucilazioni, le torrette delle sentinelle, i resti delle camere a gas e dei forni crematori. Poi chilometri e chilometri di filo spinato Io cammino domandandomi coma possa essere accaduta una tragedia così immane e come il resto dell Umanità, sapendo o solo sospettando, abbia potuto tacere.

30 Lasciamo Auschwitz e proseguiamo in auto per due o tre chilometri fino a Birkenau. Qui una foschia grigia avvolge tutto il paesaggio fa freddo, sento ancora di più la tragedia vissuta da quella umanità innocente. Le baracche, questa volta, sono di legno, distanti una dall altra e il perdono nell estensione dell immensa pianura, priva di alberi, ma verde. In questo paesaggio fosco e surreale il mio sguardo è come calamitato da una cosa sola: un binario che nella sua lunghezza arriva lontano, molto lontano, presso un cumulo di macerie: il resto delle camere a gas e dei forni crematori semi distrutti dalle S.S. prima di fuggire. Sul binario, come un fantasma, è fermo un vagone di un carro bestiame da cui discendevano le future vittime per essere dirottate verso le docce. Il silenzio, il paesaggio cupo quasi irreale, l atmosfera evocatrice solo di morte, mi attanagliano l anima e nei miei occhi scorrono le immagini di una dolente umanità che si avvia, inconsapevole, ad una tragica fine dell esistenza Sono tante persone: uomini, donne, anziani, bambini ma ecco tra loro vedo mia sorella con i suoi bimbi cammina lentamente,bella,bellissima,disperata e piangente incontro al suo atroce destino E nel mio cuore mi faccio la domande che Primo Levi si pose: MA TU DIO DOVE STAVI? Raffaele Lottini I B

31 ELVIRA DE RITA: 8 settembre 43 ORA COMINCERà LA GUERRA VERA Come hai saputo dello scoppio della guerra? Essendo io figlia di un ufficiale superiore dell esercito, avevo gia la sensazione che la guerra stesse per scoppiare. Quindi non mi sorpresi molto quando il 10 giugno del 1940 sentii che Mussolini dichiarava la guerra alla Francia e all Inghilterra. Ci spaventammo molto però, perché quello stesso giorno sentimmo l urlo delle sirene. Alcuni aerei francesi sorvolarono la città e ci inondarono di volantini. Fu la prima triste esperienza delle sirene di allarme che spesso, purtroppo, avremmo dovuto sentire in seguito. Ti ricordi che dicevano i volantini? No, non con precisione. Ma certamente erano dei volantini che accusavano gli italiani di essere entrati in guerra in modo proditorio. Come cambiò la tua vita dopo quella dichiarazione? Cambiò del tutto. Si cominciò mano mano a soffrire il freddo, a patire per la mancanza di cibo, per la mancanza di trasporti, per la mancanza di qualunque tipo di agio della vita normale. Ci sottoposero a periodi di coprifuoco. Quando ci si ritirava bisognava stare attenti che non trasparisse il minimo della luce. Insomma si cominciò veramente a capire che cosa sono i sacrifici e cos è la paura. Ti mancò il cibo in quegli anni? Certamente, si andava a caccia nei mercati di qualche cosa da poter comprare e molto spesso la cena era costituita da una patata bollita con un pezzo di pane nero. Hai avuto mai contatti con una famiglia ebrea? Ho avuto una compagna di classe, nel 1941, mentre frequentavo il primo liceo. Da noi tutti era trattata alla pari di chiunque altro, ma l anno successivo non frequentò più il nostro corso. Come mai?

32 Sapemmo che era partita con la sua famiglia per una destinazione ignota. E non la ho mai più vista. Ricordi altri episodi che ti colpirono della seconda guerra mondiale? Mi ricordo del bombardamento di Roma avvenuto il 19 luglio del Io stavo andando al mio primo appuntamento galante. Stavo andando in via Veneto dove dovevamo prenderci un caffè. Ma mentre ero sull autobus, alle ore 11, l urlo delle sirene ci costrinse tutti a scendere, e io corsi al riparo in un portone. Iniziò il bombardamento che produsse 2000 o 3000 morti al quale poi ne seguì un altro il 5 agosto, meno rovinoso del primo. Un altro ricordo angoscioso è quello del 23 marzo del 1944 quando in via Rasella ci fu un attentato durante il quale morirono 32 militari tedeschi. Esisteva la legge marziale in cui si sapeva che ci sarebbero state delle rappresaglie ed eravamo tutti atterriti in attesa della tremenda sentenza che puntualmente arrivò. I muri di Roma furono tappezzati di manifesti nei quali veniva comunicato che il comando tedesco, a seguito dell attentato subito, avrebbe messo a morte 10 cittadini italiani incarcerati per ogni soldato morto. Hai qualche ricordo gioioso, per quanto era possibile in quei giorni? No. Non ho nessun ricordo gioioso. Anche perché l 8 settembre del 1943 quando fu dichiarato l armistizio e la gran parte delle persone gioì, io che avevo il papà ufficiale non potetti unirmi alla gioia comune perché egli disse ora comincerà la guerra vera. Aveva perfettamente ragione. Inoltre tantissimi amici e coetanei al fronte o nelle fila partigiane venivano a mancare. Quindi si avevano notizie di lutti e rovine continuamente. M. Gloria Gallotti I B

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