Spunti in tema di danno non patrimoniale, con particolare riferimento al danno da morte, ad uso dei corsisti leccesi

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1 Spunti in tema di danno non patrimoniale, con particolare riferimento al danno da morte, ad uso dei corsisti leccesi

2 L evento morte e le sue conseguenze sul piano risarcitorio Ci chiediamo quali effetti giuridici conseguano, sul piano del risarcimento danni, alla morte che sia conseguenza della condotta illecita di un terzo. È qui il caso di fare riferimento, da subito, all intervento delle Sezioni Unite, 11 novembre 2008, n considerando, preliminarmente, come con l ordinanza, 25 febbraio 2008, n la terza sezione civile della Suprema Corte abbia posto, tra gli altri, il quesito relativo al diritto da applicare in ordine a quella peculiare categoria di danno cd. "tanatologico" (o da morte immediata) ciò in quanto la risarcibilità di esso, pur costantemente esclusa dalla giurisprudenza tanto costituzionale quanto di legittimità, aveva comunque ricevuto un primo, espresso, riconoscimento, sia pur a livello di mero obiter dictum, con la sentenza n /2006 della terza sezione della Suprema Corte. Le Sezioni Unite non danno una risposta espressa a tale quesito per quanto affermino che solo a fini descrittivi, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale. E solo come mera sintesi descrittiva devono essere intese, cioè, le distinte denominazioni di danno morale, di danno biologico, di danno da perdita del rapporto parentale. Secondo le Sezioni Unite, ancora, vi sono, in assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale che sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. Questa ipotesi si realizza (v. punto 3.4.2) in due casi che la Corte riporta ad esempio, e cioè: - nel caso dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio (in questo caso, secondo le Sezioni Unite, il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica); - nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). Ricorrendo questo caso vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno. I cd. danni di rimbalzo Prima di addentrarci nel vivo della tematica inerente alle poste risarcitorie conseguenti all evento morte dobbiamo soffermarci su una tematica qui di particolare interesse, ovvero quella dei cc.dd. danni di rimbalzo, o di riflesso. In estrema sintesi, la questione consiste in questo. Alcune condotte umane (prima fra tutte quella omicida) producono una pluralità di effetti lesivi che spiegano la loro efficacia anche in danno di soggetti diversi dal danneggiato diretto ed originario. È innegabile, invero, come un rapporto qualificato di tipo naturale, e a rilevanza giuridica (quale può essere un rapporto affettivo, parentale ma anche patrimoniale), legittimi ad avanzare richiesta risarcitoria soggetti differenti dalla vittima primaria. Ed è calzante proprio l esempio dell omicidio essendo innegabile come il soggetto ucciso nulla possa chiedere a risarcimento danni che spetterà invece ad una cerchia, più o meno ampia, di terzi soggetti. Si parla, in questi casi, di danni cc.dd. riflessi o da rimbalzo, poiché secondo alcuna dottrina - ricadono negativamente sulla sfera giuridica di terzi solo in modo indiretto, attraverso la mediazione della vittima primaria.

3 In giurisprudenza, la risarcibilità di questa categoria di danni non è stata sempre pacifica, ma questo è un apsetto ormai superato abbracciandosi, da parte della giurisprudenza di legittimità, la ricostruzione più ampia dell art c.c.. Ed allora, si può qualificare l evento morte come plurioffensivo, in quanto causa, ad un tempo, l estinguersi della vita della vittima e il cessare del rapporto parentale con i congiunti, i quali, a loro volta, rimangono lesi nell interesse all intangibilità della sfera degli affetti reciproci e alla scambievole solidarietà che connota la vita familiare (rilevano quindi gli artt. 2, 29 e 30 Cost., nonché gli artt. 143, 147 e 315 c.c.). Dal canto suo, la dottrina aveva ricondotto già da tempo il nesso di causalità tra fatto e danno alla disciplina dettata dagli artt. 40 e 41 c.p., delegando all art.1223 c.c. la funzione di individuare i danni da risarcire, limitando solo a questi la responsabilità del danneggiante. Il criterio usato è quello della causalità pura, che prescinde dalla circostanza che l autore dell illecito abbia, o meno, previsto il verificarsi dell evento dannoso. In quest ottica, si può parlare di conseguenze immediate e dirette in relazione a quelle che, secondo un criterio di normalità e regolarità (l id quod plerumque accidit), derivano da un certo comportamento. Tale ricostruzione è coerente anche all assetto normativo: l art 2056, infatti, nell individuare le regole applicabili alla responsabilità aquiliana, rinvia agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., lasciando escluso l art.1225 c.c. rubricato prevedibilità del danno. I danni da rimbalzo tradizionalmente sono stati classificati secondo tre categorie: - danno riflesso patrimoniale (cioè i danni subiti da chi beneficiava di un contributo economico da parte della vittima diretta dell illecito); - danno riflesso morale (comprende le ipotesi di sofferenza di carattere psicologico e del turbamento emotivo transeunte o stabile, proprie di chi, a causa dell illecito, subisce la perdita di una persona cara, con la quale aveva un legame affettivo particolarmente stretto); - danno riflesso biologico (comprende i casi in cui la sofferenza del congiunto non si esaurisce in un semplice turbamento transeunte, ma si trasforma in una più grave menomazione dell equilibrio psicofisico). Dopo l intervento delle Sezioni Unite n /2008 non è più possibile accedere tout court ad una tale partizione per il fatto che in tale sentenza al danno morale quale sofferenza subiettiva viene fatta percorre, definitivamente, la via del tramonto salvo consentire al giudice di poter correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. In tal modo, secondo le Sezioni Unite, viene evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata, o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita, e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura. In altre parole, secondo le Sezioni Unite, una sofferenza psichica di massima intensità, anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Avremo modo di soffermarci più avanti su questo passaggio della sentenza, qui ora occorre ricordare come secondo la Corte si determina una duplicazione di risarcimento ove il giudice proceda alla congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale. Ciò in quanto, secondo la Corte, la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato. I danni patrimoniali conseguenti all evento morte

4 Rientrano innanzitutto le spese funerarie conseguenti direttamente all illecito commesso che gravano sugli eredi della vittima e che rappresentano danni patrimoniali sofferti iure proprio. Quando si parla di spese funerarie si fa riferimento ad una nozione comprensiva non solo di quelle necessarie ad effettuare le esequie, ma anche di quelle che vengono sostenute in circostanze del genere (es. fiori, telegrammi, viaggi ) e vanno trattate come debito di valore e non di valuta. Normalmente, chi ha sostenuto le spese funerarie ha difficoltà a recuperare le fatture corrispondenti agli esborsi sostenuti, analogamente a quanto capita a chi ha pagato le spese mediche per curare le lesioni che hanno, poi, causato la morte del ferito. In questi casi, la giurisprudenza ammette il risarcimento per equità, ex art c.c., richiamato dall art c.c. per la valutazione dei danni da illecito extracontrattuale. Tra i danni patrimoniali riflessi, una cospicua casistica riguarda i danni derivanti dalla perdita del contributo economico sostenuto dal danneggiato a vantaggio di terzi, in virtù di un legame familiare, affettivo o contrattuale. In questo caso è sufficiente per chi agisce allegare quale fosse l attività svolta dal defunto e dimostrare, secondo la regola di cui all art c.c., il nesso di causalità tra la morte del danneggiato e il danno subito dal terzo (parente, convivente o debitore) che vede venir meno il contributo economico apportato dalla vittima. Ancora più agevole la prova in caso di morte del genitore, o del coniuge. Ciò in quanto per questi soggetti è la legge stessa ad imporre, come noto, specifici obblighi di contribuzione e collaborazione. Sul punto, però, sono necessarie alcune precisazioni. Secondo l orientamento consolidato della giurisprudenza, in relazione ai familiari, la liquidazione dei danni può essere effettuata per presunzioni. Cioè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione i danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che - sia in relazione ai precetti normativi (art. 143, 433 c.c.), sia per la pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà e di costume - il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l'aspetto del lucro cessante. Il loro risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge. La prova del danno può dirsi raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno. Non sono mancate, tuttavia, in presenza di situazione del tutto peculiari, pronunce giurisprudenziali che negano al coniuge superstite il risarcimento del danno patrimoniale riflesso. Nella liquidazione del danno da morte, può essere considerata anche l aspettativa dei superstiti di beneficiare degli eventuali risparmi che il defunto avrebbe accumulato con la parte di reddito non destinato a proprie spese o alla famiglia, se fosse rimasto in vita. Questo tipo di aspettativa si àncora certamente al sentimento affettivo che lega i familiari e alla consuetudine sociale, che vede la prassi di destinare alle persone care quanto risparmiato. Inoltre, è dedotta anche dall istituto della successione necessaria prevista e regolata dal codice civile, che impone che quanto rientra nel patrimonio della persona venga trasmesso agli eredi legittimi. Tuttavia, è piuttosto arduo fornire la prova del danno da perdita del godimento dei risparmi del defunto, poiché essa si base su più giudizi probabilistici. Ciò perché, innanzitutto deve dimostrarsi che il coniuge rimasto ucciso dall illecito civile, sarebbe comunque morto prima del coniuge sopravvissuto, altrimenti non può essere allegata alcuna perdita.

5 E anche quando si giunga ad una ragionevole conclusione, occorre accertarsi che l ammontare del danno che residui con sia irrisorio: nel caso in cui si alleghi una malattia del coniuge vittima di illecito, infatti, se ne deve dedurre non solo la probabile premorienza, quanto anche la minore aspettativa di mettere da parte un pò di risparmi. In questo tipo di indagine, non possono poi trascurasi altre valutazioni: per esempio, i coniugi avrebbero potuto decidere di separarsi o di divorziare, e solo nel primo caso residuerebbero aspettative ereditarie. Gli artt. 548 e 585 c.c., infatti, stabiliscono che il coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato, mentre quello cui la separazione è stata addebitata ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. Nel caso di divorzio, al contrario, le aspettative sarebbero azzerate. In secondo luogo, chi volesse ottenere il ristoro del mancato godimento dei risparmi del coniuge premorto, dovrebbe dimostrare altresì che quelle somme sarebbero state rivolte a beneficio del coniuge o, comunque, della famiglia. Infine, si deve procedere alla quantificazione del risarcimento, calcolando anche l aumento costante del costo della vita, la composizione della famiglia, che, se numerosa, non permette ampi margini di risparmi, ma anche comprensiva di un incremento per futuri miglioramenti della carriera, se fosse proseguita. Il calcolo potrà effettuarsi secondo i criteri dettati in tema di perdita di chance, che consiste nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell'attività lavorativa, ed è risarcibile nei limiti in cui si tratti di un danno certo (anche se non nel suo ammontare), consistente nel danno emergente da perdita di possibilità attuale e non di un futuro risultato. Meno complicato è l accertamento nell ipotesi in cui si tratto di aspettative ereditarie del figlio poiché, in questo caso, le probabilità di ereditare i beni del genitore sono superiori, in quanto normalmente accade che il figlio sopravviva ai genitori (senza dimenticare, poi, che i diritti ereditari della prole sono necessari). Tra l altro, il danno derivante da morte del genitore è risarcibile anche dopo che il figlio abbia raggiunto la maggiore età, a nulla rilevando la sua idoneità a svolgere un lavoro e può essere riconosciuto anche a vantaggio del figlio che, al momento della morte del padre era concepito, ma non ancora nato (poiché non è necessario che il fatto illecito e il danno ingiusto siano contemporanei, potendo anche essere separati nel tempo). Infine, sembra opportuno soffermarsi su un ipotesi particolare: quella delle nuove nozze del coniuge superstite. Nel caso del coniuge sopravvissuto che contragga nuove nozze, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che non si possa dare luogo a compensatio, poiché il danno da morte e le nuove nozze, dalle quali discende un vantaggio economico, non hanno la loro fonte nel medesimo fatto, quello illecito, ma sono collegate in maniera solo casuale. Tuttavia, il risarcimento del danno da morte del primo coniuge non può garantire un tenore di vita più alto di quello di cui godeva il coniuge superstite in costanza del primo matrimonio. Cosicché, nel liquidare il danno, al momento della sentenza e non del verificarsi dell evento lesivo, il giudice dovrà tener conto delle nuove condizioni economiche del coniuge passato a nuove nozze. In definitiva, le nuove nozze svolgono una funzione limitativa del danno. È principio ormai ampiamente accolto quello secondo il quale anche il lavoro svolto dalla moglie casalinga consiste in un contributo alla famiglia economicamente valutabile, che si trasforma in una utilità e che, in quanto tale, è risarcibile come danno patrimoniale.

6 Problemi diversi pone, invece, il risarcimento del danno patrimoniale riflesso successivo alla morte del figlio. Anche in questo caso occorre effettuare valutazioni prognostiche, che risultano più complesse, dal momento che, secondo l id quod plerumque accidit, la premorienza del figlio al genitore è ipotesi meno comune. Due sono gli aspetti da prendere in considerazione: - il primo, riguarda il dovere che grava sulla prole di versare gli alimenti al genitore che si trovi in stato di bisogno; - il secondo è relativo alla probabilità che il figlio avrebbe potuto contribuire ai bisogni familiari, una volta cominciato a lavorare. Per quanto riguarda l obbligo alimentare, va precisato che la sola allegazione della morte del figlio non è sufficiente ai fini della condanna a risarcire il danno relativo. Infatti, il diritto dei genitori ad ottenere gli alimenti non sorge automaticamente dal fatto dell esistenza di prole, ma in presenza dei presupposti previsti dalla legge (e cioè lo stato di bisogno dell'avente diritto e la sua incapacità a provvedere al proprio mantenimento; art. 438, I, c.c.). L accertamento di questi elementi può essere effettuata solo mediante criteri probabilistici, deducendo dai fatti noti quello noto. In quest ottica, è chiaro che il ragionamento non può avere origine dalla morte del figlio, che con il sorgere dell obbligazione alimentare non ha alcun nesso, quanto da quelle circostanze in presenza delle quali è legittimo ritenere che i genitori si sarebbero trovati in una situazione di difficoltà e che nessun altro obbligato prima del figlio avrebbe potuto provvedere alle loro necessità. Risulta, pertanto, insufficiente riferirsi alla generica possibilità che in futuro il figlio avrebbe percepito un reddito, dovendosi, invece, dedurre questa conclusione dalla condizione economica dei genitori e dalla loro aspettativa ad un trattamento pensionistico, dalla loro età e da quelle del figlio, nonché dalla entità del reddito che il figlio avrebbe prevedibilmente percepito. La giurisprudenza è univocamente d accordo nel negare il risarcimento del danno patrimoniale ai congiunti, quando sia accertato che la vittima dell illecito, sebbene percepisse reddito, non versava alcuna utilità economica a vantaggio del nucleo familiare e, presumibilmente, avrebbe fatto lo stesso in futuro. Più critica è l individuazione del criterio per calcolare quale sarebbe stato il reddito della persona che, al momento della morte, ancora non ne percepiva. In proposito, devono essere prese in considerazione tutte le circostanze di fatto che sottendono ad una determinata situazione, senza limitarsi ad un unico aspetto, il quale, tra l altro, non è da solo idoneo a supportare il calcolo dell ammontare del danno verificatosi. Per questa ragione, si deve ritenere che quello della professione paterna non può che essere un indice dell esame prognostico, che deve essere collegato ad altre valutazioni, quali, ad esempio, il corso di studi già compiuto dalla vittima, le sue soggettive attitudini ed inclinazioni, le concrete possibilità di occupazione nell'ambito di una attività a conduzione familiare o nell'alveo di un panorama più ampio offerto dal mercato del lavoro. Il risarcimento del danno in esame, comunque, può essere limitato tutte le volte in cui il pregiudizio economico eventualmente subito dai parenti della vittima è, comunque, compensato, in tutto o in parte, dalla cessazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione del figlio ricadenti sui genitori ed ancora non completamente adempiuti al momento del decesso. Le conseguenze sottese alla morte del debitore Perché si possa ritenere leso il credito, con conseguente responsabilità extracontrattuale del terzo, è necessario che, per effetto della condotta di questi, la prestazione dovuta sia perduta in maniera definitiva. In caso contrario, infatti, potrebbe parlarsi solo di inadempimento, con conseguente responsabilità contrattuale di una delle parti.

7 L impossibilità ad adempiere può essere o un effetto automatico della condotta del terzo (per esempio, nel caso in cui questi abbia distrutto il bene dedotto in prestazione) ovvero quando provochi la morte del debitore della prestazione, pregiudicando così definitivamente il diritto del creditore ad ottenere la prestazione medesima. risarcimento del danno patrimoniale purché il soggetto ucciso ricoprisse cariche di tipo dirigenziale). I danni biologici riflessi Per danno biologico (o danno alla salute), si intende la lesione dell integrità psico-fisica, medicalmente accertata, considerata in sé e per sé, dunque non correlata a valutazioni patrimoniali, ma relativa alla sfera non patrimoniale dell individuo. Si tratta di un danno suscettibile di valutazione economica, ma che prescinde dall esistenza di reddito percepito dalla vittima (in questo senso, si parla di danno areddituale). Il danno biologico non si esaurisce in un semplice patema d animo o in angoscia transeunte, ma il trauma subito deve aver inciso profondamente sull equilibrio psico-fisico della persona, tanto da generare in lei un trauma permanente. Il danno biologico riflesso a favore dei congiunti è stato pacificamente riconosciuto solo a partire dalla nota sentenza della Corte Costituzionale del 27 ottobre 1994, n. 372 in cui si è ammesso il diritto dei prossimi congiunti a vedersi riconosciuto il risarcimento del danno biologico a titolo personale, purché sia fornita la prova del sorgere di una lesione all integrità psico-fisica. Il danno alla salute, infatti, deve essere sempre risarcito, dal momento che riguarda un bene fondamentale, la cui tutela è prevista anche dalla Costituzione; ma non esistono danni in re ipsa, che coincidono, cioè, con la lesione di un bene. Al contrario, qualsiasi danno, per essere risarcito, deve essere conseguenza dell illecito patito, secondo la regola di causalità di cui all art c.c.. Il danno biologico, secondo l orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, deve essere provato con documentazione sanitaria, rimanendo preclusa la prova per presunzioni. È stato osservato, infatti, che la scienza medica è l unica in grado non solo di stabilire l esistenza di una patologia, ma, altresì, di accertare il nesso di causalità tra l insorgenza della patologia e la morte del congiunto. D altronde deve ritenersi che la morte di un congiunto, per quanto forte potesse essere il legame con il richiedente, non sia automaticamente luogo al risarcimento del danno, escludendosi l ammissibilità di una prova per presunzioni, quale quella dello status di familiare, dal momento che, se è normale che la perdita di una persona cara determina l insorgere di una sofferenza, anche incommensurabile, non è detto che, secondo un criterio di regolarità causale, ne derivi anche una malattia. La giurisprudenza, con orientamento pacifico, riconosce la possibilità di accertare il danno biologico per mezzo di consulenza tecnica d ufficio. Normalmente, in realtà, tale mezzo di prova è finalizzato alla valutazione di fatti già acquisiti al processo. Tuttavia, può costituire fonte oggettiva di prova se utilizzata per accertare situazioni di fatto che sono rilevabili solo ricorrendo a determinate cognizioni tecniche. Pertanto, nei casi in cui il giudice non riesca a pervenire ad una conclusione congruamente motivata, è tenuto a ricorrere anche alla consulenza tecnica. Il risarcimento del danno biologico non può essere negato nel caso in cui il soggetto che assume di essere stato leso sia già affetto da una sindrome di tipo psichico. Quando si parla di danno biologico da morte, in definitiva, si finisce con indicare due diverse fattispecie. Da un lato, il danno biologico iure hereditario, in cui viene in esame la trasmissione - dal patrimonio del de cuius a quello degli eredi - del risarcimento del danno patito dal primo, dall altro lato il danno biologico iure proprio riguardante la pretesa risarcitoria fatta valere, in via autonoma, dai congiunti della vittima, per aver sofferto un pregiudizio alla salute in seguito alla morte della persona a loro cara.

8 Come innanzi già accennato, il danno biologico è trasmissibile iure successionis solamente qualora tra le lesioni e la morte della vittima sia intercorso un apprezzabile lasso temporale, escludendosi, dunque, l ipotesi del decesso avvenuto istantaneamente o, comunque, subito dopo l evento lesivo in quanto la morte istantanea impedisce che la vittima possa patire quei disagi connessi alla propria ridotta efficienza e possa avvertire un effettivo pregiudizio. Ai fini della determinazione del danno biologico da risarcirsi in favore degli eredi si deve conto della durata effettiva della vita del soggetto danneggiato e non della durata probabile della vita del defunto. Decisivo, a questo punto del nostro argomentare, è capire cosa si intende per lasso di tempo apprezzabile. È certamente una espressione indeterminata che pone la questione se debba farsi riferimento ad un criterio strettamente cronologico, ovvero se sia sufficiente un riferimento di tipo qualitativo e/o concettuale. La questione appare di difficile soluzione e alquanto ardua; vediamo brevemente come si è espressa la giurisprudenza. In una pronuncia è stato riconosciuto il danno biologico del de cuius nell ipotesi in cui il decesso si era verificato dopo trenta giorni dalla data del sinistro (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1997, n. 1704); in altre pronunce si è negato il risarcimento per essere la morte seguita a distanza di tre giorni dal fatto illecito, non potendosi in questo caso quantificare il pregiudizio alla salute (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 1997, n. 9470; Trib. Latina, 13 marzo 1997; Cass. civ., sez. III, 24 aprile 1997, n. 3592; Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1998, n. 5136; Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1998, n. 8970). Ancora, è stato riconosciuto apprezzabile lo spazio di tempo di otto giorni (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1995, n ). Il ragionamento seguito dalla giurisprudenza nelle citate decisioni è teso ad operare una scissione tra il danno biologico in sé considerato, la cui esistenza non può essere negata neppure quando il lasso di tempo intermedio sia ridotto, e il danno biologico risarcibile che, invece, postula una persistente protrazione in vita dopo le lesioni e prima del decesso. Dobbiamo altresì ritenere che nella liquidazione del danno biologico patito dalla vittima principale nell'intervallo di tempo che va dalle lesioni alla morte, intervenuta nelle more del giudizio, occorre distinguere - sotto il profilo del tipo di danno biologico - a seconda che la morte sia stata o meno causata delle lesioni. Se la morte è stata causata dalle lesioni allora l unico danno biologico risarcibile è quello correlato dall'inabilità temporanea, in quanto per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente. Infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione dell'integrità psicofisica consegue sempre un periodo di inabilità temporanea, alla quale può conseguire talora un'invalidità permanente. Per l'esattezza, l'invalidità permanente si considera insorta allorché, dopo che la malattia abbia compiuto il suo decorso, l'individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità. Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquari, ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. La nozione medico - legale di "invalidità permanente" presuppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile. Si comprende così perché, nell'ipotesi di morte causata dalle lesione, non sia configurabile alcuna invalidità permanente in senso medico - legale: la malattia, infatti, non si risolve con esiti permanenti, ma determina la morte dell'individuo. Ne consegue che quando la morte è causata dalle lesioni, dopo un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) soltanto il diritto al risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea. Nell'ipotesi di lesioni personali seguite, dopo apprezzabile lasso di tempo, dalla morte ad esse conseguente, debbono essere distinti i danni subiti dal soggetto passivo delle lesioni, cui compete il diritto al risarcimento del danno "iure proprio", trasmissibile agli eredi "iure hereditatis" ed i danni subiti, per effetto del decesso, dai congiunti (o dagli altri soggetti che, essendo legati alla

9 vittima, possono far valere un'aspettativa riparatrice), cui compete il diritto al risarcimento del danno "iure proprio", a nulla rilevando che il reato di lesioni colpose non sia stato perseguito perché assorbito, per il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., nel più grave reato di omicidio (colposo) dato che il criterio penalistico dell'assorbimento, nel quale, per l'obbligato passaggio dal reato meno grave a quello più grave, la sanzione per il reato più grave comprende quella del reato meno grave, non può essere applicato al campo civilistico, in cui, per il principio che prevede l'integrale ristoro del danno ingiusto, debbono essere risarcite tutte le conseguenze dannose del fatto illecito. Se, invece, la morte non è stata causata dalle lesioni, ma sopravviene per altre cause quando le lesioni erano già guarite con postumi, le conclusioni mutano sotto il profilo delle categorie concettuali, ma molto meno sotto il profilo del risultato pratico liquidatorio. In questo caso, infatti, il danneggiato al momento della morte aveva già acquisito al suo patrimonio il diritto al risarcimento del danno biologico da invalidità permanente residuata al sinistro (trasmissibile agli eredi). E cioè a dire non si versa più, in ipotesi di danno biologico da inabilità assoluta temporanea, cui sia conseguita la morte, bensì in ipotesi di danno biologico da invalidità permanente. Sennonché anche detta liquidazione del danno biologico da invalidità permanente obbedisce a regole particolari. Infatti, nell'ambito della liquidazione del danno, va tenuto conto dell'età del leso; altro è infatti convivere con un'invalidità per pochi anni, altro è tollerarla per la maggior parte della propria vita. Quando però il danneggiato muore, prima o nel corso del giudizio liquidatorio, la durata della vita è nota: essa non costituisce più un dato presunto (sulla base della mortalità media della popolazione), ma un dato reale. E' possibile quindi sapere per quanto tempo il danneggiato ha dovuto convivere con la sua menomazione. Nella "aestimatio" del danno, pertanto, il giudice deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta. Per tener conto dell'incidenza della durata effettiva della vita del danneggiato, il giudice di merito può scegliere il criterio che ritiene più, opportuno, purché ne dia adeguata motivazione. In particolare, qualora il giudice abbia adottato il "criterio tabellare" per la liquidazione danno biologico, la detta riduzione del valore del punto percentuale di invalidità per adeguarlo (e quindi personalizzarlo) da quello fissato in astratto in corrispondenza all'età anagrafica e, quindi, alla probabilità di vita, a quello che in concreto dovrà essere corrisposto, costituendo una valutazione di merito, è di esclusiva competenza del giudice di merito, il quale di norma vi procederà con criterio equitativo, che non è sindacabile in sede di legittimità se non per l'assenza di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico attraverso cui si è pervenuti alla decisione. A questo punto possiamo dire che se è vero che in caso di lesioni seguite, dopo un apprezzabile periodo di tempo, dalla morte, gli eredi acquistano il diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal proprio "dante causa", da liquidarsi in relazione all'effettiva menomazione dell'integrità psicofisica da lui patita sino al momento del decesso, e quindi con riferimento al periodo di tempo compreso tra il verificarsi dell'illecito e la morte è anche vero che questo apprezzabile lasso di tempo (intercorso appunto tra la lesione e la morte ad essa conseguente) comporta esclusivamente che il predetto diritto al risarcimento del danno biologico sia sorto, ma non che esso sia pari al massimo possibile, come se il soggetto avesse maturato per intero ed istantaneamente il diritto al risarcimento in relazione alla sua vita probabile futura indipendentemente dalla premorienza. Infatti, poiché il danno biologico costituisce un danno alla salute (che ha come presupposto ovviamente l'esistenza in vita), da commisurarsi su due parametri e cioè l'entità della lesione e la durata della vita, se la vita effettiva cessa dopo un certo tempo il danno biologico va commisurato a quel tempo. In altri termini, una volta sorto il diritto al risarcimento del danno, essendo decorso un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la morte, questo non sorge istantaneamente in tutta la sua entità, per cui è irrilevante se successivamente il soggetto vivrà o meno, ma sempre in

10 relazione a detta durata della vita nel corso della quale il soggetto leso dovrà convivere con il danno biologico subito. Se questa durata è nota, perché la morte è intervenuta prima della liquidazione definitiva, la liquidazione del danno sarà proporzionata ad essa, se la durata non è nota non essendo deceduto il soggetto leso, la durata della vita sarà quella probabile, in relazione all'aspettativa di vita. Altra questione attiene al se il danno biologico da lesione possa essere riconosciuto anche quando la sofferenza sia stata subita in stato di incoscienza. La questione è stata affrontata direttamente, e risolta in senso affermativo, in relazione al danno morale - ma tale costruzione è stata ritenuta applicabile anche al danno biologico da Cass. civ., sez. III, , n Con tale sentenza, peraltro, i Giudici del Supremo Collegio hanno affrontato il problema della cumulabilità dell azione iure hereditario per i danni da lesione subiti dalla vittima nel periodo di sopravvivenza, con quella iure proprio per il danno da morte subito dai congiunti, risolvendolo in senso affermativo. Una volta accertata l esistenza di un danno alla salute risarcibile, occorre verificare quale siano i criteri che il giudice deve utilizzare per quantificare la somma da versare a favore del danneggiato. Nella disamina, non può prescindersi da un osservazione, per quanto elementare: le lesioni all integrità fisica non sono mai identiche nel modo in cui si manifestano nel caso concreto. Di conseguenza, la liquidazione operata dal giudice deve essere quanto più possibile rispondente al caso concreto, pur risultando omogenea per tutti i soggetti colpiti da lesione simile. Il sistema del punto variabile è un criterio che utilizza un sistema in cui a punti di invalidità, calcolati sulla media di precedenti giudiziari, corrispondono valori monetari. Il giudice non effettua un calcolo rigido, ma lo adegua a seconda delle caratteristiche specifiche del caso concreto, aumentando o diminuendo il valore del punto fino alla metà. Il metodo del punto variabile (detto anche metodo pisano ) è stato giudicato estremamente valido anche dalla giurisprudenza di legittimità: il fatto che il punto variabile cresca con l innalzarsi dell invalidità e diminuisca con l innalzarsi dell età del danneggiato permette un effettiva personalizzazione del danno e il suo integrale risarcimento e risponde ai principi della medicina legale, secondo cui il patimento è maggiore quanto più grave è la lesione. Il metodo si è diffuso in molte corti di merito, tanto che anche altri uffici giudiziari hanno elaborato proprie tabelle, con corrispondenze di punti di invalidità a somme monetarie. Il metodo tabellare non comporta valutazioni discrezionali, poiché il giudice stabilisce la liquidazione secondo equità, ex art c.c.. Tra l altro, il fatto che le tabelle presentino una scala di punteggio corrispondente alla gravità delle lesioni e all età del danneggiato, non vuol dire che il giudice sia esentato dal personalizzare ulteriormente il valore tabellare al caso di specie. Se così non fosse, la valutazione personalizzata non sarebbe più effettuata dal giudice, ma devoluta ai parametri prefissati nella tabella. La giurisprudenza, infatti, sottolinea che l applicazione delle tabelle non deve avvenire in maniera automatica, ma nel modo che assicuri al meglio l adeguamento del fatto al caso astratto (Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2006, n ). Nell economia della sentenza n /2008 cit. hanno un notevole peso gli artt. 138 ( Danno biologico per lesioni di non lieve entità ) e 139 ( Danno biologico per lesioni di lieve entità ) Codice delle assicurazioni (citati ben tre volte in sentenza). Sono importanti perché, secondo l argomentare delle Sezioni Unite, ci danno una specifica definizione normativa mentre In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986). Occorre qui rilevare come altri precedenti testi normativi recassero la medesima definizione di danno biologico accolta nel Codice del 2005 (v.: art. 13, d. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 art. 95, legge 23

11 dicembre 2000, n. 388 D.M. 3 luglio 2003, Allegato I) e come la normativa appena richiamata che certo non brilla per correttezze tecnica utilizzando quasi come sinonimi i concetti di inabilità ed invalidità non sia suscettibile di essere applicata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. I giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione non tengono in debito conto che l intento del legislatore, sia nei precedenti testi normativi (v. in particolare l art. 5 L. n. 57/2001), sia nei lavori preparatori del Codice della Assicurazione, nel dare definizione del danno biologico e misurare i risarcimenti sia sempre stato quello di dare una risposta al problema della liquidazione del danno biologico relativi al solo settore responsabilità civile da circolazione stradale, e non certo ad ogni settore. Conferma se ne rinviene nella collocazione delle norme in esame inserite nel Codice delle Assicurazioni private ed, in particolare, nel Titolo X: Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti. Se il legislatore avesse voluto una normativa generale del danno biologico da applicare alle lesioni derivanti da qualsiasi tipo di inadempimento contrattuale, o da fatto illecito, avrebbe dovuto introdurre già da tempo la normativa nel codice civile. Sarebbe stato opportuno per le Sezioni Unite in modo coerente e accorto nei richiami e nei rinvii precisare diversamente che gli artt. 138 e 139 del Codice, non saranno mai regole generali applicabili per il risarcimento del danno biologico, permanente e temporaneo, conseguente a fatti illeciti che non rientrano nell ambito della Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti. Se è vero, come è vero, che la nozione di danno biologico comprende la lesione del diritto alla salute, costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.), considerando sia la sofferenza fisica che quella psichica, e se è vero, ancora, che esso ha natura non patrimoniale (art c.c.) allora dobbiamo predicare la sua cumulabilità con i danni patrimoniali. Il danno morale riflesso Il danno riflesso morale è riconosciuto a chiunque sia legato alla vittima primaria da un rapporto di affetto, frequentazione o coabitazione. Normalmente questa voce di danno riguarda soggetti che avessero con la vittima dell illecito un rapporto di parentela o filiazione. Tuttavia, non mancano casi in cui la giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno morale in favore di altre persone per quanto non fossero legati alla persona deceduta da un rapporto di convivenza o altrimenti legalmente rilevante. Anche la dottrina ha dibattuto a lungo su quali fossero i soggetti legittimati a far valere il danno morale da morte di un congiunto, pervenendo sempre a soluzioni diverse. Secondo alcuni autori, possono essere presi in considerazione i membri della famiglia intesa unitariamente, secondo altri occorre utilizzare quale criterio di individuazione coloro i quali hanno diritto a percepire gli alimenti, ai sensi dell art. 433 c.c.. Per altri autori ancora si deve fare riferimento alla famiglia legalmente riconosciuta ovvero ai rapporti costituzionalmente riconosciuti; secondo un altra tesi, infine, deve essere accertato di volta in volta, rispetto al caso concreto, che la persona sopporti realmente un dolore rilevante ai fini del risarcimento. Le Sezioni Unite della Cassazione si sono occupate della materia, risolvendo il contrasto, con la già citata sentenza 1 luglio 2002, n in cui, in primo luogo, si è sottolineato che la risoluzione del problema sottende il rischio, rispondente ad una esigenza di politica giudiziaria, di allargare a dismisura il risarcimento del danno morale. Le Sezioni Unite hanno sciolto il contrasto abbracciando quella tesi secondo la quale i soggetti legittimati ad ottenere il risarcimento del danno morale riflesso sono quelli titolari di una situazione qualificata dal contatto con la vittima. Quest ultima, normalmente si identifica con la disciplina dei rapporti familiari, ma non deve necessariamente limitarsi ad essi dovendosi anche dare risalto a certi particolari legami di fatto. Si tratta cioè di una situazione qualificata di contatto, la cui lesione determina un danno non patrimoniale,

12 identificando dunque la sfera giuridica di coloro che appaiono meritevoli di tutela e al tempo stesso costituendo il limite di tale tutela. In conclusione, secondo le Sezioni Unite civili: a) l'individuazione della situazione qualificata che dà diritto al risarcimento trova un utile riferimento nei rapporti familiari, ma non può in questi esaurirsi, essendo pacificamente riconosciuta, sia in dottrina che nella giurisprudenza, la legittimazione di altri soggetti (ad es. la convivente more uxorio); b) la mera titolarità di un rapporto familiare non può essere considerata sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo di volta in volta verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito e in che misura la lesione subita dalla vittima primaria abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento. A sostegno di questa conclusione, la sentenza richiama la decisione della Corte Costituzionale (sent. n. 372/1994) con la quale si chiariva, con riferimento ai limiti operanti per l art Cost., che la la tutela risarcitoria deve fondarsi su una relazione di interesse del terzo col bene protetto dalla norma incriminatrice, argomentabile, in via di inferenza empirica, in base ad uno stretto rapporto familiare (o parafamiliare, come la convivenza more uxorio). Analizzando la prassi giurisprudenziale, sembra comunque emergere un orientamento che riconosce sempre la riparazione del danno morale a favore del coniuge, nonché ai genitori, ai figli e ai fratelli conviventi. Allo stesso tempo, in modo coerente con il principio di diritto su esposto, la giurisprudenza ha negato il risarcimento del danno morale, in presenza di circostanze del tutto peculiari (ad esempio, le corti negano il riconoscimento del danno morale a favore del coniuge separato, qualora si dimostri che i coniugi non avevano più alcun rapporto affettivo o di amicizia). Sempre in tema di situazioni qualificate, la giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno morale anche a favore dei fratelli non conviventi con la vittima: in questi casi, gli attori avevano dovuto dimostrare il grave perturbamento della propria vita conseguente al lutto sofferto, per il venir meno di un valido sostegno morale concreto. Procedendo con ordine, passiamo ora ad introdurre due nozioni fondamentali ai fini del nostro argomentare. E cioè, l illecito esofamiliare, da un lato, e l illecito endofamiliare, dall altro. La distinzione in esame ha una portata notevole. Ed invero, nel primo caso il soggetto che pone in essere il fatto illecito che cagiona il danno è estraneo al nucleo familiare (esempio classico un automobilista provoca, a seguito di sinistro stradale, la morte di una persona e quindi sconvolge la quotidiana serenità dei familiari della vittima). Qui la famiglia è vista, e tutelata, quale gruppo. Nel secondo caso (cioè di illecito endofamiliare) tanto il soggetto attivo, quanto quello passivo appartengono al medesimo gruppo familiare. Su pensi al genitore che maltratta i figli, o il coniuge ma gli esempi sono tanti. In questo caso il singolo componente della famiglia ha una tutela in quanto tale, e la famiglia, come gruppo organizzato, passa in secondo piano. La casistica relativa alla protezione dei congiunti viene a tipizzarsi in una serie di casi che vanno dall uccisione del congiunto, alla lesione della sua salute, alla nascita indesiderata ecc. Non si può stabilire ex ante quali sino i familiari legittimati a far valere la tutela aquiliana, in ogni caso essa viene accordata, per qualsiasi tipo di danno, anche ai familiari di fatto, ossia ai conviventi more uxorio (Cass. civ., sez. III, , n. 2988), sempre che sia offerta prova della stabilità del rapporto affettivo (Cass. civ., sez. III, , n. 8976). In particolare, auanto all individuazione degli stretti congiunti, sono considerati tali: 1) il coniuge, 2) i figli, 3) i genitori,

13 4) i fratelli e le sorelle; 5) il nascituro, già concepito al momento della morte del genitore. Il danno esistenziale Il danno esistenziale è stato inteso come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed inferiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Si è ritenuto che esso andasse dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro fondamentale rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno facendo ricorso, ex art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (Cass. civ., s.l., , n ; ma anche Cass. Sez. Unite n. 6572/2006). Con tale espressione, dunque, si è fatto riferimento, anche da parte di alcuna dottrina, a quegli aspetti della dimensione personale di un individuo - diversi dalla lesione della salute - ma comunque afferenti alla sfera esistenziale della persona e che, come tali, devono essere risarciti quali autonome voci di danno. Pertanto, nella ricostruzione fatta dalla dottrina, il danno esistenziale rappresenta una voce autonoma e ulteriore di danno. Osserva poi la giurisprudenza di legittimità, da parte sua, che occorre provvedere alla liquidazione del danno esistenziale parentale, con i criteri di una equità circostanziata, iuxta allegata et provata (Cass. civ., sez. III, , n. 2379) Diventa intuitivo, a questo punto, capire perché dobbiamo qui occuparci del danno esistenziale. Non è chi non veda, infatti, come all evento morte consegua, per i superstiti del defunto, lo sconvolgimento in taluni casi addirittura totale (si pensi ai genitori che apprendono della morte del proprio figlio a seguito di un sinistro stradale) del vivere quotidiano. Costellato da tanti non poter più fare come prima, da tanti sogni spezzati, da una realtà, in definitiva, irrimediabilmente compromessa. Emerge quindi l aspetto più puro del danno esistenziale proprio in ipotesi di perdita del rapporto parentale. Come si può agevolmente intuire dalla lettura anche solo di alcune delle sentenze che hanno accordato il risarcimento del danno esistenziale, uno dei principali problemi connessi al danno esistenziale consiste modalità del suo calcolo. Si hanno in merito diversi criteri rispetto ai quali in questa sede si darà consto del solo metodo della cd. equità calibrata. È questo un metodo di valutazione del danno esistenziale che indubbiamente accorda un certo margine di discrezionalità alle Corti. Quando si parla di equità si utilizza un termine riassuntivo di un processo mentale che il Giudice deve compiere, alla luce delle circostanze rilevate in fase istruttoria, al fine di determinare una cifra idonea a compensare integralmente la vittima del torto subito. Si tratta di un ragionamento che non deve rimanere nella mente del Giudice ma deve essere esplicitato in motivazione, nel senso che il Giudice nell estendere la sentenza è obbligato a ripercorrere le tappe di quello stesso ragionamento e a vagliarne nuovamente la bontà perché la motivazione, garantendo il controllo sul contenuto del giudicato, è essenziale dal punto di vista del condannato per un eventuale impugnazione. La discrezionalità non deve tradursi in arbitrio, e, pertanto, deve essere supportata da una adeguata giustificazione in relazione alla fattispecie concreta. La liquidazione del danno esistenziale non potrà che avvenire ex art c.c., e quindi in via equitativa ragion per cui, per definizione, essa non è retta da una regola algoritmica, cioè

14 universalmente definibile ex ante. In altre parole, della liquidazione equitativa si può predicare la sua congruenza unicamente a posteriori. Solo attraverso l esternazione delle motivazioni che hanno portato alla quantificazione del danno esistenziale si potrà raggiungere un adeguata risposta dell organo giudiziario ai quesiti del caso concreto. Ciò, inoltre, impone che, sin dalla presentazione dell istanza risarcitoria, siano motivate le ragioni sulle quali la stessa si fonda. Un passo in avanti, può essere fatto in relazione all equità pura raffrontando il singolo caso con il quale viene a misurarsi il giudice con altri precedenti, cercando cioè di calibrare la posta risarcitoria con quanto precedentemente risarcito da altri Tribunali (tenendo eventualmente conto delle critiche dottrinali, in relazione alla cifra). Sostanzialmente si tratta di prendere atto di alcune scale di misura e di confronto, utili per la monetizzazione di questo o quel ramo del fare non reddituale. La via indicata è piuttosto difficile da percorrere, il ragionamento allora dovrà muoversi su due linee ipotetiche. La prima l incidenza del danno, se su a) attività esistenziali legate alla libertà della persona; b) momenti familiari c) momenti affettivi; d) relazioni micro e macro-sociali; e) iniziative nel campo dell arte, della cultura, della religiosità, f) operazioni rivolte al tempo libero e allo svago. La seconda il quantum dell incidenza del danno, ossia quanto abbia quel danno effettivamente compromesso il fare della persona. In questo caso l elemento temporale dovrà essere valutato, ma non dovrà essere considerato determinante. Si può quindi affermare che la quantificazione del danno esistenziale sarà più alta nel momento in cui: a) più rilevanti saranno i diritti che verranno lesi (se posti ai vertici della costituzione o che trovano una copertura nella costituzione) e - ai fini della realizzazione della persona - le attività compromesse, b) e il danno più sarà invasivo in relazione alla sfera colloquiale - relazionale della persona, con particolare riferimento all incidenza e all aspetto temporale. I precedenti giurisprudenziali consentiranno poi di calibrare, ancor di più, il giudizio equitativo del giudice, che, in quanto tale, deve essere rigoroso nei suoi presupposti e nell iter motivazionale. Si potrà parlare di equità calibrata, in quanto il giudice oltre a sviluppare il suo percorso logico ai fini del risarcimento dovrà/potrà raffrontare il suo caso in esame con i precedenti (il raffronto andrà fatto con i precedenti giurisprudenziali anche diversi, ma che consentono al caso di cui ci si occupa di confrontarsi con un altro, già deciso, sia in relazione sia al diritto e/o alle attività realizzatrice compromessi sia all effettiva privazione). Il moltiplicarsi delle pronunce di condanne al risarcimento del danno esistenziale finisce per dar luogo alla sedimentazione di alcuni indici: sostanzialmente man mano che si aggiungono sentenze ai repertori giurisprudenziali, si forma un sistema di commisurazioni, tagliate in parte sulla sagoma dei singoli illeciti, in parte sul rilievo delle attività pregiudicate. Sostanzialmente la teoria dell equità calibrata, richiede al Giudice, non solo il rigore del percorso logico che è proprio di ogni giudizio di equità, ma che ci si confronti con i valori sottesi al danno esistenziale, o meglio, con la quantificazione data alla violazione di quel diritto o di quella attività realizzatrice, in modo che fatto il processo di astrazione in relazione all importanza dell incidenza della violazione, si possano comparare situazioni simili o anche differenti, in modo, da poter trovare la giusta collocazione al danno di cui si discute. Uno sguardo alle Sezioni Unite dell Di là dalle critiche, pur legittime, un aspetto della sentenza in esame è certamente condivisibile. Ed è dato dal tentativo di mettere fuori gioco i danni bagatellari, ossia dall affermare che in giudizio non si portano questioni oziose, inutili, prive di fondamento, in una parola non meritevoli di tutela (per una prima applicazione del principio di diritto sotteso a questa parte di sentenza si veda Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2009, n assunta in tema di rapporti tra cittadino utente amministrazione finanziaria - per la quale la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art cit., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge - e, quindi, ai

15 fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno - ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione, in quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio consequenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave - e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale - e che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario. Ciò precisato, osserva l adita Suprema Corte come nella specie non sussista un'ingiustizia costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un'ipotesi di danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario, risultando, piuttosto, la ritenuta lesione del diritto alla tranquillità insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli sconvolgimenti quotidianità "consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione" - cd. bagatellari - ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria a pag. 34 della sentenza n /2008).. Allo stesso modo condivisibile è l apertura del novero del contratto verso i danni non patrimoniali, ossia la possibilità di indagare la causa in concreto e verificare se, in sede di inadempimento, possono essere risarciti anche i danni non patrimoniali (per quanto alla fine il risultato sia piuttosto deludente, come proveremo a dimostrare). L intenzione di mettere fuori gioco, castigandoli, i danni bagatellari, ha trascinato con sé, tuttavia, la teoria del danno esistenziale, come se fosse tutt uno con questi, così facendo diventare la sentenza in esame, per così dire, dannoestistenzialfobica. Ma ciò, a ben vedere, accade solo a parole ed il risultato cui si perviene è che il baricentro della responsabilità civile continua, e continuerà ancora a lungo, ad oscillare. Ma procediamo per gradi. Il punto di partenza è dato dalle sentenze gemelle del 2003 (adottate dalla Suprema Corte), in cui si è affermato che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione (che, come noto, all'art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo) il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica. Ed è questo il punto di partenza perché le Sezioni Unite del 2008 espressamente affermando di condividere questo aspetto tanto è che in un passo della sentenza in esame si legge il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica. Orbene, il risarcimento del danno non patrimoniale postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art c.c.. In altre parole, si dice che l'art c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile ex art c.c., elementi che consistono: - nella condotta, - nel nesso causale tra condotta ed evento di danno (connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela) - e nel danno che ne consegue. La (ri)lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità che vede l art c.c. demandato alla cura dei danni patrimoniali, l art c.c. ai danni non patrimoniali. La risarcibilità del danno non patrimoniale, argomentano ancora le Sezioni Unite del 2008, postula sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della

16 Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria. Questo argomentare delle Sezioni Unite non può non essere condivisibile, ed invero altro non è che l attuale assetto della responsabilità civile, precedente rispetto alla sentenza qui in esame. Ma la Corte afferma anche che il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, al contrario del risarcimento del danno non patrimoniale che è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona. Qui si può parlare, più che altro, di una falsa tipicità in quanto il rimando è alla Costituzione che, come noto, quale contiene poche norme di immediata applicazione precettiva, trovando la maggior parte di esse applicazione nelle leggi, nell interpretazioni giurisprudenziali, o nelle opinioni dei dottori. Non solo. Il riconoscimento dei diritti inviolabili di cui all art. 2 Cost. rimanda ad una realtà sociale in continua evoluzione. E l art. 2 cit., in combinazione con il successivo art. 3 Cost., diventa la fucina dei nuovi diritti. Da qui la logica conseguenza, di primaria importanza dal punto di vista giuridico, secondo cui la tipicità di cui parlano le Sezioni Unite non è, per così dire, pura ma è solo relativa, se non addirittura è una falsa tipicità. Ancora più singolare sembra la riflessione sul danno morale, senza dimenticare che si deve fare i conti con la difficoltà di comprendere i vari passaggi effettuati dalla sentenza. Secondo le Sezioni Unite quando il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente) come reato, sarà risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (si pensi all ipotesi dell illecito plurioffensivo), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Fondamentale è il passaggio in cui si afferma che la limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte deve essere definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva secondo la Corte un fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art c.c. né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo. E quindi il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite è quello a tenore del quale, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento. In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, ma osservano sempre le Sezioni Unite - anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti alla persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato (la scelta del legislatore implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso). Emerge così una prospettiva focalizzata sugli interessi tutelati nel codice penale del 1930 e non già una lettura dinamica della Costituzione, e degli interessi ad essa sottesi. In più - a seguire - anche la categoria del danno biologico viene indicata come descrittiva, per poi valorizzare al massimo gli aspetti dinamici dello stesso. Vengono altresì indicati i casi previsti dalla legge a rimando dell art 2059 c.c. con evidenti errori e senza considerare tutta la normativa di riferimento.

17 Registriamo almeno due sviste, senza dimenticare che non vengono citati i seguenti testi di legge che, in una sentenza di tanto rilievo, avrebbero ben dovuto essere considerati: la commissione di un fatto-reato (art. 185 c.p.); l uso di espressioni offensive negli scritti difensivi durante un procedimento civile (art. 89 c.p.c.); la violenza carnale patita in occasione di fatti bellici (art. 1 d.p.r , n. 915, come integrato della sentenza della Corte costituzionale , n. 561); l ingiusta privazione della libertà personale per fatto colposo o doloso del magistrato (art. 2, comma 1, l , n. 117 testo in verità citato con errore); l adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi (art. 44, comma 7, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, norma ribadita dall art. 4, comma 4, d. lgs , n. 215); l impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali (art. 15, comma 2, d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196 si cita, come detto, la legge n. 675 abrogata); la discriminazione sul luogo di lavoro a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale (art. 4, comma 5, d. lgs , n. 216); la discriminazione in danno di persone affette da disabilità (art. 3, comma 3, l , n. 67); la violazione dell altrui diritto su un marchio industriale (art. 125 d. lg. 10 febbraio 2005 n. 30, nel testo modificato dall art. 17, comma 1, d. lg , n. 140); la violazione dell altrui diritto d autore (art. 158, comma 3, l. 22 aprile 1941 n. 633 (nel testo modificato dall'art. 5, comma 1, d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140); la discriminazione tra uomo e donna per l accesso alla fornitura di beni o servizi (art. 37, comma 3, e 55 quinquies, comma 7, d. lgs. 11 giugno 2006, n. 198 s.m.i.). la violazione della parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro (artt. 2, 3, D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145); Poi, quasi come un sussulto, rinveniamo un passo della sentenza che porta con sé tutta la teoria del danno esistenziale, o meglio che ne garantisce tutti gli interessi sottesi alla dottrina del danno esistenziale. Nella responsabilità civile, si dice, contano poco gli articoli, il posizionamento degli stessi nel codice, ma contano gli interessi e i diritti violati che effettivamente vengono risarciti. Ed invero, secondo le Sezioni Unite la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana. A questo punto alle Sezioni Unite sembra quasi di aver concesso troppo, ossia di aver salvaguardato il nucleo del danno esistenziale, tale per cui vi è necessità di relegare la categoria del danno esistenziale a valore descrittivo, dimenticandosi che è una delle attività dei giuristi e della giurisprudenza quella di catalogare, descrivere, organizzare. E ciò preminentemente nell area della responsabilità civile. Ed invero, la Corte passa ad affrontare la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale. Dopo aver ripercorso i termini nei quali viveva, nelle opinioni della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, la figura del danno esistenziale la Corte nega a quest ultimo autonomia e, per meglio dire, gli nega asilo nei sistema della responsabilità civile. Per la Corte, cioè, il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini

18 della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. A questo punto le cose sembrano stare in questi termini: il danno non patrimoniale è risarcibile purchè con i riferimenti alla Costituzione (e i danni da enucleare sono quelli, e dice la Corte di badare bene, ossia che si sta limitando solo a descriverli: morale, biologico, esistenziale). Anzi no: nuovamente l aspetto dannoesistenizialfobico si afferma nel senso di non volere nominare questa tipologia di danno, e pensare che la categoria nell area della responsabilità civile puntava a chiarire alcune poste di danno, non a moltiplicarle. La Corte a livello descrittivo discute ed unisce, il danno morale, il danno biologico, il danno parentale. Ancora una volta risulta singolare come nella trilogia descrittiva il terzo danno da indicarsi doveva essere quello esistenziale, ma in luogo di questo si preferisce citare il danno parentale. Suona strano: i primi due (danno morale e danno biologico) hanno una valenza generica, come vale per il danno esistenziale; il danno parentale invece ha una valenza specifica, si riferisce cioè solo all ambito familiare! Ma la Corte finisce poi per metterci di fronte a un piccolo rompicapo. In sentenza si afferma che in assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. E ci citano due esempi: 1) il caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno. 2) Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico sono risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica. Ipotesi che si verifica nel caso (e siamo così al secondo esempio citato) dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio. Nella fattispecie il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica. Afferma, quindi, la Corte che il pregiudizio di tipo esistenziale è risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria. Quindi si può parlare di pregiudizio di tipo esistenziale, ma non di danno esistenziale. A questo punto dobbiamo chiederci se per diritto costituzionalmente tutelato si intenda un diritto espressamente menzionato nella Costituzione, o se sia sufficiente che questo diritto trovi un suo aggancio nella Costituzione. La sentenza in più punti cerca di tenere chiusa la sacca dei diritti ed interessi meritevoli, cercando di insistere ossessivamente sui diritti costituzionalmente tutelati e si apre un varco, in favore di una lettura dinamica della Costituzione, proprio in riferimento al secondo esempio innanzi citato. Ed in merito dobbiamo chiederci se il diritto alla sessualità all interno del matrimonio (si veda il secondo esempio espressamente riportato in sentenza) sia un diritto costituzionalmente tutelato, nel senso di espressamente menzionato, dalla Carta Costituzionale. Espressamente, no! Ma possiamo dire, pur con qualche difficoltà argomentativa nella ricerca delle norme all interno della Costituzione relative alla famiglia, che il diritto di avere dei normali rapporti sessuali rappresenta un aspetto della personalità rilevante nel rapporto di coniugio.

19 Da qui il fondamento, ovvero la copertura, di questo diritto nell ambito della Costituzione (e cioè nelle norme sui diritti inviolabili, di relazione personale all interno della famiglia - e quindi negli art. 2 e 29 della Costituzione e ancora nelle norme a tutela della maternità). Quindi occorre accedere ad una lettura aperta, aggiornata ai tempi che corrono, dinamica della Costituzione. Costituzione che ci mostra diritti in divenire, al passo con i tempi, che richiedono tutela risarcitoria integrale, ecco perché seri dubbi possono nutrirsi (come aniticipato) sulla presunta tipicità del danno non patrimoniale (soprattutto a seguito dell esempio fatto dalla Sezioni Unite) Altra questione interessante posta dalla lettura della sentenza in esame attiene alla possibilità che l'inadempimento dell'obbligazione determini, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore. Si è innanzi anticipato come la risposta fornita dalle Sezioni Unite diapositiva nel senso che la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni. L argomentare delle Sezioni Unite è nel senso che interessi di natura non patrimoniale possono assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali giusta la previsione dell'art c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale. Il dubbio che qui emerge è dato dalla possibilità che il richiamo, ossessivo, ai diritti costituzionalmente tutelati non finisca per essere troppo invasivo. E cioè a dire, se è vero che nell area della responsabilità extracontrattuale ci sono delle regole di governo della responsabilità civile più stringenti, è anche vero che ben può l autonomia delle parti valorizzare al massimo un interesse non patrimoniale che, in caso di inadempimento, comporterà il relativo risarcimento, sempre che l operazione tutta sia meritevole di tutela, anche senza che l assetto prefissato dalla parti abbia un suo minimo referente nella Costituzione. Per dirla con altre parole, nell area della responsabilità extracontrattuale la tutela ed il bilanciamento degli interessi del soggetto danneggiante e danneggiato impone il limite di tutela negli interessi e nei diritti che trovano una loro copertura nella Costituzione, nell ambito dell area del contratto l autonomia contrattuale consente di scegliere un particolare assetto di interessi tale per cui la violazione di un interesse dello stesso potrà comportare un danno non patrimoniale, al di là di interessi costituzionalmente orientati (perché così hanno voluto le parti). Ancora in sentenza si rinviene l affermazione per la quale il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. La frase è corretta, coglie nel segno, ma quel non oltre sembra quasi far riemergere quell atteggiamento sempre ossessivo compulsivo nei confronti della categoria del danno esistenziale (che niente ha che vedere con la proliferazione dei danni). Alla fine tutti gli interessi di natura esistenziale seguendo questa sentenza possono essere risarciti, purché non si insita troppo sul sintagma danno esistenziale. Tutti i diritti costituzionalmente tutelati e gli interessi meritevoli di tutela che trovano un appiglio nella Costituzione possono essere portati in giudizio; una volta portato il diritto, o l interesse da tutelare, in giudizio, e dopo avere tanto insistito sulla copertura avuta dal diritto stesso dalla Carta Costituzionale, sarà il giudice a e sono parole delle Sezioni Unite ad individuare quali le ripercussioni negative sul valore - uomo si siano verificate provvedendo alla loro integrale riparazione. È fondamentale, poi, ai fini del nostro argomentare ricordare come le Sezioni Unite prendano posizione sul tema del cd. danno tanatologico e cioè sul danno da morte immediata.

20 Secondo la sentenza in esame lo si è già anticipato - nel quadro di una costante giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita, e lo ammette invece per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile a questo commisurandolo, viene in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta (appunto nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo). Sofferenza che, secondo le Sezioni Unite, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Possiamo parlare cioè di un danno morale da agonia cosciente da ricondursi (sempre a fini descrittivi) nel danno non patrimoniale iure hereditatis. Le poste risarcitorie secondo le Sezioni Unite dell In estrema sintesi ci dicono le Sezioni Unite del 2008: - il danno non patrimoniale di cui all art c.c. costituisce categoria unitaria in quanto tale non suscettibile di suddivisione, al suo interno, in altre categorie; - nel nostro ordinamento non è configurabile un autonoma categoria di danno, definito esistenziale ed inteso quale incidenza negativa, seria, grave e protratta nel tempo, sul fare areddittuale delle persone; - solo con finalità meramente descrittive può farsi riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati ( danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale, senza che ciò, dunque, implichi il riconoscimento di distinte categorie di danno; - il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare il pregiudizio, ma non andare oltre; - devono evitarsi duplicazioni risarcitorie le quali si verificano sia in caso di attribuzione congiunta del danno biologico e del danno morale, sia in caso di attribuzione congiunta del danno morale e del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l esistenza del soggetto che l ha subita non sono che componenti di quel complesso pregiudizio che va integralmente ed unitariamente risarcito ; - la liquidazione del pregiudizio costituito dalla sofferenze fisiche e psichiche del soggetto leso deve avvenire mediante adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, qualora il giudice si avvalga delle note tabelle in uso nei Tribunale, e non attraverso frazioni (solitamente da un terzo alla metà) del danno biologico. Il novum delle sentenze del 2008 è dato, fondamentalmente, dalla unicità di voce risarcitoria di tutto il danno non patrimoniale e dalla modalità liquidatoria del pregiudizio costituito dalle sofferenze fisiche e psichiche del soggetto che ha riportato lesioni, essendo inibita al giudice una liquidazione in percentuale del danno biologico. Come visto, il giudice che si avvale delle tabelle deve provvedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutandone nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite da soggetto leso, in modo da pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Questa personalizzazione di cui si parla è attività, rimessa al giudice, di particolare importanza; perché la stessa non si traduca in discrezionalità pura, se non addirittura, in arbitrio del giudice occorre che questi motivi adeguatamente, sotto il profilo logico e giuridico, la sua decisione e che l attore si faccia carico di provare l incidenza negativa sugli aspetti dinamico relazionali. Ed allora, a fronte di un evento morte in cui per le vittime secondarie il dolore degeneri in malattia il giudice dovrà a tal fine tenere conto delle risultanze dei consulenti medico legali, sia di ufficio che di parte, delle certificazioni mediche prodotte dall interessato, ma anche della storia familiare da cui

21 emergano (o meno) particolari aspetti di relazione tra soggetto deceduto e soggetto che chiede il risarcimento danni. Emerge quindi, con chiarezza, come la personalizzazione di che trattasi debba necessariamente essere effettuata attraverso la ricostruzione dell effettiva incidenza negativa dell evento morte (per il caso che in questo testo ci interessa) sui sopravvissuti. Valutiamo ora la possibilità di richiedere il risarcimento del danno morale. È noto qui come uno dei più importanti riferimento giurisprudenziali sia rappresentato dalla sentenza della Cassazione, resa a Sezioni Unite, n. 9056/2002 in cui si osserva come i prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali siano legittimati ad agire in via risarcitoria jure proprio e come ad essi spetti il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione alla particolare situazione affettiva con la vittima primaria. Tale indirizzo si è poi consolidato negli anni successivi (da ultimo Cass. 8546/08) sottolineandosi che al risarcimento dei danni subiti dal congiunto di persona che abbia subito lesioni personali non è ostativo il disposto dell articolo 1223 c.c. in quanto anche il danno del congiunto trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. Una eventuale richiesta di danno morale oggi, dopo le Sezioni Unite del 2008, è destinata a soccombere sotto la scure dell inammissibilità? Dobbiamo ritenere di no giacché proprio il pronunciamento delle Sezioni Unite del 2008 ribadisce come il giudice abbia il compito accertare l effettiva consistenza del pregiudizio legato, a prescindere dal nome attribuitogli ) (Tribunale di Milano, n. 2157/2009). Quella appena richiamata del Tribunale Meneghino rappresenta una sentenza di particolare interesse, successiva all arresto delle Sezioni Unite gemelle del Secondo il recente intervento del Tribunale di Milano n cit. la sussistenza di macro-lesione come sopra intesa non rappresenta l unico elemento cui ricondurre la risarcibilità di tale danno, ben potendosi assegnare rilievo anche a concrete circostanze che accompagnano il fatto illecito lesivo e le sue conseguenze e che siano tali da giustificare e rendere apprezzabili le sofferenze morali dei congiunti (rinvia il Tribunale a mo di esempio a giustificate reazioni emotive nel caso di lesioni rivelatesi di scarsa entità solo in un momento successivo, piuttosto che nel caso di un fatto lesivo verificatosi in circostanze drammatiche e di per sé particolarmente angoscianti). Vediamo ora cosa accade in ipotesi di più eventi luttuosi tra loro contemporanei. Il pregiudizio consistente nella perdita del rapporto parentale deve essere riportato esclusivamente al danno non patrimoniale e ai fini della liquidazione unitaria del danno non patrimoniale subito dai congiunti deve tenersi conto della eventuale contemporaneità di più eventi luttuosi, contemporaneità che non è esclusa dalla sopravvivenza di poche ore ora di una vittima ad un altra. Ciò assume rilievo sia in relazione alla sofferenza immediatamente determinata dal fatto illecito integrante reato, sia in relazione al radicale stravolgimento derivante dalla contemporanea e perdurante scomparsa di più di una persona cara (si pensi ad un sinistro stradale con esiti mortali per due fratelli o due genitori). In questo caso si può ritenere conseguenza normale che la contemporaneità del duplice lutto produca conseguenze dolorose e di deprivazione affettiva così gravi che non possono dirsi adeguatamente riparabili con un mero aritmetico raddoppio degli importi risarcitori attribuibili secondo le cd. tabelle del danno non patrimoniale. Orbene, è noto come nella sentenza delle Sezioni Unite n /08 si affermi la risarcibilità del solo danno morale a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l agonia in consapevole attesa della fine. E cioè a dire la Suprema Corte rende operativo il danno morale solo nell ipotesi di vittima cosciente, in attesa consapevole della fine.

22 Secondo il Tribunale di Milano (n cit.) questo argomentare della Sezione Unita pare da intendersi riferita alla necessità di evitare quelle duplicazioni risarcitorie che conseguirebbero al risarcimento, oltre che del danno morale, anche del danno biologico psichico. Infatti, quando la Corte precisa che una sofferenza psichica siffatta non è suscettibile in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico non può che fare riferimento al danno biologico psichico, essendo palese che, sul piano della mera integrità fisica, il fatto lesivo ha già dato luogo a una malattia. Quindi, pur in assenza di lucidità - presupposto ora ritenuto necessario dalla Cassazione per il risarcimento del danno morale- deve comunque essere risarcito al danneggiato che non muoia contestualmente al fatto lesivo il pregiudizio relativo alle subite lesioni, essendo certo indubitabile che il danno biologico, quale lesione dell'interesse costituzionalmente garantito all'integrità fisica e psichica della persona, sussista sia che la vittima abbia coscienza della lesione, sia che versi in stato di incoscienza. È questa una soluzione inevitabile proprio alla stregua dell orientamento consolidato che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita. Infatti, se è vero che il danno tanatologico non può entrare a far parte del patrimonio della vittima perché nel momento stesso del decesso non esiste più il soggetto titolare del patrimonio, è altrettanto vero che chi muoia successivamente al fatto lesivo, ed a causa del fatto lesivo, subisce per quell arco di tempo un pregiudizio alla propria integrità psico-fisica. La giurisprudenza, sul punto, più volte ha ritenuto che, nel caso di coma, la menomazione conseguente alla lesione e ogni sofferenza eventualmente sopportata dalla vittima in stato di incoscienza, fossero connesse in modo così inestricabile da dar luogo a una liquidazione unitaria di un unico danno non patrimoniale. E tale orientamento, peraltro, sembra trovare una conclusiva conferma nelle recenti indicazioni della Sezioni Unite (sentenze nn del 2008). Nell individuare la concreta misura della liquidazione di tale danno terminale, occorre porre la massima attenzione alla sua peculiarità, e cioè al fatto che esso individua una compromissione temporanea della salute priva di qualsiasi capacità recuperatoria e di tale intensità ed entità da condurre a morte un soggetto, ragion per cui, come si è detto anche da parte della giurisprudenza di legittimità, questa particolare temporanea non può essere limitata alla mera applicazione dei valori liquidatori tabellari i quali, invero, potrebbero rivelarsi del tutto irrisori (v.: Cass. 16 maggio 2003, n. 7632; Cass. 23 febbraio 2004, 3549). A ciò si aggiunga che il risarcimento del danno biologico terminale non ha la funzione di supplire alla non risarcibilità del danno tanatologico, e che il giudice d merito deve comunque attribuire un rilievo al fattore tempo procedendo ad una valutazione quantificazione di tipo equitativa. Possiamo ora dire come al risarcimento del danno biologico si possa accompagnare il risarcimento del pregiudizio da perdita del rapporto parentale che assorbe in sé ogni profilo di sofferenza morale, transeunte e non, atteso che come insegnano le Sezioni Unite - la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l esistenza del soggetto che l ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ristorato. Non può dirsi che il risarcimento del danno biologico e quello del danno da perdita del rapporto parentale diano luogo, insieme, ad alcuna, nemmeno parziale, duplicazione risarcitoria, in quanto l accertata patologia può assorbire quelle che avrebbero potuto essere dolorose reazioni fisiologiche al duplice evento luttuoso, ma non tocca certo la permanente privazione di relazioni fondanti. Sicchè, un diverso ragionamento avrebbe solo l effetto di non risarcire integralmente il danno a chi si trovi a vivere gravato da un lutto importante e, per di più, afflitto da una menomazione incidente sull integrità psichica. D altronde il tipo di pregiudizio conseguito alla lesione dell'integrità psicofisica (danno alla salute o, lato sensu, biologico) è ontologicamente diverso da quello conseguente alla perdita del rapporto parentale, che si collega alla violazione di un diritto di rilevanza costituzionale diverso da quello alla salute tutelato dall'art. 32 Cost..

23 Va inoltre rilevato che, benchè la citata sentenza delle sezioni unite abbia chiarito che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive e non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno, ha tuttavia anche specificato che determina una duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno da perdita del rapporto parentale e del danno morale, inteso in una configurazione più lata della sofferenza psichica traneseunte (v. in motivazione il punto 4.9) (Cassazione civile, sez. III, 28 novembre 2008, n ). Alla risarcibilità del danno non patrimoniale non osta il mancato accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nei casi di cui all'art c.c. debba ritenersi sussistere in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa (come appare nel caso di specie) il fatto sarebbe qualificabile come reato. Questo orientamento, consolidato da sentenze successive conformi, da ultimo appare confermato nel punto 2.10 della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite civili n del 11 novembre 2008 (Cassazione civile, sez. III, 13 gennaio 2009, n. 479) Il danno da morte e l operatività dell art c.c. Dobbiamo ora fare un passo in avanti e chiederci se, ed entro quali limiti, possa dirsi che l art c.c. operi anche nell ipotesi dei danni da morte. Il dovere del danneggiato di attivarsi per evitare il danno secondo l'ordinaria diligenza ex art. 1227, II, c.c. deve essere inteso come sforzo di evitare il danno attraverso un'agevole attività personale, o mediante un sacrificio economico, relativamente lieve, mentre non sono comprese nell'ambito dell'ordinaria diligenza quelle attività che siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici. Il dovere giuridico posto a carico del creditore dall'art c.c., è espressione dell'obbligo di comportarsi secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all'art c.c. che esclude che il creditore possa pretestuosamente rifiutare il conseguimento di un bene della vita sostanzialmente identico a quello rispetto al quale aveva una aspettativa tutelata, ma non consente certo di imporre a suo carico, per limitare le conseguenze dannose del comportamento del danneggiante, il definitivo sacrificio dello stesso interesse leso dall'illegittima attività di quest ultimo. Si è rilevato in dottrina come una tale impostazione sembri rappresentare il contraltare della responsabilità civile, nel senso che se il soggetto attivo non deve cagionare danni e anche vero che il soggetto passivo non deve, e non può, limitarsi all inerzia rispetto ai danni subiti. Tanto è che il risarcimento non è dovuto per il danno che il creditore avrebbe potuto evitare con un attività anche positiva, per ridurre o eliminare il danno stesso, ma sempre nei limiti in cui ciò non comporti come detto - un apprezzabile sacrificio. È qui bene precisare che involgendo il nostro argomentare al tema del danno alla persona è opinio iuris condivisa in seno alla giurisprudenza della corte di legittimità che fini della liquidazione del danno in questione, il rifiuto di un paziente (si pensi ad una cd. vittima secondaria ammalatasi a seguito della morte di un proprio caro) di sottoporsi ad interventi chirurgici per diminuirne l'entità, non può essere inquadrabile nell'ipotesi di concorso colposo del creditore, ai fini dell'art c.c..

24 Raccolta di giurisprudenza

25 Cassazione civile, sez. un., 11 novembre 2008, n Svolgimento del processo L. A., sottoposto nel maggio del 1989 ad intervento chirurgico per ernia inguinale sinistra, subì la progressiva atrofizzazione del testicolo sinistro che gli fu asportato nel giugno del 1990 in seguito ad inutili terapie antalgiche. Nel marzo del 1992 convenne in giudizio il dott. F. S. e la U.L.S.S. n. 8 (in seguito n. 6) di..., assumendo che il secondo intervento era stato reso necessario da errori connessi al primo e domandando la condanna dei convenuti al risarcimento di tutti i danni patiti. Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del , riconosciuto il danno biologico, condannò i convenuti a versare all'attore la somma ulteriore di lire a titolo di interessi maturati sulla somma di lire già corrisposta nel 1995 dall'assicuratore dei convenuti. Con sentenza n. 1933/04 la corte d'appello di Venezia ha rigettato il gravame dell'a. in punto di liquidazione del danno sui rilievi: che dalla espletata consulenza tecnica era inequivocamente emerso che la perdita del testicolo non aveva inciso sulla capacità riproduttiva, rimasta integra, provocando soltanto un limitato danno permanente all'integrità fisica dell'a., apprezzato nella misura del 6%; che la richiesta di liquidazione del danno esistenziale, in quanto formulata per la prima volta in grado di appello, costituiva domanda nuova, come tale inammissibile ex art. 345 c.p.c. nella previgente formulazione; e che del pari inammissibili erano le richieste istruttorie di prove orali articolate per supportare la relativa domanda. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l'a., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso F. S.. L'intimata U.L.S.S. n. 6 di... non ha svolto attività difensiva. All'udienza del , la terza sezione, rilevato che il ricorso investe questione di particolare importanza, in relazione al cd. danno esistenziale, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, in base alle considerazioni svolte con l'ordinanza resa nel ricorso n /2004, trattato nella medesima udienza, che ha assunto il n. 4712/2008. Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite. Motivi della decisione A) Esame della questione di particolare importanza 1. L'ordinanza di rimessione n. 4712/2008 relativa al ricorso n /2004, alla quale integralmente rinvia l'ordinanza della terza sezione che eguale questione ha ritenuto sussistere nel ricorso in esame rileva che negli ultimi anni si sono formati in tema di danno non patrimoniale due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, l'uno favorevole alla configurabilità, come autonoma categoria, del danno esistenziale inteso, secondo una tesi dottrinale che ha avuto seguito nella giurisprudenza, come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico, in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal c.d. danno morale soggettivo, in quanto non attiene alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare areddituale del soggetto l'altro contrario. Osserva l'ordinanza che le sentenze n e n. 8828/2003 hanno ridefinito rispetto alle opinioni tradizionali presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale. Quanto ai presupposti hanno affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, secondo la lettera dell'art c.c., ma anche in tutti i casi in cui il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Quanto ai contenuti, hanno ritenuto che il danno non patrimoniale, pur costituendo una categoria unitaria, può essere distinto in pregiudizi di tipo diverso: biologico, morale ed esistenziale. A questo orientamento, prosegue l'ordinanza di rimessione, ha dato continuità la Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 233/2003, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale

26 dell'art c.c., ha tributato un espresso riconoscimento alla categoria del danno esistenziale, da intendersi quale terza sottocategoria di danno non patrimoniale. Ricorda ancora l'ordinanza di rimessione che altre decisioni di legittimità hanno ritenuto ammissibile la configurabilità di un tertium genus di danno non patrimoniale, definito esistenziale : tale danno consisterebbe in qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana (quali la lesione della serenità familiare o del godimento di un ambiente salubre), e si distinguerebbe sia dal danno biologico, perché non presuppone l'esistenza di una lesione in corpore, sia da quello morale, perché non costituirebbe un mero patema d'animo interiore di tipo soggettivo. Tra le decisioni rilevanti in tal senso l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 7713/2000, n. 9009/2001, n. 6732/2005, n /2006, n. 2311/2007, e, soprattutto, la sentenza delle Sezioni unite n. 6572/2006, la quale ha dato una precisa definizione del danno esistenziale da lesione del fare areddituale della persona, ed una altrettanto precisa distinzione di esso dal danno morale, in quanto, al contrario di quest'ultimo, il danno esistenziale non ha natura meramente emotiva ed interiore. L'ordinanza di rimessione osserva poi che al richiamato orientamento, favorevole alla configurabilità del danno esistenziale come categoria autonoma di danno non patrimoniale, si è contrapposto un diverso orientamento, il quale nega dignità concettuale alla nuova figura di danno. Secondo questo diverso orientamento il danno non patrimoniale, essendo risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, tra i quali rientrano, in virtù della interpretazione costituzionalmente orientata dell'art, 2059 c.c. fornita dalle sentenze n e n. 8828/2003, i casi di lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti, manca del carattere della atipicità, che invece caratterizza il danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art c.c.. Di conseguenza non sarebbe possibile concepire categorie generalizzanti, come quella del danno esistenziale, che finirebbero per privare il danno non patrimoniale del carattere della tipicità. Tra le decisioni espressione di questo orientamento l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n /2006, n /2006, n. 9510/2006, n. 9514/2007, n /2007. Così riassunti i contrapposti orientamenti, l'ordinanza di rimessione conclude invitando le Sezioni unite a pronunciarsi sui seguenti otto quesiti. 1. Se sia concepibile un pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto dal danno morale quanto dal danno biologico, consistente nella lesione del fare areddituale della vittima e scaturente dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti. 2. Se sia corretto ravvisare le caratteristiche di tale pregiudizio nella necessaria sussistenza di una offesa grave ad un valore della persona, e nel carattere di gravità e permanenza delle conseguenze da essa derivate. 3. Se sia corretta la teoria che, ritenendo il danno non patrimoniale tipico, nega la concepibilità del danno esistenziale. 4. Se sia corretta la teoria secondo cui il danno esistenziale sarebbe risarcibile nel solo ambito contrattuale e segnatamente nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero debba affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell'illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano. 5. Se sia risarcibile un danno non patrimoniale che incida sulla salute intesa non come integrità psicofisica, ma come sensazione di benessere. 6. Quali debbano essere i criteri di liquidazione del danno esistenziale. 7. Se costituisca peculiare categoria di danno non patrimoniale il c.d. danno tanatologico o da morte immediata. 8. Quali siano gli oneri di allegazione e di prova gravanti sul chi domanda il ristoro del danno esistenziale. 2. Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'art c.c. ( Danni non patrimoniali ) secondo cui Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge. All'epoca dell'emanazione del codice civile l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 del codice penale del 1930.

27 La giurisprudenza, nel dare applicazione all'art c.c., si consolidò nel ritenere che il danno non patrimoniale era risarcibile solo in presenza di un reato e ne individuò il contenuto nel c.d. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza contingente, turbamento dell'animo transeunte L'insostenibilità di siffatta lettura restrittiva è stata rilevata da questa Corte con le sentenze n e n. 8828/2003, in cui si è affermato che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Sorreggono l'affermazione i seguenti argomenti: a) il cospicuo incremento, nella legislazione ordinaria, dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 l. n. 117/1998; art 29, comma 9, l. n. 675/1996; art. 44, comma 7, d.lgs. n. 286/1998; art. 2 l. n. 89/2001, con conseguente ampliamento del rinvio effettuato dall'art c.c. ai casi determinati dalla legge; b) il riconoscimento nella giurisprudenza della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 3675/1981) di quella peculiare figura di danno non patrimoniale, diverso dal danno morale soggettivo, che è il danno biologico, formula con la quale si designa la lesione dell'integrità psichica e fisica della persona; c) l'estensione giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale, evidentemente inteso come pregiudizio diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche (sent. n. 2367/2000); d) l'esigenza di assicurare il risarcimento del danno non patrimoniale, anche in assenza di reato, nel caso di lesione di interessi di rango costituzionale, sia perché in tal caso il risarcimento costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a limiti specifici, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi, sia perché il rinvio ai casi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di risarcimento del danno non patrimoniale Queste Sezioni unite condividono e fanno propria la lettura, costituzionalmente orientata, data dalle sentenze n e n. 8828/2003 all'art c.c. e la completano nei termini seguenti Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art c.c.. L'art c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (dannoconseguenza, secondo opinione ormai consolidata: Corte cost. n. 372/1994; S.u. n. 576, 581, 582, 584/2008) L'art c.c. è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ( Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui ).

28 2.6. Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 l. n. 117/1998: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art 29, comma 9, l. n. 675/1996: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, d.lgs. n. 286/1998: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 l. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo) Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa (sent. n /2005; n /2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art c.c., norma nella quale avrebbe ben potuto sin dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria). Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto). Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost, (sent. n /2008) La rilettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art c.c.) e danno non patrimoniale (art c.c.) (sent. n. 8827/2003; n /2005; n /2006). Sul piano della struttura dell'illecito, articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (dannoconseguenza), le due ipotesi risarcitorie si differenziano in punto di evento dannoso, e cioè di lesione dell'interesse protetto. Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (sent. n /2005; n /2006) La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.u. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.u. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

29 La limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art c.c. né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n.19057/2003; n. 3806/2004; n /2005). Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento. In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale Negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore. Va notato che, nei casi previsti da leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione di diritti inviolabili della persona: alla libertà personale, alla riservatezza, a non subire discriminazioni. Non può tuttavia ritenersi precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte cost. n. 87/1979). Situazione che non ricorre in relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi, ai quali non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, né può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno (Corte cost. n. 348/2007) Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata In tali ipotesi non emergono, nell'ambito della categoria generale danno non patrimoniale, distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. È solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento

30 medicolegale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito, e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale. In tal senso, e cioè come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza, n. 233/2003 della Corte costituzionale. Le menzionate sentenze, d'altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni unite condividono Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana. 3. Si pone ora la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il c.d. danno esistenziale Secondo una tesi elaborata in dottrina nei primi anni '90 il danno esistenziale era inteso come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico (all'epoca risarcito nell'ambito dell'art c.c. in collegamento con l'art. 32 Cost.), in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal cd. danno morale soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza di reato, secondo la tradizionale lettura restrittiva dell'art c.c. in collegamento all'art. 185 c.p.), in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto. Tale figura di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai limiti dell'art c.c., e seguendo la via, già percorsa per il danno biologico, di operare nell'ambito dell'art c.c. inteso come norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona. Si affermava che, nel caso in cui il fatto illecito limita le attività realizzatrici della persona umana, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno morale soggettivo ed al danno biologico) definito con l'espressione danno esistenziale. Il pregiudizio era individuato nella alterazione della vita di relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona. Pregiudizi diversi dal patimento intimo, costituente danno morale soggettivo, perché non consistenti in una sofferenza, ma nel non poter più fare secondo i modi precedentemente adottati, e non integranti danno biologico, in assenza di lesione all'integrità psicofisica Va rilevato che, già nel quadro dell'art c.c. nel quale veniva inserito, la nuova figura di danno si risolveva nella descrizione di un pregiudizio di tipo esistenziale (il peggioramento della qualità della vita, l'alterazione del fare non reddituale), non accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito dell'ingiustizia del danno, di quale fosse l'interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito, e l'insussistenza della lesione di un interesse siffatto era ostativa all'ammissione a risarcimento.

31 Di siffatta carenza, non percepita dalla giurisprudenza di merito, mostratasi favorevole ad erogare tutela risarcitoria al danno così descritto (dannoconseguenza) senza svolgere indagini sull'ingiustizia del danno (per lesione dell'interesse), è stata invece avvertita questa Corte, in varie pronunce precedenti alle sentenze gemelle del La sentenza n. 7713/2000, pur discorrendo di danno esistenziale, ed impiegando il collegamento tra art c.c. e norme della Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30), analogamente a quanto all'epoca avveniva per il danno biologico, ravvisò il fondamento della tutela nella lesione del diritto costituzionalmente protetto del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante dannoevento. La decisione non sorregge quindi la tesi che vede il danno esistenziale come categoria generale e lo dice risarcibile indipendentemente dall'accertata lesione di un interesse rilevante. La menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha definito esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche (e quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo la morte, ed era rimasta lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento del danno agli eredi della vittima. La decisione non conforta la teoria del danno esistenziale. Nel quadro di una costante giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita (sent. n. 1704/1997, n. 491/1999, n /1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile (sent. n. 6404/1998, n. 9620/2003, n. 4754/2004, n /2004), ed a questo lo commisura, la sentenza persegue lo scopo di riconoscere il risarcimento, a diverso titolo, delle sofferenze coscientemente patite in quel breve intervallo. Viene qui in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Né, d'altra parte, può in questa sede essere rimeditato il richiamato indirizzo giurisprudenziale, non essendosi manifestato in questa Corte un argomentato dissenso. In tema di danno da irragionevole durata del processo (art. 2 della legge n. 89/2001) la sentenza n /2002, ha espressamente negato la distinta risarcibilità del pregiudizio esistenziale, in quanto costituente solo una voce del danno non patrimoniale, risarcibile per espressa previsione di legge. Altre decisioni hanno riconosciuto, nell'ambito del rapporto di lavoro (e quindi in tema di responsabilità contrattuale, ponendo questione sulla quale si tornerà più avanti), il danno esistenziale da mancato godimento del riposo settimanale (sent. n. 9009/2001) e da demansionamento (sent. n. 8904/2003), ravvisando nei detti casi la lesione di diritti fondamentali del lavoratore, e quindi ricollegando la risarcibilità ad una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal blackout elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia Questi erano dunque i termini nei quali viveva, nelle opinioni della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, la figura del danno esistenziale. Dopo che le sentenze n e n. 8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso da queste Sezioni unite, secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere.

32 3.4. Come si è ricordato, la figura del danno esistenziale era stata proposta nel dichiarato intento di supplire ad un vuoto di tutela, che ormai più non sussiste In presenza di reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile. La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall'ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali (come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955), e cioè purché sussista il requisito dell'ingiustizia generica secondo l'art c.c. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell'interesse leso In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. Ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno. Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del c.d. danno estetico che del c.d. danno alla vita di relazione ), saranno risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica. Ipotesi che si verifica nel caso (esaminato dalla sentenza n. 6607/1986) dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale dirittodovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri dirittidoveri reciproci, il rapporto di coniugio. Nella fattispecie il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica Il pregiudizio di tipo esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria. Per superare tale limitazione, è stata prospettata la tesi secondo cui la rilevanza costituzionale non deve attenere all'interesse leso, bensì al pregiudizio sofferto. Si sostiene che, incidendo il pregiudizio di tipo esistenziale, consistente nell'alterazione del fare non reddituale, sulla sfera della persona, per ciò soltanto ad esso va riconosciuta rilevanza costituzionale, senza necessità di indagare la natura dell'interesse leso e la consistenza della sua tutela costituzionale. La tesi pretende di vagliare la rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio, cioè al dannoconseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento dannoso, in tal modo confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell'ingiustizia da dimostrare, e va disattesa. Essa si risolve sostanzialmente nell'abrogazione surrettizia dell'art c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata, perché cancella la persistente limitazione della tutela risarcitoria (al di fuori dei casi determinati dalla legge) ai casi in cui il danno non patrimoniale sia conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona, e cioè in presenza di ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento dannoso Ulteriore tentativo di superamento dei limiti segnati dalla lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. è incentrato sull'assunto secondo cui il danno esistenziale non si identifica con la

33 lesione di un bene costituzionalmente protetto, ma può scaturire dalla lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante. La tesi è inaccettabile, in quanto si risolve nel ricondurre il preteso danno sotto la disciplina dell'art c.c., dove il risarcimento è dato purché sia leso un interesse genericamente rilevante per l'ordinamento, contraddicendo l'affermato principio della tipicità del danno non patrimoniale. E non è prospettabile illegittimità costituzionale dell'art c.c., come rinvigorito da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003, in quanto non ammette a risarcimento, al di fuori dei casi previsti dalla legge (reato ed ipotesi tipiche), i pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione non di diritti inviolabili, ma di interessi genericamente rilevanti, poiché la tutela risarcitoria minima ed insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili (Corte cost. n. 87/1979) Il superamento dei limiti alla tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali, che permangono, nei termini suesposti, anche dopo la rilettura conforme a Costituzione dell'art c.c., può derivare da una norma comunitaria che preveda il risarcimento del danno non patrimoniale senza porre limiti, in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Va ricordato che l'effetto connesso alla vigenza di norma comunitaria è quello non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale (Corte cost. n. 170/1984; S.u. n. 1512/1998; Cass. n. 4466/2005) Queste Sezioni unite, con la sentenza n. 6572/2006, trattando il tema del riparto degli oneri probatori in tema di riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale biologico o esistenziale da demansionamento o dequalificazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, hanno definito il danno esistenziale, come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. La pronuncia è stata seguita da altre sentenze (n. 4260/2007; n. 5221/2007; n /2007; n /2007). Non sembra tuttavia che tali decisioni, che si muovono nell'ambito della affermata natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro (così ponendo la più ampia questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni, che sarà trattata più avanti e positivamente risolta), confortino la tesi di quanti configurano il danno esistenziale come autonoma categoria, destinata ad assumere rilievo anche al di fuori dell'ambito del rapporto di lavoro. Le menzionate sentenze individuano specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di obblighi contrattuali nell'ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla violazione dell'obbligo dell'imprenditore di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art c.c.). Vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32 Cost., quanto alla tutela dell'integrità fisica, ed agli art. 1, 2, 4 e 35 Cost., quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione dà luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale. In tal senso, per difetto dell'ingiustizia costituzionalmente qualificata, è stato correttamente negato il risarcimento ad una persona che si affermava stressata per effetto dell'istallazione di un lampione a

34 ridosso del proprio appartamento per la compromissione della serenità e sicurezza, sul rilievo che i menzionati interessi non sono presidiati da diritti di rango costituzionale (sent. n. 3284/2008). E per eguale ragione non è stato ammesso a risarcimento il pregiudizio sofferto per la perdita di un animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra l'uomo e l'animale, privo, nell'attuale assetto dell'ordinamento, di copertura costituzionale (sent. n /2007) Il risarcimento di pretesi danni esistenziali è stato frequentemente richiesto ai giudici di pace ed ha dato luogo alla proliferazione delle c.d. liti bagatellari. Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno conseguenziale è futile o irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto. In entrambi i casi deve sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al di fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art c.c. La differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area del dannoconseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio esistenziale futile, non serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici), mentre nel secondo è l'offesa arrecata che è priva di gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima: come avviene nel caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori stradali di pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto inviolabile, non spettando tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16 Cost., che può essere limitato per varie ragioni) La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico (criterio sovente utilizzato in materia di lavoro, sent. n /2002; n. 9266/2005, o disciplinare, S.u. n /2002) I limiti fissati dall'art c.c. non possono essere ignorati dal giudice di pace nelle cause di valore non superiore ad euro millecento, in cui decide secondo equità. La norma, nella lettura costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equità, deve osservare (Corte cost. n. 206/2004) In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n /2005, n /2006, n /2006, che queste Sezioni unite fanno propri).

35 3.14. Le considerazioni svolte valgono a dare risposta negativa a tutti i quesiti, in quanto postulanti la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale. 4. Il danno non patrimoniale conseguente all'inadempimento delle obbligazioni, secondo l'opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, non era ritenuto risarcibile. L'ostacolo era ravvisato nella mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art c.c., dettato in materia di fatti illeciti. Per aggirare l'ostacolo, nel caso in cui oltre all'inadempimento fosse configurabile lesione del principio del neminem laedere, la giurisprudenza aveva elaborato la teoria del cumulo delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968, seguita dalla n. 8656/1996, nel caso del trasportato che abbia subito lesioni nell'esecuzione del contratto di trasporto; sent. n. 8331/2001, in materia di tutela del lavoratore). A parte il suo dubbio fondamento dogmatico (contestato in dottrina), la tesi non risolveva la questione del risarcimento del danno non patrimoniale in senso lato, poiché lo riconduceva, in relazione all'azione extracontrattuale, entro i ristretti limiti dell'art c.c. in collegamento con l'art. 185 c.p., sicché il risarcimento era condizionato alla qualificazione del fatto illecito come reato ed era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo. Dalle strettoie dell'art c.c. si sottraeva il danno biologico, azionato in sede di responsabilità aquiliana, grazie al suo inserimento nell'art c.c. (Corte cost. n. 184/1986) L'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art c.c. consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni Che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale (come condivisibilmente affermato dalla sentenza n /2006) Vengono in considerazione, anzitutto, i c.d. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali. In tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto alla struttura, hanno applicato il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent. n /1003; n. 5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002; n /2004; n /2005).

36 I suindicati soggetti, a seconda dei casi, avevano subito la lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32, comma 1, Cost.), sotto il profilo del danno biologico sia fisico che psichico (sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabile all'autodeterminazione (artt. 32, comma 2, e 13 Cost.), come nel caso della gestante che, per errore diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere se interrompere la gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate), e nei casi di violazione dell'obbligo del consenso informato (sent. n. 544/2006); dei diritti propri della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), come nel caso di cui alle sentenze n. 6735/2002 e conformi citate Costituisce contratto di protezione anche quello che intercorre tra l'allievo e l'istituto scolastico. In esso, che trova la sua fonte nel contatto sociale (S.u. n. 9346/2002; sent. n. 8067/2007), tra gli interessi non patrimoniali da realizzare rientra quello alla integrità fisica dell'allievo, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale da autolesione (sentenze citate) L'esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel caso in cui l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della legge. È questo il caso del contratto di lavoro. L'art c.c. ( L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ), inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione economica (l'integrità fisica e la personalità morale) già implicava che, nel caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale. Il presidio dei detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela. Con la conseguenza che la loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell'integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa. Nell'ipotesi da ultimo considerata si parla, nella giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 6572/2006), di danno esistenziale. Definizione che ha valenza prevalentemente nominalistica, poiché i danniconseguenza non patrimoniali che vengono in considerazione altro non sono che pregiudizi attinenti alla svolgimento della vita professionale del lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale, ammessi a risarcimento in virtù della lesione, in ambito di responsabilità contrattuale, di diritti inviolabili e quindi di ingiustizia costituzionalmente qualificata Quanto al contratto di trasporto, la tutela dell'integrità fisica del trasportato è compresa tra le obbligazioni del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio (art c.c.). Il vettore è quindi obbligato a risarcire a titolo di responsabilità contrattuale il danno biologico riportato nel sinistro dal viaggiatore. Ove ricorra ipotesi di inadempimentoreato (lesioni colpose), varranno i principi enunciati con riferimento all'ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anche in relazione all'ipotesi dell'illecito plurioffensivo, e sarà dato il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua ampia accezione Nell'ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato. L'art c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell'art c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti.

37 D'altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall'inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all'art c.c. (non operante in materia di responsabilità da fatto illecito, in difetto di richiamo nell'art c.c.), restando, al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione è sorta. Il rango costituzionale dei diritti suscettivi di lesione rende nulli i patti di esonero o limitazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 1229, comma 2, c.c. (È nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione della responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico). Varranno le specifiche regole del settore circa l'onere della prova (come precisati da Sez. un. n /2001), e la prescrizione Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all'art c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valoreuomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato. Possono costituire solo voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione. Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo (diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno esistenziale autonomo).

38 Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come voce del danno biologico, che il c.d. danno estetico pacificamente incorpora. Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n e n. 8828/2003; n /2003), che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di danno evento. La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 d. lgs. n. 209/2005) richiede l'accertamento medicolegale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto. B) Ricorso n. 734/06 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 345, comma 1, c.p.c., nel testo vigente prima del , e vizio di motivazione su punto decisivo, in riferimento alla affermata inammissibilità della domanda di risarcimento del danno esistenziale. Il ricorrente si duole anzitutto che la corte d'appello abbia ritenuto che la richiesta di risarcimento del danno esistenziale integrasse una domanda nuova senza considerare che essa costituiva la mera riproposizione di richieste già formulate in primo grado. Afferma che, in quella sede, ci si era specificamente riferiti alle singole voci di danno (estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale) che

39 sarebbero state poi ricompresse nella nozione di danno esistenziale, all'epoca non ancora elaborata, e censura la sentenza per aver dato rilievo alla qualificazione giuridica data alla richiesta, piuttosto che alle circostanze di fatto poste a fondamento della domanda originaria: circostanze identiche, come poteva rilevarsi dalla lettura dell'atto di citazione e di quello di appello (i cui passi sono riportati in ricorso), e concernenti lo stato di disagio in cui versava nel mostrarsi privo di un testicolo, con conseguenti ripercussioni negative nella sfera relativa ai propri rapporti sessuali. Sostiene poi che erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto che la nozione di danno alla salute ricomprenda i concreti pregiudizi alla sfera esistenziale, che concerne invece la lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (che nella specie potevano ritenersi provati anche mediante ricorso a presunzioni). 2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 345, comma 1 e 2, c.p.c. nel testo vigente prima del , con riferimento alla affermata inammissibilità della prova richiesta in appello in punto di disagio del leso nel mostrare i propri organi genitali e delle conseguenti limitazioni dei suoi rapporti sessuali. La sentenza è censurata per aver ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata in appello sul senso di vergogna provato dal ricorrente nei momenti di intimità interpersonale e sul suo conseguente desiderio di limitare nel numero e nel tempo i rapporti sessuali. Si sostiene che, una volta escluso che fosse stata proposta una domanda nuova, l'art. 345, comma 2, c.p.c., nella previgente formulazione, non sarebbe stato d'ostacolo all'ammissione della prova testimoniale, invece ritenuta inammissibile proprio perché vertente su una domanda erroneamente qualificata come nuova, e come tale inammissibile Il primo motivo è fondato nei sensi che seguono. Le considerazioni svolte in sede di esame della questione di particolare importanza consentono di affermare che il pregiudizio della vita di relazione, anche nell'aspetto concernente i rapporti sessuali, allorché dipenda da una lesione dell'integrità psicofisica della persona, costituisce uno dei possibili riflessi negativi della lesione dell'integrità fisica del quale il giudice deve tenere conto nella liquidazione del danno biologico, e non può essere fatta valere come distinto titolo di danno, e segnatamente a titolo di danno esistenziale (punto 4.9). Al danno biologico va infatti riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, confermata dalla definizione normativa adottata dal d. lgs. n. 209/2005, recante il Codice delle assicurazioni private ( per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psicofisica della persona, suscettibile di valutazione medicolegale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito ), suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato. Ed al danno esistenziale non può essere riconosciuta dignità di autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale (punto 3.13). Nella specie, in primo grado, l'attore aveva fatto valere, tra i pregiudizi denunciati, quello concernente la limitazione dell'attività sessuale nei suoi rapporti interpersonali, qualificandolo come pregiudizio di tipo esistenziale. Il primo giudice aveva riconosciuto il danno biologico, senza considerare il segnalato aspetto attinente alla vita relazionale. Di ciò si era lamentato, con l'appello, l'attore ed aveva richiesto prove a sostegno del dedotto profilo di danno, qualificandolo come esistenziale (prove che potevano essere richieste in secondo grado, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. nel testo previgente, trattandosi di giudizio introdotto prima del ). Ma la corte territoriale ha ritenuto nuova tale domanda e conseguentemente inammissibili le prove. La decisione non è corretta. La domanda risarcitoria relativa ai pregiudizi subiti per la limitazione dell'attività sessuale del leso non era nuova, come è univocamente evincibile dalla sostanziale identità di contenuto delle deduzioni del

40 primo e del secondo grado, al di là della richiesta di risarcimento del danno esistenziale subordinatamente formulata col terzo motivo di appello; appello col quale l'attuale ricorrente s'era doluto della inadeguata considerazione delle conseguenze del tipo di lesione subita in relazione alla sua età all'epoca del fatto (45 anni) ed al suo stato civile di celibe. La corte territoriale ha, dunque, impropriamente fatto leva sul nomen iuris assegnato dall'appellante alla richiesta di risarcimento del pregiudizio che viene in considerazione e che era stato già puntualmente prospettato in primo grado, dove era stato anche correttamente inquadrato nell'ambito del danno biologico. 3. All'accoglimento del primo motivo per quanto di ragione consegue quello del secondo, avendo la corte d'appello escluso che la prova testimoniale fosse ammissibile per la sola ragione che essa si riferiva ad una domanda erroneamente ritenuta nuova. 4. La sentenza va dunque cassata. 5. Il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d'appello in diversa composizione, non dovrà necessariamente procedere all'ammissione della prova testimoniale, non essendogli precluso di ritenere vero anche in base a semplice inferenza presuntiva che la lesione in questione abbia prodotto le conseguenze che si mira a provare per via testimoniale e di procedere, dunque, all'eventuale personalizzazione del risarcimento (nella specie, del danno biologico); la quale non è mai preclusa dalla liquidazione sulla base del valore tabellare differenziato di punto, segnatamente alla luce del rilievo che il consulente d'ufficio ha dichiaratamente ritenuto di non attribuire rilevanza, nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, al disagio che la menomazione in questione provoca nei momenti di intimità (ed ai suoi consequenziali riflessi). 6. Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di cassazione. 7. Ricorrono i presupposti di cui all'art. 52, comma 2, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla corte d'appello di Venezia in diversa composizione; dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati.

41 Cassazione civile, sez. un., 11 novembre 2008, n Svolgimento del processo Con citazione, G.M., F.S. e G. M., rispettivamente genitori e fratello di G.L., convenivano davanti al Tribunale di Roma Z.E., M. R. e Z.M., quali eredi di Za.Ma., e la S.p.a. N.T., per sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all'incidente stradale avvenuto il (...), che aveva causato la morte di G.L., trasportato sull'auto condotta da Za.Ma., e di quest'ultimo e di altro occupante. I convenuti resistevano. Chiedevano la riunione del giudizio a quello instaurato davanti al Tribunale di Vigevano dagli eredi di altra trasportata. La richiesta era respinta. Il tribunale, con sentenza del , dichiarava l'esclusiva responsabilità di Za.Ma. e condannava la N.T. al risarcimento dei danni, liquidati in L per G. M., L per F.S., L per Gr.Ma.. Appellavano gli attori, chiedendo che i danni fossero liquidati in misura più elevata. La N.T. chiedeva la conferma della sentenza impugnata e, in ogni caso, il contenimento dei danni entro il limite del massimale. La Corte d'appello di Roma, con sentenza del , in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la N.T. al pagamento in favore degli attori dell'ulteriore somma di Euro 5.000,00, da suddividere in proporzione delle quote di legge, a titolo di danno morale e danno biologico sofferti da G.L.. Avverso la sentenza gli originari attori hanno proposto ricorso, articolato in sei motivi. Ha resistito la N.T., con controricorso recante ricorso incidentale condizionato. All'udienza del , la terza sezione, rilevato che il ricorso investe questione di particolare importanza, in relazione al cd. danno esistenziale, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, in base alle considerazioni svolte con l'ordinanza resa nel ricorso n /2004, trattato nella medesima udienza, che ha assunto il n. 4712/2008. Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite. Motivi della decisione A) Esame della questione di particolare importanza. 1. L'ordinanza di rimessione n. 4712/ relativa al ricorso n /2004, alla quale integralmente rinvia l'ordinanza della terza sezione che eguale questione ha ritenuto sussistere nel ricorso in esame rileva che negli ultimi anni si sono formati in tema di danno non patrimoniale due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, l'uno favorevole alla configurabilità, come autonoma categoria, del danno esistenziale - inteso, secondo una tesi dottrinale che ha avuto seguito nella giurisprudenza, come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico, in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal cd. danno morale soggettivo, in quanto non attiene alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare areddituale del soggetto - l'altro contrario. Osserva l'ordinanza che le sentenze n e n. 8828/2003 hanno ridefinito rispetto alle opinioni tradizionali presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale. Quanto ai presupposti hanno affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, secondo la lettera dell'art c.c. ma anche in tutti i casi in cui il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Quanto ai contenuti, hanno ritenuto che il danno non patrimoniale, pur costituendo una categoria unitaria, può essere distinto in pregiudizi di tipo diverso: biologico, morale ed esistenziale. A questo orientamento, prosegue l'ordinanza di rimessione, ha dato continuità la Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 233/2003, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art c.c. ha tributato un espresso riconoscimento alla categoria del "danno esistenziale, da intendersi quale terza sottocategoria di danno non patrimoniale. Ricorda ancora l'ordinanza di rimessione che altre decisioni di legittimità hanno ritenuto ammissibile la configurabilità di un tertium genus di danno non patrimoniale, definito "esistenziale":

42 tale danno consisterebbe in qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana (quali la lesione della serenità familiare o del godimento di un ambiente salubre), e si distinguerebbe sia dal danno biologico, perchè non presuppone l'esistenza di una lesione in corpore, sia da quello morale, perchè non costituirebbe un mero patema d'animo interiore di tipo soggettivo. Tra le decisioni rilevanti in tal senso l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 7713/2000, n. 9009/2001, n. 6732/2005, n /2006, n. 2311/2007, e, soprattutto, la sentenza delle Sezioni unite n. 6572/2006, la quale ha dato una precisa definizione del danno esistenziale da lesione del fare areddittuale della persona, ed una altrettanto precisa distinzione di esso dal danno morale, in quanto, al contrario di quest'ultimo, il danno esistenziale non ha natura meramente emotiva ed interiore. L'ordinanza di rimessione osserva poi che al richiamato orientamento, favorevole alla configurabilità del danno esistenziale come categoria autonoma di danno non patrimoniale, si è contrapposto un diverso orientamento, il quale nega dignità concettuale alla nuova figura di danno. Secondo questo diverso orientamento il danno non patrimoniale, essendo risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, tra i quali rientrano, in virtù della interpretazione costituzionalmente orientata dell'art c.c. fornita dalle sentenze n e n. 8828/2003, i casi di lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti, manca del carattere della atipicità, che invece caratterizza il danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art c.c.. Di conseguenza non sarebbe possibile concepire categorie generalizzanti, come quella del danno esistenziale, che finirebbero per privare il danno non patrimoniale del carattere della tipicità. Tra le decisioni espressione di questo orientamento l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n /2006, n /2006, n. 9510/2006, n. 9514/2007, n /2007. Così riassunti i contrapposti orientamenti, l'ordinanza di rimessione conclude invitando le Sezioni unite a pronunciarsi sui seguenti otto "quesiti". 1. Se sia concepibile un pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto dal danno morale quanto dal danno biologico, consistente nella lesione del fare areddituale della vittima e scaturente dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti. 2. Se sia corretto ravvisare le caratteristiche di tale pregiudizio nella necessaria sussistenza di una offesa grave ad un valore della persona, e nel carattere di gravità e permanenza delle conseguenze da essa derivate. 3. Se sia corretta la teoria che, ritenendo il danno non patrimoniale "tipico", nega la concepibilità del danno esistenziale. 4. Se sia corretta la teoria secondo cui il danno esistenziale sarebbe risarcibile nel solo ambito contrattuale e segnatamente nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero debba affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell'illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano. 5. Se sia risarcibile un danno non patrimoniale che incida sulla salute intesa non come integrità psicofisica, ma come sensazione di benessere. 6. Quali debbano essere i criteri di liquidazione del danno esistenziale. 7. Se costituisca peculiare categoria di danno non patrimoniale il cd. danno tanatologico o da morte immediata. 8. Quali siano gli oneri di allegazione e di prova gravanti sul chi domanda il ristoro del danno esistenziale. 2. Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'art c.c. ("Danni non patrimoniali") secondo cui "Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". All'epoca dell'emanazione del codice civile l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 c.p La giurisprudenza, nel dare applicazione all'art c.c. si consolidò nel ritenere che il danno non patrimoniale era risarcibile solo in presenza di un reato e ne individuò il contenuto nel cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza contingente, turbamento dell'animo transeunte L'insostenibilità di siffatta lettura restrittiva è stata rilevata da questa Corte con le sentenze n e n. 8828/2003, in cui si è affermato che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili

43 dell'uomo - il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Sorreggono l'affermazione i seguenti argomenti: a) il cospicuo incremento, nella legislazione ordinaria, dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, comma 7; L. n. 89 del 2001, art. 2, con conseguente ampliamento del rinvio effettuato dall'art c.c. ai casi determinati dalla legge; b) il riconoscimento nella giurisprudenza della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 3675/1981) di quella peculiare figura di danno non patrimoniale, diverso dal danno morale soggettivo, che è il danno biologico, formula con la quale si designa la lesione dell'integrità psichica e fisica della persona; c) l'estensione giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale, evidentemente inteso come pregiudizio diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche (sent. n. 2367/2000); d) l'esigenza di assicurare il risarcimento del danno non patrimoniale, anche in assenza di reato, nel caso di lesione di interessi di rango costituzionale, sia perchè in tal caso il risarcimento costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a limiti specifici, poichè ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi, sia perchè il rinvio ai casi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di risarcimento del danno non patrimoniale Queste Sezioni unite condividono e fanno propria la lettura, costituzionalmente orientata, data dalle sentenze n e n. 8828/2003 all'art c.c. e la completano nei termini seguenti Il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art c.c. si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art c.c.. L'art c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (dannoconseguenza, secondo opinione ormai consolidata: Corte cost. n. 372/1994; S.u. n. 576, 581, 582, 584/2008) L'art c.c. è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui") Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; D.Lgs. n. 286

44 del 1998, art. 44, comma 7: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; L. n. 89 del 2001, art. 2: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo) Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art c.c. il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dal D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, specifica definizione normativa (sent. n /2005; n /2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art c.c., norma nella quale avrebbe ben potuto sin dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria). Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto). Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n /2008) La rilettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art c.c.) e danno non patrimoniale (art c.c.) (sent. n. 8827/2003; n /2005; n /2006). Sul piano della struttura dell'illecito, articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza), le due ipotesi risarcitorie si differenziano in punto di evento dannoso, e cioè di lesione dell'interesse protetto. Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perchè tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (sent. n /2005; n /2006) La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.u. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.u. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. La limitazione alla tradizionale figura del cd. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poichè nè l'art c.c. nè l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poichè la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben

45 potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n /2003; n. 3806/2004; n /2005). Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento. In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art c.c.), poichè la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale Negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore. Va notato che, nei casi previsti da leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione di diritti inviolabili della persona: alla libertà personale, alla riservatezza, a non subire discriminazioni. Non può tuttavia ritenersi precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte cost. n. 87/1979). Situazione che non ricorre in relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi, ai quali non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poichè la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, nè può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno (Corte cost. n. 348/2007) Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata In tali ipotesi non emergono, nell'ambito della categoria generale "danno non patrimoniale", distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. E' solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medicolegale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

46 Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale. In. tal senso, e cioè come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza. n. 233/2003 della Corte costituzionale. Le menzionate sentenze, d'altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni unite condividono Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana. 3. Si pone ora la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il cd. danno esistenziale Secondo una tesi elaborata in dottrina nei primi anni '90 il danno esistenziale era inteso come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico (all'epoca risarcito nell'ambito dell'art c.c. in collegamento con l'art. 32 Cost.), in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal cd. danno morale soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza di reato, secondo la tradizionale lettura restrittiva dell'art c.c. in collegamento all'art. 185 c.p.), in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto. Tale figura di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai limiti dell'art c.c. e seguendo la via, già percorsa per il danno biologico, di operare nell'ambito dell'art c.c. inteso come norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona. Si affermava che, nel caso in cui il fatto illecito limita le attività realizzataci della persona umana, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno morale soggettivo ed al danno biologico) definito con l'espressione "danno esistenziale". Il pregiudizio era individuato nella alterazione della vita di relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona. Pregiudizi diversi dal patimento intimo, costituente danno morale soggettivo, perchè non consistenti in una sofferenza, ma nel non poter più fare secondo i modi precedentemente adottati, e non integranti danno biologico, in assenza di lesione all'integrità psicofisica Va rilevato che, già nel quadro dell'art c.c. nel quale veniva inserito, la nuova figura di danno si risolveva nella descrizione di un pregiudizio di tipo esistenziale (il peggioramento della qualità della vita, l'alterazione del fare non reddituale), non accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito dell'ingiustizia del danno, di quale fosse l'interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito, e l'insussistenza della lesione di un interesse siffatto era ostativa all'ammissione a risarcimento. Di siffatta carenza, non percepita dalla giurisprudenza di merito, mostratasi favorevole ad erogare tutela risarcitoria al danno così descritto (danno-conseguenza) senza svolgere indagini sull'ingiustizia del danno (per lesione dell'interesse), è stata invece avvertita questa Corte, in varie pronunce precedenti alle sentenze gemelle del 2003.

47 La sentenza n. 7713/2000, pur discorrendo di danno esistenziale, ed impiegando il collegamento tra art c.c. e norme della Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30), analogamente a quanto all'epoca avveniva per il danno biologico, ravvisò il fondamento della tutela nella lesione del diritto costituzionalmente protetto del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento. La decisione non sorregge quindi la tesi che vede il danno esistenziale come categoria generale e lo dice risarcibile indipendentemente dall'accertata lesione di un interesse rilevante. La menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha definito esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche (e quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo la morte, ed era rimasta lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento del danno agli eredi della vittima. La decisione non conforta la teoria del danno esistenziale. Nel quadro di una costante giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita (sent. n. 1704/1997, n. 491/1999, n /1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile (sent. n. 6404/1998, n. 9620/2003, n. 4754/2004, n /2004), ed a questo lo commisura, la sentenza persegue lo scopo di riconoscere il risarcimento, a diverso titolo, delle sofferenze coscientemente patite in quel breve intervallo. Viene qui in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Nè, d'altra parte, può in questa sede essere rimeditato il richiamato indirizzo giurisprudenziale, non essendosi manifestato in questa Corte un argomentato dissenso. In tema di danno da irragionevole durata del processo (L. n. 89 del 2001, art. 2) la sentenza n /2002, ha espressamente negato la distinta risarcibilità del pregiudizio esistenziale, in quanto costituente solo una "voce" del danno non patrimoniale, risarcibile per espressa previsione di legge. Altre decisioni hanno riconosciuto, nell'ambito del rapporto di lavoro (e quindi in tema di responsabilità contrattuale, ponendo questione sulla quale si tornerà più avanti), il danno esistenziale da mancato godimento del riposo settimanale (sent. n. 9009/2001) e da demansionamento (sent. n. 8904/2003), ravvisando nei detti casi la lesione di diritti fondamentali del lavoratore, e quindi ricollegando la risarcibilità ad una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia Questi erano dunque i termini nei quali viveva, nelle opinioni della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, la figura del danno esistenziale. Dopo che le sentenze n e n. 8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso da queste Sezioni unite, secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere Come si è ricordato, la figura del danno esistenziale era stata proposta nel dichiarato intento di supplire ad un vuoto di tutela, che ormai più non sussiste In presenza di reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non

48 patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile. La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall'ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali (come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955), e cioè purchè sussista il requisito dell'ingiustizia generica secondo l'art c.c.. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell'interesse leso In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purchè conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. Ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (cd. danno da perdita del rapporto parentale), poichè il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno. Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del cd. "danno estetico" che del cd. "danno alla vita di relazione"), saranno risarcibili purchè siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica. Ipotesi che si verifica nel caso (esaminato dalla sentenza n. 6607/1986) dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio. Nella fattispecie il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica Il pregiudizio di tipo esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria. Per superare tale limitazione, è stata prospettata la tesi secondo cui la rilevanza costituzionale non deve attenere all'interesse leso, bensì al pregiudizio sofferto. Si sostiene che, incidendo il pregiudizio di tipo esistenziale, consistente nell'alterazione del fare non reddituale, sulla sfera della persona, per ciò soltanto ad esso va riconosciuta rilevanza costituzionale, senza necessità di indagare la natura dell'interesse leso e la consistenza della sua tutela costituzionale. La tesi pretende di vagliare la rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio, cioè al danno-conseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento dannoso, in tal modo confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell'ingiustizia da dimostrare, e va disattesa. Essa si risolve sostanzialmente nell'abrogazione surrettizia dell'art c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata, perchè cancella la persistente limitazione della tutela risarcitoria (al di fuori dei casi determinati dalla legge) ai casi in cui il danno non patrimoniale sia conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona, e cioè in presenza di ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento dannoso Ulteriore tentativo di superamento dei limiti segnati dalla lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. è incentrato sull'assunto secondo cui il danno esistenziale non si identifica con la lesione di un bene costituzionalmente protetto, ma può scaturire dalla lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante. La tesi è inaccettabile, in quanto si risolve nel ricondurre il preteso danno sotto la disciplina dell'art c.c., dove il risarcimento è dato purchè sia leso un interesse genericamente rilevante per l'ordinamento, contraddicendo l'affermato principio della tipicità del danno non patrimoniale.

49 E non è prospettabile illegittimità costituzionale dell'art c.c. come rinvigorito da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003, in quanto non ammette a risarcimento, al di fuori dei casi previsti dalla legge (reato ed ipotesi tipiche), i pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione non di diritti inviolabili, ma di interessi genericamente rilevanti, poichè la tutela risarcitoria minima ed insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili (Corte cost. n. 87/1979) Il superamento dei limiti alla tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali, che permangono, nei termini suesposti, anche dopo la rilettura conforme a Costituzione dell'art c.c., può derivare da una norma comunitaria che preveda il risarcimento del danno non patrimoniale senza porre limiti, in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Va ricordato che l'effetto connesso alla vigenza di norma comunitaria è quello non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale (Corte cost. n. 170/1984; S.u. n. 1512/1998; Cass. n. 4466/2005) Queste Sezioni unite, con la sentenza n. 6572/2006, trattando il tema del riparto degli oneri probatori in tema di riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale biologico o esistenziale da demansionamento o dequalificazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, hanno definito il danno esistenziale, come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. La pronuncia è stata seguita da altre sentenze (n. 4260/2007; n. 5221/2007; n /2007; n /2007). Non sembra tuttavia che tali decisioni, che si muovono nell'ambito della affermata natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro (così ponendo la più ampia questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni, che sarà trattata più avanti e positivamente risolta), confortino la tesi di quanti configurano il danno esistenziale come autonoma categoria, destinata ad assumere rilievo anche al di fuori dell'ambito del rapporto di lavoro. Le menzionate sentenze individuano specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di obblighi contrattuali nell'ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla violazione dell'obbligo dell'imprenditore di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art c.c.). Vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32 Cost., quanto alla tutela dell'integrità fisica, ed agli artt. 1, 2 4 e 35 Cost., quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione da luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginar, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale. In tal senso, per difetto dell'ingiustizia costituzionalmente qualificata, è stato correttamente negato il risarcimento ad una persona che si affermava "stressata" per effetto dell'istallazione di un lampione a ridosso del proprio appartamento per la compromissione della serenità e sicurezza, sul rilievo che i menzionati interessi non sono presidiati da diritti di rango costituzionale (sent. n. 3284/2008). E per eguale ragione non è stato ammesso a risarcimento il pregiudizio sofferto per la perdita di un animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra l'uomo e l'animale, privo, nell'attuale assetto dell'ordinamento, di copertura costituzionale (sent. n /2007).

50 3.10. Il risarcimento di pretesi danni esistenziali è stato frequentemente richiesto ai giudici di pace ed ha dato luogo alla proliferazione delle cd. liti bagatellari. Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno consequenziale è futile o irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio/ è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto. In entrambi i casi deve sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al dei fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art c.c.. La differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area del danno-conseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio esistenziale futile, non serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici), mentre nel secondo è l'offesa arrecata che è priva di gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima: come avviene nel caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori stradali di pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto inviolabile, non spettando tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16 Cost., che può essere limitato per varie ragioni) La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico (criterio sovente utilizzato in materia di lavoro, sent. n /2002; n. 9266/2005, o disciplinare, S.u. n /2002) I limiti fissati dall'art c.c. non possono essere ignorati dal giudice di pace nelle cause di valore non superiore ad euro millecento, in cui decide secondo equità. La norma, nella lettura costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equità, deve osservare (Corte cost. n. 206/2004) In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale, tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario nè è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art c.c. che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n /2005, n /2006, n /2006, che queste Sezioni unite fanno propri) Le considerazioni svolte valgono a dare risposta negativa a tutti i quesiti, in quanto postulanti la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale. 4. Il danno non patrimoniale conseguente all'inadempimento delle obbligazioni, secondo l'opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, non era ritenuto risarcibile. L'ostacolo era ravvisato nella mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art c.c. dettato in materia di fatti illeciti.

51 Per aggirare l'ostacolo, nel caso in cui oltre all'inadempimento fosse configurabile lesione del principio del neminem laedere, la giurisprudenza aveva " elaborato la teoria del cumulo delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968, seguita dalla n. 8656/1996, nel caso del trasportato che abbia subito lesioni nell'esecuzione del contratto di trasporto; sent. n. 8331/2001, in materia di tutela del lavoratore). A parte il suo dubbio fondamento dogmatico (contestato in dottrina), la tesi non risolveva la questione del risarcimento del danno non patrimoniale in senso lato, poichè lo riconduceva, in relazione all'azione extracontrattuale, entro i ristretti limiti dell'art c.c. in collegamento con l'art. 185 c.p., sicchè il risarcimento era condizionato alla qualificazione del fatto illecito come reato ed era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo. Dalle strettoie dell'art c.c. si sottraeva il danno biologico, azionato in sede di responsabilità aquiliana, grazie al suo inserimento nell'art c.c. (Corte cost. n. 184/1986) L'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art c.c. consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni Che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale (come condivisibilmente affermato dalla sentenza n /2006) Vengono in considerazione, anzitutto, i cd. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali. In tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto alla struttura, hanno applicato il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent. n /1003; n. 5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002; n /2004; n /2005). I suindicati soggetti, a seconda dei casi, avevano subito la lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost., comma 1), sotto il profilo del danno biologico sia fisico che psichico (sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabile all'autodeterminazione (art. 32, comma 2 e art. 13 Cost.), come nel caso della gestante che, pererrore diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere se interrompere la gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate), e nei casi di violazione dell'obbligo del consenso informato (sent. n. 544/2006); dei diritti propri della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), come nel caso di cui alle sentenze n. 6735/2002 e conformi citate.

52 4.4. Costituisce contratto di protezione anche quello che intercorre tra l'allievo e l'istituto scolastico. In esso, che trova la sua fonte nel contatto sociale (S.u. n. 9346/2002; sent. n. 8067/2007), tra gli interessi non patrimoniali da realizzare rientra quello alla integrità fisica dell'allievo, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale da autolesione (sentenze citate) L'esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel caso in cui l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della legge. E' questo il caso del contratto di lavoro. L'art c.c. ("L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro"), inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione economica (l'integrità fisica e la personalità morale) già implicava che, nel caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale. Il presidio dei detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela. Con la conseguenza che la loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell'integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa. Nell'ipotesi da ultimo considerata si parla, nella giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 6572/2006), di danno esistenziale. Definizione che ha valenza prevalentemente nominalistica, poichè i danni - conseguenza non patrimoniali che vengono in considerazione altro non sono che pregiudizi attinenti alla svolgimento della vita professionale del lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale, ammessi a risarcimento in virtù della lesione, in ambito di responsabilità contrattuale, di diritti inviolabili e quindi di ingiustizia costituzionalmente qualificata Quanto al contratto di trasporto, la tutela dell'integrità fisica del trasportato è compresa tra le obbligazioni del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio (art c.c.). Il vettore è quindi obbligato a risarcire a titolo di responsabilità contrattuale il danno biologico riportato nel sinistro dal viaggiatore. Ove ricorra ipotesi di inadempimento-reato (lesioni colpose), varranno i principi enunciati con riferimento all'ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anche in relazione all'ipotesi dell'illecito plurioffensivo, e sarà dato il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua ampia accezione Nell'ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato. L'art c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell'art c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. D'altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall'inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all'art c.c. (non operante in materia di responsabilità da fatto illecito, in difetto di richiamo nell'art c.c.), restando, al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione è sorta. Il rango costituzionale dei diritti suscettivi di lesione rende nulli i patti di esonero o limitazione della responsabilità, ai sensi dell'art c.c., comma 2. (E'nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di

53 limitazione della responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico). Varranno le specifiche regole del settore circa l'onere della prova (come precisati da Sez. un. n /2001), e la prescrizione Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all'art c.c. identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del cd. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sè considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato. Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il cd. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicchè darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione. Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo (diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno esistenziale autonomo). Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come "voce" del danno biologico, che il cd. danno estetico pacificamente incorpora. Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della

54 vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n e n. 8828/2003; n /2003), che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perchè la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto. B) Ricorso n / Con il primo motivo, denunciando violazione di legge, artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c. artt. 115 e 116 c.p.c., e motivazione inappagante, illogica e contraddittoria, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro, per la perdita delle contribuzioni economiche che il figlio, deceduto a soli diciassette anni, avrebbe effettuato a favore dei genitori, in ragione della convivenza, destinata a protrarsi fino al raggiungimento della completa autonomia, almeno fino a ventotto anni, dell'incremento delle sue capacità economiche, una volta completato il tirocinio quale apprendista elettricista, e delle modeste capacità reddituali delle famiglia Il motivo è fondato. La Corte d'appello, dopo aver escluso che G.L., in considerazione dei modesti guadagni come apprendista elettricista, già contribuisse alla gestione economica familiare, ha affermato che "appare impossibile un calcolo presuntivo di danno materiale da proiettarsi in una prospettiva a lunghissimo termine". La motivazione è insufficiente in quanto non da ragione del mancato utilizzo, per la valutazione della sussistenza del danno patrimoniale futuro, delle presunzioni, sulla base degli elementi forniti dagli attori (attività lavorativa del figlio, apprendista elettricista di anni 17, attestata da busta paga e modello 101/1997, modesto reddito del padre, lavoratore subordinato, per gli anni 1997, 1998, 1999 e 2000,

55 qualità di casalinga della madre, convivenza) cori eventuale successivo ricorso alla liquidazione equitativa per la sua determinazione. 2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge, artt. 2, 29 e 30 Cost., artt e 2059 c.c. e motivazione insufficiente, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento del danno da rottura del vincolo familiare, costituente, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (sent. n. 8828/2003), figura di danno non patrimoniale distinta rispetto al danno biologico ed al danno morale soggettivo Il motivo non è fondato. La corte territoriale ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dagli attori per la rottura del vincolo familiare, sul rilievo che si tratta di "voce" già considerata dal giudice di primo grado sotto il profilo del danno biologico iure proprio, e del danno morale sofferto iure proprio per detta perdita, entrambi riconosciuti agli attori, sicchè l'accoglimento della pretesa darebbe luogo ad una duplicazione di liquidazione dello stesso danno. E ciò in particolare con riferimento al danno morale, per la liquidazione del quale il giudice aveva tenuto conto dell'età della vittima, del grado di parentela, delle particolari condizioni della famiglia, della convivenza e dell'intensità del legame affettivo. La decisione è corretta. Il giudice di primo grado ha ravvisato sia la sussistenza del danno biologico sofferto iure proprio dai genitori, determinato dalla degenerazione in patologia della sofferenza determinata dalla perdita del figlio, per il quale ha utilizzato il sistema di liquidazione tabellare, sia la sussistenza del danno morale, palesemente discostandosi dal ristretto ambito tradizionale del danno morale soggettivo, del patema d'animo transeunte. Ha infatti tenuto conto di tutti gli elementi che, secondo le successive sentenze che ammettono il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale (n e n. 8828/2003), devono essere considerati per la liquidazione di tale danno (età della vittima, grado di parentela, particolari condizioni della famiglia, convivenza, intensità del legame affettivo), ed ha proceduto a consistente liquidazione del danno, palesemente esorbitante quella spettante per il mero danno soggettivo da patema d'animo transeunte. La decisione è stata condivisa dalla corte d'appello, che ha rilevato il rischio della duplicazione del risarcimento del medesimo danno, qualora alla liquidazione del danno morale, nell'ampia accezione considerata dal primo giudice, si fosse aggiunta quella del danno da perdita del rapporto parentale. Decisione esatta, perchè in linea con i principi enunciati da queste Sezioni unite in sede di esame della questione di particolare importanza al punto Con il terzo motivo, denunciando violazione di legge, artt. 2 e 32 Cost., artt e 2059 c.c. motivazione insufficiente e contraddittoria, in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3, c.p.c, i ricorrenti lamentano l'insufficiente liquidazione, in Euro 5.000,00, del danno morale soggettivo e del danno biologico psichico terminale sofferto da G.L.. Sostengono che si tratta di mero simulacro di risarcimento per le atroci sofferenze fisiche e per il danno psichico di massima intensità sofferto dalla vittima del sinistro durante l'agonia protrattasi per undici ore (l'incidente si è verificato il (...) alle ore 19,40, il decesso è avvenuto il (...) alle ore 7.15), in condizioni di lucidità che lo rendevano consapevole dell'imminenza della morte (danno catastrofico), in conseguenza delle gravissime ferite e delle devastanti ustioni riportate, ad essi trasferito per diritto ereditario Il motivo è fondato. Per accogliere la censura circa il mancato riconoscimento del danno biologico e del danno morale, maturato in capo a G.L., ha osservato la corte d'appello: "dalla cartella clinica...emerge che il G., giunto al reparto rianimazione dell'ospedale civile di (...) la sera del (...), appariva perfettamente orientato nel tempo e nello spazio, tanto da rispondere alle domande, per cui è fuor di dubbio che la momentanea lucidità gli consentiva di percepire appieno la sua drammatica condizione ed il timore, purtroppo fondato, di versare in fin di vita". Ha quindi ritenuto che "la brevissima sopravvivenza del ragazzo rispetto al sinistro, comparata con la lunghissima aspettativa di vita media di un giovane di diciassette anni" giustifica una determinazione equitativa del risarcimento in Euro 5.000,00.

56 La corte territoriale non ha preso posizione circa la qualificazione del danno, come danno morale o come danno biologico psichico, ma l'assenza di ogni riferimento all'alterazione della psiche del soggetto, in termini di patologia, depone a favore della prima tesi. Come già osservato in sede di esame della questione di particolare importanza (punto 4.9), il giudice può riconoscere e liquidare il danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. La sentenza merita tuttavia censura sul punto della quantificazione del danno morale. Tenuto conto della peculiarità della fattispecie (persona di giovane età vittima di gravi ustioni in sinistro stradale; protrazione dell'agonia, in stato di lucidità, per undici ore; sofferenze fisiche, per le lesioni, e morali, per la coscienza della imminente fine della vita, di estrema gravità), la liquidazione è palesemente inadeguata. 4. Il quarto motivo, concernente la mancata rivalutazione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno morale e l'omessa liquidazione degli interessi compensativi, resta assorbito dall'accoglimento del precedente motivo. 5. Con il quinto motivo, denunciando motivazione illogica ed errata applicazione della legge (art c.c.), in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento del rimborso delle spese sostenute per l'assistenza stragiudiziale prestata, nella fase delle iniziali trattative con l'assicurazione, da una agenzia di infortunistica Il motivo è fondato. La corte d'appello ha negato il risarcimento, osservando che l'esborso, avvenuto al di fuori della lite giudiziaria era produttivo di un danno non direttamente collegabile all'incidente stradale, in quanto frutto di una libera scelta delle parti, che avrebbero potuto, invece, affidare ad un legale l'intera gestione dei loro interessi. La motivazione è illogica. Anche le spese relative alla assistenza tecnica nella fase stragiudiziale della gestione del sinistro costituiscono danno patrimoniale consequenziale dell'illecito, secondo il principio della regolarità causale (art c.c.). Ed è palese che, qualora i danneggiati avessero affidato ad un legale, e non ad una agenzia di infortunistica, la gestione dei loro interessi nella fase stragiudiziale avrebbero dovuto sopportare spese probabilmente non inferiori a quelle effettivamente sostenute. 6. Con il sesto motivo, denunciando falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, art. 27 e motivazione illogica e contraddittoria, in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti osservano che nella sentenza impugnata si legge, alla pagina 7, che la corte non avrebbe disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri danneggiati nel medesimo sinistro (richiesta dalla N.T.) per il motivo che il massimale sarebbe restato comunque incapiente; affermano che tale motivazione è scorretta, e prudenzialmente, per evitare ogni forma di giudicato interno, la impugnano. Sostengono che la corte avrebbe dovuto dichiarare preclusa l'istanza, non avendo la N.T. provveduto alla chiamata in giudizio di tutti i danneggiati in primo grado ai sensi dell'art. 269 c.p.c Il motivo è inammissibile per difetto di interesse. I ricorrenti non impugnano una statuizione della sentenza, in vista di una diversa decisione, ma di questa ammettono la non praticabilità, poichè riconoscono espressamente che lo stato processuale del presente giudizio non consentirebbe alcun allargamento del contraddittorio. C) Ricorso n / Con l'unico mezzo, condizionato all'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la ricorrente incidentale lamenta l'omesso esame dell'appello incidentale della N.T., con il quale si faceva rilevare l'inammissibilità della produzione dei documenti sul reddito goduto dal defunto, eseguita in secondo grado Il motivo è fondato. Sull'appello incidentale della N.T. la corte non ha reso alcuna pronuncia. P.Q.M.

57 La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo, terzo e quinto motivo del ricorso principale, rigetta il secondo, assorbito il quarto, dichiara inammissibile il sesto; accoglie il ricorso incidentale; cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.

58 Cassazione civile, 11 novembre 2008, n Svolgimento del processo Il si verificava una collisione tra una motocicletta, condotta da D.D., sulla quale era trasportato N.A., ed una autovettura, guidata dal proprietario Q. C.A., sulla quale era trasportata P.S.; decedevano il D.D., il N.A. ed il Q.C.A.; riportava lesioni la P.. I genitori ed i fratelli del D.D. proponevano domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, convenendo L.G., moglie del Q.C.A., e i tre figli, Q.E., Q.A. e Q.M.G., quali eredi, il L.A., quale assicuratore dell'auto, e P. S., convivente del Q.C.A.. La P., assumendo l'esclusiva responsabilità del D.D., in via riconvenzionale chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, in proprio e quale esercente la potestà dei genitori sui tre figli nati dalla convivenza, Qu.Gi., Q.P. e Q. C., contro gli attori e la N.T., assicuratore della motocicletta. La L., i tre figli, Q.E., Q.A. e Q.M.G., nati dal matrimonio con il Q.C.A., e i cinque fratelli di questo, assumendo l'esclusiva responsabilità del D.D., proponevano domanda di risarcimento dei rispettivi danni patrimoniali e non patrimoniali contro gli attori e la N.T.. Autonoma domanda proponeva Q.M.G.. Il tribunale, disattendeva la richiesta della N.T. di riunione del giudizio a quello promosso dagli eredi di N. A.; dichiarava inammissibile, per tardività, l'eccezione della N.T. relativamente al limite del massimale; dichiarava la responsabilità concorrente dei due conducenti, determinandola nell'85% per il D.D.; riconosceva ai congiunti del D.D. il solo danno morale, variamente quantificato, per il quale pronunciava condanna solidale della L., vedova Q.C.A., e dei figli Q. E., Q.A. e Q.M.G., di Qu. G., Q.C. e Q.P., rappresentati dalla madre P.S., e del L.A.; riconosceva alla L., ai tre figli, Q.E., Q. A. e Q.M.G., ed ai fratelli del Q.C.A. il solo danno morale, liquidato per la prima in L , e per ciascuno dei figli in L , per il quale pronunciava condanna solidale degli eredi D.D. e della N.T.; rigettava la domanda di risarcimento del danno da ritardato pagamento proposta dalla P. in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui tre figli minori contro la N.T.; riconosceva alla P., per la perdita del convivente, il danno morale, liquidato in L ed il danno patrimoniale, liquidato in L , e in proprio, per le lesioni riportate, il danno morale, liquidato in L , ed il danno biologico, liquidato in L , per i quali pronunciava condanna solidale degli eredi D.D. e della N.T.; riconosceva ai figli naturali del Q.C.A., Qu. G., Q.A.M. e Q.M.R., rappresentati dalla P., per la perdita del genitore, il danno patrimoniale, liquidato in L per il primo ed in L ciascuno per le altre due, ed il danno morale, liquidato in L per ciascuno, per i quali pronunciava condanna solidale degli eredi D.D. e della N.T.. Proponeva appello la N.T.. Resistevano e proponevano appelli incidentali i D., la P., in proprio e per i figli, la L. con i figli Q.E. e Q.A., e, separatamente, Q.M. G.. La corte d'appello di Roma, con sentenza del , confermava il concorso di responsabilità nella misura stabilita dal tribunale; riduceva l'importo del risarcimento del danno patrimoniale futuro per Qu.Gi., Q.P. e Q.C., con riferimento al raggiungimento dell'età di ventidue anni; maggiorava a L il risarcimento del danno patrimoniale futuro per la P., considerando la prosecuzione del mantenimento anche dopo il pensionamento del convivente; modificava la decisione impugnata in punto di rivalutazione ed interessi; rigettava nel resto gli appelli. Avverso la sentenza la N.T. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi. Ha resistito Q.M.G., con controricorso recante ricorso incidentale articolato in tre motivi, al quale ha resistito, con controricorso, la N.T.. Hanno resistito L.G., Q.A. e Q. E., ed il L.A., con distinti controricorsi.

59 Hanno resistito P.S., Q.G., Q. P. e Q.C., in proprio e quali eredi della zia q.g., Q.A.M., Q.M.R. e Qu.Gi., in proprio e quali eredi della sorella q. g., con controricorso recante ricorso incidentale articolato in quattro motivi, al quale ha resistito, con controricorso, la N.T.. Le parti hanno depositato memoria. All'udienza del , la terza sezione, rilevato che il ricorso investe questione di particolare importanza, in relazione al c.d. danno esistenziale, ha rimesso la causa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, in base alle considerazioni svolte con l'ordinanza resa nel ricorso n /2004, trattato nella medesima udienza, che ha assunto il n. 4712/2008. Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite. Motivi della decisione A) Esame della questione di particolare importanza. 1. L'ordinanza di rimessione n. 4712/ relativa al ricorso n /2004, alla quale integralmente rinvia l'ordinanza della terza sezione che eguale questione ha ritenuto sussistere nel ricorso in esame - rileva che negli ultimi anni si sono formati in tema di danno non patrimoniale due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, l'uno favorevole alla configurabilità, come autonoma categoria, del danno esistenziale - inteso, secondo una tesi dottrinale che ha avuto seguito nella giurisprudenza, come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico, in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal c.d. danno morale soggettivo, in quanto non attiene alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare areddituale del soggetto - l'altro contrario. Osserva l'ordinanza che le sentenze n e n. 8828/2003 hanno ridefinito rispetto alle opinioni tradizionali presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale. Quanto ai presupposti hanno affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, secondo la lettera dell'art c.c., ma anche in tutti i casi in cui il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica. Quanto ai contenuti, hanno ritenuto che il danno non patrimoniale, pur costituendo una categoria unitaria, può essere distinto in pregiudizi di tipo diverso: biologico, morale ed esistenziale. A questo orientamento, prosegue l'ordinanza di rimessione, ha dato continuità la Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 233/2003, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art c.c., ha tributato un espresso riconoscimento alla categoria del "danno esistenziale, da intendersi quale terza sottocategoria di danno non patrimoniale. Ricorda ancora l'ordinanza di rimessione che altre decisioni di legittimità hanno ritenuto ammissibile la configurabilita di un tertium genus di danno non patrimoniale, definito "esistenziale": tale danno consisterebbe in qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana (quali la lesione della serenità familiare o del godimento di un ambiente salubre), e si distinguerebbe sia dal danno biologico, perchè non presuppone l'esistenza di una lesione in corpore, sia da quello morale, perchè non costituirebbe un mero patema d'animo interiore di tipo soggettivo. Tra le decisioni rilevanti in tal senso l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n. 7713/2000, n. 9009/2001, n. 6732/2005, n /2006, n. 2311/2007, e, soprattutto, la sentenza delle Sezioni unite n. 6572/2006, la quale ha dato una precisa definizione del danno esistenziale da lesione del fare areddittuale della persona, ed una altrettanto precisa distinzione di esso dal danno morale, in quanto, al contrario di quest'ultimo, il danno esistenziale non ha natura meramente emotiva ed interiore. L'ordinanza di rimessione osserva poi che al richiamato orientamento, favorevole alla configurabilità del danno esistenziale come categoria autonoma di danno non patrimoniale, si è contrapposto un diverso orientamento, il quale nega dignità concettuale alla nuova figura di danno. Secondo questo diverso orientamento il danno non patrimoniale, essendo risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, tra i quali rientrano, in virtù della interpretazione costituzionalmente orientata dell'art c.c. fornita dalle sentenze n e n. 8828/2003, i casi di lesione di valori della persona

60 costituzionalmente garantiti, manca del carattere della atipicità, che invece caratterizza il danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art c.c.. Di conseguenza non sarebbe possibile concepire categorie generalizzanti, come quella del danno esistenziale, che finirebbero per privare il danno non patrimoniale del carattere della tipicità. Tra le decisioni espressione di questo orientamento l'ordinanza menziona le sentenze di questa Corte n /2006, n /2006, n. 9510/2006, n. 9514/2007, n /2007. Così riassunti i contrapposti orientamenti, l'ordinanza di rimessione conclude invitando le Sezioni unite a pronunciarsi sui seguenti otto "quesiti". 1. Se sia concepibile un pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto dal danno morale quanto dal danno biologico, consistente nella lesione del fare areddituale della vittima e scaturente dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti. 2. Se sia corretto ravvisare le caratteristiche di tale pregiudizio nella necessaria sussistenza di una offesa grave ad un valore della persona, e nel carattere di gravità e permanenza delle conseguenze da essa derivate. 3. Se sia corretta la teoria che, ritenendo il danno non patrimoniale "tipico", nega la concepibilità del danno esistenziale. 4. Se sia corretta la teoria secondo cui il danno esistenziale sarebbe risarcibile nel solo ambito contrattuale e segnatamente nell'ambito del rapporto di lavoro, ovvero debba affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell'illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano. 5. Se sia risarcibile un danno non patrimoniale che incida sulla salute intesa non come integrità psicofisica, ma come sensazione di benessere. 6. Quali debbano essere i criteri di liquidazione del danno esistenziale. 7. Se costituisca peculiare categoria di danno non patrimoniale il c.d. danno tanatologico o da morte immediata. 8. Quali siano gli oneri di allegazione e di prova gravanti sul chi domanda il ristoro del danno esistenziale. 2. Il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall'art c.c. ("Danni non patrimoniali") secondo cui "Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". All'epoca dell'emanazione del codice civile l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 del codice penale del La giurisprudenza, nel dare applicazione all'art c.c., si consolidò nel ritenere che il danno non patrimoniale era risarcibile solo in presenza di un reato e ne individuò il contenuto nel c.d. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza contingente, turbamento dell'animo transeunte L'insostenibilità di siffatta lettura restrittiva è stata rilevata da questa Corte con le sentenze n e n. 8828/2003, in cui si è affermato che nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo - il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Sorreggono l'affermazione i seguenti argomenti: a) il cospicuo incremento, nella legislazione ordinaria, dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9,; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, comma 7; L. n. 89 del 2001, art. 2 con conseguente ampliamento del rinvio effettuato dall'art c.c. ai casi determinati dalla legge; b) il riconoscimento nella giurisprudenza della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 3675/1981) di quella peculiare figura di danno non patrimoniale, diverso dal danno morale soggettivo, che è il danno biologico, formula con la quale si designa la lesione dell'integrità psichica e fisica della persona; c) l'estensione giurisprudenziale del risarcimento del danno non patrimoniale, evidentemente inteso come pregiudizio diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche (sent. n. 2367/2000);

61 d) l'esigenza di assicurare il risarcimento del danno non patrimoniale, anche in assenza di reato, nel caso di lesione di interessi di rango costituzionale, sia perchè in tal caso il risarcimento costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non è assoggettabile a limiti specifici, poichè ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi, sia perchè il rinvio ai casi in cui la legge consente il risarcimento del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di risarcimento del danno non patrimoniale Queste Sezioni unite condividono e fanno propria la lettura, costituzionalmente orientata, data dalle sentenze n e n. 8828/2003 all'art c.c. e la completano nei termini seguenti il danno non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art c.c.. L'art c.c. non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (dannoconseguenza, secondo opinione ormai consolidata: Corte cost. n. 372/1994; S.u. n. 576, 581, 582, 584/2008) L'art c.c. è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui") Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, comma 7: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; L. n. 89 del 2001, art. 2: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo) Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dal D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139 specifica definizione normativa (sent. n /2005; n /2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art c.c. e l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al limite posto dall'art c.c. e, norma nella quale avrebbe ben potuto sin

62 dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria). Trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n e n. 8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto). Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n /2008) La rilettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art c.c.) e danno non patrimoniale (art c.c.) (sent. n. 8827/2003; n /2005; n /2006). Sul piano della struttura dell'illecito, articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza), le due ipotesi risarcitorie si differenziano in punto di evento dannoso, e cioè di lesione dell'interesse protetto. Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perchè tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (sent. n /2005; n /2006) La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.u. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sent. n. 4186/1998; S.u. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. La limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poichè nè l'art c.c. nè l'art. 185 c.p. parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poichè la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n.19057/2003; n. 3806/2004; n /2005). Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

63 In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art c.c.), poichè la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale Negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore. Va notato che, nei casi previsti da leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione di diritti inviolabili della persona: alla libertà personale, alla riservatezza, a non subire discriminazioni. Non può tuttavia ritenersi precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte Cost. n. 87/1979). Situazione che non ricorre in relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi, ai quali non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poichè la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, nè può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno (Corte Cost. n. 348/2007) Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata In tali ipotesi non emergono, nell'ambito della categoria generale "danno non patrimoniale", distinte sottocategorie, ma si concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. E' solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene, ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139 recante il Codice delle assicurazioni private, che individuano il danno biologico nella "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", e ne danno una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica definizione di danno da perdita del rapporto parentale. In tal senso, e cioè come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza. n. 233/2003 della Corte costituzionale. Le menzionate sentenze, d'altra parte, avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003).

64 Considerazioni che le Sezioni unite condividono Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana. 3. Si pone ora la questione se, nell'ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale, possa inserirsi, come categoria autonoma, il ed. danno esistenziale Secondo una tesi elaborata in dottrina nei primi anni 90 il danno esistenziale era inteso come pregiudizio non patrimoniale, distinto dal danno biologico (all'epoca risarcito nell'ambito dell'art c.c. in collegamento con l'art. 32 Cost.), in assenza di lesione dell'integrità psicofisica, e dal c.d. danno morale soggettivo (unico danno non patrimoniale risarcibile, in presenza di reato, secondo la tradizionale lettura restrittiva dell'art c.c. in collegamento all'art. 185 c.p.), in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire, ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto. Tale figura di danno nasceva dal dichiarato intento di ampliare la tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale incidenti sulla persona, svincolandola dai limiti dell'art c.c., e seguendo la via, già percorsa per il danno biologico, di operare nell'ambito dell'art c.c. inteso come norma regolatrice del risarcimento non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello non patrimoniale concernente la persona. Si affermava che, nel caso in cui il fatto illecito limita le attività realizzatrici della persona umana, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizza un nuovo tipo di danno (rispetto al danno morale soggettivo ed al danno biologico) definito con l'espressione "danno esistenziale". Il pregiudizio era individuato nella alterazione della vita di relazione, nella perdita della qualità della vita, nella compromissione della dimensione esistenziale della persona. Pregiudizi diversi dal patimento intimo, costituente danno morale soggettivo, perchè non consistenti in una sofferenza, ma nel non poter più fare secondo i modi precedentemente adottati, e non integranti danno biologico, in assenza di lesione all'integrità psicofisica Va rilevato che, già nel quadro dell'art c.c. nel quale veniva inserito, la nuova figura di danno si risolveva nella descrizione di un pregiudizio di tipo esistenziale (il peggioramento della qualità della vita, l'alterazione del fare non reddituale), non accompagnata dalla necessaria individuazione, ai fini del requisito dell'ingiustizia del danno, di quale fosse l'interesse giuridicamente rilevante leso dal fatto illecito, e l'insussistenza della lesione di un interesse siffatto era ostativa all'ammissione a risarcimento. Di siffatta carenza, non percepita dalla giurisprudenza di merito, mostratasi favorevole ad erogare tutela risarcitoria al danno così descritto (danno-conseguenza) senza svolgere indagini sull'ingiustizia del danno (per lesione dell'interesse), è stata invece avvertita questa Corte, in varie pronunce precedenti alle sentenze gemelle del La sentenza n. 7713/2000, pur discorrendo di danno esistenziale, ed impiegando il collegamento tra art c.c. e norme della Costituzione (nella specie gli artt. 29 e 30 Cost.), analogamente a quanto all'epoca avveniva per il danno biologico, ravvisò il fondamento della tutela nella lesione del diritto costituzionalmente protetto del figlio all'educazione ed all'istruzione, integrante danno-evento. La decisione non sorregge quindi la tesi che vede il danno esistenziale come categoria generale e lo dice risarcibile indipendentemente dall'accertata lesione di un interesse rilevante. La menzione del danno esistenziale si rinviene anche nella sentenza n. 4783/2001, che ha definito esistenziale la sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche (e quindi in presenza di reato), alle quali era seguita dopo breve tempo la morte, ed era rimasta lucida durante l'agonia, e riconosciuto il risarcimento del danno agli eredi della vittima. La decisione non conforta la teoria del danno esistenziale. Nel quadro di una costante giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il

65 risarcimento del danno biologico per le perdita della vita (sent. n. 1704/1997, n. 491/1999, n /1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, ed a questo lo commisura (sent. n. 6404/1998, n. 9620/2003, n. 4754/2004, n /2004), la sentenza persegue lo scopo di riconoscere il risarcimento, a diverso titolo, delle sofferenze coscientemente patite in quel breve intervallo. Viene qui in considerazione il tema della risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo. Sofferenza che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, non può che essere risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Nè, d'altra parte, può in questa sede essere rimeditato il richiamato indirizzo giurisprudenziale, non essendosi manifestato in questa Corte un argomentato dissenso. In tema di danno da irragionevole durata del processo (L. n. 89 del 2001, art. 2) la sentenza n /2002, ha espressamente negato la distinta risarcibilità del pregiudizio esistenziale, in quanto costituente solo una "voce" del danno non patrimoniale, risarcibile per espressa previsione di legge. Altre decisioni hanno riconosciuto, nell'ambito del rapporto di lavoro (e quindi in tema di responsabilità contrattuale, ponendo questione sulla quale si tornerà più avanti), il danno esistenziale da mancato godimento del riposo settimanale (sent. n. 9009/2001) e da demansionamento (sent. n. 8904/2003), ravvisando nei detti casi la lesione di diritti fondamentali del lavoratore, e quindi ricollegando la risarcibilità ad una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia Questi erano dunque i termini nei quali viveva, nelle opinioni della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, la figura del danno esistenziale. Dopo che le sentenze n e n. 8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso da queste Sezioni unite, secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere Come si è ricordato, la figura del danno esistenziale era stata proposta nel dichiarato intento di supplire ad un vuoto di tutela, che ormai più non sussiste In presenza di reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile. La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall'ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali (come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955), e cioè purchè sussista il requisito dell'ingiustizia generica secondo l'art c.c.. E la previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell'interesse leso In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purchè conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.

66 Ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), poichè il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno. Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell'ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del c.d. "danno estetico" che del c.d. "danno alla vita di relazione", saranno risarcibili purchè siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica. Ipotesi che si verifica nel caso (esaminato dalla sentenza n. 6607/1986) dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio. Nella fattispecie il pregiudizio è conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al coniuge del soggetto leso nella sua integrità psicofisica Il pregiudizio di tipo esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria. Per superare tale limitazione, è stata prospettata la tesi secondo cui la rilevanza costituzionale non deve attenere all'interesse leso, bensì al pregiudizio sofferto. Si sostiene che, incidendo il pregiudizio di tipo esistenziale, consistente nell'alterazione del fare non reddituale, sulla sfera della persona, per ciò soltanto ad esso va riconosciuta rilevanza costituzionale, senza necessità di indagare la natura dell'interesse leso e la consistenza della sua tutela costituzionale. La tesi pretende di vagliare la rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio, cioè al danno-conseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento dannoso, in tal modo confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell'ingiustizia da dimostrare, e va disattesa. Essa si risolve sostanzialmente nell'abrogazione surrettizia dell'art c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata, perchè cancella la persistente limitazione della tutela risarcitoria (al di fuori dei casi determinati dalla legge) ai casi in cui il danno non patrimoniale sia conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona, e cioè in presenza di ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento dannoso Ulteriore tentativo di superamento dei limiti segnati dalla lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c. è incentrato sull'assunto secondo cui il danno esistenziale non si identifica con la lesione di un bene costituzionalmente protetto, ma può scaturire dalla lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante. La tesi è inaccettabile, in quanto si risolve nel ricondurre il preteso danno sotto la disciplina dell'art c.c., dove il risarcimento è dato purchè sia leso un interesse genericamente rilevante per l'ordinamento, contraddicendo l'affermato principio della tipicità del danno non patrimoniale. E non è prospettabile illegittimità costituzionale dell'art c.c., come rinvigorito da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003, in quanto non ammette a risarcimento, al di fuori dei casi previsti dalla legge (reato ed ipotesi tipiche), i pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione non di diritti inviolabili, ma di interessi genericamente rilevanti, poichè la tutela risarcitoria minima ed insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili (Corte Cost. n. 87/1979) Il superamento dei limiti alla tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali, che permangono, nei termini suesposti, anche dopo la rilettura conforme a Costituzione dell'art c.c., può derivare da una norma comunitaria che preveda il risarcimento del danno non patrimoniale senza porre limiti, in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno.

67 Va ricordato che l'effetto connesso alla vigenza di norma comunitaria è quello non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale (Corte Cost. n. 170/1984; S.u. n. 1512/1998; Cass. n. 4466/2005) Queste Sezioni unite, con la sentenza n. 6572/2006, trattando il tema del riparto degli oneri probatori in tema di riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale biologico o esistenziale da demansionamento o dequalificazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, hanno definito il danno esistenziale, come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. La pronuncia è stata seguita da altre sentenze (n. 4260/2007; n. 5221/2007; n /2007; n /2007). Non sembra tuttavia che tali decisioni, che si muovono nell'ambito della affermata natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro (così ponendo la più ampia questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni, che sarà trattata più avanti e positivamente risolta), confortino la tesi di quanti configurano il danno esistenziale come autonoma categoria, destinata ad assumere rilievo anche al di fuori dell'ambito del rapporto di lavoro. Le menzionate sentenze individuano specifici pregiudizi di tipo esistenziale da violazioni di obblighi contrattuali nell'ambito del rapporto di lavoro. In particolare, dalla violazione dell'obbligo dell'imprenditore di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (art c.c.). Vengono in considerazione diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all'art. 32 Cost., quanto alla tutela dell'integrità fisica, ed agli artt. 1, 2, 4 e 35 Cost., quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione da luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale. Si verte, in sostanza, in una ipotesi di risarcimento di danni non patrimoniali in ambito contrattuale legislativamente prevista Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale. In tal senso, per difetto dell'ingiustizia costituzionalmente qualificata, è stato correttamente negato il risarcimento ad una persona che si affermava "stressata" per effetto dell'istallazione di un lampione a ridosso del proprio appartamento per la compromissione della serenità e sicurezza, sul rilievo che i menzionati interessi non sono presidiati da diritti di rango costituzionale (sent. n. 3284/2008). E per eguale ragione non è stato ammesso a risarcimento il pregiudizio sofferto per la perdita di un animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra l'uomo e l'animale, privo, nell'attuale assetto dell'ordinamento, di copertura costituzionale (sent. n /2007) Il risarcimento di pretesi danni esistenziali è stato frequentemente richiesto ai giudici di pace ed ha dato luogo alla proliferazione delle c.d. liti bagatellari. Con tale formula si individuano le cause risarcitorie in cui il danno conseguenziale è futile o irrisorio, ovvero, pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale, insignificante o irrilevante per il livello raggiunto.

68 In entrambi i casi deve sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al dei fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art c.c.. La differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area del danno-conseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio esistenziale futile, non serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere alcolici), mentre nel secondo è l'offesa arrecata che è priva di gravità, per non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima: come avviene nel caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori stradali di pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto inviolabile, non spettando tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16 Cost., che può essere limitato per varie ragioni) La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico (criterio sovente utilizzato in materia di lavoro, sent. n /2002; n. 9266/2005, o disciplinare, S.u. n /2002) I limiti fissati dall'art c.c. non possono essere ignorati dal giudice di pace nelle cause di valore non superiore ad Euro millecento, in cui decide secondo equità. La norma, nella lettura costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equità, deve osservare (Corte cost. n. 206/2004) In conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perchè attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario nè è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n /2005, n /2006, n /2006, che queste Sezioni unite fanno propri) Le considerazioni svolte valgono a dare risposta negativa a tutti i quesiti, in quanto postulanti la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale. 4. Il danno non patrimoniale conseguente all'inadempimento delle obbligazioni, secondo l'opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, non era ritenuto risarcibile. L'ostacolo era ravvisato nella mancanza, nella disciplina della responsabilità contrattuale, di una norma analoga all'art c.c., dettato in materia di fatti illeciti. Per aggirare l'ostacolo, nel caso in cui oltre all'inadempimento fosse configurabile lesione del principio del neminem laedere, la giurisprudenza aveva elaborato la teoria del cumulo delle azioni,contrattuale ed extracontrattuale (sent. n. 2975/1968, seguita dalla n. 8656/1996, nel caso del trasportato che abbia

69 subito lesioni nell'esecuzione del contratto di trasporto; sent. n. 8331/2001, in materia di tutela del lavoratore). A parte il suo dubbio fondamento dogmatico (contestato in dottrina), la tesi non risolveva la questione del risarcimento del danno non patrimoniale in senso lato, poichè lo riconduceva, in relazione all'azione extracontrattuale, entro i ristretti limiti dell'art c.c. in collegamento con l'art. 185 c.p., sicchè il risarcimento era condizionato alla qualificazione del fatto illecito come reato ed era comunque ristretto al solo danno morale soggettivo. Dalle strettoie dell'art c.c. si sottraeva il danno biologico, azionato in sede di responsabilità aquiliana, grazie al suo inserimento nell'art c.c. (Corte cost. n. 184/1986) L'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art c.c. consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Se l'inadempimento dell'obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni Che interessi di natura non patrimoniale possano assumere rilevanza nell'ambito delle obbligazioni contrattuali, è confermato dalla previsione dell'art c.c., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. L'individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell'area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale (come condivisibilmente affermato dalla sentenza n /2006) Vengono in considerazione, anzitutto, i c.d. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali. In tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto alla struttura, hanno applicato il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent. n /1003; n. 5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002; n /2004; n /2005). I suindicati soggetti, a seconda dei casi, avevano subito la lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost., comma 1), sotto il profilo del danno biologico sia fisico che psichico (sent. n. 1511/2007); del diritto inviolabile all'autodeterminazione (art. 32 Cost., comma 2, e art. 13 Cost.), come nel caso della gestante che, per errore diagnostico, non era stata posta in condizione di decidere se interrompere la gravidanza (sent. n. 6735/2002 e conformi citate), e nei casi di violazione dell'obbligo del consenso informato (sent. n. 544/2006): dei diritti propri della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), come nel caso di cui alle sentenze n. 6735/2002 e conformi citate Costituisce contratto di protezione anche quello che intercorre tra l'allievo e l'istituto scolastico.

70 In esso, che trova la sua fonte nel contatto sociale (S.u. n. 9346/2002; sent. n. 8067/2007), tra gli interessi non patrimoniali da realizzare rientra quello alla integrità fisica dell'allievo, con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale da autolesione (sentenze citate) L'esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel caso in cui l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della legge. E' questo il caso del contratto di lavoro. L'art c.c. ("L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro"), inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione economica (l'integrità fisica e la personalità morale) già implicava che, nel caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale. Il presidio dei detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela. Con la conseguenza che la loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza, sotto il profilo della lesione dell'integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa. Nell'ipotesi da ultimo considerata si parla, nella giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 6572/2006), di danno esistenziale. Definizione che ha valenza prevalentemente nominalistica, poichè i danni-conseguenza non patrimoniali che vengono in considerazione altro non sono che pregiudizi attinenti alla svolgimento della vita professionale del lavoratore, e quindi danni di tipo esistenziale, ammessi a risarcimento in virtù della lesione, in ambito di responsabilità contrattuale, di diritti inviolabili e quindi di ingiustizia costituzionalmente qualificata Quanto al contratto di trasporto, la tutela dell'integrità fisica del trasportato è compresa tra le obbligazioni del vettore, che risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio (art c.c.). Il vettore è quindi obbligato a risarcire a titolo di responsabilità contrattuale il danno biologico riportato nel sinistro dal viaggiatore. Ove ricorra ipotesi di inadempimento-reato (lesioni colpose), varranno i principi enunciati con riferimento all'ipotesi del danno non patrimoniale da reato, anche in relazione all'ipotesi dell'illecito plurioffensivo, e sarà dato il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua ampia accezione Nell'ambito della responsabilità contrattuale il risarcimento sarà regolato dalle norme dettate in materia, da leggere in senso costituzionalmente orientato. L'art c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l'inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell'art c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. D'altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall'inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all'art c.c. (non operante in materia di responsabilità da fatto illecito, in difetto di richiamo nell'art c.c.), restando, al di fuori dei casi di dolo, limitato il risarcimento al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui l'obbligazione è sorta.

71 Il rango costituzionale dei diritti suscettivi di lesione rende nulli i patti di esonero o limitazione della responsabilità, ai sensi dell'art c.c., comma 2. E' nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione della responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico). Varranno le specifiche regole del settore circa l'onere della prova (come precisati da Sez. un. n /2001), e la prescrizione Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all'art c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sè considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ed unitariamente ristorato. Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il ed, danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicchè darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione. Certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo (diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a danno esistenziale autonomo). Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico fosse liquidato separatamente e non come "voce" del danno biologico, che il c.d. danno estetico pacificamente incorpora.

72 Il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n. 6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n e n. 8828/2003; n /2003), che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del E del pari da respingere è la variante costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perchè la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto. B) Ricorso n. 8313/ Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 180 e 101 c.p.c. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la ricorrente censura il rigetto del motivo di appello con il quale aveva chiesto dichiararsi la nullità degli atti del processo di primo grado successivi alla mancata assegnazione, nell'udienza di prima comparizione, del termine di cui all'art. 180 c.p.c., comma 2, per la proposizione delle eccezioni. Sostiene che la lettera della legge (Se richiesto, il giudice istruttore può autorizzare comunicazioni e comparse a norma dell'art. 170, u.c.. In ogni caso fissa a data successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di tale udienza per proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio) impone al giudice, senza consentire alcun potere discrezionale, di assegnare il termine, e la perentorietà della formulazione comporta, da una parte

73 l'impossibilità per il giudice di non assegnare il termine e dall'altra l'impossibilità giuridica di considerare come implicitamente assegnato il termine. Si duole che la corte d'appello abbia escluso il vizio del procedimento, nel caso di mancata assegnazione del termine, quando tra le due udienze sia intercorso, come ha ritenuto essere avvenuto nella specie, un termine maggiore di giorni venti Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di statuire, con pronunce dalle quali non vi è ragione di discostarsi, che le norme mediante le quali la L. 20 dicembre 1995, n. 534 (di conversione del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432) ha regolato la sequenza delle udienze di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c. (norme applicabili nel giudizio in oggetto per ragioni di tempo) sono poste a tutela del diritto di difesa delle parti ed hanno natura tendenzialmente inderogabile, onde, all'esito dell'udienza di prima comparizione il giudice deve, d'ufficio, fissare l'udienza di trattazione e assegnare al convenuto, senza necessità di una sua istanza, il termine perentorio (non inferiore venti giorni prima di tale udienza) per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio, salvo contrario accordo delle parti o espressa rinuncia al detto termine ad opera del medesimo convenuto; peraltro, il vizio del procedimento consistente nella mancata assegnazione a quest'ultimo dell'indicato termine, di cui all'art. 180 c.p.c., comma 2 risulta sanato in ragione del fatto che tra l'udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge, così da restare escluso che le suindicate eccezioni possano essere sollevate nella prima udienza di trattazione o, addirittura in una udienza successiva, dovendo esse invece essere proposte, al più tardi, nell'intervallo tra l'udienza di trattazione, ex art. 180 c.p.c., e quella di trattazione, ex art. 183 c.p.c. (sent. n /2004; n /2005). Ai suindicati principi si è attenuta la corte d'appello. 2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, art. 18, dell'art c.c. e dell'art. 112 c.p.c., la ricorrente afferma che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto la convenuta N.T. decaduta dalla possibilità di opporre validamente il limite del massimale di polizza alle controparti, non avendola proposta nè con la comparsa di costituzione nè entro il termine di cui all'art. 180 c.p.c.. Sostiene che, essendo data al danneggiato l'azione diretta per il risarcimento nei confronti dell'assicuratore entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione, l'obbligo dell'assicuratore di opporre il limite del massimale sorge solo se è proposta domanda eccedente il massimale di polizza, laddove, nella specie, non vi era stata richiesta di somme superiori Il motivo non è fondato. Qualora la domanda di risarcimento con l'azione diretta di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 18 sia proposta per somma non determinata, suscettiva di eccedere il limite del massimale in considerazione della gravità dei danni lamentati e della pluralità dei danneggiati, l'interesse dell'assicuratore ad opporre il limite del massimale di polizza, ed a fornire la relativa prova, onde contenere entro detto limite la sua responsabilità, sorge per effetto della proposizione di una domanda siffatta. Essendosi verificata tale ipotesi nel caso in esame, in cui è stato richiesto dalla P. il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, in proprio e quale esercente la potestà dei genitori sui tre figli nati dall'unione con il Q. C.A., senza determinazione di importo, l'eccezione doveva essere proposta con la comparsa di costituzione o nel termine di cui all'art. 180 c.p.c., comma 2, come correttamente ritenuto dalla corte d'appello. 3. Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., artt e 1224 c.c. e vizio di motivazione, la ricorrente addebita alla corte d'appello: a) di non aver tenuto conto delle somme versate agli eredi Q. C.A. in pendenza del giudizio di appello, risultanti da quietanze e copia di assegni; b) di non aver devalutato le somme liquidate, difformi rispetto a quelle di primo grado, fino alla sentenza di appello, anzichè devalutarle fino a quella di primo grado; c) di aver applicato un interesse equitativo nella misura del 6%, senza indicare il criterio adottato per la quantificazione.

74 3.1. Il motivo è infondato sotto ogni profilo. Il primo profilo di censura lamenta omessa considerazione di documenti, dei quali non riporta il contenuto, ed è quindi privo di autosufficienza. Il secondo contesta le modalità di calcolo adottate dalla corte d'appello nel devalutare le somme liquidate, senza indicare le ragioni per le quali sarebbero errate. Il terzo trova adeguata risposta nell'espresso riferimento all'adozione di un criterio equitativo. C) Ricorso n / Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 112 c.p.c., la ricorrente incidentale Q.M.G. lamenta omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno biologico della massima entità subito dal padre Q.C.A., deceduto nel sinistro, ed a lei trasmesso quale erede Il motivo è fondato. L'attribuzione a titolo ereditario del danno biologico sofferto dal padre, deceduto nel sinistro, era stata richiesta dalla Q.M. G. con l'appello incidentale. Sul punto la corte d'appello non ha pronunciato, e non è dato ricavare dal complessivo tenore della motivazione una pronuncia implicita sulla questione. Dovrà provvedere il giudice di rinvio, previo accertamento delle modalità con cui l'evento mortale si è verificato, attenendosi alla giurisprudenza che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per le perdita della vita (sent. n. 1704/1997, n. 491/1999, n /1999, n. 887/2002, n. 517/2006), e lo ammette solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile (sent. n. 6404/1998, n. 9620/2003, n. 4754/2004, n /2004). 2. Con il secondo motivo, denunciando omessa o insufficiente motivazione, in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente lamenta che la corte d'appello abbia disatteso la richiesta di elevazione dell'importo del danno morale a lei liquidato quale figlia legittima del Q.C.A., in L (ridotte a L per il concorso di colpa), limitandosi ad affermarne la congruità, senza rispondere allo specifico rilievo sulla disparità di trattamento determinata dall'attribuzione della maggiore somma di L (ridotta a L ) a ciascuno dei tre figli naturali del Q.C.A Il motivo è fondato. La corte d'appello non ha fornito motivazione alcuna a sostegno del rigetto della doglianza della Q.M.G., non limitata alla intrinseca inadeguatezza della somma a lei attribuita, ma incentrata sulla cospicua diversità della liquidazione del risarcimento alla figlia legittima ed ai figli naturali, integrante, secondo l'appellante, ingiustificata disparità di trattamento. D) Ricorso n / Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art c.c. e delle norme che regolano la circolazione stradale, nonchè difetto di motivazione, i ricorrenti P.S. (convivente di Q. C.A.), Qu.Gi., Q.P. e Q. C. (nati dalla convivenza), Q.A.M., Q. M.R. e Q.G. (eredi di q.g. sorella del Q.C.A.) censurano la ricostruzione del sinistro compiuta dalla corte d'appello e l'attribuzione al Q.C.A. del concorso di colpa nella misura del 15% Il motivo va disatteso. Il giudice di merito ha accertato che l'urto si è verificato tra la motocicletta condotta dal D.D., in fase di sorpasso dell'auto condotta dal Q.C.A., che aveva già iniziato la manovra di svolta a sinistra. L'urto è avvenuto tra la parte laterale sinistra dell'auto, già in posizione obliqua rispetto all'asse stradale, e la parte anteriore della moto, che, sebbene dotata di peso inferiore, aveva trascinato l'auto per circa tredici metri dal punto d'urto. La distruzione della fiancata dell'auto dimostrava la velocità elevatissima tenuta dalla moto, pur essendo la strada soggetta al limite di 50 km orari. Era risultato dalle prove testimoniali che il D.D. era impegnato in una gara di velocità con altri motociclisti. Ha quindi ritenuto la corte territoriale che la molteplice violazione di norme specifiche, tutte rilevanti ai fini dell'impatto, giustificava l'attribuzione della preponderante responsabilità nella misura dell'85%. Tuttavia non poteva ritenersi superata la presunzione di colpa del conducente dell'auto, non essendo stato accertato se al momento della svolta vi fossero veicoli in fase di sorpasso ed avesse azionato il segnale di svolta a sinistra, con conseguente riconoscimento del concorso in misura del 15%.

75 Ora, per consolidata giurisprudenza, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica, la valutazione della condotta dei soggetti coinvolti, l'accertamento e la graduazione della colpa, la determinazione dell'efficienza causale di ciascuna colpa concorrente è rimesso al giudice di merito e integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione. E la corte d'appello ha adeguatamente motivato. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt e 2059 c.c., dell'art. 2 Cost. e dell'art. 185 c.p.c. ed omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno esistenziale avanzata a motivo del ritardato risarcimento. Espongono che P.S. ed i tre figli nati dalla convivenza con il Q.C.A. avevano richiesto il risarcimento del danno esistenziale per avere subito, a causa del ritardato pagamento dell'indennizzo da parte della N.T., un radicale mutamento delle proprie condizioni di vita, soffrendo, per lo stato di indigenza in cui erano caduti dopo la perdita, rispettivamente, del convivente e del padre, unica fonte di reddito, disagi, mortificazioni e privazioni protrattisi per cinque anni dopo il sinistro. Il tribunale, pur riconoscendo la configurabilità di un danno esistenziale, aveva negato il risarcimento, trattandosi di danno non patrimoniale non derivante da reato. La sentenza era stata impugnata sul punto, facendo rilevare che alla N.T. doveva ascriversi non già la causa del danno esistenziale, costituita dalla procurata morte del Q.C.A., imputabile al D.D. a titolo di reato colposo, ma la responsabilità di non essersi adoperata a ripristinare le condizioni patrimoniali minime che avrebbero potuto consentire ai danneggiati di non aggiungere al dolore per la perdita del familiare lo strazio di una vita di stenti durata cinque anni. Era stata invocata la giurisprudenza (Cass. n. 7713/2001) secondo cui, nel caso di lesione di diritti della persona, devono ritenersi risarcibili, a titolo di danno esistenziale, quali danni non patrimoniali, tutti quei pregiudizi che incidano significativamente sulla qualità della vita e sulla personalità del danneggiato, senza dare luogo ad effetti patogeni, determinanti danno biologico, con la conseguenza che, sotto il profilo del danno non patrimoniale, oltre al danno morale derivante dalla morte del congiunto, doveva essere risarcito tanto ai figli che alla convivente del Q.C.A. anche il danno esistenziale derivato dall'improvviso e radicale mutamento delle loro condizioni di vita e dall'essersi trovati in una grave situazione di indigenza, alla quale la N.T., ritardando per cinque anni il pagamento dell'indennizzo, non aveva posto rimedio. Tanto esposto, lamentano che la corte d'appello ha del tutto omesso di pronunciarsi su tale capo di gravame. Sostengono che nel caso di accoglimento della pretesa, non si corre il rischio di una duplicazione del risarcimento del danno non patrimoniale, posto che quello risarcito (con l'attribuzione alla P. della somma di L ed a ciascun figlio della somma di L ) è costituito dal danno morale sofferto dai familiari per la perdita del congiunto, mentre quello di cui è stato richiesto l'ulteriore risarcimento (nell'importo di Euro ,00 ciascuno) è rappresentato dai patimenti e dalle angosce loro derivate e protrattesi per oltre cinque anni a causa della improvvisa perdita di qualsiasi fonte di reddito, perdita costituente danno esistenziale che gli eredi D.D. sono tenuti a riparare, e che la N.T., aveva l'obbligo di temperare con il sollecito pagamento dell'indennizzo e che ha invece colposamente trascurato di fare Il motivo è fondato. La corte d'appello ha omesso di pronunciare sul motivo di appello incidentale con il quale era impugnato il rigetto della domanda di risarcimento del danno esistenziale, nei suindicati termini allegato. La sentenza va quindi cassata. Il giudice di rinvio nel provvedere sulla questione dovrà tenere conto dei principi enunciati da queste sezioni unite in sede di esame della questione di particolare importanza. In particolare dovrà considerare: che il c.d. danno esistenziale non costituisce categoria autonoma di danno non patrimoniale (punto 3.13);

76 che, con il risarcimento del danno morale alla convivente ed ai figli, in realtà è stato risarcito dal primo giudice il danno non patrimoniale da perdita di congiunto, costituendo lo sconvolgimento dell'esistenza subito dai familiari uno degli aspetti del complesso pregiudizio (punto 4.9), sicchè al riguardo si pone soltanto questione di adeguatezza della liquidazione; di ciò dovrà tenersi conto nei riguardi degli eredi D. D.; che, per quanto concerne la N.T., dovrà considerarsi, in relazione alla affermata estensione della risarcibilità del danno non patrimoniale da lesione di diritti inviolabili della persona all'ambito della responsabilità contrattuale (punto 4.1 e 4.2), che, nel sistema dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione, l'assicuratore non è legato da vincolo contrattuale verso il danneggiato, ma assume nei suoi confronti un debito indennitario ex lege (sent. n /1995, n. 8717/1996, n. 7019/1999, n. 7993/2002), ed il tardivo adempimento dell'obbligazione dell'assicuratore, in quanto debito di valuta, può soltanto determinare responsabilità nei termini di cui all'art c.c.. 3. Con il terzo motivo, denunciando errata applicazione degli artt. 147, 148 c.c., art c.c., artt. 29, 30 Cost. e dei criteri generali in punto di quantificazione del danno patrimoniale, contraddittorietà della motivazione, i ricorrenti lamentano che la corte d'appello ha diminuito l'ammontare del danno patrimoniale riconosciuto ai figli naturali del Q.C.A., sull'assunto che il genitore avrebbe cessato di attendere alle loro necessità al compimento del ventiduesimo anno. Sostengono che la corte ha anticipato di almeno tre anni la data approssimativa nella quale si verifica l'affrancazione dai genitori e non ha considerato che anche dopo il conseguimento dell'autonomia i figli avrebbero senz'altro goduto, in occasione di matrimonio e nascita di figli, di quelle elargizioni che rientrano nel contesto sociale nel quale si collocava il nucleo familiare del defunto Q.C.A Il motivo non è fondato. Ha ritenuto la corte d'appello che, normalmente, secondo il comune sentire, il padre provvede ai bisogni dei figli fino a quando questi si rendano autosufficienti, ed ha individuato il raggiungimento dell'autosufficienza con l'inserimento nel mondo del lavoro, che avviene intorno ai ventidue anni. Per quanto concerne l'individuazione del momento in cui i figli raggiungono l'autonomia, la valutazione della corte, su base presuntiva, non è illogica, e resiste alla censura. Così come corretta è la mancata considerazione delle elargizioni in occasione di ricorrenze, in quanto meramente eventuali. 4. Il quarto motivo, con il quale è denunciata errata e falsa applicazione degli artt e 1224 c.c. e dei principi che regolano la rivalutazione del danno, è condizionato all'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, non verificatosi, e va quindi dichiarato assorbito. 5. Il quinto motivo, concernente il regolamento delle spese, resta assorbito dalla cassazione con rinvio. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale (n. 8313/2004); accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale n /2004; rigetta il primo e terzo motivo del ricorso incidentale n /2004; accoglie il secondo, dichiara assorbiti il quarto e quinto; cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.

77 Corte d Appello di Potenza, 13 novembre 2008 Svolgimento del processo Attore in primo grado: Ga.Pi. Atto di citazione notificato il 21/2/1992. Convenuti in giudizio dinanzi al Tribunale di Matera: Lo.Sa.An. e la Fo. S.p.A. Esposizione dei fatti a sostegno della domanda: in data 28/1/1991, alle ore 22,30, presso un incrocio semaforizzato di Tinchi (MT) Ga.Pi., alla guida del proprio motocarro, veniva violentemente investito dall'autoveicolo (...) appartenente al Lo., dal medesimo condotto ed assicurato presso la compagnia Fo.; il Ga. rimase gravemente ferito ed affetto da tetraplegia, con invalidità del 100%. Conclusioni attore: posto che la responsabilità del sinistro era da ascriversi unicamente al Lo., l'attore chiedeva la condanna dei convenuti in solido al pagamento di tutti i danni morali e materiali. Convenuti costituiti: entrambi Conclusioni convenuti: rigetto della domanda per esclusiva responsabilità del Ga., il quale aveva provocato il sinistro non avendo rispettato il diritto di precedenza del veicolo condotto dal Lo.; la compagnia assicuratrice eccepiva l'improponibilità della domanda per difetto delle formalità di cui all'art. 22 l. n. 990/69. Domanda riconvenzionale: del Lo. per il risarcimento dei danni al proprio veicolo. Attività istruttoria: prova orale. Atre attività svolte: costituzione in giudizio degli eredi del Ga., nel frattempo deceduto. Conclusioni definitive in primo grado. Per gli attori: "L'avv....dichiara che il danno subito dagli attori per la morte del loro congiunto Ga.Pi. è il seguente: a) invalidità temporanea totale - mesi 18: importo annuo triplo della pensione sociale Lire all'anno = Lire : b) danno materiale per la morte del congiunto: Lire ; c) danno morale sulla temporanea totale 1/3 rispetto al danno materiale = Lire ; d) danno morale per la morte a favore del coniuge superstite: Lire ; e) danno morale per la morte a favore di ciascun figlio: Lire ; f) danno biologico jure hereditatis per decesso dopo 18 mesi: Lire Condannare i convenuti al pagamento delle spese e compensi del giudizio, da distrarsi a favore del difensore..." Per la compagnia assicuratrice: improponibilità della domanda o rigetto della stessa e vittoria di spese. Per il Lo.: nessuno è comparso all'udienza di precisazione delle conclusioni. Esito del primo grado: sentenza pubblicata il 9/11/2000 (non notificata) con cui viene accertata la pari responsabilità dei conducenti e accertato che la morte del Ga. avvenne per le lesioni subite nel sinistro; condanna dei convenuti a pagare, con vincolo di solidarietà, agli attori, la somma di Lire a titolo di danno morale e patrimoniale, oltre rivalutazione dall'1/8/1992 ed interessi legali a far data dalla pubblicazione della sentenza; accoglimento della domanda riconvenzionale e condanna degli attori a pagare al Lo. la somma di Lire oltre rivalutazione ed interessi. Appello proposto dagli eredi del Ga. con atti notificati il 12/12/2000. Si costituisce in giudizio soltanto la compagnia la Fo. Appello incidentale: della Fo. Attività svolte in grado di appello: consulenza tecnica medico legale e consulenza tecnica per accertare la dinamica del sinistro. Udienza di precisazione delle conclusioni in appello: del 26/10/2005. Conclusioni definitive: le parti si riportano ai precedenti scritti; di esse si darà conto in parte motiva. All'udienza, collegiale del 21/10/2008 la causa è stata riservata per la decisione. Motivi della decisione 1) Appello incidentale della Compagnia Assicuratrice "Fo." sull'inidoneità della messa in mora. Fin dal primo grado, nell'interesse della compagnia assicuratrice, fu eccepita l'improponibilità della domanda per omesso compimento delle formalità di cui all'art. 22 della legge n. 990 del Si sostenne che difettassero i requisiti per ritenere validamente compiuta la messa in mora nei confronti

78 della compagnia, in presenza di una lettera raccomandata a firma dell'avv. D'A., contenente richiesta di pagamento dell'indennizzo "in nome e per conto dei familiari di Ga.Pi." asseritamente carenti di qualsiasi titolo. Il Tribunale ha ritenuto che la richiesta di risarcimento sia stata formulata dai familiari dell'avente diritto in un momento di assoluto impedimento del medesimo, che era in coma, ed abbia prodotto effetto in quanto successivamente ratificata dallo stesso danneggiato con la notifica dell'atto di citazione. Si duole di tale pronuncia la appellante incidentale, la quale, "pur considerando per vera la presunzione del GOA, secondo cui il Ga. al momento dell'inoltro della raccomandata fosse in coma, e quindi nell'impossibilità di conferire una procura ad litem proprio difensore" rileva che la nota avrebbe dovuto essere redatta in nome e per conto del Ga. e non in nome e per conto dei familiari del medesimo. Si sostiene quindi che alcuna ratifica abbia potuto porre in essere il danneggiato in relazione ad una richiesta di carattere patrimoniale formulata nell'interesse dei propri familiari. Si legge nella lettera di messa in mora, datata il/2/1991: "Formo la presente in nome e per conto dei familiari di Ga.Pi.", segue la descrizione delle modalità del sinistro, con la precisazione che "Ga.Pi. trovasi tuttora in come presso l'ospedale Sa. di Potenza". La nota si chiude con la seguente richiesta: "Poiché gravi sono le conseguenze delle lesioni subite dal Ga., in quanto è tuttora in prognosi riservata, con la presente vi invito a voler provvedere al risarcimento di tutti i danni materiali e personali, con avvertenza che, in mancanza, saranno adite le vie legali...". E' evidente, quindi, che il legale formulò richiesta di pagamento dei danni subiti dal Ga.: la nota non contiene alcun riferimento a pretese patrimoniali dei familiari. Ciò posto, questa Corte rileva che la documentazione in atti dimostra come il Ga. fosse, alla data dell'11/2/1991, in condizioni di temporaneo grave impedimento, in quanto nel sinistro del 28/1/1991 riportò gravi lesioni craniche e vertebro - midollari che indussero l'insorgenza di uno stato comatoso con conseguente grave tretraparesi, parestesia completa e flaccida, con anestesia completa fino quattro dita al di sopra della mammillare trasversa. Nei giorni seguenti la situazione rimase stazionaria, ed anzi alla data del 31/1/1991 si registrò nel paziente un'improvvisa polipnea tale da rendere necessaria l'intubazione naso - tracheale. Il lento processo di recupero ebbe inizio soltanto nel successivo mese di marzo. Quanto alle condizioni cliniche del danneggiato, si è quindi ben oltre il limite della presunzione, ipotizzato dall'appellante incidentale. Questa Corte non ignora che, secondo costante giurisprudenza, la richiesta di risarcimento all'assicuratore del danneggiante, prevista dall'art. 22 della legge n. 990/69, integra un atto giuridico in senso stretto (tanto che può essere formulata anche da un legale in nome del danneggiato), così come non ignora che in relazione agli atti giuridici in senso stretto non trova applicazione l'art c.c., il quale estende la disciplina dei contratti (art. 1399, comma secondo, c.c.) ai soli atti patrimoniali negoziali; vi è tuttavia da rilevare che la situazione concreta è riconducibile alla previsione dell'art c.c. Come è noto, infatti, l'elemento caratterizzante la gestione d'affari consiste nella spontaneità dell'intervento del gestore nella sfera giuridica altrui, in assenza di qualsiasi vincolo negoziale o legale. Tale requisito si rinviene, tra l'altro, quando l'interessato sia nella materiale impossibilità di provvedere alla cura dei propri affari e l'utilità iniziale della gestione - che si concreta in un qualunque atto giuridico e non necessariamente in un atto negoziale - sussiste quando sia stata posta in essere un'attività tesa ad evitare una diminuzione patrimoniale. Tale diminuzione è consistita, nel caso concreto, nella possibile perdita dell'indennizzo assicurativo per decorso del termine breve di prescrizione nel caso di protrarsi dello stato di coma del dominus. Sì è trattato, in altri termini, della la stessa attività che il danneggiato, ove non impedito, avrebbe compiuto. Il motivo di appello è quindi infondato. 2) Appelli - principale e incidentale - sulla dinamica del sinistro. Il Tribunale ha ritenuto non superata la presunzione di pari responsabilità prevista dall'art c.c.

79 Il sinistro si verifica a Tinchi, all'altezza di un incrocio semaforizzato tra il viale Ionio (strada con diritto di precedenza e limite di velocità di 40 km/h, percorsa in direzione Marconia - Pisticci dal veicolo condotto dal convenuto Lo.), la via (...), (dalla quale proveniva il motocarro condotto dal Ga.) ed una terza strada, che collega i centri di Montalbano Ionico e Bernalda. Risulta dai rilievi planimetrici e dalle dichiarazioni dei testi escussi, il quali sopraggiunsero dopo l'incidente e verificarono la posizione dei veicoli, che il conducente del motocarro, senza rispettare il diritto di precedenza a favore dei veicoli transitanti lungo la via (...), effettuò una manovra o per immettersi nella via (...), con l'intenzione o di proseguire in direzione di Marconia, o per attraversare l'incrocio e proseguire in direzione di Montalbano Ionico. Il punto d'urto è stato individuato dal consulente del P.M. nell'esatto centro della carreggiata del viale (...). Dall'esame della posizione dei mezzi dopo il sinistro e dei danni dai medesimi riportati, si è accertato che l'autoveicolo condotto dal Lo. investì con lo spigolo anteriore sinistro la fiancata sinistra del motocarro. Accertato che il Ga. non rispettò il diritto di precedenza posto a favore dei veicoli in marcia sulla via (...), il Tribunale ha ritenuto non attendibile la consulenza tecnica espletata in fase di indagini penali, secondo la quale il veicolo (...) guidato dal Lo. procedeva a velocità elevata, anche attesa la mancanza di tracce di frenata, ed ha tuttavia affermato che non è stata superata la presunzione di pari responsabilità sancita dall'art c.c. Si dolgono delle determinazioni del Tribunale entrambi gli appellanti. Nell'interesse degli eredi del Ga. si sostiene che la colpa esclusiva sia del Lo., in quanto il defunto aveva guadagnato ormai la precedenza di fatto, posto che l'incidente avvenne al centro del quadrivio, che dista metri dal segnale di precedenza. L'appellante incidentale valorizza invece le risultanze della consulenza espletata in sede penale, dalle quali si evince che la (...) al momento dell'impatto procedeva a velocità inferiore ai 40 km/h e che il conducente, a causa dell'improvvisa ed inaspettata manovra del Ga., mai avrebbe potuto evitare l'urto. Si contesta, peraltro, che vi siano elementi per individuare il punto d'urto, posto che i veicoli furono spostati prima dei rilievi e che neanche il consulente nominato dal P.M. ebbe a fissarlo con esattezza. Quanto alle doglianze degli appellanti principali, osserva questa Corte che, per consolidata giurisprudenza, in tema di circolazione stradale, la precedenza cronologica o di fatto può ritenersi legittimamente fruibile solo quando il conducente sfavorito si presenti, al contrario dei caso di specie, sud' area di intersezione dell'altrui traiettoria di marcia (area di incrocio o di svolta) con tale anticipo da consentirgli di effettuare l'attraversamento con assoluta sicurezza, senza alcun rischio per la circolazione e senza porre in essere alcun pericolo per il conducente, il quale non deve essere costretto a ricorrere a manovre di emergenza. Il verificarsi del sinistro esclude quindi la possibilità di invocare l'esistenza della precedenza di fatto. Venendo ai motivi d'appello formulati nell'interesse della compagnia assicuratrice, occorre ricordare che in questo grado del giudizio è stata disposta ed effettuata una consulenza tecnica d'ufficio sugli atti, allo scopo di acquisire ulteriori elementi di valutazione sulla dinamica del sinistro. Ciò perché, tra l'altro, in merito alla velocità del veicolo (...s), il consulente del P.M. aveva ritenuto che essa fosse prossima, almeno nella fase iniziale, ai 115 km/h, ma la motivazione sul punto è risultata carente, posto che l'ausiliare, dopo aver affermato l'assenza di elementi per la sua determinazione, aveva concluso: "Ad ogni buon fine, ricorrendo agli effetti degli urti, i quali hanno prodotto danni gravissimi, tanto da rendere inservibile il motociclo, lo scrivente è convinto che non doveva essere inferiore ai km/h". La procedura di calcolo seguita dall'ausiliare nominato da questa Corte, fondata sull'esame delle caratteristiche e del peso dei veicoli coinvolti e dei danni prodotti dall'urto, ha permesso di stabilire, invece, che il veicolo (...) al momento della percezione del pericolo procedeva ad una velocità di circa 79 Km/h e che al momento dell'impatto, verificatosi probabilmente nella corsia di pertinenza del veicolo investitore, esso aveva rallentato fino ad una velocità compresa tra i 56 e i 71 Km/h, mentre il motocarro procedeva alla velocità di Km/h 16,82. Ciò significa che anche il conducente della (...) non tenne conto del limite di velocità: è da ricordare che: a) l'incrocio era segnalato da un semaforo, ben visibile in orario notturno; b) il Lo. in prossimità di

80 esso incontrò un primo cartello con indicazione del limite di 50 Km/h e, con l'ulteriore approssimarsi all'incrocio, un secondo cartello, il quale segnalava l'ulteriore limite di 40 km/h. Posto che l'avvistamento dell'ostacolo sulla carreggiata era possibile, secondo i calcoli del consulente, a circa 26 metri dal punto d'impatto, il rispetto del limite di velocità avrebbe consentito al Lo. di tentare con buona percentuale successo una manovra di emergenza. Per l'insieme di tali ragioni si ritiene di attribuire a quest'ultimo una percentuale di colpa pari al 40%. 3) Appello principale sulla quantificazione del danno. Il Tribunale, sul presupposto che il danneggiato avesse riportato un'invalidità totale, ha liquidato a titolo di danno patrimoniale la somma di Lire , giungendo a tale determinazione attraverso la moltiplicazione della somma di Lire (pari alla presunta paga giornaliera di un operaio) per il numero di giorni (540) di malattia fino alla data della morte. A titolo di danno biologico ha liquidato una somma analoga a titolo equitativo e 1/4 della liquidazione del danno biologico a titolo di danno morale iure proprio. Ha poi affermato che, trattandosi di debito di valore, dette somme vanno rivalutate dall'1/8/1992 ed incrementate degli interessi legali soltanto a far data dalla decisione, "per evitare una duplicazione di risarcimento", ed ha condannato i convenuti al pagamento di 1/2 della liquidazione complessiva, in considerazione del ritenuto concorso di colpa. Si dolgono di tale pronuncia gli appellanti principali. Innanzitutto affermano che la liquidazione del danno è irrisoria, sia sotto il profilo del danno biologico sia con riferimento a quello morale, ciò se si considera che il Ga. è rimasto invalido al 100% per temporanea totale, fino al momento della morte. In secondo luogo, essi sostengono che la sentenza non ha statuito sul risarcimento del danno materiale spettante alla famiglia del Ga. Si sostiene che vi sia stata un'omessa pronuncia sul punto e che, così come la liquidazione del danno patrimoniale spettante jure proprio al defunto è stata effettuata con riferimento al parametro del triplo della pensione sociale, allo stesso modo, essendovi espressa domanda, avrebbe dovuto essere liquidato il danno patrimoniale ai congiunti per la perdita del reddito del prodotto dal Ga. La prima delle due doglianze è solo in parte fondata. Come già in precedenza rilevato, nel sinistro del 28/1/1991 il Ga. riportò gravi lesioni craniche e vertebre - midollari che indussero l'insorgenza di uno stato comatoso con conseguente grave tretraparesi, parestesia completa e anestesia completa fino quattro dita al di sopra della mammillare trasversa. Anche dalla consulenza medico - legale espletata in questo grado del giudizio emerge che dopo una fase iniziale di paralisi completa degli arti inferiori e superiori, si ebbe una moderata ripresa funzionale agli arti superiori e qualche accenno di miglioramento motorio agli arti inferiori, ma la situazione rimase assai grave con paziente allettato o talvolta su sedia a rotelle. Egli nel frattempo subì inoltre due attacchi epilettici di "grande male" e alla fine, l'insufficienza renale collegata alle lesioni midollari ne provocò la morte. Risulta, quindi, che il Ga. versò, per il periodo residuo della sua vita, in condizioni di invalidità totale e di grande sofferenza. Ciò premesso, occorre ricordare che il giudice di primo grado ha liquidato per ciascun giorno di invalidità totale (biotemporanea) la somma di Lire , con riferimento al periodo in cui il danno è maturato, da rivalutarsi, trattandosi di debito di valore. Orbene, ad oggi, utilizzando il coeff. di rivalutazfone ISTAT (riferito al periodo in cui si verifica il sinistro), tale importo corrisponde alla somma di Lire pro die, certamente inferiore a quella liquidata - all'attualità - per biotemporanea, secondo i correnti parametri equitativi utilizzati da questa Corte in caso di invalidità temporanea totale, pari a 70 Euro per giorno. Ne consegue che gli odierni attori ed appellanti principali avrebbero diritto - in caso di responsabilità esclusiva del Lo. - per il periodo di 540 giorni di invalidità totale sopportati dal loro dante causa, periodo intercorso tra il sinistro e il decesso del medesimo, alla somma di Euro ,00. La gravità della condizione personale del danneggiato nel periodo in cui è rimasto in vita e la condizione di sofferenza che ne è derivata sono circostanze poste a fondamento dell'appello sulla

81 liquidazione del danno morale al medesimo spettante per il periodo in cui è rimasto in vita, e che ingiustamente, a dire degli eredi, è stato liquidato nella misura di 1/4 del danno biologico. Questa Corte assumendo a parametro i correnti criteri di liquidazione del danno morale (liquidata nella quota che va da un quarto alla metà del danno biologico), e tenuto conto della situazione di fatto evidenziata in premessa, non può non liquidare per il titolo dedotto un importo inferiore al 50% della somma liquidata per il danno biologico. Entrambi gli appellanti discutono poi della fondatezza delle argomentazioni contenute in sentenza in merito all'asserito (dal Tribunale) difetto di rapporto di causalità tra le lesioni e la morte. Si tratta, però, di allegazioni di scarso rilievo ai fini della decisione, per due ordini di ragioni. Innanzitutto, in tema di risarcibilità del danno biologico, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, e configurabile un danno biologico risarcibile subito dal danneggiato, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi, che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiente iure hereditatis. In questo caso, la misura del danno dovrà essere determinata in relazione alla effettiva menomazione dell'integrità psicofisica subita dal soggetto per il periodo di tempo tra il vendicarsi delle lesioni e il sopraggiungere della morte, per cui essa sarà correlata all'inabilità temporanea. Infatti come più volte rilevato dalla S.C. in tema di danno biologico, richiesto iure hereditatis (ma il discorso è identico per la richiesta di danno da perdita del diritto alla vita, detto anche danno tanatologico) la lesione dell'integrità fisica con esito letale, incide sul bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzionatola ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere. In secondo luogo, l'esistenza di un evento morte ricollegabile alle lesioni patite nell'incidente dal Ga. avrebbe potuto avere incidenza su eventuali pretese degli eredi jure proprio, ma - e così si va ad affrontare anche l'ulteriore motivo di gravame di questi ultimi - tali pretese non possono essere esaminate. 3.1) Infatti, per verificare la fondatezza delle doglianze riguardanti la mancala liquidazione del "danno materiale" spettante ai congiunti del defunto, è opportuno ripercorrere i momenti processuali anteriori alla sentenza di primo grado. Come rilevato in premessa, il Ga. agì in giudizio per ottenere il risarcimento "di tutti i danni materiali e personali" subiti nel sinistro". Essendo il medesimo deceduto il 6/7/1992, in corso di causa il processo fu proseguito dagli eredi, i quali riproposero le originarie domande, senza alcun ampliamento del petitum. Ciò significa che al momento della riassunzione alcuna pretesa fu da costoro avanzata in proprio ed essi agirono soltanto quali eredi per ottenere ciò che al defunto sarebbe spettato a titolo risarcitorio. All'esito della prova testimoniale, e cioè all'udienza del 9/11/1999, il difensore degli attori formulò una richiesta di provvisionale, allegando lo stato di bisogno dei familiari del defunto e producendo, allo scopo, certificato di pensione della Pr., stati di famiglia e certificati di disoccupazione della Pr. e dei figli. In assenza di specifiche allegazioni e di un espresso ampliamento del petitum, e da escludere che tale comportamento processuale possa ricondursi a una nuova pretesa di risarcimento jure proprio, dovendosi, piuttosto, ritenere che essi formularono una richiesta di anticipazione delle somme originariamente richieste dal proprio dante causa, pur facendo valere un proprio stato di bisogno. In seguito, all'udienza di precisazione delle conclusioni, le richieste di parte attrice furono così verbalizzate: "L'avv.... dichiara che il danno subito dagli attori per la morte del loro congiunto Ga.Pi. è il seguente: a) invalidità temporanea totale - mesi 18: importo annuo triplo della pensione sociale Lire all'anno = Lire : b) danno materiale per la morte del congiunto: Lire ; c) danno morale sulla temporanea totale 1/3 rispetto al danno materiale = Lire

82 ; d) danno morale per la morte a favore del coniuge superstite: Lire ; e) danno morale per la morte a favore di ciascun figlio: Lire ; f) danno biologico iure hereditatis per decesso dopo 18 mesi: Lire ". Nel verbale fa seguito la richiesta di condanna dei convenuti al pagamento dell'importo complessivo, determinato dalla sommatoria delle somme indicate. Soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni, quindi, si aggiunse per la prima volta alla pretesa di ristoro del danno jure hereditatis l'espressa proposizione di domande risarcitorie degli eredi jure proprio, ivi compreso il ristoro del danno morale per perdita del congiunto. Su tali pretese controparte non prese espressa posizione, e quindi non accettò il contraddittorio. La conferma di ciò si ha attraverso la verifica del comportamento successivo della compagnia assicuratrice (il Lo., pur essendosi inizialmente costituito in giudizio, non ha in seguito svolto attività difensiva, non ha partecipato all'udienza di precisazione delle conclusioni e non ha depositato comparsa conclusionale), ovvero sia dalla lettura della successiva comparsa conclusionale, in cui non vi è alcun cenno a una difesa nel merito in ordine alle nuove domande, sia dalla lettura della successiva memoria di replica, dove vi è un'espressa dichiarazione di non accettazione del contraddittorio rispetto ad esse (ribadita in questo grado). Ciò premesso, appare evidente che il motivo di appello non può essere esaminato nel merito. 4) Osserva, peraltro, questa Corte che la domanda risarcitoria di cui al punto n. 3.1), se anche non fosse nuova, non potrebbe comunque essere accolta, per le stesse ragioni che impongono l'accoglimento dell'appello incidentale della compagnia assicuratrice nella parte in cui essa si duole della condanna al risarcimento del danno patrimoniale subito dal defunto e corrispondente alla asserita perdita di reddito. Si sostiene, infatti, nell'interesse dell'appellante incidentale che erroneamente il giudice di primo grado abbia fatto riferimento al criterio liquidatorio previsto dall'art. 4, comma 3, della legge n. 39 del 1977, posto che detto parametro può essere utilizzato solo nel caso in cui il reddito prodotto non risulti, non nel diverso caso in cui il soggetto sia privo di reddito. E nel caso concreto, si precisa nell'interesse dell'appellante incidentale, il Ga. non era, per sua espressa ammissione (contenuta anche nella sua comparsa conclusionale), percettore di reddito. Questa Corte rileva che secondo costante insegnamento della S.C. l'accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l'automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno - derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica - e, quindi, di produzione di reddito. Detto danno patrimoniale da invalidità deve, perciò, essere accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse un'attività produttiva di reddito. La liquidazione del danno, peraltro, non può essere fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, norma che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa, che comunque incombe al danneggiato e che può essere data anche in via presuntiva, purché sia certa la riduzione di capacità di lavoro specifica. Quindi, soltanto una volta ritenuta provata l'attività lavorativa svolta dal danneggiato e la compromissione della medesima (quindi l'an debeatur), in mancanza di una prova specifica del di lui reddito, si può verificare la possibilità di fare ricorso ai criteri di quantificazione del danno indicati dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977 n. 39. Considerato che effettivamente in atti non vi è allegazione e prova dello svolgimento di attività lavorativa da parte del danneggiato, ed anzi, effettivamente nella richiamata comparsa conclusionale si afferma che egli non era percettore di reddito - circostanza questa affermata dallo stesso giudice di primo grado e in seguito non contraddetta - l'appello appare sul punto fondato e deve essere rigettata la domanda di risarcimento del danno per perdita di capacità reddituale del danneggiato. 5) Si è già rilevato che il danno biologico si intende liquidato all'attualità, ossia già rivalutato, sicché tale pronuncia assorbe le pur fondate ulteriori doglianze degli appellanti principali in merito alla decorrenza della rivalutazione, immotivatamente fissata, quanto al dies a quo, alla data dell'1/8/1992, data successiva non solo al sinistro - vendicatosi il 21/8/ ma anche alla data della morte, avvenuta il 6/7/1992.

83 6) Fondato è anche il successivo motivo di appello sulla decorrenza degli interessi, che è stata fissata a far data dalla decisione e non a far data dal sinistro. Per giungere a tale conclusione il giudice di primo grado ha affermato che la fissazione di una decorrenza anteriore produrrebbe una duplicazione del risarcimento. Correttamente gli appellanti principali le pronunce di questa Corte, che aderisce a quell'orientamento della S.C., secondo cui vertendosi in materia di debito di valore (nei rapporti tra responsabile del sinistro e danneggiato) suscettibile di rivalutazione monetaria volta alla reintegrazione del patrimonio per adeguare l'effettivo valore del bene al momento della decisione (funzione ripristinatoria), l'applicazione degli indici ISTAT va operata indipendentemente dagli interessi che hanno funzione compensativa e che vanno poi calcolati, nella misura legale, anno per anno, sulle somme via via rivalutate. 6.1) E' il caso di rilevare, però, che la compagnia assicuratrice resiste all'appello incidentale proposto sul punto dagli eredi del Ga., sostenendo che bene ha fatto il GOA a non duplicare la condanna. Essa contesta la fondatezza del gravame sotto il profilo della riconducibilità della propria obbligazione al disposto dell'art c.c. In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, l'assicuratore, a seguito della richiesta del danneggiato formulata ex art. 22 della legge n. 990 del 1969, è direttamente obbligato ad adempiere nei confronti del danneggiato medesimo il debito d'indennizzo derivante dal contratto di assicurazione. Una volta scaduto il termine di sessanta giorni da detta norma prevista, l'assicuratore è in mora verso il danneggiato, qualora sia stato posto nella condizione di determinarsi in ordine "all'an" ed al "quantum" della responsabilità del suo assicurato. In tal caso essendo è sufficiente che, dopo aver dato atto di averlo ritualmente costituito in mora, il danneggiato medesimo richieda all'assicuratore, "sic et simpliciter", gli interessi e il maggior danno da svalutazione ex art c.c.: l'obbligazione verso il danneggiato dell'assicuratore è a titolo di responsabilità per l'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria e, quindi, senza necessità di prova del danno quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo della mora ed al saggio degli interessi legali. In altri termini, nei limiti del massimale l'assicuratore è tenuto a pagare tutto ciò che è dovuto dal responsabile del sinistro. 7) Ulteriore motivo di appello principale è quello afferente la liquidazione dei danni subiti dal veicolo del Lo. Si sostiene che il mero preventivo del carrozziere, in assenza di una conferma testimoniale non costituisce prova del danno, e che esso non avrebbe potuto essere liquidato in via equitativa, ex art. 114 c.p.c., mancando una concorde richiesta delle parti. Gli appellanti formulano un riferimento normativo improprio, giacché la norma applicabile al caso in esame non è l'art. 114 c.p.c. ma l'art c.c., richiamato dall'art c.c. E' tuttavia da considerare che, non essendo stato provato il danno nel suo ammontare, come correttamente rilevato dagli appellanti, il giudice non avrebbe potuto liquidarlo equitativamente, essendo detta liquidazione consentita quando, al contrario del caso di specie, il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare. L'appello deve quindi, sul punto, essere accolto. 8) Infondata è, invece, la doglianza degli appellanti principali in merito all'omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni al motocarro. Per quanto esposto al punto n. 3.1) di questa motivazione, alcuna domanda è stata formulata in tal senso in primo grado. Riassumendo, spetta agli attori soltanto la liquidazione del 40% del danno biologico e morale jure hereditatis, entrambi calcolati al punto n. 3) di questa motivazione. Tale percentuale è ad oggi, pari, quindi, ad Euro ,00 per il danno biologico e ad Euro 7.560,00 per il danno morale. La pronuncia di condanna dovrà comprendere non solo la somma rivalutata ad oggi, ma anche, per quanto esposto ai punti 6) e 6.1), gli interessi al saggio legale sull'importo che man mano si incrementa per effetto della rivalutazione fino al momento della presente decisione e, sull'importo integralmente rivalutato, dalla decisione al sodddisfo; per effettuare il corretto calcolo di detti interessi, dovrà devalutarsi il credito al momento del sinistro (coeff. ISTAT 1,6690).

84 9) Appelli (principale ed incidentale) sulle spese. Sono entrambi inammissibili. Si assume, da parte degli appellanti principali, l'ingiustizia della parziale compensazione delle spese, perché in tal modo gli attori si vedono costretti a pagare 1/3 di esse al proprio difensore ed inoltre perché la domanda è interamente fondata e perché la riconvenzionale del Lo. è da disattendere. L'appellante incidentale afferma soltanto che anche a voler ritenere il concorso di colpa, appare ingiusta la condanna al pagamento di due terzi delle spese. Come è evidente, entrambe le parti non formulano motivi muniti del requisito della specificità sul governo delle spese e, in particolare, gli appellanti principali sostengono che esso dovrebbe essere diverso sulla base di un esito del giudizio differente da quello effettivamente ottenuto. Al contrario, la parziale compensazione delle spese si giustifica sulla base di un parziale accoglimento delle pretese degli attori, e, in ragione di ciò, deve essere confermata, insieme con la relativa liquidazione. Per gli stessi motivi vanno compensate le spese, in questo grado, in uguale proporzione. Quanto alle spese di c.t.u., resta ferma la ripartizione fatta con separati decreti. P.Q.M. La Corte di Appello, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dagli eredi di Ga.Pi. e dalla compagnia assicuratrice la Fo. S.p.A. avverso la sentenza n. 1199/2000, resa dal Tribunale di Matera tra le parti in data 9/11/2000, così provvede: in parziale riforma della predetta sentenza, condanna Lo.Sa.An. e la Fo. S.p.A. in solido a pagare la somma complessiva di Euro ,00, già rivalutata all'attualità, oltre interessi al saggio legale calcolati in base al criterio indicato al punto n. 8) della motivazione che precede; determina, su tale maggior importo, in Euro 7.560,00 la somma spettante, a titolo di capitale a Pr.Ro., e in Euro ,00 il residuo capitale, da suddividersi in parti uguali tra Ga.Gi., Ga.Re., Ga.Vi., Ga.It., Ga.Lu., Ga.Ca., Ga.Si., Ga.Gi., Ga.Gi., Ga.Gr.; rigetta la domanda riconvenzionale del Lo.; rigetta l'appello sulle spese; condanna i convenuti in solido al pagamento di 1/3 delle ulteriori spese processuali, maturate in questo grado, liquidando tale quota in complessivi Euro 2.488,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 938,00 per diritti, Euro 1560,00 per onorario, oltre accessori come per legge e tariffa, con distrazione a favore dell'avv. An.D'A., per dichiarato anticipo; compensa le rimanenti spese di questo grado.

85 Corte d Appello di Salerno, 13 novembre 2008 Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato tra il 27 luglio ed il 9 agosto 1991 T.A., T.G., T.I. e T.F. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno M.A., la compagnia di A.M. spa, la Cooperativa di trasporti S.M. ed i Comuni di Angri e Scafati per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni da loro patiti per il sinistro stradale occorso in data , nel quale avevano perso la vita il padre T.M., la madre A.A. e la sorella T.A.. A sostegno della domanda gli attori riferivano che in quella data i congiunti erano a bordo dell'autovettura Alfa Sud 1,2 tg. omissis, di proprietà di T.M. e condotta da T.A., che collideva violentemente con l'autocarro FIAT tg. omissis, di proprietà della Cooperativa, condotto dal M. ed assicurato dalla M. spa; lamentavano che la causa dell'evento andava ascritta non solo alla velocità eccessiva dell'autocarro, ma anche alla circostanza, emersa durante le indagini penali, che l'incrocio tra le due strade ove aveva avuto luogo il sinistro era privo di segnaletica, con la conseguente responsabilità dei due Enti proprietari delle strade e cioè dei Comuni di Angri e di Scafati. E, precisato altresì gli attori di essere rimasti senza adeguati mezzi di sostentamento a causa dell'improvvisa scomparsa dei loro congiunti, chiedevano la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da loro subiti a causa del decesso dei loro congiunti, con vittoria di spese e concessione di una provvisionale di Lire 100 milioni. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la sola M. ass.ni, che, negando la responsabilità del M., contestava la domanda, invocando il rigetto di quella e dell'istanza di provvisionale. La causa passava in carico al Tribunale di Nocera Inferiore e, disposta una provvisionale di Lire in favore di ciascuno degli attori, rigettato il relativo reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., alla sezione stralcio istituita anche presso detto nuovo Tribunale ai sensi della Legge 276/97. Pervenuta quindi all'udienza del , essa era trattenuta in decisione coi termini previsti dall'art. 190 c.p.c., per essere poi definita dal G.O.A. con sentenza n. 362/S/03, pubbl. il Con tale pronuncia il Tribunale di Nocera Inferiore fondava il positivo accertamento della responsabilità sul verbale redatto dai CC di Angri e sulla perizia svolta in sede penale, per le motivazioni adottate dal giudice istruttore in sede di concessione della provvisionale; ritenuto anche il concorso di colpa della conducente della vettura in ragione del 35%, ripartiva la responsabilità tra il conducente dell'autocarro ed i due Enti proprietari in ragione, rispettivamente, del 55% e del 5% cadauno. In ordine al quantum: per il danno patrimoniale in senso stretto, individuato il reddito medio annuo del T.M. in Lire ed ipotizzata la sua devoluzione per i ¾ alle esigenze dei figli, era quantificato un risarcimento, sulla base del coefficiente relativo all'età pari a 15,1292 ex R.D. 1403/22 e del successivo scarto del 30% tra vita fisica e lavorativa, di Lire ; per il danno morale era riconosciuto un risarcimento per ciascuno dei tre eventi luttuosi, per complessive Lire , al lordo della riscossa provvisionale (in ragione di Lire 60 milioni per la perdita del padre e di Lire 60 milioni per quella della madre ed in favore di ciascun figlio; di Lire 70 milioni e Lire per danno morale patito dalla madre, sopravvissuta venti giorni al sinistro, per la previa perdita del marito e della figlia; di Lire per la perdita della sorella per ciascuno dei germani. Era pertanto pronunciata condanna di tutti i convenuti, in ragione delle percentuali di colpa prima indicate, al pagamento della somma di Lire per ciascuno dei germani attori, per complessive Lire , da cui detrarre la somma di Lire 500 milioni già ricevuta a titolo di provvisionale, nonché delle spese di lite, liquidate in complessive Lire , oltre rimborso à forfait ed accessori, con attribuzione all'avv. B. de F., antistatario. Avverso tale sentenza, munita di formula esecutiva il e notificata a mezzo posta il direttamente alla sede sociale, proponeva peraltro appello l'assicuratrice della RcA dell'autocarro, la T.M. ass.ni spa, con un primo atto di appello - datato ed articolato su 43 pagine - notificato il ai soli T. (presso il loro procuratore domiciliatario) - e con un secondo - datato ed articolato su 41 pagine, ma sostanzialmente riproduttivo del primo e diverso solo per l'estensione dei

86 destinatari a tutte le controparti del primo grado - notificato tra il 24 e il 25 febbraio 2004 (alla Cooperativa, al M., ai due Comuni e nuovamente ai T.). Con il primo dei due atti di appello la M. si doleva: 1) della mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti del M., conducente del veicolo investitore; 2) dell'inutilizzabilità e comunque dell'inopponibilità degli atti del procedimento penale, concluso con sentenza ex art. 444 c.p.p.; 3) dell'erroneità della ricostruzione della dinamica e quindi: - dell'attribuzione, immotivata anche sul quantum, di corresponsabilità al M.; - dell'omessa motivazione sull'affermazione della mancata precedenza da parte della conducente del veicolo dei T.che si immetteva su via provinciale; - del carattere apodittico dell'affermazione della velocità eccessiva del veicolo condotto dal M.; - dell'erroneità dell'attribuzione delle tracce esistenti sui luoghi ad un tentativo di frenata da parte della T.; - dell'erroneità dell'affermazione di ininfluenza dell'inadeguata velocità della T., invece concausa preponderante del sinistro; - dell'omessa valutazione del concorso di colpa di conducente e trasportati, in quanto non avevano fatto uso della cintura di sicurezza; 4) per l'erroneità della ricostruzione del danno patrimoniale: quanto alla destinazione di una quota di ¾ del reddito del padre alle esigenze dei figli (anche per la compresenza, nel nucleo familiare, dell'altra figlia, poi deceduta nell'occorso, e della moglie); quanto alla prova sull'entità di tale reddito (oltretutto preso in esame al lordo e non al netto di oneri fiscali e previdenziali), della convivenza dei figli superstiti con il padre e della loro dipendenza economica da quest'ultimo (anche perché almeno tre di loro erano in età adulta); quanto al mancato scomputo degli interessi a scalare per l'anticipazione del capitale; 5) per l'illegittimità dell'attribuzione ad A.A. del diritto al risarcimento del danno: - in quanto riconosciuto iure hereditatis dai defunti marito e figlia; - per la conseguente illegittimità della trasmissione, sempre iure hereditatis, di tale diritto agli attori quali eredi di A., non avendo questi ultimi agito in tale ultima qualità: con conseguente vizio di ultrapetizione; - ove operato in capo ad A.A. quale erede del marito e della figlia, morti sul colpo, in favore di lei sopravvissuta per qualche giorno; - per l'erroneità del riconoscimento di una successione mortis causa per l'intero di A.A. al marito ed alla figlia, da presumersi oltretutto ab intestato ed in mancanza di accettazione dell'eredità, con conseguente mancata assunzione, da parte della A. (rimasta incosciente nei venti giorni di sopravvivenza al sinistro), della qualità di erede dei congiunti; - per l'impossibilità di riqualificare il danno patito dalla A. quale iure proprio per il decesso del marito e della figlia; 6) per il carattere apodittico della liquidazione degli importi riconosciuti, senza nemmeno menzione del carattere equitativo della valutazione, alla A. per il decesso di marito e figlia; 7) per il carattere apodittico e comunque per l'ingiustizia del riconoscimento del diritto ad un risarcimento del danno morale per la morte di genitori e sorella, mancando la prova di effettiva comunanza affettiva o intellettuale tra gli attori ed i defunti e soprattutto in presenza di un concorso di colpa ex art comma 2 c.c.; 8) per il carattere apodittico della quantificazione del danno morale, operata senza fornire alcuna motivazione e per di più in relazione a valori del tempo del sinistro (anno 1989), obiettivamente eccessivi rispetto alla media praticata negli uffici giudiziari italiani dell'epoca; 9) per l'illegittimità della condanna al totale del risarcimento quantificato, senza cioè la decurtazione dovuta al concorso della colpa della stessa conducente del veicolo dei T.;

87 10) per l'illegittimità della condanna di essa appellante, del M. e della Cooperativa al totale del risarcimento, anziché alla sola quota corrispondente alla percentuale di concorso in colpa del secondo, come chiesto dagli attori in primo grado; 11) per l'erroneità della quantificazione della condanna, eccedente di almeno Lire 95 milioni, rispetto alla somma delle singole componenti liquidate in motivazione; 12) per l'erroneità della condanna alla rivalutazione ed agli interessi sulla somma già rivalutata - con capitalizzazione anticipata - dal giorno del fatto al soddisfo; 13) per l'illegittimità della condanna agli accessori: - quanto alla rivalutazione, sia perché non supportata da motivazione, sia perché ingiusta per essere stato quantificato il danno all'attualità; - quanto al cumulo di interessi e rivalutazione; 14) per l'illegittimità della condanna oltre il limite del massimale di polizza e dell'affermazione di una solidarietà tra assicuratrice ed assicurato per l'intero debito di questi. Con l'atto di appello datato , poi, la M. riproponeva i motivi sopra indicati, dando atto che il primo non era stato notificato anche alle controparti diverse dagli originari attori; ed in entrambi concludeva per la sospensione della provvisoria esecuzione e, nel merito, per la riforma della gravata sentenza, con declaratoria di inesistenza di obbligo risarcitorio in capo all'appellante e di insussistenza - o in subordine per concorso in misura inferiore a quella affermata dal primo giudice - di colpa dei convenuti, di inesistenza di danno patrimoniale e di danno morale - o in subordine con loro quantificazione in minore misura e riduzione in proporzione al concorso attribuito alla vittima stessa - nonché con esclusione di rivalutazione ed interessi; il tutto con rigetto della domanda originaria, ovvero, in subordine, con determinazione dell'ammontare del danno in misura equa e rispondente al reale, con esclusione di rivalutazione ed interessi, sempre con contenimento di ogni eventuale condanna di essa appellante entro i limiti del massimale di polizza. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, si costituivano i soli T., i quali replicavano ai motivi di appello e dispiegavano appello incidentale contro la graduazione di responsabilità operata dal primo giudice, tenuto conto anche della condizione di trasportati dei loro genitori ed in quanto tali aventi diritto all'integrale risarcimento dei danni, ma soprattutto in ordine alla liquidazione del danno. A questo riguardo, in applicazione delle cosiddette tabelle del Tribunale di M., gli appellanti rideterminavano le singole voci di danno fino ad un totale, per ciascuno di loro, di Euro , oltre rivalutazione ed interessi ed anche oltre il limite del massimale per la mala gestio da parte dell'assicuratrice RcA. Concludevano pertanto essi attori per il rigetto del gravame principale e, in accoglimento di quello incidentale, per la declaratoria di esclusiva responsabilità in capo al M. e la conseguente condanna della sola M. al pagamento della somma di Euro ,00, da cui detrarre la provvisionale di Lire 500 milioni, pari ad Euro ,00 per ciascuno di loro appellanti incidentali, oltre rivalutazione ed interessi; in subordine, chiedevano riconoscersi il concorso di responsabilità della M. con i Comuni di Angri e Scafati, con conseguente condanna solidale dei convenuti al pagamento della stessa somma; in subordine ulteriore, chiedevano, se riconosciuta la concorrente responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, dichiararsi tenuta la M. Ass.ni a risarcire i danni patiti dai trasportati, salvo il regresso, con condanna di quella al pagamento delle somme stesse; vinte le spese nei confronti della sola M. ass.ni. La causa, dopo la rinuncia dell'appellante principale all'istanza ex art. 351 c.p.c., era subito rinviata per le conclusioni, che le parti precisavano, alla successiva ud , nei sensi riportati in epigrafe: ed alla successiva udienza collegiale del , presente il solo procuratore degli appellanti incidentali, la causa era trattenuta a sentenza. Motivi della decisione Va preliminarmente dichiarata la contumacia, in grado di appello, della Curatela del Fallimento della Cooperativa di Trasporti S.M., di M.A. e dei Comune di Angri e di Scafati: costoro, benché ritualmente citati dall'appellante principale, non si sono costituiti davanti a questa Corte, né sono mai comparsi.

88 Ciò posto, occorre in primo luogo verificare la ritualità dell'instaurazione del contraddittorio anche in ordine all'appello incidentale: infatti, per giurisprudenza costante, la disposizione di cui all'art. 292 cod. proc. civ., per la quale devono essere notificate al contumace le comparse che contengono domande nuove o riconvenzionali, va applicata anche alle comparse contenenti l'appello incidentale, ponendosi in tale situazione la stessa esigenza di rispetto del principio del contraddittorio, onde consentire al contumace di prendere conoscenza dell'appello incidentale a tutela del suo diritto di difesa (per limitarsi ad alcune tra le più recenti: Cass n. 4747, Cass n. 3078, Cass n ). Orbene, non risulta in atti la notifica ai contumaci della comparsa contenente l'appello incidentale dispiegato dai germani T., nonostante l'inscindibilità della causa resa manifesta dall'unitarietà degli accertamenti in fatto sottesi alle domande formulate da costoro. Infatti, va reputata la necessità di applicare l'art. 331 cod. proc. civ. ogniqualvolta si verta in tema di obbligazioni solidali derivanti da unica fonte, con conseguente necessità di qualificare inscindibili le cause ai sensi e per gli effetti di tale ultima norma (Cass. S.U n. 7068, Cass n ): e ciò in quanto, tutte le volte che viene prospettata una responsabilità alternativa e nel caso di obbligazioni solidali interdipendenti, finanche se derivanti da titoli diversi, si configurano ipotesi di cause dipendenti, tanto che l'accertamento dell'una posizione è inscindibile dall'accertamento dell'altra e sussiste, tra gli obbligati, il litisconsorzio necessario in grado di appello (Cass n. 1322, Cass n ). In applicazione di tale principio, sono sicuramente inscindibili le cause nelle quali gli appellanti incidentali ed i contumaci sono parti nel presente giudizio, tutte incentrate sulla responsabilità civile di autoveicoli e quindi sulla normativa della L. 990/69, a mente della quale, proposta l'azione dai danneggiati, vi è litisconsorzio necessario tra danneggianti e assicuratrice della responsabilità civile degli autoveicoli. Del resto, le domande formulate dagli appellanti incidentali presuppongono appunto sia la diversa ripartizione della colpa nella causazione dell'evento, sia l'incremento notevolissimo dell'entità del risarcimento la cui condanna si invoca. Orbene, la mancata notificazione dell'appello incidentale, ascrivibile esclusivamente alla libera scelta processuale di coloro che l'avevano dispiegato, comporta il rilievo dell'evidente difetto di interesse di tali appellanti al gravame e - non potendo comunque influire l'omissione della notifica al contumace sullo sviluppo o sulla ritualità del processo (per tutte: Cass n. 478) - l'immediata declaratoria di inammissibilità dell'appello incidentale suddetto. Nessun incremento quindi né delle percentuali di colpa degli appellati contumaci, né dell'entità dei risarcimenti potrà essere preso in considerazione in questa sede. Va, al tempo stesso, rilevato che nessuno degli altri condannati in primo grado ha dispiegato impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Salerno: ne consegue che, impregiudicata l'estensibilità degli eventuali effetti favorevoli del giudicato inter partes ai condebitori solidali, ove ne ricorrano naturalmente i presupposti e non potendosi - in difetto di domande sul punto - alcunché statuire in questa sede, la stessa sentenza è ormai passata in giudicato nei confronti delle controparti dei T. diverse dalla M. Ass.ni. Deve ora passarsi all'esame dei numerosi motivi di appello principale. Quanto a quello sopra riassunto sub 1 (mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti del M., conducente del veicolo investitore), esso va qualificato infondato: come si evince dalla relata di notifica sull'originale esistente nella produzione di parte di primo grado, il piego raccomandato contenente la citazione è stato rifiutato e come tale la notifica è perfetta; comunque, quand'anche potesse di ufficio rilevarsi alcunché sulla ritualità o completezza del relativo verbale, l'atto introduttivo del giudizio di appello risulta ritualmente notificato anche al M. - stavolta a mani proprie - ed il destinatario, pur potendolo, non ha sollevato alcuna questione relativamente alla sua vocazione in giudizio. Del resto, siccome indicato quale conducente del veicolo investitore, egli non avrebbe comunque rivestito la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi delle vigenti disposizioni della L. 990/69. Per continuare nella disamina dei motivi di appello principale, quello sopra riassunto sub 2 (inutilizzabilità e comunque inopponibilità degli atti del procedimento penale, concluso con sentenza ex art. 444 c.p.p.) va disatteso, una volta rilevato - come risulta dai documenti in atti versati - che il

89 M.A. è stato sottoposto, per i fatti per cui è causa, a procedimento penale per omicidio colposo aggravato plurimo, conclusosi con sentenza della 1a sezione penale del Tribunale di Salerno n. 458 in data , di applicazione della pena di un anno su richiesta dell'imputato e di condanna del medesimo e di un non meglio specificato (mancando agli atti le copie integrali degli atti del procedimento penale) responsabile civile, che evidentemente era stato parte del procedimento penale, alle spese delle costituite parti civili. Al riguardo, va ricordato, in primo luogo, che (tra le ultime, v. Cass n ), in caso di sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. (patteggiamento), il giudice civile deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente dal giudice penale, ma non gli è precluso di valutare, unitamente ad altre risultanze, anche detta sentenza penale (Cass. 6 maggio 2003, n. 6863). Anzi, la giurisprudenza di legittimità configura ormai (Cass. S.U n ) la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. come un importante elemento di prova per il giudice di merito: il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione; di conseguenza, la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza ed esonera la controparte dall'onere della prova. Anzi, il riconoscimento con essa operato, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità anche in sede civile (tra le altre, v. Cass n ; Cass n. 4193). Quanto alla problematica della rilevanza probatoria delle prove raccolte in altro processo, la giurisprudenza di legittimità afferma ormai con fermezza che le risultanze di un procedimento penale possono essere utilizzate dal giudice civile sia come indizio, sia finanche come prova esclusiva del proprio convincimento, anche quando non vi abbiano partecipato le parti - o tutte le parti - del giudizio civile (Cass n ). Infatti, il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse ed anche fra altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva (Cass n. 8585, Cass n. 2998, Cass n , Cass n. 4118, Cass n ). Questo avviene, beninteso, previa libera valutazione da parte del giudice degli accertamenti e delle conclusioni e pur sempre una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata (Cass n , Cass n , Cass n. 260). E tale valutazione del giudice del merito, in conformità alla regola in tema di prova per presunzioni, va operata non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass n ). E diversa valenza potranno avere, similmente a quanto accade per i verbali di accertamento degli organi della P.A., le valutazioni o le opinioni espresse negli atti del procedimento penale, intrinsecamente rimesse - per la loro soggettività - alla rielaborazione del giudicante civili, rispetto agli accertamenti ed ai rilievi ed alle attestazioni di fatti insuscettibili di diversa valutazione, siccome operazioni materiali coperte oltretutto dalla pubblica fede per essere stati compiuti da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni (da ultimo, tra moltissime, v. Cass n , Cass n , Cass. S.U n. 577, Cass n e così via). Ora, è ben vero che al procedimento penale pare non avere partecipato, tra gli altri, la M. ass.ni, per cui, in astratto, non sono ad essa immediatamente opponibili le risultanze del procedimento penale: ma è altrettanto vero che in questo processo civile sono stati ritualmente prodotti documenti, formatisi nel corso o in occasione di quell'altro, che sono ora sottoposti al prudente apprezzamento del giudice civile, dopo la loro disamina proprio da parte della M.. Risultano, in particolare, agli atti di causa fin dal primo grado: il rapporto dei CC di Angri (nr. 557/1-3 del , con allegati schizzo planimetrico, disco del cronotachigrafo dell'autocarro, rilievi fotografici dei veicoli e degli automezzi), una copia del fascicolo degli "atti relativi" al sinistro, n /89 r.g. della Pretura di Nocera Inferiore, completo di copia -

90 abbastanza nitida, sebbene spesso in bianco e nero - delle fotografie, nonché una copia di una relazione del perito (ing. Antonio Ruggiero) nel procedimento penale incardinato presso il Tribunale di Salerno. Pertanto, non è sufficiente lamentare che detti elementi di prova si siano formati al di fuori del processo civile, occorrendo invece, una volta che con la loro produzione in quest'ultimo sono stati acquisiti al materiale probatorio, una rigorosa contestazione nel merito della valenza dell'uno o dell'altro. Pertanto, sia pure molto sobriamente e per relationem, con richiamo alla valutazione di probabile attendibilità come operata in sede di concessione della provvisionale, correttamente il primo giudice ha fondato la sua decisione sulle risultanze di quei singoli elementi. La ricostruzione della dinamica del sinistro con individuazione delle percentuali di colpa consente di trattare unitariamente i motivi di appello principale sopra riassunti sub 3) (erroneità della ricostruzione della dinamica con attribuzione, immotivata anche sul quantum, di corresponsabilità al M.; omessa motivazione sull'affermazione della mancata precedenza da parte della conducente del veicolo dei T. che si immetteva su via provinciale; carattere apodittico dell'affermazione della velocità eccessiva del veicolo condotto dal M.; erroneità dell'attribuzione delle tracce esistenti sui luoghi ad un tentativo di frenata da parte della T.; erroneità dell'affermazione di ininfluenza dell'inadeguata velocità della T., invece concausa preponderante del sinistro; omessa valutazione del concorso di colpa di conducente e trasportati, in quanto non avevano fatto uso della cintura di sicurezza). Infatti, dalla disamina del materiale prodotto e sopra richiamato, in special modo delle fotografie, si ha prima di tutto chiara l'immagine di un completo schiacciamento della vettura condotta dalla T. sotto la parte anteriore del veicolo condotto dal M., effetto di un impatto a velocità non moderata in un incrocio non segnalato, protrattosi lungo i diciassette metri impiegati dal secondo per arrestarsi dopo il punto d'urto. In questo frangente, parlare di concorso in colpa per il mancato utilizzo delle cinture - che oltretutto non è provato e che risulta di impossibile prova, per le condizioni stesse in cui la vettura è stata rinvenuta dopo l'urto e le difficoltà di estrazione dei due cadaveri e del terzo corpo esanime - è francamente fuor d'opera, apparendo lampante che nessuna cintura avrebbe potuto impedire la totale compressione dei corpi avutasi a causa dell'impatto. Ancora, il rilevamento della velocità dell'autocarro è avvenuto sulla base del disco del cronotachigrafo ivi installato e della comparazione dei danni ai due veicoli (vedasi pag. 21 della perizia penale) ed essa è risultata di 70 Km/h. Quanto alla condotta di guida, se è vero che le stesse conformazioni dei luoghi lasciano presupporre, insieme al perito nominato dal giudice penale, che la conducente della vettura si sia immessa dalla strada laterale senza proprio accorgersi del sopraggiungere del grosso autocarro, è altrettanto vero che quest'ultimo, scarico e quindi - in base a nozioni di comune esperienza - in grado di costituire, se lanciato a velocità imprudente, una massa in movimento dal potenziale devastante, non si è avveduto, nonostante il tratto rettilineo e l'assenza di ostacoli ai lati della sede stradale, se non all'ultimo momento dell'altra vettura, tanto che si è spostato in extremis verso la sua sinistra. Incombeva certamente alla conducente della vettura di verificare con grande attenzione che non stessero sopraggiungendo veicoli sulla strada sulla quale si stava immettendo al fine di non impegnarla se non in condizioni di sicurezza; ma certamente maggiore colpa si ravvisa nel conducente dell'autocarro, il quale aveva comunque a sua disposizione almeno settanta - cento metri in rettilineo dopo essere uscito da una curva e soprattutto, per la posizione sopraelevata della cabina di guida e l'assenza di ostacoli nei terreni circostanti, tutte distese libere coltivate a campi perfettamente pianeggianti. In tali condizioni, lo stesso conducente dell'autocarro avrebbe potuto avvedersi di veicoli che, da posizioni laterali, si stavano immettendo sulla via e dovuto moderare la sua velocità anche in considerazione del potenziale di energia cinetica posseduto dal suo pesante e possente veicolo scarico. Risulta irrilevante quindi ogni ulteriore accertamento sulla presenza o meno di tracce di frenata ascrivibili alla vettura dei T.: in quanto la presenza, a lato della strada, di quest'ultima avrebbe dovuto imporre comunque, a prescindere dalla sua velocità, al M. - che avrebbe dovuto, se diligente, avvedersene - di adeguare e moderare quella del proprio veicolo in modo da evitare l'impatto, quand'anche l'altro avesse violato la precedenza eventualmente spettante. Concorre quindi senz'altro la colpa di entrambi i conducenti, in uno a quella dei Comuni proprietari delle strade che si incrociavano: i primi due per avere tenuto una condotta imprudente ed una velocità eccessiva o non adeguata alla conformazione dei luoghi e gli ultimi per avere mancato di installare una

91 segnaletica adeguata quanto meno a preavvertire gli utenti delle strade stesse della presenza dell'incrocio. Ora, se effettivamente il primo giudice non esplicita i motivi per i quali quantifica tali colpe in ragione del 55% per il M., del 35% per la T. e del 5% per ciascuno dei due Comuni, può in questa sede colmarsi la relativa lacuna con l'integrazione del relativo passo della motivazione. A questo riguardo, si può rilevare come una tale valutazione corrisponde alla riscontrata preponderanza della responsabilità del sinistro in capo al M., in quanto egli doveva farsi carico di moderare particolarmente la velocità del suo veicolo per la pericolosità del medesimo e per le migliori condizioni di visibilità dovute alla posizione rialzata della cabina di guida. Proprio in ragione della preponderanza dell'efficacia causale della condotta del M., la sua percentuale di responsabilità può effettivamente confermarsi almeno nel 55% riconosciuto dal primo giudice (e non potendo peggiorarsi, in difetto di valide impugnazioni al riguardo, la valutazione del grado della sua responsabilità), quale concretizzazione della maggiore efficienza - appunto resa manifesta da una percentuale superiore, benché di poco, alla metà - rispetto al complesso delle concause del tragico fatto. Vanno a questo punto esaminati gli altri motivi di appello principale. Quello sopra riassunto sub 4) riguarda l'erroneità della ricostruzione del danno patrimoniale: quanto alla destinazione di una quota di ¾ del reddito del padre alle esigenze dei figli, anche per la compresenza, nel nucleo familiare, dell'altra figlia, poi deceduta nell'occorso, e della moglie; quanto alla prova sull'entità di tale reddito, oltretutto preso in esame al lordo e non al netto di oneri fiscali e previdenziali, della convivenza dei figli superstiti con il padre e della loro dipendenza economica da quest'ultimo, anche perché almeno tre di loro erano in età adulta al momento dei fatti; quanto al mancato scomputo degli interessi a scalare per l'anticipazione del capitale. Un tale motivo è, nel suo complesso, fondato. In primo luogo, non può - si badi, a questi soli fini - rilevare la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, datata e sottoscritta dagli attori in primo grado dinanzi al funzionario incaricato del Comune di S. Antonio Abate, in base alla quale costoro affermano non solo di essere gli unici eredi di T. M. e di essere stati con lui conviventi al momento della sua morte, ma anche che quest'ultimo, in uno agli altri due defunti, costituiva il sostegno economico della famiglia. In linea di massima, la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà non può mai fare prova, di per sé considerata, a favore di chi la rende, proprio per il suo carattere unilaterale; a tutto concedere, ma solo per quelle situazioni insuscettibili di valutazione o di accertamento tecnico da parte della Pubblica Amministrazione, esse possono fungere da principio di prova, proprio perché le medesime circostanze sarebbero suscettibili di certificazione, tendenzialmente anagrafica, accessibile alla generalità dei consociati. Per questo stesso motivo, però, una dichiarazione così vaga e generica, implicante una valutazione ed una qualificazione giuridica, cioè che i defunti congiunti costituivano il sostegno economico della famiglia, risulta preclusa a chi rende una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà e resta abbisognevole di ordinaria prova, soprattutto documentale, analitica sulle circostanze di fatto in cui questo giudizio si compendia e cioè di prova dell'entità effettiva dei redditi di ciascuno dei componenti del nucleo familiare, onde poterle comparare e formulare un giudizio di dipendenza economica dell'uno rispetto all'altro. Però, non si è in atti versato alcun elemento di prova sull'entità del reddito del T.M., ma soltanto elementi presuntivi sul volume di affari, che, per elementari nozioni di economia, è cosa ben diversa dal reddito netto: il quale ultimo invece, essendo oggetto di accertamento da parte di pubblici uffici preposti espressamente allo scopo, andava provato con una adeguata certificazione fiscale; ed inoltre questa serviva, per quanto più su detto, non solo relativamente alla vittima, ma anche a tutti gli attori in primo grado, onde procedere alla comparazione dei dati risultanti per tutti. Di tali attori, mentre anzi il T.A. prova di avere comunque percepito, anche solo nel 1990, un reddito proprio (è in atti versato la sua dichiarazione dei redditi), le sue germane superstiti danno prova soltanto della loro condizione di disoccupate: la quale, però, con coincide necessariamente con quella di non percettrici di alcun reddito, questo potendo derivare anche da fonti diverse dal lavoro dipendente.

92 Il difetto di valida documentazione fiscale sull'entità del reddito del T.M. ma soprattutto su quella di indigenza - o di dipendenza dal primo - dei figli superstiti, in uno all'inaffidabilità ed alla stessa irrilevanza dei dati forniti sul mero volume d'affari del primo, nonché all'irrilevanza - per questi dati specifici - della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà rendono quindi impossibile la quantificazione sia di qualunque reddito del capofamiglia, sia di una quota specifica di esso da destinare ai figli. E bene dovrebbe considerarsi pure che di questi uno aveva circa trent'anni ed altra circa ventotto anni al momento del sinistro, sicché poteva effettivamente presumersi che non già una quota del reddito del padre - ripetesi, non dimostrato neppure nel suo complesso - ma al contrario una quota del loro stesso reddito stesso sarebbe stata destinata ai bisogni della famiglia. In questa situazione di totale carenza probatoria, la voce di danno patrimoniale non può dirsi provata ed in nessun modo, in difetto pure di elementi su cui fondare una valutazione anche solo equitativa, può accogliersi la domanda di risarcimento del relativo danno. Quanto ai motivi di appello principale sopra riassunti sub 5) (illegittimità dell'attribuzione ad A.A. del diritto al risarcimento del danno iure hereditatis dai defunti marito e figlia e per la conseguente illegittimità della trasmissione, sempre iure hereditatis, di detto diritto agli attori quali eredi di A., non avendo questi ultimi agito in tale ultima qualità: con conseguente vizio di ultrapetizione; illegittimità del riconoscimento di un diritto al risarcimento in capo ad A.A. quale erede del marito e della figlia, morti sul colpo, in favore di lei sopravvissuta per qualche giorno; erroneità del riconoscimento di una successione mortis causa per l'intero di A.A. al marito ed alla figlia, da presumersi oltretutto ab intestato ed in mancanza di accettazione dell'eredità, con conseguente mancata assunzione, da parte della A., rimasta incosciente nei venti giorni di sopravvivenza al sinistro, della qualità di erede dei congiunti; per l'impossibilità di riqualificare il danno patito dalla A. quale iure proprio per il decesso del marito e della figlia), ritiene questa Corte che l'amplissima dizione adoperata dagli attori in primo grado, in un atto di citazione in cui si dà conto, quale causa petendi, del sinistro e della serie di tragiche conseguenze, tra cui quella del coma prolungato e del successivo decesso della loro genitrice, possa consentire di estendere, pur in assenza di formule sacramentali, la pretesa degli attori stessi a tutte le conseguenze comunque da loro patite, a prescindere dall'espressa indicazione della qualità di eredi della congiunta genitrice. Sotto questo profilo, pertanto e sia pure in via di interpretazione complessiva dell'atto introduttivo di lite, il motivo di appello in esame non può essere condiviso. Ancora, ritiene questa Corte che il primo giudice non abbia realmente riconosciuto, nonostante qualche espressione effettivamente non univoca, alla A. la successione nel diritto al risarcimento del danno patito dai congiunti defunti. Invero, a leggere attentamente la terz'ultima pagina della sentenza gravata, si ricava che il danno le viene in concreto riconosciuto - al di là dell'incongruo riferimento alla sua qualità di erede, ma con attenzione all'effettiva valutazione operata dal giudicante, quale si ricava dal complesso del tenore letterale dell'atto - in quanto superstite del coniuge e della figlia, tanto che il relativo risarcimento corrisponde appunto alla liquidazione di Lire 70 milioni per l'uno e - ridotta in questo caso del 35% - per l'altra. Operata questa puntualizzazione, da intendersi quale correzione della motivazione della gravata sentenza, può pure notarsi che, ove mai avesse rilevato l'assunzione - da parte della A. - della qualità di erede, quest'ultima non sarebbe stata discutibile, non essendo necessaria alcuna espressa accettazione, in virtù dei principi generali in tema di successione per causa di morte. Quanto ai motivi di appello principale sopra riassunti sub 6) ed 8) (carattere apodittico della liquidazione degli importi riconosciuti, senza nemmeno menzione del carattere equitativo della valutazione, alla A. per il decesso di marito e figlia; carattere apodittico della quantificazione del danno morale, operata senza fornire alcuna motivazione e per di più in relazione a valori del tempo del sinistro, occorso nell'anno 1989, obiettivamente eccessivi rispetto alla media praticata negli uffici giudiziari italiani all'epoca), essi possono essere trattati congiuntamente: ed in merito va riconosciuto che il primo giudice non dà compiutamente conto dei criteri applicati per la liquidazione operata, operando un generico riferimento a quelli elaborati dal Tribunale di Salerno. Al riguardo, è però noto che il ricorso a cosiddette tabelle, cioè ad elementi prefissati e standardizzati, anche diverse da quelle in uso presso lo stesso ufficio giudiziario, è ormai

93 riconosciuto valido dalla Suprema Corte (Cass n ), con la sola precisazione della indispensabilità del suo adeguamento o della sua "personalizzazione" in relazione al caso concreto (tra le molte, v. Cass n. 4980); è al tempo stesso consentito prendere a riferimento tali tabelle al fine di individuare una soglia minima comunque spettante, salva naturalmente, in presenza conclamata di elementi di fatto ritualmente acquisiti relativi alla peculiarità del caso di specie, la possibilità di scendere al di sotto di essa. Orbene, ritiene questa Corte possibile ed opportuno fare applicazione di criteri di liquidazione complessivamente accettati dagli operatori e segnatamente alle cosiddette tabelle del Tribunale di Milano, siccome oggetto di particolare approfondimento anche all'esito della condivisa valutazione degli operatori del settore e del luogo, studiate e sostanzialmente recepite anche in dottrina e comunque aderenti ad una realtà economico-sociale rappresentativa o significativa anche a livello nazionale, ma pur sempre da rapportare opportunamente al peculiare contesto socio-geografico locale e soprattutto al singolo caso di specie per consentire alla valutazione equitativa una piena aderenza alla fattispecie concreta. Secondo i dati disponibili con gli ormai comuni mezzi di informazione, quelle tabelle prevedevano, per il 2006, un risarcimento del danno da uccisione del congiunto pari ad Euro per ciascun evento luttuoso tra coniugi o tra genitori e figli e ad Euro per ciascun evento luttuoso tra germani. Per riportare tale valore al tempo del sinistro (maggio 1989), possono trovare poi applicazione gli indici ISTAT FOI (famiglie di operai ed impiegati, particolarmente utili per l'aderenza del dato all'effettivo andamento del potere generale di acquisto della moneta) calcolati al mese di agosto 2008, ultimo disponibile alla data della camera di consiglio, mediante il coefficiente 1,0703 ad oggi e quello 1,8503 da oggi al maggio 1989, con conseguente identificazione del risarcimento in rispettivi Euro ,67 ed Euro ,93, pari al tempo a Lire e Lire Ne consegue che gli importi presi dal primo giudice a base della sua decisione, di soli Lire 70 (per il danno patito dalla madre per la perdita del marito e della figlia), Lire 60 (per il danno patito da ciascun figlio per la perdita di un genitore) e Lire 15 milioni (per il danno patito da ciascun germano per la perdita della germana), appaiono più che congrui quali parametri di liquidazione e non possono quindi (oltretutto in difetto di valido appello incidentale e per la conseguente assoluta intangibilità in peius per l'unico valido impugnante, cioè l'appellante principale) che essere confermati anche in questa sede. Quanto al motivo di appello principale sopra riassunto sub 7) (carattere apodittico e comunque ingiustizia del riconoscimento del diritto ad un risarcimento del danno morale per la morte di genitori e sorella, mancando la prova di effettiva comunanza affettiva o intellettuale tra gli attori ed i defunti e soprattutto in presenza di un concorso di colpa ex art comma 2 c.c.), osserva questa Corte che, incontestata essendo ormai la spettanza di un risarcimento del danno da perdita di congiunto, a prescindere dalla tradizionale elaborazione concettuale del danno morale e quindi dalle limitazioni previste in caso di concorso di colpa, un principio di prova risulta stavolta versato in atti dagli attori in ordine ai presupposti di fatto del loro diritto. Per la circostanza della convivenza, sulla quale fondare poi quella della presumibile sussistenza della comunanza di affetti tra congiunti conviventi, può - a differenza del dato fiscale, consistente in una serie di valutazioni precluse ai dichiaranti - infatti ora farsi affidamento alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà sopra ricordato, benché ritenuta - e da ribadirsi - inidonea a dare la prova della ben diversa circostanza della dipendenza reddituale od economica dei germani superstiti ai congiunti periti nel sinistro. Si tratta in quest'occasione, quanto alla convivenza o coabitazione, invero di fatti storici ben individuati, insuscettibili di valutazione né abbisognevoli di previo riscontro od accertamento tecnici da parte della Pubblica Amministrazione incaricata di tenere i registri delle relative situazioni: e, pertanto, integrano circostanze suscettibili di adeguata prova contraria anche solo con certificazioni anagrafiche di segno diverso (che i convenuti in primo grado non hanno però prodotto) e che, complessivamente considerate in uno alla condotta processuale, lasciano appunto presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sussistenza di un rapporto di convivenza o coabitazione e quindi di reciproca assistenza e comunanza affettiva tra i congiunti.

94 Tanto fonda a sufficienza, ad avviso di questa Corte e così anche in questo caso adeguatamente integrata o corretta la motivazione della gravata sentenza, il diritto dei germani T. al risarcimento del danno da morte del congiunto. Quanto ai motivi di appello principale sopra riassunti sub 9) e 10) (illegittimità della condanna al totale del risarcimento quantificato, senza cioè la decurtazione dovuta al concorso della colpa della stessa conducente del veicolo dei T.; illegittimità della condanna di essa appellante, del M. e della Cooperativa al totale del risarcimento, anziché alla sola quota corrispondente alla percentuale di concorso in colpa del secondo, come chiesto dagli attori in primo grado), va osservato che effettivamente il giudice al quale sia stata richiesta la condanna di piã¹ convenuti, pro quota, al pagamento di una obbligazione solidale (quale si atteggia quella azionata nel caso di specie dai T., riconducibile al paradigma dell'art c.c.) non può, per le combinate norme di diritto sostanziale e processuale dettate rispettivamente dall'art c.c. e 112 c.p.c., pronunciare condanna dei convenuti medesimi in solido e per l'intero (Cass n. 4018). Al riguardo, però, in primo grado l'atto di citazione dei T. contiene la richiesta della condanna dei convenuti "ciascuno per la propria responsabilità", ma non già "pro quota", apparendo, dal contesto della richiesta, la preposizione "per" adoperata in funzione causale e non relativa (ovvero distributiva); né in alcun altro degli atti di causa risulta in modo univoco che gli attori, pur ammettendo e predicando una corresponsabilità dei convenuti, abbiano inteso limitare la domanda nei confronti di ciascuno di questi alla sola loro quota corrispondente al rispettivo grado di concorso di colpa. Pertanto, i relativi motivi di appello sono infondati; e corretta pare quindi la condanna di ciascuno dei convenuti, tra loro in solido, al pagamento dell'intero risarcimento, salvo beninteso il diritto del solvens di ripetere pro quota da ciascuno degli altri coobbligati - compresi gli stessi coeredi della conducente della vettura T., quest'ultima responsabile in ragione del 35% - quanto ecceda la sua percentuale. Quanto al motivo di appello principale sopra riassunto sub 11) (erroneità della quantificazione della condanna, eccedente di almeno Lire 95 milioni, rispetto alla somma delle singole componenti liquidate in motivazione), osserva questa Corte che qualunque errore di calcolo, ove pure - come peraltro parrebbe evidente nel caso di specie - sussistente, è comunque superato dal compiuto ricalcolo delle somme che si va a fare in considerazione soprattutto dell'accoglimento del motivo sub 9). In applicazione di tanto, quindi, si avrà il seguente riepilogo: 1) non vi è prova valida di alcun danno patrimoniale in senso stretto; 2) vi è un danno morale patito dalla genitrice, liquidato, per quanto detto sopra, in onnicomprensive Lire 140 milioni (Lire 70 milioni per il marito e Lire 70 milioni per la figlia) in valori al tempo del sinistro: i quali si suddividono in quattro quote ereditarie uguali di Lire 35 milioni cadauno; 3) vi è un danno morale patito da ciascuno degli attori: per la perdita del padre, di Lire 60 milioni; per la perdita della madre, di Lire 60 milioni; per la perdita della sorella, di Lire 15 milioni; per complessive Lire 135 milioni cadauno e quindi Lire 540 milioni globali: e tutto in valori al tempo del sinistro; 4) il danno complessivo ammonta quindi a Lire 680 milioni globali, in valori al tempo del sinistro, pari a Lire 170 milioni globali, oltre gli accessori che si vedranno, oggi corrispondenti ad Euro ,67, cadauno; 5) non si applica - coerentemente, a nessuna di queste liquidazioni, così correggendosi la motivazione della gravata sentenza - alcuna decurtazione rapportata al grado di colpa, non essendo stata univocamente limitata la domanda di condanna alla sola quota, ma estesa invece all'intero, comprensivo della quota di colpa della conducente della vettura dei T., dal decesso anche della quale gli attori in primo grado suoi germani superstiti hanno patito, in proprio o quali eredi della genitrice sopravvissuta, i danni per cui è causa. Possono a questo punto trattarsi unitariamente, siccome relativi agli accessori comunque riconosciuti, i motivi di appello principale sopra riassunti sub 12) e 13) (erroneità della condanna alla rivalutazione ed agli interessi sulla somma già rivalutata - con capitalizzazione anticipata - dal giorno del fatto al soddisfo; illegittimità della condanna al pagamento della rivalutazione, sia perché non supportata da motivazione, sia perché ingiusta per essere stato quantificato il danno all'attualità; illegittimità della

95 condanna al pagamento degli interessi sulle somme già rivalutate dal fatto al soddisfo). In materia, può brevemente osservarsi che l'elaborazione della giurisprudenza di legittimità è approdata saldamente alla conclusione della spettanza, sulla somma individuata quale risarcimento del danno aquiliano, non solo della rivalutazione dal fatto al soddisfo (beninteso, quando la liquidazione è avvenuta, come si è specificato nel caso di specie, con riferimento ai valori del tempo del fatto), ma anche degli interessi, al tasso legale, su tale somma come annualmente e via via rivalutata. Pertanto, spettano agli attori tali accessori, in tali sensi modificandosi o correggendosi la motivazione ed il relativo capo della condanna contenuti nella gravata sentenza. Quanto al motivo di appello principale sopra riassunto sub 14) (illegittimità della condanna oltre il limite del massimale di polizza e dell'affermazione di una solidarietà tra assicuratrice ed assicurato per l'intero debito di questi), va preliminarmente osservato che l'appellante principale, quale assicuratrice della RcA del veicolo condotto dal M., produce la polizza n , intestata alla Cooperativa S. M. s.r.l., proprietaria del veicolo stesso, con un limite di massimale di Lire 700 milioni per ciascun sinistro. Sul punto, va poi ricordato che la domanda, proposta dalla vittima di un sinistro stradale, di condanna dell'assicuratore del responsabile al risarcimento del danno per mala gestio deve ritenersi implicitamente formulata tutte le volte che la vittima, anche senza fare riferimento alla condotta renitente dell'assicuratore od al superamento del massimale, ne abbia comunque domandato la condanna al pagamento di somme, quali gli interessi e la rivalutazione, che ne comportino il superamento (da ultimo, v. Cass n ; ma anche, con maggiore aderenza ai principi costituzionali della tutela del diritto: Cass n , Cass n , Cass n. 2004). Ora, il limite del massimale catastrofale complessivo, normalmente operante in favore della compagnia di assicurazione, va fatto espressamente salvo ed in concreto non è superato dalla riformulazione del quantum; ma deve essere maggiorato di interessi e rivalutazione per la riscontrata colpa nella corresponsione, ravvisabile nell'effettiva inadeguatezza di tutte le offerte transattive formulate in corso di causa; e tale ultima maggiorazione può quindi essere riconosciuta, semplicemente comprendendosi detti accessori nella condanna. La rivalutazione può poi aversi in applicazione dei medesimi indici FOI elaborati dall'istat, come sopra ricordati, in quanto più aderenti, per il carattere generale dei criteri di rilevamento dei dati, all'effettivo andamento del potere di acquisto della moneta e comunque idoneamente corrispondenti al carattere sostanzialmente equitativo della valutazione qui operata. Dalla condanna sopra riepilogata va detratto naturalmente l'ammontare di quanto corrisposto in corso di causa a titolo di provvisionale, da imputarsi dapprima agli accessori e poi alla sorta capitale del risarcimento come in questa sede riconosciuto. Alla rideterminazione della condanna al risarcimento va quindi limitata, con le correzioni della motivazione sopra indicate, la riforma della gravata sentenza, la quale può trovare conferma nel resto. La parziale fondatezza di solo alcuni dei motivi di appello principale, la conferma del grado di corresponsabilità dell'assicurato litisconsorte dell'appellante principale e della maggior parte delle voci di danno riconosciute dal primo giudice, come pure il carattere ufficioso del rilievo di inammissibilità del gravame incidentale, connotano l'assicuratrice come soccombente nel suo complesso, ma al tempo stesso costituiscono, ad avviso di questa Corte, giusti motivi per una compensazione parziale, che si stima equa in ragione di una metà; ne deriva la limitazione della condanna della complessivamente soccombente Assicuratrice alla sola residua metà delle spese di lite di questo grado in favore delle controparti costituite, tra loro in solido per l'identità della posizione processuale e secondo la liquidazione reputata complessivamente equa come in dispositivo, in rapporto al valore della controversia. Nei rapporti tra le altre parti, la soccombenza degli appellanti incidentali e la mancata costituzione degli altri soggetti nei cui confronti l'appello incidentale era stato proposto, da un lato, nonché la carenza di soccombenza delle altre parti sull'appello principale, dall'altro, consentono di ritenere sussistenti giusti motivi per l'integrale compensazione delle spese di lite del presente grado di giudizio. P.Q.M.

96 La Corte di Appello di Salerno, definitivamente pronunciando sull'appello proposto, con atti di citazione notificati tra il 24 ed il 25 febbraio 2004, avverso la sentenza n. 362/S/03 del Tribunale di Nocera Inferiore, dalla M. Ass.ni nei confronti di T.A., T.G., T.I. e T.F., della Curatela del Fallimento della Cooperativa di Trasporti S.M., di M.A. e dei Comuni di Angri e di Scafati, nonché sull'appello incidentale proposto dai primi quattro, ogni diversa domanda ed eccezione rigettata o disattesa, così provvede: 1. dichiara la contumacia della Curatela del Fallimento della Cooperativa di Trasporti S.M., di M.A. e dei Comune di Angri e di Scafati; 2. dichiara inammissibile l'appello incidentale dispiegato da T.A., T.G., T.I. e T.F.; 3. dà atto della mancata impugnazione della gravata sentenza da parte della Cooperativa di Trasporti S.M. o della Curatela del suo Fallimento, di M.A. e dei Comuni di Angri e di Scafati; 4. accoglie il solo motivo di appello principale relativo al danno patrimoniale e ridetermina la condanna formulata in primo grado, in favore di ciascuno degli attori in quella sede, in Euro ,67 cadauno, oltre rivalutazione secondo indici FOI elaborati dall'istat dal maggio 1989 ad oggi ed oltre interessi al tasso legale sulla detta somma, via via annualmente rivalutata fino ad oggi e fino al soddisfo e detratto quanto eventualmente già versato a titolo di provvisionale; 5. conferma nel resto la gravata sentenza; 6. condanna la M. Ass.ni, in pers. del leg. rappr.nte p.t., al pagamento, in favore di T.A., T.G., T.I. e T.F., tra loro in solido, della metà delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate, nella misura intera, in Euro 47,56 per esborsi, Euro 1.960,00 per diritti ed Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA e CAP; e dichiarata compensata tra dette parti la rimanente metà delle spese di lite del presente grado di giudizio; 7. dichiara interamente compensate tra le altre parti le spese di lite del presente grado di giudizio. Così deciso in Salerno, addì

97 Tribunale di Bologna, sez. III, 13 novembre 2008 Svolgimento del processo Con atto di citazione regolarmente notificato Ba.Ba. conveniva in giudizio Hu.An. e la Compagnia di Assicurazioni (...) s.p.a.; chiedeva che il Tribunale di Bologna le condannasse a risarcire il danno subito in occasione dell'incidente stradale avvenuto il giorno in San Lazzaro di Savena; nel sinistro erano rimasti coinvolte la bicicletta condotta da Ba.Lu., padre dell'attrice, nonché l'auto (...) targata (...), condotta da Hu.An. Parte attrice esponeva che il proprio padre percorreva via (...), quando, all'altezza del civico n. (...), veniva tamponato e travolto dall'auto; a causa dell'incidente aveva riportato lesioni, a seguito delle quali decedeva il , dopo quattro giorni di coma. Venivano, pertanto, richiesti i seguenti danni: a) danno morale; b) danno patrimoniale inerente alle spese funerarie e mediche, nonché al venir meno della contribuzione del defunto al mantenimento dell'attrice; c) danno biologico sia iure proprio, per la lesione del rapporto parentale e della serenità personale, sia iure haereditatis, in considerazione della sopravvivenza per quattro giorni; d) danno morale sempre iure haereditatis. Le parti convenute si costituivano contestando la fondatezza della domanda di controparte: in particolare assumevano che il sinistro si era verificato per esclusiva responsabilità del defunto in quanto si trovava vicino alla linea di mezzeria, anziché sulla destra della carreggiata; inoltre contestavano le suddette voci di danno. Alla prima udienza veniva disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario dell'auto Da.Vi., il quale a sua volta si costituiva, aderendo alle difese delle parti convenute. La causa veniva istruita con produzione documentale, interrogatorio formale della convenuta Hu. non comparsa, ed escussione di un teste di parte attrice sul quantum; veniva quindi espletata C.T.U., affidata ad un medico specialista in psichiatria, al fine di valutare la sussistenza del richiesto danno biologico iure proprio. All'esito venivano precisate le conclusioni e venivano assegnati i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Motivi della decisione La domanda di parte attrice è procedibile ai sensi dell'art. 22 L. 990/69 essendo stato adempiuto l'onere della preventiva richiesta risarcitoria alla compagnia assicuratrice (cfr., quale doc. 1, la lettera raccomandata con avviso di ricevimento pervenuta all'assicurazione in data ). Ciò premesso, è necessario accertare in concreto le rispettive responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro; al proposito va rilevato che, per costante giurisprudenza della Suprema Corte, la presunzione legale di colpa di cui all'art Co. 2 c.c. ha funzione meramente sussidiaria ed opera solamente se non sia possibile accertare in concreto le rispettive responsabilità; in particolare, ove risulti che l'incidente si sia verificato per colpa esclusiva di uno dei conducenti e che nessuna colpa per converso sia ravvisabile nel comportamento dell'altro, quest'ultimo resta esonerato dalla presunzione in questione e non è tenuto a provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (da ultimo Cass.7453/01, 14412/01). Orbene, nel caso in esame, dal rapporto dei Carabinieri di San Lazzaro, intervenuti nell'immediatezza del fatto, emerge l'esclusiva responsabilità della Hu. nella causazione del sinistro, in quanto la sua condotta è consistita nell'aver tamponato la bicicletta che la precedeva, come dalla medesima dichiarato e come emerge dalla localizzazione dell'urto tra il paraurti anteriore dell'auto e la ruota posteriore della bicicletta (in tal senso anche la comparsa di costituzione Hu.); pertanto a carico della Hu. deve essere ravvisato il mancato tempestivo arresto della sua auto per inosservanza della distanza di sicurezza; d'altro canto, la stessa decisione della Hu. di patteggiare in sede penale (cfr. doc. 8 fasc. att.) e di non comparire per rendere l'interrogatorio formale conferma la sua consapevolezza circa la propria responsabilità.

98 Pertanto, le parti convenute devono essere condannate a risarcire per intero i danni causati alla parte attrice. Danno morale e danno da lesione del rapporto parentale, quale lesione di un interesse costituzionalmente protetto, a seguito della morte del congiunto. Per quanto riguarda il danno morale, può reputarsi sussistente una fattispecie qualificabile "incidenter tantum" come reato colposo ai sensi dell'art. 589 c.p. (cfr. Cass /96); ciò premesso, la costante giurisprudenza riconosce a tal fine la legittimazione attiva dei parenti qualificabili come "immediati" congiunti, e cioè, oltre al coniuge, tutti i parenti di primo grado (genitori, figli, fratelli). Infatti è logico presumere ai sensi dell'art c.c. che, nella stragrande maggioranza dei casi, tra tali soggetti e la vittima del sinistro esista, oltre al legame di parentela, un effettivo e profondo legame affettivo, sul quale il fatto luttuoso va ad incidere, determinando un grave perturbamento dell'animo. La liquidazione del danno morale sfugge ad una vera e propria valutazione di tipo economico, residuando solamente la possibilità di una valutazione meramente equitativa in relazione a considerazioni soggettive quali l'età della vittima, il grado di parentela, le particolari condizioni della famiglia nel caso concreto, oltre a quelle già evidenziate. Inoltre, a seguito della nota sentenza della Suprema Corte n. 8828/03, risulta ipotizzabile, quale danno non patrimoniale, non solo il suddetto danno morale, ma anche il danno da perdita del rapporto parentale, sempre conseguente alla morte del congiunto (richiesto dalla parte attrice in atto di citazione - cfr. pg. 4 - seppur erroneamente sotto la voce del danno biologico iure proprio). Infatti tale sentenza, unitamente a quella n. 8827/03 (relativa al danno subito sempre dallo stretto congiunto della vittima primaria - rimasta però in vita, seppur con gravissime lesioni - per lo sconvolgimento del rapporto parentale), estende la nozione di danno non patrimoniale ex art c.c., oltre che al danno morale, alla categoria dei danni da lesione di valori costituzionali inerenti alla persona, tra i quali fa rientrare proprio il danno da perdita o sconvolgimento del rapporto parentale, in quanto tutelato dagli artt. 29 e 30 Costituzione, in aggiunta ai già affermati danni conseguenti alla lesione dei diritti previsti dall'art. 2 della Costituzione - cioè i diritti della personalità umana, come il diritto alla reputazione, all'onore, all'immagine, alla riservatezza (cfr. Cass. 6507/01) - nonché dall'art. 32 della Costituzione come il diritto alla salute (cfr. Corte Cost. sent. 184/86); in tal modo i suddetti danni non vengono più ricondotti - come in precedenza - al c.d. "tertium genus", bensì si collocano all'interno del sistema bipolare del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale ex art c.c. Ciò premesso, nella sentenza 8828/03 al paragrafo così come anche in quella 8827/03 al paragrafo la Suprema Corte sottolinea in modo esplicito che il riconoscimento del danno dal lesione del rapporto parentale quale danno non patrimoniale non è motivato dalla esigenza di ovviare ad una insufficiente liquidazione del danno concretamente riconosciuto ed evidenzia anche la possibilità di una valutazione equitativa unica di tutti i danni non patrimoniali. In questa ottica l'esigenza di risarcire il danno non patrimoniale (diverso dal biologico) in tutte le sue componenti, evitando però duplicazioni, comporta una stima globale di tale voce di danno che, sulla base dei criteri di liquidazione unitaria riportati nella tabella di questa Terza Sezione Civile, prevede, con riguardo all'ipotesi di uccisione colposa del genitore di un figlio di età superiore ai 20 anni, da un minimo di euro ,00 ad un massimo di euro ,00. Passando all'applicazione dei descritti criteri ermeneutici al caso concreto in esame, le risultanze istruttorie consentono di ritenere equa la quantificazione del danno subito dall'attrice nella misura massima di euro ,00; infatti il defunto Ba.Lu. aveva 77 anni al momento del decesso e non conviveva con la figlia Ba., di 33 anni; peraltro, come emerge dalla C.T.U. espletata dal dott. Re.Ar. specialista in psichiatria, pur non essendo individuabili nell'attrice le caratteristiche cliniche della depressa, non sussistendo le stimmate biologiche che caratterizzano tipicamente la malattia depressiva, è indubbio che il venir meno del legame foltissimo con il padre (figura genitoriale di riferimento, con cui sceglieva di abitare al momento della separazione dei genitori, intervenuta quando aveva undici anni) ha provocato una modalità diversa di approccio alla vita in senso peggiorativo (cfr. pg. 8 seg., della C.T.U.).

99 Per quanto poi riguarda il richiesto danno esistenziale, come già evidenziato nella sentenza 233/03 della Corte Costituzionale, si tratta di denominazione che spesso, in dottrina ed in giurisprudenza, è attribuita ai danni derivanti dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona e diversi dal danno biologico; ne consegue che tale richiesta può essere considerata riferibile al danno da perdita del rapporto parentale di cui si è detto, tenuto anche conto dell'utilizzazione di tale locuzione da parte della giurisprudenza di legittimità (ed in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sul punto). Infatti, altre sentenze della Suprema Corte, successive alle sentenze gemelle del maggio 2003, sono tornate sul tema: così, da un lato, la n del decidendo su un incidente stradale mortale - ha evidenziato, sempre riallacciandosi alle sentenze 8827 e 8828 del 2003, la tipicità del danno non patrimoniale, ivi affermata nel senso sopra indicato, la quale ha come sua conseguenza che "non può farsi riferimento ad una generica categoria di "danno esistenziale" (dagli incerti e non definiti confini) poiché attraverso questa via si finisce per portare il danno non patrimoniale nell'atipicità" (così al paragrafo 10.4 della motivazione), rigettando di conseguenza il motivo di ricorso nella parte in cui si lamentava il mancato risarcimento del danno esistenziale; e ancora, nella motivazione della sentenza n del sempre relativa ad un incidente stradale mortale - si afferma che "il principio regolatore della materia che si desume dall'art c.c. costituzionalmente orientato ed esteso, pure mantenendo la cd tipicità delle fattispecie (che esclude la inclusione della categoria generale del danno esistenziale, che solo il legislatore può fare, e non già la dottrina creativa del diritto) al danno parentale, in relazione a posizioni soggettive costituzionalmente protette di danno non patrimoniale, è dunque quello del risarcimento integrale del danno morale diretto, subito dai parenti" (in tal senso, sempre con riferimento al danno da uccisione di un congiunto, Cass /06). Peraltro, dall'altro lato, va evidenziato come, sempre decidendo con riguardo ad un incidente stradale mortale, la sentenza n del abbia riconosciuto la risarcibilità del danno esistenziale patito dai parenti della vittima; comunque, dalla lettura della motivazione emerge la coincidenza di tale danno con quello da perdita o sconvolgimento del rapporto parentale, come già riconosciuto dalle citate sentenze 8827 e 8828 del 2003 in quanto tutelato dagli artt. 29 e 30 Costituzione. Da quanto esposto consegue che, in realtà, si è di fronte solamente a una differenziazione terminologica, e non sostanziale, che lascia immutati i contorni dei danni risarcibili. Danno patrimoniale È sicuramente configurabile come tale quello conseguente alle spese funerarie sopportate dall'attrice per il complessivo ammontare di euro 4.870,96, come documentalmente provato (doc. 3 fasc. att.). Non risulta, viceversa, provato un danno patrimoniale futuro, conseguente alla perdita del contributo patrimoniale dal deceduto; infatti, a questo riguardo il criterio presuntivo di cui all'art c.c. non è in grado di supplire alla mancanza di qualsiasi specifica prova in tal senso, tenuto conto che non è qualificabile come fatto notorio la sicura contribuzione del genitore al reddito di una figlia che ormai lavora e vive altrove, come riferito dal teste escusso. Risulta, invece, dovuta, come danno patrimoniale, la rifusione delle spese mediche correlate all'inizio della presente causa (doc. 9 fasc. att.) per un ammontare di euro 480,00. Danno biologico iure proprio Tale richiesta non è accoglibile sulla base delle già riportate conclusioni dell'espletata C.T.U. medica. Danno biologico iure haereditatis Per quanto riguarda, invece, il danno biologico inerente alle lesioni patite dalla vittima primaria nel tempo intercorso tra il sinistro e il suo decesso, mentre non può riconoscersi né un'invalidità permanente, né un danno morale, laddove le lesioni abbiano avuto il decesso quale loro diretta conseguenza (in quanto il concetto di permanenza dei postumi presuppone necessariamente un'aspettativa di sopravvivenza), può invece riconoscersi, qualora la vittima primaria sia rimasta in vita per un apprezzabile lasso di tempo dopo il sinistro, l'acquisizione in capo alla medesima - e quindi il trasferimento agli eredi - del diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea per il

100 solo tempo di permanenza in vita (Cass. 9620/03); peraltro, in tali casi deve tenersi conto, nell'adeguare l'ammontare del danno biologico da invalidità temporanea alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte (Cass. 3549/04, 7632/03). Nel caso in esame Ba.Lu. è sopravvissuto per quattro giorni dopo il sinistro, sempre in condizioni gravissime; pertanto, al fine di conseguire la necessaria personalizzazione del criterio di liquidazione per i motivi sopra esposti, deve essere valutato congruo l'importo giornaliero di euro 1.000,00 cosicché il complessivo ammontare del danno biologico trasmissibile risulta pari a euro 4.000,00; peraltro, poiché le eredi del defunto risultano quattro (oltre all'attrice, la moglie solo separata Ma. e le altre due figlie Ba.Be. e Po.Da.), spetteranno all'attrice solamente euro 1.000,00. Rivalutazione monetaria Per quanto riguarda i danni patrimoniali liquidati non all'attualità, va riconosciuta la rivalutazione monetaria, trattandosi di debiti di valore. Pertanto, sulla individuata somma di euro 4.870,96 compete, dalla data del sinistro (comunque prossima all'esborso per spese funerarie) e sino alla data della presente sentenza ( ), la suddetta rivalutazione, da calcolarsi secondo gli indici nazionali ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati per un importo di euro 975,91, al fine di liquidare effettivamente, quale danno emergente, il valore del bene perduto; analogamente, la rivalutazione monetaria compete sulla somma di euro 480,00 con decorrenza dal (data intermedia tra le due fatture prodotte) per un importo di euro 62,50. Danno da ritardo Inoltre, su tutte le somme liquidate per complessivi euro ,37, sulla base della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 1712/95, compete anche l'equivalente del mancato godimento del bene danneggiato, ovvero del suo controvalore in denaro, quale mancato guadagno o lucro cessante ai sensi dell'art c.c., richiamato dall'art c.c.; si tratta del danno provocato dal ritardato pagamento del risarcimento, la cui prova può essere data e riconosciuta dal giudice, secondo le citate Sezioni Unite, mediante criteri presuntivi ed equitativi; di conseguenza, può ritenersi provato presuntivamente e valutato equitativamente nella misura annua del 2,8%, la quale appare congrua quale parametro per liquidare il danno da ritardo di cui sopra in quanto corrisponde all'incirca alla media del tasso legale scelto in questi ultimi anni (dalla data del fatto alla data della presente sentenza) dal legislatore per la liquidazione degli interessi moratori nelle obbligazioni pecuniarie ex art c.c. Peraltro, tale percentuale non può essere calcolata dalla data dell'illecito sulla complessiva somma liquidata a titolo di danno e già rivalutata (come era prassi prima della citata sentenza delle Sezioni Unite), bensì deve essere calcolata periodicamente, con decorrenza dalla data del fatto, sulla somma capitale come progressivamente rivalutata; infatti, tale metodica evita l'ingiustificato arricchimento che altrimenti si determinerebbe attraverso una sorta di rivalutazione del danno da ritardo. Peraltro, deve tenersi conto che il danno biologico, il danno morale e il danno da lesione del rapporto parentale sono stati liquidati all'attualità ed andrebbero quindi devalutati al fine di poter effettuare la descritta operazione; per evitare il suddetto calcolo risulta più agevole, e comunque coerente con il metodo equitativo esposto, calcolare il suddetto interesse sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia (nel caso di specie dal ); infatti tale metodo appare concettualmente e, nella sostanza, anche economicamente equivalente a quello espressamente indicato come legittimo dalla sentenza 1712/95, in quanto espressione del potere equitativo del giudice nella liquidazione del danno subito per il ritardo nel godimento dell'equivalente monetario del bene danneggiato (cfr. Cass /02). Così individuati i criteri di quantificazione, nel caso in esame i danni da liquidare risulteranno i seguenti: euro ,00 + euro 1.000,00 + euro 5.846,87 + euro 542,50 = euro ,37, oltre ad un danno da ritardo pari ad euro ,58 per un totale di euro ,95, sul quale, dalla data della sentenza al saldo, spetteranno gli interessi legali ai sensi dell'art c.c., in quanto l'importo risarcitorio» si è convertito in debito di valuta.

101 Le spese seguono la soccombenza, ivi comprese le spese di C.T.U. e di C.T.P. anticipate dalla parte attrice in quanto comunque utili per la quantificazione del danno non patrimoniale riconosciuto. P.Q.M. Il Giudice del Tribunale di Bologna Sezione Terza in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa n. 5877/03, così provvede: a) dichiara la esclusiva responsabilità di Hu.An. nella causazione del sinistro per cui è causa; di conseguenza, condanna a titolo risarcitorio le parti convenute in solido al pagamento in favore della parte attrice della somma di euro ,95, già comprensiva di rivalutazione monetaria e danno da ritardo; oltre interessi legali dal al saldo; b) le condanna alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 8.650,00 di cui euro 4.000,00 per onorari, euro 4.000,00 per competenze e euro 650,00 per spese, oltre 12,5% ex art. 5 T.P., I.V.A. e C.P.A. come per legge; c) le condanna alla restituzione di quanto anticipato al C.T.U., pari a euro 1.474,83, e al C.T.P., pari a euro 300,00.

102 Cassazione civile, sez. III, 28 novembre 2008, n Svolgimento del processo Nel pomeriggio dell... B.A. riportò lesioni in un grave incidente stradale verificatosi per colpa esclusiva di R.M.N. (che decedette istantaneamente) e 40 ore più tardi morì. La moglie ed i figli del B. (M.M., B. M. ed B.A.) convennero in giudizio gli eredi della R. ( G. e S.P.) nonchè l'assicuratrice Generali Assicurazioni s.p.a. chiedendone la condanna solidale al risarcimento di tutti danni patiti. Intervennero in causa anche i fratelli del defunto ( S.M. e C.M.) chiedendo a loro volta di essere risarciti. Intervenne anche B.M. che a sua volta domandò di essere risarcito dei danni subiti per le lesioni riportate nello stesso incidente. La società assicuratrice si costituì non contestando l'an debeatur e rappresentando di aver già versato la somma di L , trattenuta in acconto dagli attori. Con sentenza del l'adito Tribunale di Ravenna accolse le domande per voci ed in limiti ritenuti incongrui dagli attori, che per questo proposero appello innanzi alla corte d'appello di Bologna che, con sentenza n. 738 del 2004, in parziale accoglimento del gravame, determinò in L il danno complessivo direttamente subito da B.M. per le lesioni dallo stesso riportate, in L il danno morale patito da ciascuno dei figli di B.A., in L quello della moglie, in L quello di ognuno dei fratelli. Ritenne, in sintesi, la corte d'appello che non sussistessero i presupposti per riconoscere voci di danno diverse da quello morale. Se ne dolgono con ricorso per cassazione M.M., B.M. ed B.A., affidandosi a sei motivi illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso la sola Assicurazioni Generali s.p.a.. Motivi della decisione 1. Col primo motivo sono denunciati violazione di norme di diritto nonchè ogni possibile vizio di motivazione per avere la corte d'appello implementato la liquidazione del danno morale da morte del congiunto sulla base delle tabelle felsinee, senza motivare il rigetto della maggiore richiesta basata sull'effettiva gravità del pregiudizio da ciascuno patito La censura è manifestamente infondata, non essendo chiarite le ragioni per le quali le somme di 150 e 140 milioni cadauno (invece di quella di 100 milioni ciascuno liquidata dal tribunale) riconosciute dalla corte d'appello non siano adeguate e perchè lo sarebbero state invece quelle di 200 e 250 milioni. Si verte, in realtà, nel tipico campo della valutazione equitativa, riservata al giudice del merito. Nè, in difetto di situazioni che apprezzabilmente si discostino da quelle ordinarie, l'esigenza di personalizzazione può essere intesa come dovere del giudice di riconoscere sempre e comunque più di quanto liquidabile in applicazione dei valori tabellari. 2. Col secondo motivo sono dedotti violazione di norme di diritto e ogni possibile vizio di motivazione per non essere stato ai ricorrenti liquidato il danno biologico iure proprio "altrimenti qualificabile come di valenza esistenziale ovvero da lesione del rapporto parentale" e per essere stata ingiustificatamente rigettata la richiesta di consulenza tecnica La censura è infondata. Premesso che le sezioni unite, con la recentissima sentenza 11 novembre 2008, n hanno escluso l'esistenza di una categoria autonoma di danno esistenziale, va rilevato che il tipo di pregiudizio conseguito alla lesione dell'integrità psicofisica (danno alla salute o, lato sensu, biologico) è ontologicamente diverso da quello conseguente alla perdita del rapporto parentale, che si collega alla violazione di un diritto di rilevanza costituzionale diverso da quello alla salute tutelato dall'art. 32 Cost.. I ricorrenti non affermano di averne domandato il risarcimento con l'atto di citazione in primo grado, con il quale avevano invece chiesto il risarcimento del danno

103 biologico iure proprio. Ma tanto presupponeva un'alterazione effettiva del loro stato di salute in ragione della morte del congiunto, che essi non hanno specificamente allegato, sicchè correttamente la corte d'appello ha respinto l'istanza di consulenza tecnica, ritenendo che l'indagine avrebbe avuto natura meramente esplorativa. Va inoltre rilevato che, benchè la citata sentenza delle sezioni unite abbia chiarito che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive e non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno (cfr, la motivazione, sub. 4.8.), ha tuttavia anche specificato che determina una duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno da perdita del rapporto parentale e del danno morale, inteso in una configurazione più lata della sofferenza psichica traneseunte (cfr. la motivazione, sub. 4.9.). Nella specie, il danno morale delle vittime secondarie del fatto costituente reato è stato riconosciuto in misura che non autorizza in alcun modo la conclusione che il giudice del merito abbia inteso indennizzare solo la sofferenza transeunte, sicchè il pregiudizio da perdita del rapporto parentale deve dirsi in sostanza già risarcito. 3. Col terzo motivo sono dedotti violazione di norme di diritto e vizio di motivazione per avere la corte di merito negato la sussistenza di un danno biologico e morale direttamente subito dal defunto nell'erroneo assunto che una sopravvivenza di 40 ore fosse insufficiente a consentirne la configurabilità; tanto in contrasto con l'orientamento secondo il quale è riconoscibile il danno biologico e morale di natura catastrofale anche se la morte sia sopravvenuta a distanza di poche ore soltanto dall'evento traumatico, per avere in quel lasso di tempo il soggetto vissuto nella lucida consapevolezza della morte imminente Con la citata sentenza n /08 le sezioni unite di questa corte hanno ritenuto che, in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico ma come danno morale nella sua ampia accezione. Ma tanto presuppone che "sofferenza psichica" vi sia stata e, dunque, che la vittima sia stata in condizioni tali da percepire il proprio stato (il che va escluso in caso di coma immediatamente conseguito all'evento dannoso), com'è reso evidente dal riferimento, nella menzionata sentenza, ad un caso nel quale la vittima era, appunto, "rimasta lucida durante l'agonia" (paragrafo 3.2. della motivazione). Dalla sentenza impugnata non risulta che questo fosse il caso, nè il ricorrente sostiene che la circostanza era stata invece allegata e provata, come sarebbe stato suo onere (cfr., ancora, la più volte menzionata sentenza delle sezioni unite, sub 4.10), o che ne fosse stato domandato lo specifico accertamento anche a mezzo di consulenza tecnica. Il motivo di censura non si presta dunque ad essere accolto. 4. Col quarto motivo la sentenza è censurata per violazione di norme di diritto ed insufficiente motivazione per omessa liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante direttamente subito dai congiunti, negato dalla corte d'appello nell'assunto che, come pensionato, il defunto non avrebbe potuto dare alcun contributo al mantenimento della famiglia, così omettendo di considerare che egli era anche agricoltore ed addirittura giustificando il diniego con l'affermazione che la moglie era diventata "percettrice della pensione di reversibilità del coniuge" La censura è infondata in quanto i ricorrenti: per un verso non indicano quale fosse l'entità della pensione percepita dal defunto, che la corte d'appello ha implicitamente considerato troppo bassa per potersene evincere che quegli potesse contribuire al mantenimento della famiglia; per altro verso non tengono in alcun conto il non criticato rilievo della corte d'appello che il defunto non aveva dichiarato un reddito quale coltivatore diretto negli anni dal 1993 al 1995 (v. la sentenza impugnata, a pagina 15); errano nel ritenere che il rigetto della richiesta sia stato correlato alla pensione di reversibilità percepita dalla moglie sopravvissuta, avendo la corte fatto riferimento alla pensione solo "dopo" aver concluso che nessuno degli appellanti aveva subito alcun pregiudizio patrimoniale dalla morte del congiunto (com'è reso evidente dal testo della motivazione, a pagina 6, capoverso).

104 5. Col quinto motivo sono dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 1224 e 1282 c.c., nonchè difetto di motivazione in ordine alla determinazione degli interessi e del maggior danno da svalutazione La censura è infondata in quanto i ricorrenti del tutto prescindono dalla risolutiva ed incensurata affermazione della corte d'appello (a pagina 16) che il criterio di rivalutazione e di aggiunta degli interessi da adottarsi era quello adottato dal primo giudice "che non ha formato oggetto di gravame". 6. Col sesto ed ultimo motivo i ricorrenti si dolgono, deducendo anche "contraddittorietà della sentenza", del rigetto del motivo d'appello relativo alla compensazione delle spese di primo grado e della effettuata compensazione anche di quelle del secondo Il motivo è manifestamente infondato, avendo la corte d'appello ritenuto che la compensazione delle spese di entrambi i gradi fosse giustificata dalla soccombenza reciproca, in primo grado dipesa dalla esorbitanza delle richieste degli attori, alcune delle quali infondate. 7. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate, anche in considerazione del fatto che s'è fatta applicazione dei principi appena enunciati dalle sezioni unite in ordine a situazioni di fatto che avevano dato luogo a controversie non sempre uniformemente risolte. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese.

105 Tribunale di Torre Annunziata, sez. Castellammare di Stabia, 2 dicembre 2008 Svolgimento del processo D.F. era dipendente della F. s.p.a. che, al tempo dei fatti, stava completando la realizzazione della motonave "N. M.". Il 6 settembre 1994 alle ore 15.30, mentre era intento a montare insieme al sig. D.M. una passerella posta tra le due stive della nave cadeva nel vuoto da un'altezza di m. 17. Dopo il trasporto d'urgenza in Ospedale, alle ore 16.15, veniva constatato il decesso. Il processo penale per il reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.), svoltosi nei confronti dei convenuti persone fisiche, si è concluso con una sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 692 del 2004 di prescrizione del reato, dopo che, in primo grado, gli stessi erano stati condannati per i reati loro ascritti. Divenuta irrevocabile la sentenza, gli attori hanno citato in giudizio i convenuti per ottenere il risarcimento del danno conseguente al decesso avvenuto per un incidente sul lavoro di D.F. L'azione, proposta ai sensi dell'art c.c. si fonda sulla negligenza, imprudenza ed imperizia dei convenuti. Nello specifico, la colpa per l'evento avvenuto, secondo la prospettazione attorea, consisterebbe ne: I. non aver preventivato alcuna misura di sicurezza specifica; II. non aver predisposto un parapetto; III. non aver prescritto all'operaio di indossare una cintura di sicurezza; IV. nell'aver lasciata aperta la stiva della nave per consentire ad un'altra squadra di operai di lavorare il suo interno in condizioni di illuminazione. Per tali motivi essi richiedono diverse voce di danno "iure proprio, specificando alcune delle poste indicate in sede di precisazione delle conclusioni: Danno morale soggettivo contingente, da liquidarsi nella misura di euro per ciascuno degli attori (o la diversa misura ritenuta di giustizia); Danno da definitiva perdita del rapporto parentale per l'importo di euro per ciascuno degli attori (o la diversa misura ritenuta di giustizia); Danno consistente nell'impossibilità di intrattenere rapporti sessuali con il marito, richiesti nella misura di euro (o la diversa somma); Danno biologico iure proprio, da liquidarsi secondo l'importo provato in corso di causa; Danno patrimoniale per la perdita delle contribuzioni che essi ricevevano dalla persona deceduta.(euro per P.C. ed euro per gli altri attori); Danno biologico e per la perdita della vita spettante "iure hereditario" agli attori, nella misura di euro ciascuno; Danno patrimoniale per spese funerarie ammontanti ad euro 2.479,00 sopportate da P.C. Si costituivano tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e la soc. F. s.p.a. chiamava in causa le due compagnie assicurative. In particolare, i convenuti, eccepivano: l'incompetenza funzionale del Tribunale adito in favore del Giudice del Lavoro; la prescrizione del diritto, essendo il fatto avvenuto nel 1994 e non essendo alcuni di essi parte del giudizio; l'intrasmissibilità del diritto in favore degli eredi; dal punto di vista processuale, richiamavano la necessità di un'autonoma valutazione del Giudice Civile delle risultanze istruttorie del giudizio penale, ciò in particolare per il responsabile civile che non aveva partecipato al giudizio; in ogni caso la necessità di una valutazione in sede civile anche della condotta della parte lesa; la mancata determinazione del danno; l'assenza di colpa dei convenuti, emergente già dall'omessa indicazione delle disposizioni antinfortunistiche violate; la disponibilità di dispositivi di protezione individuali, imbracature di sicurezza; lo svolgimento di attività di informazione e formazione degli operai riguardo alla sicurezza; il carattere di routine del lavoro, di conseguenza la colpa esclusiva del lavoratore che si sarebbe spostato lungo la passerella

106 senza alcuna precauzione e, prima ancora la sussistenza di un nesso eziologico tra il tragico evento e la sola condotta del lavoratore, caratterizzante un rischio elettivo perché arbitraria. l'assenza di un obbligo del datore di lavoro di continua vigilanza; il difetto di prova dei danni patiti (danno morale soggettivo, recisione del legame parentale, l'irreversibile compromissione della vita sessuale della sig.ra P., per difetto di dimostrazione del danno riflesso e per la mancata dimostrazione del nesso eziologico, del danno biologico iure proprio e iure hereditatis, la mancata prova dei danni patrimoniali futuri) ed, inoltre avvenuto versamento della somma di euro ,77 da parte dell'inail. c) Il difensore della Soc. Fondaria si è costituita, oltre che contestando la fondatezza del diritto attoreo su argomenti analoghi a quelli svolti dagli attori (ed, in più ha sostenuto la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art esclusivamente da parte del colpevole del reato), ha eccepito la prescrizione del diritto dell'assicurato all'indennizzo ai sensi dell'art. 2952, comma 3 c.c., la violazione dell'art c.c. o la diminuzione proporzionale dell'obbligazione indennitaria ed, in via subordinata, la limitazione dell'indennizzo alla propria quota di coassicurazione, non sussistendo solidarietà tra le imprese coassicuratrici. La soc. Generali si è costituita articolando la propria difesa su argomenti analoghi a quelli sviluppati dai convenuti ed, in più ha comunque chiesto, in via subordinata di limitare il risarcimento alla somma dovuta per coassicurazione, ovvero il 40%. Nell'istruttoria sono stati acquisiti i documenti relativi al procedimento penale ed escussi i testimoni delle parti. All'esito la causa è stata assegnata a sentenza, con la concessione ei termini di legge. Motivi della decisione Questioni preliminari. Sebbene sia stata autorizzata la chiamata in causa della SASA Assicurazioni indicata in epigrafe, non risulta agli atti la notifica dell'atto di chiamata in causa e, peraltro, neppure esso è indicato nel foliario della soc. Assicurazioni Generali. L'Avv. I., domiciliatario delle Assic. Generali ha indicato a verbale più volte di essere difensore anche della SASA, ma non vi è un fascicolo processuale della stessa, né risulta che si sia costituita, né tanto meno si è rinvenuto il mandato conferito ai medesimi difensori delle Assicurazioni Generali. Ne consegue il rilievo dell'assenza di un'effettiva chiamata in causa della stessa e di una sua autonoma volontaria costituzione in giudizio. Va precisato che la coassicurazione con clausola di delega ad uno degli assicuratori non determina la rappresentanza processuale di tutte le imprese coassicuratrici da parte della società delegata, se non risulta rilasciata procura (si veda ad es. Cass. Sez. 3, Sentenza n del 29/11/2004 (Rv ) In secondo luogo, è destituita di fondamento l'eccezione di incompetenza funzionale in favore del Giudice del Lavoro, posto che gi attori hanno agito per il risarcimento da responsabilità aquiliana e non in base al titolo contrattuale. Responsabilità dei convenuti persone fisiche. L'art. 578 c.p.p. prevede che, quando vi è stata condanna alle restituzioni ed al risarcimento in primo grado, la Corte di Appello, se dichiara la prescrizione o l'amnistia del reato, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle statuizioni civili. La Corte di Appello di Napoli, appunto, ha dichiarato la prescrizione del reato ed ha confermato nel resto la sentenza (relativamente ai capi civili), per cui, divenuta irrevocabile la sentenza, vi è una statuizione definitiva riguardo al fatto che i convenuti persone fisiche hanno commesso il reato loro ascritto. Se si considera il testuale disposto dell'art. 654 c.p.p. in ordine agli effetti della sentenza penale di condanna, nessuno contestando la medesimezza dei fatti materiali oggetto di valutazione nel giudizio penale e nel giudizio civile, si palesa l'assoluta infondatezza delle argomentazioni difensive degli imputati corrispondenti alle persone fisiche in ordine al carattere non vincolante della condanna penale. Responsabilità della F. Cantieri Navali s.p.a. Risulta necessaria, quindi, esclusivamente una valutazione della responsabilità della F. che, pur essendo responsabile civile dell'illecito penale commesso dai suoi dipendenti, non fu parte convenuta nel giudizio penale.

107 Il teste D.M., oltre a rinviare alla deposizione resa in sede penale, ha ribadito che, insieme al D.F., avevano ricevuto l'istruzione di montare le griglie di una passerella posta trasversalmente rispetto alla nave e collocate tra le due stive. Non avevano ricevuto istruzioni sull'uso di misure di sicurezza. Le griglie della passerella erano larghe circa 6080 cm, per cui non era possibile muoversi lungo la stessa scegliendo un lato piuttosto che l'altro. Era possibile, invece, muoversi lungo il limitrofo boccaporto di una delle stive che era già chiusa, ma non era possibile da questa posizione lavorare al montaggio e fissaggio delle griglie. Essi lavoravano "a cavalcioni" degli angolari su cui stavano fissando le griglie. Nel momento della caduta dovevano posizionare una nuova griglia, anche se il teste non è stato in grado di ricorda chi dei due avrebbe dovuto materialmente prenderla. Non era possibile montare la cintura di sicurezza perché la sezione degli angolari (68 cm.) era troppo ampia per collocare il moschettone della cintura di sicurezza (imbracatura). Il teste F.A., Dirigente del Dipartimento di Prevenzione e Sicurezza dell'asl, ha redatto una relazione sul sinistro ed ha rappresentato che, comunque, poteva essere fissato un cavo di acciaio (una linea vita) che consentisse l'attacco dei DPI, oppure una rete di protezione. S.A., all'epoca dei fatti capooperaio, ha precisato che i capisquadra partecipavano annualmente a corsi sulla sicurezza, che la cartellonistica era presente e che, tuttavia, la nave era quasi in consegna, per cui non vi erano dispositivi di protezione collettiva. Il capo squadra era L.C. Altri due testimoni, amici di famiglia degli attori, hanno riferito che la sig.ra P. soffre di depressione e che non svolge alcuna attività lavorativa. Anche nel quadro normativo del settembre 1994, privo di ulteriori obblighi di tutela della sicurezza dei lavoratori successivamente introdotti, risulta evidente la colpa della convenuta F., datore di lavoro, sotto tutti i profili dedotti dagli attori. Va premesso che l'art. 4 del d.p.r. 547 del 1955 prevede, tra gli Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti: a) attuare le misure di sicurezza previste dal presente decreto; b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti delle presenti norme o, nei casi in cui non sia possibile l'affissione, con altri mezzi; c) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione. Nello specifico, va considerato che: l'ordine di completamento della passerella non contiene alcuna indicazione specifica della protezione dei lavoratori dal pericolo di caduta dall'alto, non è stato predisposto alcun dispositivo di protezione collettiva (rete sottoposta, impalcatura,) o individuale (cavo di acciaio a cui attaccare le imbracature di protezione). Si consideri anche che secondo l'art. 386 d.r.r. 547 del 1955 "I lavoratori che sono esposti a pericolo di caduta dall'alto o entro vani o che devono prestare la loro opera entro pozzi, cisterne e simili in condizioni di pericolo, devono essere provvisti di adatta cintura di sicurezza. Inoltre, ai sensi dell'art. 547, "per l'esecuzione dei lavori di riparazione e di manutenzione devono essere adottate misure, usate attrezzature e disposte opere provvisionali, tali da consentire l'effettuazione dei lavori in condizioni il più possibile di sicurezza." Quest'ultima norma, anche se dettata per i "lavori di riparazione e manutenzione", trova applicazione, ai fini civili ed, in ogni caso, quale parametro per la valutazione della colpa generica anche al caso di realizzazione di opere, come una nave, oppure un edificio in costruzione (ovvero ai cantieri), che, consistendo in opere strutturali presentano rischi specifici uguali o superiori a quelli delle attività di manutenzione e riparazione, diversi da quelli tipici delle attività produttive di singoli manufatti all'interno di una struttura aziendale già completa e funzionante. nel caso di specie è stata lasciata colpevolmente aperta la stiva della nave per consentire ad un'altra squadra di operai di lavorare il suo interno in condizioni di illuminazione, con conseguente esposizione dell'operaio ad un rischio non dovuto. Responsabilità esclusiva e concorso di colpa del lavoratore deceduto.

108 La deduzione dei convenuti di un collegamento causale esclusivo tra evento morale e la condotta colposa del lavoratore è completamente destituita di qualsiasi fondamento. Costituisce ius receptum il principio secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza, a menoché la condotta non sia del tutto abnorme o imprevedibile rispetto all'organizzazione del lavoro predisposta dal datore. Quindi "Il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento." (Sez. L, Sentenza n del 13/09/2006 (Rv ) Sez. L, Sentenza n del 24/03/2004 (Rv Sez. L, Sentenza n del 14/02/2005 (Rv Sez. L, Sentenza n del 14/03/2006 (Rv ) E' di tutta evidenza l'assenza di qualsiasi carattere di singolarità o abnormità comportamentale del lavoratore che, comandato di completare il montaggio della passerella, senza alcuna istruzione specifica di carattere procedurale o riguardante misure di sicurezza, operasse sugli angolari della stessa fissando le griglie. Basti esemplificativamente indicare il ben diverso comportamento del lavoratore esaminato nella sopra citata sentenza Sez. L, Sentenza n del 13/09/2006 (Rv ) che, all'interno di un'officina ad un lavoratore che, per spostarsi nell'ambito della zona di lavoro era salito in velocità su un carrello elevatore aggrappandosi alla maniglia, comportamento valutato dalla S.C. come esimente da responsabilità per la responsabilità del datore di lavoro, in base all'imprevedibilità' dell'anomala condotta del dipendente, vietata da cartelli di avvertimento. Non può neppure accogliersi l'argomento subordinato di riconoscimento di un concorso di colpa del lavoratore, pur ritenuto ammissibile dalla Suprema Corte (Sez. L, Sentenza n del 17/04/2004 (Rv ). Anche qui emblematico è il caso esaminato, in quanto si è affermata la colpa concorrente della vittima nella misura di un terzo, in una situazione in cui il lavoratore era salito sulle pale di un elevatore elettrico manuale privo di dispositivi di sicurezza per prelevare del materiale riposto in alto senza prima sistemare su di esso il bancale pur presente in azienda che gli avrebbe consentito una posizione sicura, ed era caduto riportando lesioni personali). Va precisato, infatti, che l'obbligo di protezione della sicurezza del lavoratore derivante sia da norme di legge e, quindi, ricollegabile al neminem ledere sia a disposizioni dei contratti individuali e collettivi, comporta la necessità di garantire l'assenza da rischi dell'ambiente lavorativo, delle procedure e degli strumenti di lavorazione, imponendo in aggiunta un obbligo di informazione e formazione del lavoratore. Ne consegue che, se l'esclusione di responsabilità del datore è ricollegabile a comportamenti del lavoratore abnormi ed imprevedibili, nell'ambito di un quadro lavorativo idoneo, anche la riduzione del risarcimento del danno per colpa del danneggiato ex art c.c. assume una connotazione particolare. Il legislatore, infatti, nell'adottare la normativa in tema di sicurezza presuppone un modello di agente che, nel corso dello svolgimento della propria prestazione, può commettere anche errori o leggerezze, non solo perché imposte da condizioni di lavoro insicure, ma anche perché non adeguatamente informato e formato. Non a caso, il datore di lavoro è tenuto anche alla vigilanza dei lavoratori, per cui l'omissione della vigilanza determina la sua responsabilità anche nel caso in cui egli abbia fornito le necessarie misure di sicurezza, ma queste non siano state adottate dal lavoratore. Il concorso di colpa del lavoratore, quindi, può sussistere quando egli abbia adottato una condotta negligente imprudente o imperita nonostante le istruzioni ricevute, pur essendo possibile e ragionevole la condotta esecutivamente corretta, oppure quando abbia volontariamente e notevolmente aggravato una condizione di rischio a cui è esposto. Volendo definire i presupposti del suo concorso di colpa la sua deve essere una culpa non levis perché il suo comportamento non deve essere semplicemente colposo, ma deve essere qualcosa in più rispetto alle normali defaillances che ordinariamente

109 episodicamente colpiscono tutti i lavoratori. Per esemplificare, è ovvio che in un cantiere di ristrutturazione di un palazzo non si può salire su un'impalcatura arrampicandosi ai tubolari, per cui vi è concorso di colpa dell'operaio che non utilizza le scale interne della struttura ma, esse mancano, non può dirsi in colpa il lavoratore che lo fa, anche se è possibile accedere al piano superiore da un appartamento privato, perchè è l'assenza del presidio che consente l'esecuzione corretta della prestazione lavorativa che induce il lavoratore ad una esecuzione pericolosa. Orbene, non vi è dubbio che il lavoratore si trovasse in una situazione di evidente pericolo. Tuttavia, egli non risulta avere effettuato manovre di carattere anomalo e svincolate o abnormi rispetto alle condizioni di lavoro disposte dal datore. Neppure risulta che egli abbia considerevolmente aggravato la condizione di pericolo volontariamente esponendosi a rischi ulteriori rispetto a quelli a cui è stato illecitamente sottoposto. Ne consegue il rigetto della richiesta di applicazione del concorso di colpa. Risarcimento del danno. Gli attori hanno chiesto il risarcimento di sette voci distinte di danno sia patrimoniale che non patrimoniale. La materia del danno non patrimoniale è materia di accesissimo dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che ha determinato la remissione del tema alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, deciso con la recentissima sentenza n dell'11 novembre Orbene, appare opportuno premettere che, nei casi come quello in esame, ove il fatto integra un delitto colposo, l'intero aspetto dei danni patrimoniali e non patrimoniali risulta pacificamente risarcibile ai sensi dell'art. 185 c.p. e dell'art c.c. Si tratta, tuttavia, di verificare quali siano i margini di risarcibilità di tutte le voci richieste, al di là anche delle definizioni utilizzate negli atti difensivi. E' opportuno, in proposito, indicare i percorsi più recenti seguiti dalla giurisprudenza di legittimità, allo scopo chiarire il rapporto tra danno biologico, danno morale e la figura emergente di danno esistenziale negli sviluppi giurisprudenziali attuali, per poi focalizzare l'attenzione sulle conclusioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sopra menzionate, e, quindi, verificare le conseguenze applicative sulle voci di danno richieste dalla parte attrice. Ed, in effetti, le domande proposte riguardano aspetti del danno non patrimoniale: danno biologico proprio, danno biologico iure hereditatis, danno morale subiettivo, danno esistenziale, danno da recisione del legame parentale. Le sentenze gemelle della Corte di Cassazione n ed 8828 del 2003 hanno affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile, oltre che nei casi previsti dalle legge, com espressamente previsto dall'art. 2059, anche in tutti i casi in cui il fatto illecito ha leso un interesse o un valore della persona non suscettibile di valutazione economica, ma di rilievo costituzionale, suddividendo il danno non patrimoniale in danno biologico, morale ed esistenziale. La successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 233 del 2003, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, riconoscendo espressamente il "danno esistenziale", come terza sottocategoria di danno non patrimoniale. In alcune pronunce si è individuato, il danno esistenziale come qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana, distinto dal danno biologico, concernente un pregiudizio dell'integrità fisica e dal danno morale subiettivo, di carattere necessariamente transeunte (sentenza n. 7713/2000, n. 909/2001, n. 6732/2005, n /2006, n e le Sezioni Unite n , che hanno definito il danno esistenziale come "fare areddittuale" della persona distinto dal danno morale che avrebbe carattere emotivo ed interiore). Basta richiamare in proposito la massima della sentenza (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n del 12/06/2006 (Rv )., secondo cui "Integra il c.d. danno esistenziale, riparabile ex art cod. civ., lo sconvolgimento delle abitudini di vita con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell'ambito della comune vita di relazione, sia all'interno che all'esterno del nucleo familiare, in conseguenza dell'irreversibile venir meno del godimento del rapporto personale con lo stretto congiunto (cosiddetto danno parentale) nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore) cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell'altro (...). Tale aspetto,

110 peraltro, costituisce espressione di interessi essenziali della persona estrinsecantisi nel diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la quale trova riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29, 30, Cost., con incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute (la cui tutela "ex" art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico) sia dall'interesse all'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo). "(Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n del 12/06/2006 (Rv ). La giurisprudenza che ha utilizzato la nozione di danno esistenziale, da intendersi come "ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto inducendolo a scelte di vita diverse, quanto all'espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno, da quelle che avrebbe compiuto ove non si fosse verificato il fatto dannoso", distinto dal danno biologico e danno morale soggettivo, per il quale è richiesto uno specifico onere di allegazione e prova. (Cass. Sez. 3, Sentenza n del 28/08/2007 (Rv ); conf. Sez. 3, Sentenza n del 08/10/2007 (Rv ). In proposito, va tenuto conto delle osservazioni della dottrina, la quale evidenzia come con la 'scoperta' del danno esistenziale si sono messe in luce zone grigie del danno alla persona, non riconducibili nelle note categorie del danno patrimoniale, morale e biologico, e per tali motivi ribadisce l'autonomia concettuale del primo rispetto a dette categorie, individuando il criterio qualitativo che distingue una categoria rispetto all'altra. Essa evidenzia, infatti, che mentre il danno alla salute, pur tendendo a ristorare la menomata capacità dell'individuo di svolgere le svariate attività dell'esistenza nel loro aspetto non reddituale, si riporta ad un modello astratto di esistenza, sussiste anche la necessità di risarcire la preclusione in concreto della possibilità di svolgere, in un determinato momento della sua vita, una particolare attività areddituale, da considerare caratterizzante in senso positivo la sua qualità di vita rispetto a quella della generalità degli individui. Nella perdita di tale possibilità, secondo tale teoria sarà, quindi, individuabile il danno esistenziale quale voce autonoma ed ulteriore rispetto al danno alla salute. A questo indirizzo si è contrapposto altro orientamento che nega l'ammissibilità del danno esistenziale. Essa si fonda sull'assunto che il danno patrimoniale è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge ed, in virtù dell'interpretazione costituzionalmente orientata delle sentenze n ed 8828 del 2003, anche ai casi di lesioni ai valori della persona costituzionalmente garantiti; poiché il danno non patrimoniale è privo del requisito dell'atipicità previsto dall'art c.c., non vi è spazio per una categoria autonoma che lo priverebbe del carattere di tipicità (sentenza n /2006, n /2006; n. 9510/2006; n. 9514/2007, n. 1446/2007.). Le Sezioni Unite n del 2008 dichiarano di dar seguito all'orientamento delle sentenza n ed 8828 del 2008, con alcune integrazioni, indicando alcuni assunti fondamentali, qui sintetizzati. (I) L'art c.c. non regola un'autonoma fattispecie di illecito. I requisiti costitutivi dell'illecito (condotta, nesso di causalità, danno ingiusto consistente nella lesione non giustificata di interessi meritevoli di tutela e del danno che ne consegue dannoconseguenza) sono regolati, invece, dall'art c.c. L'art. 2059, però, regola i danni non patrimoniali mediante rinvio alle leggi che stabiliscono la risarcibilità degli stessi (art. 185 c.pc. ed altri casi tipici di compromissione di valori personali). A tali ipotesi va aggiunta la tutela minima dei diritti costituzionali inviolabili, quali il diritto alla salute ex. Art. 32 Cost., ormai definito come danno biologico dal testo unico delle assicurazioni (artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209 del 2005); i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) compromessi dalla perdita o compromissione del rapporto parentale per morte o grave invalidità del congiunto); i diritti alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, inviolabili perché riguardanti la dignità della persona tutelata dagli artt. 2 e 3 Cost. (v. sent. n del 2008).

111 (II) Da ciò la Corte desume che danno patrimoniale e non patrimoniale sono le uniche due categorie di danno riconosciute dall'ordinamento e si differenziano per l'evento dannoso: il danno patrimoniale è atipico, perché l'ingiustizia riguarda la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (v. sent. N ). Il danno non patrimoniale è tipico perché, essendo risarcibile solo se vi è espressa previsione normativa oppure se attiene a diritti inviolabili individuati dal giudice (e, quindi, una ingiustizia costituzionalmente qualificata), riguarda solo interessi giuridici selezionati dal legislatore. Non può attribuirsi rilevanza, nell'ambito del danno non patrimoniale a qualsiasi bene giuridicamente rilevante, perché, sostanzialmente ciò significa riportare il danno non patrimoniale al principio di atipicità previsto dall'art c.c. Il carattere aperto dei diritti della persona riconosciuto dall'art. 2 cost. consente che, nell'ambito di un processo evolutivo si rinvengano nel complessivo sistema costituzionale indici che consentano di elevare nuovi interessi emersi nella realtà sociale ad interessi di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona. Da tali diritti vanno esclusi quelli indicati dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, perché non assurgono ex art. 11 Cost. a rango costituzionale, né risulta consentita la disapplicazione del diritto interno, come avviene per l'efficacia delle norme di diritto comunitario (Corte Cost. n. 348/2007). (III) Le Sezioni Unite, inoltre, svalutano la categoria del danno morale, evidenziando che né l'art c.c., né l'art. 185 c.p. parlano di danno morale e che il pregiudizio morale non è rilevante solo se transitorio: esso non individua una sottocategoria di danno, ma un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata, la cui intensità e durata incide solo sulla quantificazione risarcitoria, esclusi, tuttavia, i pregiudizi bagatellari. Anche le nozioni di danno biologico e di danno parentale non sono altro che espressioni descrittive delle lesioni del diritto alla salute (art. 32 Cost) e dei diritti inviolabili della famiglia. (IV) Il danno esistenziale è stato concepito dalla dottrina come pregiudizio alle attività realizzatrici della persona, come cambiamento dei propri comportamenti o abitudini di vita, con conseguente peggioramento della qualità della vita, è distinto dal danno morale, quale patimento intimo transeunte e dal danno biologico, caratterizzato da una lesione all'integrità psicofisica. Le Sezioni Unite ne negano l'ammissibilità, perché difetta dell'ingiustizia, che deve riguardare il danno evento e non il danno conseguenza: è il primo, il diritto leso, e non il secondo, il pregiudizio, come a dover avere rilevanza costituzionale, come invece sostiene una tesi dottrinale che, secondo la Corte, dando una lettura costituzionalmente orientata dell'art c.c., finisce con l'abrogarlo surrettiziamente. Le diverse sentenze che hanno utilizzato tale espressione si riferiscono, in realtà: a diritti costituzionalmente tutelati come il diritto all'educazione ed all'istruzione (art. 9 e 30 Cost sent. 7713/2000); a diritti del lavoratore contrattualmente previsti e di rango costituzionale (sentenza n del 2001 e n. 8904/2003) alla sofferenza psichica della persona rimasta lucida dopo l'agonia seguita a breve dalla morte (sentenza n. 4782/2001). L'esigenza di colmare vuoti di tutela alla base della categoria risulta superata dalla più ampia accezione del danno morale. Pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili: 1. quando il danno è conseguenza di reato, perché risulta risarcibile come danno morale non solo il patema transeunte, ma anche la sofferenza morale cagionata dal non poter fare, a condizione che essa sia conseguenza della lesione di un interesse giuridicamente protetto dall'ordinamento (comprese le convenzioni internazionali) e che sussista l'ingiustizia generica ex art c.c., di cui la tutela penale costituisce un indice sicuro; 2. quando, non essendovi reato, vi è lesione di diritto inviolabile, come la lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) in cui si concretano il danno da perdita del rapporto parentale o da impossibilità ad avere rapporti sessuali con il coniuge leso (v. sentenza n. 6607/1986); 3. quando vi sono diritti derivanti da norma comunitaria;

112 4. quando si tratta pregiudizi a diritti del lavoratore (come in caso di demansionamento), contrattualmente previsti e dotati di copertura costituzionale (V) Nega, quindi, la risarcibilità di diversi pregiudizi riconosciuti dalla giurisprudenza del giudice di pace per liti bagatellari, come quelli derivanti da situazioni come disservizi, perdita dell'animale di affezione, contravvenzioni illegittime, disagi, fastidi, disappunti, ecc., sia perché non sono positivamente riconosciuti il diritto alla qualità della vita, alla serenità e lo stesso diritto alla felicità sia perché il danno conseguenza non deve essere futile o, anche se serio, non deve essere insignificante secondo la coscienza sociale, deve avere una certa soglia di offensività (es. graffi superficiali, mal di testa passeggero, non poter uscire di casa per poche ore). Ciò, peraltro, consente un bilanciamento tra tutela della persona e la tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.) secondo la coscienza sociale di quel momento storico, dovendosi risarcire il danno non patrimoniale solo se si eccede la tollerabilità ed il pregiudizio non è futile. L'interpretazione non risulta neppure costituzionalmente illegittima, perché, al di fuori di previsione tipiche, la tutela risarcitoria minima va accordata solo alla lesione di diritti inviolabili (Corte Cost. n. 87/1979). Appare superfluo analizzare anche le tematiche della risarcibilità del danno non patrimoniale collegato al contratto di lavoro, essendo stata specificamente esperita solo l'azione extracontrattuale. Va, invece, richiamata l'affermazione delle Sezioni Unite secondo cui, in caso di reato, vanno evitate le duplicazioni risarcitorie: va risarcita la sofferenza morale in sé e complessivamente considerata e non il danno morale soggettivo, di carattere transeunte; se essa implica delle degenerazioni patologiche vi sarà danno biologico. Il danno morale non potrà essere risarcito in percentuale rispetto al danno biologico ma si dovrà procedere solo alla personalizzazione del danno biologico; non potrà essere risarcito congiuntamente il danno morale ed il danno da perdita parentale; nel danno biologico restano assorbiti danni alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, la perdita, la compromissione della sessualità (diversamente da quanto affermato nella sentenza ), il danno estetico. Sul piano probatorio il danno deve essere allegato e provato, escludendosi ogni valutazione di danno in re ipsa anche per la lesione di valori della persona: il danno biologico mediante accertamento medicolegale, salvo motivazione della superlfuità dello stesso; il danno morale mediante il sistema ordinario di prova. Il Tribunale ritiene di poter condividere tale autorevole orientamento. Già con precedente sentenza di questo Ufficio (proc. 379/2002 RGAC, sentenza del ), si era indicata l'esigenza di risarcire il danno mediante un analisi dei possibili pregiudizi concretamente subiti, evitando però duplicazioni, piuttosto che rifarsi a categorie dogmatiche la cui definizione appariva controversa, ritenendo risarcibile il peggioramento della qualità della vita del soggetto leso e dei genitori in conseguenza di una condotta costituente reato. Si era aderito, pertanto, alla tesi che della Corte di Cassazione (Sez. 3, Sentenza n del 30/10/2007 Rv ) che individuava nel danno esistenziale una semplice locuzione indicativa di una particolare pregiudizio della persona nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale, evitando duplicazioni di carattere risarcitorio. Per contro va mutata la metodologia risarcitoria che, in verità resta in concreto problematica anche dopo l'intervento delle Sezioni Unite. La formulazione di criteri logico - giudici per la quantificazione del danno non patrimoniale, va effettuata necessariamente in via equitativa, nelle sue diverse articolazioni (danno biologico risarcibile sempre, danno morale e pregiudizi alla sfera esistenziale, risarcibili solo nei casi riconosciuti dal legislatore) previa allegazione e dimostrazione dei danni. (a) Per il danno morale lo svincolo dal danno biologico, indicato dalle Sezioni Unite, attribuisce l'indipendenza del ristoro della sofferenza morale dalla lesione all'integrità psicofisica, costituendo le stesse delle variabili concettualmente indipendenti. Il criterio del rapporto frazionario tra danno morale soggettivo e danno biologico, si fonda sull'assunto in parte

113 apodittico del crescere tendenzialmente proporzionale del danno morale rispetto al pregiudizio al bene salute espresso in termini percentuali, anche se esso pur trova un fondamento logico nella presunzione dell'id quod plerumque accidit ed un correttivo nella variazione del rapporto frazionario da effettuarsi in concreto. Perso tale ausilio la valutazione equitativa del danno morale resta priva di un aggancio a parametri obiettivi e diffusi sul piano nazionale. Tuttavia, certamente tale valutazione, va effettuata mediante prova testimoniale senza però rinunciare alla prova per presunzioni, nella quale rientra come indicatore la intensità del lesione all'integrità psicofisica resa. (b) Per il danno biologico e per le conseguenze sulla propria qualità di vita nella sua dimensione dinamicorelazionale (ovvero per il peggioramento in concreto della qualità di vita, ad esempio, per l'impossibilità a praticare hobbies, sport pratiche sociali verso cui si è specificamente appassionati in modo particolarmente intenso, altrimenti definibili come pregiudizi esistenziali), la personalizzazione richiesta dalla Corte di Cassazione, allorché si tratta di fatti costituenti reato (o concernenti altre situazioni specificamente tutelate), può trovare un riferimento importante, anche al di fuori della materia della responsabilità civile da circolazione automobilistica, negli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni. Essi forniscono una definizione di danno biologico, sia pure, al meno dal punto di vista topografico, limitata alla materia della responsabilità civile da circolazione stradale:"per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medicolegale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito (art. 138.) Tale voce di danno è aumentabile sino al trenta per cento nelle lesioni di non lieve entità "Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamicorelazionali personali... con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato." (art. 138, comma 3), mentre nelle lesioni di lieve entità è prevista la possibilità di un aumento fino ad un quinto "con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato" (art. 139, comma 3). In modo quasi identico la definizione era stata anticipata dall'13 del D.Lgs 38/2000 in tema di assicurazione Inail. Il metodo seguito dal codice delle assicurazioni è quello, quindi, di un aumento percentuale del risarcimento da danno biologico in presenza di una incidenza dei postumi permanenti su specifici interessi o attività del soggetto leso che assumono una particolare valenza nell'ambito dello svolgimento della sua personalità. (c) Risarcimento del danno parentale. La giurisprudenza riconosce il danno biologico ai prossimi congiunti della vittima quale danno non patrimoniale, ma richiede una precisa dimostrazione dello stesso (Sez. 3, Sentenza n del 23/02/2004 (Rv ). Lo stesso può dirsi non solo per l'evento morte, ma anche per postumi seriamente invalidanti che riguardano i figli minori (Cass n ; Cass , n ). L'assunto appare pienamente condivisibile: il fatto illecito può determinare danni non solo fisici o psichici sulla vittima, ma anche danni alla salute psichica dei prossimi congiunti, come quelli derivanti dalla recisione del legame familiare. Naturalmente, trattandosi di danno alla salute, anche se di tipo psichico, non può farsi ricorso a presunzioni, ma deve essere dimostrata una patologia di tipo psicologico o psichiatrico stabilizzata e determinata dalla perdita del congiunto."il danno alla salute subito dai prossimi congiunti della vittima di un incidente stradale costituisce danno non patrimoniale, risarcibile iure proprio nei confronti di tali soggetti ove sia adeguatamente provato il nesso causale tra la menomazione dello stato di salute dell'attore ed il fatto illecito"sez. 3, Sentenza n del 23/02/2004 (Rv )". Tale risarcibilità, in effetti, in passato è stata affermata sia dalla tesi che afferma l'esistenza del danno esistenziale sub specie danno esistenziale parentale Il (Sez. 3, Sentenza n del 31/01/2008 (Rv ), sia secondo la tesi che sostiene che il danno esistenziale non costituisce autonoma categoria concettuale e che in esso "confluiscono ipotesi non necessariamente previste

114 per legge e assume rilievo la situazione di danno non patrimoniale da perdita del congiunto, per la quale l'interesse del soggetto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzataci della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia trova riconoscimento a tutela delle norme di cui agli artt. 2, 29 e 30 Cost." (Cass. Sez. 3, Sentenza n del 20/04/2007 (Rv ). Le Sezioni Unite hanno confermato la risarcibilità del danno parentale, senza possibilità di liquidare congiuntamente il danno morale ed il danno da lesione del legame parentale. Tale danno non può essere determinato in via astratta, ma va adattato al caso concreto, per cui deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell'evento lesivo. Nella sua quantificazione restano validi i criteri presuntivi sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità: "esso, quale tipico danno conseguenza, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, potendosi tuttavia ricorrere a valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi forniti dal danneggiato, quali l'intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza, la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, la compromissione delle esigenze di questi ultimi. La relativa domanda può essere considerata ricompresa nella richiesta di ". Sez. 3, Sentenza n del 15/07/2005 (Rv ) Presidente: Duva V. Estensore: Segreto A.) V. anche Sez. 3, Sentenza n del 31/01/2008 (Rv ), secondo cui il cosiddetto "danno esistenziale parentale", derivante dalla lesione della integrità di un nucleo familiare fortemente unito e solidalmente costituito, è risarcibile "iure proprio" ai sensi dell'art cod. civ., correlato agli artt. 29 e 30 Cost., e deve essere liquidato in base a criteri di equità circostanziata, secondo le allegazioni e le prove fornite dal danneggiato (cfr. Sez. 3, Sentenza n del 19/01/2007 (Rv ); Sez. 3, Sentenza n del 11/05/2007 (Rv ). In considerazione del pregiudizio individuale subito dai prossimi congiunti in concreto, non è possibile, quindi, procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto danno non patrimoniale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto. Nel caso di specie, la morte è stata immediata, non vi sono state sofferenze particolari, si è trattato di condotte meramente colpose, non vi sono elementi di prova su una sofferenza anomala dei parenti. Sembra opportuno, fare riferimento, nella determinazione equitativa del danno, alle forbici risarcitorie adottate da alcuni Tribunali ed Osservatori di giustizia civile, le quali trattano unitariamente, su dati presuntivi entrambe le voci di danno. Il Tribunale di Bologna,II Sezione Civile, ha determinato i seguenti indici per l'anno 2008: Morte di un figlio (per ciascun genitore) da euro a euro ; Morte del coniuge (non separato) o del convivente more uxorio da euro a euro L'Osservatorio per la Giustizia civile di Milano nel dicembre 2004 ha previsto per il danno non patrimoniale subito per la morte del prossimo congiunto, come criteri ha indicato per la morte di familiare che "la misura del risarcimento prevista dalle Tabelle già in uso presso il Tribunale di Milano, pur facendo riferimento al danno "morale", dunque apparentemente al mero aspetto del "danno da sofferenza contingente", tiene già conto della lesione del rapporto parentale, quale interesse costituzionalmente protetto risarcibile nell'ambito dell'unitario danno non patrimoniale, diverso dal biologico. L'Osservatorio propone di disancorare comunque, nel caso di morte di un congiunto, la commisurazione del danno non patrimoniale risarcibile (da intendersi come somma del danno morale soggettivo tradizionalmente inteso e del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale) da ogni astratto riferimento a un ipotetico danno biologico del 100% subito dalla vittima primaria, privilegiando invece essenzialmente nella liquidazione il legame familiare tra la vittima primaria e le vittime secondarie e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (tipizzabili in particolare nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua, nella qualità ed intensità della relazione affettiva

115 che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta). A tal fine l'osservatorio propone come indicazione di massima un'ampia forbice, che sembra idonea, da un lato, a consentire al giudice una maggiore elasticità, dall'altro a non comprimere in non auspicabili automatismi il dovere della motivazione. La proposta liquidatoria è la seguente: 1. danno non patrimoniale a favore di ciascun genitore per morte di un figlio: da euro ,00 = a euro ,00; 2. danno non patrimoniale a favore del figlio per morte di un genitore: da euro ,00 = a euro ,00; 3. danno non patrimoniale a favore del coniuge (nonseparato) o del convivente sopravvissuto: da euro ,00 = a euro ,00. Come può notarsi vi è una sostanziale concordanza (salvo il parametro del coniuge nella forbice risarcitoria) tra i due criteri, i quali, come accennato, entrambi unificano il danno morale ed il danno parentale. In assenza di elementi ostativi, possono essere utilizzate per la quantificazione del risarcimento. E, pertanto, per il coniuge, considerato il bilanciamento tra la permanenza di ulteriori affetti della famiglia nucleare ed il dramma della responsabilità morale esclusiva della crescita di cinque figli, può essere adottato, in considerazione delle caratteristiche della famiglia: n. 5 figli di cui n. 3 minori, convivenza tra i coniugi, può essere fissato il risarcimento in euro , ovvero in misura pari al massimo riconosciuto dal Tribunale di Bologna, corrispondente a 3/4 del massimo individuato dall'osservatorio di Milano. Per i figli, considerata la giovane età e la permanenza di una solida struttura familiare, può essere fissato il parametro di euro per i due maggiorenni ed euro per i tre minorenni. Pertanto, in questi termini va accolta la domanda relativamente alle seguenti poste di danno richieste: I. danno morale soggettivo contingente; II danno da definitiva perdita del rapporto parentale per l'importo di euro per ciascuno degli attori (o la diversa misura ritenuta di giustizia); III danno consistente nell'impossibilità di intrattenere rapporti sessuali con il marito, richiesti nella misura di euro (o la diversa somma). Quest'ultima voce di danno è evidentemente inclusa nel danno da perdita del legame parentale con il coniuge il quale, intrinsecamente comporta l'inevitabile cessazione dell'attività sessuale con il deceduto. Per ciò che concerne la richieste sub IV (Danno biologico iure proprio, nella misura di euro per ciascuno degli attori (o la diversa somma), le deposizioni testimoniali che fanno riferimento ad uno stato depressivo del coniuge non dimostrano alcun quadro nosografico specifico da risarcire come danno biologico e, quindi, distintamente dal danno morale. La voce di danno sub VI (Danno biologico e per la perdita della vita spettante "iure hereditario" agli attori, nella misura di euro ciascuno), non risulta configurabile per l'assenza di un lasso apprezzabile di tempo tra il fatto ed il decesso. Si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 870 del 17/01/2008 (Rv ), secondo cui "La lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall'evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, giacché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, essendovi un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante "iure hereditatis";conf. Sez. 3, Sentenza n del 22/03/2007 (Rv ) Sez. L, Sentenza n. 517 del 13/01/2006 (Rv ). Non risulta, neppure, che, in occasione del drammatico evento vi sia stata una ludica agonia del deceduto, per cui non appare liquidabile alcun pregiudizio da sofferenza morale acuta trasmessa iure hereditatis. Appare, invece, astrattamente accoglibile la domanda di risarcimento del danno patrimoniale in via equitativa nella misura richiesta (danno patrimoniale per la perdita delle contribuzioni che essi ricevevano dalla persona deceduta (euro per P.C. ed euro per gli altri attori), apparendo più che ragionevole, come lucro cessante che il deceduto, capo famiglia, avrebbe contribuito in tale

116 misura (ovvero per un totale corrispondente a meno di 3 anni di salario alle necessità degli stretti congiunti). Infine, appare dimostrato il danno patrimoniale per spese funerarie ammontanti ad euro 2.479,00 sopportate da P.C. Le somme liquidate a titolo di danno non patrimoniale sono liquidate all'attualità e pertanto non sono suscettibili di rivalutazione monetaria; su di esse sono dovuti, però, gli interessi legali calcolati, in applicazione del principio giurisprudenziale affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sent. n del 1995, non sugli importi liquidati all'attualità, ma sulla somma devalutata al momento del fatto e successivamente rivalutata anno per anno; tale sistema di calcolo permette di evitare l'ingiusto arricchimento derivante al danneggiato dal calcolo degli interessi legali sulla somma rivalutata fin dal giorno del fatto lesivo ( ). Infine si pone il problema della detrazione richiesta dalle difese dei convenuti delle somme corrisposte dall'inail. Secondo i documenti contenuti nella produzione attorea si tratterebbe di una rendita di euro ,38 annui, per un importo mensile di euro 1.389,11 (di cui 992,22 per P.C. e 396,88 per D.G., essendo gli altri iniziali aventi diritti divenuti medio tempore maggiorenni. Dalla documentazione prodotta dalla soc. F. s.p.a. emergerebbe una rendita capitalizzata di euro ,77. Orbene, in assenza di allegazioni adeguatamente chiarificatrici in ordine al preciso titolo (danno patrimoniale, morale, biologico) di versamento di tali somme (nelle stesse dovendo considerarsi la rendita capitalizzata e non solo le somme già versate e non costituendo indice esclusivo la richiesta di regresso dell'inail), va ricordato che il diritto di surroga dell'inail per sinistri anteriori all'entrata in vigore dell'art. 13 del d.lgs. n. 39 del 2000, non si estende al danno non patrimoniale ed al danno biologico (da ultimo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 255 del 10/01/2008 (Rv , secondo cui "Il giudice può accogliere l'azione di rivalsa dell'inail sia in caso di azione di regresso, di cui agli artt. 10 e 11 d.p.r. n del 1965, sia in caso di azione in surroga di cui all'art cod. civ. solo entro i limiti della somma liquidata in sede civile a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, previo accertamento dell'esistenza e dell'entità di tali danni, in base alle norme del codice civile; il predetto ente non può, invece, aggredire le somme liquidate al danneggiato a titolo di risarcimento dei danni morali e dei danni biologici, in virtù della giurisprudenza della Corte costituzionale di cui alle sentenze n. 319 del 1989, n. 356 del 1991 e n. 485 del 1991). Va altresì ricordato che la sentenza n. 426 del 2006 della Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della diversità di indennizzo ratione temporis. Ne consegue che le uniche voci di danno accordate in sentenza rispetto alle quali il risarcimento va con certezza ridotto, sono le voci di danno patrimoniale, per le quali, in sostanza, a seguito della liquidazione dell'inail e dell'esercizio del regresso da parte della stessa nulla è dovuto. Le somme dovute corrispondono al prospetto seguente: (omissis) Dalle somme liquidate devono essere detratti gli acconti ricevuti a titolo di provvisionale, considerando in proposito che, nell'operazione di sottrazione va tenuto conto della rivalutazione e degli interessi che sarebbero maturati su tali somme dal loro incasso fino al pagamento delle somme dovute in sentenza, allo scopo di evitare una illegittima acquisizione della rivalutazione ed interessi su quota parte del risarcimento già in precedenza incassato. Le assicurazioni chiamate in garanzia sono tenute a rivalere la convenuta Soc. F. delle somme versate a titolo di risarcimento del danno in proporzione alle quote di coassicurazione (art c.c.) e nei limiti del massimale stipulato di lire , con esclusione della compagnia per la quale non vi è prova della corretta instaurazione del rapporto processuale, coassicuratrice per il 20%.. Per ciò che concerne la domanda di interessi ultramassimale, non vertendosi in tema di azione diretta del danneggiato e trovando la responsabilità delle soc. assicuratrici esclusivamente un carattere contrattuale, la mora non è ex re, per cui gli interessi, vista la contestazione della responsabilità da parte della F. e la mancanza di richieste esplicite di messa a disposizione del massimale di polizza per provvedere al risarcimento in favore dei danneggiati, sono dovuti esclusivamente dalla data della

117 presente sentenza, provvisoriamente esecutiva. Si veda a riguardo, nel regime anteriore alla l. 353 del 1990, Cass. Sez. 3, Sentenza n del 03/11/1984 (Rv ), secondo cui " Nei rapporti tra assicurato ed assicuratore in ipotesi non rientranti nell'ambito di applicabilità della legge n. 990 del 1969 l'assicuratore è tenuto al pagamento degli interessi corrispettivi, anche oltre il limite del massimale di polizza, solo dal giorno in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile e, pertanto, qualora l'assicuratore sia chiamato in causa dallo assicurato che chieda di essere da lui manlevato in caso di sua condanna al risarcimento in favore del danneggiato, dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Gli interessi moratori, al quale il danneggiante è tenuto dal giorno del fatto produttivo del danno, costituiscono invece un debito incluso nel rischio assicurativo e, salvo diversa volontà delle parti, rientrano nel massimale di polizza, il cui livello non può, pertanto, essere superato per effetto della loro aggiunta al capitale." In considerazione dell'esito della controversia, le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo sulla base dell'importo accolto della domanda in favore degli attori e non dell'importo richiesto e sottratte voci che, in assenza di specifica analitica degli atti di riferimento debbono considerarsi come ripetute (es. esame di n. 5 conclusioni di controparte, laddove le posizioni dei convenuti sono n. 4) o, comunque, non dimostrate come i notevolissimi "diritti" di dattilo e collazione per oltre euro 3.800, o non dovute come le deduzioni di udienza meramente ripetitive delle richieste effettuate con le memorie ex art. 183, comma V e 184 C.P.C, il deposito fascicolo unitamente all'iscrizione a ruolo, la corrispondenza informativa non dimostrata nella misura richiesta, la consultazione cliente richiesta anche per la sola redazione delle note di replica, esclusivamente tecniche. Va precisato, infine che gli onorari sono corrisposti ai valori leggermente superiori a quelli medi per il corrispondente grado di difficoltà della lite, ma con importi ridotti rispetto a quelli richiesti, superiori al massimo dello scaglione di riferimento. Tali somme, infine, sono aumentate del 100% ai sensi dell'art. 5 del d.m. regolativi delle tariffe per la difesa di n. 6 posizioni identiche. La condotta di contestazione radicale della responsabilità da parte della F., l'assenza di proposte risarcitorie tempestive, la mancata accettazione in conto indennizzo per il sinistro inducono, invece, a compensare le spese di lite relative alla domanda di chiamata in garanzia. P.Q.M. Il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione Distaccata di Castellammare di Stabia, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 957 del 2004, così provvede: condanna (1) R.G., (2) F.F., (3) M.E., (4) B.G., (5) L.C. e (6) F. Cantieri Navali Italiani s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. al risarcimento del danno, in solido tra loro, in favore di (1) P.C., in proprio, e quale esercente la potestà sul minore (2) D.G.; (3) D.L., (4) D.E., (5) D.S., (6) D.F., oltre interessi legali calcolati come in motivazione che si liquida in: per P.C., in proprio, euro per danno non patrimoniale; per P.C., quale esercente la potestà sul minore D.G., nonché per D.S., D.F., per ciascuno di essi euro per danno non patrimoniale ; per D.L. e D.E. euro ciascuno per danno non patrimoniale; per tutti oltre i soli interessi legali dal 6 settembre 1994 all'effettivo soddisfo, interessi calcolati come in motivazione; condanna le Assicurazioni Generali s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., e la Fondiaria SAI s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. (in proporzione alle rispettive quote di coassicurazione del 40% per la soc. Generali, del 40% della soc. Fondiaria) a rivalere la F. Cantieri Navali Italiani s.p.a. di quanto versato in favore degli attori nella misura dell'80% del massimale di polizza, ovvero euro ,51), oltre interessi legali dalla data della presente sentenza; condanna R.G., F.F., M.E., B.G., L.C. e F. Cantieri Navali Italiani s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali in favore degli attori P.C., in proprio, e quale esercente la potestà sul minore D.G.; D.L., D.E., D.S., D.F. D.R., liquidate complessivamente in euro ,00 per onorari, euro ,00 per diritti, euro 800 per spese

118 imponibili, euro 500 per spese vive, spese generali 12,5% ed IVA e CPA, se dovute, con attribuzione ai procuratori dichiaratisi anticipatari delle spese; compensa integralmente le spese di giudizio relative alla domanda di chiamata in garanzia; accerta l'omessa notificazione dell'atto di chiamata in causa del terzo nei confronti della SASA Assicurazioni Riassicurazioni s.p.a. e, per l'effetto, dichiara la nullità del giudizio relativamente alla sola domanda di chiamata in causa della stessa;

119 Tribunale di Terni, 1 marzo 2008 Motivi della decisione 1) L eccezione di prescrizione sollevata dalla Gestione liquidatoria convenuta deve essere disattesa, posto che: 1) nella fattispecie in esame, astrattamente considerata, il fatto integra il reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.), come tale soggetto, ai fini civilistici ex art. 2947, terzo comma, c.c., a prescrizione decennale (sebbene il regime della prescrizione penale sia cambiato, in forza della legge 251/05, la prescrizione da considerare, in sede di applicazione del richiamato art c.c., è quella prevista alla data del fatto, dal momento che i principi dettati in materia di successioni di leggi penali nel tempo dall art. 2 c.p., attengono esclusivamente agli aspetti penali: in questo senso cfr. Cass. SS.UU. n. 580 del 2008); 2) il termine prescrizionale in esame è stato interrotto dalla Y.: a) con lettera di messa in mora redatta dal proprio difensore, avv. G., ricevuta dalla USL n. 12 il 20 settembre 1994; b) con la notificazione dell atto introduttivo del giudizio di risarcimento del danno proposto innanzi al Pretore di Terni il 20 ottobre 1994, nel corpo del quale la stessa si affermava titolare del diritto al risarcimento del danno biologico, alla vita di relazione e del danno estetico subito a causa degli stessi fatti posti a fondamento della domanda introduttiva del presente giudizio. 2) Non costituiscono oggetto di contestazione tra le parti i seguenti fatti, oggettivamente evincibili dalla documentazione sanitaria in atti e riassunti nella relazione peritale d ufficio: 1) nel marzo 1985 la Y., risultata affetta da neoplasia mammaria, era stata sottoposta ad un intervento di mastectomia con svuotamento ascellare per cancro alla mammella ; 2) successivamente all intervento la stessa era stata sottoposta a vari cicli di chemioterapia; 3) nel 1988 si era proceduto alla ricostruzione con inserimento di protesi mammaria; 3) nel 1996 la Y. era stata sottoposta a quadrantectomia con dissezione ascellare per neoplasia (carcinoma duttale infiltrante) del Q.S.I. della mammella sinistra e a chemioterapia antiblastica; 4) nel febbraio 1997 si era ricoverata per recidiva ossea ed epatica da cancro mammario operato; 5) nel luglio 1997 aveva subito un ulteriore ricovero ed era deceduta il 24 agosto ) L istruttoria svolta ha permesso di accertare: a) che la Y., assunta con le mansioni di infermiera professionale alle dipendenze della USL n. 12 della Conca Ternana nel 1969, aveva prestato servizio nei seguenti reparti: dal 1969 al 1972 nella divisione chirurgica e camere paganti; dal 1972 al 1975 nel reparto di Cistoscopia; dal 1975 al 1987 in quello di Endoscopia urologica e sala operatoria urologica; dal 1987 al 1994 in Endoscopia urologica (cfrf. nota del direttore sanitario della USL dr. W. Biagini del 12 aprile 1989, prot. n. 857); b) che nel luglio 1986 il medico autorizzato, dr. Paolo Maggiolini, aveva concluso per la inidoneità della Y. ad essere esposta a radiazioni ionizzanti, tenuto conto della patologia neoplastica della quale la stessa era affetta dal 1985; b) che a seguito di tale valutazione del medico autorizzato alla Y. era stato sospeso l invio della piastrina dosimetrica da parte del Servizio di Fisica Sanitaria, con la conseguenza che la dipendente non era stata più sottoposta al controllo delle radiazioni assorbite (cfr. nota del direttore sanitario dr. G. Manini del 31 gennaio 1987, prot. 254; dal registro tenuto ai sensi del DPR 185/64 si rileva che l elenco del personale sottoposto a sorveglianza dosimetrica nel 1991 e 1992 non era compreso il nominativo della Y.; cfr. nota del direttore sanitario dr. W. Biagini del 12 aprile 1989 prot. 857 che dava atto che successivamente al 10 luglio 1986, data della valutazione di inidoneità del medico autorizzato, la Y. non era più stata sottoposta al controllo medico e fisico volto a verificare l entità delle radiazioni ionizzanti assorbite); c) che, contrariamente a quanto prescritto dal medico autorizzato e ribadito dal direttore sanitario con nota del 29 settembre 1989 ( con la presente di ribadisce l assoluto divieto all utilizzo della Y. all interno della sala operatoria del I S. per esecuzioni di esami che richiedono l utilizzo di fonti radianti ), la dipendente era stata continuativamente utilizzata per gli interventi endoscopici sia nel I che nel II turno fino al 1994, e cioè sino al momento in cui è stata trasferita dal servizio di endoscopia urologica a quello di Fisiopatologia Respiratoria Territoriale, come specificamente dichiarato agli Ispettori del Lavoro di Terni, delegati dal Pubblico Ministero presso questo Tribunale, i seguenti colleghi della Y.: M.G. che ha riferito che la P. sino al momento in cui si era assentata per aspettativa (1994) aveva prestato la propria attività in sala operatoria per tre giorni la settimana, collaborando nell esecuzione della

120 pielografia ascendente per mezzo dell apparecchio mobile RX della radiologia; Z.C. la quale ha riferito che dal 1990 al 1992, periodo nel quale aveva prestato servizio presso il reparto di endoscopia urologica, la Y. effettuava le pielografie ascendenti utilizzando l apparecchio Rx mobile della radiologia; specificando che la mansione dell infermiera consiste nell iniettare il mezzo di contrasto per l effettuazione della pielografia. Alcune volte risulta necessario mettere il liquido di contrasto nel momento in cui si scattava la lastra ; C.P. la quale ha riferito che sino a quando la Y. aveva prestato servizio nel reparto di endoscopia urologica aveva effettuato regolarmente il servizio in sala operatoria ed aggiunto alcune volte può accadere che il mezzo di contrasto venga iniettato mentre si effettua la lastra ; C.G. che ha dichiarato che le mansioni svolte dalla Y. erano quelle di endoscopista: iniettava il mezzo di contrasto nell effettuare gli esami di pielografia ascendente; dal 1972 al 1993 la Y. è stata esposta a radiazioni ionizzanti fino a quando è andata in aspettativa e successivamente spostata in altro reparto ; d) che tutti i colleghi della Y. erano dotati di piastrina dosimetrica personale per la misurazione delle radiazioni assorbite e sottoposti al controllo fisico della radioprotezione da parte del esperto qualificato; e) che la prassi per cui l infermiera professionale veniva utilizzata, ove necessario, per iniettare il mezzo di contrasto nel momento in cui si scattava la lastra è in contrasto con quanto stabilito dalle norme interne di protezione e di comportamento per il personale soggetto a rischio di radiazioni ionizzanti ove si specificava che durante l esecuzione della scopia gli operatori, compatibilmente con la necessità dell intervento operatorio, devono stare a più di un metro di distanza dall asse centrale del fascio. Analogo avvertimento viene dato dall esperto qualificato nelle schede di controllo delle protezioni radiologiche del 13 luglio 1990, del 5 luglio 1991 e del 6 luglio 1992, ove si specifica che durante l esecuzione dell esame radiografico tipo Pielografia ascendente, che viene eseguito con l apparecchio tipo portatile in dotazione del servizio di radiologia nella sala operatoria della divisione di Urologia, il funzionamento dell apparecchio è sempre affidato ad un TSRM che esegue l esame portandosi al di fuori della sala operatoria nella posizione 1 indicata nello schema. Anche il personale della sala operatoria (medici, infermieri) esce e si porta, durante il tempo di erogazione del tubo Rx, al riparo della parete ; f) che il 16 febbraio1993 la Commissione Medica dell Ospedale Militare di Perugia aveva riconosciuto che l esposizione a radiazioni ionizzanti della Y. aveva assunto valore di fattore causale valido e sufficiente a determinare l insorgenza di fattore concausale valido e sufficiente a determinare l insorgenza di neoplasia mammaria, concludendo per la sussistenza del nesso di causalità tra i fatti di servizio e la infermità in diagnosi; g) che con delibera del 24 agosto 1993, n l amministratore straordinario della USL della Conca Ternana aveva riconosciuto, prendendo atto del predetto verbale della Commissione Medica dell Ospedale Militare di Perugia, che l infermità di cui è affetta la dipendente Y.Y. <<esiti di mastectomia destra con svuotamento del cavo ascellare per eteroplasia mammaria >> è stata contratta per causa di servizio. 4) Sulla base delle considerazioni che precedono, l illiceità della condotta del datore di lavoro USL n. 12 nei confronti della dipendente Y., deve dirsi accertata, in punto di colpevolezza (c.d. colpa specifica), perché posta in essere in violazione delle seguenti norme giuridiche di protezione (istitutive di specifici obblighi di garanzia a carico del datore di lavoro): 1) art. 61 lett. a) D.P.R. 185/64 (D.P.R. abrogato dal Dlgs. 230/95 ma applicabile ratione temporis) che prescrive al datore di lavoro di predisporre ed attuare nei confronti del dipendente le cautele radio protezionistiche di cui al medesimo D.P.R.: nella specie disatteso mediante la semplice utilizzazione della Y. nell espletamento di mansioni comportanti la costante esposizione a fonti radianti nonostante il giudizio di inidoneità espresso dal medico autorizzato; 2) art. 61 lett. c) del medesimo D.P.R. che prescrive l obbligo del datore di lavoro di fornire ai dipendenti esposti i mezzi di protezione e controllo per la sorveglianza dosimetrica: alla Y. non più fornita dal 1986; 3) art. 70 del medesimo D.P.R. che prescrive che i dipendenti utilizzati per lo svolgimento di mansioni che li sottopongono all esposizione a radiazioni ionizzanti vengano sottoposti a controllo fisico di protezione per mezzo dell esperto qualificato incaricato dal datore di lavoro; 4) art. 74 del medesimo D.P.R. per non aver aggiornato la scheda personale di sorveglianza fisica della dipendente Y.. 5) Pertanto, accertata la costante e non protetta esposizione della Y. alle radiazioni ionizzanti (successivamente all insorgenza della patologia mammaria), occorre verificare se possa essere

121 ravvisata una relazione eziologica tra tale comportamento illecito e l aggravamento della patologia neoplastica che ha condotto al decesso della dipendente. 6) Il consulente tecnico d ufficio, prof. Adriana D.C., in applicazione delle regole causali proprie della scienza medica, ha concluso ravvisando la relazione eziologica tra l esposizione della Y. alle radiazioni ionizzanti e lo sviamento blastomatoso delle cellule a livello mammario ( che ha condotto progressivamente, con successivo verificarsi della metastetizzazione, alla morte della dipendete ). Le considerazioni medico legali poste dal ausiliario tecnico alla base di tale conclusione sono le seguenti: 1) il cancro può essere definito per mezzo di tre caratteristiche (e di tre stadi): attività proliferativa; capacità di metastatizzare; relativa autonomia dai meccanismi omeostatici dell organismo; 2) gli agenti cancerogeni comprendono le radiazioni ionizzanti; 3) sebbene le cause specifiche del cancro alla mammella non siano note, i fattori di rischio possono individuarsi nel carcinoma familiare, nella dieta e fattori ambientali, nella terapia sostitutiva con estrogeni in post menopausa, nelle radiazioni; 4) le radiazioni, in particolare, costituiscono uno dei fattori causali nell insorgenza e nell aggravamento dell evoluzione della patologia neoplastica in quanto sono in grado di indurre la comparsa di tumori in quasi tutti i tessuti dell organismo, ed in particolar modo in quelli ad elevato tasso di divisione cellulare; 5) l elevata sensibilità della mammella all azione cancerogena delle radiazioni ionizzanti trova conferma in studi epidemiologici; 6) il fattore radiogeno svolge una efficienza concausale nell insorgenza e aggravamento della patologia neoplastica, unitamente ad altri fattori eziologici, quali in particolare il fattore ormonale; 7) le teorie volte a spiegare la cancerogenesi radio indotta sono duplici: quella della mutazione somatica per danneggiamento del DNA cellulare e quella virale; 8) entrambe le teorie anzidette concludono riconoscendo la capacità delle radiazioni a scompaginare la sostanza extracellulare in modo da consentire l accrescimento neoplastico; 9) all esposizione alle radiazioni ionizzanti doveva pertanto essere riconosciuta una concausalità efficiente nel facilitare le alterazioni intracellulari, che fattori familiari ed ormonali avrebbero predisposto al cancro; 10) nella specie la prosecuzione dell esposizione della dipendente Y. alle radiazioni ionizzanti, anche a seguito dell accertata insorgenza della patologia neoplastica, aveva comportato una sommazione delle conseguenze dannose prodotte dalle radiazioni stesse, con l aggravante del mancato riconoscimento di un eventuale picco di sovraesposizione per l assenza di controllo tramite la piastrina dosimetrica e il controllo ambientale. 7) Sulla base di tali considerazioni l ausiliario tecnico ha concluso che se il divieto di esposizione alle radiazioni ionizzanti della dipendente Y. comminato dal medico autorizzato nel 1986 fosse stato rispettato, con ogni verosimiglianza non si sarebbe verificato lo sviamento blastomatoso delle cellule a livello mammario che condusse progressivamente, con successivo verificarsi della metastatizzazione, alla morte della dipendente; l evoluzione della malattia neoplastica avrebbe assunto caratteristiche di decorso ed evolutive di minore aggressività e, come tali, inidonee ad assumere di per sè valore causale nel determinismo della morte. 8) A questo punto occorre chiedersi se la riconosciuta relazione causale (secondo i criteri della scienza medica) possa essere posta a fondamento di un giudizio di imputabilità alla convenuta della responsabilità aquiliana invocata. 9) Nell ambito della responsabilità civile un essenziale punto di partenza per l indagine in merito alla sussistenza del c.d. rapporto di causalità in fatto (contrapposto alla causalità giuridica, nella quale sono determinate le conseguenze dannose che il responsabile dovrà risarcire, che rinviene la propria regolamentazione nell art c.c.) è rappresentato dalla teorica dell equivalenza delle cause che corrisponde al but for test di common law - e per la quale è causa ogni condizione in mancanza della quale l evento non si sarebbe verificato. Non ogni condizione astrattamente considerata, però, ma quelle che vengono in rilevo sulla base dello specifico criterio di imputazione che si ritiene operante nel caso di specie. Nell imputazione per colpa non la mera violazione di una regola di condotta è sufficiente a fondare la responsabilità, è necessario che risulti che quella violazione sia stata la causa dell evento. 10) Ciò posto, la verifica della causalità richiede il ricorso al giudizio contrafattuale costituito secondo la tradizionale doppia formula, nel senso che: a) la condotta umana è condizione necessaria

122 dell evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti l evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana non è condizione necessaria se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l evento si sarebbe ugualmente verificato [ ] si è osservato che in tanto può affermarsi che, operata l eliminazione mentale dell antecedente costituito dalla condotta umana, il risultato non si sarebbe verificato in quanto si sappia << già da prima >> che da una determinata condotta scaturisca, o no, un determinato evento (così Cass. pen. SS.UU. 10 luglio 2002, n. 27, Franzese, pres. Marvulli, est. Canzio). Lo schema condizionalistico deve pertanto essere integrato dal criterio di sussunzione sotto leggi scientifiche, che possono avere natura universale o statistica, le quali ultime si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di altro evento in una certa percentuale di casi e con frequenza relativa e non assoluta. L individuazione della legge scientifica di copertura ha portata tipizzante, eliminando gli ampi margini di discrezionalità e indeterminatezza che, altrimenti, contrassegnerebbero il giudizio contrafattuale. Nell illecito omissivo improprio lo statuto logico del rapporto di causalità dovrà rispondere al quesito se, << mentalmente eliminato il mancato compimento dell azione doverosa e sostituito alla componente statica un ipotetico comportamento dinamico corrispondente al comportamento doveroso, supposto come realizzato, il singolo evento lesivo, hic et nunc verificatosi, sarebbe, o non, venuto meno, mediante un enunciato esplicativo coperto dal sapere scientifico del tempo >> (sempre Cass. pen. SS.UU. 10 luglio 2002). Il giudice di legittimità nella pronuncia da ultimo citata rileva che il rapporto di causalità dovrà dirsi sussistente ogni qual volta, all esito del ragionamento probatorio svoltosi con metodo induttivo, potrà concludersi che mediante il comportamento dovuto e omesso l evento lesivo sarebbe stato impedito con alto grado di probabilità logica. 11) In sede di imputazione della responsabilità civile i rigorosi criteri formulati dalla Suprema Corte ai fini dell accertamento della causalità in sede di imputazione della responsabilità penale (che rispondono ad evidenti esigenze garantiste, nonché alla tassatività delle fonti di responsabilità penale e di personalità della stessa ex artt. 25 e 27 Cost.) possono però essere attenutati, considerando sufficiente che la condotta in esame abbia aumentato le chance di verificazione di eventi lesivi del tipo di quelli che la norma di condotta colposamente violata tendeva a prevenire. 12) Costituisce elemento del sistema della causalità materiale, operante sia in sede di imputazione della responsabilità civile che in quella del fatto-reato, il principio di equivalenza delle cause, posto dall art. 41 c.p., in base al quale se la produzione di un evento è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale. Tale principio trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal secondo comma dell art. 41 c.p., in base al quale l evento dannoso deve essere imputato esclusivamente all autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (cfr. da ultimo Cass. n del 2006). In sede civile si aggiunge che all interno delle serie causali così individuate può essere dato rilievo esclusivamente a quelle relazioni causali che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. regolarità causale (cfr. da ultimo Cass. n del 2007). Le critiche alla suddetta teoria della regolarità causale da parte della dottrina, la quale non ha mancato di sottolineare che ove il giudizio di causalità adeguata venisse compiuto con valutazione ex ante verrebbe a coincidere con il giudizio di accertamento della sussistenza dell elemento soggettivo, sono state risolte dalla più recente giurisprudenza di legittimità precisando che ciò che rileva è che l evento sia prevedibile non da parte dell agente ma, per così dire, da parte delle regole statistiche e/o scientifiche, dalla quale prevedibilità discende da parte delle stesse un giudizio di non imprevedibilità dell evento (così Cass. SS.UU. n. 580 del 2008). 13) Ferma la comunanza dei principi logico-giuridici che regolano il nesso causale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 580 del 2008, ribadendo un principio già espresso dalla Terza Sezione Civile con sentenza n del 2007, hanno rilevato che ciò che muta tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, nel senso che mentre nel primo vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio nel secondo vige la regola della preponderanza dell evidenza

123 o del più probabile che non, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa e l equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti. 14) Anche la Corte di Giustizia CE ha finito per accogliere la tesi per cui la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (con sentenze n. 295 del 13 luglio 2005 e n. 12 del 15 febbraio 2005, citate da Cass. SS.UU. n. 580 del 2008 la Corte europea ha accolto espressamente il criterio del maggiormente probabile ). 15) Poste le considerazioni che precedono, vi è da chiedersi se la scienza epidemiologica utilizzata dall ausiliario tecnico nel tracciare la relazione di causalità materiale tra l esposizione della dipendente alle radiazioni ionizzanti e lo sviamento blastomatoso delle cellule mammarie sia governata da criteri logici compatibili con l invocata regola probatoria della preponderanza dell evidenza. Il limite della ipotesi epidemiologica, individuato dalla più attenta e moderna dottrina, è rappresentato infatti dall essere governata dalla c.d. causalità generale e non da quella individuale. In particolare, come rilevato in dottrina, l evidenza statistica che risulta dagli studi epidemiologici è, per sua natura, uno studio di gruppo su popolazioni o casi e non su individui e quindi questo tipo di evidenza può non gettare alcuna luce sulla causa di una lesione del singolo individuo. Ed ancora, quando si dice che il << tanto per cento >> dei tumori è dovuto a cause professionali, il numeratore della proporzione (<<casi attesi>>) non deriva dal censimenti di casi privatamente causati da esposizione, bensì dalla differenza tra il numero di casi osservati negli esposti e il numero di casi che ci si sarebbe attesi se l incidenza negli esposti fosse pari a quella dei non esposti; per questa ragione non vi è possibilità di distinguere, tra i casi esposti, chi non si sarebbe ammalato in assenza di esposizione e chi, invece, si sarebbe ammalato egualmente. 16) Così delineata la causalità generale, deve darsi per scontato che essa non possa superare la prova dell oltre il ragionevole dubbio, che costituisce appunto la regola probatoria del processo penale, mentre, per definire se essa sia utilizzabile in sede civile occorre chiarire cosa si intenda per più probabile che non. 17) Mutuando l esperienza della giurisprudenza americana può, infatti, distinguersi una versione forte del più probabile che non, la quale esige sempre la prova particolaristica della causalità individuale, e una versione debole del più probabile che non, la quale - pur riconoscendo l impossibilità logico-scientifica di provare la causalità individuale usando la nozione di causalità generale - ritiene sufficiente la dimostrazione di un apprezzabile aumento del rischio (sul punto, alcune pronunce dei giudici di common law ritengono necessaria la dimostrazione del raddoppio del rischio a seguito di un esposizione mentre altre corti ritengono sufficiente anche un aumento del rischio inferiore a 2). 18) La premessa metodologica dalla quale muove la versione debole del più probabile che non è quella secondo cui, in assenza di una prova diretta, scientificamente affidabile, di causalità specifica, deve essere concesso ai danneggiati di dimostrare che l esposizione al fattore tossico aumenta il rischio del loro danno particolare (dunque quello di cancerogenesi), sì che, se il rischio dovuto all esposizione è più elevato che nella popolazione generale, allora il danno dell attore è stato più probabilmente che no causato dalla esposizione o dalla sostanza. 19) Nella sentenza definita in dottrina quale <<stella-guida>> dell orientamento della giurisprudenza americana portatore della versione debole del più probabile che non (Corte Suprema del Texas del 1997 nel caso Merrel Dow Pharmaceuticals v. Havner, in materia di presunte malformazioni da Benedictin) si legge: riconoscendo che gli studi epidemiologici non possono stabilire la causa specifica del danno o della condizione di un individuo, un problema difficile per le corti è questo: come fa l attore, di fronte a questo rebus, a sollevare una questione di fatto sulla causalità e a soddisfare l onere della prova del più probabile che non?[ ] sebbene riconosciamo che non c è una precisa corrispondenza tra la scienza e l onere giuridico della prova, siamo persuasi che studi epidemiologici ben disegnati ed eseguiti possono entrare a far parte della prova che supporta la causalità [ ] noi riconosciamo che una malattia o una condizione o è o non è causata dalla esposizione ad un agente sospetto e che i dati sulla frequenza, come l incidenza di effetti dannosi nella popolazione generale, se esposta, non possono indicare la vera causa di una data malattia o condizione di un individuo. Ma la legge deve trovare un equilibrio tra la necessità di risarcire coloro che sono stati danneggiati dalle

124 azioni illecite di altri e il concetto che un convenuto non può essere responsabile del danno, a meno che la preponderanza dell evidenza supporti la causa in fatto. In adesione a tale impianto argomentativo ritiene questo Tribunale che l uso degli studi epidemiologici e il requisito dell apprezzabile aumento del rischio secondo criteri di ragionevolezza medica costituiscano, in sede civile, il punto di equilibrio tra le necessità del sistema legale e i limiti della scienza. 20) L ipotesi epidemiologica posto dall ausiliario tecnico a fondamento della ravvisata relazione causale tra l esposizione della Y. alle radiazioni ionizzanti e lo sviamento blastomatoso delle cellule a livello mammario deve pertanto dirsi un ipotesi scientifica sufficientemente affidabile, stante il consenso generale della comunità scientifica nel qualificare le radiazioni ionizzanti come uno dei principali fattori di rischio della neoplasia mammaria e l assenza di validi contro-esempi riportati dal consulente e rinvenibili in letteratura (c.d. teoria della falsificazione). 21) In particolare, un ruolo di particolare importanza nella valutazione qualitativa del rischio cancerogeno è rappresentato dall attività svolta da alcune istituzioni, in primo luogo dall Agenzia di Ricerca sul Cancro dell Organizzazione Mondiale della Sanità (IARC), dalla Commissione della Comunità Europea e dalla Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale del Centro Studi del Ministero della Salute Italiano (CCTN). Tali Organismi, che operano a livello internazionale (coma la IARC) o nazionale hanno il compito di valutare i rischi per l uomo e per l ambiente derivanti dall esposizione a sostanze chimiche o altri agenti, classificando tali agenti secondo specifici criteri, in base ai risultati di studi epidemiologici e di studi sperimentali su animali. I principi che sottostanno ai criteri di valutazione delle varie Agenzie sono molto simili tra loro, le categorie di cancerogenicità, secondo IARC, sono le seguenti: 1. Cancerogeno per l uomo 2. Cancerogeno probabile 2B. Cancerogeno possibile 3. Non classificabile per la cancerogenicità per l uomo 4. Probabile non cancerogeno per l uomo Recentemente alcuni autori hanno affermato che le definizioni comprese nella classificazione IARC si potrebbero tradurre in fattori numerici, assegnando alle varie sostanze gradi di probabilità, che, in termini ipotetici, potrebbero essere indicati come segue: Gruppo Probabilità di cancerogenicità 1 P=100% 2 P=75% 2B P=50% 3 P=25% 4 P=0% A seguito della classificazione dell agente, la quantificazione della sua pericolosità viene fatta sulla base di un indice di rischio che è ottenuto come risultato del rapporto di parametri sanitari negativi (mortalità, morbosità) valutati attraverso l esame di dati statistici-epidemiologici relativi a due popolazioni perfettamente raffrontabili, meno che per l esposizione all agente in esame; ottenendo così il rischio relativo (RR) riferito all unità di dose dell agente oncogeno, come rapporto tra il tasso osservato nella popolazione di studio (T0) e il tasso atteso nella popolazione di controllo (Te) (così Ottenga, Significato dei livelli di cancerogenicità della IARC, 2004, Università di Pisa, Sezione di Medicina del Lavoro). In merito alle radiazioni ionizzanti la IARC si è definitivamente pronunciata con le monografie n. 75 e 76, collocandole nel gruppo 1. Le principali serie epidemiologiche per lo studio degli effetti stocastici sono quelle dei sopravvissuti giapponesi delle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, dei pazienti irradiati per fluoroscopia, dei pazienti irradiati per spondilite, dei pazienti irradiati per tinea capitis del pazienti trattati con radio per tubercolosi, dei minatori esposti al radon, dei pittori di orologi.

125 Il National Institute of Health nel 1985 ha redatto le Tavole Radioepidemiologiche nelle quali ha individuato 12 sedi oncologiche alle quali ha dato credibilità con i livelli di dose ricevuta, con l età dell esposizione, con il tempo trascorso tra esposizione e diagnosi. Il BEIR V (rapporto della National Accademy of Science) nel 1989 ha raggruppato le sedi di interesse oncologico in cinque classi: sangue (leucemia), mammella femminile, apparato digerente, apparato respiratorio, altre sedi. Lo ICRP (International Commission on Radiological Protection) nel 1991 ha elencato i coefficienti di rischio di incorrere in un tumore mortale nel corso della vita, secondo la seguente tabella di indici nominali di probabilità per singoli tessuti: 1. Colon 0,85 2. Esofago 0,30 3. Fegato 0,15 4. Mammella 0,20 5. Midollo Osseo 0,50 6. Ovaio 0,10 7. Pelle 0,02 8. Polmone 0,85 9. Stomaco 1, Osso compatto 0, Tiroide 0, Vescica 0, Tessuti Rimanenti 0,50 Nel 2000 l UNSCEAR, Organismo delle Nazioni unite per lo studio degli effetti delle radiazioni, ha prodotto un rapporto in cui, dopo aver esaminato 85 studi di esposizioni a basso LET e 48 studi di esposizioni ad alto LET, ha individuato 16 siti oncologici con eccesso di rischio relativo riferito ad un sievert di dose sia per il parametro mortalità che per incidenza. Da questi elementi sono stati suddivisi gli organi e tessuti in quattro classi di suscettibilità oncologica alle radiazioni ionizzanti, secondo la seguente tabella (così Ottenga, Significato dei livelli di cancerogenicità della IARC,2004, Università di Pisa, Sezione di Medicina del Lavoro): Molto Alta Alta Media Bassa Leucemia Colon Ovaio Pancreas Mammella Stomaco Melanoma Cavità orale Tiroide Pelle SNC Laringe Polmone Reni Prostata Paratiroidi Esofago Utero Fegato Linfoma H Osso Linfoma non H Deve quindi concludersi ravvisando, in applicazione della regola probatoria della preponderanza dell evidenza, la causalità tra la esposizione della Y. alle radiazioni ionizzanti protrattasi anche dopo il divieto del medico autorizzato (e quindi l insorgenza della formazione neoplastica), e la particolare aggressività dello sviluppo tumorale delle cellule mammarie che si è presto tradotto nel verificarsi della metastatizzazione e quindi nel decesso. 22) L esposizione della Y. alla radiazioni ionizzanti dopo l insorgenza della neoplasia e nonostante la stessa, deve pertanto essere ritenuto, in conformità a quanto rilevato dal consulente d ufficio, uno dei fattori concausali che ha condotto la stessa al decesso ( altrimenti l evoluzione della malattia neoplastica avrebbe assunto caratteristiche di decorso ed evolutive di minore aggressività e, come tali, inidonee ad assumere di per sé valore causale nel determinismo della morte : cfr. ultima pagina della relazione peritale). 23) X.Z. (figlio ed unico erede della Y.) chiede che gli venga liquidato iure ereditario il danno (biologico) patito dalla madre per le lesioni mortali riportate. La giurisprudenza dominante ritiene che

126 la perdita della vita sia irrisarcibile, trattandosi di un bene insuscettibile di essere reintegrato [neppure} per equivalente (Cass. 14 febbraio 2000, n. 1633). Sì che, si conclude nel senso che la persona che in seguito a lesioni causatele da un terzo perda la propria vita dopo un periodo di sopravvivenza, acquista e trasmette agli eredi il solo diritto al risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea, atteso che la nozione medico legale di invalidità permanente presuppone che al termine della malattia la salute dell individuo abbia recuperato un proprio equilibrio sia pure alterato (cfr. da ultimo Cass. 16 maggio 2003, n. 7632; Cass. 14 luglio 2003, n ). Tale ordine di idee ha condotto il giudice di legittimità, con riferimento all ipotesi di morte che segua immediatamente o in un lasso di tempo molto breve all evento lesivo a ritenere che << la morte di un soggetto causata in modo immediato dall altrui atto illecito, non fa acquistare al defunto e di conseguenza agli eredi né il diritto al risarcimento del danno biologico, né quello al risarcimento del danno per perdita della vita >> (cfr. Cass. 14 febbraio 2000, n. 1633). Su tale posizione si è attestata la stessa Corte Costituzionale che, con la pronuncia del 27 ottobre 1994 n. 372, ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell art c.c. nella parte in cui non prevede la risarcibilità del danno da perdita della vita. La Consulta muove da due nuclei argomentativi principali: 1) il diritto alla salute è cosa diversa dal diritto alla vita, posto che il primo è azionabile purchè il soggetto sia in vita (si legge: << la lesione dell integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio >>), non è pertanto azionabile la pretesa per il risarcimento del danno biologico da lesioni immediatamente mortali: il soggetto leso non subisce alcun danno dal momento che cessa di esistere al verificarsi dell evento e pertanto prima che da esso abbia modo di discenderne un pregiudizio inteso quale perdita di un utilità preesistente; ne consegue, in questa logica, che in ipotesi di lesioni che abbiano concesso al danneggiato un periodo di sopravvivenza, l unico danno subito dal de cuis giuridicamente rilevante, e dunque risarcibile in favore degli eredi, sarà quello da invalidità temporanea; 2) è condizione necessaria per procedere alla tutela risarcitoria << la prova ulteriore dell entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quella indicata nell art c.c. costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato>>. Nel caso dell immediatezza della morte la mancanza di una perdita come conseguenza immediata e diretta impedisce, nonostante la lesione del diritto, l insorgenza del credito risarcitorio. Mentre nel caso di sopravvivenza limitata nel tempo l unica perdita apprezzabile sarà quella riconducibile alla nozione medico-legale di invalidità temporanea. Tale ricostruzione del danno biologico si discosta da quella che la stessa Corte Costituzionale aveva sviluppato nella sentenza del 1986 n. 184, ove si afferma che la figura del danno biologico costituisce l evento del fatto lesivo della salute, a differenza del danno morale soggettivo e del danno patrimoniale che appartengono alla categoria del danno conseguenza: <<Il danno biologico è l evento interno al fatto lesivo della salute [ ] la lesione giuridica del bene salute si concreta nel momento stesso in cui si realizza, in interezza, il fatto costitutivo dell illecito >>. 24) Questo Tribunale ritiene di non dover prestare adesione all indirizzo ermeneutico adottato dalla giurisprudenza prevalente, riconoscendo la risarcibilità del danno da morte iure hereditatis (in termini si rinvengono esclusivamente precedenti di merito: Trib. Roma, 24 maggio 1988; Trib. Napoli, 18 maggio 1988; Trib. Napoli 8 luglio 1988; Trib. Milano 9 ottobre 1989; Trib. Vibo Valentia 28 maggio 2001; Trib. Foggia 28 giugno 2002; Trib. Messina 15 luglio 2002; Trib. Brindisi, 5 agosto 2002). La distinzione tra diritto alla vita e diritto alla salute non deve tradursi, come è stato scritto in dottrina, in un << comodo escamotage perché l irrilevanza del meno (la salute) si trasformi nell irrilevanza del più (la vita)>>; l argomento secondo il quale la morte impedirebbe la risarcibilità del diritto alla salute, perché cancella la vita che ne costituisce il presupposto, non considera che il danneggiante è chiamato a rispondere proprio di aver causato l evento mortale privando il danneggiato della propria vita. Il diritto alla vita contiene in sé quello alla salute (32 Cost.), sì che il riconoscimento del secondo impone di attribuire al primo primaria rilevanza costituzionale (ex art. 2 Cost.). Nucleo della Carta Costituzionale intorno al quale gravita l intero ordinamento giuridico è la tutela e il rispetto della persona, che ha ingresso nel sistema della responsabilità civile attraverso la norma generale di cui all art c.c. (in seguito alle sentenze del giudice di legittimità del 31 maggio 2003, n e 8828 può dirsi oramai

127 superata l impostazione teorica che faceva riferimento all art c.c., che ha ad oggetto il risarcimento di danni di natura patrimoniale). E la persona il fulcro della tutela non i suoi singoli diritti (sofisticamente isolati tra di loro), che ne costituiscono soltanto le molteplici esplicazioni. La morte neutralizza la persona, eppertanto esige il risarcimento (sulla necessità di un interpretazione costituzionalmente orientata del sistema della responsabilità civile insistono Cass. 31 maggio n e 8828, nonché Corte Cost. 11 luglio 2003, n. 233). L art c.c. applicabile anche al risarcimento del danno non patrimoniale, non impone una lettura in termini soggettivistici della perdita prodottasi (che imponga quale condizione necessaria della fattispecie la sua percezione da parte della vittima) ma consente una ricostruzione ed un apprezzamento in chiave oggettiva del pregiudizio verificatosi, compatibile con una dissociazione - stante la peculiarità della conformazione della fattispecie che si risolve nella neutralizzazione del diritto alla vita del soggetto leso (che evidentemente non potrà azionare il proprio diritto al risarcimento) - tra il titolare della situazione soggettiva violata (la vita), che è di natura personalissima come tale intrasmissibile, e gli eredi dello stesso che acquistano iure successionis il diritto di credito al risarcimento del danno, sicuramente trasmissibile, nei confronti dell autore della condotta omicida (la rilevanza penale della condotta illecita ha indotto la dottrina ad affermare che: ipotizzare la risarcibilità del diritto alla salute e non di quello alla vita << sarebbe come pensare che le lesioni personali debbono essere penalmente rilevanti e l omicidio no. Poiché così non è, non si vede come si possa pervenire ad esiti diversi nella prospettiva privatistica, la cui diversità rispetto a quella penale non può rilevare proprio sul piano della comune tutela dello stesso bene giuridico >>; questa stessa dottrina ha comunque concluso negativamente per la trasmissibilità iure hereditatis del diritto al risarcimento del danno per lesione del diritto alla vita sulla base della lettura degli artt e 1223 c.c. poi fatta propria da Corte Cost. 27 ottobre 1994, n. 372). La privazione della vita costituisce sicuramente una perdita che obbliga colui che l ha cagionata a compensarla: la circostanza che il relativo diritto di credito non possa essere azionato da parte della vittima fa sorgere esclusivamente il problema risolto dalle regole successorie di individuare il soggetto che potrà farlo, ma non può impedire il riconoscimento della risarcibilità della situazione soggettiva lesa (la vita appunto). Su tali conclusioni sembra assestata la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell Uomo che ha riconosciuto agli eredi il risarcimento del danno per la lesione del diritto alla vita del de cuius, anche ove la morte sia avvenuta istantaneamente: cfr. C.E.D.U. 14 dicembre 2000, Gul c. Turchia, n /93 (Sect. 4) (Eng.); C.E.D.U. 10 ottobre 2000, Akkoc c. Turchia, n /93 e n /93 (Sect. I) (bil), ECHR 2000 X (con sentenze n. 348 e 349 del 2007 la Corte Costituzionale, superando l orientamento interpretativo sin ora assunto - volto ad attribuire valore di legge ordinaria alla convenzione europea dei diritti dell uomo - e valorizzando il riferimento contenuto nell art. 117 Cost. all obbligo da parte della legge di rispettare gli obblighi internazionali, ha concluso riconoscendo alle norme Cedu una maggiore forza di resistenza rispetto alle leggi ordinarie successive: le norme Cedu, nel significato loro attribuito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si collocano in una posizione intermedia tra la Costituzione e la legge ordinaria, alla stregua di un parametro interposto). La questione della risarcibilità del danno da morte iure successionis potrebbe comunque risolversi affermativamente anche collocandosi nella prospettiva del risarcimento del diritto alla salute anziché di quello alla vita (come viene fatto già da tempo in altri ordinamenti: cfr. Corte Distrettuale dell Illinois 15 novembre 1985). Nell ipotesi di uccisione il danno biologico, infatti, ha luogo non al momento del decesso della vittima ma con il prodursi delle lesioni poi rivelatesi mortali. Morte e lesioni non sono eventi coevi ma legati tra loro da un nesso causale. Al momento delle lesioni il soggetto è ancora in vita ed acquista il diritto al risarcimento del danno. Il decesso successivamente verificatosi è circostanza rilevante ai fini del quantum e non dell an debeatur. Si tratta di lesioni che elidono la persona, eppertanto devono essere risarcite al massimo grado. La quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione impone il ricorso ai criteri di liquidazione equitativa ex art e 2056 c.c., tenendo conto dell età che Y.Y. aveva al momento della morte (anni 55), delle sue condizioni di salute, contrassegnate dalla presenza di una malattia neoplastica che avrebbe comunque fatto il suo decorso, e, quindi, della prevedibile vita residua della stessa. Sulla base di tali criteri ritiene equo questo Tribunale liquidare all attualità il danno da perdita della vita in euro ,00.

128 25) Dal danno biologico, riconosciuto all attore iure ereditario, pur essendo qualificabile in termini non patrimoniali e quindi sussumibile nella fattispecie di cui all art c.c. (ragionando nell ambito del sistema bipolare al quale il giudice di legittimità ha ricondotto le plurime voci di danno nel tempo elaborate: cfr. Cass. n e 8828 del 2003), si distingue il danno c.d. esistenziale della Y., del quale lo Z. ha chiesto la liquidazione iure ereditario, definendolo quale danno alla vita di relazione. Il danno esistenziale rappresenta una sintesi verbale che racchiude le molteplici situazioni negative di carattere psicofisico oggettivamente verificabili ed idonee a provocare una lesione di un valore costituzionalmente protetto inerente la persona che si distingue sia dal danno biologico, che si configura tutte le volte in cui è riscontrabile una lesione dell integrità psicofisica medicalmente accertabile, sia dal danno morale soggettivo, inteso in termini di dolore e patema d animo interiore. Esigenze di tipizzazione delle situazioni inquadrabili nella locuzione concettuale di danno esistenziale, eppertanto meritevoli di tutela, hanno indotto parte della dottrina e la giurisprudenza di legittimità a richiedere ai fini del riconoscimento di tale specie di danno non patrimoniale la presenza di una lesione di interessi essenziali della persona, ravvisati in quelli costituzionalmente garantiti, sottolineando a riguardo che il rinvio ai casi determinati dalla legge di cui all art c.c., può ben essere riferito, dopo l entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela. Tra gli interessi essenziali in parola devono essere senz altro ricompresi quelli alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona del danneggiato nell ambito degli assetti relazionali che gli erano propri (art. 2 Cost.). Per danno esistenziale si intende quindi ogni pregiudizio che l illecito provoca sul fare a- reddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (così Cass. SS.UU. n del 2006). Si condividono le argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS. UU. N del 2006) in ordine alla necessità che il danneggiato dimostri in concreto le scelte di vita diverse da quelle che avrebbe adottato se l evento dannoso non si fosse verificato, rilevandosi però, sempre in adesione alla posizione assunta dal giudice di legittimità, che trattandosi di beni immateriali un precipuo rilievo assume la prova per presunzioni, mezzo non relegato nell ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove, cui il giudice può fare ricorso, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del suo convincimento (cfr. Cass. n del 2002). Nella specie, la gravità del decorso della malattia neoplastica di cui la Y. era affetta (rapida metastatizzazione) fa dire accertata, in via presuntiva, la negativa incidenza della stessa sulla vita di relazione e sulla quotidianità di quest ultima, che ne è risultata sconvolta (il ragionamento presuntivo adottato si richiama in sostanza al principio del re ipsa loquitur, di derivazione anglosassone, per cui l evidenza della grave compromissione delle condizioni psicofisiche del danneggiato crea una deduzione di piena compromissione delle attività quotidiane dello stesso). Alla liquidazione di tale voce di danno dovrà pervenirsi secondo il criterio equitativo puro, che ha trovato l avallo del giudice di legittimità con la citata pronuncia n del Ritiene equo questo Tribunale liquidare a tale titolo la complessiva somma di denaro di euro ,00. 26) X.Z. ha chiesto che gli venisse liquidato il danno morale iure proprio subito a causa della morte della madre. Premesso che nell esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottato dalla parte, dovendo tenere conto, piuttosto, del contenuto sostanziale della pretesa così come desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio: fermo restando il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta, ritiene questo Tribunale che nella specie l attore abbia inteso richiedere sia il risarcimento del danno morale soggettivo che quello da perdita del rapporto parentale. 27) La risarcibilità del danno subito dalle c.d. vittime secondarie (cioè dai soggetti collegati da un legame significativo con il soggetto danneggiato in via primaria) è da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità sia in caso di morte che di lesioni della vittima primaria sulla base di una rivisitazione della teorica del nesso causale di cui agli art. 40 e 41 c.p. (causalità di fatto) e dell art.

129 1223 c.c. (causalità giuridica inteso come criterio di selezione dei danni risarcibili): viene riconosciuta l esistenza di un rapporto diretto tra il fatto del danneggiante e il danno subito dalle vittime secondarie costituito dalla lesione dell interesse, costituzionalmente garantito, a mantenere la titolarità del significativo rapporto esistenziale che lo lega alla vittima primaria; sì che non è necessario ricorrere alla teorica dei c.d. danni da rimbalzo che in un primo tempo era stata adottata sulla scorta della giurisprudenza francese (che parla di dommages par ricochet che colpiscono i proches della vittima; cfr. Cass. SS.UU. 1 luglio 2002, n. 9556). Sono vittime secondarie coloro che sono legati da un rapporto familiare con la vittima, ma non si esauriscono soltanto in questi, dovendosi dare risalto anche a particolari legami di fatto. La mera titolarità di un rapporto familiare non rappresenta però l unico criterio da utilizzare in sede di liquidazione del danno, dovendosi anche verificare in che misura la lesione subita dalla vittima primaria abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento (ciò non può non dirsi massimamente sussistente in caso di morte della vittima che è evento che pone fine ad ogni relazione di vita della stessa). Circa l elemento soggettivo si rileva che la prevedibilità dell evento deve essere valutata in astratto e non in concreto e che la lesione dell interesse all intangibilità delle relazioni familiari rientra nell alveo della prevedibilità, rientrando nella normalità che la vittima sia inserita in un nucleo familiare, come coniuge, genitore, figlio, o fratello (così Cass. 31 maggio 2003, n e 8828). 28) Alla liquidazione di tale danno alla persona occorre procedere in base a valutazione equitativa, pervenendo all ammontare in denaro di euro ,00. 29) Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale è ontologicamente diverso da quello c.d. morale soggettivo, consistente nel patema d animo e nella sofferenza patiti a causa della morte del familiare, eppertanto questo deve essere riconosciuto unitamente a quello senza che si dia luogo ad una duplicazione di risarcimento (così Cass. 31 maggio 2003, n e 8828). Anche in questo caso occorre procedere ad una valutazione equitativa del danno, tenuto conto della limitata funzione di ristoro della contingente sofferenza provata che deve attribuirsi alla liquidazione di tale specie di danno, pervenendo a riconoscere in favore di X.Z. la somma di denaro di euro ,00. 30) Venendo infine all azione di garanzia svolta dalla Gestione liquidatoria convenuta nei confronti delle coassicuratrici si deve rilevare l estraneità dall ambito di efficacia della polizza azionata dell evento dannoso nella specie accertato, posto che: a) ai sensi dell art. 2 delle condizioni generali di polizza non sono considerati terzi le persone che, essendo in rapporto di dipendenza con l assicurato, subiscano il danno in occasione di lavoro o di servizio; b) ai sensi dell art. 1 delle condizioni speciali di polizza in materia di responsabilità civile verso i prestatori di lavoro sono espressamente escluse dalla garanzia le malattie professionali e, comunque, in considerazione del rinvio al D.P.R. n del 1965 ad opera dell invocato art. 1 delle condizioni speciali deve ritenersi che la causa della polizza assicurativa in questione risiede nella traslazione dall assicurato all assicuratore del rischio sul primo gravante ex artt. 10 e 11 del citato D.P.R.. Ciò premesso, deve escludersi che la polizza in esame di responsabilità civile verso i dipendenti possa ritenersi operativa per quanto attiene al danno biologico e al danno morale. Infatti la citata clausola sub. art. 1 delle condizioni speciali di polizza presenta il seguente tenore letterale la società di obbliga a tenere indenne l assicurato - sino a concorrenza del massimo di garanzia indicato nella prima facciata di polizza per la responsabilità civile verso i prestatori di lavoro di quanto questi sia tenuto a pagare, a titolo di risarcimento (capitali, interessi e spese) quale civilmente responsabile verso i prestatori di lavoro da lui dipendenti ed assicurati ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n per gli infortuni da loro sofferti (escluse le malattie professionali) da loro sofferti in conseguenza di reato colposo perseguibile d ufficio e giudizialmente accertato, commesso dall assicurato stesso o da un suo dipendente del quale debba rispondere ai sensi dell art c.c.. Stante tale patto contrattuale la responsabilità civile coperta non può essere identificata con quella ritraibile dalla disciplina codicistica, ma deve essere collegata a quella evincibile dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. 1124/65 (in questo senso in una fattispecie analoga a quella in esame cfr. Cass. n del 2006). Ne consegue che la responsabilità del datore di lavoro per il risarcimento del danno biologico ed esistenziale non è certamente ricompresa, trattandosi di periodo sottratto ratione temporis

130 al disposto dell art. 13 Dlgs. 38/00, nella responsabilità di cui agli artt. 10 e 11 D.P.R. 1124/00. La domanda di garanzia svolta dalla gestione liquidatoria convenuta deve pertanto essere rigettata. 31) Concludendo in favore di X.Z. deve essere liquidata la complessiva somma di denaro di euro ,00. Trattandosi di crediti di valore, a decorrere dall anno 1997 (epoca del decesso della Y.) sull importo corrispondente alla somma a quella data devalutata (in base al coefficiente annuale Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati relativo all anno 1997) dovranno essere calcolati gli interessi nella misura del tasso legale (progressivamente vigente), con rivalutazione anno per anno - sempre sulla base dei relativi coefficienti annuali Istat - sino alla data di pubblicazione della presente decisione (ex artt n. 1 e 2056 c.c.; cfr. Cass. SS.UU. 17 febbraio 1995, n. 1712, in precedenza citata). Dalla data di pubblicazione della presente sentenza di liquidazione del danno, che rende il credito di valuta, sono dovuti gli interessi nella misura del tasso legale sino all effettivo pagamento. La Gestione liquidatoria della cessata U.S.L. n. 12 della Conca Ternana, soccombente, deve essere condannata a rimborsare a X.Z. le spese processuali da quest ultimo anticipate, nella misura indicata in dispositivo, nonché quelle di consulenza tecnica d ufficio liquidate con decreto del giudice istruttore del 22 maggio ) Sussistono giusti motivi per compensare per intero le spese processuali anticipate tra la Gestione Liquidatoria convenuta e gli assicuratori chiamati in causa. (...)

131 Cass. civ. Sez. lavoro, , n Svolgimento del processo 1. La sentenza di cui si domanda la cassazione giudica infondato l'appello di G.V.G. e di L.I., fratello e madre di G.B., deceduto il (...) per infortunio sul lavoro, e conferma la decisione del Tribunale di Marsala, di rigetto della domanda di condanna della Medilcoop soc. coop. a r.l., di Gi.Gi. e di Z.A. al risarcimento dei danni patrimoniali, non patrimoniali e biologici. 2. All'esito di rigetto dell'appello la sentenza perviene con la risoluzione delle seguenti questioni: a) esclusione della nullità della sentenza di primo grado sotto il profilo del contrasto tra motivazione e dispositivo, perchè il giudice si era limitato a rilevare che alla controversia non sarebbe stato applicabile il rito processuale del lavoro, ma che ciò non impediva di definire ugualmente il processo; b) inammissibilità della pretesa di ottenere il risarcimento in qualità di eredi, avanzata solo con le note conclusionali nel giudizio di primo grado, mentre con il ricorso introduttivo i danni erano stati rivendicati iure proprio; c) non era configurabile danno biologico subito dal defunto e trasmissibile agli eredi nel caso di morte, mentre nessuna prova i congiunti aveva dato di aver subito un danno biologico; d) non era provato, sul piano dei danni patrimoniali, il contributo economico del defunto; e) nessun elemento oggettivo era stato fornito per dimostrare il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto. 3. Il ricorso di G.V.G. e di L. I. è articolato in sei motivi; i soggetti intimati non hanno svolto attività di resistenza. Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di norme sulla competenza perchè la controversia, avente ad oggetto il risarcimento del danno subito dai prossimi congiunti, esulava da quelle previste dall'art. 409 c.p.c Il motivo è manifestamente infondato perchè la causa è stata decisa dal Tribunale competente a seguito D.Lgs. n. 51 del 1998, che ha istituito il giudice unico di primo grado, mentre l'adozione del rito delle controversie sul lavoro, in luogo di quello ordinario, non pone un problema di competenza, ma solo di, eventuale, violazione di altre norme processuali che abbia inciso sul contraddittorio o sull'esercizio del diritto di difesa o cagionato, in generale, un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte, violazione non denunciata (vedi Cass. 1 settembre 2003, n ; 29 settembre 2005, n ). 2. Con il secondo motivo si censura l'omessa motivazione in ordine al denunciato, in appello, contrasto tra motivazione e dispositivo, della sentenza di primo grado, che aveva espresso il convincimento dell'inapplicabilità del rito del lavoro, con il quale peraltro la causa era stata trattata e decisa Anche questo motivo, connesso al primo, è manifestamente destituito di fondamento. In disparte il rilievo che sul punto la sentenza impugnata contiene una motivazione specifica, stante l'irrilevanza della motivazione stessa in relazione alla denuncia di error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4), per le assorbenti ragioni già esposte nell'esame del primo motivo non può attribuirsi alcun rilievo alle considerazioni, contenute in motivazione, circa l'estraneità della controversia a quelle di cui all'art. 409 c.p.c., controversia pur trattata con il rito del lavoro. 3. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c., art c.c., e art. 32 Cost., unitamente a vizio della motivazione. Si sostiene che la pretesa risarcitoria era stata formulata in termini ampi e comprendeva sia i danni subiti dal defunto, sia quelli propri dei congiunti; in ogni caso, il rigetto della domanda inerente al danno biologico subito dal defunto doveva reputarsi frutto di errore sotto un duplice profilo: a) la morte istantanea concreta il massimo del danno biologico concepibile; b) nel caso concreto, poi, la morte era avvenuta a distanza di ventiquattro ore dal fatto lesivo.

132 3.1. Il primo profilo di censura contenuto nel motivo in esame è inammissibile per difetto di interesse al suo esame. La sentenza impugnata, infatti, sebbene abbia premesso l'inammissibilità della pretesa perchè non formulata nel ricorso introduttivo, ne ha poi esaminato il fondamento di merito La tesi secondo cui l'evento morte produrrebbe sempre, e nella misura massima, danno biologico per la vittima, con conseguente trasferimento agli eredi del diritto al risarcimento, non è fondata. La giurisprudenza della Corte esprime il consolidato principio secondo il quale la lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall'evento lesivo, non è configurabile come danno biologico (diverso dal danno morale che la morte sempre produce), giacchè la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, essendovi un'effettiva compromissione dell'integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis (vedi, tra i numerosi precedenti, Cass. 17 gennaio 2008, n. 870; 6 agosto 2007, n ). Nè si può sostenere la non conformità a Costituzione dell'assenza di tutela privatistica del diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venire meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, siccome il diritto alla vita è protetto con lo strumento della sanzione penale e la funzione non sanzionatoria, ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizievoli svolta dal risarcimento del danno, non rende possibile che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, il diritto insorga quando tale persona abbia cessato di esistere (vedi Cass. 25 maggio 2007, n ) La tesi, subordinata, fondata sulla circostanza che il decesso si era verificato in data , giorno successivo a quello dell'infortunio, critica la valutazione del giudice del merito, secondo il quale la sopravvivenza di tale durata non era stata sufficiente a far acquistare alla vittima il diritto al risarcimento del danno biologico, in modo del tutto generico, senza alcuna precisazione relativa alle ore di sopravvivenza e ad altre circostanze del caso concreto, delle quali si sarebbe dovuta comprovare la rituale introduzione nel giudizio per denunciare l'omissione di congruo apprezzamento. La censura risulta perciò non ammissibile. 4. Il quarto motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione omessa e insufficiente sulla decisione di rigetto della pretesa risarcitoria del danno biologico e morale dei congiunti. Si deduce che era stata chiesta una consulenza tecnica, non ammessa senza una valida giustificazione Il motivo è inammissibile perchè omette di precisare le necessarie allegazioni dirette a specificare i danni subiti, precisazione necessaria per valutare i contenuti dell'obbligo di motivazione del giudice del merito in relazione ad una richiesta di consulenza tecnica. Al riguardo, va richiamato il principio secondo cui il danno biologico subito direttamente dai prossimi congiunti della vittima va accertato sulla scorta di elementi oggettivi, quali la documentazione sanitaria e ad altre precise allegazioni, e non può consistere nella deduzione di una generica lesione della salute, da accertare mediante consulenza tecnica d'ufficio, tenuto conto che la consulenza non è mezzo di prova e non può sollevare la parte dal relativo onere, nè può avere finalità meramente esplorative (vedi Cass. 19 febbraio 2007, n. 3758; 18 gennaio 2007, n. 1105; 11 gennaio 2006, n. 212). 5. Con il quinto motivo è denunciato vizio di motivazione insufficiente del rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale. Si deduce che la prova che il defunto, pur dopo l'allontanamento dalla casa paterna, contribuiva sistematicamente al mantenimento della madre e del fratello, risultava dalla documentazione acquisita alla causa e dalla deposizione del teste P Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata esclude che fosse acquisita la prova della sistematicità e continuità del contributo economico alla famiglia.

133 L'accertamento di fatto è censurato per non essere stati adeguatamente valutati i fatti emergenti dalla documentazione prodotta e dalla prova per testi, ma nè della prima nè della seconda si riportano i contenuti ritenuti decisivi, in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (vedi Cass. 17 luglio 2007, n ). 6. Il sesto e ultimo motivo di ricorso domanda la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui rigetta, per difetto di prova, la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto. Si denunzia vizio di insufficiente motivazione in ordine alla mancata ammissione della chiesta consulenza tecnica e alla valutazione della gravità dell'evento lesivo in relazione al grado di parentela, fatti sufficienti a comprovare il pregiudizio Questo motivo merita accoglimento. La giurisprudenza della Corte è consolidata nel senso che, in tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, siccome la prova può essere desunta anche solo in base allo stretto vincolo familiare; ai fini della valutazione del danno morale conseguente alla morte di un prossimo congiunto; quindi, l'intensità del vincolo familiare può già di per sè costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la prova dell'esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, mentre l'accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il congiunto deceduto può rappresentare soltanto un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale (vedi Cass. 11 maggio 2007, n ; 19 febbraio 2007, n. 3758; 19 gennaio 2007, n. 1203; 30 ottobre 2007, n ) All'enunciato principio la sentenza impugnata non si è attenuta, richiedendo la prova specifica del danno non patrimoniale subito dalla madre e dal fratello del deceduto; in accoglimento del sesto motivo di ricorso la sentenza va, di conseguenza, cassata con rinvio ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Caltanissetta, perchè, uniformandosi al principio di diritto enunciato, proceda alla liquidazione del danno non patrimoniale subito dai ricorrenti in base ai criteri equitativi fondati sulla gravità del fatto e sul vincolo di parentela, sull'intensità del dolore patito a causa dell'evento luttuoso e su ogni altro elemento della fattispecie concreta Il giudice del rinvio è incaricato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione (art. 385 c.p.c., comma 3). P.Q.M. La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Caltanissetta.

134 Cassazione civile, sez. III, 12 dicembre 2008, n Motivi della decisione Il ricorso merita accoglimento per il secondo e quinto motivo, assorbito il sesto, rigettandosi i restanti motivi in quanto infondati. Secondo l'ordine logico precede l'esame dei motivi non meritevoli di accoglimento. A. Esame dei motivi infondati (primo, terzo e quarto). Nel primo motivo si deduce error in iudicando (per la violazione degli artt.123 bis disp.att.c.p.c.,168 secondo comma c.p.c. e 347 terzo comma c.p.c.) per la incompleta valutazione del materiale probatorio, per non avere il difensore della parte ora ricorrente allegato il fascicolo di parte. Si deduce inoltre il vizio della motivazione su tale punto. Il motivo è infondato in ordine all'error in iudicando (rectius: error in procedendo), posto che la Corte (ff 12 rigo 18 e seguenti) ha dichiarato di dover decidere allo stato degli atti, tenuto conto della produzione del fascicolo di parte contenente anche una riproduzione del fascicolo di primo grado. Non sussiste pertanto alcuna violazione delle norme processuali richiamate (cfr: Cass 1995 n.6628; 1998 n.4576; 2000 n per casi simili). E' invece inammissibile in ordine al vizio della motivazione, non risultando specificato il punto argomentativo in cui il vizio si colloca. Nel terzo motivo si deduce error in iudicando e vizio della motivazione per il ridotto riconoscimento del danno da invalidità temporanea ed il relativo vizio della motivazione, sul rilievo che tale liquidazione andava fatta al tempo della sentenza e non all'epoca del sinistro con la aggiunta di interessi compensativi e legali. Il motivo è inammissibile vuoi come error in iudicando vuoi come difettosa motivazione, sul rilievo che non risultano censurati i passi della sentenza (ff 36 e 37) che invece considerano tale voce di danno al tempo della seconda decisione, allorché è stato determinato globalmente il ristoro (sia pure in maniera errata, ma per altre ragioni, di cui diremo più innanzi). Nel quarto motivo si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione con riferimento alla mancata rideterminazione e rivalutazione del danno patrimoniale, in relazione alla attività lavorativa di commerciante e armatore di un peschereccio, che avrebbe risentito come lucro cessante. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti: la Corte (ff 34 e 35 della sentenza) invero ha motivato adeguatamente in ordine a tale valutazione, considerando anche la morte sopravvenuta il 7 gennaio 2002 in corso di causa, e non sussiste alcuna sottovalutazione di tale danno. Esame dei motivi fondati (secondo e quinto, assorbito il sesto). Nel secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c, violazione degli artt. 2, 3, 32 della Costituzione e conseguente violazione del principio, di rilievo costituzionale, del risarcimento integrale del danno alla persona". Il motivo ampiamente illustrato (ff 10 a 35 del ricorso) evidenzia, in modo autosufficiente, la attività difensiva svolta in appello per dimostrare l'aggravamento delle condizioni di salute del pedone, e l'error in iudicando commesso dalla Corte di appello, la quale, pur persistendo l'inadempimento del responsabile civile del danno e dell'assicuratore solidale, non ha considerato come insita nella domanda risarcitoria la rivalutazione del danno comunque rideterminato ai valori attuali come debito dì valore. Poiché la censura è in punto di diritto e riproduce diffusamente il ragionamento della Corte di appello (ff 16 e 24 della motivazione) occorre considerare i punti della decisione alla luce di alcuni principi di diritto ormai universalmente condivisi dal diritto vivente (Cassazione e Corte Costituzionale inclusa) in ordine al fondamento costituzionale del diritto alla salute come diritto inviolabile della persona e in ordine alla tutela integrale della lesione in sede di risarcimento del danno ingiusto che deve essere liquidato tenendo conto delle sue conseguenze patrimoniali e non patrimoniali, ma pur sempre come debito di valore, da considerare all'attualità della liquidazione in via transattiva o in via giudiziaria. La Corte di appello (ff 20 della sentenza) conferma la valutazione della entità del danno biologico, nella misura del 62% sulla scorta dell'esito peritale consacrato dalla stabilizzazione di postumi accertata

135 in primo grado, ma si pronuncia sulla richiesta di valutazione di aggravamento (ff 20 in fine pagina, su tale punto la esclusione del nesso eziologico tra la neoplasia sopravvenuta e le lesioni originarie costituisce apprezzamento in fatto congruamente motivato) e poi procede (ff 26) ad ulteriore ridimensionamento del danno biologico (da 340 a 200 milioni ai valori attuali, in ordine a lesioni gravissime determinanti la perdita totale della capacità lavorativa generica oltre che specifica) sul rilievo che il Villani è sopravvissuto per nove anni e tre mesi a tali gravissime menomazioni subendo un danno psichico rilevante. Il criterio di valutazione del danno biologico appare pertanto in violazione dei principi consolidati che esigono, nel caso di lesioni gravissime con perdita totale della capacità lavorativa generica e con concorrenti danni psichici, una analitica indicazione e valutazione delle componenti di tale danno non patrimoniale, anche con la applicazione di tabelle medico legali ed attuariali, ma sempre con una necessaria personalizzazione del danno tenendo conto del possibile aggravamento, secondo le indicazioni scientifiche e la documentazione medica prodotta, anche nella fase dell'appello. Ma un secondo error in iudicando si evidenzia dalla lettura della motivazione (ff. 24 a 26), là dove la Corte di appello dichiara di applicare i criteri di liquidazione (citando Cass.1995 n e 2000 n. 9182, ma il principio appare consolidato) che governano la fattispecie nel caso in cui la parte danneggiata deceda per cause sopravvenute indipendenti dal fatto lesivo, e calcola i danni futuri rapportandoli alla sopravvivenza (di anni 9 e tre mesi dal fatto) e detraendo dal danno biologico statico, valutato al tempo dello evento lesivo (ff 24) in lire 340 milioni, la somma di 140 milioni, senza tener conto che l'importo del danno statico (come perdita della salute staticamente accertata per il consolidarsi dei postumi invalidanti) è stato liquidato ai valori del 1992 (tempo del sinistro) mentre andava rivalutato sino al tempo della morte (7 gennaio 2002) e su tale debito di valore doveva poi considerarsi l'effetto estintivo della morte in relazione al cd. danno futuro. L'effetto della illogica applicazione dei precedenti, senza considerare la fattispecie concreta e la mancata deduzione, da parte dell'appellante incidentale (assicuratore), di una richiesta di riduzione del danno biologico liquidato, mentre l'altro responsabile civile ( proprietario assicurato) restava contumace, ha determinato una grave riduzione del danno risarcibile, in violazione al ricordato principio del risarcimento integrale del danno reale subito dalla vittima e trasmissibile iure hereditatis ai suoi eredi. Il principio di diritto che vincola il giudice del rinvio è dunque il seguente: nel caso di lesioni gravissime da illecito stradale (2054 c.c.) con perdita della salute, quantificata nella misura del 62% cui si aggiunge la perdita della capacità lavorativa totale sia per la capacità generica (concorrenziale) che per quella specifica, il danno biologico deve essere necessariamente personalizzato calcolando anche la componente della capacità lavorativa e del danno psichico (peraltro accertato a ff 22 della motivazione unitamente al danno estetico e per la perdita della vita di relazione), (cfr.cass 8 giugno 2007 n e 25 giugno 2007 n,12247), sicché ai valori tabellari della stima statica della gravità del danno (valutata al 62%) devono aggiungersi in aumento le altre componenti, secondo un prudente apprezzamento, che tenga conto del tempo della liquidazione (nella specie nuovamente effettuata dalla Corte di appello) e dell'eventuale probabile aggravamento verificatosi nel decennio successivo, ove documentato e scientificamente provato. La morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria, incide sulla valutazione del danno biologico futuro, che resta tale nella sua integrità sino al tempo del decesso, come debito di valore. Pertanto la riduzione non opera sulla determinazione del danno biologico statico (consolidamento dei postumi al tempo della vita e riconoscimento della invalidità) ma solo sulla determinazione del danno biologico globale, considerato ai valori attuali al tempo della decisione (di primo grado o di appello ove sia in discussione la determinazione del danno in tale grado) in relazione alla estinzione del danno futuro a seguito della vita. Inoltre la Corte non può applicare d'ufficio la riduzione del quantum debeatur, in relazione ad un evento accaduto nel corso del giudizio di merito e non dedotto come causa estintiva di parte del debito per il danno biologico (v.le conclusioni formulate nella udienza del 14 aprile 2002). (cfr. art. 112 c.p.c. e Cass. 12 marzo 2004 n e 14 gennaio 2004 n. 387).

136 Nel quinto motivo si lamenta error in iudicando e vizio della motivazione, in punto di ridotta liquidazione del danno morale, peraltro rivalutato dalla Corte di appello (ff 37 a 38) in lire 110 milioni all'epoca del fatto. Il motivo deve essere accolto in relazione all'error in iudicando consistito nel valutare tale danno pro quota del danno biologico, sottostimato per le considerazioni che precedono. Si aggiunge che, nella fattispecie in esame, trattandosi di lesioni gravissime con esiti dolorosi anche dal punto di vista psichico, la autonomia ontologia del danno morale deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico. Il principio vincolante per il giudice del rinvio è dunque il seguente: nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale: art.2 della Costituzione in relazione allo art.l della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'italia con legge 2 agosto 2008 n.190, collocando la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute. (Cass. 19 agosto 2003 n.12124; Cass.27 giugno 2007 n tra le più significative vedi ora SU 11 novembre 2008 n punto 2.10). Resta assorbito il sesto motivo sulla condanna dell'assicuratrice oltre i limiti del massimale, atteso che la rideterminazione del danno, tenendo conto degli acconti versati, potrà considerare il superamento di tali limiti ove si accerti l'inadempimento dell'assicuratore in ordine al completo risarcimento del danno (ed. malagestio nei confronti del danneggiato: cfr. Cass n.315, Cass n.10773, Cass n tra le tante). All'accoglimento del ricorso segue la cassazione con rinvio alla Corte di appello di Salerno, che si atterrà ai principi di diritto come sopra indicati e provvedere anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo i principi di soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso in relazione al primo, terzo e quarto motivo, accoglie per quanto di ragione il secondo ed il quinto, assorbito il sesto, cassa in relazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Napoli.

137 Tribunale di Lecce, sez. Maglie, 29 novembre 2008, n. 368 Svolgimento del processo Con atto i signori C. G. e C. S. convenivano al giudizio di questo Tribunale la assicurazioni ed il signor V. S. nella qualità rispettivamente di società assicuratrice e proprietario e conducente dell autovettura trg. per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni tutti subiti da essi attori, per la morte del loro padre, C. O., a seguito dell incidente stradale accaduto il, mentre quest ultimo alla guida dell autovettura, dalla vicinale Muro Leccese- Palmariggi si immetteva sulla SS 497; danni che quantificavano in complessive. ciascuno. A sostegno della domanda deducevano: - che nell occorso il loro genitore, giunto all intersezione con la SS 497, dopo essersi fermato, ne aveva intrapreso l attraversamento, quando dalla sua sinistra, fuoriuscendo da un curvone, sopraggiungeva la condotta dal V. che investiva violentemente la proiettandola a circa 15 mt di distanza; - che l incidente era da addebitare in via esclusiva alla condotta di guida del V., come era stato dimostrato dalla perizia svolta in sede penale, dove peraltro, questi aveva patteggiato la pena ex art. 444 c.p.p. Così dettagliavano i danni da ciascuno subiti:. per danno morale;. per danno patrimoniale,, sempre pro quota, per spese funerarie e distruzione dell autovettura di proprietà della vittima. Dei convenuti si costituiva la sola società assicuratrice convenuta e contestava la responsabilità del proprio assicurato deducendo che causa principale dell incidente era stato il comportamento di guida del C. il quale, in violazione delle prescrizioni della segnaletica verticale, ometteva di dare la precedenza al veicolo condotto dal V. il quale aveva anche messo in atto una decisa azione di frenatura al fine di evitare la collisione con la. Contestava poi la domanda anche nel quantum, in particolare riguardo al danno patrimoniale richiesto. Con separato atto notificato in data anche C. G., quale figlia ed erede di C. O., conveniva in giudizio la predetta società ed il V., per le medesime ragioni fatte valere d gli altri due germani nel presente giudizio. Disposta la riunione di entrambe le cause nell udienza del ed esaurita l istruzione con l espletamento delle prove orali richieste dalla parti, precisate le conclusioni, il giudizio era trattenuto per la decisione con l assegnazione dei termini di legge per il deposito di conclusionali e repliche. Motivi della decisione Deve essere preliminarmente dichiarata la contumacia di V. S., che non si è costituito, benché regolarmente citato. Nel merito, va anzitutto premesso che le conclusioni raggiunte dal perito nominato nel corso del giudizio penale per omicidio colposo instauratosi a carico del V., sulle quali in sostanza la società assicuratrice convenuta ha fondato la sua difesa, sono del tutto ininfluenti in quanto palesemente contraddette dalle risultanze obiettive emergenti dalla stessa relazione. Si legge invero nell elaborato acquisito agli atti del presente giudizio senza contestazione tra le parti: Nella direzione verso Santa Cesarea Terme (quella seguita dall autovettura del V.) la segnaletica verticale è rappresentata da un segnale di incrocio posto a distanza di circa 160 metri dall intersezione con la vicinale (da cui proveniva la della vittima C. O.) e da una segnalazione di limite di velocità di 50 Km/h, curva pericolosa. Segue, poi, la precisazione che tale limite è stato imposto in epoca successiva, in quanto alla data dell incidente risultava fissato in base al rapporto dei CC in 70 Km/h. Risulta altresì evidenziato l elevato stato di usura del battistrada delle gomme anteriori dell autovettura, mentre lo stato del mezzo non ha consentito di svolgere un indagine sull efficienza dell impianto frenante. Quanto al punto d urto, infine, esso è stato individuato al centro della carreggiata con le ruote sinistre della al di là della mezzeria stradale (di sua pertinenza).

138 Ma soprattutto, passando al calcolo delle velocità di marcia dei veicoli il perito ha rilevato: Per quanto riguarda l autovettura condotta dal C., dalla posizione assoluta d urto appare evidente che l urto si è avuto mentre questa stava attraversando la strada provinciale per immettersi sul lato della strada vicinale posto di fronte a quello di provenienza. La velocità calcolata del veicolo è assolutamente incompatibile con un eventuale manovra di attraversamento senza arresto sull intersezione stradale. L esiguità del valore della velocità dell autovettura porta dunque a concludere che, negli istanti immediatamente precedenti all urto, il C. stava operando una manovra di attraversamento dell incrocio con partenza da fermo. Per contro, con riguardo alla condotta di guida del V. lo stesso perito ha accertato: la velocità calcolata dell autovettura del V. è risultata compresa tra 120 e 130 Km/h. Non vi è alcun dubbio circa l esistenza di un nesso di causalità tra il verificarsi dell incidente e l eccesso di velocità della. Si può infatti dimostrare che se l autovettura del V. avesse viaggiato a velocità inferiore al limite massimo concesso, il C. avrebbe avuto tutto il tempo di completare la manovra di attraversamento dell incrocio senza venire in collisione con l autovettura antagonista. Dopo aver fornito la relativa dimostrazione con calcolo matematico, peraltro fondata sulla premessa (opinabile) della percezione da parte del V. della situazione di pericolo a distanza di soli settantacinque metri dall intersezione con la strada vicinale, il tecnico ha ribadito: Pertanto, se il V. avesse condotto la propria autovettura entro il limite massimo consentito dalla segnaletica stradale l incidente non si sarebbe verificato Infatti se il V. avesse ottemperato al limite massimo prescritto, se pur per pochi istanti, la propria autovettura sarebbe transitata sull incrocio dopo la completa effettuazione della manovra di attraversamento della. E di tutta evidenza l incompatibilità di tali riscontri obiettivi rilevati dall ing, V., perito, come innanzi detto, incaricato dal giudice penale e comprovati addirittura dalla dimostrazioni di calcolo illustrate nella sua stessa relazione, con le conclusioni (non dovute) che egli ha poi tratto in tema di nesso di causalità affermando al riguardo: causa principale dell incidente è stato il comportamento di guida del C., il quale, in violazione delle prescrizioni della segnaletica verticale ometteva di dare la precedenza al veicolo condotto dal V. nonché: concausa dell incidente è stato il comportamento di guida del V., il quale conduceva il proprio veicolo a velocità eccessiva, omettendo di ottemperare al limite imposto pari a 70 km/h dalla segnaletica verticale. E smentita, invero, dagli stessi calcoli elaborati sulla velocità di marcia dei veicoli coinvolti nel sinistro l asserita mancata precedenza da parte del C. all autovettura condotta dal V., avendo lo stesso perito accertato che l autovettura fu letteralmente centrata dall autovettura del V., mentre il C. stava operando una manovra di attraversamento dell incrocio con partenza da fermo. E palesemente apodittico e privo di reale fondamento dunque l addebito, mosso dal perito al C., del mancato rispetto della segnaletica verticale di dare la precedenza, che in realtà egli ha desunto in maniera del tutto aprioristica, e forse anche inconsapevole, sulla base del solo riscontro dell apposizione di detta segnaletica all intersezione interessata. Come dire, dalla verifica della esistenza del segnale di dare precedenza all intersezione della vicinale con la SS497, il perito ne ha inferito automaticamente anche la relativa mancata osservanza, senza scindere cioè tra il momento statico dell obbligo e il momento dinamico dato dalla concreta verifica del rispetto dell obbligo stesso nella contingente circostanza. Ma anche a voler tutto concedere e, quindi, a voler addebitare al C. - restando indiscutibile il dato di fatto che egli ripartì da fermo- un errore di calcolo nella valutazione della velocità tenuta dall autovettura che sopraggiungeva dalla sua sinistra (ma l ipotesi più verosimile, a meno di non dover ipotizzare una volontà suicida del C., è che questi non sia stato in condizione di avvistarla, come si può agevolmente ricavare dalla deposizione del maresciallo S. R. il quale nel verbale di udienza del ha dichiarato: Preciso che in caso di elevata velocità dall uscita della curva all incrocio passa pochissimo tempo, forse un secondo ), parimenti resterebbe esclusa ogni rilevanza a livello di causalità tra un tale errore e l evento dannoso.

139 Va considerato infatti che nell occorso il conducente della teneva una velocità tra i 120 ed i 130 Km/h, di gran lunga superiore quindi a quella all epoca consentita (70 km/h), attualmente addirittura abbassata a 50 km/h, che rapportata alle condizioni del mezzo (gomme anteriori con elevato stato di usura del battistrada) e a quelle della strada, (curva pericolosa, presenza di incrocio), non può non essere ritenuta, di per sé sola, indice di massima imprudenza al limite estremo della colpa, al confine cioè con l altro elemento soggettivo del reato in generale, come noto, ben più grave. Se a ciò si aggiunge che il punto d urto avvenne al centro della carreggiata, quando cioè la aveva quasi guadagnato l altra corsia e comunque aveva lasciato dietro di sé lo spazio sufficiente per il passaggio della, se solo questa avesse mantenuto la propria destra, allora ben si vede come non ci sia modo di riconoscere, nemmeno a livello di manovra di emergenza, alcuna attenuante alla gravità della condotta di guida del V. La velocità alla quale viaggiava, spaventosa se rapportata alle condizioni del suo mezzo (del quale non sono state accertate, peraltro, le condizioni dell impianto frenante), fu la causa unica ed esclusiva del sinistro in esame, che avrebbe potuto essere facilmente e sicuramente evitato ove il V., nonostante la velocità tenuta, avesse mantenuto la sua vettura sulla propria destra, durante la manovra di emergenza di frenatura; egli aveva infatti sulla sua corsia di marcia lo spazio più che sufficiente per passare alle spalle della. Egli invece, incredibilmente, si spostò con la sua autovettura sulla sinistra verso il centro della carreggiata, inseguendo addirittura, e finendo per intersecarla perpendicolarmente, la traiettoria della. Passando all esame del quantum debeatur, nessuna questione si pone in ordine al danno patrimoniale iure hereditatis per la distruzione dell autovettura di proprietà della vittima che può essere liquidato nella misura di. (corrispondente al valore antesinistro all epoca del danno, desumibile dalle riviste del settore), Vanno certamente riconosciute le spese funerarie nella misura richiesta e documentata di complessivi. (v. fattura del per. e. per loculo). Non si ritengono giustificate invece le spese per vestiario, peraltro documentate da una fattura di ben due mesi successiva all evento. (v. fattura del ). Del pari, non si ritiene di poter riconoscere danno patrimoniale iure proprio a nessuno degli attori che, come risulta dalla situazione di famiglia, alla data del decesso del genitore, avevano tutti costituito nuclei familiari autonomi da non meno di venti anni. Né è verosimile che gli stessi abbiano goduto abitualmente e comunque potessero godere in futuro, data l età della vittima, di contributi patrimoniali significativi da parte del padre, eccezion fatta per i prodotti della campagna, come è emerso peraltro dalle deposizioni rese dai testi addotti. A ciascuno degli attori va invece senz altro riconosciuto iure proprio il danno morale soggettivo, ossia il ristoro delle sofferenze morali patite in conseguenza della perdita traumatica del loro congiunto. La liquidazione di tale voce di danno è di agevole valutazione dovendo fare ricorso alle tabelle di questo Tribunale in vigore all epoca del fatto dannoso che, considerate le circostanze del caso (in particolare età degli attori e abbandono del nucleo familiare originario in epoca risalente) si ritiene di poter applicare secondo i valori medi in esse previsti. E, quindi, in circa. pari a. (importo arrotondato per difetto, considerato che il valore medio di cinquanta milioni di lire si riferisce alle tabelle ) in favore di ciascuno degli attori. Agli stessi deve essere riconosciuto anche il richiesto danno esistenziale; tanto sulla base della lettura costituzionalmente orientata dell art cod. civ. proposta nelle ormai note pronunzie della Suprema Corte (n e n. 8828) dalle quali è partita in realtà la rivisitazione di gran parte dei principi finora dominanti in tema di responsabilità civile, rivisitazione condivisa, expressis verbis, anche dalle Sezioni Unite con l attesissimo intervento dei giorni scorsi (cfr. Cassaz., SS.UU. nn , 26973, 26974, 26975). Confermata, la concezione bipolare per cui, pur rimanendo unica la configurazione della fattispecie illecita, come delineata dagli elementi essenziali previsti dall art cod. civ., il risarcimento del danno patrimoniale deve essere ricondotto nell alveo di detta norma, mentre il

140 risarcimento del danno non patrimoniale resta delegato all art cod. civ., il giudice di legittimità ha ancora una volta ribadito il superamento della interpretazione restrittiva per cui danno non patrimoniale uguale danno morale e uguale danno risarcibile solo nei casi derivanti da reato, e ricondotto a mera sintesi descrittiva la triplice accezione del danno non patrimoniale. In passato (Cassaz. n. 9861/2007). la Corte aveva affermato: Il danno non patrimoniale ex art è danno scaturente dall evento dannoso di carattere tipico che si compendia nella triplice accezione del danno morale soggettivo, quale mero dolore o patema d animo interiore; del danno biologico consistente nella lesione dell integrità psico-fisica accertabile in sede medico legale; del cosiddetto danno esistenziale quale pregiudizio che determina una modifica peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento delle abitudini di vita con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell ambito della comune vita di relazione, sia all interno che all esterno del nucleo familiare, conseguente all ingiusta violazione di valori essenziali della persona costituzionalmente tutelati. In realtà, a parte l inquadramento sistematico volto a sottolineare a chiare lettere l insuscettibilità del danno esistenziale ad assurgere a categoria autonoma di danno, il recente intervento delle Sezioni Unite è rimasto ancorato ai principi già compiutamente delineati nelle note sentenze gemelle del 2003 (n 8727 e 8728). Muovendo dalla tipicità del danno non patrimoniale, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge, le Sezioni Unite hanno distinto nettamente le tre ipotesi possibili della risarcibilità del danno non patrimoniale: a) in presenza di reato; b) nei casi determinati dalla legge; c) fuori dai casi determinati dalla legge. In presenza di reato, affermano le sezioni Unite, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo identificato con il patema d animo transeunte ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile E ciò, non solo quando tale pregiudizio è conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, come nel caso concreto, dove la morte del congiunto ha comportato la perdita del rapporto parentale, ossia la lesione dei diritti della famiglia (artt 2,29 e 30 costituz.), ma anche quando il pregiudizio è conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti purchè sussista il requisito del ingiustizia generica secondo l art 2043 cod civ.., poichè la tipicità in presenza di reato, è insita nella stessa scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato. Scelta che presuppone la rilevanza dell interesse leso. Nella seconda ipotesi e cioè negli altri casi determinati dalla legge, la tipicità del danno non patrimoniale è ovviamente fuori discussione perchè la selezione degli interessi è già compiuta (a monte) dal legislatore. Infine, nella terza ipotesi, cioè in assenza di reato e fuori dei casi determinati dalla legge in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona. Deve cioè sussistere un ingiustizia costituzionalmente qualificata. Anche in tema di onere della prova le Sezioni Unite hanno, ricalcando principi già espressi dalle sezioni semplici, ribadito che il danno non patrimoniale, in quanto danno conseguenza, deve essere comunque allegato e provato ed hanno altresì espresso il giudizio prognostico del precipuo rilievo, rispetto a questo tipo di danno, considerato che il pregiudizio attiene ad un bene immateriale, che sarà destinata ad assumere la prova per presunzioni, mezzo peraltro non relegato dall ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove cui il giudice può fare ricorso anche in via esclusiva per la formazione del suo convincimento (cfr. anche Cassaz. n /2002). Da siffatti principi discende automatico il riconoscimento del danno esistenziale, ritualmente richiesto nel caso concreto, in quanto rientrante nel petitum originario, delineato dagli attori

141 nell atto introduttivo del giudizio con riferimento a tutti i danni subiti per la morte del padre e per qualsiasi titolo, materiali e non. Nel merito si osserva quindi che, pur trattandosi di soggetti che da tempo hanno costituito un loro nucleo familiare, non per questo si può negare che la perdita in maniera così traumatica del genitore non abbia sconvolto le loro abitudini di vita, privandoli improvvisamente del contributo di esperienza, suggerimenti, consigli, sostegno morale di un padre ancora relativamente giovane. Si tratta della lesione di un vero e proprio diritto con fondamento costituzionale (artt e 30 Costituz.), sinteticamente riassunto in danno da perdita del rapporto parentale, derivante dalla violazione del diritto, in definitiva, all intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell ambito della famiglia (cfr. Cassaz. n /2006; 13546/2006). Dovendo fare ricorso inevitabilmente al criterio equitativo, attese tutte le circostanze del caso, si ritiene di liquidare tale voce di danno in misura pari a poco più di un terzo rispetto a quella liquidata per il danno morale soggettivo e, quindi, in. per ciascuno degli attori. In conclusione, compete a ciascuno di loro l ugual somma di. (. +. : 3) + + ). Su tutti gli importi liquidati, vertendosi pacificamente in ipotesi di debito di valore, deve essere computata rivalutazione monetaria, secondo indici ufficiali Istat prezzi al consumo, dal dì del fatto ad oggi, oltre interessi legali sulla somma dovuta, via via rivalutata (cfr. Cassaz. n. 5503/2003; n. 6590/2002), fino al saldo. Le spese di lite, come da liquidazione in dispositivo, seguono la soccombenza. La sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Lecce, Sezione Distaccata di Maglie, in composizione monocratica, in persona della dr. Piera Portaluri definitivamente pronunziando, nel giudizio promosso, da C. G., C. S. con atto e da C. G. con atto nei confronti della assicurazioni e di V. S., ogni altra istanza, eccezione, deduzione, respinta, così provvede: dichiara la contumacia di V. S.; dichiara V. S. unico ed esclusivo responsabile dell incidente stradale accaduto il sulla SS. 497 all intersezione con la via vicinale Muro Leccese-Palmariggi; per l effetto, dichiara tenuti e condanna la Assicurazioni SpA e V. S. al pagamento, in solido tra loro, in favore di C. G., C. S. e C. G. della somma di. oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali su tale somma a ciascuno complessivamente liquidata, come indicato nella parte motiva; condanna la predetta società assicuratrice in solido con il V. al pagamento delle spese di lite sostenute dagli attori che liquida in complessivi. di cui. per diritti. per spese ed. per onorario di avvocato, oltre accessori come per legge; dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.

142 Corte d Appello di Napoli, sez. IV, 3 dicembre 2008 Svolgimento del processo Con sentenza n. 1351/2003 del 13 maggio/6 giugno 2003 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - decidendo sulla domanda di risarcimento danni spiegata da Gr.Ev., Lo.Gi., Lo.Ma. e Lo.An. nei confronti della S.p.A. Ge. quale impresa designata per il F.G.V.S. per la regione Campania, in relazione al sinistro verificatosi il giorno (...) sulla via Na., a seguito del quale Lo.Al., rispettivamente loro marito e padre, aveva perso la vita - ritenuta non superata la presunzione di colpa concorrente di cui all'art c.c. comma 2, accoglieva le domande per quanto di ragione e per l'effetto: condannava le Ge. S.p.A. al pagamento, in solido in favore delle attrici, della somma di Euro ,36 oltre interessi al tasso legale dal al saldo a titolo di risarcimento del danno patrimoniale; condannava altresì la società convenuta a rimborsare in favore delle attrici le spese funerarie nei limiti di Euro 516,46 oltre interessi legali dalla fattura al saldo; rigettava tutte le altre domande; compensava tra le parti la metà delle spese di lite e poneva la residua metà a carico della convenuta. Avverso tale pronuncia proponevano appello Gr.Ev., Lo.Gi., Lo.Ma. e Lo.An. ricordando di avere agito in primo grado per il risarcimento di tutti i danni, morali e patrimoniali, sia iure proprio che iure hereditatis, subiti in conseguenza della morte del loro congiunto Lo.Al., seguita al sinistro stradale in oggetto, causato da persona non identificata. Le appellanti contestavano quindi la decisione del Tribunale nella parte in cui si era ritenuto di non dover riconoscere il danno morale in base al disposto della sentenza n. 3237/95 della S.C., mentre nel caso di specie si verteva in una ipotesi di danno non patrimoniale derivante da reato, e perciò rientrante nella disciplina di cui all'art. 185 c.p. II comma. Lamentavano poi il grave vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove e la conseguente decisione di accogliere solo la domanda del danno patrimoniale ridotto alla metà, in applicazione della presunzione di corresponsabilità di cui all'art c.c.. Concludevano chiedendo, in riforma dell'impugnata sentenza, accogliere la domanda così come provata e quantificata in primo grado, nulla escluso od eccettuato, condannando la compagnia di assicurazioni Ge. S.p.A. quale impresa designata per il F.G.V.S. per la regione Campania al pagamento in favore di esse istanti delle somme così come quantificate nel corso del giudizio di primo grado, ossia per il danno morale iure proprio Euro ,00 per la signora Gr.Ev. ed Euro ,00 per ciascuna delle sorelle Lo.; per il danno morale iure hereditatis Euro ,00 da dividersi in base ai criteri successori tra le istanti; per il danno patrimoniale derivante dalle mancate sovvenzioni economiche che il de cuius apportava al proprio nucleo familiare Euro ,00; per le spese funerarie Euro 1.032,00, detratte le somme già liquidate, oltre interessi legali dal fatto all'effettivo soddisfo e la rivalutazione monetaria come per legge. Vinte le spese, con attribuzione al procuratore anticipatane. La S.p.A. Ge. si costituiva in giudizio, nella indicata qualità, contestando i motivi di impugnazione e concludendo per il rigetto dell'appello siccome infondato, con la conferma della sentenza impugnata e la condanna delle appellanti al pagamento delle spese del presente grado. Acquisito il fascicolo di primo grado, precisate le conclusioni, all'udienza del la causa veniva assegnata in decisione da questa Corte, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e di replica. Motivi della decisione L'appello spiegato dalle eredi di Lo.Al. avverso la sentenza n. 1351/2003 resa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 13 maggio/6 giugno 2003 merita parziale accoglimento. In primo luogo - incontestato il verificarsi del sinistro ed il coinvolgimento nello stesso di un'auto pirata - vanno esaminate, per motivi logico-giuridici, le doglianze relative al mancato superamento della presunzione di cui all'art c.c.. Si osserva quindi che il criterio di imputazione della responsabilità di cui al secondo comma della norma citata ha funzione meramente sussidiaria, operando solo nel caso in cui, iuxta alligata et probata, non sia possibile accertare in concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l'evento dannoso (v. ex multis Cass. n. 2739/2002) e che la giurisprudenza di legittimità è stata costante

143 nell'affermare che l'accertamento della colpa, anche grave, di uno dei conducenti, non esonera l'altro dall'onere della prova liberatoria al fine di consentire al giudice l'esclusione di un concorso di colpa a suo carico (ex multis v. Cass. n. 5671/2000 e n /1998) In particolare permane l'onere di provare, per superare la presunzione di colpa concorrente, di essersi pienamente uniformati alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza, nonché di aver fatto tutto il possibile per evitare l'incidente (cfr. Cass. n. 477/2003; n. 5671/2000; n /98 e n. 1384/1997). Orbene nel caso in esame, relativo ad un sinistro verificatosi all'alba ed in assenza di testimoni, nessun elemento probatorio consente di individuare la condotta tenuta nell'occasione dal Lo.. In particolare si rileva che i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Santa Maria Capua Vetere, intervenuti sul posto in seguito a segnalazione, hanno trovato "una bicicletta sul ciglio della strada e una persona di sesso maschile, accucciata vicino ad essa" ed hanno quindi rilevato la presenza di una lunga frenata di circa 35 metri, ad una distanza di circa 25/35 metri dalla bicicletta con il ferito (v. relazione di servizio a firma V. B. Ma.). Si legge inoltre nella descrizione della dinamica del sinistro che non erano stati fatti altri rilievi in quanto "passanti", mentre attendevano l'arrivo degli agenti, avevano spostato la bicicletta dalla strada. Ne consegue che i Carabinieri non hanno potuto rilevare la posizione statica assunte mezzi coinvolti nello scontro dopo l'urto, né le caratteristiche, in particolare la collocazione, dei danni riportati dai veicoli, considerato che il conducente dell'auto pirata si era dato alla fuga e che la bicicletta, che come detto era stata rimossa, risultava "distrutta". Tanto premesso non risultano decisive, ai fini dell'accertamento della condotta tenuta dal Lo., le dichiarazioni rese dal teste Vi. - che si è trovato a percorre la via Ap. poco dopo il sinistro - il quale ha riferito di aver notato una bicicletta a terra vicino al ciglio della strada e, in parziale contrasto con quanto assunto dai CC., di avere notato, ad una decina di metri di distanza, sempre sul ciglio della strada il corpo dell'infortunato. Significativa appare invece la traccia di frenata che, vista la sua lunghezza, evidenzia senza dubbio che l'auto procedeva ad una velocità non prudenziale né adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, considerato che erano le sei di mattina del mese di dicembre, dunque era ancora buio, e che la strada non era fornita di illuminazione (v. sempre deposizione Vi.). Ma, osserva la Corte, come giustamente rilevato dal primo giudice, non è dato sapere con certezza se il Lo. avesse o meno le luci accese, posto che il teste Gr. ha riferito in generale delle condizioni della bicicletta, fornita delle luci, ma non è risultato informato sul momento specifico del fatto. Né emerge dagli atti se il ciclista mantenesse rigorosamente la sua destra; ipotesi che mal si concilia invero con la manovra di emergenza posta in essere dal conducente dell'auto pirata, considerato che la traccia di frenata si trova comunque al centro della semicarreggiata di pertinenza dei veicoli coinvolti, così come il probabile punto d'urto, e considerato altresì che in tal caso l'ampiezza della strada avrebbe reso comunque facile evitare la bicicletta con una semplice sterzata. Non si può dunque escludere che anche il Lo. avesse tenuto nell'occasione una condotta non adeguata, né, in particolare, che stesse eseguendo una manovra imprudente ed imperita. La pronuncia di primo grado in punto "an debeatur" va pertanto confermata quanto all'applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all'art c.c., norma che esprime, in materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, in ciascuno dei commi che la compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni (v. Cass. n. 4022/01 e n /98). Va invece riformata la sentenza impugnata quanto al mancato riconoscimento del danno morale. In seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 233 dell' la giurisprudenza di legittimità ha difatti ritenuto che l'art c.c. debba essere letto in relazione al disposto dell'art. 2 Cost., quale norma di tutela dell'esplicazione della persona umana nella realtà sociale, con la conseguenza che il riferimento al reato di cui all'art. 185 c.p. non postula, ai fini dell'applicabilità dell'art c.c., la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente, nella sua oggettività, all'astratta previsione di una figura criminosa. Il danno non patrimoniale può dunque essere risarcito anche nell'ipotesi in cui, in sede civile, la responsabilità dell'autore del fatto sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge, (così Cass. n. 720/06 e, nello stesso senso, n /05 e n /04).

144 Dunque nella fattispecie in esame - trattandosi di fatto che sarebbe qualificabile come reato ove ricorresse la colpa dell'autore del danno - in base a tale interpretazione costituzionalmente orientata della norma, non osta alla risarcibilità del danno non patrimoniale il mancato positivo accertamento della colpa stessa, ritenuta comunque sussistente in base ad una presunzione di legge. Anche tale voce di danno andava quindi liquidata in favore delle attrici, ma solo iure proprio, posto che non è dato rinvenire nella domanda introduttiva del giudizio anche una specifica richiesta di risarcimento iure hereditatis, avanzata solo in comparsa conclusionale, dunque tardivamente (come già rilevato dal primo giudice con riferimento al danno biologico). Ciò posto si ritiene di dover procedere ad una liquidazione equitativa del danno che tenga nel debito conto tutte le peculiarità del caso concreto, in particolare l'età del soggetto deceduto a seguito del sinistro e lo stretto rapporto di parentela che lo legava alle istanti. Dunque, visti i parametri delle ed tabelle di Milano applicate per prassi anche da questa Corte (che in relazione ad una invalidità del 100% per un soggetto di 70 anni prevedono un risarcimento del danno biologico pari a circa ,00 euro), appare congruo suddividere l'importo pari alla metà di detta somma (quale percentuale massima per il danno morale spettante allo stesso infortunato) tra tutte le parti lese, riconoscendo alla vedova Gr.Ev. la somma di Euro ,00 in considerazione della maggior afflittività della perdita del marito, ed Euro ,00 a ciascuna delle figlie, già in età adulta, e verosimilmente indipendenti, al momento del sinistro. Di tali importi la sola metà va addebitata alla compagnia di assicurazione convenuta per quanto su detto in tema di concorso di colpa. Trattandosi di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, che costituisce come è noto un tipico debito di valore, sulle somme che lo esprimono sarebbero dovuti dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso, sia la rivalutazione monetaria, finalizzata a ripristinare la situazione patrimoniale di cui il danneggiato godeva anteriormente, sia gli interessi, diretti al fine di riparare il nocumento finanziario subito a causa del ritardato conseguimento del relativo importo, che se corrisposto tempestivamente avrebbe potuto essere investito per lucrarne un vantaggio economico. Avendo però questa Corte liquidato le voci di danno, nelle misure sopra indicate, con riferimento già ai valori attuali della moneta, non va aggiunta nella fattispecie ulteriore rivalutazione. Dovuti invece gli interessi che - secondo l'insegnamento della S.C. di Cassazione (sentenza S.U. n. 1712/1995cui hanno fatto seguito numerose pronunzie dello stesso tenore, ex multis v. Cass. n. 5234/2006; n. 883/2002 e n. 6590/2002) - possono essere calcolati al tasso legale sulla sorta capitale devalutata al momento del fatto, in base alle variazioni degli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai, come pubblicate dall'istat (rispettivamente pari ad Euro ,10 ed Euro ,10), e poi rivalutata anno per anno in base ai medesimi indici, per un totale di Euro ,28 a favore della Gr. ed Euro ,00 a favore di ciascuna delle Lo.. Dalla presente pronuncia al saldo saranno poi dovuti sulla sola sorta capitale gli interessi legali. La sentenza di primo grado va confermata invece quanto al danno patrimoniale e quanto al rimborso delle spese funerarie, la cui liquidazione non ha formato invero oggetto di specifica contestazione, ma solo di apodittica richiesta nell'ambito delle conclusioni formulate in atto di appello. Come è noto difatti con i motivi di gravame la parte deve rivolgere alla sentenza impugnata censure puntuali e specifiche, avendo l'onere di contrapporre le proprie argomentazioni a quelle svolte nella sentenza, al fine di incrinare il fondamento logico-giuridico di queste. La mancanza di specifici motivi di appello comporta la inammissibilità del gravame sui punti sopra indicati (v. ex multis Cass. n. 967/2004) Le spese del presente grado del giudizio, nella misura liquidata in dispositivo, vanno poste a carico della società Ge. per il principio della soccombenza. P.Q.M. La Corte definitivamente pronunciando nel giudizio di appello come in epigrafe proposto, così provvede, in parziale accoglimento del gravame: A) in parziale riforma della sentenza impugnata condanna la S.p.A. Ge. in qualità di impresa designata per il F.G.V.S. per la regione Campania al risarcimento in favore delle istanti anche del danno morale

145 iure proprio, in ragione della metà, e quindi al pagamento di complessivi Euro ,28 in favore di Gr.Ev.; Euro ,00 in favore di Lo.Gi.; Euro ,00 in favore di Lo.Ma. ed Euro ,00 in favore di Lo.An., oltre interessi al tasso legale sulla sola sorta capitale (pari ad Euro ,00 ed Euro ,00) dalla presente pronuncia al saldo; B) conferma nel resto l'impugnata sentenza; C) condanna la S.p.A. Ge. al pagamento delle spese processuali del presente grado del giudizio che liquida in Euro 1.000,00 per spese; Euro 1.482,00 per diritti ed Euro 5.800,00 per onorario, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge, con attribuzione al procuratore anticipatario.

146 Corte d Appello di Roma, sez. IV, 7 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con la sentenza indicata il Tribunale di Roma - ritenuta la responsabilità esclusiva in ordine all'incidente verificatosi in data 24 febbraio 1999, in Roma, lungo viale (...) all'altezza di via (...), di Ca.Ma., conducente il veicolo (...), che investiva, provocandone il decesso, il pedone Ri.Lu. - condannava il predetto Ca., ed in solido, la Zu. al risarcimento dei danni in favore di Ra.Fu., figlio ed unico erede della Ri., liquidando l'importo complessivo di Euro ,00, di cui Euro , 00 per danno morale; Euro ,00 per lucro cessante e l'ulteriore importo per rivalutazione ed interessi, oltre alle spese di lite. Avverso detta sentenza propone appello la Zu., che la ritiene errata in riferimento all'accertata responsabilità esclusiva del proprio assicurato Ca., nonché per quanto riguarda il danno liquidato, chiedendo il rigetto della domanda, ovvero, in subordine, di accertare la responsabilità concorrente e prevalente del pedone Ri., riducendo l'importo liquidato e l'entità del risarcimento da determinare per quelle sole voci che risulteranno sussistere e siano giuridicamente comprovate. L'appellato, costituitosi, contesta la fondatezza dell'appello, del quale chiede il rigetto con ogni conseguente statuizione. Con separato atto è stato notificato l'appello al Ca., che non si è costituito. Acquisito il fascicolo di primo grado, all'udienza in data 2 luglio 2008 la causa è stata trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini per il deposito degli scritti conclusionali. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo d'appello la Zu. si duole che il giudice di primo grado abbia basato il proprio convincimento in ordine all'esclusiva responsabilità del conducente il veicolo, Ca., sulle sole risultanze del rapporto dei VV. UU., trascurando quanto dichiarato dell'unico teste oculare presente, Lu.Oc., dalla cui deposizione emergerebbe che concausa determinate dell'evento era stata la condotta posta in essere dalla Ri., sotto tale profilo deducendosi un'incompleta valutazione del quadro probatorio. In secondo luogo, si assume che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio di ultrapetizione per avere ritenuto che il Ra. avesse inteso richiedere in proprio, e non quale erede della madre, il danno morale, ritenendo impropria l'interpretazione in quel senso dell'atto introduttivo, con la conseguenza che - qualificata la domanda secondo la indicata posizione processuale - nulla gli sarebbe spettato a quel titolo. Con il terzo motivo si lamenta che il danno morale sia stato liquidato comunque in misura eccessiva, non tenendo conto dell'importo previsto dalle tabelle in uso nel Tribunale per la liquidazione del danno "iure proprio" in favore del figlio maggiorenne, senza considerare, inoltre, i dovuti temperamenti, sia per la presenza nel nucleo familiare di altri soggetti con il medesimo conviventi, sia per la non convivenza della defunta con il medesimo Ra. Infine, con il quarto ed ultimo motivo si deduce un vizio di motivazione in ordine alla ritenuta convivenza del Ra. con la propria madre, del quale non vi sarebbe prova, censurandosi la sentenza impugnata che, sulla base di tale presupposto, ha ritenuto verosimile che la Ri. partecipasse, con un proprio contribuito economico, al menage familiare, liquidando anche il danno da lucro cessante, mentre al riguardo l'attore non avrebbe assolto all'onere di prova che gli competeva ed andavano al contrario valutati, anzi, una serie di elementi che lo escludevano, lamentandosi anche che non fosse stato dato ingresso alle proprie istanze istruttorie al riguardo. 2. Benché posposta nei motivi d'appello, riveste carattere pregiudiziale la questione sollevata dall'appellante per quanto riguarda la "legittimatio ad causam" in relazione all'indicata qualità di erede della Ri., nella cui veste il Ra. ha agito per il ristoro del danno. La qualità di erede, com'è ovvio, postula una distinta legittimazione sul piano sostanziale, in quanto presuppone che il diritto in contestazione, e quindi anche il diritto al risarcimento del danno, facesse capo al de cuius e che l'erede sia subentrato nella titolarità di esso in via derivata e non autonoma.

147 A tale aspetto occorre porre particolare attenzione in caso di decesso a seguito di incidente automobilistico, dal momento che, secondo il pacifico orientamento giurisprudenziale, si distingue a seconda, o meno, che l'infortunato sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile in modo da consentire la configurazione di una effettiva ripercussione delle lesioni nella sua complessiva qualità della vita (ex plurimis Cass. 16 giugno 2003 n. 9620), conseguendone, solo in caso affermativo, l'inclusione coeva nel patrimonio delta vittima del diritto al risarcimento e la trasmissibilità di esso agli eredi, mentre, in caso di morte immediata, spetta a parenti e stretti congiunti il risarcimento iure proprio per i riflessi derivatine (cass. 24 aprile 1997, n. 3592) alla propria vita dalla perdita di un familiare. Nel caso in esame risulta dal referto dei VV. UU. che la morte della Ri. ha fatto seguito all'intervenuto ricovero, nello stesso giorno dell'incidente, soltanto circa tre ore dopo e quindi deve ritenersi, in conformità all'orientamento della S.C. che si configuri la seconda delle ipotesi di cui sopra. Infatti la lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configuratale quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento trasferibile agli eredi..." (Cass. 16/6/2003 n. 9620; Cass. 25 febbraio 2000, n. 2134; Cass. 25 febbraio 1997, n. 1704; Cass. 20 gennaio 1999, n. 491; Cass. 10 settembre 1998, n. 8970; Corte Cost. n. 372/1994). Conseguentemente il risarcimento del danno al Ra. spetta eventualmente iure proprio e non iure hereditatis. E tale questione non può essere sbrigativamente risolta come ha fatto il giudice di primo grado, affermando che al Ra. il risarcimento spetta in proprio e non nella qualità di erede della madre "dovendosi così interpretare la domanda attrice altrimenti incomprensibile", al contrario trattandosi di valutare se l'atto di citazione autorizzasse, o meno, tale interpretazione. Ritiene al riguardo la Corte che l'atto introduttivo non si presti ad alcun fraintendimento e che il significato di esso sia palese in riferimento, innanzitutto, alle espressioni usate, dal momento che, nell'intestazione, il Ra. premette di agire in qualità di erede della Ri. Una conferma si ha anche valutando il contenuto dell'atto, nel quale si richiede unitamente al danno morale - che è configurabile sia nei riguardi della vittima, che dell'erede il proprio e che quindi non sarebbe di per sé dirimente - anche il risarcimento del danno biologico in misura pari al 100%, riferendosi chiaramente alla vittima, senza allegare alcuna menomazione alla propria sfera fisica o psichica, il che non può che significare l'intendimento di agire iure hereditatis per gli importi che a titolo di risarcimento sarebbero spettati alla madre e non iure proprio. Analogo ragionamento va effettuato per quanto concerne la seconda delle voci di risarcimento liquidate. Come detto il Ra., in qualità di erede della defunta madre Ri.Lu., ha chiesto il risarcimento del danno biologico, del danno morale, nonché del danno di patrimoniale subito sull'assunto che costei contribuisse alle spese di casa e di sostentamento del figlio. Anche in tal caso tuttavia gli importi che, in caso di riconoscimento della responsabilità di controparte competono, spetterebbero a titolo proprio e non quale erede della madre. In via successoria, infatti, l'erede subentra nei beni acquisiti e crediti maturati dal "de cuius" in vita; il sostentamento o la partecipazione alle spese di famiglia attengono ad un contributo diretto della madre, di cui il figlio non può più fruire a causa dell'avvenuta morte, subendo quindi un pregiudizio patrimoniale (futuro) che lo coinvolge personalmente e non in qualità di erede. Né in contrario vale rilevare che, al riguardo, lo stesso appellante non contesta il titolo in forza del quale si è agito. La "legitimatio ad causam", attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento (da ultimo Cass. 30 maggio 2008 n ).

148 Il Ra. ha agito quale erede e non in proprio ed nella veste spesa non ha titolo per conseguire il risarcimento richiesto. Pertanto l'appello va accolto riguardo a tale preliminare questione; ciò rende ultroneo l'esame degli altri motivi attinenti al riconoscimento della responsabilità esclusiva del Ca. ed alla misura del risarcimento accordato. Poiché la Zu. ha corrisposto quasi per intero l'importo che è stata condannata a pagare in forza della sentenza in primo grado alla sentenza di primo grado, della somma versata, pari ad Euro ,00 (vedasi ricevuta in atti), va disposta la restituzione. Le spese di lite seguono al soccombenza. P.Q.M. definitivamente pronunciando nella causa come sopra promossa, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, anche istruttorie, così provvede: in accoglimento dell'appello ed in totale riforma della sentenza indicata in epigrafe, rigetta la domanda di risarcimento danni del Ra. proposta nella qualità indicata; condanna il Ra. alla restituzione della somma di Euro ,00, a lui versata dalla Zu. in ottemperanza alla sentenza di primo grado, oltre interessi in misura legale dal giorno dell'incasso a quello della restituzione; condanna, infine, il Ra. al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio che liquida - quanto al primo grado - in complessivi Euro 5.425,00, di cui Euro 4.600,00 per onorari e diritti, oltre IVA e CAP come per legge; e - quanto al secondo grado - in complessivi Euro 4.935,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari e diritti, oltre IVA e CAP come per legge.

149 Tribunale di Roma, sez. XII, 9 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con atto di citazione, ritualmente notificato, RO.Su., in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore Va.Ba., conveniva in giudizio di fronte a questo Tribunale la società Au. S.p.a.. Parte attrice esponeva: - che il giorno alle ore 9.15, Ar.BA., marito dell'attrice, nonché padre della minore Va., alla guida del veicolo Fiat Punto tg (...) di proprietà della società (IG. a r.l., percorreva l'autostrada Ro. - Ci.; - che giunto alla progressiva chilometrica , il Ba. perdeva il controllo del veicolo, che pur conduceva a velocità moderata, a causa di un anomalo ristagno d'acqua sulla pavimentazione stradale (era in atto un forte temporale con pioggia battente), andando violentemente ad urtare, dopo avere oltrepassato una cunetta di cemento per lo scolo delle acque piovane, e in assenza di guard - rail e/o new jersey, un grosso tronco di una pianta di palma; - che a seguito dell'urto il Ba. riportava gravissime lesioni fisiche e, durante il trasporto presso l'ospedale di Civitavecchia, decedeva; - che l'anomalia del tratto autostradale e l'assenza di sistemi di sicurezza erano stati la causa esclusiva dell'evento dannoso; - che con la sentenza del il Tribunale penale di Civitavecchia aveva escluso che il sinistro fosse dipeso da difetti e dalla omessa manutenzione del veicolo di proprietà della IG., assolvendo il responsabile della società dal reato di omicidio colposo a lui ascritto; - che nella stessa sentenza era stata disposta la trasmissione degli atti al P.M. per l'esercizio dell'azione penale nei confronti "del responsabile delle condotte omissive concausali alla determinazione della morte di Ba.Ar., da individuarsi nell'ambito della società proprietaria del tronco autostradale interessato dall'evento"; - che, il Gip del Tribunale di Civitavecchia, respingeva la richiesta di archiviazione avanzata nei confronti del r.l. della società Au. e pronunciava ordinanza di formulazione coatta dell'imputazione in danno del predetto; - che, a seguito del sinistro, i congiunti del Ba. avevano subito danni patrimoniali e non patrimoniali, in proprio, come specificamente indicati in citazione; - che la richiesta di risarcimento del danno ritualmente inviata non aveva sortito effetti positivi. Tanto premesso chiedeva che il Tribunale, ritenuta la responsabilità esclusiva nella determinazione del sinistro in capo alla società Au., condannasse la medesima al risarcimento dei danni come determinati in premessa. Si costituiva in giudizio l'au.it. S.p.A. contestando la domanda e chiedendone il rigetto. A tal fine deduceva che anche la consulenza disposta dal P.M., in sede penale, cui, poi, aveva fatto seguito il decreto di archiviazione nei confronti del r.l. della società, aveva accertato l'assenza di insidie sul tratto autostradale oggetto di giudizio, precisando che il sinistro doveva essere imputato esclusivamente alla condotta di guida del Ba.. Aggiungeva che, solo dopo l'assoluzione, in sede dibattimentale del r.l. della IG., era stata iscritta una nuova notizia di reato a carico del r.l. della società Au., cui era seguita una nuova richiesta di archiviazione, a fronte della quale era stata emessa ordinanza di formulazione dell'imputazione (aggiungendo che avverso la stessa era pendente ricorso per Cassazione). Nel corso dell'istruttoria erano acquisiti il rapporto redatto dalla Polizia Stradale e copia degli atti del procedimento penale, nonché era svolta ctu. medico legale sulla persona di Ro.Su.. All'udienza del le parti precisavano le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione. Motivi della decisione Al fine di valutare la fondatezza della domanda è necessario premettere gli elementi di fatto che è stato possibile accertare all'esito dell'istruttoria esperita, in particolare alla luce degli accertamenti urgenti eseguiti nell'immediatezza dalla Polizia stradale, tenuto conto, altresì, delle valutazioni del ct. incaricato dal P.M. e del perito nominato dal Tribunale di Civitavecchia in sede penale (al riguardo è noto che gli atti e le prove espletati nel procedimento penale possono essere presi in considerazione dal Giudice civile e valutati come argomenti di prova ex art. 116; tra tante Cass. Sez. II n del ): 1. il sinistro si verificava verso le ore 09,00 circa del , alla progressiva chilometrica dell'autostrada n. (...) carreggiata nord, nel territorio del comune di Cerveteri;

150 2. l'incidente vedeva coinvolta l'autovettura Fiat "Punto" tg (...) di proprietà della società IG., condotta da Ba.Ar., deceduto, subito dopo, nel tragitto verso l'ospedale; 3. il Ba. percorreva la carreggiata nord, in un tratto in cui la strada si presenta rettilinea, all'inizio di una lieve salita e subito oltre un raccordo concavo, quando perdeva il controllo del veicolo, deviava verso destra fuoriuscendo dalla sede viabile fino ad invadere l'adiacente banchina erbosa e andando, poi, a collidere violentemente, con la parte posteriore sinistra del veicolo, contro il fusto di una grossa pianta di palma; 4. al momento dell'incidente il fondo stradate era bagnato per la pioggia in atto e, in corrispondenza del raccordo concavo vi era un ristagno di acqua piovana interessante le due corsie ed esteso per metri 12,50. Tale ristagno era causato dall'impedimento del deflusso dell'acqua dovuto a sinistra da un bordo di asfalto leggermente più alto del piano stradale; 5. il CT. del P.M. ha individuato come causa principale nella determinazione dell'evento la velocità dell'autovettura (non commisurata alle condizioni di tempo e del veicolo), non ha rilevato deficienze o carenze costruttive e manutentive del tratto autostradale interessato al sinistro (soprattutto per quanto riguarda l'obbligo di installazione di barriere metalliche di protezione), pur non escludendo una certa connessione fra il ristagno d'acqua presente sulla strada e l'uscita di carreggiata del veicolo (atteso che il passaggio dal ristagno non poteva che provocare, in ogni caso, una variazione di aderenza); 6. il perito nominato dal Tribunale in sede penale, utilizzando rilevanti elementi oggettivi (quali la lunghezza del ristagno dell'acqua, la lunghezza del percorso dall'uscita del ristagno all'entrata sulla banchina erbosa destra, la lunghezza del percorso sulla banchina erbosa sino alla palma, la profondità delle deformazioni riportate dall'auto nell'urto contro la palma) è arrivato alla conclusione che il veicolo viaggiasse ad una velocità non inferiore a 130 Km/h e non superiore a 138 Km/h, Lo stesso ha, tuttavia, valutato che il predetto ristagno dell'acqua ha avuto un contributo determinante nella produzione dell'evento lesivo, creando, al passaggio della vettura, il fenomeno cd. di aquaplaning con il conseguente ed inevitabile sbandamento. In particolare il tecnico ha precisato che, pur tenendo il Ba. "un'andatura a rischio", per le pessime condizioni ambientali (anche se nei limiti consentiti), nulla sarebbe accaduto se sul suo percorso non avesse incontrato il ristagno d'acqua. Ancora ha evidenziato che, dopo l'evento, il piano viabile è stato livellato (eliminando l'impluvio che formava il ristagno d'acqua), mentre è stato apposto il guard - rail a protezione delle palme site a poca distanza da quel tratto autostradale (e su una delle quali è andato a schiantarsi il Ba.; cfr foto n. 1 allegata alla perizia). Ora, è opportuno a tal punto ricordare che in terna di manutenzione di opere pubbliche, nonché di vigilanza e controllo in genere dei beni di uso pubblico, l'ente preposto incontra i limiti derivanti sia da norme di legge che regolamentari, sia da norme tecniche, sia da norme di comune prudenza e diligenza ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere (art c.c), in applicazione della quale esso è tenuto a far si che l'opera pubblica non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto evidenziata dal carattere oggettivo della non visibilità e da quello soggettivo della non prevedibilità del pericolo" (cfr. Cass. sez. III, ; Cass. Sez. III, ; Cass. sez. III, , n ; Cass. sez. III, , n. 5989; Cass. sez. III, , n. 5670; Cass. sez. III, , n. 809). Inoltre si è affermato che gli enti, come la convenuta, che hanno la gestione e l'obbligo di manutenzione di strade non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (quali ad es. canali di scolo delle acque, reti di protezione ecc.) né tutte te misure cautelari (muretti laterali, guard-rail, segnalazioni luminose ai bordi stradali ecc.) dipendendo l'esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, secondo una valutazione discrezionale dell'ente stesso, il quale pertanto potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre, purché la soluzione di continuità dell'opera protettiva sia visibile per l'utente e purché l'opera, per come in concreto realizzata, non costituisca essa stessa un'insidia e cioè una situazione di pericolo occulto non visibile e non prevedibile (cfr. Cass. sez. III, , n ). Si è ancora sostenuto che la presunzione di responsabilità di cui all'art c.c.. non è applicabile nei confronti degli Enti proprietari di strade pubbliche, che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da

151 parte di terzi (poiché in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza tale da impedire l'insorgere di cause di pericolo per gli utenti). Tuttavia, quanto alle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, cui si è ammessi dietro pagamento di "un corrispettivo", la possibilità di controllo consente di configurare un rapporto di custodia ai sensi dell'art c.c., distinguendo però le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada da quelle provocate dagli stessi utenti, o da una repentina e non prevedibile alterazione dello stato della cosa (potendosi in questa seconda tipologia di casi ravvisare il caso fortuito tutte le volte che l'evento dannoso presenti i caratteri della imprevedibilità e inevitabilità; Cass. Sez. III, , n ). Nella specie, ritiene il Tribunale che lo stato dei luoghi presentasse effettivamente degli elementi di pericolo. Invero, l'esistenza di un impluvio e di un inefficace sistema di drenaggio dell'acqua (dal rapporto della Polizia stradale si evince che il pozzetto per la raccolta piovana posto all'altezza dell'impluvio, all'interno dello spartitraffico che separa le due carreggiate a causa del riporto di asfalto sul lato interno della carreggiata non era in condizioni di far defluire l'acqua che ristagnava nell'impluvio), ha creato un ristagno d'acqua di rilevanti dimensioni interessante due corsie ed esteso per 12,50 metri, non tempestivamente visibile, né assolutamente prevedibile su una autostrada, notoriamente a percorrenza veloce, soprattutto in caso di forti piogge (come nel caso di specie), quando la visibilità è necessariamente ridotta. Ancora l'assenza di barriere di protezione ha fatto si che il Ba. finisse contro il fusto della palma, pure posto in prossimità del tratto autostradale. Gli elementi sopra evidenziati (e la circostanza che la stessa convenuta abbia poi ritenuto opportuno adottare nuove cautele, come sopra evidenziate) inducono a ritenere che l'adozione tempestiva (possibile, e anzi dovuta) di tali strumenti di sicurezza avrebbe limitato l'entità dell'evento dannoso. Da quanto esposto deve, pertanto, ritenersi che il comportamento omissivo della convenuta (che non ha adottato tutte le condizioni di sicurezza possibili) ha concorso nella produzione dell'evento lesivo unitamente alla condotta di guida del conducente del veicolo, il quale ha perso il controllo del mezzo, deviando la propria marcia sulla destra, tenendo, oggettivamente, una velocità non adeguata alle circostanze di tempo, stante l'intensa precipitazione in atto (valutata tra i 130 e 138 Km/h), A tale proposito il perito del Tribunale ha evidenziato che se l'autovettura avesse tenuto una velocità prudenziale, tra i 70 e 80 Km/h, "probabilmente non sarebbe entrata in aquaplaning con il conseguente sbandamento". In considerazione di quanto detto, tenuto conto delle conseguenze derivate dal fatto colposo del danneggiato, della gravità della colpa e delle modalità del fatto, deve ritenersi che la condotta della vittima abbia avuto un'efficacia causale nella produzione del sinistro nella misura del 50% e pertanto si ritiene di dovere ascrivere alla convenuta una responsabilità nella causazione del sinistro nella stessa misura. Parte attrice ha chiesto al Tribunale la liquidazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti iure proprio in conseguenza del decesso di Ar.Ba., deducendo di essere eredi legittimi, in quanto moglie e figlia, conviventi, dello stesso (circostanza non contestata). E' noto che, in ordine ai danni azionabili iure proprio è possibile configurare i seguenti danni: a) danno biologico sofferto dal congiunto; b) danno patrimoniale sofferto dal congiunto; c) danno morale. Quanto all'ipotesi sub a) si tratta di danni all'integrità fisiopsichica che il congiunto dimostri di aver subito in connessione diretta con il decesso della vittima del sinistro. Si ha l'ipotesi sub b) qualora il congiunto alleghi un danno patrimoniale diretto, conseguenza del decesso, in quanto in vita la vittima provvedeva al suo mantenimento. Mentre si verifica l'ipotesi sub c) quando, in conseguenza del rapporto di parentela, del grado della stessa e della convivenza con la vittima si riconosce una sofferenza di carattere morale per la perdita del congiunto. Nella specie, in ordine alla lesione alla propria integrità psicofisica l'attrice Ro.Su. ha prodotto documentazione medica, mentre all'esito della indagine tecnica svolta è emerso che la stessa ha subito per effetto dell'evento luttuoso oggetto di causa un evento biologico, inteso quale lesione della struttura complessa

152 dell'organismo umano, consistito in: "disturbo dell'adattamento con componente ansioso - depressiva reattiva di lieve entità con implicazione sulla componente psico - affettiva" tale da determinare un danno biologico quantificato dall'ausiliario, del giudice nel 4% di invalidità permanente, secondo un ragionamento del tutto condivisibile, in quanto fondato su un attento esame obiettivo della perizianda, nonché dei dati anamnestici e della documentazione medica. Si ritiene, pertanto, equo ex art c.c. liquidare il danno personale dalia Ro. patito nella misura di Euro 3.242,83 attuali. Si perviene a tale valore applicando le note tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, aggiornate al 2008, tenuto conto dell'età dell'attrice (anni 37 al momento del sinistro). La medesima ha poi avanzato richiesta dei danni sub b) anche nell'interesse della propria figlia Va.. Il danno patrimoniale sofferto di prossimi congiunti, conviventi, della vittima dei sinistro consiste, quindi, nel venir meno dei benefici economici che gli stessi avrebbero ottenuto dal proprio familiare se fosse rimasto in vita. Per calcolare, in via equitativa, l'importo dovuto per tali perdite economiche, occorre tener conto del reddito goduto dal defunto, rivalutato alla attualità, della percentuale di tate reddito che avrebbe destinato alla famiglia e di quella che avrebbe invece destinato ai propri consumi, del coefficiente di capitaiizzazione degli importi calcolati in relazione alla residua vita probabile del defunto. Nel caso in questione, tenuto conto dei rapporti di parentela (il defunto era marito e padre convivente delle attrici), della loro età al momento del sinistro (rispettivamente 37 e 3 anni, mentre il Ba. aveva 38 anni), nonché del reddito annuo percepito dal Ba. (il quale era, all'epoca dei fatti, l'unico percettore di reddito in famiglia) pari a Lire (al netto delle imposte), ovvero ad Euro 5.929,44 (cfr. modello unico 1999, all. 5 del fascicolo di parte attrice) può presumersi una partecipazione del Ba. alle spese di convivenza che possono quantificarsi nella misura di 2/3 del reddito percepito. Si tratta, quindi, di capitalizzare l'importo del reddito annuo rivalutato ad oggi (pari ad Euro 7.409,06 attuali), dedotta la quota trattenuta per le esigenze del defunto (pari a 1/3) in ragione della presumibile durata residua della sua vita, utilizzando il coefficiente di capitalizzazione in relazione all'età contenuto nelle tabelle del RD. 1403/1932 (tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie immediate), previo adeguamento dello stesso del 10% in relazione della più breve durata della vita lavorativa rispetto a quella fisica, registratasi tra il 1911 (data di rilevazione ai fini delle tabelle) ad oggi. Il coefficiente indicato, nel caso in questione, è pari 16,720, (corrispondente all'età dell'infortunato al momento della morte, 38 anni). L'importo risulta, quindi, dal prodotto tra Euro 4.939,38 (2/3 del reddito rivalutato) e il coefficiente 16,720 (età), dedotto il 10% ed è pari ad Euro ,79. In merito al danno morale, deve invece tenersi conto della circostanza che le odierne attrice erano moglie e figlia conviventi della vittima e che il fatto illecito in quanto astrattamente sussumibile nel reato di omicidio colposo, per il combinato disposto degli artt c.c. e 185 c.p. da diritto al risarcimento del danno per la sofferenza morale subito dai familiari superstiti e per la perdita del rapporto parentale. Tale voce di danno per sua natura, sfugge ad una valutatone economica vera e propria e non può, quindi, che liquidarsi con il ricorso a criteri equitativi, in relazione a considerazioni soggettive quali l'età della vittima, il grado di parentela, le particolari condizioni della famiglia. Questo giudice ritiene di adottare nella quantificazione di tale voce di danno le tabelle di liquidazione uniformemente adottate dal Tribunale di Roma (che tiene conto del rapporto tra la vittima e il sopravvissuto, dell'età della vittima, dell'età del congiunto avente diritto al risarcimento e del rapporto di convivenza tra vittima e congiunto). Pertanto deve essere riconosciuto alla R. la somma all'attualità di Euro e alla minore Va. la somma di Euro Tali importi, complessivamente pari ad Euro ,72 per la Ro. e ad Euro ,89 devono essere decurtati del 50% in ragione della quota di corresponsabilità attribuita alla vittima e sono quindi pari per la Ro. ad Euro ,36 e per la minore Va.Ba. ad Euro 126,581,95. Oltre alla sorte capitale così come sopra complessivamente liquidata competono gli interessi, intesi, a mente dei noti principi sanciti dalla S.C. con sent. n. 1712/95, come "lucro cessante", computabili sul valore medio del credito dal di del fatto (novembre 1999) alla presente decisione -, al saggio annuo del

153 3%. Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo, ex art c.c.. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, sulla domanda proposta da Ro.Su. in proprio e quale esercente la potestà su Ba.Va., nei confronti della Au.It. S.p.A. provvede: - dichiara la responsabilità concorrente dell'au.it. S.p.A. nella produzione dell'evento dannoso per cui è causa in ragione del 50%; - condanna parte convenuta al risarcimento del danno in favore di parte attrice, per le causali di cui in motivazione, nella misura di Euro ,36 in favore di Ro.Su. e nella misura di Euro ,95 in favore di Ba.Va., oltre interessi, a titolo di lucro cessante, così come indicato in motivazione ed oltre interessi legali sull'intero importo dovuto per sorte capitale ed interessi a decorrere dalla data della presente decisione al saldo; - condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice delle spese del presente giudizio, liquidate in complessive Euro ,00, di cui Euro 800,00 per spese, oltre iva e cpa come per legge e oltre al rimborso delle spese di ctu..

154 Cassazione civile, sez. III, 13 gennaio 2009, n. 458 Svolgimento del processo Il tribunale di Lodi, pronunciando sulla domanda di quantificazione del risarcimento dei danni avanzata da R.G., M.F. e M.G., madre, padre e fratello di M.V., deceduto a seguito di uno scontro con l'autovettura condotta da T.V. - ritenuta, in sede penale, responsabile del sinistro nella misura del 60%, condannò quest'ultima, in solido con la compagnia di assicurazioni "La Cattolica", al pagamento delle somme di L. 12 milioni per danno patrimoniale futuro, nonchè, rispettivamente, di 74, e 96 milioni ciascuno per danno morale e biologico iure proprio, oltre alla ulteriore somma di circa 22 milioni per spese vive, negando la (configurabilità e la conseguente) risarcibilità di un danno biologico iure haereditario attesa la brevità del lasso di tempo (3 giorni) intercorso tra l'evento di danno e la morte del giovane. La sentenza fu impugnata da R.G. e M. G., in proprio e nella qualità di eredi di M. F., deceduto nelle more del giudizio, dinanzi alla corte di appello di Milano, la quale, nell'accoglierne, sia pur soltanto in parte qua, il gravame, osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità: 1) che il danno morale risarcibile iure proprio andava individuato, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, nella sofferenza e nei patemi conseguenti al lutto subito, unico essendo il fatto generatore di responsabilità, di talchè la presenza di una malattia psichica conseguente all'evento, liquidabile a titolo di danno biologico, non giustificava la liquidazione di una autonoma e distinta voce di danno morale, salva illegittima duplicazione di identiche poste risarcitorie; 2) che la vittima, nel pur breve lasso di tempo intercorso tra l'incidente e la morte, aveva lucidamente percepito il dramma della propria giovane vita che si andava spegnendo, e siffatta, intensa sofferenza si era senz'altro tradotta in un danno morale trasmissibile iure successionis; 3) che la liquidazione di tutte le ulteriori voci di danno riconosciute in prime cure appariva del tutto adeguata alle circostanze di fatto (legame di sangue, rapporto di convivenza, età del deceduto, intensità del dolore come rappresentato dai CTU nelle rispettive relazioni, concorso di colpa della vittima nella determinazione del sinistro); 4) che, trattandosi di vicenda obbiettivamente incerta nella sua dinamica, non era legittimo discorrere di mala gestio della compagnia assicurativa; 5) che la questione degli interessi sugli acconti già corrisposti da quest'ultima in corso di giudizio era inammissibile per difetto di motivazione della relativa censura svolta dagli appellanti. La sentenza della corte territoriale viene impugnata dinanzi a questa corte da R.G. e M.G. con ricorso sorretto da 5 motivi di gravame. Resistono con controricorso la compagnia di assicurazioni e T. V., che propongono a loro volta ricorso incidentale. Motivi della decisione I ricorsi, principale e incidentali, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti. Essi sono infondati. Con il primo motivo del ricorso principale, si denuncia un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto: liquidazione del danno morale. Il motivo è privo di pregio. Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto che, al fine di evitare ingiustificate duplicazioni di poste risarcitorie, il danno morale sofferto dai congiunti della vittima fosse stato già correttamente considerato e liquidato nell'ambito del danno biologico. La sentenza, immune da vizi logico-giuridici, si conforma tout court con quanto di recente stabilito, in subiecta materia, dalle sezioni unite di questa corte con la pronuncia 28972/08, e va, sul punto integralmente confermata.

155 Al rigetto di tale motivo consegue, ipso facto, il rigetto della speculare doglianza mossa, in argomento dal ricorrente incidentale "Cattolica Assicurazioni" (folio 5 dell'atto di gravame, motivo 1^ del ricorso incidentale) e T.V. (fol. 3 del ricorso incidentale). Con il secondo motivo del ricorso principale, si denuncia un ulteriore vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto: liquidazione del danno biologico. Il motivo è anch'esso infondato. Esso è suddiviso in due sub-motivi. Il primo di essi attiene alla liquidazione del danno biologico iure successionis. Tale sub-motivo è destituito di giuridico fondamento. La decisione del giudice territoriale appare, difatti, anche su questo punto conforme al dictum delle sezioni unite di questa corte che, con la sentenza poco sopra ricordata, hanno precisato come il danno cd. "tanatologico" o da morte immediata vada più correttamente ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso, nella sua nuova e più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita. La corte milanese ha del tutto correttamente applicato tale principio, qualificando esattamente tale sofferenza come danno morale e non come danno biologico terminale, attesane la inidoneità, nel caso di specie (l'intervallo di tempo tra l'incidente e la morte fu di tre giorni), ad integrare gli estremi di quella fattispecie di danno non patrimoniale. Il secondo sub-motivo lamenta una pretesa insufficienza della liquidazione del danno biologico iure proprio. Di esso meglio si dirà nel corso dell'esame del terzo e quarto motivo. Con il terzo motivo del ricorso principale, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto: liquidazione del danno per mancato apporto economico. Con il quarto motivo del ricorso principale, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art c.c.). I motivi, da esaminarsi congiuntamente con il secondo sub-motivo cui poc'anzi si è accennato, attesane la intrinseca connessione, non sono meritevoli di accoglimento. Tutte le censure rivolte con essi alla sentenza si risolvono, in realtà, in apprezzamenti di mero fatto volte a sostituire proprie, personali valutazioni della vicenda per la quale è processo a quelle correttamente compiute dal giudice del merito che, con motivazione ampia, articolata ed esauriente, oltre che immune da vizi logico- giuridici, ha esplicitato il fondamento del proprio convincimento secondo un iter argomentativo del tutto condivisibile, indicando i (condivisibili) criteri guida cui si è attenuto nell'uso (del tutto corretto) del proprio potere equitativo. Con il quinto motivo del ricorso principale, si denuncia, infine, violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art c.c.); motivazione omessa sul punto: liquidazione interessi compensativi. La censura è inammissibile. La corte di merito aveva, difatti, dichiarato inammissibile la medesima doglianza sì come mossa in sede di appello per mancata esplicazione della ratio ad essa sottesa: in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, gli odierni ricorrenti non contestano tale decisum, ma si limitano a riprodurre pedissequamente la medesima censura, senza peraltro riportare in questa sede il contenuto del motivo di appello onde consentire a questa corte l'esame del relativo contenuto per potere così verificare l'esistenza o meno del lamentato vizio di omessa motivazione. La stessa corte aveva ancora correttamente ritenuto che, sugli acconti versati dalla compagnia assicuratrice, non andassero computati gli interessi, attesane la natura di acconti sulle maggiori somme dovute dal debitore: la statuizione va confermata, con conseguente rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale "Cattolica" (fol. 10) e T. (fol. 7). Del tutto corretta si appalesa, infine la disciplina delle spese processuali si come attuata dalla corte territoriale, con conseguente inammissibilità del terzo motivo di entrambi i ricorsi incidentali. La disciplina delle spese - che vanno compensate alla luce della reciproca soccombenza delle parti costituite - segue come da dispositivo. P.Q.M.

156 La corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Spese del giudizio di cassazione compensate.

157 Cassazione civile, sez. III, 13 gennaio 2009, n. 479 Svolgimento del processo Il (...) in (...) avvenne uno scontro frontale fra la vettura Ford Fiesta condotta da D. A. (assicurato presso la Danubio) e la Opel Ascona condotta dal proprietario R. S.; nello scontro decedeva il D., mentre lo S. riportava lesioni gravi. Con citazione del 29 novembre 1991 R. S. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano gli eredi di D. A. (la vedova M. B., in proprio e quale rappresentante dei minori M. e S.) e l'assicuratrice Danubio e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni; si costituivano le parti convenute e deducevano il concorso delle colpe. Il Tribunale, con sentenza 21 dicembre 2000, accertava il pari concorso di colpe di cui al secondo comma dell'art c.c. e condannava le parti convenute al risarcimento della metà dei danni, detraendo gli importi già corrisposti e compensando per la metà le spese di lite, ponendo il resto a carico dei convenuti. Contro la decisione hanno proposto appello principale lo S., sia per l'an che per il quantum debeatur, ed appello incidentale la Zurigo Assicurazione s.p.a. rappresentante generale per l'italia (avente causa dalla Danubio) e la B. in proprio e nella qualità. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 17 giugno 2003, così decideva: in parziale riforma dichiara che il pari concorso di colpa si fonda sul giudicato esterno di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano del 10 gennaio 1997 n. 41; conferma nel resto la sentenza impugnata; dichiara integralmente compensate le spese del grado di appello. Contro la decisione ricorre R. S. deducendo sette motivi di ricorso, illustrati da memoria; resiste la Zurich International Italia con controricorso; resiste la B. con procura speciale per la difesa orale; non resiste la Zurigo assicurazioni s.a. rappresentanza per l'italia, cui il ricorso risulta notificato nel domicilio eletto e ritirato da persona addetta il 7 settembre Il ricorrente ha prodotto memoria. Motivi della decisione Preliminarmente, in rito, deve dichiararsi inammissibile il controricorso proposto dalla Zurich International Italia, con sede in Italia, in quanto non parte processuale, come dedotto espressamente nel corpo del controricorso (FF. 4). Ed in vero l'appello incidentale risulta per tabulas proposto dalla Zurigo Assicurazioni SA, rappresentanza per l'italia, con sede in Milano, con elezione di domicilio. Il ricorso risulta notificato e ritirato da persona addetta al ritiro, presso il domicilio eletto, e la doppia intestazione Zurich e Zurigo non è tale da rendere incerto il destinatario dell'atto. Pertanto la Zurigo assicurazioni s.a.; parte in causa per aver proposto l'appello incidentale, è in questa fase parte non resistente, ma contraddittore sostanziale. (Cfr. Cass 13 agosto 2004 n ). Così risolta la questione in rito, può esaminarsi il ricorso della parte lesa, che risulta fondato unicamente in relazione al quarto motivo, essendo infondati gli altri. Per chiarezza espositiva vengono in esame per primi i motivi non accoglibili. A. Esame dei motivi non accoglibili. Nel primo motivo si deduce come vizio della motivazione la omessa pronuncia in punto di mancato accertamento del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello n. 41 del Il motivo è inammissibile non potendosi denunciare come vizio della motivazione un error in procedendo, posto che la sentenza venne prodotta ed esaminata. La censura andava formalmente proposta ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. (Cfr. Cass. 3 marzo 2005 n. 4613; Cass. 15 luglio 2003 n ; Cass. 8 giugno 2003 n tra le tante). Nel secondo motivo si deduce l'error in iudicando e la violazione degli artt e 342 c.p.c. sul valore del giudicato esterno, rilevandosi che pur essendo medesimo il fatto storico dannoso, erano diverse le parti interessate nei giudizi e diverso anche il petitum. La censura non coglie tuttavia la ratio decidendi, chiaramente espressa dalla Corte di appello, che accoglie sul punto l'appello incidentale dello assicuratore, (ff. 7 ed 8 della motivazione), là dove viene in considerazione l'effetto riflesso di quel giudicato in relazione alla unitarietà del fatto storico, con efficacia vincolante verso la stessa

158 assicurazione. (Cfr. Cass. 1 marzo 2007 n e 6 settembre 2007 n ). Correttamente è stato accertato il pari concorso di colpa sulla base del giudicato esterno. Resta assorbito il terzo motivo dove si intende superare tale giudicato con la richiesta di un riesame critico delle prove. Nel quinto motivo di deduce il vizio della motivazione in relazione alla richiesta di una nuova consulenza medico legale in punto di aggravamento del danno biologico; sul punto la Corte risponde (ff. 9 della motivazione) che la valutazione del danno biologico, nella sua complessità, ha tenuto conto anche dell'evoluzione futura della invalidità, con una valutazione equitativa. Tale motivazione appare pertanto non sindacabile, esprimendo un prudente apprezzamento. Nel sesto e nel settimo motivo si deduce il vizio della motivazione in ordine alla ridotta liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, sul rilievo che lo S. si occupava di numerose pratiche urbanistiche richiedendo corrispettivi ad horas (sesto motivo) e si lamenta che non venne disposta una consulenza contabile sul punto. Ma nessun vizio della motivazione si ravvisa (ff. 10 e 11) nelle considerazioni svolte dalla Corte milanese che ritengono congrua la minor somma liquidata dal primo giudice. Esame del motivo fondato. Merita accoglimento il quarto motivo, in cui si deduce la violazione di legge (art. 2059) per la mancata liquidazione del danno morale contestuale alle lesioni gravi. Sul punto la Corte di appello (ff. 8 e 9 della sentenza) si limita a confermare la decisione del tribunale che ha escluso la risarcibilità del danno morale nel caso di colpa presunta. La Corte delibera la decisione nell'aprile del 2003, anteriormente alla svolta delle sentenze della III sez. civile nn. 7281, 7282, 7283 del 12 maggio 2003, che affermano il principio evolutivo, secondo cui alla risarcibilità del danno non patrimoniale non osta il mancato accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nei casi di cui all'art c.c. debba ritenersi sussistere in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa (come appare nel caso di specie) il fatto sarebbe qualificabile come reato. Questo orientamento, consolidato da sentenze successive conformi, da ultimo appare confermato nel punto 2.10 della motivazione della sentenza delle SU civili n del 11 novembre Pertanto il giudice del rinvio è vincolato al rispetto del seguente principio di diritto: la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta dell'autore del danno, ancorché vi sia l'accertamento del pari concorso di colpa ai sensi del secondo comma dell'art del codice civile. All'accoglimento dei ricorso segue cassazione con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto come sopra enunciato e provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. Accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri motivi, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

159 Cassazione civile, sez. un., 14 gennaio 2009, n. 557 Svolgimento del processo 1 C.M., in proprio e quale esercente la potestà sui figli minori C.F. e C.L., marito di F.L. - deceduta a seguito di un incidente stradale avvenuto in data 14 giugno 1989 tra un automezzo da lui condotto ed altro automezzo condotto da L.N., nel quale subì lesioni anche la figlia C.L. - C.A. e S.C., suoceri conviventi, F.V. e A.P., genitori, con citazione 12 luglio 1990 convenivano dinanzi al tribunale di Treviso L.N. e la S.P.A. Lloyd Adriatico, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni nella misura di L quanto al C.M. in proprio, nella misura di L quanto al C.M. in proprio e per conto dei figli minori, quanto a F.V. e A.P. nella misura di L , nella misura di L quanto a C.A. e S.C., nella misura di L , quanto a C.L.. I convenuti si costituivano allegando un concorso di colpa di C.M. e contestando la misura dei danni. In prima udienza C.M. chiedeva l'ulteriore somma di L per sè ed i figli a titolo di danno biologico. Avendo gli attori chiesto l'emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., il G.I., con ordinanza 15 gennaio 1997, accertata la colpa esclusiva del L., condannava i convenuti in solido a pagare: a) a C.M. L (rivalutate in L ) per danni auto; L per danno morale; L per danno biologico iure proprio; L per danno patrimoniale da lucro cessante; L per spese funerarie; b) a C.F. e C.L., figli minori della vittima, L ciascuno per danno morale e L ciascuno per danno biologico jure proprio; c) a C.L. L per le lesioni da lei riportate; d) a F.V. e A.P. L per danno morale. I convenuti notificavano agli attori dichiarazione della rinuncia alla sentenza ai sensi dell'art. 186 guater c.p.c., depositandola in cancelleria e, successivamente, in data 28 gennaio 1998, notificavano ai medesimi atto di appello, in relazione al mancato riconoscimento della corresponsabilità del C.M., al riconoscimento del danno biologico al C.M. ed ai figli, alla rivalutazione ed agl'interessi liquidati. Si costituiva in giudizio C.M., in proprio e per i figli minori, proponendo appello incidentale in relazione alla misura dei danni liquidati. La Corte di appello di Venezia, con sentenza 23 gennaio 2003, riformava la sentenza sia in relazione all'appello principale che a quello incidentale, riconoscendo il concorso di colpa e riliquidando i danni. Avverso tale sentenza C.M., in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla figlia minore C.L., nonchè C.F., hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 25 febbraio 2004 al L. ed al Lloyd Adriatico, formulando sei motivi. Gl'intimati resistono con controricorso e ricorso incidentale notificati il 5 aprile Il C.M. ha anche depositato memoria. La causa, assegnata alla terza sezione civile, è stata rimessa al primo presidente della Corte, per eventuale rimessione alle sezioni unite, con ordinanza 22 aprile 2008, essendo stata dedotta, con il ricorso principale, l'inammissibilità dell'appello perchè proposto dopo il decorso del termine di trenta giorni dal deposito dell'atto di rinuncia notificato agli attori ed essendovi, su tale questione, un contrasto di orientamenti all'interno della Corte. Il primo Presidente della Corte ha rimesso la causa alle sezioni unite. Motivi della decisione 1. I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. per essere decisi con la stessa sentenza. 2 Con il primo motivo del ricorso principale si deduce l'inammissibilità dell'appello in relazione al disposto degli artt. 186 quater e 325 c.p.c.. Si deduce al riguardo che i convenuti nel giudizio di primo grado, dopo l'emissione dell'ordinanza, in data 15 gennaio 1997, ex art. 186 quater, di parziale accoglimento delle domande, notificarono agli

160 attori dichiarazione di rinuncia alla sentenza, depositandola in cancelleria il 27 settembre 1997 e il 18 dicembre Pertanto dal deposito dell'atto notificato l'ordinanza aveva acquistato efficacia di sentenza e il termine per proporre l'appello non era quello annuale, bensì quello di trenta giorni, tenuto conto che la parte intimata, rinunciando alla sentenza, aveva dimostrato di avere piena conoscenza della stessa, così da non essere più necessaria un'ulteriore notifica per far decorrere il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c.. Con il secondo motivo del ricorso principale si denunciano la violazione dell'art c.c. e vizi motivazionali. Si deduce al riguardo che la Corte di appello ha affermato il principio che l'individuazione a carico di uno dei conducenti di un veicolo di uno specifico profilo di colpa non è sufficiente ad attribuirgli l'esclusiva responsabilità dell'incidente causato, essendo necessario a tal fine che sia accertato che l'altro conducente si era uniformato completamente alle norme di circolazione stradale e di comune prudenza, dovendo a tal fine provare, per vincere la presunzione di concorrente responsabilità, di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro. Pertanto, nel caso di specie, il C.M. avrebbe dovuto provare - e non lo aveva fatto - che la velocità dei veicoli nella fase di avvicinamento al crocevia e la velocità del veicolo della controparte erano tali da non consentirgli di evitare la collisione. Secondo il ricorrente principale erroneamente la Corte di appello avrebbe affermato che in base alla deposizione dei testi escussi il C.M. avrebbe potuto percepire che il L. che sopraggiungeva non si sarebbe arrestato all'incrocio. Si deduce che la perizia espletata in sede penale aveva accertato che non c'era relazione causale fra il comportamento del C.M. e il sinistro, ascrivibile a responsabilità esclusiva del L.. In tale contesto, secondo il ricorrente, doveva farsi applicazione del principio secondo il quale per escludersi la colpa non è necessaria la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma è sufficiente l'accertamento dell'assenza di una propria colpa e l'idoneità della condotta della controparte a costituire causa esclusiva dell'evento. Con il terzo motivo del ricorso principale si denunciano la violazione degli artt. 2, 3, 24, 29 e 32 Cost. in relazione agli artt. 2043, 1226, 2056 e 2059 c.c., nonchè vizi motivazionali. Si deduce al riguardo che la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso l'esistenza di un danno biologico per la perdita della congiunta per C.M. e i suoi figli, in quanto trattandosi di danno conseguenza essi avrebbero dovuto provare la sussistenza in concreto di tale danno (quale lesione dell'integrità psicofisica degli stessi, determinante una patologia o un aggravamento di una patologia preesistente), senza possibilità per il giudice di ricorrere al fatto notorio, mentre gli attori non avevano neppure addotto un simile danno, limitandosi ad allegare la menomazione del tessuto familiare. In realtà gli attori, con la dicitura "danno biologico iure proprio" avevano inteso riferirsi a quello che viene detto danno esistenziale, inteso come peggioramento oggettivo delle condizioni di vita in conseguenza di un fatto ingiusto che ha provocato la lesione di un diritto costituzionalmente garantito. Danno che è in "re ipsa" e pertanto non necessita di prova e può essere liquidato in via equitativa. Con il quarto motivo del ricorso principale si denunciano vizi motivazionali e violazione di norme di diritto in relazione ai danni liquidati alla minore C.L.. Si deduce al riguardo che nulla le è stato liquidato a titolo di danno biologico sulla temporanea di giorni novanta, per la quale era stata richiesta la somma di L e a titolo di rimborso di spese mediche, documentate in L Con il quinto motivo del ricorso principale si denunciano violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizi motivazionali circa un punto decisivo della controversia, in relazione al danno materiale per la morte di F.L.. Con il motivo si lamenta che il danno materiale conseguente al mancato apporto della F. alla famiglia non andava attribuito interamente al marito, ma diviso al 50% fra lui e i figli, in quanto anch'essi avrebbero beneficiato dell'apporto economico della madre, con la conseguenza che sulla somma ad essi spettante non andava operata la riduzione del 30% relativa alla ritenuta corresponsabilità del C.M..

161 Con il sesto motivo del ricorso principale si denuncia l'errata quantificazione del danno, in quanto la Corte di appello ha quantificato in Euro ,25 il credito spettante a C. M. in proprio e quale padre dei minori, da conguagliarsi con la somma già corrispostagli di Euro ,27, condannandolo alla restituzione di Euro ,02. Ma la somma pagata dalla società assicuratrice era comprensiva di L per spese di registrazione della sentenza e L per spese legali liquidate con l'ordinanza ex art. 186 quater. c.p.c.. Si deduce che, essendo la società assicuratrice soccombente in entrambi i gradi di giudizio, tali spese non andavano restituite. 2 Con il primo motivo del ricorso incidentale si denunciano - condizionatamente all'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale - vizi motivazionali e la violazione degli artt. 2043, 2056, 1226 e 2059 c.c., in relazione alla misura dei danni morali liquidati. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denunciano vizi motivazionali e la violazione degli artt. 1223, 1224, 1227, 1283, 2056 e 2058 c.c., in relazione alla liquidazione degl'interessi al tasso dell'8% dalla data del sinistro al 19 maggio 1997, sulle somme già rivalutate a tale data, invocandosi il diverso principio stabilita dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 17 febbraio 1995, n Con il terzo motivo del ricorso incidentale si denunciano vizi motivazionali e la violazione degli artt. 90 e 92 c.p.c. in relazione alla condanna alle spese dei due gradi. 2 I ricorsi, assegnati alla terza sezione civile, a seguito di ordinanza interlocutoria di quella sezione sono stati assegnati alle sezioni unite per risolvere il contrasto - involgente il primo motivo del ricorso principale - insorto all'interno di questa Corte relativamente alla decorrenza del termine breve per l'impugnazione dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 263 del 2005, nell'ipotesi di rinuncia, da parte dell'intimato, alla pronuncia della sentenza, con riferimento alla disciplina originaria contenuta nel comma 4 di detto articolo, applicabile "ratione temporis" alla fattispecie oggetto del ricorso. Occorre, pertanto, nell'esame del ricorso, muovere dalla soluzione di tale contrasto. 3 Al riguardo va premesso che l'art. 186 quater c.p.c. - introdotto D.L. 18 ottobre 1995, n. 423, art. 7 conv. con mod. dalla L. 20 dicembre 1995, n ha aggiunto un nuovo provvedimento anticipatorio della sentenza finale rispetto a quelli già inseriti nel c.p.c. dalla novella del 1990, disponendo (al comma 1) che il giudice istruttore, esaurita l'istruttoria "su istanza della parte che ha proposto la domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, può disporre con ordinanza il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui ritiene raggiunta la prova". Tale ordinanza (comma 2) è titolo esecutivo, è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio ma (comma 3), se dopo la pronuncia dell'ordinanza il processo si estingue, acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza. L'ultimo comma dell'articolo (secondo il testo originario) prevedeva: "La parte intimata può dichiarare di rinunciare alla pronuncia della sentenza con atto notificato all'altra parte e depositato in cancelleria. Dalla data di deposito dell'atto notificato, l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza". Tale ultima disposizione - successivamente innovata nel meccanismo, ma non nella finalità, dalla L. n. 263 del 2005, a norma della quale "l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all'altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata sentenza" - aveva lo scopo di rendere possibile all'intimato, attraverso la rinuncia alla sentenza notificata alla controparte e depositata in cancelleria, d'impugnare l'ordinanza di condanna senza dovere attendere l'emanazione della sentenza, così da potere anche proporre al giudice dell'impugnazione la domanda di sospensione dell'esecutività dell'ordinanza, altrimenti non proponibile, salva la prosecuzione del giudizio relativamente alle eventuali domande estranee all'istanza stessa.

162 4 Come esposto nell'ordinanza interlocutoria della terza sezione civile, in relazione al regime d'impugnazione dell'ordinanza, convertita in sentenza impugnabile secondo il meccanismo previsto dall'originario testo dell'art. 186 quater, con riferimento al dies a quo del decorso del termine breve per l'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c., nella giurisprudenza di questa Corte si sono venuti a manifestare due diversi orientamenti. Secondo un primo orientamento (formulato nelle sentenze n del 2004 della seconda sezione, nn e del 2004 della terza sezione e n della prima sezione) dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia notificato dall'intimato alla controparte decorrerebbe il solo termine lungo d'impugnazione di cui all'art. 327 c.p.c., mentre per rendere operante il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. sarebbe necessaria un'ulteriore notifica dell'ordinanza - con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia - dopo che essa abbia acquistato valore di sentenza impugnabile, decorrendo, pertanto, il termine breve solo da tale notifica. Partendo dalla constatazione che l'art. 186 quater nulla dispone in proposito, tale indirizzo ritiene incompatibile con il sistema processuale ricavabile dagli artt. 325 e 327 c.p.c. una diversa interpretazione, che faccia decorrere per l'intimato sia il termine breve per impugnare, sia il termine lungo dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza notificato all'altra parte. Secondo altro orientamento (formulato nelle sentenze n del 2004 della seconda sezione civile e n del 2006 della terza sezione civile, che a questa si è conformata), dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia notificato dall'intimato alla controparte decorrerebbe per l'intimato il termine breve per l'impugnazione, dovendosi desumere da tale attività la legale conoscenza del provvedimento da parte dell'intimato, nonchè della sua volontà di fare acquisire all'ordinanza efficacia di sentenza impugnabile, restando esclusa per lui l'applicabilità del termine lungo, mentre per la controparte il termine breve decorrerebbe solo dall'ulteriore notifica dell'ordinanza dopo che essa abbia acquistato valore di sentenza impugnabile, decorrendo altrimenti, per essa, da tale momento, unicamente il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c.. 5) Tale secondo indirizzo muove - in conformità di quanto evidenziato al riguardo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 385 del dalla considerazione che l'art. 186 quater, oltre a perseguire la finalità primaria consistente nell'anticipare i tempi di realizzazione del "petitum" rispetto all'ordinario schema processuale in tutti quei casi in cui la domanda abbia ad oggetto il pagamento di somme, ovvero la consegna od il rilascio di beni, ed il giudice ritenga raggiunta la prova del fatto costitutivo invocato, perseguirebbe l'effetto ulteriore di determinare una riduzione della pendenza dei procedimenti, in attuazione della ratio delle linee programmatiche della normativa avente ad oggetto le misure urgenti per il processo civile, intervenute a partire dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, così soddisfacendo, oltre all'interesse delle parti, in via indiretta e mediata, tale fondamentale finalità d'interesse collettivo. In questa ottica, secondo la sentenza n del 2004, "la possibilità di ottenere l'ordinanza postistruttoria di condanna munita "ex lege" di efficacia esecutiva, concessa all'una delle parti con i primi due commi della norma in esame, è contestualmente bilanciata dalla facoltà, concessa all'altra parte con il successivo quarto comma, di rinunziare alla successiva pronunzia della sentenza... facendo conseguire l'efficacia della stessa all'ordinanza e, in tal modo, ponendosi in condizione d'impugnarla e di chiederne la sospensione dell'esecutività, diversamente non conseguibile". Ma essendo tale facoltà concessa all'intimato diretta, parimenti, a soddisfare "l'esigenza collettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie", l'interpretazione della normativa in questione dovrebbe avvenire "in considerazione di siffatta finalità d'ordine generale, cui il legislatore ha informato l'intera sua azione riformatrice", che "si riverbera anche nel contenuto precettivo delle singole disposizioni in esame". Sulla base di tale criterio, secondo l'orientamento in esame diffusamente illustrato dalla sentenza n del 2004, occorre "tener presente come la previsione, nel codice di rito, d'un termine cosiddetto lungo per l'impugnazione non abbia lo scopo di concedere alla parte interessata all'impugnazione stessa uno "spatium deliberandi" di tale entità temporale, bensì quello di far fronte all'esigenza di formazione

163 della cosa giudicata, per tutti i soggetti interessati, presenti o meno nel giudizio (salva, per questi ultimi, l'eccezione di cui all'art. 327 c.p.c., u.c.), con il decorso d'un appropriato periodo di tempo dalla pronunzia della sentenza, decorso il quale è attribuita l'efficacia d'una presunzione assoluta di conoscenza della sentenza stessa", mentre "la previsione del termine cosiddetto breve abbia lo scopo di consentire, alla parte interessata, d'accelerare i tempi della formazione del giudicato sulla sentenza o dell'impugnazione della stessa con il portare la sentenza, mediante la notificazione, a legale conoscenza della controparte". Sarebbe, pertanto, in entrambe le ipotesi, "la legale conoscenza dell'intervenuta decisione della controversia e delle ragioni di essa, presunta ex lege nell'una e realizzata con la notificazione nell'altra, a determinare l'entità del periodo di tempo entro il quale può essere proposta l'impugnazione". Una simile ricostruzione della ratio degli artt. 325 e 327 c.p.c. sarebbe conforme alle affermazioni giurisprudenziali secondo le quali il termine breve per l'impugnazione decorre dalla notificazione della sentenza anche per il notificante, ai fini della tempestività del rinnovo di un'impugnazione inammissibile per il notificante il termine breve decorre dalla prima notificazione, il termine breve decorre per tutte le parti, indipendentemente dalla notificazione della sentenza, ove avverso di essa sia stato già proposto un diverso tipo d'impugnazione, dalla notificazione di detta impugnazione. Sulla base di queste considerazioni si dovrebbe ritenere "che, se l'attività posta in essere dall'intimato, ex art. 186 quater c.p.c., con la notificazione alla controparte dell'atto di rinunzia alla sentenza e con il deposito in cancelleria dell'atto di rinunzia notificato, cui consegue l'acquisto per l'ordinanza postistruttoria di condanna dell'efficacia di sentenza, costituisce adeguata dimostrazione della legale conoscenza del provvedimento da parte dell'intimato ed, inoltre, della specifica volontà dello stesso di far acquisire all'ordinanza medesima l'efficacia della sentenza impugnabile, allora nel momento in cui detta attività si perfeziona deve necessariamente ravvisarsi il "dies a quo" per il decorso del termine breve d'impugnazione da parte dell'intimato". Interpretazione che sarebbe confermata dalla "ratio" sollecitatoria della definizione delle controversie alla quale è improntato l'intero complesso delle misure nelle quali è inserito l'art. 184 quater, con cui "sarebbe palesemente incompatibile il frustrare gli effetti connessi al meccanismo acceleratorio predisposto con l'istituto in esame consentendo alla parte, che ad esso abbia dato impulso, di sottrarsi, poi, alle logiche conseguenze dell'adottata iniziativa ritenendo, invece, applicabile il termine lungo per l'impugnazione". Ne deriverebbe che, in tal modo, di fatto verrebbe ad operare per l'intimato il solo termine breve e non anche quello lungo, ma questo sarebbe proprio l'intento del legislatore, "il quale può scegliere una diversificata disciplina processuale laddove la peculiarità del rapporto sostanziale controverso e/o le particolari connotazioni del giudizio ne rappresentino una ragionevole giustificazione". Fermo restando che per la controparte, rimasta. ignara del prosieguo del procedimento iniziato con la rinuncia alla sentenza notificatale, tale principio non vale, decorrendo il termine breve dalla notifica dell'ordinanza-sentenza divenuta esecutiva. 6 Il contrasto interpretativo, a giudizio di queste sezioni unite va risolto in favore del primo orientamento, sulla base delle seguenti considerazioni. Innanzitutto va premesso che il principio costituzionale della giusta durata del processo, sancito dall'art. 111 Cost., che può essere attuato mediante la previsione di termini processuali di decadenza, va sempre coordinato, dal legislatore come dall'interprete, con la garanzia costituzionale del diritto di difesa, che deve trovare effettiva attuazione perchè si realizzi, nella ragionevole durata, il "giusto processo" garantito dallo stesso art In tale ottica va rilevato che, quando il legislatore statuisce che un termine processuale di decadenza decorra dal verificarsi di un determinato atto o fatto, l'interprete non può sostituirne la decorrenza con altro fatto o atto diverso, ancorchè ad effetti in qualche misura analoghi o equivalenti, senza compromettere l'esatta osservanza del criterio interpretativo stabilito dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in connessione con il principio costituzionale di effettività del diritto di difesa, il quale ammette che tale diritto possa essere sottoposto a termini di decadenza, ma impone, affinchè non ne risulti svuotato, non solo che essi siano congrui nella durata, ma anche rapportati - quanto al "dies a

164 quo" - ad un fatto o atto specifico, predeterminato dalla legge, che il soggetto onerato, a quel momento, conosce o, secondo legge, avrebbe dovuto conoscere. Ne deriva, già in base al su detto rilievo, la constatazione che mentre l'art. 326 c.p.c. fa decorrere il termine breve dalla notifica della sentenza e, nel caso previsto dall'ultimo comma, di processo con pluralità di parti con cause scindibili, per il soccombente, dalla notifica dell'impugnazione ad una delle parti, l'interpretazione prospettata da Cass. 29 settembre 2004, n (e dalla sentenza n del 2006), fa decorrere detto termine, per l'intimato, dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia all'emanazione della sentenza notificato alla controparte, così discostandosi in modo evidente dal tenore della normativa che disciplina la decorrenza di quel termine, facendolo decorrere, contro il suo tenore, da un fatto completamente diverso da quelli da essa previsti. A ciò aggiungasi che, se è vero che nel sistema posto in essere dagli artt. 325 e 327 c.p.c., sia il temine lungo sia il termine breve sono finalizzati a limitare nel tempo il diritto d'impugnare la sentenza allo scopo della formazione del giudicato, va parimenti considerato che l'attivazione del termine breve è rimesso alla valutazione ed all'interesse delle parti, le quali lo debbono manifestare nelle forme tipiche, previste dall'art. 326 c.p.c.. Mentre nel caso previsto dall'art. 186 quater c.p.c. il deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza, secondo l'espressa previsione della norma, ha l'effetto di fare acquistare all'ordinanza "l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza", con la conseguenza che non vi è ragione di desumere da una manifestazione di volontà dell'intimato, diretta a perseguire quel suo interesse ed a conseguire quell'effetto, l'ulteriore e diverso significato, non previsto dalla legge e per lui pregiudizievole, di fare iniziare da essa il decorso del termine breve, onerandolo di proporre entro trenta giorni l'impugnazione che, secondo la regola generale posta dall'art. 327 c.p.c., ha invece diritto di proporre entro l'anno da tale deposito. E ciò in presenza di una statuizione legislativa che, secondo il suo tenore, si limita a fare acquistare all'ordinanza "efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza". Dall'osservazione che l'art. 186 quater, u.c. ha lo scopo di attribuire all'ordinanza, ai fini dell'impugnazione, efficacia di sentenza, deriva che la situazione giuridica che la legge ricollega al deposito in cancelleria della rinuncia della parte intimata alla sentenza, è in tutto analoga a quella che si sarebbe verificata se il giudice in tale data avesse depositato la sentenza. E pertanto risulta coerente con il sistema attribuire a tale fatto giuridico l'effetto tipico previsto dall'art. 327 c.p.c., che è quello di far decorrere da esso il termine lungo per l'impugnazione, mentre non appare coerente con il sistema attribuirgli l'effetto di far decorrere da esso il termine breve, che l'art. 326 c.p.c. riconnette ad atti giuridici completamente diversi. La soluzione prospettata dal secondo orientamento interpretativo in esame, inoltre, da luogo ad ulteriori incongruenze sistematiche, che non lo rendono idoneo a determinare quella minore durata del processo che si vorrebbe perseguire. Infatti, nel vigente sistema processuale, la notifica della sentenza è di regola richiesta dalla parte vittoriosa ed è diretta a provocare l'impugnazione di quella soccombente e, in difetto, il giudicato in proprio favore e fa decorrere il termine breve per entrambe le parti. Nel caso di specie, invece, il deposito dell'atto di rinuncia alla sentenza, che viene ad essere, di norma, eseguito dalla parte soccombente, avrebbe l'effetto di far decorrere il termine breve solo nei confronti di tale parte (come si riconosce nella stessa sentenza n del 2004), non avendo l'altra parte notizia di tale deposito, cosicchè, con una grave disarmonia sistematica, per una parte decorrerebbe il termine breve e per l'altra il termine lungo, così da essere resa comunque non perseguibile per tale via quella "ratio" acceleratoria posta a base dell'interpretazione adottata. Mentre, frustrandosi parimenti tale "ratio" acceleratoria, ove il deposito della rinuncia notificatagli fosse effettuata dall'intimante (come questa Corte ha ritenuto ammissibile: Cass. 22 dicembre 2005, n ), si verificherebbe la stessa situazione a parti invertite. Inoltre va ancora rilevato che essendo l'art. 186 quater inserito nella disciplina del giudizio di primo grado, la sua "ratio" acceleratoria non può che attenere alla più rapida conclusione di tale giudizio

165 cosicchè - anche per tale ulteriore ragione di ordine sistematico - non può essere utilizzata per fondarvi, senza un esplicito appiglio normativo, una deroga alla disciplina dei termini d'impugnazione. 7 In linea con le regole ed i principi posti dagli artt. 325, 326 e 327 c.p.c. appare, invece, l'indirizzo interpretativo adottato dalle sentenze nn. 1692, e del 2004, che identifica nel deposito dell'atto di rinuncia notificato, a seguito del quale l'ordinanza acquista efficacia di sentenza impugnabile, il "dies a quo" del decorso del termine lungo d'impugnazione previsto dall'art. 327 c.p.c., mentre per il decorso del termine breve d'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c. richiede, al termine del procedimento previsto dall'art. 186 quater, u.c. per fare acquistare all'ordinanza efficacia di sentenza, una nuova notifica di essa con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia. Infatti - disponendo l'art. 186 quater c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 263 del 2005) che dalla data del deposito in cancelleria della rinuncia alla pronuncia della sentenza "l'ordinanza acquista l'efficacia della sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza" - l'indirizzo in esame, in piena aderenza a tale disposto, afferma che la situazione che si viene a creare è in tutto analoga a quella determinata dal deposito, in tale data, di una sentenza: deposito che, a norma dell'art. 327 c.p.c., determina l'inizio del decorso del termine annuale di decadenza dall'impugnazione. Con la logica e congruente conseguenza che, nel caso previsto dall'art. 186 quater, dalla data del deposito in cancelleria della rinuncia alla pronuncia della sentenza inizia il decorso del termine annuale d'impugnazione in conformità della statuizione dell'art. 327 c.p.c.. Parimenti aderente al disposto dell'art. 326 c.p.c., comma 1, risulta l'assunto secondo il quale perchè decorra anche il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. è necessaria la notifica dell'ordinanza con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia alla sentenza. Una volta perfezionato l'"iter" previsto dall'art. 186 quater c.p.c., u.c., infatti, non avendo il legislatore dettato alcuna disposizione che autorizzi ad applicare all'ordinanza che abbia acquistato efficacia di sentenza una disciplina del decorso dei termini d'impugnazione diversa da quella generale, per il decorso del termine breve deve necessariamente farsi riferimento alla disciplina generale dell'art. 326 c.p.c., con gli adattamenti resi necessari dalla circostanza che l'atto impugnabile è un'ordinanza con efficacia di sentenza, la quale dovrà essere, pertanto, notificata con le attestazioni necessarie a dimostrare al destinatario della notifica tale sua acquistata efficacia. Il contrasto, pertanto, deve essere risolto con l'affermazione del seguente principio di diritto: "In tema d'impugnazione dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. - nel testo introdotto dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 423, art. 1, conv. con mod. dalla L. 20 dicembre 1995, n l'adempimento, da parte dell'intimato, degli oneri di notifica e di deposito della rinuncia alla sentenza, ai sensi del comma 4 della norma citata, fa sì che l'ordinanza stessa acquisti, dal momento del deposito, l'efficacia della sentenza impugnabile pubblicata, con conseguente decorrenza del termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c., mentre perchè decorra anche il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. è necessaria una nuova notifica dell'ordinanza con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia all'emanazione della sentenza". 8 Dalla soluzione del contrasto nei sensi sopra indicati deriva il rigetto del primo motivo del ricorso principale. 9 Deve pertanto passarsi all'esame del secondo motivo del ricorso principale, con il quale si denunciano la violazione dell'art c.c. e vizi motivazionali. Con il motivo si censura, in relazione all'art c.c., l'affermazione della Corte di appello secondo la quale l'individuazione a carico di uno dei conducenti di un veicolo di uno specifico profilo di colpa non è sufficiente ad attribuirgli l'esclusiva responsabilità dell'incidente causato, essendo necessario a tal fine che sia accertato che l'altro conducente si era uniformato completamente alle norme di circolazione stradale e di comune prudenza, dovendo egli provare, per vincere la presunzione di concorrente responsabilità, di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro. Sotto il profilo motivazionale secondo il ricorrente erroneamente la Corte di appello avrebbe affermato che in base alla deposizione dei testi escussi egli avrebbe potuto percepire che il L. che sopraggiungeva non si sarebbe arrestato all'incrocio e si deduce che la perizia espletata in sede penale dal P.M. aveva accertato che non c'era relazione causale fra il comportamento di esso ricorrente e il sinistro, ascrivibile a responsabilità esclusiva del L..

166 In tale contesto, secondo il ricorrente, doveva farsi applicazione del principio secondo il quale per escludersi la colpa non è necessaria la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma è sufficiente l'accertamento dell'assenza di una propria colpa e l'idoneità della condotta della controparte a costituire causa esclusiva dell'evento. Il motivo è infondato. Sul punto la sentenza impugnata esattamente ha fatto applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, l'accertamento in concreto della colpa di uno dei soggetti coinvolti nel sinistro, per avere commesso un'infrazione, anche grave, al codice della strada, non esclude la presunzione di colpa concorrente dell'altro, ove non sia stata da questo fornita la prova liberatoria dell'assenza di ogni possibile addebito a suo carico, essendo a tal fine necessario accertare che egli si sia pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza e abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente (ex multis: Cass. 14 giugno 2006, n. 3193; 3 novembre 2004, n ; 27 ottobre 2004, n ; 23 febbraio 2004, n. 3549). Mentre costituisce accertamento di merito, adeguatamente motivato dalla sentenza impugnata e pertanto incensurabile in questa sede, quello secondo il quale non era stata data dal C.M. la prova, in relazione alle circostanze emerse dall'istruttoria espletata, che la sua condotta di guida portasse ad escludere ogni efficienza causale rispetto al sinistro, con riferimento al comportamento da tenersi in prossimità degli incroci ed al criterio di generale prudenza. 10. Infondato è anche il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si denunciano la violazione degli artt. 2, 3, 24, 29 e 32 Cost. in relazione agli artt. 2043, 1226, 2056 e 2059 c.c., nonchè vizi motivazionali, per avere la Corte di appello erroneamente escluso l'esistenza di un danno biologico, per la perdita della congiunta, per C.M. e i suoi figli, in quanto trattandosi di danno conseguenza essi avrebbero dovuto provare la sussistenza in concreto di tale danno, mentre gli attori non avevano neppure addotto un simile danno, limitandosi ad allegare la menomazione del tessuto familiare. Si deduce che in realtà gli attori, con la dicitura "danno biologico iure proprio" avevano inteso riferirsi a quello che viene detto danno esistenziale, inteso come peggioramento oggettivo delle condizioni di vita in conseguenza di un fatto ingiusto che ha provocato la lesione di un diritto costituzionalmente garantito: danno che è in re ipsa, non necessita di prova e può essere liquidato in via equitativa. La sentenza impugnata ha interpretato la domanda in proposito come richiesta del risarcimento del danno biologico ed ha esattamente affermato, con riferimento ad esso, che non ne era stata data la prova, riformando sul punto la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto tale tipo di danno. Peraltro, contestualmente, la sentenza impugnata ha accolto parzialmente il terzo motivo del ricorso incidentale dei C., con il quale lamentavano l'inadeguatezza della misura dell'indennizzo correlato al danno morale per la perdita della congiunta, "sostenendo che in relazione alla giovane età della comune congiunta ed alla immaturità dei figli, la sofferenza inferta riuscisse di particolare severità", sì da fare apparire inadeguato l'indennizzo concesso a tale titolo di L per ciascuno dei danneggiati. In proposito la sentenza della Corte di appello ha valutato che, effettivamente, "nella specie la perdita sofferta...appariva di particolare gravità, sia per il coniuge - in relazione alla giovane età della vittima ed alla centralità del ruolo che essa veniva ad occupare nella compagine familiare in ragione della poliedricità del sue impegno di moglie, madre e lavoratrice - che per i figli, privati della madre in un'età in cui la madre costituisce la figura genitoriale di primario rilievo sotto il profilo affettivo". Ha pertanto elevato il risarcimento per "il danno morale per la perdita della congiunta" a L per il marito ed Euro per ciascun figlio, correttamente riassorbendo il "danno da perdita del rapporto parentale" - del quale con il motivo in esame, nella sostanza, si lamenta la mancata liquidazione - nel danno morale, secondo un principio aderente a quanto stabilito da queste sezioni unite con le sentenze nn , 26973, e del 2008, con le

167 quali è stato negato che il c.d. "danno esistenziale" costituisca un'autonoma categoria di danno e tutti i danni non patrimoniali sono stati ricondotti nell'ambito della previsione dell'art c.c., ivi compreso il "danno da perdita del rapporto parentale". Il motivo, pertanto, deve essere rigettato. 11. Infondato è anche il quarto motivo del ricorso principale, con il quale si denunciano vizi motivazionali e violazione di norme di diritto in relazione ai danni liquidati alla minore C. L., deducendosi che nulla le era stato liquidato a titolo di danno biologico sulla temporanea di giorni novanta, per la quale era stata richiesta la somma di L e a titolo di rimborso di spese mediche, documentate in L Risulta, infatti, dalle conclusioni riportate nella sentenza della Corte di appello che con riferimento a C.L. fu richiesta la condanna degli appellanti al pagamento dell'ulteriore somma di L , "a titolo di danno biologico e morale", da aggiungersi ai venti milioni liquidati in primo grado a tale titolo. Domanda questa che risulta integralmente accolta dalla sentenza della Corte di appello, la quale ha riliquidato il danno in questione complessivamente in Euro (scomposte in L a titolo di danno biologico e L a titolo di danno morale), con conseguente infondatezza del motivo. 12. Infondato è anche il quinto motivo del ricorso principale, con il quale si denunciano violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizi motivazionali circa un punto decisivo della controversia, in relazione al danno materiale per la morte di F.L., deducendosi che il danno materiale conseguente al mancato apporto della F. alla famiglia non andava attribuito interamente al marito, ma diviso al 50% fra lui e i figli, in quanto anch'essi avrebbero beneficiato dell'apporto economico della madre, con la conseguenza che sulla somma ad essi spettante non andava operata la riduzione del 30% relativa alla ritenuta corresponsabilità del C.M.. In proposito va rilevato che in primo grado, per il titolo in questione, secondo quanto esposto nello stesso ricorso principale, tale voce di danno era stata liquidata unicamente in favore del marito della F., C.M., senza che sul punto fosse proposta impugnazione da parte dei figli, vertendo il gravame al riguardo unicamente sulla misura del risarcimento liquidato in primo grado. Ne risulta l'infondatezza della censura, avendo la Corte di appello correttamente accolto l'impugnazione nei limiti della censura formulata, traendo poi le conseguenze, in ordine alla misura liquidabile, del concorso di colpa del C.M Parzialmente fondato è, invece, il sesto motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia l'errata quantificazione del danno, per avere la Corte di appello quantificato in Euro ,25 il credito spettante a C.M. in proprio e quale padre dei minori, da conguagliarsi con la somma già corrispostagli di Euro ,27, condannandolo alla restituzione di Euro ,02, senza tenere conto che la somma pagata dalla società assicuratrice era comprensiva di L per spese di registrazione della sentenza e L per spese legali liquidate con l'ordinanza ex art. 186 quater. c.p.c.. In effetti la sentenza impugnata ha riliquidato sia le spese di primo che di secondo grado, cosicchè esattamente la compensazione è stata operata anche con riferimento alle spese liquidate con l'ordinanza ex art. 186 quater, non più dovute, mentre erroneamente la Corte di appello ha omesso di disporre che il conguaglio avvenisse tenendosi conto anche delle spese di registrazione della sentenza di primo grado, che non è contestato essere state anticipate dai C.. Il motivo, pertanto, va accolto entro tali limiti. 14. Venendosi all'esame del ricorso incidentale, il primo motivo va dichiarato assorbito essendo condizionato all'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale che è stato rigettato. Infondato è il secondo motivo, con il quale si denunciano vizi motivazionali e la violazione degli artt. 1223, 1224, 1227, 1283, 2056 e 2058 c.c., in relazione alla liquidazione degl'interessi al tasso dell'8% dalla data del sinistro al 19 maggio 1997, sulle somme già rivalutate a tale data, invocandosi il diverso principio stabilito dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 17 febbraio 1995, n La Corte di appello ha attribuito ai litisconsorti C. gl'interessi compensativi al tasso medio dell'8% annuo:

168 a) sulle somme ad essi attribuite definitivamente rivalutate alla data della decisione di primo grado (L ), dalla data del fatto illecito (14 giugno 1989) alla data di corresponsione del primo acconto (1^ dicembre 1991); b) dall'1 dicembre 1991 all'1 maggio 1997 (data del pagamento da parte dell'assicuratore) sull'importo del credito residuo rivalutato a tale ultima data (L ). Tali statuizioni, peraltro, non si pongono in contrasto con il principio, stabilito da queste sezioni unite, secondo il quale: "In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, se la liquidazione viene effettuata per equivalente, e cioè con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva è dovuto inoltre il danno da ritardo e cioè il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato dal creditore. La prova può essere data e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi e quindi anche mediante l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito per il mancato godimento - nel tempo - del bene o del suo equivalente in denaro. Se il giudice adotta, come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, fissandone il tasso, mentre è escluso che gli interessi possano essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente, è consentito invece calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma, equivalente al bene perduto, si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio" (Cass. sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712). Nel caso di specie, infatti, la Corte di appello ha fatto ricorso a tale ultimo criterio, applicando un tasso d'interesse medio sulla somma rivalutata, in parte con decorrenza dalla data del fatto - in modo da tener conto che gl'interessi decorrono su una somma che inizialmente non era di quell'entità e che si è solo progressivamente adeguata a quel risultato finale - la cui legittimità è stata costantemente confermata anche dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10 marzo 2006, n. 5234; 9 giugno 2004, n ; 5 agosto 2002, n ; 8 maggio 2002, n. 6590). Il terzo motivo del ricorso incidentale, riguardante le spese dei gradi precedenti, va dichiarato assorbito. 15. Il ricorso principale deve essere accolto, pertanto, limitatamente al sesto motivo, nei sensi sopra indicati, mentre vanno rigettati tutti gli altri motivi. Il ricorso incidentale va rigettato. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto. Sussistono le condizioni per la decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., in relazione al motivo parzialmente accolto, in quanto le spese di registrazione della sentenza debbono essere attribuite e liquidate nella misura di L (pari ad Euro ,02) in favore dei ricorrenti principali, non essendo contestato nel controricorso che le abbiano pagate, nè la loro misura. Cosicchè - dovendo essere attribuita ai ricorrenti principali tale ulteriore somma - la somma dovuta in restituzione dai ricorrenti principali al Lloyd Adriatico, con gl'interessi legali dal 19 maggio 1997 all'effettiva restituzione, non è quella stabilita nella sentenza impugnata, di L (Euro ,02), ma è quella di L (Euro ,02) meno L (Euro ,02), pari a L e ad Euro ,00, con gl'interessi dalla data su detta. Quanto alle spese, il L. ed il Lloyd Adriatico vanno condannati al pagamento delle spese dei due gradi di merito, che si liquidano come in dispositivo, mentre si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione, tenuto conto del rigetto di gran parte delle censure proposte dai ricorrenti principali. P.Q.M. La Corte di cassazione, riuniti i ricorsi, accoglie il sesto motivo del ricorso principale. Rigetta gli altri ed il ricorso incidentale.

169 Cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e decidendo nel merito, attribuisce ai ricorrenti principali la somma di Euro ,02, così riducendo la somma complessivamente dovuta in restituzione da C.M., C.L. e C.F., ad Euro ,00, con gl'interessi legali dal 19 maggio Condanna il Llyod Adriatico e L.N., in solido, al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, che liquida nella misura complessiva di Euro 6.843,65, di cui Euro 849,36 per spese, comprensive di quelle generali, Euro 1.800,65 per diritti ed Euro 4.193,64 per onorari, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, che liquida nella misura complessiva di Euro 8.835,49, di cui Euro 956,95 per spese, comprensive di quelle generali, Euro 1300,56 per diritti ed Euro 6.577,98 per onorari. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

170 Cassazione civile, sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975 Svolgimento del processo Con atto 5 gennaio 1988 F.E. e M.V., moglie e figlio di M.I., deceduto il (...) hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Prato, la USL n. (...), Area (...), chiedendo che, accertata la responsabilità di quest'ultima quanto al decesso del proprio congiunto M.I., la stessa fosse condannata al risarcimento dei danni materiali e morali, nella misura ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria e interessi. Hanno esposto gli attori, a fondamento della spiegata domanda, che i sanitari dipendenti dalla convenuta erano incorsi in gravi omissioni e imperizie, per avere nel compiere l'operazione di simpaticectomia lombare farmacologica perforato il tratto protesico dell'aorta del M.I.: tale perforazione, a causa della assoluta inidoneità delle parti sintetiche dell'aorta, aveva causato una emorragia sviluppatasi nell'arco di tre giorni che poi aveva condotto all'infarto e, quindi, alla morte del paziente. Costituitasi in giudizio la USL convenuta ha resistito alla avversa domanda, deducendone la infondatezza. Svoltasi la istruttoria del caso, nel corso della quale il giudizio è stato interrotto a causa della soppressione della USL e riassunto nei confronti della Gestione Stralcio Liquidatoria, l'adito tribunale con sentenza 17 ottobre 2000 ha dichiarato la convenuta responsabile della morte di M.I. e la ha condannata al pagamento della somma di L in favore di ciascuno degli attori, oltre accessori di legge. Gravata tale pronunzia dalla Gestione Liquidatoria ex Usl (...) Area (...), nel contraddittorio di F.E. e M.V., che costituitisi in giudizio hanno eccepito in rito la inammissibilità dell'appello e, nel merito, la sua infondatezza, la Corte di appello di Firenze con sentenza 10 dicembre marzo 2003, in totale riforma della sentenza del primo giudice ha rigettato la domanda attrice. Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, hanno proposto ricorso, affidato a 4 motivi, F.E. e M.V., con atto 8 aprile 2004 e date successive. Resiste, con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un motivo, la Gestione Liquidatoria ex art. Usl (...) Area (...), con atto 19 maggio Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione 1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. 2. Sulla questione preliminare secondo cui il procedimento di appello risulta essere stato patrocinato da professionista non legato da rapporto di lavoro con l'ente unico titolare dei rapporti sostanziali (Gestione Liquidatoria della soppressa USL n. (...) Area (...)) ma da rapporto di lavoro con la neocostituita Azienda USL n. (...) - i giudici di secondo grado hanno, testualmente, affermato questa Corte si limita a richiamare un consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, poichè le Regioni attribuiscono ai direttori generali delle aziende sanitarie locali le funzioni di commissario liquidatore delle cessate unità sanitarie locali ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, e che detti direttori sono autorizzati ad avvalersi, per tali funzioni, delle strutture operative delle ASL deve ritenersi che gli avvocati interni di queste aziende possano esercitare lo ius postulandi anche per conto delle gestioni liquidatorie delle USL, richiamando, al riguardo, l'autorità di Cass. 12 agosto 2000, n Con il primo motivo i ricorrenti principali censurano nella parte de qua la sentenza gravata denunziando violazione e falsa applicazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, u.c., lett. b, come convertito con L. n. 36 del 1934 e modificato con L. n del 1939, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di Appello ritenuto che l'avvocato che ha patrocinato il procedimento di appello, dipendente della neocostituita Azienda USL n. (...) potesse esercitare lo ius postulandi anche in favore della Gestione Liquidatoria della soppressa USL n. (...) Area (...).

171 Si osserva, in particolare, che gli avvocati degli enti pubblici possono essere iscritti nell'elenco speciale di cui al ricordato R.D.L. n del 1933, art. 3, comma 4, lett. b, sul presupposto, imprescindibile, della esclusività dell'espletamento - da parte loro - dell'attività di assistenza e difesa dell'ente presso il quale prestano la propria opera, nelle cause e negli affari dell'ente stesso, e - quindi - non di altri. 4. Il motivo non può trovare accoglimento. Ancorchè, infatti, nel passato, sulla specifica questione, sia stato espresso da questa Corte il principio secondo cui il passaggio di un avvocato già dipendente di una soppressa USL alle dipendenze di un diverso ente di nuova costituzione (nella specie, Azienda Ospedaliera (...), ex L.R. Campania 3 novembre 1994, n. 32) preclude qualsiasi possibilità di persistenza dello jus postulandi rispetto all'organismo di provenienza (in tale senso, in particolare, Cass., sez. un., 6 giugno 2000, n. 418), la più recente giurisprudenza di questa Corte regolatrice è - con specifico riferimento al quadro normativo sopravvenuto per effetto della L. 28 dicembre 1995, n pressochè consolidate in senso diverso. In molteplici occasioni, infatti, questa Corte ha affermato che in attuazione del principio posto dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14, - secondo cui le regioni attribuiscono ai direttori generali delle aziende sanitarie locali le funzioni di commissario liquidatore delle cessate unità sanitarie locali - le varie leggi regionali precisano che detti direttori generali si avvalgono, per tali funzioni, delle strutture operative delle ASL (cfr., con riguardo alla regione Toscana, L.R. 21 ottobre 1997, n. 75, art. 3, comma 2: i Commissari Liquidatori per lo svolgimento delle funzioni relative alle gestioni liquidatorie si avvalgono delle strutture organizzative delle Aziende unità sanitarie locali ). Deriva da quanto precede, precisa la ricordata giurisprudenza, che gli avvocati interni di queste aziende possono esercitare lo ius postulandi anche per conto delle gestioni liquidatorie delle USL. Ciò, nel quadro di un fenomeno - non sconosciuto al diritto amministrativo - di utilizzazione da parte di un ente dell'ufficio di un altro ente. Tale fenomeno, come noto, con riguardo ai rapporti Stato - Regioni anteriormente alla Legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che, tra l'altro, ha modificato l'art. 118 Cost., ha il proprio fondamento nell'art. 118 Cost., comma 3, nella sua formulazione originaria, secondo cui, in particolare la regione esercita normalmente le sue funzioni amministrativa delegandole alle provincie, ai comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici. Posto che in applicazione di tale precetto costituzionale la Regione Toscana si è avvalsa (con la L.R. 21 ottobre 1997, n. 75, ricordata sopra) degli uffici delle Ausl per coadiuvare il relativo direttore generale nell'esercizio della funzione di titolare della gestione liquidatore delle Usl soppresse comprese nel territorio di quella Ausl, è palese che detti direttori generali legittimamente si sono avvalsi, come nella specie, degli uffici legali delle Ausl. In applicazione degli stessi principi, del resto, già il D.L. 28 febbraio 1983, n. 85, art. 4, comma 11, convertito con L. n. 131 del 1983, aveva attribuito agli uffici legali dei comuni le cause delle USL che non disponessero di un proprio ufficio legale (cfr., al riguardo, ad esempio, Cass., sez. un., 27 gennaio 1993, n. 1005). Da ultimo, infine, non può non sottolinearsi che essendo, nella specie, legislativamente prevista (in puntuale applicazione del disposto costituzionale) la utilizzazione, da parte di un ente (gestione liquidatoria della Usl) dell'ufficio di un altro ente ufficio legale della Ausl, anche gli affari del primo ente possono ritenersi quali affari del secondo, ai fini del rispetto del disposto del R.D.L. n del 1933, art. 3, u.c., lett. b), secondo cui gli avvocati degli uffici legali istituiti presso enti pubblici, ed iscritti all'albo speciale, possono svolgere le loro funzioni per quanto concerne le cause ed affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera (in questo senso, tra le altre, Cass. 16 maggio 2008, n ; Cass. 23 settembre 2000, n ; Cass. 23 settembre 2000, n ; Cass. 12 agosto 2000, n ). 5. I giudici di secondo grado hanno rigettato la domanda proposta da F.E. e M.V. nei confronti della Usl, evidenziando che nel caso di specie... entrambe le consulenze tecniche espletate sul punto lasciano margini di dubbio considerevoli che non risultano nè contraddetti nè superati da altri elementi probatori, anche presuntivi, idonei a quel giudizio di persuasiva e razionale credibilità

172 dell'accertamento giudiziale che, in ambito civile, diventa onere della prova a carico della parte che lo assume. Con la prima CTU - evidenziano i giudici a quibus - si conclude: l'errore dell'operatore non influì nel determinismo dell'evento mortale che derivò da una insufficienza miocardia grave e pregressa, già realizzata da un primo infarto e manifestamente precipitata dal secondo. Il rapporto del deficit coronario responsabile del secondo infarto con un difetto irrorativo da ipotensione non è affatto sostenibile posto che manca qualsiasi elemento clinico dimostrativo di uno stato ipovolemico di tale gravità da indurre un deficit coronario produttivo dell'infarto del miocardio. Non furono infatti annotati nè tachicardia nè ipotensione nè sudorazione nè sete intensa, quei sintomi cioè che sarebbero stati ben invece rilevati se presenti e che non mancano mai in caso di shock ipovolemico ; conclusivamente se è emerso che in occasione di uno degli interventi di blocco del simpatico lombare cui fu sottoposto il M.I. si realizzarono lesioni vascolari e renali per grave negligenza dell'operatore... l'errore del sanitario non influì comunque nel decesso del M.I. che fu determinato da infarto acuto del miocardio. Anche se più possibilista in tale ricostruzione eziologica è la CTU dei proff. A.P. e C.A. - evidenziano ancora i giudici a quibus - si tratta pur sempre di mera ipotesi: le lesioni renale ed aortica rinvenute alla autopsia del cadavere di M.I. sono da attribuirsi ad un comportamento colposo dei sanitari che attuarono il blocco del simpatico. La possibilità che detta lesività aortica abbia potuto avere efficienza concausale nel determinismo dell1 infarto cardiaco causativo la morte del M.I., pure se non escludibile in linea puramente teorica, non può essere dimostrata e quindi affermata con certezza. La spiegazione - sottolinea la sentenza impugnata - che si da a tale conclusione è in piena sintonia con il ragionamento seguito dal primo CTU:... l'appena citata ipotesi patogenetica della cardiopatia letale, pur se ragionevolmente sostenibile in linea puramente teorica e sulla scorta anche del mero dato cronologico, non può a nostro avviso, essere indicata con assoluta certezza come quella che effettivamente determinò - o concorse a determinare - l'insorgenza della cardiopatia ischemica causativa la morte del M.I., non potendo essere suffragata tale ammissione, nello specifico caso in esame, non solo dall'impossibilità di potere conferire alla coazione della anemia con la preesistente patologia vascolare una preliminare, anche generica, attribuzione di necessarietà, requisito questo peculiare degli antecedenti in qualche modo causativi - o concausativi - un determinato evento, ma anche dal non essersi evidenziati quei sintomi clinici dello shock, quali la polipnea, il pallore e la sudorazione fredda, l'acrocianosi dei prolabi, la tachicardia, ecc... che sempre concomitano con anemie disfunzionalmente rilevanti in modo tanto evidente da non poter sfuggire neppure alla più disattenta delle osservazioni. La ipotesi causale indicata dagli attori - evidenzia conclusivamente la pronunzia gravata - non solo non risulta provata ma addirittura è stata smentita nella prima CTU o comunque, nella seconda CTU, è tutt'altro che provata con quel rigore che il nuovo orientamento giurisprudenziale sul rapporto causale esige e vi è poi una pregressa grave situazione patologica del paziente deceduto che, di per sè sola, potrebbe ben spiegare l'evento letale: la situazione clinica del M.I. era caratterizzata da più elementi, sintetizzabili in arteriosclerosi grave pluridistrettuale, pregresso infarto miocardio ventri colare sinistro, pregresso intervento di protesi vascolare arteriosa aortoiliaca (termine preferibile a by pass, dato che non è rimasto in sede il tratto vasale sostituito) in soggetto con diabete mellito ed ipertensione arteriosa, le condizioni cardiache sono identificate dai dati macroscopici emersi dalla sezione cadaverica, rappresentate da cardiomegalia ecc I ricorrenti censurano la sentenza gravata nella parte de qua con i restanti motivi del loro ricorso con i quali denunziano, in particolare: - da un lato omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa alcuni punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere completamente trascurato alcuni fatti ed elementi fondamentali ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso causale secondo motivo; - dall'altro violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p.c. e omessa insufficiente o contraddittoria motivazione, circa altro punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 per avere attribuito alla preesistente situazione clinica del paziente deceduto rilievo in ordine al verificarsi dell'evento morte terzo motivo;

173 - da ultimo violazione e falsa applicazione degli art e 2697 c.c. per avere ritenuto che la prova del nesso di causalità tra il comportamento colpevole dei medici dell'ospedale di (...) e la morte di M.I. gravasse sugli attori appellati ed anche omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa altro punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 quarto motivo. 7. I riassunti motivi sono fondati. Alla luce delle considerazioni che seguono Come accennato sopra è rimasto accertato - in linea di fatto -che i medici dell'ospedale, nell'eseguire un intervento prodromico simpaticectomia lombare farmacologia (ovvero blocco epidurale) a scopo sintomatico - in funzione di una successiva - inserimento di un bay pass femoro - popliteo alla gamba destra - avevano cagionato un'emorragia. Si è trattato di stabilire se l'emorragia sia stata poi causa di uno shock ipovolemico, cioè una diminuzione della massa sanguigna circolante, causa a sua volta di un infarto, in soggetto già infartuato e la sua morte o se questo infarto sia sopravvenuto per un fattore autonomo, in sostanza come naturale sviluppo dello stesso stato di salute in cui il paziente era al momento del ricovero, stato caratterizzato da difettosa irrorazione sanguigna degli arti inferiori. Lo si è negato in base a due considerazioni: da una parte la mancata rilevazione di indici esteriori rivelatori dello shock ipovolemico, che invece di norma si producono; dall'altra il fatto che se lo shock ipovolemico può concorrere a determinare la reiterazione dell'infarto, che ciò sia avvenuto in concreto non può essere considerato accertabile con assolutezza certezza, deponendo a suo favore solo il dato cronologico In conformità a quanto costantemente ribadito da questa Corte regolatrice, e in termini diversi, rispetto a quanto assume la sentenza gravata, osserva il collegio che in tema di responsabilità professionale del medico ove sia dedotta una responsabilità contrattuale dell'ente ospedaliero e/o del medico per inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è a carico del danneggiato solo la prova del contratto (o del contatto) e la prova dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico di questi ultimi la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (Cass. 11 novembre 2005, n ; Cass. 9 novembre 2006 n ; Cass. 24 maggio 2006, n ; Cass. 28 maggio 2004 n ). L'insuccesso o il parziale successo dell'intervento, nei casi in cui si tratta di intervento con alte possibilità di esito favorevole, implica di per se la prova del predetto rapporto di causalità (in tal senso, ad esempio, Cass. 22 gennaio 1999, n. 589; Cass. 26 ottobre 1998, n ; Cass. 30 maggio 1996 n. 5005). Se è vero, infatti, che il mancato o incompleto raggiungimento del risultato non può, di per se, implicare inadempimento (o inesatto inadempimento) dell'obbligazione assunta dal professionista e dalla struttura ospedaliera, è anche vero che il totale insuccesso di un intervento di routine e dagli esiti normalmente favorevoli, come il parziale insuccesso che si registra nei casi in cui dall'intervento sia derivata una menomazione più gravosa di quella che era lecito attendersi da una corretta terapia della lesione o della malattia, si presenta come possibile ed altamente probabile conseguenza dell'inesatto adempimento della prestazione (o di colpevole omissione dell'attività sanitaria dovuta) e, alla stregua dei criteri di accertamento del nesso di causalità nel settore della responsabilità civile, giustifica, così, la prova della relazione causale. Del resto, nell'ottica che governa il rapporto contrattuale la regola che deve essere applicata è quella di carattere generale secondo cui il creditore che agisce per il risarcimento del danno conseguente al dedotto inadempimento della obbligazione deve solo provare la fonte negoziale (o legale) del suo diritto ed allegare l'inadempimento del suo debitore, essendo quest'ultima, parte onerata della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass., sez. un. 30 ottobre 2001, n ) o dall'esatto adempimento. Ora, l'oggetto della obbligazione di cui si discorre è quello di una attività medica professionalmente adeguata ed impegnata, come è dimostrato dalla stessa possibilità di prova della corretta esecuzione

174 della prestazione e dalla possibilità, per tale via, di esonero da responsabilità, sia sotto il profilo della relazione causale altrimenti desumibile dalle caratteristiche proprie dell'intervento in relazione alla probabilità del risultato favorevole, sia sotto il profilo della (assenza di) colpa, nonostante l'insuccesso (totale o parziale). Che la prova della conformità del comportamento tenuto a quello esigibile nel caso concreto gravi sul professionista e sulla struttura sanitaria, come è stato avvertito nelle citate sentenze 9 novembre 2006, n , e 28 maggio 2004, n , si allinea, del resto, alla linea evolutiva della giurisprudenza che, in tema di onere della prova, tende ad accentuare il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento della effettiva possibilità, per l'una o per l'altra parte, di fornirla. In altri termini, nel cosiddetto sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) - la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale (ove vale il criterio dell'elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla "certezza") - consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del più probabile che non. Esso si distingue dall'indagine diretta all'individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell'autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell'accertamento dell'elemento soggettivo (colpevolezza) (Cass. 16 ottobre 2007, n ). In tema di responsabilità civile il giudice di merito, conclusivamente, deve accertare separatamente dapprima la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita e l'evento di danno, e quindi valutare se quella condotta abbia avuto o meno natura colposa o dolosa, con la conseguenza - quindi - che, nell'ipotesi di responsabilità del medico, è viziata la decisione la quale escluda il nesso causale per il solo fatto che il danno non potesse essere con certezza ascritto ad un errore del sanitario, posto che il suddetto nesso deve sussistere non già tra l'errore ed il danno, ma tra la condotta ed il danno, mentre la sussistenza dell'eventuale errore rileverà sul diverso piano della imputabilità del danno a titolo di colpa (Cass. 26 giugno 2007, n ) Non essendosi i giudici del merito attenuti ai sopra ricordati principi la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa per nuovo esame alla stessa Certe di appello di Firenze, in diversa composizione, alla luce delle regole di cui sopra Come accennato sopra i giudici del merito hanno accertato l'esistenza - a carico del M.I. - di una pregressa situazione patologica del paziente deceduto che, di per sè sola, potrebbe in tesi ben spiegare l'evento letale. Certo quanto sopra è evidente che qualora l'indagine imposta dall'accoglimento del ricorso sotto il profilo di cui sopra, non consentisse di decidere la controversia per essersi, in realtà - come pur si adombra, in linea di fatto, nella sentenza impugnata - l'evento prodotto per un concorso di caso fortuito (in particolare alla luce dei dati macroscopici emersi dalla sezione cadaverica pregressa grave situazione patologica del paziente deceduto che, di per sè sola, potrebbe ben spiegare l'evento lettale ) e causa umana (cioè errore dei sanitari) sarà compito del giudice del merito procedere alla specifica identificazione della parte di danno rapportabile all'uno o all'altra, eventualmente con criterio equitativo. Come già affermato da risalente giurisprudenza, infatti, deve ritenersi legittimo il ricorso alla applicazione della norma di cui all'art c.c., ogni qualvolta si sia in presenza di uguale necessità, rispondendo l'interpretazione estensiva della citata norma, di per sè corretta, anche a ragioni di giustizia sostanziale, che impediscono di addossare tutto il risarcimento del danno al responsabile di una sola porzione di esso (cfr. Cass. 6 dicembre 1951, n. 2732, nonchè Cass. 18 ottobre 1955, n e Cass. 13 marzo 1950, n. 657). In particolare qualora la produzione dell'evento dannoso risalga, come a sua causa, alla concomitanza di una azione dell'uomo e di fattori naturali (i quali ultimi non siano legati alla prima da un nesso di dipendenza causale) non si può accogliere la soluzione della irrilevanza di tali fattori.

175 A parte il ricordato principio di equità, infatti, ricorrono ragioni logico giuridiche le quali consentono di procedere a una valutazione della diversa efficienza delle varie concause e di escludere che l'autore della condotta umana debba necessariamente sopportare nella loro integralità le conseguenze dell'evento dannoso. Non può ostare a questa conclusione la norma dell'art c.c., comma 1, (secondo cui se il fatto dannoso è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno ). Questa regola è, in realtà, la ripetizione, nel settore della responsabilità aquiliana del principio di solidarietà, avente portata generale nel nostro ordinamento positivo (art c.c.); anche per tale settore è stata tradotta in regola positiva la tendenza a favorire il danneggiato - creditore mediante il rafforzamento della tutela del suo diritto al risarcimento. Al riguardo - come già osservato in altra peraltro non recente occasione da parte di questa Corte regolatrice (cfr., Cass. 25 ottobre 1974, n. 3133, specie in motivazione) si osserva che qualora la condotta imputabile a un unico soggetto abbia agito in concomitanza con forze estranee, la circostanza elimina il presupposto fondamentale della citata disposizione, consistente nel concorso di più cause imputabili a soggetti diversi. Ciò comporta l'ulteriore rilievo che per tali ragioni non può entrare in funzione il correttivo che, nei rapporti interni, il diritto di regresso introduce nel principio di solidarietà. Ma è più importante osservare che, stando alla sua formulazione testuale, l'art c.c., comma 1, disciplina l'ipotesi in cui l'accertamento dell'esistenza del nesso di causalità sia già avvenuto e sia sfociato nella identificazione di più concause umane imputabili: solo quando tale presupposto si sia realizzato, sorge il diritto del danneggiato di pretendere da ciascun coautore dell'illecito l'integrale risarcimento del danno. A sua volta l'art c.c., comma 2, stabilisce che colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalle gravità della rispettiva colpa e della entità delle conseguenze che ne sono derivate. Ciò significa in primo luogo che nei rapporti interni fra condebitori è perfettamente legittima, ed anzi doverosa, una scissione del nesso causale nelle sue diverse componenti, secondo l'efficienza dei singoli apporti; ma significa anche che il frazionamento della responsabilità non è estraneo al sistema positivo. Della stessa soluzione danno testuale conferma le regole dettate dall'art c.c. nelle quali è preciso il riferimento della possibilità della scissione - stavolta con rilevanza verso l'esterno -del nesso causale sulla base del principio che la responsabilità va proporzionata alle conseguenze che si riconnettono ad una determinata causa imputabile. Sotto la medesima ratio si può ricondurre il caso in cui l'evento letale, sia la conseguenza del concorso della condotta del sanitario con la situazione patologica del soggetto deceduto, non essendovi ragione per usare al fattore causale meramente naturale un trattamento diverso rispetto a quello riservato al fatto dello stesso danneggiato. L'ostacolo che a questa soluzione dovrebbe opporre la norma dell'art c.c., comma 1 (in cui viene regolata la perpetuatio obligationis) non può ritenersi sussistente: e non tanto perchè si tratta di norma non inclusa fra quelle richiamate dall'art c.c., quanto per il duplice motivo che si tratta di regola peculiare della materia dell'inadempimento delle obbligazioni e che essa suppone risolto preventivamente il problema della causalità, giacchè si occupa della disciplina della impossibilità dell'adempimento allorchè il debitore versi già in situazione di inadempienza. Conclusivamente deve ritenersi che allorchè vi è stato un inadempimento colposo e come non si può concludere con certezza che esso sia la causa dell'evento dannoso e neppure lo si può escludere, anzichè accollare l'intero peso del danno all'uno o all'altro soggetto, è possibile lasciare a carico del danneggiato il peso del danno alla cui produzione ha concorso a determinare il suo stato e imputare all'altro il peso del danno la cui produzione può avere trovato causa nella condotta negligente sua.

176 8. Rigettato il primo motivo del ricorso principale, in sintesi, devono essere accolti i restanti, con assorbimento del ricorso incidentale, cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio della causa alla stessa Corte di appello di Firenze in diversa composizione, per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvedere, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie gli altri motivi dello stesso ricorso; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata; rinvia la causa, per nuovo esame, alla stessa Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.

177 Tribunale di Roma, sez. II, 16 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con citazione ritualmente notificata Su.An., Su.Ar., Su.Gi. e Su.Fr., rispettivamente coniuge e figli nonché eredi di Ca.Le. deceduta in data , hanno convenuto in giudizio il Ministero della Sanità per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti, nella qualità di eredi, a seguito delle trasfusioni alle quali era stata sottoposta la loro dante causa. Questa ultima, in particolare, affetta da una grave forma di leucemia, era stata sottoposta, a partire dai primi mesi del 1985 presso l'ospedale (...), a diverse terapie trasfusionali contraendo l'epatite cronica da virus HCV che avrebbe prodotto una menomazione permanente della sua integrità psico fisica. Hanno, quindi, attribuito la responsabilità del contagio al Ministero per aver omesso ogni attività in materia di sicurezza delle trasfusioni di sangue e della preparazione e distribuzione degli emoderivati, trascurando, altresì, ogni attività di controllo finalizzata all'eventuale ritiro dalla circolazione di plasmaderivati, emoderivati e plasma di cui era nota la pericolosità. Costituitosi in giudizio, il Ministero ha eccepito la prescrizione dei diritti vantati. A tale ultimo riguardo ha dedotto che la domanda era stata proposta a distanza di oltre cinque anni dai fatti. Ha, inoltre, sostenuto che era mancante il nesso di causalità tra l'asserita condotta omissiva e gli eventi dannosi e che la domanda era infondata anche sotto il profilo della sua incompatibilità con la normativa statale che già prevede un indennizzo per i soggetti che avevano subito danni in conseguenza di attività lecita posta in essere nell'interesse generale della collettività. Prodotti documenti ed espletata una perizia medico legale la causa è stata trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe indicata. Motivi della decisione E', in primo luogo da considerare che la domanda di risarcimento dei danni subiti dagli odierni attori in proprio e quali congiunti di Ca.Le. non è stata formulata in citazione ma solo alla prima udienza di trattazione (vecchio rito). La stessa è, pertanto, da ritenersi domanda nuova come tale inammissibile stante, altresì, la struttura della responsabilità civile che impone un accertamento di responsabilità diretto all'individuazione del nesso causale e della colpevolezza circoscritti al singolo episodio. Ciò premesso è da rilevare che il nesso di causalità tra la somministrazione di sangue ed emoderivati alla Ca.Le. e l'epopatia è stata riconosciuta dalla Commissione Medica Ospedaliera di Roma con verbale del La consulenza medica espletata ha comunque consistito di accertare, sulla base delle analisi effettuate e della documentazione medica prodotta, che la dante causa degli attori aveva contratto a seguito delle trasfusioni la epopatia cronica HCV correlata. Non risultando, poi, comportamenti e/o stili di vita della Ca. tali da far supporre una diversa eziologia delle infezione le stesse sono da ritenersi conseguenza delle trasfusioni. E', a questo punto, da ritenere che sussistono nella materia obblighi comportamentali connessi alle funzioni pubbliche assegnate al Ministero della Sanità. E', al riguardo, da rilevare che gli attori, a sostegno dell'affermata responsabilità del Ministero convenuto, hanno richiamato gli artt. 2043, 2049 e 2050 c.c. Osserva sul punto il giudicante che, come già ritenuto dalla Corte d'appello di Roma (sent. n. 3242/2000), non sussiste tra il Ministero e gli enti (unità sanitarie locali, ospedali ecc.) - tutti dotati di autonoma personalità giuridica) che hanno provveduto all'effettiva somministrazione degli emoderivati nell'ambito del servizio sanitario nazionale - un rapporto di dipendenza ovvero di committenza che possa giustificare l'applicazione dell'art c.c. E', pertanto, improprio il richiamo alla suddetta disposizione. Ugualmente improprio è il riferimento all'art c.c. e ciò in quanto attività pericolosa non è quella del Ministero, che esercita la vigilanza in materia sanitaria e di uso dei derivati del sangue, ma semmai quella dei soggetti direttamente coinvolti nella produzione e commercializzazione dei prodotti (ne è esempio l'affermazione della responsabilità delle imprese farmaceutiche, ai sensi dell'art c.c.)

178 nella vicenda riguardante la produzione ed immissione in commercio di farmaci destinati all'inoculazione nell'organismo umano umane e contenenti immunoglobuline infette dal virus dell'epatite B (v., tra le altre, Cass , n. 8069; , n. 814). La domanda deve essere, pertanto, qualificata ai sensi dell'art c.c. come implicitamente si deduce dalla dedotta responsabilità del Ministero per avere, in violazione del principio del neminem laedere e, quindi, colposamente, omesso di vigilare sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati. Sussiste, inoltre, la legittimazione passiva del convenuto alla luce, delle seguenti considerazioni. E' da premettere che, in caso di danno prodotto dal comportamento non provvedimentale della p.a., l'elemento soggettivo del dolo o della colpa si risolve "nella violazione - la quale si traduce nella lesione dei diritti soggettivi dei terzi all'integrità psico - fisica - delle regole di comune prudenza... ovvero di leggi e regolamenti alla cui osservanza la p.a. è vincolata" (v. Cass , n. 3553). E', pertanto, necessario individuare le fonti normative che consentano di affermare l'esistenza di obblighi comportamentali connessi alle funzioni pubbliche assegnate al Ministero della sanità. Sul punto il Ministero ha eccepito che la legittimazione spetterebbe ad altri soggetti pubblici operanti nel settore sanitario (regioni, unità sanitarie locali, operatori sanitari ecc). L'eccezione non è fondata. Il Tribunale di Roma con precedenti sentenze (n /1998 e 23097/2001) e la stessa Corte di appello, hanno già rilevato che l'eventuale concorso di responsabilità in capo ad altri soggetti non esclude la possibilità per i danneggiati di promuovere azione (ai sensi dell'art c.c.) nei confronti di uno solo dei condebitori corresponsabili (cioè, nel specie, del Ministero della sanità) e che la causa petendi è qui dedotta con riferimento al comportamento omissivo del suddetto Ministero per colposa inosservanza dei suoi doveri istituzionali (oltre che di programmazione, indirizzo e coordinamento) di sorveglianza e vigilanza in materia sanitaria e, in particolare, nella produzione, commercializzazione e distribuzione del sangue e suoi derivati, a prescindere da ulteriori eventuali responsabilità di altri soggetti nell'attività di effettiva distribuzione e somministrazione. La fonte normativa che integra la norma primaria del neminem laedere, da cui ricavare l'esistenza di siffatti doveri in capo al Ministero della sanità, è costituita dall'art. 1 L , n. 296, che gli attribuisce "il compito di provvedere alla tutela della salute pubblicò", di "sovrintendere ai servizi sanitari svolti dalle amministrazioni autonome dello Stato e dagli enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento...; emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che provvedono a servici sanitari...". Si tratta di doveri che, già enucleabili dall'ampia disposizione in questione (oltre che dalla stessa attività normativa svolta dal Ministero in questo campo), sono confermati da altre fonti normative quali: - la legge , n. 592, attribuisce al Ministero il compito di emanare "le direttive tecniche per la organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale nonché alla preparazione dei suoi derivati e ne esercita la vigilanza" (art. 1), di nominare la commissione provinciale per la disciplina dei servizi di trasfusione (art. 3), di autorizzare il funzionamento dei centri (regionali o infraregionali) di produzione degli emoderivati e la stessa produzione e distribuzione degli emoderivari (artt. 4-7), di autorizzare le "officine farmaceutiche" (v. art. 13 che richiama il r.d , n. 1265, il cui art. 161 significativamente attribuiva al Ministero dell'interno penetranti poteri ispettivi nelle officine; v. art. 24 del r.d , n. 478; l'art. 22, c. 2, L. n. 592/1967 autorizza l'autorità sanitaria a disporre la chiusura del centro, del laboratorio o dell'officina autorizzati), di approvare la nomina del dirigente medico - chirurgo dei centri trasfusionali e di produzione di emoderivati (art. 11), di proporre al Presidente della Repubblica l'emanazione di norme relative all'organizzazione, al funzionamento dei servizi trasfusionali, alla raccolta, conservazione ed all'impiego dei derivati, alla determinazione dei requisiti e dei controlli cui debbono essere sottoposti (art. 20), di autorizzare l'importazione e l'esportazione del sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico (art. 21); - il D.P.R , n (regolamento di attuazione della legge n. 592/1967) contiene norme di dettaglio che confermano nel Ministero la funzione di controllo e vigilanza in materia (v. artt. 2, 3, 103, 112);

179 - il D.M. sanità contiene norme che regolano l'attività del Centro nazionale per la trasfusione del sangue, prevedendo tra l'altro che il Ministero della sanità sia costantemente informato delle attività del Centro; - il D.M. sanità disciplina l'importazione ed esportazione del sangue e suoi derivati, prevedendo l'autorizzazione ministeriale (almeno nel caso di provenienza da paesi nei quali non vi sia una normativa idonea a garantire la sussistenza dei requisiti minimi di sicurezza) agli ospedali ed ai centri gestori per la produzione di emoderivati ed alle officine farmaceutiche che siano risultati idonei ad eseguire i controlli sui prodotti importati previo accertamento dell'istituto superiore di sanità (il quale è alle dipendenze del Ministero della sanità: v. artt. 3 L. n. 296/1958 e 9 L. n. 833/1978) (artt. 1, 5, 6); nei casi di necessità ed urgenza è previsto che il Ministero possa procedere direttamente all'importazione del sangue e dei derivati ed alla successiva distribuzione tramite il Centro nazionale per la trasfusione ed i centri per la produzione degli emoderivati (art. 2); - la L , n. 519, attribuisce all'istituto superiore di sanità compiti attivi (accertamenti ispettivi con facoltà di accesso agli impianti produttivi ed ai presidi e servizi sanitari per compiere le indagini di natura igienico - sanitaria, i controlli analitici, gli esami ecc: v. art. 9 L. n. 833/1978 cit.) a tutela della salute pubblica; - pur dopo l'inizio del passaggio alle regioni di alcune funzioni statali in materia sanitaria ai sensi dell'art. 117 Cost. (v. D.P.R , n. 4; L , n. 349; D.P.R , n. 616), la legge , n. 833 (che ha istituito il s.s.n.) conserva al Ministero della sanità (il quale si avvale, come s'è detto, dell'istituto superiore di sanità), oltre al ruolo primario nella programmazione del piano sanitario nazionale (art. 53 ss.) e a compiti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia sanitaria (tra cui quella riguardante la profilassi delle malattie infettive: v. art. 7, lett. a, che richiama l'art. 6, lett. b) anche con poteri sostitutivi (v. art. 5, c. 4), importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati (v. art. 6, lett. b, c; l'art. 4, n. 6, conferma che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale); è significativo che l'art. 32 attribuisca all'amministrazione centrale il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia di sanità pubblica; - il D.L , n. 443 (conv. in L , n. 531), stabilisce la sottoposizione dei medicinali alla c.d. "farmacovigilanza" da parte del Ministero della sanità il quale si avvale dell'istituto superiore di sanità e delle stesse unità sanitarie locali (art. 9, c. 1, 6), le quali hanno un obbligo di informazione nei confronti del Ministero che, a sua volta, può stabilire le modalità di esecuzione dei monitoraggi sui farmaci a rischio ed emettere provvedimenti cautelativi riguardanti i prodotti in commercio (c. 2, 7, 8); - la legge n. 107/1990 cit. (contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati) stabilisce che il prezzo di cessione delle unità di sangue è fissato annualmente dal Ministero della sanità (art. 1, c. 6), il quale (sentita la Commissione nazionale per il servizio trasfusionale che è nominata dallo stesso Ministero: v. art. 12) emette protocolli riguardanti le modalità delle donazioni, l'accertamento dell'idoneità dei donatori, l'organizzazione delle attività (mediante strutture sia nazionali che regionali coordinate dal Ministero: v. art. 8, c. 2, lett. c, h, c. 4); all'istituto superiore, inoltre, è attribuito il compito di provvedere alla prevenzione delle malattie trasmissibili, di ispezionare e controllate le aziende di produzione di emoderivati e le specialità farmaceutiche emoderivate (v. art. 9, lett. a, d, e; l'art. 10, c. 1, chiarisce che le frazioni plasmatiche che non possono essere prodotte con mezzi fisici semplici sono specialità farmaceutiche di produzione industriale soggette ai controlli dell'autorità sanitaria "da espletarsi sugli impianti produttivi delle aziende previamente autorizzate, sul plasma di origine e sulla produzione finale"), di vigilare sulla qualità dei plasmaderivati prodotti in centri individuati ed autorizzati dal Ministero (art. 10, c. 2); l'art. 15 stabilisce che l'importazione del sangue umano conservato e dei suoi derivati sono autorizzate dal Ministero della sanità, che l'importazione di emoderivati pronti per l'impiego è consentita a condizione che (fatta eccezione per quelli di provenienza da paesi europei) risultino autorizzati anche da parte dell'autorità sanitaria italiana e comunque "a condizione che su tutti i lotti e sui relativi donatori sia possibile documentare la negatività dei controlli per la ricerca di antigeni ed anticorpi di agenti infettivi

180 lesivi della salute del parente ricevente"; l'art. 17 prevede sanzioni penali nei confronti delle persone e delle strutture trasfusionali che violino le norme in materia (cfr. art. 11 D.Lgs , n. 44); il Ministero della sanità deve presentare annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge (art. 22); - il D.Lgs , n. 178, disciplina, tra l'altro, le modalità di rilascio e revoca dell'autorizzazione ministeriale alla produzione, importazione ed immissione in commercio delle specialità medicinali, con incisivi poteri ispettivi e di vigilanza del Ministero (v. artt. 3, 7, 14); - il D.M. sanità disciplina l'autorizzazione ministeriale all'importazione di sangue e plasmaderivati, stabilendo che essa può avvenire "dopo aver accertato l'origine del sangue o del plasma e dopo aver acquisito da parte delle autorità sanitarie e dei produttori dei Paesi importatori le garanzie necessarie e i dettagli delle metodiche utilizzate per assicurare la protezione dei donatori e dei riceventi - (art. 1, c. 2) e "a condizione che il richiedente sia in grado di eseguire sul prodotto importato i controlli previsti dalla Farmacopea ufficiale... e possa assicurare in qualsiasi momento e per qualsiasi evenienza la documentatone relativa alla selezione dei donatori" (c. 3); "i requisiti cui debbono corrispondere le importazioni di plasma e di plasmaderivati sono fissati... su proposta del Consiglio superiore di sanità... tenendo conto delle acquisizioni scientifiche in materia e della esigenza di realizzare l'autosufficienza nazionale del sangue" (c. 4); "nei casi di necessità ed urgenza... il Ministero della sanità può procedere direttamente all'importazione dei prodotti... e alla successiva distribuzione tramite i centri regionali di coordinamento e compensazione..." (art. 2); - il D.Lgs , n. 502, integrato e modificato da leggi successive, che ha riordinato la normativa in materia sanitaria ampliando le competenze delle regioni, ha conservato al Ministero della sanità poteri di ingerenza e sostitutivi (v. art. 2, c. 2, sexies lett. e, octies); - in tempi recenti, il D.Lgs , n. 266, ha conservato al Ministero della sanità compiti in materia di sanità pubblica e "vigilanza" - sulle specialità medicinali (art. 1, lett. c, d) (l'art. 4 del regolamento di attuazione approvato con D.P.R , n. 196, mod. dal D.P.R , n. 518, individua nel dipartimento del Ministero per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza quello cui è attribuito il compito attinente ai farmaci con particolare riguardo alla vigilanza sulla conformità delle specialità medicinali alle norme nazionali e comunitarie, prevede che il suddetto dipartimento "si avvale" per questo compito delle regioni, unità sanitarie locali, aziende ospedaliere ecc., oltre che di un servizio di vigilanza sugli enti, tra cui la Croce rossa italiana); in base al nuovo ordinamento delineato dal D.Lgs , n. 267, l'istituto superiore di sanità svolge funzioni di controllo (ad es., sui farmaci e vaccini, provvede all'accertamento dell'innocuità dei prodotti fatmaceutici ecc. e si è detto che gli emoderivati sono "specialità medicinali"), oltre che di ricerca e sperimentazione per quanto concerne la salute pubblica; il D.Lgs. n. 44/1997 cit. stabilisce, tra l'altro, che il sistema nazionale della farmaco vigilanza fa capo al Ministero della sanità (art. 2); il D.Lgs , n. 449, ribadisce il compito di vigilanza del Ministero sull'attuazione del Piano sanitario nazionale e sull'attività gestionale delle aziende unità sanitarie locali ed ospedaliere (art. 32, c. 11); il D.Lgs , n. 112, che ha operato il conferimento alle regioni della generalità delle attribuzioni statali in materia di salute umana, ha lasciato invariato il riparto di competenze in materia di sangue umano e suoi componenti, di produzione di plasma derivati e farmacovigilanza (artt. 115, 116). Ne risulta, in conclusione, confermato in capo al Ministero della sanità il dovere, che è strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, di vigilanza nella preparazione ed utilizzazione dei prodotti derivati dal sangue da destinare al consumo umano, al quale corrisponde un dovere aggravato di diligenza nell'impiego delle cure ed attenzioni necessarie alla verifica della sua sicurezza. Riconosciuta la legittimazione passiva del Ministero è da ritenere che la domanda proposta in termini di risarcimento è ammissibile. La stessa è stata contestata dal convenuto sul presupposto della vigenza di una disciplina specifica che prevede a carico dello Stato il pagamento di un indennizzo destinato a coprire parte dei danni derivanti da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

181 Si tratta di una normativa (v. legge n. 210 del , mod. dalla legge n. 237 del ) che ha introdotto un sistema di sicurezza sociale con la finalità solidaristica (artt. 2 e 32 Cost.) di soccorrere quanti abbiano subito danni in conseguenza di un'attività di cura promossa dallo Stato per la tutela della salute pubblica, esonerando la parte dall'accidentato percorso dell'azione di responsabilità civile ex art c.c. Tuttavia l'ammissibilità del concorso delle due forme di tutela è stata ammessa dalla Corte costituzionale (v. sent. n. 307/1990, 118/1996, 27/1998) e dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 584/2008. Il giudice di legittimità tuttavia, pur ribadendo la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria ex lege 210/1992 e delle somme liquidabili a titolo di risarcimento danno per contagio, ha ritenuto che l'indennizzo corrisposto al danneggiato deve essere integralmente scomputato dalle somme liquidate a titolo di risarcimento posto che, in caso contrario, la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento godendo ili relazione del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni pattimoniali dovute dallo stesso soggetto (Ministero della Salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento. Valutata l'ammissibilità della domanda, la legittimazione passiva ed il nesso causale tra le trasfusioni e l'insorgenza delle malattie è da ritenere che al Ministero incombeva il dovere (enucleabile dal complesso normativo sopra richiamato) di vigilare nonché di attivarsi operativamente allo scopo di evitare o, quanto meno, di ridurre il rischio delle infezioni virali notoriamente insite nella pratica terapeutica della trasfusione di sangue e dell'uso degli emoderivati. Un tale orientamento è in linea con le acquisizioni più recenti della giurisprudenza (v. Cass. n. 3132/2001, 7339/1998, 8836/1994) la quale ha rilevato che l'omissione da parte della p.a. di qualunque iniziativa funzionale alla realizzazione dello scopo per il quale l'ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) la espone a responsabilità extracontrattuale quando dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell'interesse pubblico siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi. Non rileva, poi, la circostanza che il Ministero avesse provveduto ad emanare nel tempo, parallelamente alle acquisizioni della scienza medica, numerosi provvedimenti (circolari, decreti, pareri ecc.), con cui furono imposte ai diversi soggetti interessati (unità sanitarie locali, regioni, aziende farmaceutiche ecc.) raccomandazioni e precauzioni al fine di rendere sicuro l'uso del sangue e degli emoderivati nonché di contrastare il pericolo di infezioni virali nei soggetti riceventi. Al Ministero, infatti, non è contestata l'omissione normativa, cioè di aver omesso di emanare provvedimenti nella materia in esame bensì di averli emanati in ritardo, con contenuti inadeguati e di non aver vigilato sulla puntuale esecuzione degli stessi e, soprattutto, di non aver effettuato controlli effettivi sulla sicurezza dei plasma importato dall'estero ovvero del sangue raccolto senza controllo sulla qualità dei donatori, sui canali di approvvigionamento e distribuzione (per il tramite delle case farmaceutiche, degli ospedali ecc.). Con particolare riferimento alla domanda proposte dagli attori ed aventi ad oggetto l'epatite cronica attiva da virus C contratta a seguito di trasfusioni praticate nell'anno 1985 tale responsabilità non viene meno in quanto, già a quell'epoca, lo stato della conoscenza medica dell'epoca avrebbe consentito il Ministero di esercitare attivamente il dovere di controllare e vigilare sulla sicurezza del sangue e dei suoi derivati (distribuiti dai servizio sanitario nazionale) al fine di evitare l'insorgenza della malattia. L'aver, quindi, omesso i controlli sui pool plasmatici e, in particolare, sull'attuazione delle raccomandazioni per la preparazione dei prodotti antiemofilici ed il controllo sull'idoneità dei donatori del sangue secondo le tecniche nel tempo note (v., tra le altre, le prescrizioni contenute negli art. 65 ss. D.M e 44 ss. D.P.R. n. 1256/1971) al fine di evitare i rischi di trasmissione di virus conosciuti (come l'epatite), espone il Ministero a responsabilità rispetto alla diffusione di virus diversi e solo successivamente conosciuti nella loro caratterizzazione molecolare, il cui rischio avrebbe potuto quindi essere, quanto meno, ridotto.

182 E', peraltro, da ribadire che la pericolosità del sangue come veicolo di infezioni era nota già dai primi degli anni ' Ministero, pertanto, avrebbe dovuto già da allora porre in essere tutti gli accorgimenti noti e necessari al fine di ridurre il rischio. In tale contesto assume rilievo anche la tardiva attuazione del piano sangue che, previsto già dalla legge n. 592 del 1967 ed attuato solo nel 1994, avrebbe potuto contribuite a realizzare l'obiettivo tendenziale dell'autosufficienza nazionale del sangue intero e dei plasmaderivati di cui era ed è nota l'importanza al fine di prevenire o ridurre i rischi causati da incontrollate importazioni dall'estero nonché la tardiva emanazione di disposizioni legislative per la sicurezza del sangue trasfuso provvedendo l'obbligo di procedere alla ricerca degli anticorpi HCV ed alla determinazione del livello delle ALT (transaminasi sierica) solo con decreto del In definitiva il convenuto è tenuto a rispondere per una condotta omissiva qualificata che può ritenersi intrinsecamente idonea a concretizzare un fatto illecito perfetto. Tale omissione, infatti, è da ritenersi causa efficiente di un grave e concreto pericolo per la salute di coloro che erano costretti a ricorrere alla somministrazione di prodotti emoderivati distribuiti e certificati dal servizio sanitario nazionale. Dette valutazioni, del resto sono in linea con quando statuito dalla Suprema Corte a Sezioni Uniti la quale, con sentenza n. 581/2008, ha affermato testualmente che "Premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmatone e coordinamento in materia sanitaria, affinché fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l'omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all'epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata - infine - l'esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell'evento". La S.U., in relazione alle tre malattie da contagio, ha anche ritenuto che non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell'integrità fisica (essenzialmente del fegato) "per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto - contagio infettivo - lesione dell'integrità. Pertanto già a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell'esclusiva competenza del giudice di merito) sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e dipersi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge. In conclusione si ritiene di dover ribadire il principio affermato da questo Tribunale fin dalla sentenza n /01 e dichiarare la responsabilità del Ministero della Salute in tutte le ipotesi in cui la lesione dell'integrità psico fisica sia dovuta a trasfusioni o a somministrazione di sangue o di emoderivati praticate a partire dagli anni , periodo in cui erano disponibili i primi test su larga scala per individuare il virus dell'epatite B, essendo il convenuto l'ente istituzionalmente preposto al controllo, alla sorveglianza ed alle autorizzazioni concernenti l'approvvigionamento, produzione e distribuzione delle sostanze medicinali, tra le quali il sangue umano ed i suoi derivati. Lo stesso, pertanto, avuto riguardo alla patologia che ha interessato l'attore, ha negligentemente consentito la circolazione del sangue infetto poi adottato per le trasfusioni avendo in particolare: a) emanato in ritardo e con contenuti inadeguati provvedimenti finalizzati al ritiro di emoderivati non trattati; b) mancato di effettuare controlli effettivi sulla sicurezza del plasma importato dall'estero ovvero del sangue raccolto senza controllo sulla qualità dei donatori, sui canali di approvvigionamento e distribuzione (per il tramite delle case farmaceutiche, degli ospedali ecc.); c) omesso i controlli sui pool plasmatici e, in particolare, sull'attuazione delle raccomandazioni per la preparazione dei prodotti antiemofilici ed il controllo sull'idoneità dei donatori del sangue secondo le

183 tecniche nel tempo note (v., tra le altre, le prescrizioni contenute negli art. 65 ss. D.M e 44 ss. D.P.R. n. 1256/1971) al fine di evitare i rischi di trasmissione del virus; d) attuato tardivamente il piano sangue che, previsto già dalla legge n. 592 del 1967 ed attuato solo nel 1994, avrebbe potuto contribuire a realizzare l'obiettivo tendenziale dell'autosufficienza nazionale del sangue intero e dei plasmaderivati di cui era ed è nota l'importanza al fine di prevenire o ridurre i rischi causati da incontrollate importazioni dall'estero nonché la tardiva emanazione di disposizioni legislative per la sicurezza del sangue trasfuso provvedendo l'obbligo di procedere alla ricerca degli anticorpi HCV ed alla determinazione del livello delle ALT (transaminasi sierica) solo con decreto del Ne deriva che l'omissione da parte della p.a. di qualunque iniziativa funzionale alla realizzazione dello scopo per il quale l'ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) la espone a responsabilità extracontrattuale quando dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell'interesse pubblico siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi. Deve a questo punto essere valutata la eccezione di prescrizione. Il convenuto ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, trattandosi di domande presentate a distanza di oltre cinque anni dai fatti ritenuti lesivi. E', quindi, da rilevare che le diverse problematiche riguardanti il tipo di prescrizione e la sua decorrenza sono state risolte dalla Suprema Corte con la recente sentenza delle Sezioni Uniti n. 581/2008. Il giudice di legittimità, infatti, per quanto qui rileva, ha ritenuto che, in presenza della prova del nesso di causalità tra la trasfusione ed il contagio, è da configurarsi il reato di lesioni colpose, anche gravissime e che, pertanto, in relazione a tale fattispecie la prescrizione del reato si matura in cinque anni. E', inoltre configurabile il reato di omicidio colposo nel caso in cui gli attori (congiunti del contagiato) abbiano agito in giudizio (iute proprio) per il risarcimento del danno causato dal decesso ascrivibile all'emotrasfusione o all'assunzione di emoderivati con sangue infetto. In tale caso la prescrizione si matura in dieci anni. In ordine, poi, all'individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione la Corte ha ritenuto che, nella ipotesi di fatto dannoso lungolatente, quale è quello relativo a malattia da contagio, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre, a norma degli artt e 2947, c. 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno "ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria aggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscente scientifiche". Tale percezione, inoltre, in presenza di un responso delle Commissioni mediche ospedaliere di cui all'art. 4 della L. 210/1992, non può, in linea generale, palesarsi solo con la comunicazione di tale responso. La Suprema Corte, infatti, ha ritenuto che il termine di prescrizione non decorre da quel momento osservando al riguardo che la tesi favorevole ad una tale decorrenza non pare convincente, per diversi ordini di motivi: "perché offre effettivamente il destro al creditore per dilatare a suo piacere il corso della prescrizione; perché potrebbe portare ad affermare che il dies a quo inizi anche a decorrere a causa già iniziata, negando l'effetto interruttivo connaturato alla proposizione dell'azione; perché rischia di enfatizzare il ruolo della consulenza medico - legale (effettuata peraltro in riferimento al diverso procedimento di liquidazione dell'indennizzo) - Inoltre è illogico ritenere che il decorso del termine di prescrizione possa iniziare dopo che la parte si è comunque attivata per chiedere un indennizzo per lo stesso fatto lesivo, pur nella diversità tra diritto all'indennizzo e diritto al pieno risarcimento di tutù le conseguenze del fatto dannoso". E' stato, quindi, osservato che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose, percezione la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche con la conseguenza che il dies a quo della decorrenza della prescrizione coincide con la data di presentazione della domanda alla commissione medico ospedaliera.

184 Avuto, quindi, riguardo a tali indicazioni le domande proposte in questa sede dagli eredi di Ca.Le. iure successionis e rapportate alle menomazioni permanenti della integrità psico fisica della loro dante causa non possono ritenersi prescritte essendo stata la istanza di indennizzo presentata in data e, pertanto, prima della scadenza del quinquennio. E', quindi, da rilevare che Ca.Le., affetta da una leucemia acuta, era sta ricoverata presso l'ospedale (...) ove, nei mesi di novembre e dicembre dell'anno 1985, le erano state trasfuse 58 unità di piastrine e 4 unità di emato concentrato per un totale di 62 emocomponenti da donatori diversi. Pur potendo, quindi, ritenersi provata la circostanza che l'epopatia cronica HCV fosse conseguenza di tali trasfusioni è da ritenere che tale patologia era venuta ad incidere su un quadro clinico già gravemente compromesso dalla leucemia linfatica di cui era affetta la dante causa degli attori. L'epopatia, pertanto, andrà valutata come semplice aggravamento che non risulta tuttavia aver concorso, sia pure in misura minore, con l'altra ben più grave patologia indipendente, a determinare il decesso della Ca. Ne deriva in definitiva che il danno non patrimoniale non è del tipo "biologico terminale" inteso come danno di entità ed intensità tali da condurre a morte un soggetto in un limitato lasso di tempo (v. anche Cass. 7632/2003). Occorre, invece, osservare il principio consolidato alla luce del quale, nel caso in cui il danneggiato muoia per causa sopravvenuta, indipendentemente dal fatto lesivo, di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la liquidazione dei danni futuri deve essere effettuata non con riferimento alla durata probabile, ma alla durata effettiva della vita (Cass del 03/10/2003 e n. 6196). Ed, infatti col decesso della vittima la durata in vita, da circostanza incognita, diventa una circostanza certa che opera "ipso jure" in senso riduttivo. E', altresì, da considerare che il pregiudizio derivante dalle lesioni in questa sede valutate deve essere liquidato in via equitativa essendo il danno epatico difficilmente quantificabile con esattezza matematica stante la difficoltà di quantificare la parziale funzione deficitaria che è suscettibile nel corso degli anni di più fasi regressive o di aggravamento ed incide sul fegato che è organo dotato di notevoli riserve funzionali e molteplici funzioni metaboliche svolte in collaborazione con altri apparati. E' anche da ritenere che il danno debba essere liquidato avuto riguardo al periodo di sviluppo della malattia che era iniziata nell'anno 2001 (data nella quale la stessa risulta essere conclamata e non emergendo prima di tale data effetti lesivi rapportabili all'epopatia) ed era andata aggravandosi nel corso degli anni. Tale circostanza, avuto anche riguardo ai fattori appena evidenziati, comporta, che, in relazione all'intero periodo di riferimento, debba essere riconosciuta una percentuale pari al 30% di invalidità nonché adeguato il credito di valore con riferimento all'anno Nulla può, invece, essere liquidato a titolo di inabilità temporanea assoluta e relativa non risultando che la dante causa delle attrici abbia subito inabilità temporanea direttamente ricollegabile all'epatite che, peraltro, come già evidenziato, è una forma virale che ha avuto una lenta evoluzione nel corso degli anni. Sulla base di tali elementi di valutazione si ritiene di dover liquidare il danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore della persona in tutta la sua concreta dimensione, in via necessariamente equitativa, al valore attuale, applicando la tabella di riferimento elaborata da questo Tribunale con gli opportuni correttivi in ragione dei principi appena espressi. E', quindi, da considerare che la Castagna ha contratto la malattia in forma conclamata all'età di anni 44 ed è vissuto fino all'età di anni 47 con esiti permanenti valutabili nella misura del 30%. Qualora, quindi, tali esiti fossero rapporti alla durata di vita presunta strutturata sulla tabella elaborata dal tribunale gli stessi avrebbe portato alla quantificazione di un importo pari ad Euro ,39. Tale importo tuttavia, avuto riguardo al periodo di sopravvivenza deve essere ridotto fino ad Euro ,00.

185 Compete, altresì, all'istante il danno morale, risultando configurabili nella fattispecie i presupposti previsti dall'art c.c. A tale titolo, avuto riguardo alle caratteristiche della malattia e delle sue conseguenze a carico della danneggiata, si ritiene equo liquidare la somma di Euro 4.000,00. Al credito risarcitolo come sopra determinato pari ad Euro ,00 - così valutato e liquidato nella sua interezza il danno non patrimoniale - va ad aggiungersi l'ulteriore importo spettante al danneggiato a ristoro del danno da lucro cessante conseguente alla mancata disponibilità dell'equivalente monetario del danno per il periodo intercorso dalla data dell'illecito alla presente decisione. Tale voce di danno viene liquidata equitativamente (Cass. SSUU n. 1712/95) in Euro 4.848,00 utilizzando come base di calcolo il valore del danno - capitale al tempo del fatto illecito (ricavato in base all'indice medio Istat del costo della vita anno 2001) ed applicando, in assenza di elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo della somma, un tasso di interesse del 3,44% corrispondente al rendimento medio degli interessi sui titoli di Stato (Bot, CCT) nel periodo di riferimento, detratta dalla capitalizzazione di tale importo la rivalutazione monetaria. Sul complessivo ammontare del credito risarcitolo pari ad Euro ,00 decorrono interessi in misura legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo. Nessuna ulteriore voce di danno risulta dimostrata. Sul complessivo ammontare del credito risarcitolo decorrono interessi in misura legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo. Per completezza della motivazione è da considerare che non si pone in questa sede un problema di cumulabilità tra il risarcimento e l'indennizzo atteso che la parte che ne aveva interesse non ha offerto alcun elemento di valutazione al riguardo. Le spese, incluse quelle relative alla consulenza tecnica disposta d'ufficio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: - condanna il Ministero della Salute al pagamento di Euro ,00 in favore di Su.An., Su.Ar., Su.Gi. e Su.Fr. quali eredi di Ca.Le.; - Condanna il Ministero della Salute al pagamento delle spese relative alle consulenze tecnica disposta d'ufficio nonché delle ulteriori spese in favore degli attori che si liquidano in Euro 840,00 per spese, Euro 2.450,00 per competenze ed Euro 2.600,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

186 Tribunale di Chieti, 21 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con atto di citazione del 24/3/2004, regolarmente e tempestivamente notificato, Do.PA., in proprio e nelle spiegate qualità di coniuge della defunta Ca.Ba. e di genitore esercente la potestà sui figli An. e Se. (minori all'epoca della notifica dell'atto introduttivo del presente giudizio), dopo aver premesso: 1. che in data 30/10/1998, alle ore 10,20 circa, in tenimento del Comune di Ripa Teatina, il proprio coniuge, Ba.Ca., alla guida della autovettura (...) percorreva la SS 649, con direzione di marcia Francavilla al Mare - Chieti e giunta all'altezza del Km , iniziava la manovra di sorpasso dell'autovettura (...), di proprietà di Do.Gi. e condotta da Do.Sa., che procedeva nella medesima direzione di marcia; 2. che mentre la Ba. stava completando il sorpasso, si avvedeva che dalla parte opposta sopraggiungeva altra autovettura, una (...) di proprietà di Le.Vi. e condotta dal medesimo, che procedeva in prossimità del centro della carreggiata, senza lasciare spazio sufficiente per ultimare il sorpasso; pertanto, nel tentativo di evitare l'impatto con quest'ultimo, stringeva verso la propria destra ma andava a collidere con la (...) che stava sorpassando; a seguito di tale collisione, la (...) veniva sospinta da destra verso sinistra, di talché l'urto con la (...) era inevitabile; 3. che la Ba. perdeva il controllo della propria autovettura e, tagliando trasversalmente la sede stradale, usciva dalla stessa, priva in quel punto di guard-rail o di altra idonea protezione, si schiantava contro un albero, decedendo sul colpo; 4. che il tratto di strada interessato, al momento del sinistro, era rettilineo e pianeggiante, unica carreggiata a doppio senso di marcia, con una sede viabile della larghezza di ca. m. 10,20; la segnaletica stradale verticale era completamente assente mentre quella orizzontale, per il primo tratto (e cioè fino al punto in cui la (...) trasversalmente tagliava la sede stradale), era costituita, esclusivamente, dalla linea discontinua di mezzeria, mentre era inesistente nel successivo tratto, corrispondente a quello percorso dalla (...) e fino al punto in cui la stessa andava a collidere con la (...), giacché quest'ultimo tratto di strada presentava il manto di asfalto appena rifatto; 5. che lo stato del fondo stradale era perfettamente asciutto e le condizioni metereologiche erano di cielo sereno; 6. che appena dopo il sinistro, intervenivano sul luogo una pattuglia del NOR di Chieti, per i rilievi del caso, i Vigili del Fuoco di Chieti, per il recupero dell'auto condotta dalla moglie, nonché il Servizio 118, per il soccorso della vittima; 7. che in seguito al sinistro sopra descritto, veniva aperto, presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Chieti, procedimento penale n. 5413/02 r.g.n.r., volto ad accertare eventuali responsabili e, all'esito delle indagini, il P.M. avanzava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Do.Sa. e Le.Vi., per omicidio colposo in concorso, "per non aver tenuto il margine destro della carreggiata, così da svicolare, creando una strettoia, la manovra di sorpasso dell'auto del Do. posta in essere da Ba.Ca.; all'esito dell'udienza preliminare, il GUP proscioglieva gli imputati, ai sensi dell'art. 425, comma 3, c.p.p., per insufficienza della prova del fatto di reato; 8. che, invece, appariva evidente il nesso eziologico intercorrente fra l'imprudente e negligente condotta di guida tenuta dal Do. e dal Le. e la morte della Ba.; tutto ciò premesso, sul rilievo che erano rimaste inevase le richieste di risarcimento danni avanzate alle compagnie assicurataci delle autovetture antagoniste, conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale, Do.Sa., Do.Gi., Le.Vi., la Ca. S.p.A. nonché la Mi. S.p.A. chiedendo la loro condanna in solido, anche su base concorsuale (ex art. 2054, comma 2, c.c.), a risarcirgli i danni subiti, che quantificava in almeno ,00 Euro e che, nella memoria ex art. 183 c.p.c., specificava corrispondere al 50% del risarcimento complessivamente spettantegli, pari a ,00 Euro, di cui ,00 Euro per danno morale patito da lui e dalle due figlie ( ,00 Euro al coniuge e ,00 Euro a ciascuna figlia), oltre a ,00 Euro per danno biologico iure proprio (di cui ,00 al coniuge e ,00 per ciascuna figlia), ,00 Euro per danno patrimoniale (calcolato sul reddito percepito dalla Ba.) ed ulteriori ,00 Euro per spese funerarie, autovettura ed altro.

187 Si costituiva in giudizio la Mi. S.p.A. che contestava la domanda di parte attrice chiedendone il rigetto, sostenendo che nessuna responsabilità era attribuibile a Vi.Le., conducente dell'autovettura assicurata (...), in quanto lo stesso nell'occasione del sinistro procedeva a velocità moderata, all'interno della sua corsia di marcia, tenendo rigorosamente la destra, e che, pertanto, doveva pervenirsi alla conclusione che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva della Ba., la quale aveva effettuato una pericolosa manovra di sorpasso all'uscita di una curva destrorsa visuale parzialmente coperta e che solo nel corso della detta manovra sporgeva la presenza del (...) proveniente dall'opposto senso di marcia e nonostante ciò non desisteva dall'effettuare il predetto sorpasso. Contestava, inoltre, il quantum del risarcimento richiesto deducendo la mancata specificazione delle poste risarcitorie in relazione alle quali era stata avanzata la richiesta. Si costituiva in giudizio anche la Ca. S.p.A. che contestava la domanda di parte attrice chiedendone il rigetto, sostenendo che nessuna responsabilità era attribuibile a Do.Sa., conducente dell'autovettura assicurata (...), in quanto la responsabilità del sinistro andava attribuita in via esclusiva all'imprudente sorpasso effettuato dalla Ba., in condizioni proibitive. Contestava, inoltre, il quantum del risarcimento richiesto deducendo la mancata specificazione delle poste risarcitorie in relazione alle quali era stata avanzata la richiesta. Eccepiva, per tale motivo, la nullità dell'atto introduttivo del giudizio. Tutte le parti chiedevano la refusione delle spese processuali. Nessuno si costituiva per gli altri convenuti, DO.Sa. e DO.Gi. e LE.Vi., e all'udienza dell'1/7/2004 ne veniva dichiarata la contumacia. Nel corso del giudizio venivano espletate le prove orali richieste dalle parti, ammesse nei limiti di cui all'ordinanza resa all'udienza del 24/10/2005. Con atto di citazione del 5/4/2006, regolarmente e tempestivamente notificato, Do.PA., in proprio e nelle spiegate qualità, citava in giudizio dinanzi a questo Tribunale l'an. S.p.A. sostenendo la responsabilità ex art c.c. e, comunque, ex art c.c., della predetta società, quale proprietaria della strada in cui si era verificato il sinistro, per non aver provveduto a dotare il predetto tratto stradale degli opportuni sistemi di protezione (come le barriere metalliche), atti ad evitare la fuoriuscita delle auto dalla sede stradale. Chiedeva, pertanto, la condanna dell'an. S.p.A. a risarcirgli i danni subiti, che quantificava in almeno ,00 Euro, di cui ,00 Euro per danno morale patito da lui e dalle due figlie ( ,00 Euro al coniuge e ,00 Euro a ciascuna figlia), oltre a ,00 Euro per danno biologico iure proprio (di cui ,00 al coniuge e ,00 per ciascuna figlia), ,00 Euro per danno patrimoniale (calcolato sul reddito percepito dalla Ba.) ed ulteriori ,00 Euro per spese funerarie, autovettura ed altro. Si costituiva in giudizio l'an. S.p.A. che, preliminarmente, eccepiva la prescrizione del diritto vantato dall'attore, chiedeva disposi la riunione ddel presente giudizio a quell iscritto al n. 846/04 r.g.a.c., pendente dinanzi al medesimo Giudice Istruttore, e nel merito contestava la domanda di parte attrice, sia sotto il profilo dell'an che del quantum debeautur, chiedendone il rigetto. Entrambe le parti chiedevano la refusione delle spese processuali. Con ordinanza resa in data 5/6/2007 veniva accolta la richiesta di parte convenuta e disposta la riunione del giudizio iscritto al n. 924/06 r.g.a.c. promosso nei confronti dell'an. S.p.A. con quello iscritto al n. 846/04 r.g.a.c. All'udienza del 26/6/2008, la causa veniva riservata in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti alle quali venivano concessi i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Motivi della decisione La domanda proposta da Pa.Do. nel giudizio iscritto al n. 846/04 r.g.a.c. è fondata e pertanto va accolta nei limiti di cui appresso si dirà, mentre deve rigettarsi quella avanzata contro l'an. S.p.A. nel giudizio riunito (n. 924/06 r.g.a.c.). Va preliminarmente esaminato il profilo dell'an della responsabilità, in ordine al quale pare opportuno premettere e ricordare che secondo principi giurisprudenziali ormai consolidati - e dai quali non v'è

188 alcuna ragione di discostarsi - la presunzione di eguale concorso di colpa posta dall'art. 2054, comma 2, c.c. in tema di scontro fra veicoli (sicuramente applicabile al caso di specie), ha funzione sussidiaria rispetto al criterio di imputazione della responsabilità del conducente di un veicolo che circoli sulla pubblica strada stabilito nel primo comma; ne consegue che sul danneggiato (che tale presunzione voglia vincere) incombe l'onere di dimostrare non solo che il conducente dell'auto investitrice sia in colpa, ma altresì che egli si sia uniformato alle norme di circolazione ed a quelle di comune prudenza, ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente (cfr. Cassazione civile sez. III, 2 aprile 2002, n. 4639); in ogni caso (cfr. Cassazione civile sez. III, 16/7/2003, n ), la presunzione in esame può essere superata anche dall'accertamento in concreto che la condotta di uno dei conducenti ha avuto efficacia causale assorbente nella produzione dell'evento dannoso (ma non è questo il caso in esame, per come si dirà di qui a breve); inoltre, la presunzione di responsabilità paritaria e concorrente dei conducenti, che il comma 2 dell'art c.c. prevede in tema di circolazione stradale, impone una ripartizione delle responsabilità in egual misura per ciascuno di essi nel solo caso in cui non ne risulti, in concreto, accertata l'entità della responsabilità (di entrambi, o anche di uno solo), e non opera, per converso, tutte le volte in cui l'entità (percentuale) dell'apporto causale colposo di almeno uno dei conducenti sia stata positivamente determinata, così che all'altro che non abbia provato di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno sarà legittimamente imputabile soltanto la residua area di responsabilità (cfr. Cassazione civile sez. III, 25 febbraio 2002, n. 2739). L'applicazione di tali principi al caso in esame, comporta l'attribuzione di responsabilità per la verificazione del sinistro a tutti i soggetti coinvolti. Invero, l'attore ha sostenuto, in ordine alla dinamica del sinistro: 1. che in data 30/10/1998, alle ore 10,20 circa, in tenimento del Comune di Ripa Teatina, il proprio coniuge, Ba.Ca., alla guida della autovettura (...) percorreva la SS 649, con direzione di marcia Francavilla al Mare - Chieti, tratto di strada rettilineo e pianeggiante, con unica carreggiata a doppio senso di marcia, con una sede viabile della larghezza di m. 10,20 circa, con fondo stradale perfettamente asciutto; 2. che giunta all'altezza del Km , la Ba. iniziava la manovra di sorpasso dell'autovettura (...), di proprietà di Do.Gi. e condotta da Do.Sa., che procedeva nella medesima direzione di marcia; 3. che mentre la Ba. stava completando il sorpasso, si avvedeva che dalla parte opposta sopraggiungeva altra autovettura, una (...) di proprietà di Le.Vi. e condotta dal medesimo, che procedeva in prossimità del centro della carreggiata, senza lasciare spazio sufficiente per ultimare il sorpasso; pertanto, nel tentativo di evitare l'impatto con quest'ultimo, stringeva verso la propria destra ma andava a collidere con la (...) che stava sorpassando; a seguito di tale collisione, la (...) veniva sospinta da destra verso sinistra, di talché l'urto con la (...) era inevitabile; 4. che la Ba., dopo tale ultimo urto con la (...), perdeva il controllo della propria autovettura e, tagliando trasversalmente la sede stradale, usciva dalla stessa, priva in quel punto di guard-rail o di altra idonea protezione, si schiantava contro un albero, decedendo sul colpo. Orbene, una tale ricostruzione della dinamica del sinistro - che aderisce alle tesi sviluppate dal consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero nel corso delle indagini preliminari espletate nel procedimento penale iscritto nei confronti dei conducenti delle altre due autovetture coinvolte nell'incidente per cui è causa -, non lascia dubbi sulla sussistenza di una corresponsabilità di Ba.Ca., coniuge dell'attore, nella causazione dello stesso. E di ciò l'attore dimostra di essere pienamente consapevole allorquando deduce e sostiene che la responsabilità dei conducenti delle altre due autovetture coinvolte nel sinistro va ravvisata nel fatto di non aver agevolato il sorpasso posto in essere dalla Ba., con ciò dando atto che quest'ultima non effettuò tale manovra in condizioni di assoluta sicurezza, come invece è richiesto oltre che da comuni regole i prudenza, anche da specifica disposizione di legge (art. 148, comma 2, lett. d, C.d.S.). Peraltro, sono principi giurisprudenziali assolutamente condivisibili (cfr. Pretura Catania, sent. 21 giugno 1992) quelli secondo cui la manovra di sorpasso, giacché determina un turbamento nello svolgersi del normale traffico, va compiuta con la massima cautela ed in condizioni di tutta sicurezza e (cfr. Cassazione penale, sez. IV, 5 novembre 1992), in tanto può considerarsi corretta, in quanto chi si accinge ad eseguirla si accerti che vi sia

189 spazio sufficiente per attuarla con sicurezza, tenendo anche conto dei veicoli che sopraggiungono in senso contrario di marcia. Nel caso in esame, anche a voler considerare che la strada era di ampiezza (circa 10,20 metri) tale da consentire, in astratto, l'effettuazione di un sorpasso anche in presenza di un'autovettura proveniente dal senso opposto di marcia, la circostanza che si sia verificato il sinistro proprio per la mancanza di tale spazio, sta chiaramente a dimostrare che, in concreto, tale possibilità non c'era e che la Ba. ebbe ad effettuare tale manovra senza aver correttamente valutato tale evenienza. Ma proprio dall'assenza di tale spazio, nonostante l'ampiezza della carreggiata, discende la responsabilità dei convenuti gli altri due conducenti convenuti, Do.Sa. e Le.Vi., i quali, se avessero mantenuto rigorosamente la propria destra, avrebbero consentito alla Ba. di effettuare senza problemi il sorpasso dell'(...) (condotta dal Do.) e, quindi, evitato il verificarsi dell'incidente. Emerge in maniera assolutamente chiara dalle risultanze processuali ed in particolare dalle relazioni del consulente del P.M. e dei consulenti tecnici di parte, prodotte agli atti, che il contatto tra le auto è avvenuto tra le loro parti laterali e cioè che le auto sono entrate in collisioni di striscio, il che rende evidente che sia l'(...) che la (...) viaggiavano in prossimità del centro della carreggiata, creando quella sorta di "imbuto" di cui parla il per. ind. Vi., consulente del P.M., che ha causato le collisioni ed il conseguente sbandamento dell'auto condotta dalla Ba. Pertanto, risulta evidente che entrambi i conducenti convenuti non si sono uniformati alla norma sulla circolazione che prescrive di viaggiare tenendo rigorosamente la destra (art. 143 C.d.S., secondo cui "I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata ed in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera"), e risulta altresì evidente che il conducente della (...) non ha neanche rispettato il dettato di cui all'art. 148, comma 4, C.d.S. (che prescrive all'utente che viene sorpassato di agevolare la manovra e non accelerare e, nelle strade ad una corsia per senso di marcia, di tenersi il più vicino possibile al margine destro della carreggiata). Peraltro, né l'uno né l'altro dei predetti convenuti ha dimostrato di essersi spostato alla propria destra per consentire alla Ba. di effettuare e completare la manovra di sorpasso; in pratica, i predetti convenuti, oltre ad aver violato le regole di comune prudenza e specifiche disposizioni del codice della strada, non hanno neanche fornito la prova, su di essi incombente, di aver fatto tutto il possibile per evitare l'incidente (cfr. Cassazione civile sez. III, 2 aprile 2002, n. 4639, nonché Cassazione civile, sez. III, 10 marzo 1998, n. 2639, secondo cui "il principio di solidarietà sociale - desumibile, in generale, oltre che dall'art. 2 cost., dagli art e 1227 c.c. e, specificamente, dall'art. 523, comma 3, D.P.R. 30 giugno 1959 n. 420, (ora art. 148, comma 4, Nuovo C.d.S.) che obbliga a facilitare il sorpasso - impone anche al conducente che proceda nel rispetto di tutte le norme del c. strad. di attivarsi, a fronte della violazione altrui, alfine di evitare il sinistro, compiendo la manovra di emergenza che, con riferimento alla situazione concreta, per il guidatore medio, appare "ex ante" più idonea ad evitare il danno"). Sarebbe stato sufficiente ad evitare il sinistro che entrambi i conducenti convenuti si spostassero verso la propria destra, anche transitando sull'ampia banchina esistente ai due lati della strada, e che il De. rallentasse o addirittura frenasse per consentire alla Ba. di rientrare nella propria corsia di marcia. Ma dell'adozione di tali manovre di emergenza da parte dei predetti conducenti non vi è traccia nel processo e, peraltro, i convenuti costituiti neanche hanno mai dedotto simili circostanze. A riprova, poi, dell'accertata responsabilità dei conducenti convenuti, si pone la testimonianza di Iv.Ca., il quale all'udienza del 6/6/2006 ha dichiarato, testualmente: "Io ho assistito al sinistro di cui mi chiedete perché mi trovavo alla guida della mia autovettura (...) e avevo lo stesso senso di marcia della (...) e della (...). Seguivo la (...) da più di un chilometro e ho visto la (...) tentare il sorpasso della (...) che si trovava davanti sulla stessa carreggiata e direzione di marcia più volte. In tutte le occasioni la (...) (o meglio il conducente della (...)) ha ostacolato il sorpasso a volte accelerando e a volte impegnando la linea di mezzeria e tenendosi al centro della strada.... Quando è successo l'incidente, ho visto che la (...) aveva iniziato il sorpasso della (...) che nuovamente si era spostata sul centro della strada, ostacolando il sorpasso. Infatti la strada è molto ampia e sarebbe bastato spostarsi a dx per evitare l'incidente. Il (...) che proseguiva dalla direzione opposta si trovava al centro della propria corsia verso la linea di mezzeria, non tenendo completamente la destra. La (...) a quel punto trovandosi tra gli

190 altri due mezzi (la (...) ed il (...)) ha urtato dapprima la (...) e successivamente con il (...), si è ribaltata ed è andata a finire in una scarpata". Sul puto deve osservarsi che la difesa della Ca. S.p.A. ha addotto a sospetto il predetto teste, sostenendo che la sua presenza in loco era stata indicata per la prima volta in sede civile ed era stata comunque esclusa dagli altri testi. Ha pure contestato la credibilità delle dichiarazioni da quello rilasciate. Quanto al primo profilo, deve osservarsi che il teste Wa.Sa. ha dichiarato che "c'erano delle auto ferme ma non so a chi appartenessero. C'erano altre persone, ma non so chi fossero" e la teste Ma.Mo. (moglie di Wa.Sa.) dopo aver escluso la presenza di altre auto, ha precisato che "non sono in grado di dire che fossero presenti Do. o Le. o altri", cosicché dalle dichiarazioni di tali soggetti non è assolutamente possibile escludere la presenza del Ca., tra le varie auto e persone presenti. Anche la dichiarazione del teste Gi.Go., secondo cui "c'era solo un signore che si sbracciava sulla sede stradale per fermare le macchine ed una signora sulla scarpata vicino alla macchina" non è di per sé idonea ad escludere la presenza del Ca., atteso che lo stesso è giunto sul posto più tardi dei coniugi Sa. - Mo., quando, a detta dello stesso Sa., "c'erano delle auto ferme ma non so a chi appartenessero. C'erano altre persone, ma non so chi fossero". Quanto alla dichiarazione resa da Si.Pa. in sede di s.i.t. rilasciate ai c.c. del NOR di Chieti, a parte il rilievo che la predetta, (a differenza di quanto avvenuto per i testi Sa., Mo. e Go.), non è stata indicata come teste nel presente giudizio e quindi non è stata escussa nel contraddittorio delle parti, deve osservarsi che la circostanza che la medesima non abbia fatto caso, al momento in cui giunta sul luogo del sinistro, se sulla strada vi fossero altre autovetture, neanche quelle altre due incidentate, di certo non è idonea ad escludere la presenza in loco del Ca. Deve escludersi, inoltre, che il teste Ca. sia apparso all'improvviso nella vicenda processuale, atteso che il suo nominativo, unitamente a quello di altro testimone (tale Et.Ma.), è stato indicato al P.M. procedente nella memoria ex art. 121 c.p.p. del nonché al G.I.P. nell'atto del 14/5/2002, di opposizione dell'attore, quale parte offesa, alla rinnovata richiesta di archiviazione avanzata dal P.M. Nessuna rilevanza, infine, può attribuirsi alla circostanza che il giovane Ca., che aveva da poco conseguito la patente di guida, non abbia avuto il coraggio di avvicinarsi al luogo del sinistro e, dopo aver visto fermarsi altre autovetture, oltre a quelle del Do. e del Le., rimaste coinvolte non seriamente nel sinistro, decideva di allontanarsi perché spaventato. Trattasi, in buona sostanza, di giustificazione plausibile e, come tale, credibile. In punto di corresponsabilità dei conducenti dell'(...) e della (...) nella causazione del sinistro, va ulteriormente precisato che nessuna rilevanza processuale può attribuirsi alla sentenza di non luogo a procedere pronunciata in data 22/10/2003, dal GUP presso questo stesso Tribunale nei confronti di Sa.Do. e Vi.Le., in quanto, in base all'art. 654 c.p.p., l'efficacia di giudicato nel giudizio civile è limitata alla sola "sentenza penale irrevocabile... di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento", in cui non può ricomprendersi la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 425 c.p.p., trattandosi di provvedimento che, per essere espressamente definito siccome revocabile (art. 434 ss. c.p.p.), è, per sua natura, inidoneo ad acquistare efficacia di giudicato (in tal senso cfr. Cassazione civile, sez. I, 13 dicembre 1999, n ). Accertata e dichiarata, pertanto, la concorrente responsabilità dei conducenti dell'(...) e della (...) nella causazione del sinistro per cui è causa, deve verificarsi la sussistenza di una qualche responsabilità anche in capo all'an. S.p.A. quale proprietaria della strada in cui si è verificato il sinistro e nei cui confronti l'attore ha proposto autonoma domanda risarcitoria (nel giudizio iscritto al n. 924/06 r.g.a.c.) chiedendone la condanna ai sensi dell'art c.c. e, comunque, dell'art c.c. per non aver provveduto a dotare il predetto tratto stradale degli opportuni sistemi di protezione (come le barriere metalliche), atti ad evitare la fuoriuscita delle auto dalla sede stradale. In particolare, l'attore, sul presupposto che oltre il margine sinistro della strada ove si era verificato il sinistro, era presente un filare di alberi di alto fusto, lamenta la mancata installazione da parte dell'an. S.p.A. di barriere metalliche laterali idonee a proteggere le auto, in caso di incidente e/o sbandamento, dalla fuoriuscita dalla sede stradale e dal conseguente impatto contro tali alberi, così come invece era accaduto alla moglie Ca.Ba.

191 Orbene, la domanda è infondata e va pertanto rigettata. Infatti, a parte il rilievo che non è provato in maniera rigorosa, essendo semplicemente presumibile, che diverse e meno gravi sarebbero state le conseguenze lesive per la conducente della (...) nell'ipotesi di impatto contro una barriera metallica piuttosto che contro l'albero, deve osservarsi sul punto che la responsabilità dell'an. S.p.A. discende dal principio, costantemente affermato in giurisprudenza (cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. III, 16 ottobre 1998, n ), secondo cui gli enti pubblici che hanno la gestione e l'obbligo di manutenzione di strade ordinarie (come quella in esame) non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (quali ad es. canali di scolo delle acque, reti di protezione per caduta massi, eco.) né tutte le misure cautelari (muretti laterali, "guardrails", segnalazioni luminose ai bordi stradali, ecc.) dipendendo l'esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, secondo una valutazione discrezionale della p.a., la quale pertanto potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre (purché la soluzione di continuità dell'opera protettiva sia visibile per l'utente e purché l'opera, per come in concreto realizzata, non costituisca essa stessa un'insidia e cioè una situazione di pericolo così non visibile e non prevedibile). E' pur vero che la pubblica amministrazione incontra dei limiti nell'esercizio del suo potere discrezionale di vigilanza e controllo dei beni demaniali, derivanti dalle norme di legge e di regolamento, nonché dalle norme tecniche, e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere, ma questo non significa affatto che essa sia tenuta ad apprestare, protezione degli utenti della strada ordinaria, tutti i mezzi possibili, tecnicamente conosciuti e realizzabili, atti ad evitare il verificarsi di situazioni di pericolo per i detti utenti, anche perché una simile pretesa si tradurrebbe in obbligo di prestazione davvero impossibile. La P.A., piuttosto, in relazione a quegli obblighi ed in particolare di quello del neminem laedere, è solo tenuta a far si che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile (sul punto cfr. Cassazione civile, sez. III, 22 aprile 1999, n. 3991), ma di certo tale situazione non è ravvisatele nel caso di specie, in cui la presenza delle piante era ben visibile ed il pericolo che esse comunque potevano rappresentare, in ipotesi di fuoriuscita dalla sede stradale, era assolutamente prevedibile. Sulla sorta di tali considerazioni appare evidente come a nulla rilevi la circostanza che l'ente proprietario della strada abbia successivamente ritenuto di dover installare delle barriere protettive su quel tratto di strada. Escluso il concorso di responsabilità dell'ente proprietario della strada, per le ragioni anzidette (che rendono superfluo l'esame dell'eccezione di prescrizione sollevata dall'an. S.p.A.), deve verificarsi quale sia stata l'entità (percentuale) dell'apporto causale colposo dei conducenti delle autovetture coinvolte nel sinistro per cui è causa. Orbene, stando alle modalità di verificazione del sinistro, ricostruito sulla base delle complessive risultanze processuali di cui sopra si è dato atto, si ritiene di dover attribuire alla Ba. una responsabilità maggiore nella verificazione del sinistro in cui decedette, atteso che fu lei a porre se stessa e gli altri due conducenti in situazione di obiettivo e grave pericolo, iniziando una manovra di sorpasso senza aver correttamente valutato le circostanze del caso concreto (provenienza di un'autovettura dall'opposto senso di marcia che viaggiava al centro della carreggiata, sorpasso di un'autovettura che a sua volta non teneva strettamente la propria destra e che le stava ostacolando il sorpasso, "a volte accelerando e a volte impegnando la linea di mezzeria e tenendosi al centro della strada", come ha riferito il teste Iv.Ca.); circostanze che avrebbero dovuto indurla a recedere dall'intenzione di sorpassare l'(...) o, comunque, dal desistere dal portarla a termine. Alla Ba. va pertanto attribuita il 50% della responsabilità del fatto. La responsabilità attribuibile a Vi.Le., conducente della (...), non può essere superiore al 20%, essendo allo stesso rimproverabile soltanto di non aver viaggiato sulla parte destra della propria carreggiata e comunque di non essersi spostato sulla destra allorquando ha avvistato la (...) condotta dalla Ba. che stava effettuando il sorpasso dell' (...). Non è circostanza idonea a discolparlo quella relativa alla repentinità della manovra di sorpasso, atteso che tale evenienza non emerge dagli atti di causa e comunque è contraddetta dal fatto che il Le. doveva comunque tenere rigorosamente la propria destra,

192 considerato che stava incrociando altri veicoli, e dal fatto che l'urto tra la sua (...) e la (...) della Ba. è avvenuto lateralmente, di striscio (come dimostra la rottura dello specchietto retrovisore esterno della (...)), e cioè quando la (...) aveva già da un po' iniziato il sorpasso. La residua percentuale di responsabilità (pari al 30%) va, invece, attribuita a Sa.Do., conducente dell'(...), il quale non solo non viaggiava tenendo rigorosamente la propria destra, ma altresì aveva ostacolato ed ostacolava anche nel corso della sua effettuazione, la manovra di sorpasso posta in essere dalla Ba. Deve a questo punto passarsi alla trattazione del quantum delle richieste risarcitone avanzate dall'attore, che ha quantificato il danno in complessivi almeno ,00 Euro, di cui ,00 Euro per danno morale patito da lui e dalle due figlie ( ,00 Euro al coniuge e ,00 Euro a ciascuna figlia), oltre a ,00 Euro per danno biologico iure proprio (di cui ,00 al coniuge e ,00 per ciascuna figlia), ,00 Euro per danno patrimoniale (calcolato sul reddito percepito dalla Ba.) ed ulteriori ,00 Euro per spese funerarie, autovettura ed altro. Va sicuramente escluso il danno biologico iure proprio, consistente in quella menomazione permanente dell'integrità psico - fisica causalmente derivante dal decesso del congiunto. Orbene, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento di tale voce di danno è necessario che nel giudizio si accerti l'esistenza di una vera e propria patologia, di carattere psichico, idonea ad assumere i caratteri della permanenza e della efficacia menomante del diritto alla salute; al contempo, il danno biologico del tipo in esame va tenuto distinto dalla mera sofferenza derivante dall'evento luttuoso, posto che tale stato - ove non assurga al rango di malattia diagnosticabile secondo la scienza medica - rientra nel più generale concetto di danno morale. Orbene, con riferimento al caso di specie, in assenza di qualsiasi dato di riscontro oggettivo emergente dagli atti e, in definitiva, in assenza di prova della sussistenza del predetto danno (neanche dedotto come sussistente da parte dell'attore, sul quale, peraltro, incombeva anche l'onere di provarne l'effettiva verificazione, ex art c.c.), non può che pervenirsi al rigetto della domanda avanzata in tal senso. L'attore non ha chiesto il danno biologico iure hereditatis che comunque non sarebbe spettato poiché nel caso di specie la morte della Ba. è stata pressoché istantanea. Deve invece riconoscersi all'attore il risarcimento per il danno morale soggettivo patito in conseguenza della morte della giovane moglie, di rilevante entità, se si tiene conto delle circostanze del caso concreto ed in particolare dell'età che, oltre all'attore (di appena 35 anni), all'epoca del fatto avevano le figlie (poco più di 9 anni la figlia An. e quasi 8 anni la figlia Se.), che si sono viste privare della presenza della madre in un momento assai delicato della loro esistenza. Pertanto, in accoglimento della domanda spiegata sul punto dall'attore, allo stesso deve liquidarsi l'importo complessivo, per tale voce di danno, di ,00 Euro, di cui ,00 Euro per sé e ,00 per ciascuna figlia. Tale importo deve ritenersi liquidato all'attualità (cioè alla data di pronuncia della presente sentenza), ma l'equivalente pecuniario rivalutato, vertendosi in tema di debito di valore, soddisfa il credito per il bene perduto, ma non anche il mancato godimento delle utilità che il bene medesimo avrebbe potuto offrire se fosse stato immediatamente risarcito con una somma di denaro equivalente, lasciando pertanto residuare un ulteriore danno da ritardo. Detto danno deve essere comunque allegato e può essere provato anche con mezzi presuntivi ovvero liquidato equitativamente, e a tal fine la giurisprudenza ha spesso ritenuto di far ricorso al criterio degli interessi c.d. compensativi, sulla somma rivalutata. Tale criterio, tuttavia, comporta l'attribuzione al creditore danneggiato di un valore aggiuntivo produttivo di un ingiustificato arricchimento. Ritiene pertanto questo tribunale, con ciò conformandosi all'autorevole orientamento della S.C. (Cass. Sez. Un., 22/4/94-17/2/95, n. 1712) che tale posta di danno (lucro cessante) possa più adeguatamente avere ristoro attraverso il criterio equitativo del calcolo degli interessi (calcolati anno per anno e al tasso del 2,5%, da ritenersi rendimento medio dell'investimento bancario) sull'importo complessivamente liquidato per le indicate poste di danno, devalutato alla data di verificazione del sinistro (30/10/1998) e, quindi, applicati sulla somma via via rivalutata nell'arco del suddetto ritardo, a far data dal momento del sinistro sino alla pubblicazione della presente sentenza. Convertendosi, con la liquidazione, il credito in

193 valuta, sull'importo complessivamente determinato sono dovuti gli interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo. Deve a questo punto passarsi all'esame della domanda risarcitoria svolta dall'attore con riferimento al danno patrimoniale subito in conseguenza del venir meno della contribuzione economica da parte del de cuius, percettore di reddito da attività lavorativa. Com'è noto, l'uccisione di un coniuge fa venire meno l'aspettativa dell'altro coniuge, fondata su criteri probabilistici desunti "dall'id quod plerumque accidit", di vedere destinata una parte del reddito del defunto al soddisfacimento delle esigenze della famiglia. La perdita dell'aspettativa va riferita a tutti quei contributi patrimoniali ed a quelle utilità economiche che il defunto avrebbe presumibilmente apportato alla famiglia, sia in relazione ai precetti normativi (artt. 315, 433 c.c.) che per la pratica di vita improntata a regole etico - sociali di solidarietà e di costume (Cass. 26/2/1996 n. 1474; Cass. 22/2/1995 n. 1959). Il danno indotto dalla perdita è permanente e futuro e deve essere integralmente risarcito, nella sua complessità, presentando per l'attualità la nota di danno emergente (poiché se manca il reddito emerge la necessità di ricorrere al risparmio accumulato o all'indebitamento o alla solidarietà) e di lucro cessante (come perdita, mancato guadagno che si protrae per l'intera esistenza); il risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto. È richiesto un duplice ordine di valutazioni, che vanno compiute sulla scorta delle circostanze del caso concreto e dei dati ricavabili dalla comune esperienza, intese a determinare il reddito presumibilmente conseguibile dal defunto e ad individuare la parte di esso che sarebbe stata destinata alla famiglia. Così come sostenuto dalla Corte di cassazione nella sentenza n del 16/5/2000, nella liquidazione del risarcimento dei danni patrimoniali derivanti ai congiunti dalla morte di una persona è corretto un metodo di calcolo che stabilisca il reddito netto su cui determinare il danno futuro subito dagli eredi sulla base della detrazione dal reddito sia del relativo carico fiscale, sia della "quota sibi" (parte del reddito che il defunto avrebbe speso per sé), la quale ben può essere quantificata come percentuale del reddito complessivo al lordo delle imposte e delle contribuzioni. Con riferimento al caso di specie, dagli atti di causa risulta che Ca.Ba. era diventata socia lavoratrice di cooperativa di servizi da appena trenta giorni, percependo un reddito mensile di 394,38 Euro (pari a delle vecchie Lire, indicate sulla busta paga prodotta agli atti). Trattasi di somma davvero esigua che deve presumersi che la Ba. avrebbe utilizzato quasi completamente per le sue personali esigenze, destinando alla famiglia solo una minima parte dello stesso, in percentuale di poco superiore al quarto e, complessivamente non più di mille Euro all'anno. Considerato, poi, che la Ba. presumibilmente avrebbe continuato a lavorare fino e non oltre il raggiungimento dei 65 anni di età (e quindi per altri 35 anni) e di sicuro avrebbe visto aumentato nel corso degli anni il reddito percepito, deve liquidarsi in favore della attore l'importo complessivo, determinato all'attualità (e quindi tenendo conto dell'anticipata liquidazione di parte di esso), di Euro, da maggiorarsi degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo. Quanto agli altri danni patrimoniali (in particolare, quelle relative all'autovettura e quelle per spese funebri), tenuto conto del valore dell'autovettura andata distrutta nell'incidente, così come ricavabile dalle riviste specializzate nel settore, delle spese necessarie per il recupero e la demolizione della stessa, nonché delle spese funebri (queste ultime liquidabili equitativamente in considerazione della difficoltà di procurarsi la prova documentale delle stesse, in frangenti particolarmente difficili come sono i giorni immediatamente successivi all'evento luttuoso), deve liquidarsi all'attore l'importo complessivo e già rivalutato di ,00 Euro, da maggiorarsi degli interessi legali dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo. In sintesi all'attore spettano: - a titolo di risarcimento del danno morale, ,00 Euro, di cui ,00 Euro per sé e ,00 per ciascuna figlia, oltre interessi compensativi al 2,5% da calcolarsi - previa devalutazione

194 al 30/10/1998, data di verificazione del sinistro, dell'importo come sopra liquidato all'attualità - sulle somme progressivamente (anno per anno) rivalutate dalla data del sinistro (30/10/1998) a quella della presente sentenza, e quindi, solo interessi legali da quest'ultima data al saldo sul capitale complessivamente determinato; - a titolo di danno patrimoniale per perdita della contribuzione economica della de cuius, Euro, da maggiorarsi degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo; - a titolo di ulteriori danni patrimoniali, ,00 Euro, da maggiorarsi degli interessi legali dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo. Gli importi sopra determinati vanno posti a carico di Sa. e Gi.Do., nonché della Ca. S.p.A. in solido tra loro, rispettivamente quali conducente, proprietario e compagnia assicuratrice della (...), nella misura del 30% (corrispondente alla percentuale di corresponsabilità nella causazione del sinistro, attribuita al conducente Sa.Do.). Pertanto, i predetti convenuti vanno condannati, in solido tra loro, a pagare all'attore le seguenti somme: ,00 Euro, di cui ,00 Euro per l'attore e ,00 Euro per ciascuna figlia, oltre interessi compensativi al 2,5% da calcolarsi - previa devalutazione al 30/10/1998, data di verificazione del sinistro, dell'importo come sopra liquidato all'attualità - sulle somme progressivamente (anno per anno) rivalutate dalla data del sinistro (30/10/1998) a quella della presente sentenza, e quindi, solo interessi legali da quest'ultima data al saldo sul capitale complessivamente determinato; Euro, da maggiorarsi degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo; ,00 Euro, da maggiorarsi degli interessi legali dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo. Quanto alle spese processuali, per il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. e tenendo conto dell'esito del giudizio ed in particolare del rigetto della domande attrice di risarcimento del danno biologico iure proprio, i convenuti Sa. e Gi.Do., nonché la Ca. S.p.A. vanno condannati in solido tra loro alla rifusione di quelle sostenute dagli attori nella misura della metà (così come liquidata in dispositivo), ritenendosi compensata tra le parti la residua frazione. Quanto, infine, alla posizione degli altri convenuti, Vi.Le. e Mi. S.p.A. deve accogliersi la richiesta avanzata da questi ultimi e dallo stesso attore, di pronunzia di cessazione della materia del contendere, atteso che l'interesse dei contendenti è venuta meno per la sopravvenuta spontanea soddisfazione, da parte della predetta compagnia assicuratrice, della pretesa dedotta in giudizio dall'attore nei confronti dei predetti convenuti e senza che su tale circostanza residui controversia tra le parti o rimangano tra esse profili di contrasto, neanche sulle spese processuali, pure soddisfatte dalla predetta compagnia assicuratrice, per come risultante dall'atto di quietanza depositato all'udienza del 20/11/2007. P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con atto di citazione del 24/3/2004 da PA.Do., in proprio e nella qualità di coniuge della defunta Ca.Ba. nonché nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori An. e Se.Pa., nei confronti di DO.Sa., di DO.Gi., di LE.Vi., della CA. S.p.A. già Le. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Pi.Bi., e della MI. S.p.A. in persona del procuratore speciale dott. An.Gu., nonché sulla domanda proposta con atto di citazione del 5/4/2006 da PA.Do., in proprio e nelle suindicate qualità, nei confronti dell'an. S.p.A. in persona del Direttore Generale degli Affari Legali, avv. Gi.Cl.Pi., ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) accerta e dichiara che responsabili del sinistro stradale per cui è causa, verificatosi in data 30/10/1998, sono Ca.BA. nella misura del 50%, DO.Sa. nella misura del 30% e LE.Vi. nella misura del 20%; 2) condanna i convenuti DO.Sa. e DO.Gi. nonché la CA. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Pi.Bi., in solido tra loro, al risarcimento in favore di PA.Do., in proprio e nella qualità

195 di coniuge della defunta Ca.Ba. nonché nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori An. e Se.Pa. delle seguenti somme: ,00 Euro, di cui ,00 Euro per l'attore e ,00 Euro per ciascuna figlia, oltre interessi compensativi al 2,5% da calcolarsi - previa devalutazione al 30/10/1998, data di verificazione del sinistro, dell'importo come sopra liquidato all'attualità - sulle somme progressivamente (anno per anno) rivalutate dalla data del sinistro (30/10/1998) a quella della presente sentenza, e quindi, solo interessi legali da quest'ultima data al saldo sul capitale complessivamente determinato; Euro, da maggiorarsi degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo; ,00 Euro, da maggiorarsi degli interessi legali dalla data della presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo; 3) condanna i predetti convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore dell'attore, della metà delle spese processuali da quest'ultimo sostenute nel presente giudizio, che liquida in 5.547,25 Euro, di cui 358,25 Euro per spese, 1.189,00 Euro per diritti e 4.000,00 Euro per onorario, oltre accessori come per legge, ritenendosi compensata la residua frazione; 4) dichiara cessata la materia del contendere tra l'attore ed i convenuti LE.Vi. e MI. S.p.A. e compensate tra esse le spese processuali; 5) rigetta la domanda avanzata dall'attore nei confronti dell'an. S.p.A.; 6) condanna l'attore, in proprio e nella spiegata qualità, al pagamento in favore dell'an. S.p.A. in persona del Direttore Generale degli Affari Legali, avv. Gian Cl.Pi., delle spese processuali da quest'ultima sostenute nel presente giudizio, che liquida in complessivi 9.928,00 Euro, di cui 2.428,00 Euro per diritti e 7.500,00 Euro per onorario, oltre accessori come per legge.

196 Tribunale di Roma, Sez. XII, 22 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con ricorso depositato il , e relativo decreto, ritualmente notificato ZI.An. e QU.Va. convenivano in giudizio di fronte a questo Tribunale l'as.as. in L.C.A., in persona del legale rappresentante pro tempore e del commissario liquidatore, nonché l'as., quale impresa designata per F.G., TO.Ma. e ST.An. Le ricorrenti esponevano: - che in data , alle ore 02,30, To.Ma., alla guida dell'autovettura (...), di proprietà di St.An. ed assicurata con l'as.as., in Roma, percorrendo viale (...), direzione Viale (...) investiva Qu.Fi., rispettivamente marito e padre delle ricorrenti, che stava attraversando la carreggiata sulle strisce pedonali da destra verso sinistra rispetto alla direzione dell'autovettura; - che a causa delle gravi lesioni riportate il Qu. era trasportato presso il vicino ospedale, dove giungeva però deceduto; - che veniva aperto procedimento penale a carico del To., concluso con sentenza di patteggiamento ex artt. 444 e ss. c.p.p.; - che il Tribunale di Roma con sentenza n. 1195/2006 aveva condannato i resistenti al risarcimento dei danni in favore di Qu.Ma.Ro., altra erede della vittima, quantificato in Euro , ritenendo inammissibile, in quanto tardivamente proposta, la domanda delle odierne ricorrenti; - che sussistevano tutti i presupposti per la condanna dei resistenti al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dalle ricorrenti, in proprio e quale eredi di Qu.Fi. per la morte del proprio congiunto. Tanto premesso chiedevano che il Tribunale, accertata l'esclusiva responsabilità del To. nella causazione del sinistro, condannasse i resistenti al risarcimento del danno patrimoniale non patrimoniale quantificato, in via indicativa, nella misura complessiva di Euro ,00 per la Zi. e di Euro ,00 per Qu.Va., con interessi e rivalutazione monetaria. Si costituiva l'as.as. in l.c.a. eccependo l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento, nonché la carenza di legittimazione passiva alla condanna della S.p.A. As.As. in Ica. Contestava, nel merito, la fondatezza della domanda, deducendo l'eccessività delle pretese delle ricorrenti. Gli altri resistenti non si costituivano ed erano dichiarati contumaci. La causa era istruita mediante acquisizione documentale. All'esito dell'udienza del e, stante il rito lavoro ex art. 3 della legge n. 102/06, previo ritiro in camera di consiglio, il Tribunale dava lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. Motivi della decisione L'eccezione di prescrizione formulata dall'assicurazione convenuta deve essere disattesa, atteso che dagli atti risulta interrotto il termine biennale di cui all'art c. c.c. (cfr. copia racc. in data , , del , nonché atto di citazione notificato nel gennaio 2002, cui ha fatto seguito la sentenza del Tribunale di Roma n. 1195/2006, tutti atti allegati al fascicolo di parte ricorrente). La domanda proposta dalle ricorrenti deve essere accolta per le motivazioni e nei limiti di seguito esposti. Riguardo all'accertamento della responsabilità in ordine al sinistro che ha determinato il decesso di Qu.Fi., dall'esame degli atti allegati al fascicolo di parte ricorrente, dagli atti del procedimento penale (conclusosi con sentenza ex artt. 444 e ss. c.p.p.) e in particolare dall'informativa redatta dalla Polizia di Stato emerge che il sinistro si è verificato per responsabilità del To., il quale alla guida della (...), percorrendo viale (...), in un tratto di strada rettilineo e pianeggiante, a causa della velocità non moderata e dello stato di ebbrezza (accertata con apparecchiatura), senza lasciare tracce, con la parte angolare destra del veicolo, investiva il pedone, Qu.Fi., che in quel momento attraversava la strada da destra verso sinistra rispetto alla direzione dell'autovettura, in prossimità dell'attraversamento pedonale ivi esistente. Ritiene, ancora, il Tribunale che la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. non possa fare stato nel giudizio civile instaurato al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguenza dell'illecito penale, in quanto non ha efficacia vincolante di giudicato (Cfr. Cass. 2004/3626; 2005/9358; 2003/6047). Tuttavia la stessa non può che costituire un indiscutibile elemento di prova per il giudice

197 di merito che per disconoscere tale valenza probatoria deve individuare gli elementi che avrebbero indotto l'imputato ad ammettere una insussistente responsabilità e il giudice penale a prestare fede a tale ammissione (cfr. Cass. 2005/9358). Ora le risultanze istruttorie non sono idonee ad inficiare la valenza probatoria della predetta sentenza, ma, al contrario alla luce degli atti sopra indicati non può essere posto in dubbio che la condotta di guida del resistente To. abbia avuto una efficacia causale esclusiva nella produzione del sinistro, tanto più che nel caso di specie lo stesso To. risulta contravvenzionato ex art. 186 cod. strada. Le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale la liquidazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza del decesso del Qu., deducendo di essere la moglie e la figlia dello stesso (circostanza questa non contestata e risultante dagli atti del procedimento penale). Come è noto gli eredi di colui che è rimasto vittima di un sinistro stradale possono far valere il diritto al risarcimento del danno iure haereditario ovvero iure proprio: è evidente che differenti saranno i presupposti per il riconoscimento di tali pretese. In ordine ai danni azionabili iure haereditario si può operare la seguente distinzione: 1) danno biologico e morale sofferto dalla vittima; 2) danno patrimoniale sofferto dalla vittima. Ai fini del riconoscimento della sussistenza di tali diritti tuttavia è necessario che tra il fatto illecito e il decesso della vittima sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, tale da poter affermare, per il caso sub 1, che la vittima ha sofferto la menomazione della propria capacità fisio - psichica (cfr. in tal senso tra le ultime pronunce Cass. sez. III, 20/01/1999, n. 491; Cass. sez. III, 10/02/1999, n. 1131) e, per il caso sub 2, che ha subito gli effetti del fatto illecito in termini di diminuzione della capacità patrimoniale. Nella specie nulla è stato dedotto e chiesto in ordine al punto sub 2, mentre in ordine all'ipotesi sub 1, atteso che il decesso del Qu., come risulta dalla documentazione sanitaria allegata al fascicolo, è avvenuto nell'immediatezza del sinistro, prima di giungere presso il vicino ospedale, nulla può essere riconosciuto. In ordine ai danni azionabili iure proprio le ricorrenti hanno chiesto il risarcimento del danno morale e del danno per perdita del rapporto parentale, invero, è noto che, in conseguenza del rapporto di parentela, del grado della stessa e della convivenza con la vittima si riconosce una sofferenza di carattere morale per la perdita del congiunto. Ora, nella liquidazione del danno morale e del cd. danno per perdita del rapporto parentale deve tenersi conto della circostanza che, a fronte di specifiche contestazioni da parte della resistente, le odierni ricorrenti non hanno dato prova del rapporto di convivenza con la vittima, e che il fatto illecito, anche in quanto astrattamente sussumibile nel reato di omicidio colposo, per il combinato disposto degli artt c.c. e 185 c.p., da diritto al risarcimento del danno per la sofferenza morale subito dai familiari superstiti e per la perdita del rapporto parentale. Tale voce di danno per sua natura, sfugge ad una valutazione economica vera e propria e non può, quindi, che liquidarsi con il ricorso a criteri equitativi, in relazione a considerazioni soggettive quali l'età della vittima, il grado di parentela, le particolari condizioni della famiglia. Questo giudice ritiene di liquidare tali aspetti del danno non patrimoniale in misura di Euro , al valore attuale, per la Zi. e in misura di Euro , sempre al valore attuale, per Qu.Va. (con ciò cercando di uniformarsi, per ragioni quanto meno di equità sostanziale, alla liquidazione già operata dal Tribunale di Roma in favore degli altri prossimi congiunti della vittima) - considerato che le ricorrenti, al momento del sinistro, avevano rispettivamente 51 e 19 anni e la vittima 62 anni. Riguardo al danno biologico iure proprio nulla può essere liquidato non essendo stata dedotta (e quindi neanche provata) alcuna specifica patologia psico - fisica patita dalle ricorrenti in conseguenza del lutto. In ordine al danno patrimoniale deve essere rimborsata la somma (documentata; cfr. all. 3 del fascicolo del fascicolo di parte depositato nel precedente giudizio) di Euro per le spese funerarie, mentre nessun ulteriore danno patrimoniale è liquidabile in mancanza assoluta di prova sul punto. Oltre alla sorte capitale così come sopra liquidata, competono gli interessi, intesi a mente dei noti principi sanciti dalla Suprema Corte, seni n. 1712/95, come lucro cessante, computabili sul valore

198 medio del credito dal di del fatto (giugno 1998) alla presente decisione al saggio annuo del 3%. Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo ex art c.c. Deve, infine, osservarsi che in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, nel caso in cui l'azione risarcitoria sia introdotta dopo l'apertura della liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicuratrice (come nel caso di specie), la stessa deve essere proposta nei confronti dell'impresa Designata al pagamento de! danno, in qualità di unico ed esclusivo soggetto passivo, nonché in contraddittorio del Commissario Liquidatore, quale litisconsorte necessario (cfr tra tante Cass. Sez. III , n. 6011), con la conseguenza che la predetta sentenza opererà nei confronti dell'impresa in liquidazione solo quale pronuncia di mero accertamento. Le spese legali, come quantificate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: - dichiara la responsabilità esclusiva di To.Ma. nella produzione dell'evento dannoso per cui è causa; - accerta e quantifica il risarcimento del danno in favore di ZI.An. in Euro e in favore di Qu.Va. in Euro , e condanna l'as., quale impresa Designata per il F.G., To.Ma. e St.An., in solido, al pagamento in loro favore del predette somme, oltre interessi, a titolo di lucro cessante, così come indicato in motivazione ed oltre interessi legali sull'intero importo dovuto per sorte capitale ed interessi a decorrere dalla data della presente decisione al saldo; - condanna tutti i resistenti in solido al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate in complessive Euro 6.120,00,di cui Euro 500,00 per spese non imponibili, oltre Iva, Cpa e spese generali come per legge.

199 Cassazione civile, sez. III, 23 gennaio 2009, n Svolgimento del processo Con sentenza 18 marzo-17 aprile 2003 la Corte d'appello di Napoli confermava la decisione del Tribunale di Napoli del 25 maggio 1998, che aveva ritenuti la responsabilità esclusiva di D.P.P. nella causazione dell'incidente stradale nel quale Ce.An. aveva trovato la morte, condannando il D.P., la società proprietaria dell'autobus (Consorzio Trasporti Pubblici di (...)) condotto da D.P. e la compagnia di assicurazione - in solido tra di loro - al risarcimento dei danni, rideterminando il risarcimento per danno biologico da L a Euro 50,00, in considerazione del fatto che il marito della attrice, Ce.A., era deceduto a distanza di soli tre giorni dall'incidente. Avverso tale decisione R.M. vedova C., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale del minore C. G., ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre distinti motivi. Resiste con controricorso la CTP Compagnia Trasporti Pubblici spa. Gli altri intimati non hanno svolto difese. Con provvedimento successivo il Presidente ha assegnato a sè la redazione della sentenza, in sostituzione del Consigliere relatore, Dott. Giulio Levi. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 331 c.p.c., per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile l'appello principale (a seguito della mancata notificazione dell'appello a D.P.P., litisconsorte necessario e conducente dell'autobus di proprietà del Consorzio Trasporti Pubblici, nonostante la Corte avesse ordinato la integrazione del contraddittorio con ordinanza del 3 maggio 2001). La notifica della comparsa della Generali contenente l'appello incidentale, effettuata nei confronti del D.P., non poteva - secondo la ricorrente configurare una "vocatio in ius" ai fini di una regolare integrazione del contraddittorio. Il motivo è privo di fondamento. Deve considerarsi principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, in una controversia come quella in oggetto, vi è litisconsorzio necessario sostanziale soltanto tra assicuratore e proprietario e non anche nei confronti del conducente della vettura (Cass. 8 febbraio 2006 n. 2665, 27 luglio 2005 n , 10 agosto 2004 n ). Secondo tale insegnamento: "la L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 23, sull'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, il quale prevede l'obbligo di chiamare il responsabile del danno - e cioè il proprietario del veicolo assicurato - nel giudizio instaurato contro l'assicuratore ai sensi dell'art. 18, comma 1, della stessa Legge - introduce un'ipotesi di litisconsorzio necessario in senso tecnico, con conseguente inscindibilità di cause, che persiste anche nel caso in cui la sentenza di primo grado sia stata appellata dall'assicuratore nei confronti del solo danneggiato vittorioso". Se più parti sono convenute in un unico processo, ai sensi dell'art. 103 c.p.c., - come nel caso in cui il danneggiato da un sinistro stradale abbia convenuto in giudizio, oltre che il proprietario e l'assicuratore per la responsabilità civile autoveicoli, anche il conducente del veicolo - le cause, connesse, sono scindibili ed il litisconsorzio che si instaura tra di esse è solo facoltativo. Nella fase di impugnazione delle sentenze emesse in controversie aventi ad oggetto richiesta di risarcimento danni derivanti dalla circolazione di autoveicoli, promosse dal danneggiato soccombente sia contro il conducente sia contro il proprietario, rispettivamente ai sensi dell'art c.c., commi 1 e 3, tra la causa proposta contro il conducente e quella proposta contro il proprietario, anche se non è configurabile un rapporto di inscindibilità, può esistere un rapporto di dipendenza tra le stesse, con la conseguenza che, in tali ipotesi, in mancanza della dimostrazione dell'avvenuta impugnazione rivolta contro entrambe le parti indicate, il giudice di appello deve disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti della parte della causa pregiudiziale dipendente. (Cass. 11 gennaio 2008 n. 406).

200 Poichè nel caso di specie, in ogni modo, i giudici di appello hanno disposto la rinnovazione della notificazione dell'atto di appello principale, insieme con la notificazione dell'appello incidentale, deve registrarsi la mancanza di qualsiasi concreto interesse della ricorrente alla censura proposta. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 331 c.p.c., per non avere i giudici di appello disposto l'integrazione del contraddittorio: ciò in linea del tutto subordinata e per la sola ipotesi in cui la ordinanza della Corte del 3 maggio 2001 dovesse essere interpretata nel senso che con essa non si disponeva la integrazione del contraddittorio anche nei confronti del D.P.. In tale eventualità, sottolinea la ricorrente, dovrebbe essere dichiarata la nullità dell'intero procedimento di secondo grado e, dunque, anche della sentenza che lo aveva concluso. La censura, proposta in via del tutto subordinata, è inammissibile. L'attuale ricorrente non ha sollevato la questione della pretesa inottemperanza all'ordine di rinnovazione della notificazione dell'atto di appello nel corso dell'intero giudizio di appello e la stessa non è stata rilevata dal giudice, che anzi ha specificamente attestato la regolarità della notificazione dell'atto di appello principale e di quello incidentale a tutti gli appellati rimasti contumaci (pag. 7 della decisione impugnata). Deve quindi ritenersi che appellante e giudice di appello abbiano verificato la regolarità della nuova notificazione, accertando - ancor prima - che l'ordine di rinnovazione della notificazione riguardava tutte le parti rimaste contumaci (e dunque anche il D.P.). Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e artt e 2056 cod. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine alla liquidazione del danno biologico "iure hereditatis" parametrando erroneamente il danno biologico subito dall'infortunato in proprio e rivendicato "jure hereditatis" dai ricorrenti al brevissimo periodo in cui egli era rimasto in vita. I giudici di appello, pur riconoscendo agli istanti il diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal C., di fatto lo avevano assimilato ad un danno biologico da inabilità temporanea assoluta, rapportandolo al breve periodo di tre giorni. Ad avviso della ricorrente, la liquidazione del risarcimento del danno avrebbe, invece, dovuto tener conto delle caratteristiche peculiari delle sofferenze subite dal C.. Anche questo ultimo motivo si rivela del tutto privo di fondamento. I giudici di appello hanno fatto applicazione degli indirizzi giurisprudenziali prevalenti, secondo i quali, in caso di breve lasso di tempo tra incidente e decesso, il danno biologico deve essere escluso o ridotto in termini cronologici. Secondo tale orientamento, la lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall'evento lesivo, non è configurabile come danno biologico, giacchè la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, essendovi un'effettiva compromissione dell'integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, e" configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante "iure hereditatis" (Cass. 17 gennaio 2008 n. 870; Cass. 22 marzo 2007 n. 6946). Nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione della integrità psicofisica patita dal danneggiato per quel periodo di tempo, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi "iure hereditatis"; in questo caso, l'ammontare del danno biologico terminale sarà commisurato soltanto all'inabilità temporanea, e tuttavia il giudice di merito, ai fini della liquidazione, dovrà tenere conto, nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte. (Cass, 28 agosto 2007 n ; v. anche Cass. 23 febbraio 2004 n. 3549, 28 aprile 2006 n marzo 2007 n. 6946; ed inoltre: Cass. 2 aprile 2001 n e 14 febbraio 2007 n. 3260).

201 Essendosi i giudici di appello adeguati a tale insegnamento, la sentenza impugnata non merita censure. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi, in considerazione delle questioni trattate, per disporre la compensazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di questo giudizio

202 Corte d Appello di Napoli, sez. I, 23 gennaio 2009 Svolgimento del processo Ac.An. e Pe.An. convenivano innanzi al Tribunale di Torre Annunziata Pe.Ge. e la S.p.A. Ma.Pr. A per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni tutti subiti, sia in proprio sia in qualità di eredi, a seguito del decesso della loro congiunta P. Carmela che, trasportata a bordo dell'autovettura tg. (...) condotta dal padre Pe.Ge. ed assicurata con la società Ma.Pr., subiva gravissime lesioni nell'incidente stradale verificatosi il giorno sull'autostrada A/19 (Ca.-Pa.) all'altezza dello svincolo per la località Tr. e decedeva in data presso l'ospedale di Catania ove era stata ricoverata in gravi condizioni. Nella contumacia di Pe.Ge., la società Ma., costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda e, in subordine, l'accoglimento della stessa nei limiti del massimale di polizza. All'esito dell'istruttoria, la causa era decisa con sentenza del 4/6 agosto 2004 con la quale il Tribunale, affermata la responsabilità esclusiva del conducente dell'autovettura, accoglieva la domanda risarcitoria condannando i due convenuti, in solido fino alla concorrenza del massimale contrattuale, al ristoro dei danni subiti dagli attori sia in proprio, sia come eredi di Pe.Ca. liquidando il complessivo importo di Euro ,99 oltre interessi legali dal fatto illecito al soddisfo e spese di causa. Avverso tale sentenza la società P. Assicurazioni (già Ma.Pr. s.p.a.) ha proposto appello con atto notificato in data chiedendo, sulla base di quattro motivi riguardanti an e quantum debeatur, la riforma dell'impugnata decisione. Hanno resistito al gravame Ac.An. e Pe.An. instando per la conferma della sentenza di primo grado; P. Gennaro non si è costituito. Quindi, acquisito il fascicolo del primo giudizio, la Corte - accogliendo in parte ristanza avanzata dalla società appellante - ha sospeso, sino al limite di Euro , l'esecutività dell'impugnata sentenza. Quindi le parti hanno precisato le conclusioni all'udienza del 30.9,2008 in cui la causa è stata riservata a sentenza con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Motivi della decisione Col primo motivo di appello la società P. censura l'inadeguata ed insufficiente motivazione sulla esclusiva responsabilità di Pe.Ge. in ordine alla causazione del mortale incidente, lamentando in particolare - che non è stato dato il giusto peso al fatto che la vittima non aveva la cintura di sicurezza il cui uso avrebbe scongiurato certamente l'evento mortale. Rileva la Corte che la censura non è fondata e va respinta. Quanto, invero, alle modalità dell'incidente è certo che esso avvenne a causa esclusiva della imprudente e negligente condotta di guida di Pe.Ge. che, ad elevata velocità, incurante della strada bagnata e resa viscida dalla pioggia, in un tratto in curva e con i pneumatici posteriori in pessimo stato d'uso, perdeva il controllo della vettura che, dopo essere urtata violentemente e ripetutamente contro il guard-rail centrale,strisciava per alcuni metri contro la barriera di protezione, la scavalcava ponendosi tra l'aiuola spartitraffico e il guard-rail fino a rotolare su se stessa più volte. I rilievi eseguiti dagli agenti della Polizia Stradale, unitamente all'esame dei danni all'autovettura, non lasciano dubbi sulla dinamica del sinistro né, quindi, sulla responsabilità del conducente. Quanto, poi, in particolare, all'uso delle cinture di sicurezza deve dirsi che non vi sono elementi per affermare che esse non erano state usate né dalla Pe. - che sedeva davanti accanto al padre né dagli altri occupanti della vettura. Non si rinviene nessun elemento utile né dal rapporto della Polizia Stradale, né da tutti gli altri atti acquisiti al giudizio: sicché non può affermarsi con certezza che il mancato uso delle cinture abbia determinato un concorso di colpa della vittima, potendosi solo presumere (in maniera del tutto ipotetica) che l'uso del dispositivo di sicurezza avrebbe attenuato le gravissime lesioni subite dalla ragazza. In ogni caso, le predette lesioni furono tali e tante e di così intensa gravita, che non può neppure con certezza ipotizzarsi la sopravvivenza della Pe. alle stesse, posto che questa subì un politrauma che interessò non solo la testa ed il torace, ma che compromise tutti gli organi vitali riducendo al minimo le possibilità di sopravvivenza della giovane vittima. Infondati e da rigettare sono, poi, il secondo e terzo motivo coi quali la S.p.A. Pr. censura l'illegittima ed errata liquidazione del danno biologico iure hereditatis lamentando che il brevissimo lasso di tempo

203 tra il fatto e il decesso della P. non autorizzavano il primo giudice a riconoscere la sussistenza di tale danno lamentando, poi, che l'importo di Euro ,33 non è stato ripartito tra gli eredi - attori secondo giusti parametri che tengano conto del diverso tipo e della diversa intensità del legame affettivo tra i parenti e la vittima. In proposito rileva la Corte che è ormai ius receptum il principio secondo cui, in caso di morte immediata, non può farsi luogo alla liquidazione in favore degli eredi del danno biologico dal momento che questo non è stato subito dal dante causa perché con l'evento morte una persona cessa di esistere come soggetto giuridico e non può, quindi, acquisire diritti. Viceversa, un tale diritto sorge tra l'evento lesivo e la morte se sia intercorso un "apprezzabile lasso di tempo". La vaghezza di tale ultima espressione va corretta nel senso che anche un limitatissimo arco temporale (ad esempio un giorno) da diritto agli eredi di avanzare (a relativa pretesa in proporzione allo spatium vivendi. Ciò significa che il metodo di calcolo del relativo diritto deve essere condotto commisurando il danno alla menomazione permanente ed assoluta per l'arco temporale di durata della sopravvivenza, laddove è errato a giudizio della Corte - liquidare il danno biologico c.d. terminale in favore degli eredi adottando gli stessi criteri che presumono la sopravvivenza della vittima con una menomazione permanente (v. in termini Cass n. 2775). Pertanto, con riferimento alla tecnica risarcitoria in materia di danno biologico da morte fatto valere iure hereditatis, la liquidazione del danno deve avvenire tenendo conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta, utilizzando il parametro tabellare della liquidazione a punti per ogni giorno di invalidità assoluta, con correttivi di personalizzazione, secondo le indicazioni fornite costantemente dalla giurisprudenza. Tali osservazioni e precisazioni sono state fatte solo per completezza, ma non sono concretamente utilizzabili giacché la società P. non ha impugnato né il criterio di calcolo seguito dal Tribunale, né il risultato di tale calcolo, facendo, quindi, acquiescenza alla somma liquidata a titolo risarcitorio in favore degli eredi della giovane deceduta nel sinistro. Quanto al secondo aspetto della censura va rilevato che non vi era necessità di ripartire l'importo liquidato tra i due eredi indicando i singoli importi ad essi spettanti, posto che il primo giudice ha espressamente statuito che la somma complessiva deve essere corrisposta a Pe.An. e ad Ac.An. secondo le quote ereditarie loro spettanti per legge. Analogamente infondato è il quarto motivo di gravame col quale si censura che anche per tale voce di danno mancherebbe una liquidazione separata per la madre e per il fratello della vittima. Va, poi, aggiunto che la censura è quantomai generica, non essendo neppure specificato in essa se si è inteso fare riferimento all'importo di Euro liquidato come risarcimento del danno morale subito dagli appellati iure proprio, o all'importo di Euro ,66 liquidato agli stessi in qualità di eredi di Pe.Ca.. Nell'uno o nell'altro caso, la censura non è meritevole di accoglimento per le considerazioni svolte innanzi nell'esame della precedente censura. La mancata impugnazione delle statuizioni della sentenza contenenti la determinazione delle somme dovute a titolo di risarcimento (la cui liquidazione supera di molto quanto sarebbe spettato agli appellati se si fosse fatto buon uso degli esatti criteri di calcolo) e l'esito finale e complessivo del giudizio rendono opportuna la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata - sezione distaccata di Torre del Greco del , così provvede: rigetta l'appello; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

204 Corte d Appello di Roma, sez. III, 27 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con atto di citazione in data 11/10/1991, ritualmente notificato, VI.EL. e GI.AN.MA. esponevano che il giorno (...) in Roma, alle ore 14,00 circa, VI.EL. si trovava a bordo dell'autovettura (...) condotta dal padre Vi.Ri., allorché accingendosi a superare l'incrocio con via dei Castani, provenendo da via (...), un autobus AT. che giungeva da via (...) diretto a piazza (...), attraversava l'incrocio a velocità sostenuta, urtando violentemente la (...) nella parte anteriore sinistra. A seguito dell'urto, proseguivano le attrici, il Vi.Ri. perdeva la vita e VI.EL. subiva gravissime lesioni con postumi di invalidità permanente pari al 100%; il procedimento penale promosso con denuncia querela e di ufficio per la morte di Vi.Ri. si concludeva con sentenza del Tribunale Penale di Roma del 5/2/1991 che affermava la responsabilità concorrente del defunto conducente della (...) e dell'autista dell'autobus Es.Er. Inoltre, nel corso del procedimento penale era stata concessa una provvisionale in favore di VI.EL. alle cui esigenze aveva sempre provveduto la madre GI.AN.MA., la quale si riservava di proporre intervento autonomo nello stesso giudizio con riferimento ai danni dalla medesima patiti nel sinistro in oggetto. Le attrici, poi, esponevano che obbligata al risarcimento del danno in favore di VI.EL. era pure la Compagnia di Assicurazioni UN. S.p.A., garante per la r.c.a. di Vi.Ri. anche in ordine ai danni subiti dai trasportati (quali erano, per l'appunto, le due attrici). Premesso quanto sopra VI.EL. e GI.AN.MA. convenivano in giudizio, avanti il Tribunale Civile di Roma, ES.ER., l'at., l'as. e la UN. S.p.A. al fine di ottenere una integrazione della provvisionale già concessa in sede penale a favore della VI. e per sentire dichiarare la responsabilità dell'es. nella determinazione dell'incidente stradale di cui sopra con la conseguente condanna dei medesimo conducente dell'autobus, dell'at. e dell'as., in solido, al risarcimento di tutti i danni materiali e morali subiti dalle attrici, oltre agli accessori ed alle spese processuali. Si costituiva in giudizio l'as. la quale chiedeva la propria estromissione dal processo con riferimento alla pretesa risarcitoria avanzata da VI.EL. - avendole già corrisposto la provvisionale di Lire ,300 come disposto dal Tribunale Penale di Roma e volendo versare, non appena perfezionatasi la procedura di liquidazione del sinistro, il residuo massimale di Lire nonché il rigetto della domanda formulata dalla GI. dovendosi ritenere satisfattivi la somma di Lire alla stessa già corrisposta per le lesioni sofferte nel sinistro, in considerazione del grado di colpa dell'es. riconosciuta dal Tribunale Penale di Roma nella misura del 30%. Nel corso del giudizio di primo grado si costituivano l'at. e la UN. S.p.A. che contestavano le domande attrici; al contrario, l'es. rimaneva contumace. Proponevano poi intervento VI.EL., VI.MA., VI.GI., VI.CA. e GI.AN.MA., nella qualità di eredi del defunto Vi.Ri., al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali sofferti per la perdita del loro congiunto e la GI. anche al fine del risarcimento del danni patiti quale trasportata sull'auto del marito a seguito dell'incidente "de quo". Nel corso dell'istruttoria venivano espletate consulenze medico legali sulle persone delle attrici; alla udienza del 4/4/1995, poi, il processo veniva interrotto a seguito del decesso del difensore dell'at. Il giudizio veniva, quindi, riassunto da parte delle attrici e degli intervenienti soltanto nei riguardi dell'at., dell'as. e dell'es. avendo, nelle more, l'un. provveduto a versare in favore di VI.EL. l'intero massimale della polizza. Infine, esperito il tentativo di conciliazione a seguito della entrata in vigore della L. 276/97, la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 16/2/2000. Con la sentenza in oggetto il g.o.a. - dopo avere dichiarato la cessazione della materia del contendere tra le attrici, gli intervenienti e l'un. con compensazione delle spese - rigettava la domanda proposta nei confronti dell'es., dell'at. e dell'as. sulla base della intervenuta assoluzione dell'es., pronunciata dalla Corte di Appello Penale di Roma con sentenza n. 4008/92, con la quale era stata attribuita in via esclusiva al defunto Vi.Ri. la responsabilità per l'incidente stradale in oggetto, e compensava le spese processuali. Avverso la predetta sentenza proponeva appello, ritualmente notificato, VI.EL., VI.MA., VI.GI., VI.CA. e GI.AN.MA. lamentandone l'ingiustizia sotto vari profili. Anzitutto, la censuravano per avere escluso una qualsiasi responsabilità del conducente dell'autobus AT. nell'incidente per cui è causa atteso che, sulla base di tutti gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria nonché della presunzione di cui all'art c.c. e delle norme del codice della strada,

205 era evidente la sussistenza della responsabilità dell'es. quanto meno in misura percentuale. Pertanto, gli appellanti chiedevano a questa Corte l'accoglimento di tutte le richieste già formulate in primo grado nei riguardi dell'at., dell'as. e dell'es., nonché la conferma della cessazione della materia del contendere rispetto alla UN. Tra gli appellati si costituivano in giudizio soltanto l'at. e Le. (già As.) che resistevano al gravarne; l'es. e la UN. S.p.A., invece, sebbene ritualmente citati non si costituivano nel presente grado. Con sentenza non definitiva n. 1087/07 pubblicata il 6/3/2007 questa Corte, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava l'es. responsabile al 30% del sinistro in oggetto, disponeva la prosecuzione del giudizio al fine dell'accertamento della sussistenza di eventuali aggravamenti delle condizioni di salute di VI.EL. e, a tal fine, ordinava un supplemento di consulenza medico legale. L'ausiliario dott. Ca.Mo., dopo avere effettuato una nuova visita sulla perizianda, provvedeva al deposito del proprio elaborato in data 8/10/2007. Infine, i procuratori delle parti, alla udienza del 5/12/2008, chiedevano che la causa venisse trattenuta in decisione riportandosi alle conclusioni contenute nei rispettivi atti difensivi. Motivi della decisione Preliminarmente, si osserva che a seguito della sentenza non definitiva emessa da questa Corte relativamente alla responsabilità del sinistro (attribuita all'es. nella misura del 30%) e per la quale le parti hanno fatto espressa riserva di impugnazione, tale profilo esula dall'oggetto del presente giudizio, che riguarda soltanto all'entità del risarcimento del danno. Inoltre, va evidenziato che per stessa ammissione degli appellanti l'as. aveva provveduto al versamento delle somme nei limiti del massimale (con assegno n. (...) tratto sulla BC. per Lire spedito con racc. r.r. del 15/12/1992, cfr. allegato n. 91 fascicolo di primo grado di parte appellante), di talché null'altro può essere richiesto a tale assicurazione dovendosi pure escludere la sussistenza di una qualsivoglia "mala gestio" da parte della medesima, atteso che il pagamento nei limiti del massimali era intervenuto addirittura molti anni prima della sentenza non definitiva sopra indicata. Inoltre, va evidenziato che - non essendo stato impugnato il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere tra gli odierni appellanti e la UN. - tale punto è ormai coperto dal giudicato. Ciò posto, la Corte osserva che l'appello è parzialmente fondato nei confronti dell'at. e dell'es. e che, pertanto, deve essere accolto nei termini appresso indicati. Al riguardo, va ricordato come secondo la giurisprudenza il trasportato su un veicolo a motore, che abbia patito danni in conseguenza di un sinistro ascrivibile a responsabilità tanto del vettore, quanto del titolare di un terzo veicolo, può pretendere il risarcimento integrale da uno qualsiasi tra i due responsabili (e dai loro assicuratori della r.c.a.), in virtù del principio generale della solidarietà tra i coautori di un fatto illecito, di cui all'art cod. civ. Tale principio non subisce deroghe nell'ipotesi {come quella in esame) in cui il vettore corresponsabile del sinistro sia anche il genitore del danneggiato: in tale ipotesi, pertanto, l'eventuale concorso di colpa del genitore conducente del veicolo è inopponibile al minore trasportato su esso (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, Sentenza n del 31/03/2008). Con riferimento alla posizione di VI.EL., il ctu ha accertato che l'appellante, a seguito del sinistro in oggetto, ha riportato dei postumi invalidanti permanenti nella misura dell'85% ed una incapacità temporanea assoluta per mesi dieci (cfr. elaborati peritali del dott. C.Mo. di primo e secondo grado, in atti). La Corte, quindi, ritiene di dovere fare proprie le conclusioni cui è pervenuto l' ausiliario del giudice, poiché le stesse appaiono logicamente motivate ed ampiamente illustrate, nonché supportate anche dalla documentazione allegata agli stessi elaborati; inoltre, esse non sono state validamente contraddette dai rilievi delle parti. Ne consegue che, in applicazione delle tabelle aggiornate in uso presso il Tribunale di Roma, VI.EL. ha diritto - tenuto conto della sua età all'epoca del sinistro (11 anni) - al risarcimento del danno biologico nella misura di Euro ,19, al risarcimento del danno morale liquidato nella misura di 1/4 del danno biologico e, cioè, in Euro ,54, nonché al risarcimento della invalidità temporanea assoluta (mesi 10) quantificato in Euro ,00, con

206 detrazione di quanto già versato in favore della medesima, nei limiti del massimale, dalla AS. e dalla UN. Sulle predette somme dovranno poi aggiungersi gli interessi dalla data del fatto sino al saldo. Passando, quindi, all'esame della posizione di GI.AN.MA. la Corte osserva che il ctu, in primo grado, aveva accertato che l'appellante, a seguito del sinistro in oggetto, ha riportato dei postumi invalidanti permanenti nella misura del 16%, una incapacità temporanea assoluta per giorni trenta ed una parziale (al 50%) per giorni trenta (cfr. elaborato peritale del dott. C.Mo., in atti). La Corte, quindi, ritiene di dovere fare proprie le conclusioni cui è pervenuto l'ausiliario del giudice, poiché le stesse appaiono logicamente motivate ed ampiamente illustrate, nonché supportate anche dalla documentazione allegata allo stesso elaborato; inoltre, esse non sono state validamente contraddette dai rilievi delle parti. Ne consegue che, in applicazione delle tabelle aggiornate in uso presso il Tribunale di Roma, la GI. ha diritto - tenuto conto della sua età all'epoca del sinistro (46 anni) - al risarcimento del danno biologico nella misura di Euro ,49, al risarcimento del danno morale liquidato nella misura di 1/4 del danno biologico e, cioè, in Euro 6.674,62 nonché al risarcimento della invalidità temporanea assoluta (giorni 30) in Euro 1.204,80 e della invalidità parziale (giorni trenta) in Euro 602,40, previa detrazione di quanto già versato in favore della medesima, nei limiti del massimale, dalla AS. e dalla UN. Anche su tali somme dovranno poi aggiungersi gli interessi dalla data del fatto sino al saldo. Non possono trovare accoglimento, invece, le ulteriori richieste risarcitorie - fatta eccezione per le spese fisioterapiche di Euro 1.838,00 sostenute dalla VI. ed il risarcimento del danno per la perdita dell'autovettura (...) - avanzate dalle due originarie attrici (spese mediche, spese funerarie e per loculo, perdita vestiti etc...) per mancanza di qualsiasi prova al riguardo. Quanto alla auto (...) di proprietà della GI. la Corte ritiene che, tenuto conto dell'anno di immatricolazione dell'autovettura, il relativo danno per la distruzione del veicolo possa liquidarsi in via equitativa nella misura di Euro 1.500,00. Passando, quindi, alle richieste risarcitorie degli appellanti connesse dalla morte del loro dante causa, va ribadito anzitutto come questa Corte, con la sentenza non definitiva sopra indicata, avesse attribuito all'es. il 30% di responsabilità per il sinistro in oggetto. Pertanto, tenuto conto della età della vittima al momento della morte (58), dell'età degli appellanti, nonché dei loro rapporti di parentela e di convivenza con Vi.Ri. e facendo applicazione delle tabelle aggiornate in vigore presso il Tribunale di Roma, consegue che alla moglie convivente GI.AN.MA. (di anni 46 all'epoca) a titolo di risarcimento per la morte del marito (tenuto conto del 30% di responsabilità dell'es.) spetta la somma complessiva di Euro ,00. Ai figli conviventi VI.EL. e MA. - sempre considerando il 30% di responsabilità dell'appellato ES. - deve, invece, essere riconosciuta la somma di Euro ,00 ciascuno; ai due figli non conviventi VI.GI. e CA., al contrario, va liquidata la somma di Euro ,00 ciascuno, il tutto oltre gli interessi dalla data del fatto sino al saldo. Con riferimento, poi, alla richiesta di risarcimento del c.d. danno esistenziale deve osservarsi, anzitutto, come, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata "danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art c.c. che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo la Costituzione. Ne consegue che al danno biologico va riconosciuta una portata tendenzialmente omnicomprensiva confermata dalla definizione normativa adottata dal D.Lgs 209/2005, recante il codice delle assicurazioni private, suscettibile di essere adottata in via generale, anche in campi diversi da quelli propri delle sedes materiae in cui è stata dettata, avendo il legislatore recepito sul punto i risultati, ormai generalmente acquisiti e condivisi, di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato, cosicché al danno esistenziale non può

207 riconoscersi dignità di autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale (vedi, da ultimo, Cass. S.U. Civili sent /2008). Pertanto, il motivo di gravame relativo alla richiesta di risarcimento de! danno esistenziale non può trovare accoglimento, anche perché esso non è stato concretamente allegato e provato dagli appellanti, nemmeno con il ricorso a valutazioni prognostiche e presuntive basate su elementi oggettivi. Analogamente devono essere respinte, in quanto inammissibili ex art. 345 c.p.c., le richieste di risarcimento del danno patrimoniale conseguente la morte di Vi.Ri. e del danno biologico subito dal defunto trattandosi di domande nuove mai formulate nell'atto di intervento in primo grado. In conclusione, in parziale accoglimento dell'appello, ES.ER. e l'at. S.p.A. vanno condannati, in solido, al pagamento delle somme sopra indicate in favore degli appellanti. Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura indicata nel dispositivo; infine, in considerazione della natura della controversia e della qualità delle parti, sussistono validi motivi per compensare le spese del presente grado tra l'as. e gli appellanti. P.Q.M. La Corte definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale Civile di Roma n /2000 pubblicata il 22/7/2000, così provvede: a) condanna in solido ES.ER. e l'at. S.p.A. - in persona del legale rapp.te "pro tempore" - al pagamento In favore di VI.EL. della somma di Euro ,19 a titolo di risarcimento dei danno biologico, della somma di Euro ,54 per risarcimento del danno morale, della somma di Euro ,00 per invalidità temporanea assoluta, della somma di Euro 1.838,00 per rimborso spese fisioterapiche oltre gli interessi dalla data del fatto sino al saldo, previa detrazione di quanto già versato in favore della medesima appellante, nei limiti dei massimale, dalla AS. e dalla UN.; b) condanna in solido ES.ER. e l'at. S.p.A. - in persona del legale rapp.te "pro tempore" - al pagamento in favore di GI.AN.MA. della somma di Euro ,49 a titolo di risarcimento del danno biologico, della somma di Euro 6.674,62 a titolo di risarcimento del danno morale, della somma di Euro 1.204,80 per risarcimento della invalidità temporanea assoluta, della somma di 602,40 per la invalidità parziale, della somma di Euro 1.500,00 per risarcimento del danno all'autovettura oltre gli interessi dalla data del fatto sino al saldo, previa detrazione di quanto già versato in favore della stessa appellante, nei limiti del massimale, dalla AS. e dalla UN.; c) condanna in solido ES.ER. e l'at. S.p.A. - in persona del legale rapp.te "pro tempore" - al pagamento - a titolo di risarcimento del danno per la morte di Vi.Ri. - della somma di Euro ,00 in favore di GI.AN.MA., della somma di Euro ,00 in favore di VI.EL., della somma di Euro ,00 in favore di VI.MA., della somma di Euro ,00 in favore di VI.GI., della somma di Euro ,00 in favore di VI.CA., oltre gli interessi dalla data del fatto sino al saldo; d) condanna in solido ES.ER. e l'at. S.p.A. - in persona del legale rapp.te "pro tempore" - al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio in favore del difensore antistatario degli appellanti avv. Em.Po., spese che - quanto al primo grado - liquida in complessivi Euro ,00 (di cui Euro 8.130,00 per onorari) e che - quanto al presente grado - liquida in complessivi Euro ,00 (di cui Euro ,00 per onorari), oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; e) compensa le spese del presente grado tra gli appellanti e Le. (già As.); f) rigetto nel resto l'appello.

208 Corte d Appello di Roma, sez. IV, 28 gennaio 2009 Svolgimento del processo Con la sentenza indicata in epigrafe - ritenuta la responsabilità esclusiva dello Sp., conducente la (...) in ordine all'incidente stradale avvenuto in data 10 agosto 2000 presso la località Pratica di Mare (Roma) che costava la vita a Cl.Fi., che si trovava alla guida della sua motocicletta (...), - il Tribunale di Roma liquidava in favore della moglie e dei due figli minori, a vario titolo, la somma di Euro ,00 quale risarcimento danno, condannando al pagamento della predetta somma, oltre agli interessi ed alle spese di lite, sia lo Sp., che la compagnia assicuratrice del veicolo da questi condotto, (...). Contro detta sentenza propone appello la (...)., che la ritiene errata sia per quanto riguarda la ritenuta responsabilità esclusiva dello Sp., sia per quanto riguarda gli importi liquidati a titolo di risarcimento in favore degli eredi di Fi.Cl., considerati eccessivi ed incongrui, lamentando altresì il superamento del c.d. massimale di polizza per effetto della mancata decurtazione dall'importo liquidato della somma pagata anticipatamente a titolo di provvisionale. Chiede pertanto all'adita Corte: "... in accoglimento del presente appello di riformare, per tutti i motivi suesposti, la sentenza n /2005 del Tribunale di Roma, pronunciata il 20/06/2005, depositata in data 10/10/2005, notificata il 02/12/2005, e, per l'effetto, condannare la sig.ra Be.Ta.Fi., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori Fe.An.Al. e Wi.Al.Lu., a restituire alla S.p.A. (...). (già S.p.A. BN.) ogni somma indebitamente percetta in forza della impugnata sentenza n /2005, oltre interessi legali dal dì del pagamento al soddisfo. In ogni caso, dichiarare la S.p.A. (...). (già S.p.A. BN.) tenuta a corrispondere ai predetti soggetti soltanto l'importo corrispondente al massimale pattuito nella polizza n. (...) della S.p.A. BN., pari a Lire , cioè ad Euro ,70 e, per l'effetto, condannare la Sig.ra Be.Ta.Fi., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori Fe.An.Al. e Wi.Al.Lu., nonché il Sig. Al.Sp., in solido fra loro, a rimborsare alla S.p.A. (...). (già S.p.A. BN.) ogni somma da quest'ultima versata, oltre il predetto massimale di polizza, in forza della impugnata sentenza n /05, oltre interessi legali dal dì del pagamento al soddisfo. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado del giudizio oltre I.V.A. e C.P.A.". Insiste anche nelle istanze istruttorie già formulate in primo grado e disattese, concernenti l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. delle denunce relative ai redditi del defunto sig. Cl.Fi. negli anni 1998, 1999 e 2000 e la richiesta di assumere informazioni scritte presso il Ministero delle Finanze in ordine ai redditi denunciati nei predetti anni (1998, 1999 e 2000) ed in quelli successivi dalla sig.ra Be.Ta.Fi. e (fino all'anno 2000) dal sig. Cl.Fi. La Ta. costituitasi - premesso che l'importo già riscosso era stato correttamente detratto nella richiesta pagamento inviata alla compagnia assicuratrice - contesta la fondatezza dell'appello principale, del quale chiede il rigetto, proponendo appello incidentale limitatamente al capo della sentenza impugnata concernente le spese di lite, liquidate in misura erronea ed insufficiente rispetto ai minimi di legge e, in via subordinata, per l'eventualità dell'accoglimento dell'appello principale su uno o più punti, chiede di condannare la Sp. e la (...). al pagamento delle altre voci di danno non liquidate dal Tribunale (danno da perdita del rapporto parentale; danno da perdita della vita e danno da perdita di chance). Si è costituito anche lo Sp. che si associa, in primis, alle doglianze formulate dalla (...). in ordine all'importo dei danni riconosciuti in favore degli eredi Fi., chiedendo sotto tale profilo una riduzione della somma attribuita e la restituzione della somma in più percepita; per l'eventualità di conferma della sentenza impugnata chiede che al relativo pagamento sia comunque condannata la sola compagnia assicuratrice, tenendo indenne lo Sp. oltre il massimale di polizza per l'acclarata e dichiarata mala gestio ed in subordine, comunque, oltre il massimale, almeno limitatamente agli interessi di legge decorrenti sul medesimo dalla domanda originaria. Acquisito il fascicolo di primo grado, la causa, in accoglimento di apposita istanza di anticipazione, è stata trattenuta in decisione all'udienza del 9 aprile 2008 con l'assegnazione dei termini per il deposito degli scritti conclusionali. Motivi della decisione

209 1. Con il primo motivo si lamenta l'erronea attribuzione allo Sp. della responsabilità esclusiva dell'incidente in cui è deceduto il Fi., ritenendosi che costituisca quantomeno una concausa del sinistro de quo l'eccessiva - e ben superiore al limite consentito di 50 KM orari - velocità cui procedeva il motociclo nell'approssimarsi all'incrocio. A tal fine l'appellante rileva, sulla base delle risultanze della prova testimoniale e dei rilievi effettuati dalla Polizia Stradale che l'incidente si era verificato a pochi metri dalla linea d'arresto dello stop, dopo che lo Sp. - che si era regolarmente fermato in precedenza - aveva ripreso la marcia e quindi non poteva avere acquistato velocità ed energia cinetica, onde il violentissimo impatto non poteva che essere stato provocato dalla velocità della moto, richiamandosi sotto tale profilo l'obbligo che comunque sussiste, indipendentemente dal diritto di precedenza, di moderare la velocità in prossimità degli incroci; obbligo tanto più pregnante nel caso di specie in cui venga attraversato un crocevia in una località marina, durante l'estate quando il traffico è più intenso. Si sottolinea altresì che non risultano tracce di frenata della moto sull'asfalto e che in base a quanto dichiarato dall'altra persona a bordo della moto poteva desumersi che il conducente, anziché rallentare, si limitò ad azionare l'avvistatore acustico nel tentativo evidentemente di farsi "dare strada", dovendosi quindi attribuirsi l'incidente alla condotta di guida imprudente del Fi., senza che rilevi ai fini di un esatta ricostruzione dell'accaduto, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la posizione finale assunta dal motoveicolo, rimasto praticamente fermo nel punto d'urto, che si spiegherebbe non per la bassa velocità tenuta da quest'ultimo, ma per il tipo d'urto e per il notevole peso del motoveicolo stesso. Il secondo motivo attiene alla liquidazione del danno morale soggettivo liquidato in Euro 160,000 a favore del coniuge e di Euro a favore di ciascuno dei figli, ritenendosi tali importi difformi da quelli normalmente accordati di Euro e di Euro e che avrebbero dovuto essere ulteriormente ridotti fino ad un 30% per la presenza di altri congiunti conviventi. Il terzo motivo ha, infine, per oggetto il danno patrimoniale accordato di cui si lamenta l'eccessiva onerosità: a) in riferimento all'importo della contribuzione familiare presa in considerazione, desunto sulla base di un reddito non conforme a quello delle dichiarazioni fiscali ed in larga parte non provato, sotto tale profilo evidenziandosi in particolare la scarsa attendibilità delle deposizioni rese dalle persone sentite come testi al riguardo, tutte legate da rapporti di famiglia e personali con il Fi.; b) in riferimento al metodo di calcolo che, ipotizzando una vita lavorativa di ulteriori 25 anni del Fi., è consistito nel moltiplicare l'importo della contribuzione familiare, stimata in Euro 2.800,00 mensili per tali anni, giungendo ad attribuire alla moglie ed ai figli un importo che non considera il vantaggio di godere - anticipatamente e per l'intero - di una somma complessiva che invece sarebbe maturata nel tempo, consentendo quindi di potersi giovare anche degli incrementi derivanti dal reimpiego di essa. Gli ultimi due motivi attengono infine, da un lato, alla mancata considerazione della provvisionale di Euro ,00, non detratta dalla somma che la (...). è stata condannata a pagare e, dall'altro al superamento del massimale di Lire 3 miliardi (Euro), che si determinerebbe peraltro soltanto aggiungendo la somma in precedenza pagata. 2. Riguardo quest'ultima questione la stessa appellata riconosce che l'importo liquidato deve ritenersi comprensivo della provvisionale (pag. 16 comparsa di risposta) e quindi le deduzioni di cui agli ultimi due motivi d'appello sono da considerarsi superate, osservandosi soltanto per quanto riguarda l'eventualità di una condanna oltre il massimale, a causa di mala gestio, che tale domanda non è stata formulata in primo grado, non essendovi elementi tali che facciano ritenere la richiesta di risarcimento danni ivi indicata, per la parte eccedente la copertura assicurativa, fosse stata formulata a quel titolo ed essendo pertanto la relativa domanda inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello (Cass. 10 gennaio 2003 n. 198). 3. L'incidente si è verificato ad una intersezione, dove è presente una segnale di stop, con segnaletica sia orizzontale che verticale, per i veicoli che provenivano dalla direzione di marcia dello Sp. Questi - che, secondo la deposizione della teste Gl., in un primo momento, si era regolarmente fermato allo stop - riprendeva la marcia, non avvedendosi che dalla propria sinistra stava sopraggiungendo la moto condotta dal Fiore, provocando così la collisione con tale ultimo veicolo e la conseguente caduta del Fi.

210 che, sbalzato verso l'alto, ricadeva sulla parte anteriore, lato sinistro della vettura, riportando gravi fratture la capo, collo, torace ed all'addome che ne provocavano l'immediato decesso. L'assunto che il conducente la moto procedesse ad una velocità eccessiva non trova alcun riscontro negli atti di causa. Gli accertamenti effettuati dal P.M. - secondo quanto riferito nella sentenza penale in atti che ha ritenuto lo Sp. responsabile del delitto di omicidio colposo - indicano che la velocità cui procedeva il Fi. era di circa 46 KM orari, mentre, secondo quanto indicato sempre nella detta sentenza, la diversa conclusione cui era giunto il consulente di parte dipendeva da un errata valutazione e misurazione, essendosi considerata la posizione di quiete della moto dallo stop e non dal punto d'urto. Un riscontro non si ha neppure nelle deposizioni dei testi escussi. Inoltre, in assenza di tracce di frenata sull'asfalto, come indica lo stessa appellante riferendo gli accertamenti effettuati dagli agenti, deve ritenersi che la moto sia pervenuta all'urto con tutta la sua energia cinetica e giacendo dopo la collisione, in base ai rilievi effettuati dalla polizia stradale, a poca distanza (circa 8, 10 metri), non può che ritenersi che la velocità non fosse particolarmente elevata, spiegandosi evidentemente le conseguenze particolarmente infauste con il tipo d'urto, rapportato alle caratteristiche tecniche dei mezzi coinvolti. L'incidente è stato pertanto determinato dalla condotta di guida dello Sp. che ometteva di dare la precedenza ed impegnava il crocevia senza accertarsi che lo stesso fosse sgombro e non provenissero altri veicoli prima di completare la manovra di attraversamento, mentre va esente da alcuna responsabilità il Fi. che, presumibilmente, aveva avvistato la (...) dello Sp. ferma all'incrocio e non si attendeva che lo stesso, improvvisamente, riprendesse la marcia senza farlo prima passare, concedendogli la dovuta precedenza. Onde va confermata sul punto la sentenza di primo grado. 4. Il secondo motivo d'appello attiene alla liquidazione del c.d. danno morale. Il giudice di primo grado ha riconosciuto, a tale titolo, in favore del coniuge, rispettivamente, Euro e Euro Euro per ciascuno dei figli; importi che si considerano eccessivi. La materia del danno non patrimoniale è stata oggetto di recente revisione da parte della Suprema Corte (S.U /08), la quale, tra l'altro, ritiene superata la figura del c.d. danno morale soggettivo, inteso tradizionalmente come turbamento d'animo e dolore intimo cagionato dal fatto illecito che costituisca anche reato. Ove sussistano tali conseguenze si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza fisica o psichica costituisce componente. Pertanto, se il fatto abbia cagionato anche delle conseguenze di natura patologica nei riguardi degli stretti parenti, come per esempio depressione o altre malattie psichiche, il risarcimento avverrà riconoscendo eventualmente un importo a tali parenti come danno biologico. Altrimenti la morte del proprio stretto congiunto, come nella fattispecie, rileverà per lo sconvolgimento obiettivo che essa determinerà nei rapporti familiari, causato comprensibilmente dalla mancanza di un marito e di un genitore e darà luogo a quello che attualmente, sia pure a fini descrittivi, si indica come danno da perdita del rapporto parentale, che la sentenza di cui sopra conferma ed anzi ne fa uno dei cardini del sistema di riconoscimento del danno non patrimoniale. Occorre però aggiungere, considerato anche l'appello incidentale condizionato proposta dalla Ta.: - che il danno da perdita di rapporto parentale, secondo le S.U., non è cumulabile con il danno morale nella tradizionale configurazione; - che la predetta sentenza conferma invece la tradizionale esclusione del risarcimento per la perdita della vita in sé, introducendo un eccezione per il caso che la morte non sia avvenuta immediatamente (cd. danno da agonia), il che non è nella fattispecie in cui il decesso è stato immediato; - che non ricorrono i presupposti per configurare il danno perdita di chance, stante, all'epoca del decesso, la giovanissima età dei figli del Fi. che non consente di formulare alcuna realistica previsione sulla loro futura attività lavorativa.

211 Onde nessuna delle tre causali, fatte valere in aggiunta alle componenti del danno già liquidate, potranno essere considerate a compensazione di una riduzione dell'importo riconosciuto nella sentenza di primo grado. Il danno non patrimoniale riguarderà esclusivamente il danno da perdita del rapporto parentale, la cui liquidazione non può che avvenire in via equitativa. La tabella cui si riferisce l'appellante, adottata dal Tribunale di Roma, tiene conto dell'intensità del legame familiare, unitamente all'età dei parenti ed alle altre condizioni di vita in modo da pervenire su base il più possibile oggettiva alla relativa liquidazione. Essa, però, ha natura meramente orientativa e non vincolante. Gli importi liquidati nella sentenza impugnata, inoltre, sono grosso modo corrispondenti a quelli che risultano dall'applicazione di detta tabella e comunque si giustificano per la (minima) parte in eccesso avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, che ha interessato una famiglia con figli minori in tenerissima età, sotto tale profilo risultando particolarmente grave la perdita subita. Su tale capo si ritiene di non riformare la sentenza. 5. Per quanto riguarda il danno patrimoniale liquidato, occorre distinguere tra l'importo della contribuzione familiare considerata ed il metodo di calcolo. Il giudice di primo grado ha ritenuto per il primo profilo di prendere a base del calcolo il 70% di Euro 4.000,00, quale ha ritenuto fosse il reddito presumibile percepito dal Fi. prima del decesso ed ha, quindi considerato in circa Euro 2.800,00 il mancato futuro introito per la moglie ed ai figli. Tale valutazione, a parere della Corte, non appare eccessiva alla luce delle risultanze processuali acquisite, da cui emerge che il Fi. svolgeva la propria attività in campo editoriale, dove aveva maturato significative esperienze alle dipendenze di società francesi (Te. con fatturato superiore a Euro ,00) e che si accingeva a proseguire la stessa attività per conto di società italiane, con compiti di direzione e coordinamento e poteri di rappresentanza (testi Ca., Al.Fi. tec, tec.,). In tale contesto, che postula un rapporto di preposizione a degli specifici rami aziendali, la retribuzione contrattualmente dovuta, cui è commisurata la dichiarazione dei redditi, spesso non esaurisce l'ambito del compenso complessivamente attribuito, che è conseguenza anche del successo, o meno, delle pubblicazioni edite. A ciò si aggiunga che, valendosi di tipografie esterne per la stampa delle pubblicazioni, è prefigurabile anche che il Fi. fruisse di provvigioni direttamente attribuitegli da tali tipografie e commisurate al fatturato procurato, come è in uso nel settore, secondo quanto dichiarato per esempio dal teste Ca. Solo in tal modo, del resto, si spiega il tenore di vita, abbastanza elevato che il Fi. e la sua famiglia conducevano, come è dimostrato dal pagamento per il solo affitto di casa circa di Lire mensili, oltre oneri accessori e le spese per la collaboratrice domestica; dal possesso di una moto e di una macchina, dai viaggi vacanza all'estero, dai regali per la famiglia; dall'iscrizione dei figli a scuole private a pagamento, di cui hanno parlato tutti i testi escussi, tra cui Se. A tale riguardo le critiche che vengono mosse alla sentenza impugnata per quanto riguarda il valore attribuito alle testimonianze rese appaiono quantomeno esagerate, in quanto i testi hanno riferito su circostanze di cui erano a conoscenza diretta o che avevano appreso dallo stesso Fi. in epoca non sospetta, come per esempio l'esistenza di accordi verbali con le società con cui collaborava (Fa.; Ja.; Ca.) o di altri rapporti di lavoro intrattenuti dallo stesso (De.), senza che sia indispensabile per suffragare e ritenere provate quelle circostanze la produzione dei relativi documenti. Occorre peraltro aggiungere - rilevando per la liquidazione del danno patrimoniale secondo anche quanto ricorda l'appellante, piuttosto dei redditi del passato, l'utilità futura che il Fi. avrebbe presumibilmente apportato alla sua famiglia - che non si può prescindere dalle deposizioni rese dall'amministratore della società Ca., Fa., per cui tale società era in procinto di proporre al Fiore per la sua collaborazione un compenso annua a partire dall'anno 2001 dell'ordine di Lire e che un'altra società, la Pu., gli avrebbe offerto altro contratto di Lire Va inoltre considerato, da un lato, che facendosi riferimento, nella determinazione del reddito annuo, all'importo di dodici mensilità non si è tenuto conto delle mensilità aggiuntive, riducendosi per tale aspetto proporzionalmente l'ammontare mensile e, dall'altro, che il danno patrimoniale va determinato sulla base del reddito di lavoro al lordo del ritenute e detrazioni fiscali (art. 137 cod. delle ass.; già art.

212 4 R.D. D.L. 857/76 convert. nella legge 39/77), commisurandosi anche sotto tale aspetto, ove si consideri l'importo al netto, la cifra di cui sopra a quello che verosimilmente sarebbe stato il contributo economico di cui avrebbero fruito i familiari de Fi. negli anni a venire. L'appello va invece accolto per quanto riguarda il metodo di liquidazione del danno patrimoniale, da effettuarsi mediante capitalizzazione del reddito futuro, con l'applicazione dei coefficienti per la costituzione di una rendita vitalizia di cui alla tabella allegata al R.D. 9 ottobre 1922 n. 1423, senza riduzione per scarto tra vita lavorativa e fisica (Cass. 2 marzo 2004, n. 4186) e non con il metodo seguito dal giudice di primo grado, che comporta effettivamente una capitalizzazione anticipata di redditi che invece maturano solo progressivamente. Il raggiungimento da parte dei figli della maggiore età e dell'idoneità al lavoro produttivo non segna un limite invalicabile alla risarcibilità del danno patrimoniale derivante dalla morte del genitore, in ragione dell'obbligo per il genitore di contribuire al mantenimento sino al conseguimento della piena indipendenza economica (Cass. 1 dicembre 2004 n ) e considerata anche l'aspettativa dei superstiti di poter beneficiare degli eventuali risparmi che il defunto avrebbe con la parte di reddito non destinata a proprie spese o alla famiglia (Cass. 21 novembre 1995 n ). Il calcolo da effettuare è il seguente: X 12 X 17,268 (che è il coefficiente stabilito da detta tabella per un soggetto di 35 anni di età, quale aveva il Fi. all'epoca del decesso) = ,00 importo da rivalutarsi sino alla data della pubblicazione delle sentenza di primo grado = Euro ,00 ed in relazione al quale va anche riconosciuto l'importo di Euro ,00 a titolo di lucro cessante, determinato equitativamente ex art. 2056, comma 1, c.c. secondo il più recente orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712), col metodo seguente: - a base di calcolo si è assunta non la somma sopra riconosciuta (cioè rivalutata ad oggi), ma la semisomma tra l'importo originario e quello rivalutato alla data di pubblicazione della sentenza; - su tale importo si è applicato un saggio di rendimento pari al tasso degli interessi legali; - il periodo di temporanea indisponibilità della somma liquidata a titolo di risarcimento è stato computato con decorrenza dalla data dell'illecito (10/8/2000) sino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (14 novembre 2005). 5. Pertanto per il risarcimento danni è dovuta in favore dell'appellata e dei suoi figli la somma complessiva di Euro , come sopra determinata per danno non patrimoniale più Euro , di cui Euro per i figli, per lucro cessante su tale importo, determinato secondo il metodo precedente, tenendo conto dell'acconto di Euro versato in data 9 aprite 2002; Euro (da imputare metà per la vedova e l'altra metà al 50% ciascuno per i due figli) per danno patrimoniale e lucro cessante ad esso riferito. Complessivamente si liquidano = ,00. Su tale somma spettano infine gli interessi dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado sino al saldo. Per quanto riguarda le spese di lite l'appello è stato accolto sia pure in parte e la sentenza di primo grado riformata. Tale esito preclude una condanna alle spese nei riguardi della (...)., che è parte vittoriosa nel presente grado di giudizio. Onde si dispone l'integrale compensazione di esse, mentre per quanto riguarda le spese di lite del primo grado gli importi liquidati, in accoglimento dell'appello incidentale, vanno aumentati nella misura indicata in dispositivo. Restano assorbire le ulteriori richieste e domande. P.Q.M. definitivamente pronunciando nella causa come sopra promossa, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, anche istruttorie, così provvede: in parziale accoglimento dell'appello principale, determina in complessivi Euro ,00, oltre interessi in misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado al saldo, la somma dovuta dall'appellante a titolo di risarcimento danno in favore di Ta.Be. in proprio e quale madre esercente la potestà sui minori e limita a tale importo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la condanna al pagamento della (...). e dello Sp.;

213 condanna la Ta., in proprio e nella qualità suindicata, alla restituzione di ogni somma indebitamente percetta rispetto a quanto sopra liquidato; in parziale accoglimento dell'appello incidentale determina in complessivi Euro ,00 (di cui Euro 5.600,00 per diritti, Euro ,00 per onorari, il resto per spese vive e forfetarie) le spese di lite del primo grado e condanna l'appellante (...). e lo Sp. al pagamento di tale importo, oltre IVA e CPA come per legge; dichiara interamente compensate le spese di lite del presente grado.

214 Cassazione civile, sez. III, 11 febbraio 2009, n Svolgimento del processo p. 1.- Il (...) M.N. (ingegnere quarantaduenne) morì - come accertato in sede di autopsia - per peritonite insorta a seguito di intervento chirurgico di pielo-calicolitotomia, eseguito presso la divisione urologia dell'ospedale (...) dal primario Pa.Vi., che subì in primo grado una condanna per omicidio colposo unitamente ai due medici che avevano prestato assistenza postoperatoria (il giudice dell'appello dichiarò non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato). Nel (...) la vedova Ca.Al., in proprio e quale legale rappresentante dei due figli minori, agì giudizialmente per il risarcimento. Con sentenza n. 4003/87 l'adito tribunale di Roma respinse la domanda nei confronti degli altri due medici per sopravvenuta carenza di interesse a seguito di transazione, dichiarò l'incapacità processuale della USL (...), cui era succeduta l'intervenuto Comune di Roma, e dispose che il processo proseguisse nei confronti del P., del Comune e della chiamata in causa (...)Assicurazioni s.p.a.. Con successiva sentenza 13291/91 il tribunale condannò solidalmente il P. ed il Comune al risarcimento dei danni da liquidarsi nel prosieguo del giudizio e respinse la domanda di garanzia proposta dal Comune nei confronti della società assicuratrice. Gli appelli del Comune e di P.V., quale erede del padre Vi., furono rigettati con sentenza n del 1995 dalla corte d'appello di Roma, che respinse anche la domanda di regresso del P. nei confronti degli altri due medici e che confermò la pronuncia sull'an debeatur, ravvisando la colpa del P. per non aver annotato sul diario dell'intervento che era stato inciso il peritoneo e nell'avere omesso di disporre un'adeguata assistenza postoperatoria nel momento in cui s'era allontanato dall'ospedale per riposo settimanale. Avverso la sentenza furono proposti ricorsi per cassazione, respinti con sentenza n del p. 2.- Il giudizio sul quantum, rimasto sospeso nelle more, fu riassunto e definito con sentenza n del 2001, che dichiarò inammissibile la riassunzione nei confronti della società assicuratrice, liquidò le varie voci di danno patrimoniale e non patrimoniale e determinò le percentuali di ripartizione interna della responsabilità nel 40% a carico del P. e nel 60% a carico del comune. Decidendo sugli appelli di tutte le parti, la corte d'appello di Roma, in parziale accoglimento di entrambi, determinò in Euro la somma complessivamente e solidalmente dovuta dai debitori, oltre agli interessi, e confermò le percentuali di responsabilità del P. e del Comune nei loro rapporti interni, inoltre chiarendo che la notificazione alla (...)Assicurazioni s.p.a. era stata effettuata ai soli fini della denuntiatio litis. p. 3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione P.V. affidandosi a cinque motivi, cui resistono con controricorso C.A. ed i figli del defunto, M.M.G. ed A.. Il comune ha depositato controricorso instando per l'accoglimento del ricorso. L'intimata (...)Assicurazioni s.p.a. non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione p. 1.- Col primo motivo sono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt e 2236 c.c., artt. 113 e 115 c.p.c. e ogni tipo di vizio della motivazione per avere la corte territoriale respinto il primo motivo di appello avverso la sentenza di primo grado "omettendo di motivare sulla presenza e sull'influenza di autonome cause produttrici dell'evento". Si sostiene che "tale omissione di indagine costituisce la violazione di legge su cui si fonda il ricorso", essendosi la corte d'appello limitata a tracciare la differenza tra il rapporto causale tra condotta ed evento ed il rapporto causale che lega l'evento al danno (n.d.r.: inteso come conseguenze dannose). Ciò senza considerare: a) che al c.t.u. nominato nella fase del giudizio relativa al quantum era stato chiesto di accertare se sarebbe stato possibile sottoporre il M. a nuovo intervento chirurgico e quali ne sarebbero stati gli esiti; e che la risposta era stata nel senso che il paziente, quand'anche fosse stato immediatamente operato a seguito dell'immediata diagnosi di peritonite, non avrebbe superato l'intervento e sarebbe comunque deceduto con una probabilità vicina al 100%;

215 b) che tanto avrebbe dovuto comportare il rigetto della domanda alla stregua dei principi accolti da questa corte in punto di affermazione o esclusione del nesso causale, a tanto non ostando il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica, giacchè la condanna generica al risarcimento del danno, avendo come contenuto una mera declaratoria iuris, postula solo l'accertamento di un fatto ritenuto dal giudice potenzialmente produttivo di conseguenze dannose alla stregua di un giudizio di probabilità, restando peraltro impregiudicato l'accertamento, invece riservato al giudice della liquidazione, dell'esistenza e dell'entità del danno, nonchè del nesso di causalità tra questo ed il fatto illecito (sono citate Cass., SS.UU., n. 8545/93 e Cass., n. 4511/97). p Il motivo è infondato. La corte d'appello ha ritenuto che la sussistenza di nesso causale tra il comportamento del medico e la morte del paziente fosse stato definitivamente accertato con efficacia di giudicato a seguito di quanto statuito dal tribunale con la sentenza n /91 di condanna generica al risarcimento, confermata sul punto dalla corte d'appello con sentenza n. 1492/95 (la quale aveva in particolare affermato che il secondo motivo, con il quale si adduce l'insussistenza di nesso causale tra le omissioni addebitate al chirurgo e l'evento e l'arbitraria valutazione delle prove, è infondato"), il ricorso in cassazione avverso la quale era stato respinto con sentenza n. 3086/97. L'assunto del ricorrente che così non possa essere, poichè con la pronuncia di condanna generica viene necessariamente accertato solo il danno potenziale e poichè l'accertamento dell'esistenza dell'effettivo danno viene demandato alla successiva fase di liquidazione, è erroneo in diritto laddove all'affermazione si pretende di conferire un valore assoluto, preclusivo di ogni altra possibilità. Questa corte ha, infatti, bensì ritenuto che ai fini della pronuncia di condanna generica è sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di danno (ex multis, Cass., nn. 2947/05, 22384/04, 9709/03); ma ha anche affermato che nulla impedisce che il giudice possa accertare con la condanna generica anche l'effettivo avveramento del danno, lasciando impregiudicate le sole questioni relative alla liquidazione (Cass., nn. 495/2000, 3634/80, 2420/76, cui adde, implicitamente, Cass. n /02), ribadendolo da ultimo con sentenza resa a seguito dell'udienza del , ricorrente D.). Va anzi soggiunto che, presupponendo la condanna generica l'affermazione del diritto alla prestazione dovuta, rimanendone solo controversa la quantità (art. 278 c.p.c., comma 1), tutte le volte che la prestazione consista nel diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, deve ritenersi che la sussistenza del nesso di causalità materiale tra condotta ed evento produttivo di danno costituisca un accertamento tendenzialmente presupposto dalla sentenza di condanna generica, rimanendo piuttosto da accertare nel giudizio relativo alla liquidazione quali effetti pregiudizievoli siano risarcibili perchè costituenti, ex art c.c. (richiamato dall'art c.c.), conseguenza immediata - diretta dell'evento di danno, avendosi in tal modo riguardo al cosiddetto rapporto di causalità giuridica. Assumendo che le condizioni del paziente erano tali che, quand'anche la peritonite fosse stata immediatamente diagnosticata ed egli fosse stato subito operato, sarebbe tuttavia ugualmente deceduto in ragione delle sue condizioni, il ricorrente contesta che sussistesse nesso di causalità materiale fra comportamento omissivo del medico e decesso, giacchè afferma che il necessario giudizio ipotetico controfattuale si sarebbe risolto nel senso dell'esclusione dell'incidenza causale della condotta omessa. Ma tanto era, nel giudizio sul quantum, assolutamente precluso dal già intervenuto positivo accertamento della sussistenza di nesso causale con pronuncia passata in giudicato. La sentenza non è dunque censurabile nella parte in cui ha omesso di conferire ogni rilievo, in parte qua, ai risultati della consulenza espletata nella fase del giudizio relativa alla liquidazione. p. 2.- Col secondo motivo sono denunciate "insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione di legge circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte in relazione all'art. 115 c.p.c., commi 1 e 2". Si imputa alla corte d'appello: a) di aver assunto come base di calcolo del danno patrimoniale subito dai congiunti il dato costituito dall'entità del suo stipendio annuale di L , comprensivo di quanto percepito a titolo di lavoro straordinario (L ), che avrebbe dovuto essere invece escluso in relazione allo stato di salute del soggetto (affetto da invalidità del 40% in progressivo aggravamento fino al 70%) ed alla

216 circostanza che la prestazione di lavoro straordinario non può essere presunta, ma va specificamente provata; b) di aver ipotizzato una durata di vita di 12 anni, a fronte di quella massima di 8 anni prevista come possibile dal c.t.u., in relazione alle sue preesistenti, precarie condizioni di salute, così ingiustificatamente eccedendo nella liquidazione, alla quale addirittura non avrebbe dovuto procedere in considerazione di quanto osservato col primo motivo di ricorso (probabilità di morte per l'insorta peritonite comunque vicina al 100%, con o senza intervento chirurgico). p Le censure sono infondate. Va osservato: a) anzitutto che una circostanza necessariamente ipotetica (se il defunto avrebbe prestato lavoro straordinario, in quale misura e con quale retribuzione se non fosse morto) non può, evidentemente, essere mai "specificamente" provata nel senso affermato dal ricorrente; b) in secondo luogo che dalla pagina 12 della sentenza impugnata risulta - con affermazione non specificamente censurata - che il c.t.u. aveva ipotizzato una possibilità di sopravvivenza media del defunto, in considerazione dei progressi intervenuti nella cura delle malattie renali nei primi anni 80, dai 5 ai 15 anni, sicchè l'aver assunto come periodo di riferimento un periodo di 12 anni non appare estraneo all'ambito degli apprezzamenti di fatto del giudice del merito alla luce delle complessive risultanze in atti, che appaiono considerate con adeguata motivazione dalla corte d'appello (alle pagine 11, 12, 13 e 14 della sentenza per il solo danno patrimoniale); c) in terzo luogo che il lavoro straordinario è stato considerato al 50% (pagina 12) e che era stata già effettuata una decurtazione nella percentuale media del 50% in relazione al progressivo avanzare della patologia da cui era affetto il M. (pagina 14). Non si apprezza, insomma, alcuna violazione di legge nè alcun difetto nell'impianto motivazionale, al quale il ricorrente in sostanza contrappone diversi apprezzamenti di merito. p. 3.- Col terzo motivo la sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2056, 2043 e 1226 c.c. e per ogni possibile vizio di motivazione in relazione all'intervenuta liquidazione del danno morale patito dai congiunti in complessive L , a fronte delle L liquidate dal tribunale. Vi si sostiene che la corte d'appello ha effettuato la liquidazione erroneamente omettendo di tenere conto della ridotta aspettativa di vita futura del M. (7/8 anni), alla quale il risarcimento si sarebbe dovuto correttamente rapportare (se non escludere del tutto, in relazione alle considerazioni svolte col primo motivo). p Il motivo va disatteso per le ragioni che seguono. Non v'è dubbio che, una volta determinata in 12 anni (e non anche in 7/8, come assunto dal ricorrente) l'aspettativa di vita del M. ai fini della liquidazione del danno patrimoniale (pagina 14 della sentenza impugnata), tale accertamento avesse rilievo anche ai fini della liquidazione del danno morale ai superstiti, concernendo un dato evidentemente insuscettibile di variazioni in relazione al tipo di danno liquidato, segnatamente alla luce dei principi recentemente enunciati da Cass., sez. un., n /08; la quale ha, tra l'altro, sancito il definitivo superamento della nozione di danno morale soggettivo come sofferenza necessariamente transeunte, chiarendo anche che, nell'ambito della generale categoria del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" descrive il tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata da reato in sè considerata, la cui intensità e durata nel tempo assumono rilevanza (solo) ai fini della quantificazione del risarcimento (cfr. la motivazione, sub 2.10, penultimo capoverso). Dunque, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale conseguito alla perdita del congiunto a seguito di commissione di un fatto astrattamente configurabile come reato, danno comprensivo anche della perdita del rapporto parentale (sez. un. cit.), non può non tenersi conto della presumibile durata nel tempo del pregiudizio provocato ai congiunti. Va tuttavia rilevato che i tipi di pregiudizio da sofferenza e da perdita del rapporto parentale conseguenti alla morte di un congiunto non si connotano per una gravità costante nel tempo, ma per una tendenziale progressiva diminuzione (in relazione, ad esempio, alla crescita dei figli ed all'incremento del loro grado di maturità psichica), anche in ragione dell'assuefazione alla mancanza del congiunto ed all'instaurarsi di possibili assetti compensativi.

217 Sicchè non può escludersi che il giudice del merito ritenga che, dopo 12 anni, il pregiudizio non patrimoniale si sarebbe allineato a livelli tanto poco significativi da giustificare una diminuzione di assai scarsa entità, o addirittura da non giustificarla affatto, rispetto a quella effettuabile sulla base di parametri che abbiano riguardo all'ordinario - e più lungo - periodo di sopravvivenza in relazione all'aspettativa media di vita all'età di 42 anni. Deve allora stabilirsi se la corte d'appello si sia adeguata ad un principio così sintetizzabile: "ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale conseguito alla morte del congiunto a seguito di commissione di un fatto astrattamente configurabile come reato - comprensivo di qualunque pregiudizio derivante dalla lesione di interessi inerenti la persona meritevoli di tutela in base all'ordinamento secondo quanto statuito dalle sezioni unite con sentenza n del non può non tenersi conto della presumibile durata nel tempo del pregiudizio provocato ai congiunti dalla perdita del rapporto parentale, benchè non sia inibito al giudice di ritenere che tale pregiudizio sarebbe andato progressivamente scemando, fino anche ad annullarsi dopo un adeguato lasso di tempo, e di considerare dunque irrilevante che, al momento della morte, l'aspettativa di vita del defunto fosse inferiore, a causa delle infermità dalle quali egli era affetto, a quella media considerata dalle tabelle in uso presso i vari uffici giudiziari". La risposta, che non potrebbe che essere negativa se dalla sentenza non risultasse che dell'aspettativa di effettiva, e più breve rispetto a quella ordinaria, presumibile vita residua del defunto la corte territoriale non aveva tenuto alcun conto, non può che essere nella specie affermativa alla luce del rilievo che quella durata era stata, invece, espressamente considerata e determinata in 12 anni, sicchè - al di là dell'omessa riesplicitazione anche nella liquidazione del danno morale (di cui alle pagine da 14 a 16 della sentenza) - deve concludersi che la corte d'appello abbia implicitamente ritenuto irrilevante, ai fini della liquidazione, la minore durata della possibile vita residua del padre e marito dei congiunti sopravvissuti, nel senso che, dopo 12 anni (costituenti un notevole lasso di tempo), quella perdita non fosse suscettibile di essere ulteriormente apprezzata a fini risarcitori di natura compensativa; qual è quella che si attaglia al danno non patrimoniale, non suscettibile di essere liquidato in base ai criteri aritmetici invece comunemente adottati per il risarcimento del danno patrimoniale. p. 4.- Col quarto motivo sono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt e 1243 c.c. e art. 3 Cost., nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla mancata considerazione - ai fini del contenimento delle somme liquidate a titolo di risarcimento - di quanto percepito dai congiunti del defunto a titolo di pensione di reversibilità di quest'ultimo. Vi si assume che la corte d'appello abbia frainteso il contenuto della censura prospettata col relativo motivo d'appello e si sia dunque limitata a chiarire che non ricorreva un'ipotesi di compensatio lucri cum damno in quanto la morte (dell'avente diritto alla pensione), e non anche l'illecito (consistente nell'averne provocato la morte), costituisce il fatto determinante per il sorgere del diritto a percepire il trattamento pensionistico di reversibilità. L'appellante, attuale ricorrente, non aveva infatti domandato l'applicazione di quel principio, che presuppone l'esistenza di un medesimo titolo genetico, ma aveva chiesto che l'ammontare del danno patrimoniale conseguente alla mancata percezione delle retribuzioni fosse quantificato nella sua effettiva consistenza, e dunque depurato degli importi erogati a titolo di pensione di reversibilità, giacchè il congiunto conseguirebbe altrimenti il doppio delle somme di cui avrebbe beneficiato ove il de cuius non fosse venuto a mancare. E domanda che ove tali considerazioni fossero ritenute infondate, la corte "rimetta gli atti alla Corte costituzionale". p La censura è manifestamente infondata giacchè, al di là del distinguo che il ricorrente tenta di delineare, egli domanda proprio una compensatio lucri cum damno, costituente un principio in virtù del quale la determinazione del danno risarcibile deve tenere conto degli effetti vantaggiosi per il danneggiato che hanno causa diretta nello stesso fatto dannoso. Ove così non sia - e così non è quando ai congiunti superstiti, aventi diritto al risarcimento sia stata concessa una pensione di reversibilità, che trova la sua fonte in un titolo indipendente dal fatto illecito (cfr., ex multis, Cass., nn e 8828/03, 4205/02, 1347/98, 7694/96, 6228/94) - non assume alcun rilievo ai fini della determinazione del danno da risarcire la circostanza che, a seguito della

218 realizzazione del suo credito risarcitorio, l'avente diritto possa venire a trovarsi in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui si sarebbe trovato se l'illecito non fosse stato commesso. Nè si ravvisano, nelle disposizioni così interpretate, estremi di illegittimità costituzionale. p. 5.- Col quinto ed ultimo motivo la sentenza è censurata per violazione dell'art. 184 c.p.c., ed omessa motivazione "e pronuncia" in ordine alla mancato espletamento di nuova c.t.u. o di riconvocazione del consulente, richiesta con l'atto d'appello (n.d.e.: al quale l'appellante s'era riportato in sede di precisazione delle conclusioni), per accertare se l'invalidità del defunto e la progressiva ingravescenza della stessa gli avrebbero consentito, ove fosse sopravvissuto, di svolgere lavoro straordinario, e per quale arco di tempo. p Neanche questo motivo può trovare accoglimento. La violazione dell'art. 184 c.p.c., non è illustrata, sicchè il profilo di censura è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4. Il ventilato vizio di omessa pronuncia per non essersi il giudice pronunciato espressamente sulla richiesta istruttoria di consulenza tecnica è insussistente, essendo lo stesso configurabile esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano necessariamente una statuizione di accoglimento o di rigetto (Cass., sez. un., , n ). Quanto al vizio di motivazione, premesso che nel corso della complessiva vicenda processuale sono state espletate ben quattro consulenze (una in sede penale, due in sede civile nella fase di giudizio definita con pronuncia di condanna generica ed un'altra nella fase del giudizio relativa alla liquidazione del danno), il motivo è infondato poichè le ragioni della mancata adesione alla richiesta di ulteriori indagini tecniche indirettamente ed inequivocamente si evince dalla stessa motivazione della sentenza, laddove ha direttamente apprezzato sia i risultati della consulenza sia le critiche che alla stessa erano state mosse, pervenendo alla conclusione - connotata da motivazione congrua in ordine ad un apprezzamento di fatto la cui approssimatività è inevitabilmente correlata alla sua natura ipotetica - che, quanto alla considerazione in aumento del lavoro straordinario, "appare corretta l'applicazione da parte del primo giudice di una maggiorazione corrispondente al 50% di quello percepito dalla vittima nell'anno (...) (quale media del lavoro straordinario presumibilmente prestato negli anni precedenti). Nè ciò contrasta con il contemporaneo riconoscimento della parziale inabilità del soggetto, perchè sul totale risulta applicata la decurtazione corrispondente alla percentuale invalidante" (pagina 12 della sentenza impugnata). p. 6.- Il ricorso è conclusivamente respinto. Le spese del giudizio di Cassazione possono essere compensate tra tutte le parti: quanto al rapporto tra il ricorrente ed i controricorrenti C.- M., per le obiettive incertezze cui era suscettibile di dar luogo la sentenza impugnata in relazione alle censure mosse col terzo motivo del ricorso; - quanto a quelle concernenti i rapporti processuali in cui è parte il Comune di Roma, per l'ulteriore ragione che il comune ha presentato un controricorso sostanzialmente adesivo al ricorso, limitandosi a rilevare che non era stata impugnata la statuizione relativa al riparto interno delle responsabilità fra i condebitori solidali. Nessuna statuizione va invece adottata quanto al rapporto processuale con la società assicuratrice. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.

219 Cassazione civile, sez. III, 11 febbraio 2009, n Svolgimento del processo 1.- F.G. e M.G., nonchè M. F. - rispettivamente genitori e sorella di M. E., deceduto il (...) poco dopo un incidente stradale nel quale era stato coinvolto come trasportato - ricorrono per revocazione, affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso l'... Assicurazioni s.p.a. (già... Assicurazioni s.p.a.), avverso la sentenza della Corte di Cassazione n /07. Con tale sentenza era stato respinto il ricorso contro la sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 187/ La vicenda processuale era stata connotata dalle seguenti scansioni: a) con sentenza in data 11 gennaio 2000 il Tribunale di Forlì, per quanto in questa sede interessa, condannò C.G. A., in solido con la... Assicurazioni s.p.a., a pagare L ciascuno a M.G. e F. G. e L a M.F., quale risarcimento danni conseguenti alla morte del congiunto M.E.; b) con la menzionata sentenza n. 187/03 la Corte d'appello di Bologna quantificò nella maggiore percentuale del 70% l'apporto colposo di C.G. nella causazione del sinistro e determinò le maggiori somme dovute agli appellanti in Euro ,42 per M.G., in Euro ,78 per la F. e in Euro ,39 per M.F.. Ritenne in particolare che la liquidazione del danno morale andava elevata per i genitori del defunto; che l'attività svolta da costui nell'azienda coltivatrice familiare era fungibile e non era stata dimostrata la sussistenza di un danno effettivo; che il danno biologico jure hereditario non era liquidabile a causa della estrema brevità del termine di permanenza in vita dopo l'incidente; che il danno biologico jure proprio non era dovuto non essendo stato dimostrato; che non erano risarcibili neppure le spese non documentate, mentre risultavano provate quelle funerarie; c) avverso la suddetta sentenza i M. e la F. proposero ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati anche da memoria. In tale giudizio la C. e la... non svolsero attività difensiva. 3.- Con ordinanza in data 8, questa Corte ha disposto, ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., comma 4, la trattazione in pubblica udienza del ricorso per revocazione; tanto in conformità alla relazione di cui all'art. 380 bis c.p.c., con la quale il relatore si era espresso nel senso che con riguardo "al primo motivo del ricorso (correlato al secondo motivo del ricorso originario) non paiono sussistere i presupposti per la declaratoria di inammissibilità". I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione 1.- Col primo motivo del ricorso per revocazione i ricorrenti si dolgono che la Corte di cassazione abbia omesso di pronunciarsi su quella parte del motivo dell'originario ricorso per Cassazione (il secondo) che faceva riferimento alla richiesta, non riconosciuta dalla Corte d'appello, di corresponsione ai congiunti ricorrenti "del danno esistenziale da lesione del rapporto parentale od anche da irreversibile compromissione della qualità della vita, oppure definibile in termini di attentato alla serenità domestica... per effetto dell'evento drammatico che condusse il de cuius alla morte" Con la sentenza di cui si domanda la revocazione (Cass., n /07), questa Corte ha rilevato: "Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione di norme costituzionali e del codice civile, nonchè vizio di motivazione circa la mancata liquidazione del danno biologico jure proprio. La doglianza è infondata. Anche a tale proposito la sentenza impugnata, decidendo sulla identica censura di altri appellanti, cui poi ha fatto esplicito riferimento nell'esaminare la posizione degli eredi M. al fine di evitare inutili duplicazioni motivazionali, ha correttamente affermato sul piano generale che il danno biologico del congiunto di una vittima di sinistro stradale deve necessariamente essere qualcosa di distinto dal danno morale e si verifica allorchè, al termine della necessaria elaborazione del lutto, risultino prodotte alterazioni patologiche dell'organismo, aspetto psichico compreso, situazione che poi ha affermato non essersi verificata nella specie. Le argomentazioni dei ricorrenti si muovono sul piano generico delle affermazioni di principio, tra l'altro pervenendo ad una concezione della esistenza automatica del danno biologico dei superstiti in palese contrasto con l'orientamento giurisprudenziale, ma non affrontano il tema correttamente posto dalla Corte Territoriale, cioè non adducono ragioni dimostrative di una effettiva compromissione della salute fisica o psichica di tutti o di alcuno di essi.

220 Pertanto la sentenza impugnata non ha violato le norme indicate ed ha ottemperato all'onere motivazionale cui era tenuta" Va osservato che, effettivamente, con la suddetta motivazione, la Corte ha avuto riguardo al solo danno biologico iure proprio, a tanto verosimilmente indotta dalla letterale formulazione del motivo, col quale i ricorrenti si dolevano dell'omesso riconoscimento "del danno biologico iure proprio, altrimenti qualificabile come esistenziale ovvero da lesione del rapporto parentale...etc.". E tuttavia, al di là dell'improprio uso da parte dei ricorrenti della locuzione "altrimenti qualificabile" (giacchè danno biologico da compromissione dell'integrità fisica o psichica e pregiudizio da perdita del rapporto parentale hanno natura assolutamente diversa) è innegabile che sul pur reclamato danno da perdita del rapporto parentale la Corte non s'è pronunciata in ragione di un errore percettivo sul contenuto del ricorso. Il primo motivo del ricorso rescindente va dunque accolto Sul piano rescissorio, il secondo motivo del ricorso originario è tuttavia infondato. Con la recente sentenza n le Sezioni unite di questa Corte - pronunciandosi sull'intera tematica del danno non patrimoniale - hanno ritenuto che nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri anche solo astrattamente come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli eventuali ulteriori danneggiati nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica; ed hanno in particolare affermato, dopo aver escluso la configurabilità di un'autonoma voce di danno talora qualificata come esistenziale, che, superata la tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte come sofferenza meramente transitoria (2.10. della motivazione), determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complessivo pregiudizio (4.9. della motivazione). A tali rilievi non può certo collegarsi la conseguenza - quanto ai processi pendenti - che tutte le liquidazioni del danno morale effettuate precedentemente alla menzionata sentenza delle sezioni unite abbiano avuto riguardo al danno morale soggettivo inteso come sofferenza transeunte e che, dunque, debbano essere rinnovate alla luce dei nuovi principi, costituendo invece un dato di oggettivo rilievo quello secondo il quale il giudici di merito, nel liquidare il danno morale, hanno quasi sempre tenuto conto sia della durata del pregiudizio sia di quanto lo determina (in un caso come quello di specie, appunto la perdita del rapporto parentale). In definitiva, nelle ipotesi di liquidazione del danno morale ai superstiti da morte del congiunto (ma l'enunciazione è applicabile ad ogni liquidazione del danno morale soggettivo da reato), per stabilire se le sentenze precedentemente emesse siano in linea con i principi enunciati dalla sentenza delle sezioni unite n del 2008, occorre considerare se la avvenuta liquidazione del danno non patrimoniale sia o no comprensiva anche del tipo di pregiudizio derivante dalla lesione del (diritto al) rapporto parentale. Soccorre a tal fine la motivazione della sentenza e, in difetto di esplicite considerazioni, l'entità delle somme liquidate. La sentenza avverso la quale è proposto ricorso per revocazione aveva osservato, nello scrutinare il primo motivo di ricorso relativo al danno morale, quanto segue: "Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2057 e 2059 c.c., e vizio di motivazione per insufficiente e incongrua determinazione del danno morale e per mancata personalizzazione di esso. La censura è in parte inammissibile e in parte infondata. Inammissibile laddove stigmatizza la valutazione della Corte territoriale, che è il risultato di imprescindibili apprezzamenti di merito, pretendendo una liquidazione più elevata; infondata laddove assume la necessità di personalizzare il danno ma non indica gli specifici elementi che la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare e che invece risultano ignorati.

221 In ogni caso la Corte territoriale, considerato anche quanto affermato riguardo all'analoga censura di altri appellanti, ha adeguatamente motivato le regioni della propria scelta e, per quanto riguarda in particolare la posizione degli eredi M., ha fatto leva sulla non particolare gravità del reato ascritto alla C., sulla breve durata dei patimenti della vittima e sul conforto che ogni singolo genitore può trovare nella presenza dell'altro coniuge e della figlia. Quest'ultima considerazione viene severamente censurata dai ricorrenti, ma essa non può essere tacciata di irrazionalità, essendo nozione di comune esperienza che il dolore per la perdita di un figlio - sempre esacerbante - è più intenso nel caso di figlio unico, mentre trova una qualche ragione di conforto nella presenza di altro o altri figli". La censura che concerneva il danno morale era stata, come s'è visto, respinta. E lo era stata in riferimento ad una liquidazione collegata non già al danno morale inteso come sofferenza meramente transeunte, bensì alla sofferenza permanente provocata alle vittime secondarie dal fatto costituente reato, dipesa proprio dalla perdita del rapporto parentale, com'è reso evidente dal riferimento al conforto che i genitori potevano trovare nella presenza dell'altro coniuge e della figlia. La conseguenza pregiudizievole della cui omessa considerazione i ricorrenti si dolevano era stata dunque già indennizzata con la liquidazione del danno morale, impugnata con un motivo di ricorso già rigettato Col secondo motivo del ricorso è domandata la revocazione della sentenza (Cass,, n /07) "per mancato riconoscimento delle spese ed altresì per mancata pronuncia sui criteri di imputazione ex art c.c., nonchè per difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in tema" Premesso che il difetto di motivazione non è un vizio rescindente, sicchè la censura è in parte qua inammissibile, il motivo è infondato. Come affermato in ricorso (pagina 31, seconda riga), esso ha riguardo al quinto motivo dell'originario ricorso per Cassazione, così articolato: "violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1223, 1226, 2056, 2057 e 2697 c.c., per mancato riconoscimento delle spese non documentate ed altresì per mancata pronuncia sui criteri di imputazione ex art c.c., nonchè difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in tema". In proposito, la sentenza di cui si domanda la revocazione aveva osservato quanto segue: "Il quinto motivo è stilato secondo il consueto metodo censorio con riferimento al mancato riconoscimento delle spese non documentate. In sostanza i ricorrenti non negano la circostanza (cioè la mancanza di documentazione) ma assumono che il giudice avrebbe dovuto fare ricorso alla liquidazione equitativa. La tesi è manifestamente infondata poichè, a fronte della affermata totale mancanza di prove, i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare di avere offerto al giudice elementi idonei a procedere alla richiesta liquidazione. Infatti il criterio equitativo non può essere utilizzato in modo indiscriminato e per ovviare al mancato assolvimento dell'onere probatorio (sarebbe stato agevole dimostrare le spese mediche sostenute), ma presuppone che il danno, ontologicamente certo, non possa essere provato nel suo preciso ammontare e non esonera il richiedente dal fornire al giudicante elementi idonei ad evitare che la liquidazione piuttosto che equitativa sia meramente arbitraria" Ebbene, l'assunto dei ricorrenti in revocazione che, così statuendo, la Corte di Cassazione non si sia pronunciata sui danni conseguenti alla "distruzione del vestiario, della vettura e dei monili" per errore percettivo sul contenuto del ricorso è del tutto apodittico, avendo la Corte fatto riferimento tout court alla lettera del motivo di ricorso ed attagliandosi le considerazione svolte anche a vestiario, monili e vettura E' invece corretto, sul piano rescindente, il rilievo dei ricorrenti relativo alla pretermissione della doglianza relativa ai criteri di imputazione di cui all'art c.c., rivelatrice anch'essa di un errore percettivo. Sul piano rescissorio il quinto motivo del ricorso originario è, nondimeno, infondato. Con esso i ricorrenti si erano doluti che la Corte felsinea non si fosse pronunciata sulla doglianza concernente la mancata imputazione degli acconti ricevuti dai ricorrenti (prima della causa e nel corso della stessa) dapprima agli interessi e poi al capitale.

222 Ma tanto contrasta col principio, che va anche in quest'occasione ribadito, secondo il quale la disposizione dell'art cod. civ., secondo cui, senza il consenso del creditore, il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese. Pertanto, in tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dal citato art cod. civ., che presuppone, appunto, l'esistenza di un debito pecuniario, da considerarsi, invece, in questo caso, inesistente fino alla liquidazione (cfr., ex plurimis., Cass, nn. 9510/07, 2904/05, 8333/04, 11450/03, 6022/03, 5707/97, 2115/96). 3.- In conclusione, accolto per quanto di ragione il ricorso per revocazione, la sentenza già emessa da questa Corte va revocata il relazione alle censure accolte, ma il ricorso per Cassazione proposto dagli stessi attuali ricorrenti (r.g.n /03) avverso la sentenza della Corte d'appello va rigettato. Le spese del giudizio di revocazione seguono la soccombenza relativamente alla fase rescissoria. P.Q.M. La Corte di cassazione accoglie per quanto di ragione il ricorso per revocazione, revoca in relazione alle censure accolte la propria sentenza n /07 depositata il 4 giugno 2007 e, decidendo sul ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 187/03, depositata il 6 febbraio 2003, lo rigetta; condanna i ricorrenti, in solido, alle spese del giudizio per revocazione sostenute dalla controricorrente, che liquida in Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

223 Corte d Appello di Napoli, Sez. IV, 11 febbraio 2009 Svolgimento del processo Con atto di citazione CA.GE. ed AV.AN. convenivano in giudizio GI.GI. e la S.p.A. AS.GE., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale impresa designata per la gestione dei sinistri a carico del Fondo di garanzia per le vittime della strada, e, rappresentando che il giorno , verso le ore 15,30, il loro figliolo FA.CA., nel mentre alla guida di un ciclomotore percorreva il corso It. del comune di S. Marcellino, era stato investito dall'autovettura Renault 11 tg (omissis), non assicurata per la r.c., appartenente a GI.GI., che nell'occasione la guidava (la responsabilità del sinistro era in via esclusiva riferibile al GI., che, procedendo nella opposta direzione, aveva invaso avventatamente la corsia di pertinenza del ciclomotore), riportando gravissime lesioni, che quindici giorni dopo ne determinavano la morte, ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni patiti. Si costituiva la S.p.A. AS.GE., nella qualità, che chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda e, in via subordinata, esercitava azione di rivala nei confronti del GI.. Interveniva nel processo MA.MA., nonna del deceduto FA.CA., che chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni morale, biologico iure proprio e iure hereditatis. Con sentenza in data il Tribunale ha dichiarato che "l'incidente stradale è avvenuto per colpa esclusiva di GI.GI. e lo ha condannato "in solido con la S.p.A. GE.AS....al pagamento in favore degli attori... della complessiva somma, liquidata in moneta attuale, di Euro ,65, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo", nonché al pagamento delle spese processuali; ha rigettato la domanda proposta da MA.MA., compensando le relative spese di giudizio; ha condannato GI.GI. "a rivalere le GE.AS. S.p.A. delle somme che andrà a versare". Avverso la sentenza hanno proposto appello CA.GE., AV.AN. e MA.MA., lamentando i primi due la "mancata liquidazione del danno patrimoniale iure proprio... del danno biologico iure proprio...del danno morale iure succesionis", nonché il "mancato riconoscimento e liquidazione degli interessi legali compensativi e la "incongrua liquidazione del danno morale iure proprio" e del danno biologico iure successionis, dolendosi, la terza, del "rigetto dell'intervento volontario e mancato riconoscimento del danno morale iure proprio". Si è costituita ed ha concluso come in epigrafe la S.p.A. AS.GE.. Non si è costituito GI.GI.. Motivi della decisione Deve preliminarmente essere dichiarata la contumacia di GI.GI., che non si è costituito in giudizio, per quanto l'atto d'appello gli sia stato ritualmente notificato in data per l'udienza del L'appello deve, per quanto di ragione, essere accolto. 1 - Sulla "mancata liquidazione del danno patrimoniale iure proprio". A norma dell'art cod. civ., ai prossimi congiunti di un soggetto in l'giovane età, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo (come di morte conseguente a sinistro stradale fondato su responsabilità altrui), compete anche il risarcimento del danno patrimoniale futuro identificato nella perdita o nella diminuzione dei contributi patrimoniali o delle utilità economiche radicati sia in precetti normativi (artt. 315, 433, 230 bis cod. civ.) che nella pratica di vita, improntata a regole etico - sociali di solidarietà familiare e di costume, qualora questo, sulla scorta di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto, si prospetti come effettivamente probabile sulla scorta di parametri di regolarità causale, tenuto conto della condizione economica dei genitori, della loro età e di quella del minore deceduto, della prevedibile entità del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che la vittima delle lesioni avrebbe goduto di un reddito proprio (Sez. 3, Sentenza n del 03/04/2008; Sez. 3, Sentenza n del 01/03/2007). In altri termini, i genitori, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro provocato dalla perdita degli alimenti che il minore avrebbe potuto erogare in loro favore, devono provare che, sulla base dell'insieme delle circostanze attuali, sia pronosticabile che in futuro essi si possano trovare in uno stato di indigenza tale da aver bisogno della corresponsione di alimenti senza che nessun altro possa

224 prestarli. Parimenti, per dar prova della frustrazione dell'aspettativa ad un contributo economico da parte del familiare prematuramente scomparso, hanno l'onere di allegare e provare che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia. A tal fine la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non già in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla età loro e del defunto, alla prevedibile entità del reddito di costui, anche alla luce del tipo di studi intrapreso (Sez. 3, Sentenza n del 03/05/2004). Nel caso in esame, una prova del genere è mancata del tutto; e, anzi, non è stata neppure tentata. In effetti, nulla, ma proprio nulla, oltre la pacifica circostanza del rapporto di parentela, risulta dagli atti del processo. La Corte, pertanto, concorda pienamente con la conclusione, cui è pervenuto il Tribunale, che "gli attori non hanno fornito alcuna prova né in ordine alla esistenza del danno né in ordine alla sua entità". 2 - Sulla "mancata liquidazione...del danno biologico iure proprio". Scrivono sul punto gli appellanti:"la morte dell'unico figlio, incidendo sulla personalità degli attori ed essendo la personalità una espressione della psiche dell'individuo, ha certamente intaccato l'integrità psichica e quindi il bene salute degli attori. Tali effetti dannosi dell'evento morte si ripercuotono, dunque, necessariamente sui congiunti, alterandone l'ordinario svolgimento della vita familiare, con conseguenze incidenti sul valore uomo di ciascun individuo convivente, che subisce, quindi autonomamente, un danno di natura psicofisica (danno biologico)". Ritiene la Corte che gli appellanti in tal modo definiscano, piuttosto che quello biologico, il danno morale iure proprio come e in quanto danno legato alla definitiva perdita del rapporto parentale. Questo, concretandosi, alla stregua della descrizione che ne fa la giurisprudenza di legittimità (da ultimo, sez. unite, sentenza 24 giugno - 11 novembre 2008, n ), nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, nonché all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della famiglia, la cui tutela è individuabile negli artt. 2, 29 e 30 Cost., coincide esattamente con quella "alterazione" dell'ordinario svolgimento della vita familiare, cui gli appellanti intendono riferirsi. 3 - Sulla "incongrua liquidazione del danno biologico iure successionis". In ordine a tale profilo di danno, gli appellanti ritengono che il criterio di liquidazione adottato dal Tribunale "non appare congruo e soddisfacente, soprattutto alla luce delle circostanze del caso concreto, per cui appare totalmente proporzionata la richiesta di Euro ,00 avanzata nel giudizio di primo grado". L'assunto, che per certa sua genericità rasenta la inammissibilità, non è per niente condivisibile. In effetti, la convinzione del Tribunale di riconoscere e liquidare il danno biologico patito da CA.FA. "con riferimento al periodo di tempo compreso tra l'evento lesivo ed il decesso, periodo nel quale si ha la lesione alla salute e quindi il danno biologico" è pienamente condivisibile perché pienamente conforme alla logica. Ai fini della liquidazione del danno biologico, l'età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Ne consegue che, quando invece la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto per essere il soggetto deceduto, allora il danno biologico (riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni) va correlato alla durata della vita effettiva, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative (di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica) della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l'intera durata della sua vita residua (Sez. 3, Sentenza n del 24/10/2007). 4 - Sulla "mancata liquidazione del danno morale iure successionis". Quanto all'assunto dell'appellata S.p.A. AS.GE., che "il danno morale della vittima (o iure hereditatis) non risulta richiesto nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado...per cui tratta vasi e trattasi di richiesta inammissibile, in quanto tardiva in rapporto ai limiti stabiliti dai vigenti artt. 163 e 183 c.p.c.", osserva la Corte che nelle conclusioni rassegnate con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado gli attori chiesero la condanna "al risarcimento di tutti i danni, biologico, patrimoniale e morale, in favore degli istanti, in

225 proprio e nella indicata qualità" di eredi: espressione che non può evidentemente non ricomprendere anche il danno morale iure hereditatis. Procedendo oltre, osserva la Corte che nella elaborazione giurisprudenziale (tra le tante, Cass. Sez. 3, Sentenza n del 06/08/2007), la sopravvivenza, per quanto breve - e, nella specie, i 15 giorni trascorsi tra il sinistro ed il decesso costituiscono un periodo di tempo evidentemente apprezzabile -, non escludendo che la vittima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenza, determina il diritto al risarcimento, sotto il profilo del danno morale; che, poi, risultando già entrato a far parte del suo patrimonio al momento della morte, può essere fatto valere "iure hereditatis" (Cass. Sez. 3, Sentenza n del 06/08/2007). Compete, pertanto, iure hereditatis a CA.GE. e AV.AN. il risarcimento del danno morale patito dal defunto CA.FA., che, alla stregua della comune esperienza, può essere liquidato, alla attualità della presente decisione (per cui nulla viene liquidato a titolo di rivalutazione monetaria e di interessi legali pregressi, mentre ovviamente saranno dovuti gli interessi legali sulla predetta somma dalla data della presente decisione al soddisfo) nella complessiva misura di Euro , Sul "mancato riconoscimento e liquidazione degli interessi legali compensativi. E' appena il caso di rilevare che le liquidazioni operate dal Tribunale riflettono valori dichiaratamente aggiornati. Il Tribunale, infatti, sottolinea l'attualità della quantificazione e la circostanza che la "moneta attuale", con la quale misura il danno, è "comprensiva anche degli interessi maturati fino alla data della decisione sull'entità del danno". 6 - Sulla "incongrua liquidazione del danno morale iure proprio". Il danno morale iure proprio dedotto, riflettendo affetti essenziali, è "vitale", nel duplice senso della sua centralità e nel (correlato) senso della sua incidenza per l'intero corso della vicenda umana di coloro sui quali si abbatte. Ad un pregiudizio di così alto rilievo, che scuote dalle profondità gli equilibri familiari ed individuali e che si fa motivo portante, strutturale della psiche, non può che corrispondere, nella eterogenea dimensione del denaro, una somma altrettanto "decisiva", che abbia, anch'essa, un significato ed un profilo, per così dire, "vitali". Siffatto ragionamento rispecchia i consolidati orientamenti giurisprudenziali, che, ritenendo, ai fini della prova del risarcimento, possibile il ricorso a valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi forniti dal danneggiato, attribuisce valenza ad elementi quali l'intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza, la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, la compromissione delle esigenze di questi ultimi (tra le tante, Cass. Sez. 3, Sentenza n del 19/01/2007). Orbene, ritiene la Corte che l'importo di Lire ,00 a tale titolo liquidato dal Tribunale sia conforme a siffatti parametri, alla stregua dei valori invalsi nella esperienza giudiziaria e del comune sentire. 7 - Sul "mancato riconoscimento del danno morale iure proprio" a favore di MA.MA.. In conseguenza della morte di persona causata da reato, ciascuno dei suoi familiari prossimi congiunti è titolare di un autonomo diritto per il conseguente risarcimento del danno morale, il quale deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell'evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto. Ai fini di tale valutazione, l'intensità del vincolo familiare può già di per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la ritenuta prova dell'esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, e, inoltre, l'accertata mancanza di convivenza del soggetto danneggiato con il congiunto deceduto può rappresentare un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale, con derivante influenza di tale circostanza esclusivamente sulla liquidazione dello stesso (la mancanza di convivenza, insomma, di per sé non può configurare elemento indiziario idoneo a sorreggere la congettura del venir meno della comunione spirituale fra congiunti) (Sez. 3, Sentenza n del 19/01/2007).

226 Nel caso in esame, lo stretto vincolo di parentela - stretto sia sul piano della considerazione giuridica sia su quello del costume etico - sociale, dove tuttora la figura dei nonni occupa nella scala dei valori posizioni di preminente rilievo - è certamente ragione valida di identificazione del danno morale. Tale danno può essere liquidato, traendo lumi dalla quotidiana esperienza anche giudiziaria e dal comune diffuso sentire, alla attualità della presente decisione (per cui nulla viene liquidato a titolo di rivalutazione monetaria e di interessi legali pregressi, mentre ovviamente saranno dovuti gli interessi legali sulla predetta somma dalla data della presente decisione al soddisfo), nella misura di Euro ,00 (ventimila). Gli esiti del giudizio inducono la Corte a compensare per la metà le spese del giudizio, che per la restante parte vanno poste a carico degli appellati in solido, con distrazione in favore del difensore che ne ha fatto richiesta. P.Q.M. La Corte d'appello di Napoli, Quarta Sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da CA.GE., AV.AN. e MA.MA., così provvede: accoglie, per quanto di ragione, l'appello proposto da CA.GE. e AV.AN. e, per l'effetto, condanna gli appellati, in solido, al pagamento, in favore di CA.GE. e AV.AN. della ulteriore somma di Euro ,00 (centomila) per ciascuno di essi, oltre interessi legali decorrenti dalla data della presente decisione al soddisfo; accoglie, per quanto di ragione, l'appello proposto da MA.MA. e, per l'effetto, condanna gli appellati, in solido, al pagamento in favore di MA.MA. della somma di Euro ,00 (ventimila), oltre interessi legali decorrenti dalla data della presente decisione al soddisfo; condanna S.p.A. AS.GE. e GI.GI., in solido, al pagamento, in favore del difensore costituito di CA.GE., AV.AN. e MA.MA., della metà delle spese del giudizio, che liquida in tale misura in complessivi ,00, di cui Euro 450,00 per spese, Euro 450,00 per diritti ed Euro 1500,00 per onorario, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge, dichiarandole compensate per la restante parte; condanna GI.GI. a rivalere la S.p.A. GE.AS. delle somme che questa andrà a versare in virtù della presente sentenza.

227 Tribunale di Milano, sez. X, 16 febbraio 2009, n Svolgimento del processo Con atto di citazione regolarmente notificato A.R. e G.D.R., in proprio e quali legali rappresentanti della minore MDR, hanno chiamato in giudizio OB e la Vittoria Assicurazioni S.p.a., nonché AP e la Zurigo Assicurazioni S.p.a. nelle rispettive qualità di conducente/proprietaria e di impresa assicuratrice per la responsabilità civile della vettura Golf W tg. (...) e di conducente/proprietario e di impresa assicuratrice per la responsabilità civile della vettura Mercedes 200 tg.(...)- chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a seguito dell incidente stradale verificatosi il 26 maggio A sostegno della domanda esponevano che alle ore 14 di quel giorno AR si trovava come trasportata sul sedile posteriore della vettura Lancia Dedra, tg. ( dotta dal fratello FR e di proprietà della moglie di questi, AC, seduta a fianco del conducente (...) la predetta vettura percorreva la carreggiata Nord dell autostrada A14, in direzione Forlì, in un tratto interessato da lavori stradali, sicchè due corsie erano riservate alla marcia dei veicoli in direzione Forlì, mentre la terza, separata con paletti segnaletici, era riservata ai veicoli provenienti in senso contrario (...) allorché la predetta vettura che percorreva la corsia centrale- giungeva alla progressiva chilometrica 80, veniva a collisione con la Golf che, percorrendo l opposta direzione di marcia, invadeva la corsia centrale e urtava frontalmente la Dedra (...) nello stesso senso di marcia percorso dal R sopravveniva la Mercedes che, con la parte sinistra anteriore, infliggeva un nuovo urto nella fiancata posteriore della Dedra che si capovolgeva, arrestandosi, dopo aver colliso col guard-rail di destra, nella corsia di emergenza (...)in seguito alle collisioni FR e AC decedevano, mentre AR, proiettata all esterno dell auto durante le fasi del sinistro, riportava gravissime lesioni. In contumacia del P., si costituivano in giudizio gli altri convenuti. OB si difendeva affermando che (...) percorreva a velocità moderata in direzione Sud la corsia di sorpasso della carreggiata Nord, temporaneamente adibita al flusso di traffico proveniente da Nord (...) giunta in prossimità del Km 80,..vedendo dei veicoli provenienti dalla corsia opposta rasentare i limitatori flessibili.. si spostava verso destra ed entrava con le ruote di destra in una canaletta larga circa 25 cm e profonda 5/7 cm adiacente al new-jersey centrale (...) a causa dell incastrarsi delle ruote nella canaletta perdeva il controllo della vettura invadendo la corsia centrale e urtando frontalmente la Lancia Dedra i cui occupanti non utilizzavano la cintura di sicurezza. (...)AR era stata scaraventata fuori dall auto solo dopo la collisione della Dedra con la Mercedes. Chiedeva perciò preliminarmente di chiamare in causa Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.a. e di dichiarare che per i danni subiti dagli attori erano responsabili la predetta società e il P; in subordine, in caso di accertamento di una propria responsabilità, chiedeva di dichiarare il concorso del fatto colposo dell attrice AR; chiedeva anche di condannare Autostrade S.p.a. al risarcimento dei danni subiti da essa convenuta. Anche Vittoria Assicurazioni chiedeva di chiamare in causa la società Autostrade affinché venisse dichiarata la sua responsabilità e venisse condannata a risarcire gli attori o a manlevare essa convenuta; nel merito, chiedeva di essere assolta da ogni domanda; in subordine di dichiarare la concorrente responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, determinando il risarcimento nella conseguente misura proporzionale; in ulteriore subordine, chiedeva di condannare il P e la Zurigo a tenere indenne essa impresa assicuratrice di quanto fosse tenuta a pagare ai danneggiati. Zurigo Assicurazioni S.p.a. rilevava l assenza di qualsiasi responsabilità del proprio assicurato P, derivando i danni richiesti dagli attori da responsabilità della B e dal concorrente concorso colposo di AR per non aver allacciato le cinture di sicurezza; in subordine, chiedeva comunque affermarsi la prevalente responsabilità della convenuta B e limitarsi la responsabilità eventuale desse impresa assicuratrice entro i limiti del massimale determinato in lire Tutti i convenuti contestavano anche il quantum delle prospettate richieste risarcitorie.

228 Si costituiva la terza chiamata Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.a. che negava qualsiasi responsabilità rilevando che la canaletta e la eventuale buca erano ben visibili -sicchè non era configurabile alcuna insidia o trabocchetto- e che la eventuale buca era comunque posta al di fuori del piano viabile, sicchè se la B avesse proceduto con la dovuta attenzione e a velocità moderata, non si sarebbe trovata fuori dalla sede stradale. Chiedeva quindi il rigetto di ogni domanda svolta nei suoi confronti. Con atto del 3 luglio 2002 intervenivano in giudizio A, M e M R, figli di FR e di AC, che svolgevano richiesta di risarcimento dei danni nei confronti di tutti i convenuti e della terza chiamata. Alla udienza ex articolo 180 c.p.c. del 9 luglio 2002 intervenivano in giudizio GM e GM che chiedevano il risarcimento dei danni subiti a causa del sinistro che aveva coinvolto la loro madre OB. Con provvedimento del 24/4/03 il giudice assegnava una provvisionale a favore di M.R. e di MR ponendone il pagamento a carico della Vittoria Assicurazioni e della Zurigo Assicurazioni. Successivamente la causa era istruita con prove orali ed erano effettuate consulenze medico-legali sulle persone dell attrice e degli intervenuti M e M R; nonché una consulenza cinematica. All esito, la causa era trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti come sopra trascritte. Motivi della decisione I 1. ricostruzione del sinistro e responsabilità La ricostruzione della dinamica del complesso incidente può essere effettuata sulla base dei rilievi contenuti nel rapporto redatto dalla polizia stradale intervenuta sul luogo, con i relativi allegati planimetrici e fotografici; dell esito delle deposizioni testimoniali; degli elementi offerti dal nominato CTU ing. M.. In particolare, devono ritenersi incontestate e pacifiche le indicazioni contenute nel predetto rapporto riguardo a provenienza e direzione dei veicoli coinvolti; corsie di percorrenza utilizzate da quei veicoli; danni dagli stessi riportati; posizione dei corpi delle vittime del sinistro; modalità del traffico autostradale nel luogo interessato dal sinistro al momento del medesimo; struttura della corsia di sorpasso della carreggiata nord che veniva utilizzata quale corsia di marcia verso sud a causa di lavori in corso; in particolare, è pacifica la presenza sulla predetta corsia di sorpasso della carreggiata nord di una canaletta per lo scolo delle acque situata oltre la striscia continua di margine delimitante la stessa carreggiata in prossimità del new jersey centrale. 1.1 responsabilità convenuta B Valutati quindi gli incontestati elementi ora richiamati, deve innanzitutto affermarsi la responsabilità della convenuta B che alla guida della Golf, percorrendo in direzione sud la predetta bretella, è entrata con le ruote del lato destro del veicolo nella canaletta per lo scolo delle acque e che, nel compiere la manovra di sterzata verso sinistra per uscire dalla predetta canaletta, ha perso il controllo della guida invadendo la corsia di marcia centrale riservata ai veicoli che la percorrevano con direzione nord. Dalle dichiarazioni rese dalla stessa convenuta all udienza di comparizione delle parti, emerge che la B aveva impresso alla sua vettura una iniziale sterzata verso destra e che in quel momento aveva avvertito come se l auto cadesse da un gradino.. : così viene soggettivamente descritto il momento in cui le ruote di destra della vettura sono finite nella canalina. Si consideri che la convenuta ha giustificato la manovra di sterzata a destra facendo riferimento al fatto che, una volta immessasi sulla bretella, aveva percepito alla sua sinistra come un ombra, un ombra di una vettura che veniva verso la sua direzione. Poiché la stessa B nel primo atto difensivo non aveva allegato, nè ha comunque chiesto di provare, che un veicolo proveniente dall opposta direzione di marcia avesse invaso, o stesse per invadere, la corsia da lei percorsa, tanto da rendere necessaria una sterzata verso destra per evitare una collisione, ritiene il Tribunale che l ombra cui la B fa riferimento sia, al più, riferibile a quella di una qualsiasi vettura proveniente dall opposta direzione in corsia centrale e che la sterzata verso destra sia stata dovuta alla ritenuta esigenza dell attrice, in ragione dell assenza di elementi strutturali di separazione tra la sua vettura e i veicoli provenienti in direzione opposta, di stare il più accanto possibile al margine destro. È

229 evidente che si è trattato di una manovra errata perché certamente la convenuta ha oltrepassato con le ruote di destra la delimitazione con striscia longitudinale continua della carreggiata, così violando i relativi divieti posti dal codice della strada; e errata è stata anche la modalità con la quale la B ha successivamente sterzato verso sinistra per uscire fuori dalla canalina, manovra che è stata compiuta senza mantenere il controllo del veicolo che è così finito sulla corsia centrale mentre arrivava la Lancia Dedra sulla quale trovavano posto i congiunti degli attori e degli intervenuti. 1.2 responsabilità convenuto P Alla fine di valutare la responsabilità del P, considerato che, come correttamente osservato dalla difesa della sua impresa assicuratrice, l indagine sul nesso di causalità materiale -e cioè sulla riferibilità del decesso di AC e di FR e delle gravi lesioni riportate da AR alla collisione tra la Mercedes e la Lanciaassume rilievo preliminare rispetto alla indagine sulla colpa, occorre procedere ad attenta ricostruzione della dinamica dell urto tra le due auto e in particolare alla individuazione dei punti di collisione dei veicoli. Si rileva innanzitutto che le assunte deposizioni testimoniali forniscono elementi utilizzabili sul piano logico, ma non direttamente utili a descrivere la collisione Lancia/Mercedes. Infatti, i testi F e A (cfr. le dichiarazioni da entrambi rese nell immediatezza alla polizia stradale e la dichiarazione resa da A in via delegata dinanzi al Tribunale di Ancona) che viaggiavano in direzione Bologna-Ancona, seguendo la Golf, non avevano nemmeno percepito la collisione tra la Mercedes e la Lancia Dedra, probabilmente a causa della immediatezza nella sequela di urti, tanto da rendersi conto della presenza della Mercedes nel fossato laterale soltanto quando erano scesi dalle loro auto per prestare soccorso agli occupanti della Golf e della Lancia: solo allora hanno visto la Mercedes e il suo conducente seduto sul ciglio della strada. Anche il teste Z, che percorreva la A/14 nella stessa direzione di marcia della Golf, non aveva rilevato l urto tra Mercedes e Lancia. Il teste ha infatti riferito alla polizia stradale solo che, all altezza di uno scambio di carreggiata, aveva visto un autovettura di cui non era in grado di indicare la direzione di marcia,..carambolare e cappottarsi.. e che mentre ciò avveniva notava una persona che veniva catapultata fuori e adagiata sul manto stradale. Il P, sentito nell immediatezza del sinistro dalla polizia stradale, ha dichiarato che, dopo l urto con la Golf, la Lancia Dedra si era posizionata..trasversalmente all asse della strada occupando la prima corsia e parte della seconda, sembrando allo stesso convenuto in fase di ribaltamento. Ha aggiunto il conducente della Mercedes di aver frenato e che, non riuscendo a fermarsi in tempo, era andato ad urtare con la parte anteriore sinistra del suo veicolo..contro la scocca e portiera posteriore sinistra della Lancia... Ha precisato ancora di aver colpito la Lancia nel momento in cui questa si stava staccando da terra con le ruote di sinistra, facendola poi finire in corsia di emergenza. Una diversa ricostruzione in ordine ai punti di collisione tra le auto è stata invece prospettata dal Dr.Gentile, consulente del Pubblico Ministero del Tribunale di Forlì, nominato nell ambito del procedimento penale che aveva visto imputati la B, il P e GDM, nella qualità di direttore responsabile del Terzo Tronco della Società Autostradale S.p.a.. Secondo il predetto consulente, la Mercedes con la propria parte anteriore sinistra sarebbe entrata in collisione con la Lancia, all altezza della porta posteriore destra che, come evidenziato dalle foto 13 e 16 effettuate dalla polizia (cfr. acquisito fascicolo fotografico relativo all incidente contenente 40 fotografie) appariva..deformata verso l interno dallo spigolo anteriore sinistro della Mercedes... pagina 6 relazione Gentile, doc. 13 Vittoria). Su tale ricostruzione il Tribunale di Forlì non si è soffermato nella sentenza 695/05 (prodotta, su autorizzazione del giudice, alla udienza del da Autostrade) che ha condannato solo la Be il P, affermando unicamente che il P, a causa della velocità, non aveva potuto governare adeguatamente il proprio veicolo sì da evitare l urto..sia pure laterale e di minore entità con l autovettura Dedra.., senza individuare quindi quale fosse la parte laterale colpita della Lancia. Questo Tribunale, pur osservando che effettivamente nelle foto 13 e 16 richiamate dal predetto consulente della pubblica accusa si intravede, seppure non in primo piano, una deformazione della portiera posteriore destra della Lancia e pur rilevando che nel rapporto della stradale si indica, tra i danni riportati dalla Lancia, la..portiera posteriore lato destro abrasa, ammaccata.., non ritiene di

230 poter collegare tale danno con la collisione Lancia/Mercedes. Non solo perché il P, nell immediatezza del sinistro, cioè in un momento nel quale non è ragionevolmente ipotizzabile una artefatta versione dei fatti, specie di quelli il cui significato al momento non appare accusatorio, non aveva fatto alcun riferimento all impatto della Mercedes con la portiera posteriore destra della Lancia. Ma anche perché il danno alla portiera posteriore destra della Lancia appare compatibile con l urto tra la stessa Lancia e il guardrail nella fase successiva alla collisione di quell auto con la Mercedes, urto avvenuto prima che la stessa Lancia si ribaltasse sul lato sinistro in posizione di quiete. Tale urto, cui si fa riferimento nel rapporto della stradale a pagina 4, è ben descritto dal CTU del Tribunale, ing. M., a pagina 16 della relazione: la Lancia viene in contatto con lo sportello posteriore destro..con il raccordo inclinato del guardrail metallico.. Ritiene in definitiva il Tribunale che la Mercedes non sia andata a collidere con la parte posteriore destra della Lancia, ma con quella sinistra. Su ciò pare concordare lo stesso difensore dell impresa assicuratrice del P, che, dopo aver riportato in comparsa conclusionale (pagina 14) le affermazioni del consulente del PM nel procedimento penale (..le deformazioni rilevabili sulla porta posteriore destra della Dedra possono essere attribuite solo ad un urto con la Mercedes, quindi non è possibile condividere con la P.S. che il sedile del conducente della Dedra avente guida a sinistra- è stato bloccato dall introflessione della carrozzeria a seguito del successivo urto ricevuto dalla Mercedes ), ritiene tuttavia accertato che la Mercedes abbia urtato la Lancia sulla fiancata sinistra (pag.22/23 comparsa conclusionale) e in particolare che l urto abbia riguardato la parte latero posteriore sinistra della Lancia (pag 2 della replica). Ma, ad avviso del Tribunale, tale indicazione deve essere corretta nel senso che l urto ha riguardato anche la parte anteriore laterale sinistra, così come descritto dal ctu ing. M., secondo il quale la Mercedes è entrata in contatto con la zona passaruota anteriore sinistra della Lancia..determinando l accartocciamento del fianco e portiera anteriore sx incuneandosi parzialmente sotto le loro zone inferiori.. (pagina 16 della relazione): solo così possono trovare spiegazione i rilevanti danni riportati dalla Mercedes nella propria parte anteriore sinistra, nonché la fortissima introflessione della fiancata anteriore lato sinistro della Lancia, compatibile con un urto laterale e non con l urto ricevuto dalla Golf. Si consideri infatti che l urto tra la Golf e la Lancia fu quasi frontale e che, all esito di questo, la Lancia riportò il paraurti anteriore divelto, il parafango anteriore sinistro deformato ed estroflesso, danni alla parte frontale, al cofano motore e al parabrezza. Quindi il rilevante danno alla fiancata sinistra, con l evidente schiacciamento del parafango anteriore lato sinistro contro la portiera anteriore dello stesso lato, bene evidenziato nelle fotografie della polizia stradale, deve essere attribuito all urto ricevuto dalla vettura Mercedes. Così ricostruita l urto tra Mercedes e Lancia, occorre valutare se e quali- eventi dannosi siano da essa derivati. L interessamento della parte anteriore della fiancata sinistra della Lancia dalla violenta collisione con la Mercedes induce a ritenere sussistente il nesso di causalità materiale tra quella collisione e il decesso del conducente FR, nesso che, ad avviso del Tribunale, non può escludersi in ragione della imponenza dell urto frontale tra Lancia e Golf. Risulta, infatti, dal rapporto di incidente che il R. fu trovato all interno dell abitacolo ancora sul sedile anteriore di guida, con schienale totalmente reclinato presumibilmente a causa del primo urto ricevuto dall urto con la Golf e..bloccato in tale posizione dall introflessione della carrozzeria a seguito del successivo urto ricevuto dalla Mecedes.. e risulta che aveva..il fianco lato sinistro del proprio corpo, appoggiato alla parte interna della carrozzeria della fiancata lato sinistro.., ossia della parte colpita dalla Mercedes. Dato l assetto del corpo del R ed il suo interessamento in modo imponente anche dalla seconda collisione, questo Tribunale, pur in mancanza di reperto autoptico, non ha ragioni per attribuire il decesso esclusivamente all impatto Lancia/Golf. A diversa conclusione si perviene per quanto riguarda la passeggera C, tenuto conto del fatto che anche la C, seduta a fianco del conducente, non indossava cinture di sicurezza; che a causa del violentissimo urto (è quanto come emerge dai danni riportati dalle auto in quella collisione) la C venne proiettata in avanti e sfondò con il capo la parte di parabrezza centro dx; che, come risulta dalla cartella clinica prodotta dagli intervenuti R, le lesioni che nel giro di poche ore portarono alla morte la C -che riportò

231 un politrauma cranio facciale e toracoaddominale- sono compatibili proprio con un violento urto frontale. Per la C, quindi, non si ravvisano elementi per ritenere che la successiva collisione tra la la Mercedes e la Lancia, colpita nella fiancata laterale sinistra, abbia interferito in modo causalmente rilevante col decesso della passeggera trasportata sul sedile anteriore. Quanto alla passeggera trasportata sul sedile posteriore, AR, il suo corpo venne sbalzato fuori dall auto e venne rinvenuto nel punto 7 dei rilievi planimetrici allegati al rapporto della polizia stradale, a circa 17 metri dal punto d urto tra la Lancia e la Mercedes, in prossimità della parte sottostante della stessa Lancia. Il luogo in cui venne rinvenuto il corpo dell attrice, unitamente alla dinamica dell impatto tra le due auto così come efficacemente descritta dal ctu anche nella sequenza graficamente illustrata nell allegato 6 della relazione peritale, sono elementi che contrastano nettamente con la prospettazione difensiva del difensore della Zurigo, secondo cui sarebbe stato il primo violentissimo urto frontale tra la Lancia e la Golf a far sbalzare fuori dall abitacolo la R.. Premesso che non giova a tale tesi appellarsi alle indicazioni fornite dal CTU nominato nel procedimento penale, perché questo Tribunale, come si è già osservato, non condivide -ritenendola anzi smentita dalle altre indicate emergenze processuali- la ricostruzione dell urto Mercedes/Lancia fornita dallo stesso perito, si rinviene elemento di conferma del nesso di causalità materiale tra la collisione Mercedes/Lancia e le lesioni riportate dalla R. nelle già richiamate dichiarazioni del teste Z. Questi riferì alla stradale di aver visto una autovettura..carambolare e cappottarsi.. e che mentre ciò avveniva aveva notato una persona che veniva catapultata fuori e adagiata sul manto stradale. Poichè dalla ricostruzione operata dal ctu ing. M. risulta che la Lancia effettuò movimenti tali da poter essere percepiti come carambolare solo dopo l urto con la Mercedes, il riferimento del teste sta ad indicare che solo dopo quell urto la R venne espulsa dalla vettura. Anche i tempi percepiti dal teste ne sono ulteriore conferma, avendo Z riferito in sede di prova delegata dinanzi al Tribunale di Forlì che vide il corpo di una donna volare alla sua sinistra verso nord contestualmente al momento in cui la macchina che lo precedeva frenò bruscamente. Se si considera che, come risulta dal complesso delle dichiarazioni degli altri due testimoni, A seguiva immediatamente la Golf e F seguiva il veicolo dell A, si desume che Z era in terza posizione dietro la Golf. Sicchè i tempi tecnici della frenata dapprima di A e, immediatamente dopo, di F, corrispondono alla sequenza temporale del successivo impatto anche se non percepito da Z- Mercedes/Lancia. Collegata quindi causalmente a questa collisione l espulsione dall abitacolo della R, ritiene il Tribunale che le gravi lesioni da quella subite siano causalmente connesse anche con la detta collisione. Appare innanzitutto immotivata l affermazione del ctu ing. M. secondo cui le conseguenze subite dalla R nell impatto col suolo sarebbero state modeste, rispetto a quelle subite a causa della collisione Lancia/Golf, così come priva di riscontro è la tesi svolta dalla difesa di Zurigo, secondo cui l impatto col suolo avrebbe cagionato alla R solo danni fisici ulteriori strettamente conseguenti alla caduta, mentre i danni psichici sarebbero stati causati dallo scontro fontale con la Golf. Si consideri, per un verso, che la R ha riportato (cfr. relazione medico-legale collegiale) all esito dell incidente un importante quadro menomativo biologico riferibile all integrità fisica di natura propriamente organica, con riferimento alla necessitata asportazione della milza, agli esiti fratturativi toracici e pelvici e alle menomazioni artuali superiori: esiti di natura tale da poter essere causalmente connessi alle conseguenze, dirette e indirette, di entrambi gli urti. Per altro verso, si consideri che è complessa la componente di natura psichica del danno biologico riportato dall attrice, includendo..componenti a genesi psicopatologica e componenti ad eziologia organica direttamente correlati agli esiti di trauma cranio encefalico con emorragia meningea.. (cfr relazione peritale), trauma per il quale appare evidente l inferenza causale con l impatto sul suolo. In ogni caso, la tesi che attribuirebbe il danno psichico al primo scontro e allo spavento e paura derivatine è priva di qualsiasi fondamento scientifico e contrasta con la necessaria concezione unitaria del danno biologico. Ritenuta la sussistenza del nesso di causalità materiale tra la collisione Lancia/Mercedes e gli eventi dannosi costituiti dal decesso di FR e dalle lesioni di AR, ritiene questo giudice che il P debba

232 risponderne a causa della sua colposa condotta di guida, in particolare per aver violato il limite di 80 km/h posto in luogo. Lo stesso P dichiarò alla polizia stradale che manteneva una velocità di circa 110 km/h e di aver percepito l impatto tra la Lancia e la Golf quando era a circa 200 metri dalla Lancia. Ad avviso del Tribunale non occorre nemmeno addentrarsi su quale fosse l esatta velocità tenuta dal P al momento in cui potè rendersi conto di quanto stava accadendo dinanzi a lui, essendo sufficiente rilevare che, secondo i calcoli effettuati dal ctu ing. M., non adeguatamente smentiti dalla difesa e dal ctp di Zurigo, considerata la indicata distanza del P e valutati il tempo psicotecnico di reazione, quello necessario per consentire all impianto frenante di esercitare a pieno la propria azione, nonché lo spazio di frenata, se il P avesse rispettato il limite di 80 km/h, l urto Mercedes/Lancia non si sarebbe verificato. 1.3 responsabilità terza chiamata Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a Occorre, infine, affrontare la questione della responsabilità della terza chiamata Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a (d ora in poi Autostrade). Premesso che la convenuta B, ulteriormente precisando in memoria ex articolo 183, 5 comma c.p.c. le domande svolte nei confronti di Autostrade nell atto di citazione per chiamata di terzo, ha riportato tali domande oltre che alla prospettiva di responsabilità extracontrattuale ex articolo 2043 c.c., a quella di responsabilità extracontrattuale ex articolo 2051 c.c. e di responsabilità contrattuale ex articolo 1218 c.c., il Tribunale, valutando preliminarmente il profilo di responsabilità per danni da cose in custodia, ritiene che la norma richiamata sia la corretta cornice di riferimento per la fattispecie. Questo giudice condivide infatti l orientamento che nella più recente giurisprudenza della Cassazione si è, dopo qualche arresto, ormai consolidato come sviluppo dei principi già contenuti nella sentenza 1999/156 dalla Corte Costituzionale secondo la quale l inapplicabilità dell articolo 2051 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione non aveva fondamento nella natura demaniale del bene, ma solo nella notevole estensione del bene stesso e nel suo uso generale e diretto da parte dei terzi, rappresentando tali circostanze di fatto indici della impossibilità di concreto esercizio del potere di controllo e vigilanza, posto a fondamento dell articolo 2051 c.c.. Successive decisioni della Corte hanno quindi sottolineato che gli indici sintomatici notevole estensione e uso generalizzato-..non attestano in modo automatico l impossibilità di custodia.. (Cass /06), essendo molteplici i criteri in base ai quali va esaminata la possibilità in concreto dell esercizio del potere di fatto, in cui si concreta la custodia, sui beni demaniali: caratteristiche, dotazioni, sistemi di assistenza che le connotano, e strumenti apprestati dal progresso tecnologico, idonei a condizionare anche le aspettative della generalità degli utenti (in tal senso Cass. 488/2003). E con particolare riferimento alle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, cui si è peraltro ammessi dietro pagamento di un corrispettivo (Cass. 488/2003 e Cass.17479/05), l apprezzamento relativo alla effettiva possibilità del controllo, alla stregua degli indicati parametri, consente di configurare un rapporto di custodia ai sensi dell articolo 2051 c.c. Tornando al caso di specie, i rilievi già svolti in ordine alla dinamica del sinistro consentono di ritenere provato il nesso causale tra lo stato della canaletta esistente all altezza della progressiva chilometrica 80, carreggiata nord, nel territorio del comune di Forlì, e l incidente, in base ai comuni criteri in tema di regolarità causale. La struttura della canaletta tecnicamente cunetta secondo la definizione dell articolo 3, comma 19 codice della strada- è descritta nella relazione peritale dell ingegner M. alle pagine 8 e 9. Dalla descrizione risulta che il fondo, misurante larghezza di 40 centimetri, si raccordava quasi ad angolo retto con il lato interno costituito dalla barriera-new jersey, presentando in quella zona una profondità di 7 centimetri, mentre il lato esterno della canaletta, ossia quello verso la carreggiata, era costituito dal raccordo del manto di usura e presentava una profondità di 5 cm. Autostrade invoca a propria difesa la rispondenza della cunetta al progetto di costruzione, ma l argomento non ha il rilievo attribuitogli dalla terza chiamata. Non solo perché il rispetto del progetto non potrebbe di per sé comportare esonero da ogni responsabilità, ma anche perché, per un verso, la profondità della cunetta, nella parte più vicina al suo lato interno, eccedeva quasi della metà la misura

233 di progetto, essendo stata misurata in circa 7 centimetri, e, per altro verso, perché come risulta dalle indicazioni del consulente e come visibile nelle foto in atti il raccordo tra il piano stradale e il lato esterno della canaletta era privo di qualsiasi smussatura, determinando così, con un netto angolo retto, un insidioso scalino. La dinamica del sinistro rende evidente che la causa prossima, ossia la condotta di guida della B, che per imperizia era finita con le ruote di destra nella cunetta, non sarebbe stata da sola sufficiente a determinare l incidente, in quanto una struttura diversa della cunetta non avrebbe determinato con la stessa modalità il precipitare dell auto e avrebbe consentito una meno disagevole deviazione a sinistra per riportare la vettura sul suo binario. Una struttura diversa della cunetta sarebbe stata cioè volta ad evitare proprio il tipo di evento in concreto verificatosi, non dovendosi escludere che qualche autoveicolo, per le più svariate cause, anche dipendenti da condotte di guida dei conducenti, potesse finire con le ruote nella cunetta. La responsabilità prevista dall articolo 2051 c.c. ha natura squisitamente oggettiva -non rileva la colpa nella custodia, ma rileva il rischio da custodia- essendo il comportamento del custode del tutto estraneo alla fattispecie regolata dalla norma, sicchè il custode risponde dei danni prodotti dalla cosa non perché ha assunto un comportamento poco diligente, ma più semplicemente per la particolare posizione in cui si trova rispetto alla cosa danneggiante, e quindi secondo una logica che è propria della responsabilità oggettiva. Quindi, una volta provato dal danneggiato il nesso eziologico tra la cosa e l evento lesivo, la convenuta Pubblica Amministrazione o il concessionario del servizio- per liberarsi da responsabilità dovrà provare l esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, ossia il caso fortuito, inteso come avvenimento..obbiettivamente non prevedibile come verisimile.. (Cass.15383/06) idoneo ad interrompere quel nesso causale. Al riguardo è opportuno sottolineare che anche la più recente giurisprudenza, particolarmente attenta alla questione della delimitazione dei rischi di cui far carico all ente gestore e custode, allorché propone (in una prospettiva tutta da verificare) di compiere detta selezione dei rischi..tramite una più ampia ed elastica applicazione della nozione di caso fortuito.. (Cass.15042/08), distingue, nell ambito delle cause provocanti il danno, quelle..intrinseche alla struttura del bene, tanto da costituire fattori di rischio conosciuti e conoscibili a priori dal custode.. e le..situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili né ineliminabili con immediatezza, e neppure con la più diligente attività di manutenzione.. : solo per queste ultime è prospettata la possibilità di qualificare come fortuito il fattore di pericolo creato occasionalmente da terzi, che abbia esplicato le sue potenzialità offensive prima che fosse ragionevolmente esigibile l intervento riparatore dell ente custode. La fattispecie in esame è, invece, riportabile a situazioni di pericolo certamente strutturali di cui l ente non poteva ignorare l esistenza e che avrebbe dovuto eliminare. Quindi, è solo per completezza che si sottolinea come Autostrade fosse bene avvertita dei problemi creati dallo stato della cunetta, situata in prossimità del new jersey centrale, in alcuni punti dell autostrada A 14. Risulta infatti dalla documentazione prodotta dall impresa assicuratrice Vittoria e dalla B che in data il comandante della sottosezione di polizia stradale di Forlì, Ispettore Superiore Carlo Maffi, aveva segnalato alla direzione della sezione di polizia stradale di Forlì che il precedente 14 luglio si era verificato all altezza della progressiva chilometrica 132,300 della carreggiata sud un incidente stradale e che nella circostanza un veicolo era terminato con le ruote del lato sinistro all interno del fosso esistente in prossimità del new jersey. Detto fosso ad avviso dell ispettore, pure essendo situato nella cosiddetta zona neutra, sita tra il new jersey e la striscia longitudinale di margine continuo, poteva rappresentare pericolo per gli utenti della strada (doc.3 Vittoria). Pervenuta la segnalazione ad Autostrade, questa con nota del , dava atto che tra la canaletta prefabbricata e il tappetino drenante esisteva un piccolo gradino che in alcuni punti sarebbe preferibile raccordarlo col fianco della cavalletta.. e precisava che tale intervento, già inserito nel programma dei lavori, sarà eseguito non appena le condizioni logistiche di traffico lo consentiranno.. (doc.2 Vittoria). Sempre dalla produzione di Vittoria risulta ulteriore segnalazione in data dello stesso ispettore il quale rilevava come permanesse la situazione di pericolo già in precedenza segnalata in relazione a quel

234 tratto di autostrada a causa del rilevato fosso. Risulta quindi, come si suol dire, per tabulas, che era già stata portata a conoscenza di Autostrade una situazione di potenziale pericolo per gli utenti in relazione allo stato della cunetta situata tra il new jersey e la striscia continua proprio con riferimento alla A 14, circostanza che avrebbe dovuto indurre Autostrade al controllo dello stato della cunetta adiacente al new jersey per tutta la lunghezza di quel tronco autostradale. Anche alla terza chiamata va quindi imputata responsabilità per il sinistro. 1.4 misura delle responsabilità Con l esclusione del decesso di AC, che il Tribunale non ritiene di attribuire all impatto Lancia/Mercedes, tutti i convenuti e la terza chiamata Autostrade rispondono per il decesso di FR e per le lesioni riportate da AR. Tenuto conto della descritta dinamica del sinistro, Il Tribunale ritiene di determinare in misura di ½ il concorso di OB e in misura di ¼ ciascuno il concorso di Autostrade e di P. Nei confronti della B, determinato in 2/3 la misura del suo contributo causale, Autostrade risponde in ragione di 1/3. II 1. il risarcimento dei danni : premessa Occorre considerare che questo Tribunale provvede al risarcimento dei danni successivamente al deposito delle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n /3/4/5 del l 11 novembre 2008, le cui ampie indicazioni assumono, nella presente fattispecie, rilievo per quanto riguarda la unitarietà del danno non patrimoniale: danno non patrimoniale di cui all rticolo 2059 c.c. costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in categorie.. (par.4.8) la non configurabilità nel nostro ordinamento di un utonoma categoria di danno, definito esistenziale ed inteso quale perdita del fare areddittuale delle persone la funzione meramente descrittiva del..riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale).., riferimento che..non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.. (par.4.8) la necessaria integralità del risarcimento:..il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare il pregiudizio,ma non oltre.. (par.4.8), la conseguente necessità di evitare duplicazioni risarcitorie che potrebbero verificarsi in caso di..congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso.., nonchè in caso di congiunta attribuzione del danno morale e del danno da perdita del rapporto parentale..poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l esistenza del soggetto che l ha subita non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ed unitariamente risarcito.. (par.9) la liquidazione del pregiudizio costituito dalla sofferenze fisiche e psichiche del leso mediante..adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico.., qualora il giudice si avvalga delle..note tabelle.., e non attraverso frazioni del danno biologico. Le Sezioni Unite hanno provveduto con le richiamate sentenze a ribadire e completare alcuni principi già affermati nelle sentenze 8827/8828 del 2003, principi ai quali peraltro da tempo questo Tribunale si atteneva sia in ordine alla tensione verso l integralità del risarcimento sia in ordine al risarcimento in un unica voce del (ora superato) danno morale soggettivo transeunte e del danno da lesione del rapporto parentale, tanto che le Tabelle in uso presso questo ufficio dal 2004 fanno riferimento alla liquidazione di importi (compresi in un ampia forbice) ritenuti idonei al risarcimento di ogni pregiudizio non patrimoniale derivante alle vittime secondarie dalla morte di un familiare o dalla grave lesione di un familiare sia, infine, in ordine al contenuto del danno biologico, comprensivo di ogni aspetto statico e degli aspetti dinamico relazionali-medi (ossia dell insieme di conseguenze negative mediamente prodotte dalla lesione nella vita quotidiana della vittima) ed ulteriormente personalizzabile in relazione ad aspetti dinamico-relazionali personali, propri del danneggiato. Sicchè, il novum delle sentenze dell interessa la presente decisione per quanto attiene alla unicità di voce risarcitoria di tutto il danno non patrimoniale e per quanto attiene alla modalità liquidatoria del pregiudizio costituito dalle sofferenze fisiche e psichiche del soggetto

235 che ha riportato lesioni, dovendo escludersi in tal caso la praticabilità di una liquidazione in percentuale del danno biologico e dovendo invece il giudice..qualora si avvalga delle note tabelle, provvedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutandone nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite da soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza (par.4.9). A tale personalizzazione questo giudice perviene tenendo conto che gli importi attualmente previsti nelle tabelle per il risarcimento del danno biologico adottate a Milano non appaiono idonei al risarcimento del nuovo danno biologico delineato dalle Sezioni Unite, danno che ha il contenuto previsto dall articolo 138 del Codice delle Assicurazioni e che, però, contiene anche le sofferenze fisiche e morali connesse alla lesione. E vi provvede anche tenendo conto, quale criterio orientativo finalizzato a garantire uniformità, dei valori medi dei risarcimenti complessivamente riconosciuti in casi analoghi da questo stesso Tribunale. 2. AR 2.1 danno non patrimoniale La R ha riportato a causa del sinistro gravi lesioni, che hanno dato luogo ad una riduzione dell integrità psico-fisica, sia per componenti organiche che per componenti psichiche, quantificata dal collegio dei consulenti in misura del 33%. Dai riferimenti contenuti nella relazione medico-legale risulta che la complessiva sindrome psichica della R è il riflesso, oltre che delle conseguenze a sé cagionate dall incidente, anche della difficile elaborazione del lutto per la perdita del fratello Le argomentazioni e le conclusioni dei consulenti, non adeguatamente contestati da alcuna delle parti, logicamente motivate e sostenute, per quanto attiene alla componente psichica del danno biologico, da numerosi esami, vengono fatte proprie dal Tribunale e poste a base della valutazione di tale danno. Quindi, alla stregua delle indicazioni del collegio peritale, alla R compete innanzitutto il risarcimento del danno biologico per il periodo di inabilità temporanea, in relazione alla presenza di malattia che le ha impedito lo svolgimento delle ordinarie occupazioni e che ha provocato alla stessa attrice -per la tipologia di lesioni descritte dai ctu e in connessione col periodo di ospedalizzazione, con gli interventi subiti (cfr cartelle cliniche: docc. 4 e 6), con i continui controlli cui è stata sottoposta (cfr. documentazione prodotta e indicazioni nella relazione medico-legale)- sofferenze fisiche e morali. Ritiene il Tribunale di liquidare equitativamente per tali profili l importo di euro 120,00 al giorno al valore attuale e, perciò complessivamente (per giorni 40 di inabilità totale e per giorni 150 di inabilità parziale al 50%,) l importo di euro ,00. Quanto ai postumi permanenti, sulla base delle indicazioni tabellari attualmente utilizzate da questo Tribunale, alla percentuale di danno alla integrità psicofisica, pari al 33 per cento della totale, tenuto conto dell età dell attrice si riconnette una liquidazione di euro ,00, al valore attuale. Occorre considerare che l attrice chiede anche il risarcimento del danno conseguente alla perdita del reddito derivante dall esercizio, sia pure occasionale, di attività lavorativa di cameriera presso ristoranti. Tale attività, secondo le dichiarazioni rese dal teste CDR, sarebbe stata svolta con frequenza settimanale (il sabato e talvolta anche la domenica), grazie anche alle conoscenze del marito (AR e GDR, già conviventi, hanno contratto matrimonio il 10 giugno 2002: doc.34 bis attori) che svolgeva attività di pizzaiolo. Premesso che la relazione del collegio dei consulenti contiene elementi apprezzabili a favore dell attrice, risultando che le menomazioni da lei riportate sono tali da incidere sulle attività manuali, rendendo più faticose alcune mansioni e richiedendo periodica sospensione del mantenimento della stazione eretta rispetto a quanto mediamente necessario in tali attività, osserva il Tribunale che gli elementi probatori acquisiti non consentono di risarcire il profilo di danno in esame come danno patrimoniale. Infatti, come ha dichiarato l attore GDR all udienza di comparizione delle parti, dell attività lavorativa svolta dalla moglie non esiste alcuna traccia di pagamento; e, peraltro, da parte attrice non è stata allegata, anche solo indicativamente, la misura degli emolumenti mediamente percepiti dalla R per tale attività: la totale assenza di tali elementi, non superabile nemmeno con liquidazione equitativa, e la genericità delle indicazioni fornite dal teste non consentono perciò alcun serio risarcimento del richiesto danno patrimoniale.

236 Ritiene tuttavia il Tribunale che siano del tutto verosimili, tenuto conto dell età della R e della frequentazione da parte del marito del settore dei ristoranti/pizzerie, i riferimenti forniti dal teste in ordine all esercizio, sia pure saltuario, da parte dell attrice di attività di cameriera nei detti locali. Né la circostanza che tali saltuarie attività venissero svolte in nero rende meno verosimile il loro svolgimento (è peraltro nota la prassi dei locali di utilizzare nelle sere di maggior afflusso dipendenti occasionali) e rende non risarcibile il danno conseguente alla impossibilità di svolgere quel generico lavoro. Sicchè, ad avviso di questo giudice, è possibile riconoscere all attrice un ristoro al pregiudizio conseguente alla impossibilità/difficoltà di svolgere, anche saltuariamente, le attività lavorative generiche cui precedentemente al sinistro poteva dar corso, mediante personalizzazione in misura del 15% del risarcibile danno biologico sopra indicato. L importo di euro ,00 deve poi essere oggetto di ulteriore personalizzazione, in modo da consentire alla R il risarcimento di ogni sofferenza fisica o morale comportata dalla convivenza con la menomazione e con i suoi i riflessi oggettivi e soggettivi, e pure con gli esiti della morte del fratello F, ritenendo questo Giudice che, seppure in modo implicito, sia stata svolta dall attrice anche tale domanda (punto 3/b della citazione e documento 29 prodotto con l atto introduttivo del giudizio). Ai fini della quantificazione assumono rilievo gli elementi emergenti dalla stessa relazione dei consulenti, ma pure dalle certificazioni, anche di strutture pubbliche, prodotte dall attrice. Avuto riguardo alla particolarità del caso, con riferimento cioè per un verso alla presumibile permanente afflittività delle lesioni e per altro verso alle connesse interferenze delle sofferenze morali per il proprio stato e per la perdita del congiunto, con conseguente difficoltà di separare all interno di una persona diversi frammenti di dolore; considerato anche che in parte vi è stata una sorta di degenerazione, per così dire, del dolore in vera e propria malattia; ed infine rilevato che, nonostante i riferimenti alla storia familiare contenuti nella relazione del prof. Turrini (richiamato doc.29), la difesa della R non ha allegato e tantomeno provato particolari aspetti della relazione fraterna, ritiene questo giudice di personalizzare il danno biologico permanente più sopra indicato in euro ,00, così liquidando complessivamente ad Antonietta R. a titolo di danno non patrimoniale, l importo di euro ,00 (euro ,00 + euro ,00). 2.2 danno patrimoniale I richiamati riferimenti dei consulenti in ordine all incidenza dei postumi permanenti dell attrice sull attività di cameriera di locali, possono essere apprezzati a suo favore anche per valutare l ulteriore profilo di danno relativo alle attività di casalinga, allegato dall attrice fin dall atto di citazione, attività il cui esercizio non risulta contestato dalle parti avverse e che può legittimamente presumersi nei confronti di un membro adulto di un nucleo familiare che non svolga stabilmente attività lavorativa esterna. Occorre naturalmente rapportare la quantificazione del 15%, misura della riduzione della capacità lavorativa indicata dal collegio peritale, alle necessità imposte dall attività di casalinga, diverse rispetto a quelle proprie di una attività lavorativa svolta alle dipendenze di terzi, nel senso che alla maggiore vastità dei compiti e delle mansioni connessi all attività di casalinga fa riscontro però la possibilità di una modulazione del lavoro secondo propri tempi e esigenze. Tenuto conto di tale rilievo, nonché della indicata misura della riduzione; considerato che, col passare degli anni, l esigenza di ricorrere all aiuto di terzi in qualche modo si connette anche alla differente quantità di energie fisiche; rilevato, in adesione al prevalente orientamento della Cassazione, che l attività della casalinga, seppure non produttiva di reddito, è attività suscettibile di valutazione economica, sicchè il danno subito in conseguenza della riduzione di tale capacità lavorativa va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (cfr. Cass.4657/05; 0234/05; 26080/06; 17977/08), tenuto conto che, stante la patrimonialità del danno, il parametro utile di riferimento possa essere offerto dai costi connessi all utilizzo di collaboratori domestici, naturalmente per le sole attività non compatibili con lo stato dell attrice, questo giudice ritiene di liquidare equitativamente la presente voce di danno in euro ,00 al valore attuale. Sono poi documentati esborsi per spese mediche per euro 854,97, da rivalutarsi in attuali euro 1.033, danno complessivo

237 Poichè il risarcimento è espresso per alcune voci in valuta attuale e per altre in valuta dell'epoca d'insorgenza, appare necessario equalizzare i calcoli; sia al fine di stabilire quale sia la somma risarcitoria concreta al momento della decisione, sia al fine di conteggiare correttamente gli interessi, che secondo l'insegnamento della suprema Corte debbono calcolarsi dal giorno dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione. Occorre poi tener conto in detrazione degli acconti ricevuti dalla R nel maggio 2003 (a seguito di provvisionale) per euro ,00; nel gennaio 2005 per euro ,00 e nell aprile 2005 per euro ,00 (a seguito di versamento spontaneo da parte delle compagnie assicuratrici). Provvedendo a sviluppare i calcoli, con rigorosa procedura aritmetica, si ottiene la seguente tabella voce origine rivalut interessi danno non patrimoniale , , ,39 danno patrimoniale 854, ,31 227,84 danno patrimoniale , ,00 0 mag 2003 acconto , , ,06 gen 2005 acconto , , ,43 apr 2005 acconto , , ,36 totale attuale ,64 interessi ,40 Al gennaio 2009, quindi, la somma dovuta ad AR con rivalutazione e interessi ponderati ammonta per capitale a euro ,64 e per interessi a euro ,96. A partire dalla data della sentenza, gli interessi su euro ,64 proseguono al tasso legale fino al saldo. 3. GDR e MDR I predetti, marito e figlia di AR, come risulta dalle conclusioni precisate all udienza della , corrispondenti a quelle indicate in atto di citazione, hanno chiesto unicamente il risarcimento del danno morale. Tale specifica indicazione conferma, per quanto attiene a GDR, che i riferimenti svolti negli atti difensivi alle difficoltà economiche incontrate a seguito dell incidente hanno solo una funzione descrittiva della complessiva situazione familiare e, più in particolare, sono in qualche modo funzionali a sottolineare il danno patrimoniale che si assume immediatamente subito dalla R. La cornice di riferimento giurisprudenziale del risarcimento del danno morale ai congiunti, quali vittime secondarie di evento lesivo occorso al loro caro, è delineata innanzitutto da Cass. SU 9056/02, che ha sottolineato come i prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali siano legittimati ad agire in via risarcitoria jure proprio e come ad essi spetti il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione alla particolare situazione affettiva con la vittima primaria. Tale indirizzo si è poi consolidato negli anni successivi (cfr., tra le ultime, Cass. 8546/08) con le sentenze nelle quali la Corte ha sottolineato che al risarcimento dei danni subiti dal congiunto di persona che abbia subito lesioni personali non è ostativo il disposto dell articolo 1223 c.c. in quanto anche il danno del congiunto trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. Quanto alla definizione del danno richiesto dai DR, danno aggettivato come morale, è da sempre convinzione di questo Tribunale che il nomen iuris non vincoli il giudicante che deve tener conto delle concrete allegazioni e argomentazioni, e a ulteriore conferma si richiamano le recenti sentenze del 2008 laddove affemano che è compito del giudice di.. accertare l effettiva consistenza del pregiudizio legato, a prescindere dal nome attribuitogli... Nel caso di specie le allegazioni ed i rilievi svolti negli atti difensivi confermano che i DR intendono ottenere il risarcimento di pregiudizi che vanno oltre quello che veniva definito danno morale soggettivo transeunte e che attengono proprio all elisione delle potenzialità interrelazionali nell ambito del nucleo familiare, luogo di valorizzazione dei diritti della famiglia, dove si giocano importanti modalità di realizzazione della vita degli individui: è in questo quadro che occorre valutare la richiesta di risarcimento del compagno e della figlia di AR.

238 E noto a questo Tribunale che la casistica giurisprudenziale, sia di merito che di legittimità, in materia di danno da lesioni del congiunto, fa prevalente riferimento a casi di macrolesioni, intese secondo l insegnamento della scienza medico-legale come quelle menomazioni, indicativamente individuate in menomazioni dell integrità psicofisica valutate con percentuali uguali o superiori al 60%, che, per la loro gravità, comportano un danno molto importante per i soggetti che le patiscono, incidendo in maniera rilevante sulla loro qualità di vita intesa nel senso più ampio del termine e cioè sugli atti quotidiani, sull autonomia individuale, sui rapporti interpersonali, sulla sfera degli affetti e della sessualità. Oltre alla sentenza 8827/03, anche successive decisioni della Cassazione (tra queste, Cass /05; 10816/04), escludendo che lesioni minime o prive di postumi rendano configurabile una sofferenza psicologica dei congiunti o compromettano..lo svolgimento delle relazioni affettive tra questi ultimi e la persona offesa (così Cass.10816/04 ), hanno fatto riferimento a lesioni seriamente invalidanti. Questa era peraltro anche la via indicata a livello europeo dalla Risoluzione 7-75 del Consiglio di Europa, il cui XIII principio, probabilmente anche in funzione della necessità di arginare la catena dei risarcimenti dovuti alle cd vittime secondarie, afferma la risarcibilità dei danni ai congiunti della vittima rimasta in vita in caso di sofferenze di carattere eccezionale provocate dallo stato di menomazione fisica e/o psichica del proprio caro. Il Tribunale, consapevole che il carattere seriamente invalidante delle lesioni rappresenti un criterio selettivo della risarcibilità del danno non patrimoniale ai congiunti del leso (non potendosi in verità negare che sofferenze, anche contenute, di una persona cara abbiano ripercussioni sui più stretti congiunti), ritiene tuttavia che la sussistenza di macro-lesione come sopra intesa non rappresenti l unico elemento cui ricondurre la risarcibilità di tale danno, e che possa assegnarsi rilievo anche a concrete circostanze che accompagnano il fatto illecito lesivo e le sue conseguenze e che siano tali da giustificare e rendere apprezzabili le sofferenze morali dei congiunti (si pensi a giustificate reazioni emotive nel caso di lesioni rivelatesi di scarsa entità solo in un momento successivo, piuttosto che nel caso di un fatto lesivo verificatosi in circostanze drammatiche e di per sé particolarmente angoscianti..). Il caso di specie si situa in una zona per così dire intermedia, essendo la percentuale di danno biologico riconosciuta ad AR certamente al di fuori di quelle lesioni minime che restano irrilevanti per il risarcimento del danno alle vittime secondarie e non rientrando però tra le macro-lesioni come sopra intese: si rende quindi necessaria una valutazione più specifica delle menomazioni subite dalla R per poterne dedurne l inferenza sui congiunti e la alterazione del quadro relazionale familiare. Occorre allora considerare che, come emerge dalla accurata indagine condotta dal collegio peritale sulla persona della R, la sindrome post-commotiva da cui la stessa è affetta è caratterizzata oltre che da sintomi neuro-somatici (cefalea-insonnia) e da sintomi cognitivi (difficoltà di attenzione e concentrazione, bradipsichismo, smemoratezza), da..sintomi emotivo-comportamentali (irritabilità, depressione, labilità emotiva, calo della libido, ansia e panico)....; che la valutazione testologica segnala un marcato impoverimento cognitivo ed una sensibile riduzione delle risorse ideoaffettive disponibili, fino al blocco emozionale, alla vulnerabilità, al discontrollo degli impulsi e ad un serio impoverimento delle capacità logiche.. Si tratta quindi di una menomazione che, per quanto non comprometta lo svolgimento autonomo di attività vitali e non abbia un impatto travolgente sulle molteplici sfere dell esistenza della persona, si caratterizza per sintomi che possono incidere apprezzabilmente più di quanto incidano menomazioni meramente fisiche della stessa entità- sull assetto delle relazioni familiari con i conviventi, proprio perché alterano, da molteplici punti di vista, la relazione. Così come nel caso di specie risulta comprovato, oltre che dalle presuntivamente valutabili allegazioni, dai riferimenti di momenti di vita quotidiana fatti dal teste CDR. Ciò rende apprezzabile un danno ingiusto per il coniuge e per la giovanissima figlia e, considerata la natura dei diritti compromessi, consente la risarcibilità del danno non patrimoniale. Procedendo a liquidazione necessariamente equitativa di tale danno, tenendo conto delle aspettative relazionali del coniuge e delle esigenze affettive, di attenzione e guida di una figlia adolescente (MDR aveva 12 anni al momento dell incidente); considerato che il condizionamento del coniuge nella situazione determinatasi si profila normalmente destinato a protrarsi illimitatamente e che diversa

239 appare invece la prospettiva della figlia destinata ad allontanarsi da casa e a formare un nucleo familiare autonomo; considerato anche che, in una corretta e ragionevole applicazione dei principi di causalità giuridica, non potrebbe attribuirsi rilievo nel riconoscimento di danno non patrimoniale a favore dei congiunti della stessa R- delle conseguenze derivanti sul piano relazionale dalla difficile elaborazione del lutto per la morte del fratello, il Tribunale ritiene di risarcire il danno non patrimoniale a GDR in misura di euro ,00 e a MDR in misura di euro ,00. al valore attuale. 4. M R M R A R sono i figli dei deceduti AC e FR. All epoca dell incidente avevano rispettivamente 29, 27 e 30 anni e hanno svolto domanda jure proprio per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza del sinistro che li ha privati dei genitori, e jure ereditario per il risarcimento del danno terminale sopportato dalla madre nell arco di tempo intercorrente tra il sinistro e il decesso. In ordine ai criteri di risarcimento il Tribunale svolge, in linea generale, i seguenti rilievi. Il nucleo fondamentale del complesso pregiudizio non patrimoniale patito dai tre figli di AC e FR è dato dalla perdita del rapporto parentale, profilo di danno riconoscibile ai congiunti dell ucciso alla stregua di risalente orientamento giurisprudenziale, definito con i principi della richiamata sentenza 9056/02, e che per la sistematizzazione operata dalla successiva giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale nel 2003 e nel 2008, va per l appunto riportato esclusivamente al danno non patrimoniale (così superando gli interrogativi che la difesa degli intervenienti poneva alla data della comparsa). Nella liquidazione unitaria del danno non patrimoniale subito dai giovani, questo Tribunale ritiene che debba tenersi conto della contemporaneità (non esclusa dalla sopravvivenza di poche ore di AC) degli eventi luttuosi, contemporaneità che assume rilievo sia in relazione alla sofferenza immediatamente determinata dal fatto illecito integrante reato -essendo palese la tragica intensità del dolore e del patimento nel caso di specie- sia in relazione al radicale stravolgimento derivante dalla contemporanea e perdurante scomparsa dei genitori. Si intende dire che, nella normalità, la contemporaneità del duplice lutto produce con effetto geometrico conseguenze dolorose e di deprivazione affettiva che a questo giudice non sembrano adeguatamente riparabili con un aritmetico raddoppio degli importi risarcitori attribuibili secondo le cd tabelle del danno non patrimoniale. Non si condivide quindi l obiezione della difesa della B (comp.concl, pagina 29) laddove rileva che..non esistono precedenti giurisprudenziali in materia che giustifichino una maggiorazione del danno da perdita del rapporto parentale per il fatto della perdita di entrambi i genitori, perché il tentativo di adeguare quanto più possibile il concreto risarcimento ai pregiudizi effettivamente subiti prescinde dall esistenza di precedenti. Quanto al danno patrimoniale richiesto jure proprio, a tutti i figli dei deceduti compete in solido il danno patrimoniale in relazione alle sostenute spese funerarie documentate in atti con fatture (docc.9 /9 bis /9 ter), ed incontestate, per euro 8.964,68; in relazione ad esborsi parimenti documentati per trasporto e demolizione auto per euro 241,70; in relazione al valore antesinistro della vettura che, tenuto conto dell anno di immatricolazione viene determinato in euro 5.000,00. Così complessivamente determinando in euro ,38 il danno patrimoniale risarcibile agli attori in via solidale tra loro. Importo che si rivaluta in euro ,75, mentre gli interessi ad oggi maturati, calcolati secondo le indicazioni della Cassazione ammontano ad euro 2.523,90. Non ritiene il Tribunale di riconoscere agli intervenienti una voce di danno patrimoniale derivante dalla perdita di possibili lasciti ereditari, richiesta che la difesa di A, M e M R argomenta col fatto che i signori R avrebbero risparmiato per donare ai figli o lasciare loro in eredità quanto più possibile, ciò rientrando.. nelle abitudini normali delle famiglie italiane.. (così in comparsa di intervento). Come può agevolmente dedursi dalla domanda valutabile in termini di perdita di chance, la pretesa risarcitoria è fondata su di un sistema presuntivo a più incognite, ossia sulla presunzione che il padre F

240 avrebbe continuato a lavorare fino ad età pensionabile; avrebbe destinato ai bisogni personali e a quelli della moglie solo parte del reddito da lavoro e di quello da pensione, così risparmiando importi che, al momento della morte per cause naturali, si sarebbero trasferiti ai figli. A parere del Tribunale, la valutazione della adeguatezza del proposto sistema presuntivo alla stregua dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi relazione alle circostanze del caso concreto (come suggerito da Cass /03 e 8333/04), non può essere favorevole agli intervenienti. Invero, pur condiviso il richiamo a costumi di solidarietà familiare che rendono prevedibile una propensione al risparmio finalizzata alla futura maggior sicurezza economica dei figli, resta al di fuori di una dimostrazione, anche solo presuntiva, che il reddito di F R (dalla documentazione prodotta risulta un reddito annuo nel 1999 di lire , al netto delle ritenute) una volta soddisfatte le esigenze personali e quelle della moglie, avrebbe potuto produrre risparmio. Né alcun elemento idoneo è stato poi fornito in merito a guadagni della C (era stata proposta una prova testimoniale non ammessa- solo in ordine alla prestazione di assistenza che la C avrebbe svolto all epoca del sinistro, prova per la quale non era stata indicato a teste il beneficiario della prestazione e comunque non supportata da qualsivoglia convincente elemento documentale). Deve allora concludersi che, in assenza di specifici elementi probatori in ordine alla scelta di un tenore di vita di particolare modestia o all esistenza di altre fonti di reddito per il sostentamento, il danno richiesto non è configurabile con sufficiente grado di probabilità. Con riferimento ad altro profilo di danno non patrimoniale, i fratelli M e M, conviventi con i genitori, sottolineano che essi...godevano dei benefici derivanti dalla convivenza con i genitori, come l assenza o quanto meno l incidenza minore di spese per vitto e alloggio, o come l utilizzo del lavoro casalingo della mamma... (così in atto di intervento). Si tratta di allegazioni che devono essere opportunamente valutate anche in relazione all età dei figli conviventi tale da farli ritenere più o meno prossimi all allontanamento dalla casa parentale- e che comunque non sono stati in alcun modo coltivate dal punto di vista istruttorio. Sicchè nessun risarcimento appare per tale profilo riconoscibile. In ordine al danno non patrimoniale iure successionis, i figli dei deceduti in qualità di eredi chiedono il risarcimento del danno subito dalla madre AC che non è morta nell immediatezza del sinistro ma, come risulta dall atto, alle ore 4,30 circa del giorno successivo, quindi 14 ore dopo l incidente. Con riferimento a simili fattispecie, negli ultimi anni la Corte di Cassazione era pervenuta ad un orientamento secondo cui..nel caso di danno per morte la vittima consegue il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale cd. terminali, in tutti i casi in cui fra il fatto illecito e il decesso sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo. Tale può astrattamente considerarsi anche la sopravvivenza per ventiquattr'ore.. (così Cass / 2007). Con particolare riguardo al danno morale, la Cassazione aveva avuto modo di rilevare che..quel turbamento ingiusto dello stato d'animo che da luogo al danno comprende anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato di incoscienza" (così Cass /2003, citata da 21976/ 2007). Le recenti sentenze del novembre 2008 affrontano la questione sia in sede di esame della questione di particolare importanza (parte A-par.4.9), sia in modo specifico nelle sentenze e Nella parte A comune a tutte le sentenze e nella sentenza 26973/08 si afferma la risarcibilità del solo danno morale..a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l agonia in consapevole attesa della fine.. La affermata risarcibilità del solo danno morale nell ipotesi di vittima cosciente, in attesa consapevole della fine, pare da intendersi riferita alla necessità di evitare quelle duplicazioni risarcitorie che conseguirebbero al risarcimento, oltre che del danno morale, anche del danno biologico psichico. Infatti, allorché la Corte precisa che una sofferenza psichica siffatta non è suscettibile..in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico.., a parere di questo tribunale non può che fare riferimento al danno biologico psichico, essendo palese che, sul piano della mera integrità fisica, il fatto lesivo ha già dato luogo a malattia.

241 Quindi, pur in assenza di lucidità - presupposto ora ritenuto necessario dalla Cassazione per il risarcimento del danno morale- deve comunque essere risarcito al danneggiato che non muoia contestualmente al fatto lesivo il pregiudizio relativo alle subite lesioni, essendo certo indubitabile che il danno biologico, quale lesione dell'interesse costituzionalmente garantito all'integrità fisica e psichica della persona, sussista sia che la vittima abbia coscienza della lesione, sia che non l'abbia. Tale conclusione, già in più occasioni espressa dalla Corte, risulta ora confermata dalla sentenza 26974/08 nella quale si afferma, anche se implicitamente, la risarcibilità del danno biologico al soggetto..rimasto in vita per un tempo apprezzabile (parte C par.1.1). Peraltro, tale soluzione, che potrebbe apparire meramente formale, diventa inevitabile proprio alla stregua dell orientamento consolidato che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall evento lesivo, il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita. Infatti, se è vero, così come questo Tribunale ritiene, che il danno tanatologico non può entrare a far parte del patrimonio della vittima perché nel momento stesso del decesso non esiste più il soggetto titolare del patrimonio, è parimenti vero che chi muore successivamente al fatto lesivo, ed a causa del fatto lesivo, subisce per quell arco di tempo un pregiudizio alla propria integrità psico-fisica. Questo Tribunale, peraltro, già in altre decisioni aveva ritenuto che, nel caso di coma, la menomazione conseguente alla lesione e ogni sofferenza eventualmente sopportata dalla vittima in stato di incoscienza, fossero connesse in modo così inestricabile da dar luogo a una liquidazione unitaria di un unico danno non patrimoniale. E tale orientamento, peraltro, sembra trovare una conclusiva conferma nelle recenti indicazioni della Sezioni Unite (sentenze 26972/73/74/ ). Nell individuare la concreta misura della liquidazione di tale danno terminale, occorre porre attenzione alla sua peculiarità, e cioè al fatto che esso individua una compromissione temporanea della salute priva di qualsiasi capacità recuperatoria e di tale intensità ed entità da condurre a morte un soggetto, sicchè, questa particolare temporanea non potrebbe essere limitata alla mera applicazione dei valori liquidatori tabellari che potrebbero rivelarsi irrisori (cfr. Cass.16/5/03, 7632; Cass.23/2/04, 3549). Ciò premesso, considerato che il risarcimento del danno biologico terminale non ha la funzione di supplire alla non risarcibilità del danno tanatologico, valutato anche il rilievo da attribuire al fattore tempo, appare equo a questo giudice liquidare per il complessivo danno terminale subito dalla defunta C l importo di euro 5.000,00 al valore attuale, cui si aggiungono interessi ad oggi maturati per euro 1.102,50 Alle considerazioni generali finora svolte con riferimento a tutti i fratelli, si aggiungono i seguenti rilievi per ciascuna posizione. 4.1 M R danno non patrimoniale jure proprio Assumono rilievo ai fini della quantificazione del risarcimento innanzitutto gli accurati elementi forniti, sulla base di ampia documentazione (tra l altro comprovante più ricoveri in ospedale, anche al PS psichiatrico per abuso etilico) e degli esiti di sedute di esame clinico, dal collegio dei consulenti. Dalla deposizione testimoniale dall ex fidanzato FP emergono poi notizie in ordine alla pregressa convivenza di M R con i genitori; alla successiva chiusura in se stessa dopo la tragedia, con effetti devastanti sul rapporto di lavoro (venne licenziata) e sulla sua vita sentimentale (la fine della relazione col P). Tenuto conto che la relazione medico.legale ha individuato un danno biologico permanente nella misura del 12%, a seguito di un periodo di giorni 30 di inabilità temporanea parziale e di giorni 60 al 25%, ritiene questo Tribunale che competa a MR innanzitutto il risarcimento del danno biologico per il periodo di inabilità temporanea, riduttivo della possibilità di attendere alle ordinarie occupazioni della vita, equitativamente liquidato in euro 2.970,00 al valore attuale per capitale (sulla base di un parametro di 90 euro al giorno per giorni 30 di inabilità a 60% e di giorni 60 per parziale al 25%), e il risarcimento del pregiudizio alla integrità psico-fisica, da liquidarsi equitativamente secondo i

242 parametri tabellari tradizionalmente adottati da questo Tribunale in euro ,00 al valore attuale. Non pare risarcibile -proprio perché non configurabile con alcuna autonomia- un pregiudizio dato da sofferenze fisiche o psichiche relative alla riconosciuta lesione dell integrità psicofisica, proprio per l inestricabile connessione ravvisabile nella specie tra sofferenze e quel danno biologico che delle sofferenze è l aspetto patologico. Al risarcimento del danno biologico si accompagna il risarcimento del pregiudizio da perdita del rapporto parentale che assorbe in sé ogni profilo di sofferenza morale, transeunte e non, atteso che..la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l esistenza del soggetto che l ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ristorato.. (par.4.9). Non ritiene il Tribunale che il risarcimento del danno biologico e del danno da perdita del rapporto parentale dia luogo ad alcuna, nemmeno parziale, duplicazione risarcitoria, in quanto l accertata patologia può assorbire quelle che avrebbero potuto essere dolorose reazioni fisiologiche al duplice evento luttuoso, ma non tocca certo la permanente privazione di relazioni fondanti. Sicchè, un diverso ragionamento avrebbe solo l effetto di non risarcire integralmente il danno a chi si trovi a vivere gravato da un lutto importante e, per di più, afflitto da una menomazione incidente sull integrità psichica. Alla stregua dei rilievi più sopra svolti, valutate le emergenze processuali anche in ordine all assetto familiare, ritiene questo giudice di liquidare il complessivo risarcimento per la perdita dei genitori in euro ,00 al valore attuale danno patrimoniale jure proprio Sono documentati esborsi per spese mediche e di cura in misura di Euro 1.514, danno complessivo Provvedendo ad equalizzare i calcoli (atteso che il risarcimento è espresso per alcune voci in valuta attuale e per altre in valuta dell'epoca d'insorgenza), considerati gli acconti ricevuti in misura di euro nel maggio 2003 e di euro ,00 nel mese di aprile importi di cui deve naturalmente tenersi conto, in detrazione, previa rivalutazione per rendere il calcolo omogeneo con tutte le altre vocie conteggiati correttamente gli interessi (che secondo l'insegnamento della suprema Corte debbono calcolarsi dal giorno dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione), con rigorosa procedura aritmetica, si perviene al seguente risultato: voce origine rivalut interessi biotemp 2.457, ,00 654,87 bioperm , , ,68 perdita rapporto parentale , , ,06 mag 2000 esborso 1.514, ,01 403,51 mag 2003 acconto , , ,71 apr 2005 acconto , , ,18 totale attuale = ,73 interessi= ,25 Al gennaio 2009, quindi, la somma dovuta a M.R. con rivalutazione e interessi ponderati ammonta per capitale a euro ,73 e per interessi a euro ,25. A partire dalla data della sentenza, gli interessi su euro ,73 proseguono al tasso legale fino al saldo. 4.2 M R danno non patrimoniale jure proprio M R ha riportato un danno biologico solo temporaneo, che complessivamente viene equitativamente liquidato in euro 2.700,00 al valore attuale per capitale (sulla base di un parametro di 90 euro al giorno per 30 giorni di inabilità parziale al 50% e di ulteriori 60 giorni al 25%). Il complessivo danno da perdita del rapporto parentale, alla stregua dei rilievi già svolti e considerato che anche M R, figlio minore, era ancora convivente con i genitori al momento dell incidente, viene liquidato in euro ,00.al valore attuale.

243 4.2.2 danno patrimoniale Vi sono poi ragioni di danno patrimoniale in relazione ai provati esborsi per spese mediche e di cura in misura di euro 174,56, da rivalutarsi in attuali euro partendo dalla data media del maggio 2000 fino ad oggi danno complessivo Provvedendo ad equalizzare i calcoli (atteso che il risarcimento è espresso per alcune voci in valuta attuale e per altre in valuta dell'epoca d'insorgenza, considerati gli acconti ricevuti in misura di euro nel maggio 2003 e di euro ,00 nel mese di aprile importi di cui deve naturalmente tenersi conto, in detrazione, previa rivalutazione per rendere il calcolo omogeneo con tutte le altre vocie conteggiati correttamente gli interessi (che secondo l'insegnamento della suprema Corte debbono calcolarsi dal giorno dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione), con rigorosa procedura aritmetica, si perviene al seguente risultato: voce origine rivalut interessi biotemp 2.233, ,00 595,33 perdita rapporto parentale , , ,25 spese 174,56 210,98 46,52 mag 03 acconto , , ,71 apr , , ,18 totale attuale = ,69 interessi= ,23 Al gennaio 2009, quindi, la somma dovuta a MR con rivalutazione e interessi ponderati ammonta per capitale a euro ,59 e per interessi a euro A partire dalla data della sentenza, gli interessi su euro ,59 proseguono al tasso legale fino al saldo A R danno non patrimoniale jure proprio Vengono qui richiamati gli stessi criteri di riferimento utilizzati per il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla perdita della madre e del padre. Considerando che AR all epoca del sinistro non conviveva già più con i genitori, ma aveva costituito un proprio nucleo familiare ed aveva anche un figlio, il danno viene liquidato dell importo complessivo di euro. Nessuna voce di danno patrimoniale specifica risulta chiesta da AR, nemmeno sotto il profilo di vantaggi indiretti. Si consideri che la non contestata circostanza che la madre si recasse a prendere il nipotino all asilo (capitolo 33 della memoria istruttoria) non ha trovato il necessario sviluppo probatorio nel fatto che lo stesso R, successivamente al decesso della mamma, sopportasse degli esborsi per quelle attività che riguardavano il figlio. All importo capitale di euro ,00 al valore attuale si aggiungono interessi calcolati secondo l indicato sistema in euro ,44. Oltre agli interessi al tasso legale sul capitale di euro ,00 dalla presente sentenza al saldo. 5. O B 5..1 danno non patrimoniale Anche la convenuta O B ha riportato gravi lesioni a causa del sinistro, descritte e valutate nella relazione medico-legale che ha indicato nella misura del 35% la riduzione dell integrità psico-fisica e in oltre 300 giorni il complessivo periodo di inabilità temporanea. Quindi, alla stregua delle indicazioni del collegio peritale, alla B compete innanzitutto il risarcimento del danno biologico per il periodo di inabilità temporanea, in relazione alla presenza di malattia che le ha impedito lo svolgimento delle ordinarie occupazioni e che ha provocato alla stessa convenuta per la tipologia di lesioni descritte dai ctu e in connessione con i periodi di ospedalizzazione, con la terapia rianimatoria cui è stata sottoposta, con i plurimi interventi chirurgici subiti- sofferenze fisiche e morali. Ritiene il Tribunale di liquidare equitativamente per tali profili l importo di euro 120,00 al giorno al

244 valore attuale e, perciò complessivamente (per giorni 70 di inabilità totale, per giorni 60 di inabilità temporanea al 75% e per ulteriori giorni 150 al 50%,) l importo di euro ,00. Quanto ai postumi permanenti, sulla base delle indicazioni tabellari attualmente utilizzate da questo Tribunale, alla percentuale di danno alla integrità psicofisica, pari al 33 per cento della totale, tenuto conto dell età dell attrice si riconnette una liquidazione di euro ,00, al valore attuale. Occorre quindi provvedere alla personalizzazione di tale importo secondo quanto più sopra ritenuto, in modo da riconoscere alla B il risarcimento di ogni sofferenza fisica o morale comportata dalla convivenza con la menomazione e con i suoi i riflessi oggettivi e soggettivi. Ai fini della quantificazione assumono rilievo gli elementi emergenti dalla stessa relazione dei consulenti, dalla quale emerge la complessa condizione menomativa, caratterizzata essenzialmente da rilevante perdita di integrità degli arti inferiori, e da una componente depressiva psichica. Avuto riguardo alla presumibile permanente afflittività della menomazione sul piano strettamente fisico; tenuto conto che come risulta dagli accertamenti medico legali, la depressione trova causa anche in circostanze afferenti la vita familiare della B, del tutto estranee quindi alla vicenda dell incidente stradale, e che comunque si tratta di depressione ben compensata anche grazie al corredo culturale personale della B che è stata in grado di riprendere la sua attività di insegnamento al liceo; considerato però che anche le compensazioni richiedono l impiego di rilevanti energie personali, ritiene questo giudice di personalizzare il danno biologico permanente più sopra indicato in euro ,00, così liquidando complessivamente ad O B a titolo di danno non patrimoniale, l importo di euro ,00 (euro ,00 + euro ,00). 5.2 danno patrimoniale Quanto al danno patrimoniale, sono stati documentati esborsi per spese mediche e di cura, in misura di euro 3.452,51. Sulla base della documentazione in atti, può essere determinato in complessive euro 6.548,52, il danno relativo agli esborsi sostenuti per soccorso e rottamazione del veicolo e quello per la perdita del veicolo sulla base del valore antesinistro. 5.3 danno complessivo Provvedendo ad equalizzare i calcoli (atteso che il risarcimento è espresso per alcune voci in valuta attuale e per altre in valuta dell'epoca d'insorgenza) e a conteggiare correttamente gli interessi (che secondo l'insegnamento della suprema Corte debbono calcolarsi dal giorno dell'insorto credito nella sua originaria consistenza, e via via sulla somma che progressivamente si incrementa per effetto della rivalutazione), con rigorosa procedura aritmetica, si perviene al seguente risultato: voce origine rivalut interessi danno non patrimoniale , , ,20 danno non patrimoniale , , ,71 danno patrimoniale 3.452, ,68 920,06 danno non patrimonale 6.548, , ,11 totale attuale ,18 interessi ,09 Al gennaio 2009, la somma dovuta a O B ammonta, con rivalutazione e interessi ponderati, per capitale a Euro ,18 e per interessi a Euro ,09. A partire dalla data della sentenza, gli interessi su Euro ,18 proseguono al tasso legale fino al saldo. 6. G M G M I figli di O B, rispettivamente di 23 e 20 anni alla data del sinistro, sono intervenuti in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni morali subiti dei figli a seguito delle gravissime condizioni psicofisiche in cui si è trovata la madre a seguito del sinistro. Richiamati in generale gli argomenti già svolti in ordine alla risarcibilità del danno non patrimoniale alle cd. vittime secondarie e tenuto conto dell età degli intervenuti, questo Tribunale, ritiene, in assenza di qualsiasi diverso elemento in fatto che era onere degli intervenuti allegare e provare, che il complesso menomativo della B, così come delineato nella relazione dei consulenti, non sia tale da

245 alterare in modo significativo e apprezzabile ai fini risarcitori, la relazione tra i figli e la madre. Ciò anche grazie al corretto compenso degli aspetti del danno psichico. Deve, invece, essere apprezzato e valutato il pregiudizio subito dai M nell immediatezza del sinistro e per il periodo successivo, in coincidenza con il lungo periodo di degenza della B in divisione rianimatoria. Sulla base delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni, può ritenersi provata la sofferenza morale di giovani figli nel periodo in cui la madre, afflitta da complicazioni polmonari e encefaliche, si trovi in rianimazione, sofferenza che, ad avviso di questo giudice, giustifica ampiamente il riconoscimento di danno non patrimoniale. Considerata la natura del pregiudizio e considerato che, nonostante la sua temporaneità, non pare adeguato ai fini della quantificazione del danno il riferimento alla convenzionale misura utilizzata per il danno da inabilità temporanea, trattandosi di sofferenza che mette in gioco sentimenti fondamentali e profonde paure, il Tribunale liquida equitativamente a ciascuno dei figli l importo di euro ,00 al valore attuale. Si aggiungono interessi liquidati secondo le richiamate indicazioni della Corte in euro 3.307,45; e poi gli interessi al tasso legale sul solo capitale dalla presente sentenza al saldo. 7. riduzione ex articolo 1227 c.c. Il risarcimento dei danni ad AR, ai suoi congiunti, nonché ai congiunti di AC deve essere ridotto ai sensi dell articolo 1227 c.c., a causa del mancato uso delle cinture di sicurezza. Deve ritenersi infatti che nessuno degli occupanti la Lancia ne facesse uso al momento del sinistro. Di ciò si dà atto nel rapporto di incidente stradale e da tale riferimento deve trarsi l indicazione che gli agenti intervenuti hanno constatato che i due occupanti della vettura Lancia non erano legati con la cintura o che la stessa non presentava segni di rottura dovuti al sinistro- e la circostanza è, in tutta evidenza, ritenuta compatibile con gli esiti del sinistro dal ctu ing. M.. A fronte della specifica affermazione degli agenti, nessuno degli attori o degli intervenuti ha fornito contrastanti elementi probatori. Peraltro, con riferimento alle persone della C e della R, gli esiti immediati del sinistro rappresentano un evidente riscontro del non uso della cintura e di tale non uso confermano anche la rilevanza causale. La C, infatti, è stata ritrovata sul cruscotto e cofano motore del veicolo e all atto dell ricovero la diagnosi fu di politrauma -cranio-facciale toraco-addominale chiuso, con sanguinamento del massiccio facciale (cfr. cartella clinica prodotta dagli intervenuti R. come doc.3). E quanto alla R, deve ovviamente apprezzarsi il fatto che è stata proiettata fuori dall abitacolo della vettura. Di contro, questo Tribunale non ritiene raggiunta prova adeguata del nesso concausale tra il non-uso della cintura da parte del R e il decesso. Risulta, infatti dal rapporto che il conducente della vettura venne rinvenuto all interno dell abitacolo del veicolo, sul sedile anteriore lato guida; che il sedile si presentava con lo schienale totalmente reclinato..presumibilmente a causa del primo urto ricevuto dall autovettura vw Golf e bloccato in tale posizione dall introflessione della carrozzeria a seguito del successivo urto ricevuto dall autovettura Mercedes.. ; che il R aveva..il fianco lato sinistro del proprio corpo appoggiato alla parte interno della carrozzeria della fiancata lato sinistro... Tali indicazioni, in tutto compatibili come i danni riportati dalla Lancia e con la ricostruzione del sinistro come sopra prospettata, inducono ad affermare che mancano elementi obiettivi per ritenere che il nonuso della cintura abbia concorso a cagionare al R le lesioni che lo hanno portato al decesso. La riduzione del risarcimento, che il Tribunale ritiene di determinare in misura di 1/3, opera anche a carico dei congiunti dei trasportati che non utilizzavano la protezione, aderendo il Tribunale all omai consolidato orientamento della Cassazione, secondo la quale, stante la portata generale del principio per cui tra responsabilità e colpa efficiente del soggetto deve necessariamente intercorrere un nesso di adeguatezza,..la riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta; ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'evento di danno subito dalla vittima proietta su di essi, agiscono per ottenere i danni iure proprio.. (Cass. 2704/2005). Sicchè gli importi già indicati quale misura del danno complessivo per ciascuno degli attori andranno ridotti di 1/3 e dovrà operarsi riduzione di 1/3 solo sulla metà dell importo previsto quale danno complessivo per ciascuno degli intervenuti R

246 Così determinate le misure dei risarcimenti, l individuazione dei soggetti tenuti al pagamento e della relativa misura deve tener conto delle individuate responsabilità, anche sotto il profilo del nesso di causalità materiale tra gli eventi di danno e la condotta Sicchè, in conseguenza di quanto ritenuto nella prima parte della motivazione, al risarcimento dei danni subiti da M, M e A R in conseguenza del decesso del padre F R sono tenuti, in via tra loro solidale, O B, Vittoria Assicurazioni S.p.a., A P, Zurigo Assicurazioni S.p.a. e Società Autostrade S.p.a. al risarcimento dei danni subiti da M, M e A R in conseguenza del decesso della madre AC sono tenuti, in via tra loro solidale, OB, Vittoria Assicurazioni S.p.a. e Società Autostrade S.p.a. al risarcimento dei danni subiti da A R, da GDRe da MDR, sono tenuti, in via tra loro solidale, OB, Vittoria Assicurazioni S.p.a., A P, Zurigo Assicurazioni S.p.a. e Società Autostrade S.p.a. al risarcimento dei danni subiti da O B e dai figli G e G M è tenuta Società Autostrade S.p.a. in misura di 1/3, valutato nella misura di 2/3 il determinante contributo causale della stessa B. Tenuto conto dell esito della lite, le spese sono liquidate a favore degli attori e degli intervenuti come da dispositivo. Quanto alle spese sostenute dalla B, sia per difendersi rispetto alle avverse domande che rispetto alle proprie, appare opportuna la compensazione per metà, ponendo la residua metà a carico di Autostrade S.p.a.. P.Q.M. in favore di A R dell importo di euro ,80 per capitale ad oggi rivalutato e di euro ,30 per interessi ad oggi maturati Il Tribunale di Milano, in funzione di Giudice Unico, definitivamente pronunciando, condanna B, Vittoria Assicurazioni S.p.a., A P, Zurigo Assicurazioni S.p.a., Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.a., in via tra loro solidale, al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, in favore di GDR dell importo di euro ,35 per capitale ad oggi rivalutato e di euro 7.350,00 per interessi ad oggi maturati in favore di AR e di GDR, nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore MDR, dell importo di euro ,00 per capitale ad oggi rivalutato e di euro 2.940,00 per interessi ad oggi maturati in favore di M R, in relazione al decesso del padre, dell importo di euro ,40 per capitale ad oggi rivalutato e dell importo di euro ,65 per interessi ad oggi maturati; in favore di MR, in relazione al decesso del padre, dell importo di euro ,85 per capitale ad oggi rivalutato e dell importo di euro ,15 per interessi ad oggi maturati; in favore di A R, in relazione al decesso del padre, dell importo di euro ,00 per capitale ad oggi rivalutato e dell importo di euro ,25 per interessi ad oggi maturati in favore di M, M e A R solidalmente tra loro dell importo di euro 9.470,92 per capitale rivalutato e di euro 2.523,90 per interessi ad oggi maturati; condanna B, Vittoria Assicurazioni S.p.a., Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.a., in via tra loro solidale, al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, in favore di M R, in relazione al decesso della madre, dell importo di euro ,60 per capitale ad oggi rivalutato e dell importo di euro ,75 per interessi ad oggi maturati; in favore di MR, in relazione al decesso della madre, dell importo di euro ,60 per capitale ad oggi rivalutato e dell importo di euro ,45 per interessi ad oggi maturati; in favore di A R, in relazione al decesso della madre, dell importo di euro ,35 per capitale ad oggi rivalutato e dell importo di euro ,50 per interessi ad oggi maturati in favore di M, M e A R solidalmente tra loro dell importo di euro 3.333,35 per capitale ad oggi rivalutato e di euro 735,00 per interessi ad oggi maturati condanna

247 Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.a., al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, in favore di O B dell importo di euro ,10 per capitale ad oggi rivalutato e di euro ,65 per interessi ad oggi maturati. in favore di GM e di GM, dell importo di euro 5.000,00 per capitale ad oggi rivalutato e di euro 1102,50 per interessi ad oggi maturati, per ciascuno condanna i soggetti tenuti agli indicati pagamenti a corrispondere sugli importi indicati per capitale gli interessi al tasso legale dalla presente sentenza al saldo condanna tutti i convenuti e la terza chiamata, in via tra loro solidale, al pagamento delle spese di lite liquidate a favore degli attori R/DR in euro 7.500,00 per spese; ,41 per diritti; ,00 per onorari; al pagamento delle spese di lite liquidate in favore degli intervenuti M, M e A R in euro ,38 per diritti; 2,040,00 per spese; 1.341,50 per spese non imponibili; ,00 per onorari. Oltre rimborso forfettario secondo TF. compensa per metà le spese di lite tra B e Società Autostrade S.p.a. e condanna Autostrade a rimborsare la residua metà liquidata in euro ,28 (= ½ di euro ,00 per diritti; 332,56 per spese imponibili; ,00 per onorari). Oltre rimborso forfettario secondo TF.

248 Cassazione civile, sez. III, 23 febbraio 2009, n Svolgimento del processo In relazione all'incidente avvenuto il (...) in località (...), in cui M.S., immettendosi alla guida del proprio ciclomotore dalla strada provinciale dei (...) nella strada comunale, era caduto, essendo il mezzo scivolato per la presenza di una sostanza viscida sul manto stradale, ed aveva riportato lesioni, decedendo dopo sei giorni di agonia, il Tribunale di Arezzo con sentenza del , ritenuta la responsabilità ex art c.c., del Comune di Lucignano, aveva condannato lo stesso al risarcimento del danno - nella misura di Euro ,09 (pari a L ), oltre interessi - in favore di F.C. e Ma.Da., R. e D., eredi di M.S.; dichiarava La Fondiaria Assicurazioni a tenere indenne il Comune nei limiti del massimale di Euro ,53 (pari a L ); rigettava la domanda proposta dai F./ M. nei confronti di tale R.M.; rigettava le domande di manleva proposte dal Comune di Lucignano nei confronti del Consorzio Coingas e, a sua volta, da questo verso la Acmar scarl, da questa verso l'impresa Marcelli e la Milano Assicurazioni spa, dall'impresa Marceli nei confronti delle Assicurazioni Generali spa; dichiarava assorbita ogni altra domanda; provvedeva in ordine alle spese come da relativo dispositivo. Su appello del Comune di Lucignano e appello incidentale di F.C. e M.D. e delle società La Fondiaria Assicurazioni, Coingas, Acmar, Unipol e Impresa Marcelli, la Corte d'appello di Firenze con sentenza del , in parziale riforma della decisione del Tribunale, respinti tutti gli altri appelli proposti dalle parti, condannava il Comune a pagare alla F. e a M.R., D. e Da. la somma complessiva di Euro ,28, oltre interessi legali dal (...). Condannava inoltre il Comune a rimborsare le spese di primo grado alla Acmar e alla Unipol. Provvedeva in ordine alle spese del giudizio di appello, in relazione alle rispettive posizioni, come da relativo dispositivo. Avverso tale sentenza il Comune di Lucignano ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi svolti nei confronti dei F./ M. e con un motivo nei confronti di La Fondiaria Assicurazioni. Hanno resistito F.C. e M.R., D. e Da. con controricorso. La Fondiaria Assicurazioni spa non ha svolto attività difensiva. Il Comune e i F./ M. hanno depositato memoria. Motivi della decisione Con il primo dei motivi di ricorso proposti nei confronti dei F./ M. il Comune di Lucignano, denunciando vizi di motivazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., assume che la richiesta di risarcimento avanzata da controparte a titolo di danno biologico iure successionis è stata di circa Euro ,00, mentre la Corte d'appello ha liquidato un danno di Euro ,00,. Il motivo non è fondato. La Corte d'appello di Firenze, congruamente motivando, ha invero rilevato che in primo grado gli attori, pur specificando di aderire alla "teoria compromissoria" secondo cui il periodo da considerare ai fini del calcolo del danno biologico era costituito dall'intervallo di tempo ricompreso tra l'evento lesivo e la morte, hanno specificato solo in via indicativa ("si indicano") gli importi a loro avviso dovuti, comunque per un totale corrispondente a quello dell'atto di citazione e con la riserva "e/o quella somma minore e/o anche maggiore" che sarebbe stata riconosciuta come dovuta. In linea con il principio per il quale l'interpretazione della domanda costituisce indagine di fatto affidata al giudice di merito, la stessa Corte fiorentina ha dunque osservato, senza incorrere in vizi logici e di diritto, che sulla base delle dette espressioni ("e/o quella somma minore e/o anche maggiore") non era possibile ritenere che gli attori avessero inteso rinunciare al maggiore importo (che avrebbe potuto liquidare loro il Tribunale), applicando criteri di determinazione del danno più favorevoli, e quindi rinunciare o rifiutare un risarcimento di ammontare superiore rispetto a quello che presumevano sarebbe stato liquidato. Sicchè, nella specie, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto (in particolare età di M.S. all'epoca del sinistro e lasso di tempo in cui lo stesso è sopravvissuto), ha ritenuto, "con prudente apprezzamento", di liquidare a titolo di risarcimento del danno iure successionis la somma complessiva (per i quattro attori) di Euro ,00,.

249 La Corte ha così dato adeguatamente conto del proprio convincimento e non ha deciso ultra petita. Con il secondo motivo il ricorrente Comune lamenta, per insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056, 1227 e 2697 c.c., che il danno morale in favore degli eredi F./ M. è stato liquidato nella misura prossima al massimo. Pure tale motivo non è fondato. Ai fini della liquidazione "equitativa" di detto danno la Corte territoriale ha considerato tutte le circostanze del caso concreto, ovvero in particolare l'età della vittima e il rapporto di parentela con ciascuno dei danneggiati, e fatto applicazione dei criteri di determinazione costantemente adottati da essa stessa Corte e fatti propri anche dal Tribunale di Arezzo e "non specificamente contestati dal Comune di Lucignano", ciò che depone (in quanto cioè non contestati quelli che sono stati, come deduce parte ricorrente, i criteri generali di liquidazione previsti dalle "tabelle" a cui la Corte d'appello ha fatto riferimento) per la conoscenza dei criteri medesimi, di talchè è da escludere ogni impossibilità, come vuole il ricorrente, di verifica dell'operato dei giudici d'appello. La scelta tra una misura minima di risarcimento ed una massima rientrava, del resto, nel potere di valutazione del giudice di merito, in relazione, evidentemente, alla situazione presente nel caso. Infine la responsabilità della P.A., inquadrata nell'ambito dell'art c.c. prescinde dalla colpa. Perciò, accertato il nesso causale tra la res in custodia ed il danno da essa arrecato, quindi che il sinistro si fosse verificato, nella specie, in conseguenza delle caratteristiche o condizioni della strada, la responsabilità dell'ente comunale poteva essere esclusa solo previa dimostrazione che l'evento dannoso fosse riferibile al caso fortuito, la qual cosa, nella specie, è stata esclusa. Con il terzo motivo, per violazione dei principi in materia di liquidazione dei debiti di valore e omessa motivazione, l'ente ricorrente lamenta che la Corte ha liquidato gli interessi legali sulla somma rivalutata all'attualità a decorrere dal (...), cioè dalla data del sinistro, e non ha tenuto conto che all'inizio del marzo 2003 aveva corrisposto ai F./ M. un acconto di ,00, Euro. Questo motivo è fondato. Ed infatti gli interessi legali non possono calcolarsi dalla data dell'illecito sull'importo risarcitorio rivalutato alla data della decisione definitiva, ma devono computarsi con riferimento ai singoli momenti di incremento nominale della somma equivalente al bene perduto, in base ad indici prescelti di rivalutazione ovvero ad un indice medio (v. Cass. n. 492/2001). Nulla inoltre è detto se nella rivalutazione della somma liquidata si sia tenuto o meno conto dell'asserito acconto (Euro ,00,) già corrisposto dal Comune. Da ultimo, con il quarto motivo di ricorso, a sua volta proposto nei confronti di La Fondiaria Assicurazioni, il Comune di Lucignano, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., e omessa motivazione, si duole della condanna alle spese del grado in favore della propria Compagnia assicuratrice La Fondiaria. Il motivo va disatteso, avendo la Corte d'appello respinto l'appello proposto dal Comune anche nei confronti di La Fondiaria e, quindi, ritenuto la soccombenza dell'ente comunale. Conclusivamente, pertanto, va accolto il terzo motivo del ricorso e vanno rigettati gli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio, anche in ordine alle spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Firenze in altra composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta gli altri; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.

250 Tribunale di Pinerolo, 17 marzo 2009 Svolgimento del processo In data 26 maggio 2004 C. M., C. A., C. J. e C. K. convocavano in giudizio T. M., T. P. e la s.p.a. ALFA assicurazioni esponendo: a)che in data 21/10/2003 il sig C. stava percorrendo la strada regionale 23 in direzione verso valle alla guida della sua autovettura Volswagen Golf targata ( ) con a bordo il figlio minore C. J.; b)che giunto all altezza del Km 45,200 in Comune di Villar Perosa, veniva a collisione con l autovettura Ford Fiesta targata ( ) di proprietà di T. P. e condotta da T. M. il quale, provenendo dalla direzione opposta, invadeva la corsia percorsa dal C., rendendo inevitabile lo scontro frontale; c)che, in conseguenza del sinistro il C. riportava un gravissimo politrauma a causa del quale decedeva sul posto, mentre il figlio C. J. riportava gravi lesioni; d)che all atto del decesso il sig C. era dipendente a tempo indeterminato con la qualifica di operaio presso la s.r.l. K., e percepiva una retribuzione netta di all incirca euro 1.600, ,00, unica fonte di reddito della famiglia; e)che la casa in cui vivono la moglie e i figli è condotta in locazione per un canone mensile di euro 270,00 mensili; f)che il legale degli attori ha ripetutamente sollecitato la compagnia d assicurazione la corresponsione di una provvisionale, date le gravi condizioni di indigenza degli attori, ma senza alcun esito; gli attori concludevano, dunque, come in epigrafe; In data 1 ottobre 2004, si costituiva la ( ) Assicurazioni eccependo, preliminarmente, la condizione di reciprocità (essendo gli attori nati in Marocco). In secondo luogo, la convenuta rilevava l assenza dell autorizzazione data dal Giudice Tutelare in merito all azione promossa dalla stessa in nome e per conto dei figli minori; Precisava, peraltro, che non era stata fornita la prova che la signora A. C., madre dei minori, fosse effettivamente titolare dei diritti sui figli minori. Infine, sottolineava che colui che adduce l altrui responsabilità circa la causazione di un sinistro stradale deve, non solo, fornire la prova dell altrui responsabilità ma, altresì, della assoluta disciplina e correttezza della propria condotta, onde escludere il concorso di colpa ai sensi dell art c.c. Infine, contestava il quantum richiesto da parte attrice, poiché spropositato. In data 11 giugno 2004 gli attori depositavano istanza per la liquidazione della provvisionale ai sensi dell art. 24 della legge 990/69; A fondamento di tale istanza veniva prodotta la documentazione relativa all accertamento della Polizia Stradale di Pinerolo. E veniva, altresì, ribadito che l unica fonte di reddito della famiglia C. era la retribuzione percepita dal C.. Con provvedimento depositato in data 21 luglio 2004, il Giudice, ritenuto opportuno provvedere nel contradditorio delle parti, fissava per la discussione del ricorso l udienza del In tale udienza, regolarmente notificata ai convenuti, nessuno compariva per la s.p.a. (...) assicurazioni e per il T.. Il Giudice, quindi, procedeva all interrogatorio libero della moglie di C. e dei suoi figli Il Giudice riservava ordinanza. Con provvedimento depositato in data il Giudice, ai sensi dell art. 24 della legge n.990/1969 riconosceva agli attori una provvisionale ammontante, complessivamente, ad euro ,62; Durante le udienze successive venivano escussi i testimoni e nominato C.T.U. il Dott. Gino Barral che, in data 15 maggio 2008, prestava giuramento. All udienza del 7 novembre 2008 le parti precisavano le conclusioni. E la causa giunge ora a decisione. Motivi della decisione La domanda merita accoglimento e va accolta.

251 In primis, occorre brevemente trattare la questione di reciprocità sollevata dalla (...) Assicurazioni, anche nella comparsa conclusionale, nonostante l ampiamente motivata pronuncia sul tema, resa con provvedimento depositato in data 18 ottobre L art. 16 delle preleggi prescrive: Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali. Tale norma, risalente ad un contesto storico differente, e avente come fondamento giuridico la legislazione antecedente al 1942, deve tenere conto dell interpretazione giurisprudenziale che ha ridotto le disparità di trattamento. A fondamento delle decisioni delle Corti nazionali (sia di legittimità che costituzionale) e della Corte di giustizia vi sono i diritti fondamentali. La regola posta dalle preleggi deve, dunque, tenere conto del valore preminente che nel nostro ordinamento assume la Costituzione della Repubblica che all articolo 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell uomo e deve tener conto, come poc anzi esposto, anche dell evoluzione giurisprudenziale sui temi dei diritti fondamentali; Ecco che allora la questione di reciprocità in ordine ai diritti non patrimoniali non si pone nemmeno. Ovviamente, sono riportabili alla cornice dell inviolabilità i diritti della famiglia che, nel loro nucleo essenziale, incorporano valori da ritenersi inviolabili nel dettato costituzionale. Ciò posto, e facendo riferimento ai soli diritti patrimoniali, come illustrato con il provvedimento depositato in data 18 ottobre 2004, si ribadisce che la condizione di reciprocità esiste tra il Regno del Marocco e la Repubblica Italiana. In virtù delle disposizioni del DAHIR Legge m del 2 ottobre le vittime di incidenti stradali avvenuti sul territorio marocchino causati da veicoli terrestri a motore, hanno diritto qualsiasi sia la loro nazionalità- al risarcimento dei danni subiti. Risulta, quindi, da quanto precede, che la reciprocità esiste in materia di riparazione del pregiudizio, sia materiale che morale, per le vittime di nazionalità italiana di un incidente da circolazione stradale avvenuto in Marocco. In merito alla problematica della persona che possa esercitare la patria potestà nei confronti dei figli minori, è appena il caso di rilevare-data la maggiore età nel frattempo raggiunta da J. e K.-. che secondo il diritto di famiglia vigente nel Regno del Marocco, proprio pochi anni fa e, precisamente, in data , il parlamento del Regno del Marocco ha approvato una legge con cui si è provveduto a riformare la Moudouana (Diritto di Famiglia di Ispirazione Islamica), sino ad allora vigente. Tra le moltissime modifiche del diritto di famiglia marocchino ne è intervenuta una proprio in materia di esercizio della patria potestà. Questa può essere esercitata da entrambi i genitori, anche se i figli minori tanto maschi, quanto femmine- possono scegliere dopo il 15mo anno di età la persona che potrà esercitare la potestà nei loro confronti. In relazione alla asserita improcedibilità per l assenza dell autorizzazione del Giudice tutelare, si evidenzia che l autorizzazione del G.T. all esercente la potestà è necessaria soltanto per promuovere i giudizi relativi ad atti eccedenti l ordinaria amministrazione, cioè a quelli che possono recare un pregiudizio o una diminuzione nel patrimonio del minore; non è invece necessaria per quelli diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che del patrimonio fanno parte; Pertanto, la detta autorizzazione non era necessaria nel caso di specie, in quanta la C. A. ha promosso l azione de qua per ottenere, un incremento del patrimonio dei figli minori, che, peraltro, come poc anzi esposto, sono divenuti maggiorenni in corso di causa (e quindi la questione è definitivamente sorpassata.) Orbene, si tratta ora di verificare la responsabilità del convenuto. E pacifico che la responsabilità di T. M., con riferimento al sinistro in esame, è acclarata per effetto di sentenza penale irrevocabile depositata in data 3 marzo 2005, dal G.U.P. di Pinerolo, dove in motivazione viene indicato: (.) dagli atti risulta che la responsabilità penale è pacifica ; (la quale, ai sensi dell art. 651 c.p.p., quanto all accertamento della sussistenza del fatto, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile) e l esclusiva responsabilità di T. M. nel cagionare il sinistro de quo è stata

252 confermata in sede civilistica laddove è emerso il nesso di causalità tra il verificarsi dell incidente e l improvvisa invasione della corsia opposta da parte del T. (cfr testimonianze di G., H. e relazioni della polizia stradale); Ciò posto e passando all esame del quantum debeatur, nessuna questione si pone in ordine al danno patrimoniale per la distruzione dell autovettura di proprietà della vittima che può essere liquidato, in via equitativa (non avendo gli attori allegato alcun documento) nella misura di euro 1.000,00 e in merito alle spese funerarie, in euro 2.825,84, così come allegato e provato; In ordine al danno patrimoniale iure proprio, si premette quanto segue: Dall istruttoria è emerso che C. era assunto a tempo indeterminato presso la S.p.a.. K. quale operaio di III livello; il reddito del defunto, come ampiamente spiegato nel provvedimento depositato in data 18 ottobre 2004, va considerato pari a euro ,36 annuo. E, altresì, emerso che era l unico percettore di reddito all interno della famiglia; la moglie, infatti, è casalinga e i figli, conviventi, venivano mantenuti dal papà. E verosimile infatti che gli stessi abbiano goduto e che comunque potessero godere in futuro, data l età della vittima, di contributi patrimoniali significativi da parte del padre; A ciascuno degli attori deve essere riconosciuto iure proprio il danno non patrimoniale ossia il ristoro di tutte le ripercussioni subite sia di natura sofferenziale, sia di natura dinamico-relazionale, ovverosia esistenziale; La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ripartito i danni nelle due categorie: patrimoniale (art c.c.) e non patrimoniale (art c.c.) E, in sintesi, affermano che il danno morale e il danno esistenziale non possono considerarsi come autonome categorie di danno; E aggiungono che è necessario risarcire, integralmente, il danneggiato del pregiudizio. Infatti, si legge: il risarcimento del danno deve essere integrale, il danno non è uguale per tutti e, dunque, va personalizzato; e, da ultimo, è necessario evitare duplicazioni; Ne deriva che il danno esistenziale, come pure il danno morale vengono indicati dalle S.U. mere sintesi descrittive riferibili a voci di pregiudizio comprese nella macro-categoria del danno non patrimoniale. Tale caratterizzazione non esclude, però, che tale genere di pregiudizi debbano continuare ad essere valutati e risarciti nella loro effettiva consistenza. Nel caso di specie, sono state violate più norme ( art. 2 e art. 29 e art. 30 della nostra Carta Fondamentale); quindi vi è un cumulo di responsabilità. Dovranno, dunque, risarciti il danno morale (la sofferenza morale) e il danno esistenziale (i pregiudizi di natura esistenziali) nelle seguenti ipotesi: a. in presenza di reato (come nel caso in esame). b. Nei casi determinati dalla legge; c. Nel caso in cui vengano lesi diritti costituzionali inviolabili (e ciò in base al principio della tutela minima risarcitoria); Come poc anzi esposto, anche il pregiudizio esistenziale va sempre risarcito laddove vi siano (e siano provati e la presunzione e un mezzo di prova al pari degli altri) i pregiudizi di natura esistenziale; Il Collegio, infatti, expressis verbis afferma: anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare è risarcibile Sarà compito del Giudice personalizzare il danno a seconda delle risultanze processuali; In pratica il pregiudizio morale e il pregiudizio esistenziale dovranno essere adeguati al caso concreto: si parla, infatti, di equità circostanziata. Ne consegue, che la personalizzazione, nel caso di specie, ha ad oggetto: a. il profilo interno (il danno morale e quindi la sofferenza soggettiva) b. il profilo esterno (l aspetto dinamico, relazionale, esistenziale); In merito al danno morale dei familiari del danneggiato in ipotesi di decesso, si tratta di danni riflessi, in quanto la vittima è diversa da quella che richiede il danno; tuttavia, i richiedenti nella loro qualità di congiunti della vittima e quindi in virtù della relazione affettiva che li legava al

253 marito.-padre,. vittima primaria dell illecito, secondo l id quod plerumque accidit, riportano un intensa sofferenza morale per la perdita del congiunto. Nel caso di specie è, purtroppo, ovvio che il dolore causato ai tre figli dei quali due allora minorenni e alla giovane moglie è da intendersi nella gradazione più alta, dato il grado di parentela, la situazione di convivenza, e il ruolo di particolare rilevanza che nel nucleo familiare marocchino di religione musulmana ha il padre (si è detto poc anzi che solo pochi anni fa la donna ha acquistato la pari dignità del marito all interno del nucleo familiare); Si tratta della lesione di un vero e proprio diritto con fondamento costituzionale (artt. 2, 29 e 30 Costituz) sinteticamente riassunto in danno da perdita del rapporto parentale, derivante dalla violazione del diritto, in definitiva, all intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell ambito della famiglia (cfr Cass n.11761/2006; 13546/2006) Nel caso in esame, come in quelli sottoposti alla cognizione della Cassazione nelle due storiche sentenze del 2003 (laddove è precisato che si deve ritenere ormai acquisito all ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di danno non patrimoniale inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come danno morale soggettivo ) l interesse leso è quello alla intangibilità degli affetti e della reciproca solidarietà nell ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Costituzione. Nel caso concreto, tuttavia, i signori C. non hanno offerto di provare in che modo ed in che misura la loro esistenza sia mutata (in peggio) a seguito della morte di C.: sicchè sulla base della presunzione di fatto, con dignità di prova, relativa alle sofferte conseguenze derivanti dalla perdita del congiunto e, conseguentemente, della lesione della sfera degli affetti quali diritti costituzionalmente garantiti, si osserva quindi, data l improvvisa e traumatica perdita del marito e padre è verosimile che tale fatto abbia sconvolto profondamente le abitudini di vita, privando improvvisamente la moglie del compagno di vita, del suo sostegno e affetto giornaliero, e privando i figli del contributo di esperienza, dei consigli, dell affetto di un padre ancora giovane; Ciò posto, a ciascuno degli attori va senz altro riconosciuto iure proprio il danno morale soggettivo ossia il ristoro delle sofferenze morali patite in conseguenza della perdita traumatica del congiunto; Come detto dalle sezioni unite, i pregiudizi esistenziali seppure non costituiscono autonoma categoria di danno, vanno comunque integralmente risarciti e, come sopra illustrato, va anche risarcito il danno esistenziale; Pare ragionevole ipotizzare che il C., laddove in vita, avrebbe provveduto a destinare almeno 1/3 di quanto da lui stesso guadagnato per soddisfare bisogni propri, lasciando a disposizione del nucleo familiare i restanti 2/3, pari ad euro 9.721,57 annuali e, quindi, è ipotizzabile ritenere che di tale parte i restanti membri della famiglia ne avrebbero beneficiato in parti uguali, ovvero ciascuno per ¼ dei citati 2/3. Più specificamente, ognuno quindi avrebbe fruito di 2/3 X ¼ cioè 1/6. a.) Il figlio primogenito C. M. C. M. sarebbe stato mantenuto dal padre per due anni considerata la nota difficoltà di inserirsi nel mondo del lavoro per un giovane. In seguito alla morte di C., M., figlio di anni 19, ha subito un danno che va liquidato come segue: Il reddito del defunto nell'ultimo anno va considerato pari a ,36 (pari a L ) (reddito effettivo). La quota di reddito attribuibile al congiunto è pari a 1/6 per un importo pari ad ,39 (pari a L ). Il criterio prescelto è quello di calcolare il reddito perso per un periodo di 2 anni, capitalizzato ad oggi (formula finanziaria del Valore Attuale) al tasso del 3,00%. La misura del reddito perso è pari ad ,48 (pari a L ). b) Il figlio J. In seguito alla morte di C., J., di anni 17, ha subito un danno che va liquidato come segue:

254 Il reddito del defunto nell'ultimo anno va considerato pari a ,36 (pari a L ) (reddito effettivo). La quota di reddito attribuibile al congiunto è pari a 1/6 per un importo pari ad ,39 (pari a L ). Il criterio prescelto è quello di calcolare il reddito perso per un periodo di 4 anni, capitalizzato ad oggi (formula finanziaria del Valore Attuale) al tasso del 3,00%. La misura del reddito perso è pari ad ,00 (pari a L ). c)la figlia K. In seguito alla morte di C., K., di anni 14, ha subito un danno che va liquidato come segue: Il reddito del defunto nell'ultimo anno va considerato pari a ,36 (pari a L ) (reddito effettivo). La quota di reddito attribuibile al congiunto è pari a 1/6 per un importo pari ad ,39 (pari a L ). Il criterio prescelto è quello di calcolare il reddito perso per un periodo di 7 anni, capitalizzato ad oggi (formula finanziaria del Valore Attuale) al tasso del 3,00%. La misura del reddito perso è pari ad ,02 (pari a L ). d)la moglie A.. In seguito alla morte di C., la moglie A., di anni 39, ha subito un danno che va liquidato come segue: Il reddito del defunto nell'ultimo anno va considerato pari a ,36 (pari a L ) (reddito effettivo). La quota di reddito attribuibile al congiunto è pari a 1/6 per un importo pari ad ,39 (pari a L ). Il criterio prescelto è quello di calcolare il reddito perso per un periodo di 35 anni (ritenuto, sulla scorta di quanto accade normalmente, che il marito avrebbe provveduto al mantenimento della moglie anche oltre il termine della vita lavorativa e anche successivamente al pensionamento), capitalizzato ad oggi (formula finanziaria del Valore Attuale) al tasso del 3,00%. La misura del reddito perso è pari ad ,32 (pari a L ). I danni patrimoniali sono stati liquidati in ,82; tale liquidazione è stata determinata con riferimento al redditi percepito dal danneggiato con riferimento alla data del sinistro e, di conseguenza, i valori monetari liquidati vanno presi direttamente nel loro importo come sopra determinato (senza necessità di procedere a rivalutazioni o devalutazioni). A tale somma complessiva occorre sottrarre l importo già corrisposto dall assicurazione (dopo la notifica del pignoramento presso terzi); nel corso del procedimento, infatti, si è provveduto a liquidare il danno patrimoniale provvisoriamente individuando una somma di denaro da devolversi, in via provvisionale, agli attori. Tale danno è stato definitivamente quantificato nelle maggiori somme più sopra accertate. L assicurazione ha versato, in corso di causa (dopo la notificazione del pignoramento presso terzi) un importo a titolo di acconto e cioè euro ,62; L assicurazione dovrà, dunque, corrispondere a titolo di danno patrimoniale l importo di euro ,2 (e specificamente: euro 775,15 a C. M., euro 274,58 a C. J., euro 1265,63 a C. K., euro ,84 a C. A.); oltre euro 3.825,84 per le spese funerarie e le spese relative all auto; In merito al danno non patrimoniale, dovendo fare ricorso inevitabilmente al criterio equitativo, si evidenzia quanto segue. A ciascuno degli attori va senz altro riconosciuto il danno non patrimoniale comprensivo sia del pregiudizio di ordine morale, consistito nell acuta sofferenza per la perdita repentina e violenta di un congiunto (rispettivamente padre e marito), sia del pregiudizio esistenziale consistito nella mancanza, per il futuro, di un marito e di un padre e quindi dell insieme di apporti relazionali, affettivi e di consuetudine di vita quotidiana che incidono significativamente sulla qualità dell esistenza di uno stretto congiunto, oltrechè allorchè si tratti di minore sulla sua crescita equilibrata e serena. In particolare, in riferimento al pregiudizio esistenziale e alle attività compresse nei figli si fa riferimento ai giochi col padre, agli insegnamenti quotidiani, alla vita nell ambiente naturale (gite,

255 esplorazioni ecc), ai viaggi, ai racconti di vita vissuta, alla cultura popolare orale, al racconto della terra d origine, al sostegno e al conforto nei momenti difficili, all aiuto nello studio, alla protezione contro malintenzionati, alle feste insieme. Tale danno viene equitativamente determinato sulla scorta delle tabelle del tribunale di Milano che vengono ritenute congrue dai giudici di merito e sulla base delle circostanze acquisite nel procedimento de quo. Per la liquidazione del pregiudizio di ordine morale ed esistenziale si è fatto ricorso alle tabelle e sono state considerate le circostanze del caso concreto (in particolare età degli attori e la convivenza con il marito-papà); E quindi: 1. Il figlio M. Compete al figlio M. la somma di euro ,00 in ordine al pregiudizio morale e la somma di euro ,00 in ordine al pregiudizio esistenziale, oltre euro ,66 a titolo di interessi e rivalutazione monetaria calcolati dal sino ad oggi; 2. Il figlio J. Compete al figlio J. la somma di euro ,00 in ordine al pregiudizio morale e la somma di euro ,00 in ordine al pregiudizio esistenziale; A tale somma deve essere aggiunto l importo di euro 4.735,91 a titolo di danno biologico, l importo di euro 39,00 per I.T.T., l importo di euro 800,00 per invalidità temporanea al 45%, importo di euro 101,2 per invalidità temporanea al 25% ed euro 2.367,5 per il pregiudizio morale, liquidato pari a ½ del valore del danno biologico e così, complessivamente, euro 8.043,61; tenuto conto delle risultanze della C.T.U. (danno biologico 4-5%), redatta dal Dott. Barral, esaustiva e non contradditoria. A tali somme occorre aggiungere l importo di euro ,00 a titolo di interessi e rivalutazione monetaria dalla data del sinistro sino ad oggi; La figlia K. Compete alla figlia K. la somma di euro ,00 per il pregiudizio morale e la somma di euro ,00 per il pregiudizio esistenziale, oltre la somma di euro ,25, a titolo di interessi e rivalutazione monetaria, calcolati dal sino ad oggi;; 3. La moglie A. Compete alla moglie A. la somma di euro ,00 per il pregiudizio morale e la somma di euro ,00 per il pregiudizio esistenziale, oltre la somma di euro ,31 a titolo di interessi e rivalutazione monetaria calcolati dal sino ad oggi; Su tutti gli importi liquidati in ordine al danno non patrimoniale, come poc anzi esposto, vertendosi pacificamente in ipotesi di debito di valore, è stata compiuta la rivalutazione monetaria, secondo indici ufficiali Istat prezzi al consumo, da dì del fatto ad oggi, e sono stati calcolati gli interessi legali sulla somma dovuta, via via rivalutata (cfr Cass. 5503/2003). Le spese seguono la soccombenza; nella loro liquidazione si è tenuto conto della complessità della causa che ha comportato lo studio del diritto marocchino. Il difensore degli attori ha chiesto la distrazione delle spese in suo favore affermando di avere anticipato gli esposti e non avere incassato i diritti e gli onorari (art.93 c.p.c.); PQM Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando; -Dichiara T. M. unico ed esclusivo responsabile dell incidente stradale accaduto il sulla Strada Regionale 23; -Dichiara tenuti e condanna la s.p.a. (...) Assicurazioni, T. M. e T. P. al pagamento, in solido tra loro, delle seguenti somme: A) euro ,81 in favore di C. M., oltre gli interessi da domani al saldo; B) euro ,19 in favore di C. J., oltre gli interessi da domani al saldo; C) euro ,88 in favore di C. K., oltre gli interessi da domani al saldo; D)euro ,99 in favore di C. A., oltre gli interessi da domani al saldo;

256 -Condanna la predetta società assicuratrice in solido con T. M. e T. P. al pagamento delle spese di lite sostenute dagli attori che liquida in complessivi euro ,87, di cui euro 6.764,53 per diritti, euro 1.184,34 per spese ed euro ,00 per onorari di avvocato, oltre il 12,50% delle spese generali, IVA e CPA, con distrazione delle spese legali a favore del difensore degli attori.

257 VOLUMI DI RIFERIMENTO. Gli editori hanno acconsentito ad una promozione per i partecipanti al convegno leccese. per richieste di acquisto in promozione inviare una a giussrl@hotmail.com, con oggetto convegno lecce prof. cassano PER L INQUADRAMENTO DEL NUOVO DANNO NON PATRIMONIALE, E LA RICHIESTA DELLA SINGOLA TIPOLOGIA DI DANNI (BIOLOGICO, MORALE ED ESISTENZIALE), E TUTTA LA GIURISPRUDENZA IN TEMA (CON RELATIVA CASISTICA E SCHEMI PER LA LIQUIDAZIONE), cfr. Le prove e la liquidazione dei danni non patrimoniali dopo le S.U. di CASSANO GIUSEPPE 45 euro, invece di 58,00 IVA inclusa L'opera, aggiornata con le ultime sentenze delle S.U. sul danno non patrimoniale, traccia le linee guida per identificare le prove per il risarcimento e la liquidazione del danno. La Suprema Corte ha ricordato a tutti quali sono i pilastri del risarcimento in tema di danno non patrimoniale, e cioè il principio del "risarcimento integrale", e la necessità, dunque, di tener conto degli "aspetti relazionali" della persona (ad es. in tema di famiglia, di lavoro, ma non solo). Occorrerà nei singoli casi concreti dimostrare l'evento lesivo e chiedere il conseguente risarcimento anche del danno non patrimoniale per aver l'evento stesso leso un diritto costituzionalmente tutelato. Tra gli argomenti trattati citiamo: Il danno esistenziale come danno-evento: la prova della sola lesione del diritto costituzionalmente tutelato e non delle conseguenze; Il danno esistenziale fra danno-evento e danno-conseguenza. L'obiezione (mancata) in relazione al principio di colpevolezza ed alla sovrapposizione con il danno morale; La giurisprudenza della Cassazione in tema di danno non patrimoniale ed esistenziale dal 2006 alle S.U., nn /2008 e seguenti. Si analizza in modo specifico la figura del danno non patrimoniale nelle singole materie: Lesioni fisiche e perdita della vita; Rapporti di lavoro; Vacanza rovinata; Immissioni; Rapporti di parentela; Incidenti stradali; Lesione dell'immagine; Irragionevole durata del processo; Procreazione e nascite; Responsabilità professionale; Molestie; Concorsi; Danni alla p.a.; Diffamazione; Protesto; Mobbing; Lite temeraria; Responsabilità professionale medica; Infortunio sul lavoro; Demansionamento di un dipendente pubblico; Cartolina precetto illegittima. Conclude l'analisi una pratica TABELLA che riporta nel dettaglio il quantum liquidato come risarcimento del danno esistenziale nei precedenti giurisprudenziali.

258

259 PER CHIEDERE I DANNI NON PATRIMONIALI NELL AREA CONTRATTUALE E DELLE OBBLIGAZIONI, cfr. PER CHIEDERE I DANNI NON PATRIMONIALI NELL AREA DEL DIRITTO DEL LAVORO, cfr. PER CHIEDERE I DANNI NON PATRIMONIALI NELL AREA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA, cfr.

260 PER CHIEDERE I DANNI NON PATRIMONIALI NELL AREA DELLA CIRCOLAZIONE STRADALE E PER TUTTI I TEMI DELL INFORTUNISTICA (PROVA E RICOSTRUZIONE DEL SINISITRO), cfr.

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