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- Beatrice Grossi
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1 copyleft.2016.nicolazuin La CRITICA DELLA RAGION PRATICA di Kant
2 Ragion Teoretica e Ragion Pratica La ragione è teoretica in quanto conosce. In quanto dirige le azioni, la ragione è pratica. Nella Critica della Ragion pura Kant ha critica le pretese della ragione teoretica di trascendere l'esperienza Nella Critica della Ragion pratica, Kant critica le pretese opposte della ragion pratica di restar legata sempre e solo all'esperienza. copyleft.2016.nicolazuin
3 I limiti della Ragion Pratica pura La ragione pratica, nella sua parte pura, non ha bisogno di essere criticata perché si comporta in modo perfettamente legittimo, obbedendo ad una legge universale. Ciò non significa che essa sia priva di limiti: infatti, la morale risulta profondamente segnata dalla finitudine dell'uomo e deve essere salvaguardata dal fanatismo, ossia dalla presunzione di identificarsi con l'attività di un essere infinito. copyleft.2016.nicolazuin
4 La legge morale La Critica della ragion pratica si fonda sulla persuasione che esista, scolpita nell'uomo, una legge morale a priori, valida per tutti e per sempre. Infatti: o la morale è una chimera, in quanto l'uomo agisce in virtù delle sole inclinazioni naturali, oppure, se esiste, risulta per forza incondizionata, presupponendo una ragion pratica "pura", cioè capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e di guidare la condotta in modo stabile. copyleft.2016.nicolazuin
5 libertà e legge morale L assolutezza (o incondizionatezza) della morale implica due concetti strettamente legati tra loro: la libertà dell'agire e la validità universale e necessaria della legge. copyleft.2016.nicolazuin
6 Per Kant la morale è ab-soluta, cioè sciolta dai condizionamenti (degli istinti), non nel senso che possa prescinderne, ma perché è in grado di de-condizionarsi rispetto a essi. ragione e sensibilità La morale si gioca infatti all'interno di una tensione tra ragione e sensibilità. Se l'uomo fosse esclusivamente sensibilità, ossia animalità e impulso, essa non esisterebbe, perché l'individuo agirebbe sempre per istinto. Se l'uomo fosse pura ragione, la morale perderebbe ugualmente di senso, in quanto l'individuo sarebbe sempre in quella che Kant chiama «santità» etica, ovvero in una situazione di perfetta adeguazione alla legge. La bidimensionalità dell'essere umano fa sì che l'agire morale prenda la forma severa del «dovere» e si concretizzi in una lotta permanente tra la ragione e gli impulsi egoistici. copyleft.2016.nicolazuin
7 massime e imperativi Kant distingue i «principi pratici» in «massime» e «imperativi». La massima è una prescrizione di valore puramente soggettivo, cioè valida esclusivamente per l'individuo che la fa propria. L'imperativo è una prescrizione di valore oggettivo, ossia che vale per chiunque. Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini e hanno la forma del "se... devi". L'imperativo categorico, invece, ordina il dovere in modo incondizionato, ossia a prescindere da qualsiasi scopo, e ha la forma del "devi" puro e semplice. copyleft.2016.nicolazuin
8 l imperativo categorico Solo l'imperativo categorico, in quanto incondizionato, ha i connotati della legge, ovvero di un comando che vale in modo perentorio per tutte le persone e per tutte le circostanze (universalità). Solo l'imperativo categorico, che ordina un "devi" assoluto, e quindi universale e necessario, ha in se stesso i contrassegni della moralità. copyleft.2016.nicolazuin
9 il formalismo dell imperativo categorico L imperativo categorico, in quanto incondizionato consiste nell'elevare a legge l'esigenza stessa di una legge. E poiché dire legge è dire universalità, esso si concretizza nella prescrizione di agire secondo una massima che può valere per tutti. «Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale». (Critica della ragion pratica, A 54) copyleft.2016.nicolazuin
10 l imperativo categorico e la dignità dell uomo Nella Fondazione della metafisica dei costumi offre altre due formulazioni dell imperativo categorico: «Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo». (Fondazione della metafisica dei costumi, BA 67) Essere "fine significa per la persona essere sempre soggetto e mai oggetto, tant è vero che Kant sostiene che la morale istituisce un «regno dei fini», ossia una comunità ideale di libere persone, che vivono secondo le leggi della morale e si riconoscono dignità a vicenda.
11 la volontà autolegislatrice «agisci in modo tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice» (Fondazione della metafisica dei costumi, BA 76) L'autonomia della volontà significa che il comando morale non è un imperativo esterno ma il frutto spontaneo della volontà razionale (autolegislatrice): ognuno è suddito e legislatore al tempo stesso.
12 la legge morale è formale Caratteristica strutturale dell'etica kantiana è la formalità, in quanto la legge non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo fare ciò che facciamo. Se non fosse formale, bensì "materiale", e prescrivesse quindi dei contenuti concreti, sarebbe "vincolata" a essi,
13 la legge morale è antiutilitaristica Il carattere formale e incondizionato della legge morale fa tutt'uno con il suo carattere anti-utilitaristico. Se la legge ordinasse di agire in vista di un fine o di un utile, si ridurrebbe a un insieme di imperativi ipotetici e comprometterebbe la libertà stessa dell agire: Non si deve agire per la felicità, ma solo per il dovere: «Dovere! Nome sublime e grande, che non porti con te nulla di piacevole che importi lusinga; ma esigi la sottomissione; che tuttavia non minacci nulla [...] ma presenti semplicemente una legge che penetra da sé sola nell'animo e si procura venerazione».
14 la morale dell intenzione La morale implica una partecipazione interiore, altrimenti rischia di scadere in atti di legalità ipocrita oppure in forme più o meno mascherate di autocompiacimento. Kant sostiene dunque che non è morale ciò che si fa, ma l'intenzione con cui lo si fa
15 noumeno e fenomeno Il dovere e la volontà buona, secondo Kant, innalzano l'uomo al di sopra del mondo sensibile (fenomenico), in cui vige il meccanismo delle leggi naturali, e lo fanno partecipare al mondo intelligibile (noumenico), in cui vige la libertà.
16 noumeno e fenomeno Questa noumenicità del soggetto morale non significa tuttavia l'eliminazione di ogni legame con il mondo sensibile. Anzi, la noumenicità dell'uomo esiste solo in relazione alla sua fenomenicità, in quanto il mondo soprasensibile, per lui, esiste solo come forma del mondo sensibile.
17 la rivoluzione copernicana della morale Kant compie così una "rivoluzione copernicana morale", ponendo nell'uomo e nella sua ragione il fondamento dell'etica. la libertà: in senso negativo, risiede nell'indipendenza della volontà dalle inclinazioni, in senso positivo, si identifica con la sua capacità di autodeterminarsi, ossia nella prerogativa autolegislatrice della volontà, la quale fa sì che l'umanità sia norma a se stessa.
18 felicità, dovere e sommo bene Nella Dialettica Kant prende in considerazione l'assoluto morale (o sommo bene) cui tende irresistibilmente la nostra natura. La felicità non può mai erigersi a motivo del dovere, perché in tal caso metterebbe in forse l'incondizionatezza della legge etica. La virtù, pur essendo il "bene supremo", non è ancora, secondo Kant, il "sommo bene, Il sommo bene consiste, nella somma di virtù e felicità. (C è in noi il bisogno di pensare che l'uomo, pur agendo per dovere, possa anche essere degno di felicità).
19 l antinomia etica virtù e felicità, tuttavia, in questo mondo non sono mai congiunte: lo sforzo di essere virtuosi e la ricerca della felicità sono due azioni distinte e per lo più opposte, in quanto l'imperativo etico implica la sottomissione delle tendenze e dell egoismo (mentre la felicità consiste nella loro realizzazione). Virtù e felicità costituiscono l'antinomia etica per eccellenza. L'unico modo per uscire da tale antinomia è di "postulare" un mondo dell'aldilà in cui possa realizzarsi l'equazione "virtù = felicità".
20 I postulati sono i postulati della ragion pratica proposizioni teoretiche non dimostrabili che ineriscono alla legge morale come condizione della sua stessa esistenza e pensabilità, ovvero quelle esigenze interne della morale che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa, ma che di per se stesse non possono venir dimostrate. I postulati tipici di Kant sono l'immortalità dell'anima l'esistenza di Dio.
21 i postulati della ragion pratica: La realizzazione del sommo bene (santità) implica il postulato dell'immortalità : poiché solo la santità, cioè la conformità completa della volontà alla legge, rende degni del sommo bene e poiché la santità non è mai realizzabile nel nostro mondo, si deve per forza ammettere che l'uomo, oltre il tempo finito dell'esistenza, possa disporre, in un'altra zona del reale, di un tempo infinito grazie a cui progredire all'infinito verso la santità. La felicità proporzionata alla virtù, comporta il postulato dell'esistenza di Dio, ossia la credenza in una «volontà santa ed onnipotente», che faccia corrispondere la felicità al merito.
22 Accanto ai due postulati "religiosi" dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio, Kant afferma la necessità di riconoscere un altro postulato: la libertà. la libertà è infatti la condizione stessa dell'etica, la quale, proprio perchè prescrive il dovere, presuppone anche che si possa agire o meno in conformità di esso e che quindi si sia sostanzialmente liberi. «Devi, dunque puoi» la libertà Mentre la libertà è la condizione stessa dell'etica l'immortalità e Dio rappresentano soltanto delle condizioni ipotetiche affinché la morale trovi, in un altro mondo, quella realizzazione che in questo le è negata.
23 morale e religione non sono le verità religiose a fondare la morale, ma è la morale, sia pure sotto forma di "postulati", a fondare le verità religiose. Dio, non sta all'inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine, come suo possibile completamento. L'uomo morale è colui che agisce seguendo solo il dovere-per-il-dovere, con, in più, la «ragionevole speranza» nell'immortalità dell'anima e nell'esistenza di Dio.
24 il male radicale Nella natura dell'uomo, accanto a una propensione al bene (testimoniata dalla presenza della legge morale), vi è un'ineliminabile inclinazione al male: è quello che Kant chiama il male radicale. non significa per Kant presupporre una forza estranea alla volontà (che non sarebbe imputabile all'uomo) né identificare il male con l'istinto naturale (che non è valutabile in termini morali). Il male radicale è quella tendenza, dovuta alla finitezza e alla fragilità dell'essere umano, ad adottare una massima di comportamento contraria alla legge, pur essendo consapevole della legge
25 morale e grazia Come il male morale sia comparso per la prima volta è incomprensibile per noi. Altrettanto incomprensibile è allora come possa essere «che un uomo naturalmente cattivo si renda da se stesso buono». E tuttavia noi sappiamo che dobbiamo divenire migliori, e quindi anche che possiamo farlo: e farlo da noi stessi, perché l'idea di un aiuto sovrannaturale, come grazia, è «difficilmente compatibile con la nostra ragione», oltre che pericolosa, in quanto può ingenerare indolenza morale.
26 una chiesa invisibile È necessario che venga istituita una «comunità etica», un'associazione di uomini sotto «le sole leggi della virtù», perché è proprio nella dimensione della socialità che il male si esprime con maggior forza. Questa comunità etica è una chiesa invisibile La religione di questa chiesa è la religione naturale, che consiste in una «semplice fede della ragione».
27 religione naturale e religioni storiche La religione naturale è una sola, in quanto «concetto pratico della ragione», ma se si esprime poi nelle diverse confessioni religiose che «il caso ha fatto capitare sotto mano». Quando la vita religiosa "empirica" si allontana dalla fede razionale pura si determinano degenerazioni: il feticismo, la superstizione, il fanatismo
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