Italiano La poesia. Che cosa è la poesia?

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1 Italiano La poesia Che cosa è la poesia? Dovendo parlare di poesia, sembrerebbe il minimo riuscire a rispondere a questa domanda. Tuttavia dubiterei di chiunque mi si presenti davanti certo di avere la risposta. Sembra molto più utile, e onesta, l'affermazione che un filosofo e religioso del IV secolo d. C., gostino d'ippona (noto ai più come Sant'gostino), fece quando cercava di definire, spiegandolo, cosa fosse il tempo: «Se nessuno me lo domanda io lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domando non lo so più». Sembra un paradosso, una soluzione sbrigativa. Ma chi mi garantisce che tra i due testi che ora andrò a proporre una è una poesia e l'altra no? Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di Sole: ed è subito sera (Salvatore Quasimodo, Ed è subito sera) Lavasbianca è fantasmatico l'uso è facile ed è pratico ti dà il bianco insuperatico sui tessuti è delicatico Lavasbianca è fantasmatico. (Pubblicità di Lavasbianca) nche se non sapessi che la prima è una poesia di Salvatore Quasimodo e la seconda una pubblicità di uno sbiancante, non avrei dubbi a rispondere alla domanda quale delle due è una poesia?. Quando però mi si chiede se una canzone di De ndre' o di Vasco Rossi o dei Joy Division possa o no essere considerata una poesia il discorso diventa più complicato (e non intendo svolgerlo ora). Quindi primo assioma è: diffida di chi ha verità e risposte certe su qualunque argomento, specialmente sulla poesia e l'arte in generale. Tuttavia ci sono degli aspetti formali che sarebbe opportuno conoscere per parlare più agevolmente della poesia. Si noti: non intendo dire che è fondamentale conoscerli per capire una poesia, ma, come nella musica, più cose si sanno meglio è: poi sta a noi non diventare dei bacchettoni. Noi stiamo lavorando per ottenere strumenti critici per imparare ad analizzare alcune poesie, per svelare qualche meccanismo o trucco. La prima cosa che salta agli occhi è una annotazione tipografica. Quale di questi testi è poesia e quale è prosa? E nella notte nera come il nulla a un tratto, col fragor d'arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò infranto, e poi vanì. Soave allora un canto s'udì di madre, e il moto di una culla. E nella notte buia come il nulla ad un tratto, come il frastuono di una rupe che frana dall alto, il tuono rintronò risuonando, facendo eco e rotolando nella notte, ma subito smise e poi rumoreggiò lontano nella notte come un onda di mare che si infrange sopra gli scogli. Ma svanì nuovamente. quel punto si sentì il dolce canto di una madre ed il rumore del dondolio della culla del suo bimbo

2 I due testi hanno lo stesso contenuto, ma sono certo che tutti risponderanno che il primo è una poesia (per la precisione Il tuono di Giovanni Pascoli), mentre la seconda è la sua traduzione in prosa, cioè la parafrasi. Cosa ci fa essere così sicuri di questa risposta? Sicuramente l'andare a capo, il prolungarsi in verticale. Possiamo chiamare questo andare a capo col termine verso. La poesia è quindi, nella maggioranza dei casi, composta di versi. Ma a cosa serve andare a capo? Serve a occupare spazio e a sprecare carta? ndare a capo serve per sottolineare una certa ritmicità, una musicalità che fin dalle sue origini la poesia ha. Perché musicalità? cosa serve che un testo abbia o no musicalità? Principalmente la musicalità serve per rendere il più possibile memorizzabile la poesia stessa. La scrittura, e la stampa, sono due fatti relativamente recenti nella storia dell'uomo. I primi esempi di poesia occidentale, Iliade e Odissea, risalgono a due millenni prima della nascita di Cristo, quando la scrittura era ancora sconosciuta in Grecia. Questi poemi, che sono all'origine di tutta la nostra cultura, per secoli e secoli sono stati tramandati oralmente. Un po' come avviene oggi con i testi delle canzoni che possono essere memorizzati e trasmessi a chiunque da chiunque. Perché un pezzo Rap è facilmente memorizzabile? Perché ha una struttura che si ripete e degli accenti che tornano. Lo stesso vale per la poesia. Prendiamo la poesia di Pascoli, il primo verso: E nella notte nera come il nulla Dividiamolo in sillabe: E-nel-la-not-te-ne-ra-co-mil-nul-la le sillabe me e il si uniscono per un fenomeno che incontreremo più avanti e di cui ora non staremo a parlare. Questo verso è composto di undici sillabe ed è chiamato endecasillabo. Da Dante in poi questo tipo di verso acquisterà sempre più importanza tanto che è possibile affermar che l'endecasillabo è il verso più famoso di tutta la tradizione poetica italiana. Per chiamarsi endecasillabo non basta che un verso abbia solo undici sillabe. Occorre che abbia degli accetti disposti su alcune determinate sillabe. L'ultima parola del verso che abbiamo appena visto, nulla, è accentata sulla prima sillaba nu, quindi possiamo dire che sicuramente un endecasillabo deve avere l'accento finale sulla decima sillaba. E-nel-la-not-te-ne-ra-co-mil-nul-la Possiamo senz'altro dire che è più importante che un endecasillabo abbia l'accento sulla decima sillaba piuttosto che abbia undici sillabe. Prendiamo questo verso: Il nuovo professore ha nome Stefano. Stefano, il mio nome, è una parola sdrucciola. Questo vuol dire che l'accento cade sulla terzultima sillaba. Ste-fa-no. Prendiamo il verso, dividiamolo in sillabe e indichiamo l'ultimo accento: Il-nuo-vo-pro-fes-so-ra-no-me-Ste-fa-no Nuovamente, la sillaba ha e la sillaba re, si fondono e vengono contate come una. Ma quello che più ci interessa è che qui le sillabe non sono undici, ma dodici. Tuttavia questo verso è un endecasillabo

3 perché ha l'accento finale sulla decima sillaba. L'aver parlato delle parole sdrucciole ci dà l'occasione di riassumere le tre tipologie di parole presenti nella lingua italiana: parole piane: che hanno l'accento sulla penultima sillaba: ca-ne, gat-to parole tronche: che hanno l'accento sull'ultima sillaba. Tra l'altro è l'unico caso in cui si indica la sillaba accentata con un accento: caf-fè, per-ché, pu-rè. parole sdrucciole: come abbiamo detto, sono parole che hanno l'accento sulla terzultima sillaba: Napo-li, Em-po-li, luc-cio-le, pol-ve-re, pol-li-ne Da quanto detto sopra, risulta che se un endecasillabo termina con una parola piana è composto da undici sillabe, se termina con una parola sdrucciola da dodici e se termina con una parola tronca da dieci. Vediamo un esempio di endecasillabo con parola tronca finale: affiora quel tuo aroma di caffè af-fio-ra-quel-tua-ro-ma-di-caf-fé nche in questo caso si uniscono tuo ad a... TR DUE PROLE: Sinalefe e Dialefe È giunto il momento di spiegare il fenomeno per cui quando una parola terminante in vocale è seguita da una parola che inizia per vocale nel conteggio delle sillabe, spesso, una delle due vocali si elide (cioè cade) e al posto di contare due sillabe ne contiamo una. Questo fenomeno ha nome sinalefe. Es: nel muto orto solingo (Carducci) muto termina con o mentre orto inizia con o. Quando andiamo a dividere in sillabe otteniamo: nel-mu-toor-to-so-lin-go Il fenomeno contrario si chiama dialefe. Questo si verifica quando la vocale finale e quella iniziale di due parole contigue non si uniscono, ma restano distinte e formano due sillabe. Questo, di norma, avviene quando entrambe le sillabe sono toniche cioè dotate di accento. Es: incominciò a farsi più vivace (Dante, Paradiso, XXVII, 12) incominciò è una parola tronca che ha l'accento quindi sull'ultima vocale. nche a, essendo un monosillabo ha l'accento. Quando divideremo in sillabe, perciò, otterremo: in-co-min-ciò-a-far-si-più-vi-va-ce Spesso, ci aiuta sapere in quale struttura metrica ci troviamo. Sappiamo che tutta la Commedia dantesca è in endecasillabi. Se leggiamo il verso sopra e, nel computo, ci tornano dieci sillabe dovremo capire che è necessario applicare la dialefe. Se leggiamo il verso precedente di Carducci e sappiamo che dovrebbe essere un settenario ma ci tornano otto sillabe dobbiamo controllare di non aver lasciato una sinalefe. DENTRO L PROL: Sineresi e Dieresi volte accade che all'interno di una parola due vocali vicine vengano considerate una sola, anche se

4 non formano un dittongo (es di dittongo: pia-nu-ra; pas-sio-ne); morte bella parea nel suo bel viso (Petrarca, Trionfo della morte) Qui la divisione corretta, che ci consente di avere un endecasillabo, prevede che ea di parea e uo di suo vengano fuse e considerate una sola sillaba: mor-te-bel-la-pa-rea-nel-suo-bel-vi-so Il fenomeno opposto si chiama dieresi e si verifica quando due vocali contigue, che normalmente costituiscono un dittongo, vengono considerate separate; la dieresi può essere evidenziata da due puntini posti sulla prima delle due vocali. Es: O grazïosa luna or mi rammento (Leopardi, lla luna). O-gra-zï-o-sa-lu-naor- mi-ram-men-to Si noti come in questo verso leopardiano si abbia anche il fenomeno della sinalefe tra luna e or. STRUTTUR DELL'ENDECSILLO: a minore e a maiore. Sull'endecasillabo possiamo aggiungere che deve sempre avere (almeno fino al Novecento) altri due accenti: uno sulla quarta sillaba e uno sulla sesta. Non devono per forza coesistere: si può avere un endecasillabo 4^ e 10^ sillaba accentata e lo chiameremo a minore. Se invece ha 6^ e 10^ accentata lo chiameremo a maiore. Esempio di endecasillabo a minore: non so perché t'impedisca di amare (4, 7, 10) Esempio di endecasillabo a maiore: il preside ci fa tutti sospendere (6 e 10 e dodici sillabe perché ultima parola sdrucciola) I versi più importanti della tradizione poetica italiana sono l'endecasillabo e il settenario. IL SETTENRIO Il settenario è un verso il cui ultimo accento cade sempre sulla sesta sillaba. Data la scarsità di sillabe, a differenza dell'endecasillabo, nel settenario gli altri accenti possono cadere ovunque. nche qui se l'ultima parola è piana avrà sette sillabe, se è tronca sei, se sdrucciola otto. Chissà perché non ridi sette sillabe Vuoi prendere un caffè sei sillabe mi sembri poco lucido otto sillabe Non stupitevi se endecasillabi o settenari possono sembrare frasi normali. Spesso, mentre parliamo, senza rendercene conto, componiamo endecasillabi e settenari. nche per questa loro facilità e naturalezza sono i versi principi della poesia italiana. Non solo, in passato era comune scrivere in versi addirittura trattati anche scientifici, proprio per sfruttare la musicalità del verso (e quindi la capacità di memorizzare il contenuto). Comunque tra disporre, accentandole, delle sillabe e fare un verso poetico ce ne passa... ma sapere questi rudimenti è utile e bello per apprezzare la poesia e per provare a farla. Ora, la poesia non deve seguire per forza la metrica. Molti poeti hanno attraversato delle fasi. lcuni

5 hanno scritto seguendo la metrica per poi abbandonarla; altri hanno iniziato senza metrica per poi finire periti metrici! In ogni caso è bene conoscerla per scegliere se usarla o meno. Per noi lettori, poi, è basilare conoscere che forma metrica andiamo leggendo. Non tanto per imparare a leggere meglio, ma per capire che registro stilistico sta utilizzando il poeta. Fin da Dante, infatti, a ogni forma metrica è associata maggiore o minore solennità. Una forma canzone, per esempio, è la forma più alta e solenne di tutta la poesia fino, almeno, al Novecento. Un sonetto può essere sia un componimento profondo e intenso (si pensi ai bellissimi sonetti di Foscolo), ma può anche essere utilizzato per scherzi e battibecchi tra poeti (si pensi a Cecco ngiolieri, Trilussa o alla famosa tenzone dantesca con Forese Donati). Per parlare delle forme metriche, però, dobbiamo parlare prima di come possono raggrupparsi i versi e di un altro famosissimo aspetto della poesia: la rima. Un raggruppamento di versi si chiama strofa. nche se i singoli versi possono avere un significato compiuto, spesso il poeta senta il bisogno di organizzare in strofe il suo pensiero. Graficamente le strofe sono riconoscibili a occhio: sono due o più versi vicini tra loro e staccati dagli altri dal bianco della pagina. Prendiamo questa poesia di Giuseppe Ungaretti: Gentile Ettore Serra poesia è il mondo l umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso La poesia, che chiude la raccolta Il porto sepolto (1916), è chiaramente divisa in due strofe. Le strofe hanno dei nomi. Imparare questi noni ci servono per parlare più agevolmente di una poesia. La semplicità e praticità ci deve indurre a imparare termini di cui, altrimenti, potremmo tranquillamente fare a meno. Distico: due versi Terzina: tre versi Quartina: quattro versi Sestina: sei versi Ottava: otto versi Queste sono le strofe più ricorrenti nella nostra tradizione ed è per questo che hanno un nome. Ciò non significa che non esistano strofe di cinque, sette, nove o un solo verso. Una volta acquisiti i termini per distinguere le varie tipologie di strofe possiamo introdurre la prima e più importante forma metrica: il Sonetto. Il sonetto è importante perché è un'invenzione tutta italiana. Si ritiene che l'inventore fu il poeta siciliano Giacomo da Lentini (vissuto nella prima metà del XIII secolo alla corte dell'imperatore

6 Federico II di Svevia). Questa forma è sicuramente la forma più vitale, tanto che ancora oggi i poeti vi si cimentano. Fu portata in auge da Francesco Petrarca, che nel suo Canzoniere, la utilizzò come metro predominante. Per ora questa è l'unica forma metrica che affronteremo e ci darà l'occasione di parlare di un altro aspetto fondamentale della poesia: la rima. Ma prima di tutto la struttura metrica del sonetto. Il sonetto è un componimento composto da due quartine e due terzine. Quindi ha in totale 14 versi. Tuttavia questo non basta perché il sonetto presenta vari schemi rimici (cioè di rime). Per indicare una rima, normalmente, si utilizzano le lettere,, C... Che cosa è la rima? La sua sommaria definizione può essere la seguente: la perfetta identità di suono tra la parte finale di due versi a cominciare dall'ultima vocale tonica. Quando dobbiamo indicare due parole in rima le scriviamo separate dai due punti. Es: cane:pane; ore:rumore; vita:smarrita Il concetto di rima è abbastanza intuitivo e non sembra utile soffermarci troppo adesso. Via via che incontreremo tipologie di rime particolari le evidenzieremo. desso abbiamo tutti gli elementi per indicare lo schema metrico di un sonetto. Nella maggioranza dei casi, le quartine possono avere schemi (rima alternata) oppure possono avere schema (rima incrociata). Lo schema a rime alternato era quello delle origini, dei poeti siciliani e spesso anche di Dante. Lo schema a rima incrociata è più moderno, da Petrarca in poi sempre più utilizzato. Le due terzine possono avere o schema CDE CDE (rime replicate), CDE EDC (rime invertite) oppure CDC DCD (rime alterne). Ci sono anche qui altre possibili varianti, ma per il momento ci accontentiamo di questo. Prendiamo come esempio un celebre, e bellissimo, sonetto di Ugo Foscolo ( ). Forse perché della fatal quïete Tu sei l'imago a me sì cara, vieni, O sera! E quando ti corteggian liete Le nubi estive e i zeffiri sereni, E quando dal nevoso aere inquïete Tenebre, e lunghe, all'universo meni, Sempre scendi invocata, e le secrete Vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge Questo reo tempo, e van con lui le torme Delle cure, onde meco egli si strugge; E mentre io guardo la tua pace, dorme Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge. C D C D C D Se dovessimo, quindi, indicare lo schema metrico diremmo che questo è un sonetto con quartine e terzine e a rime alternate: CDC DCD. Per quanto riguarda le figure retoriche, invece di farne una carrellata, sembra opportuno analizzarle via via che le incontriamo nelle poesie. Sarebbe comunque utile compilare un quadro riassuntivo.

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