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1 Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 31 dicembre 2011 a cura di Diana Selvaggi 1. Corte di Cassazione, Sez. III Civile, sentenza n del 13 dicembre 2011: contratto di locazione, inadempimento e colpa del conduttore. Con la sentenza in commento la Suprema Corte apre alla colpa nell inadempimento del contratto di locazione, mostrando particolare attenzione ai profili qualitativi del rapporto locatizio ed al comportamento delle parti in virtù di un attento bilanciamento degli interessi in conflitto. Il caso di specie verte intorno all ipotesi - classica in tema di locazioni di un intimazione di sfratto per morosità e richiesta di condanna al pagamento dei canoni scaduti e non pagati. Qui, tuttavia, i giudici di merito, discostandosi dalle richieste attoree, non valutano unicamente il profilo quantitativo contabile dell inadempimento del conduttore mostrando attenzione prevalente al profilo qualitativo di cui alla gravità dell inadempimento medesimo. Muovendo da analoghe considerazioni e assumendo fondate le argomentazioni della Corte d appello, la Suprema Corte rigetta il ricorso. Bene ha operato, infatti, la Corte territoriale quando ha ritenuto esigua la morosità perché riferibile a due soli canoni, di cui uno non ancora scaduto al tempo della notifica dell intimazione; correttamente essa ha ritenuto non provati ulteriori inadempimenti del conduttore nel corso del rapporto palesando anzi, la documentazione prodotta, la seria e reiterata volontà di sanare la morosità ; opportunamente, infine, ha valutato come lo sfratto per morosità non possa essere giustificato dal mancato pagamento di un solo canone di locazione. 1

2 La misura dello sfratto, in altri termini, non può essere disposta senza tener conto, in via generale, della condotta unitaria del conduttore al fine di trarne elementi circa la colpevolezza e la gravità dell inadempimento e, nella specie, non si ritiene sussistente detto inadempimento grave. È alla luce di tali considerazioni che la S.C. rigetta il ricorso enunciando il principio per cui In materia di locazione, per aversi grave inadempimento tale da legittimare la risoluzione del contratto, la valutazione non può essere settoriale e fatta per compartimenti-stagno, ma va attuata avendo presente non solo la scadenza dei canoni, non solo il loro importo, ma anche il comportamento della parte inadempiente, esente da qualsiasi condotta colposa tale da determinare la risoluzione, operandosi un equilibrato bilanciamento tra il legittimo diritto del locatore alla puntuale prestazione del conduttore e il legittimo diritto del conduttore a non vedersi risolto il contratto, in mancanza di una sua colpa generatrice di grave inadempimento. 2. Corte di Cassazione, Sez. III Civile, sentenza n del 13 dicembre 2011: incapacità naturale, malafede del contraente e annullamento del contratto. Nel caso di specie la Suprema Corte si pronuncia sull annullamento di un contratto di compravendita per incapacità di uno dei contraenti e, confermando l orientamento dei giudici di merito, non riscontra alcuna violazione di legge e rigetta il ricorso. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte territoriale ha errato nel pretendere la prova certa dell incapacità naturale della contraente essendo sufficiente, al contrario, un giudizio di seria probabilità; analogamente ha errato nel ritenere non raggiunta la prova della malafede degli altri contraenti in presenza di un elemento presuntivo grave. Pur trattandosi di motivi di ricorso volti a censurare il convincimento dei giudici di merito e, pertanto, inammissibili in sede di legittimità, vengono comunque analizzati dalla Corte, che rileva come la sentenza impugnata correttamente abbia escluso la sussistenza della prova di una menomazione, anche solo transitoria, delle facoltà intellettive e volitive del soggetto al momento della sottoscrizione del contratto dopo 2

3 avere analizzato la consulenza tecnica d ufficio ed i termini probabilistici del giudizio medico legale. Anche in ordine all accertamento della malafede degli altri contraenti la Suprema Corte aderisce alle conclusioni della Corte d Appello e ritiene incensurabile la sentenza per avere puntualmente valutato tutti gli elementi rilevabili dagli atti e, alla luce di questi, aver ritenuto insufficiente l unico elemento presuntivo (il prezzo di vendita) in quanto non grave e non preciso osservando, in particolare, che la sola presenza dell indicazione di un prezzo particolarmente vantaggioso per gli acquirenti, in difetto di altri elementi indiziari gravi precisi e concordanti non appariva sufficientemente rappresentativo nel far ritenere accertata la malafede degli acquirenti[ ] Ne deriva che si rivela inammissibile il secondo motivo, perché non tiene adeguatamente conto (ed anzi ne prescinde) della ratio decidendi adottata sul punto dal giudice di appello. Alla luce di tali considerazioni, rifacendosi al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in tal senso, la Suprema Corte enuncia il principio per cui Per l'annullamento di un contratto a causa di incapacità di uno dei contraenti, la prova dell'incapacità "naturale", sebbene possa essere data con ogni mezzo, deve comunque essere rigorosa e precisa, mentre il presupposto necessario è costituito dalla malafede dell'altro, che può risultare o dal pregiudizio che il contratto abbia, anche solo potenzialmente, potuto arrecare all'incapace o dalla natura e qualità del contratto. In caso di annullamento di un contratto a causa di incapacità di uno dei contraenti, il grave pregiudizio, a differenza della ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 428 c.c., non è richiesto per l'annullamento dei contratti, ma costituisce solo uno degli indizi rivelatori del(l'unico) requisito essenziale costituito dalla malafede dell'altro contraente e che consiste nella consapevolezza - o, addirittura, delle conoscenza - che questi abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva dell'altro. 3. Corte di Cassazione, Sez. III Civile, sentenza n del 13 dicembre 2011: locazione di immobili commerciali e gravi motivi di recesso. Con la sentenza in commento la S. C., pronunciandosi in tema di locazione di immobili commerciali, si sofferma su consistenza e gravità dei motivi che legittimano il conduttore a recedere dal contratto. 3

4 Nella specie, infatti, ricorre in cassazione la società conduttrice di un immobile commerciale che, per dopo aver comunicato il recesso ai propri locatori, risulta soccombente sia in primo che in secondo grado per l illegittimità dei motivi del recesso. Detto recesso è ritenuto illegittimo altresì dalla Suprema Corte, che rigetta il ricorso. Ivi ci si duole di come la sentenza impugnata, se da una parte chiarisce che per gravi motivi di recesso sono da intendersi fatti non solo sopravvenuti alla costituzione del rapporto locatizio ma anche involontari ed imprevedibili, dall altra erra nell interpretare una serie di elementi di fatto basati sulla considerazione fondamentale che, a fronte di un piano di riqualificazione aziendale promosso dal gruppo proprietario della società che aveva in locazione l immobile commerciale, foriero di un considerevole aumento del guadagno, solo l esercizio in causa non aveva risposto alle attese e che, pertanto, era stata costretta a recedere. La Suprema Corte ritiene, tuttavia, infondate tali doglianze. Norma di riferimento è l art. 27 L. 392/1978, il cui ultimo comma sancisce che, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata. Sulla base della considerazione per cui la sussistenza o meno degli elementi che rendono particolarmente gravosa la prosecuzione del rapporto locativo, come uno dei presupposti necessari perché siano ravvisabili i gravi motivi che legittimano il recesso del conduttore ex art. 27, ultimo comma, della legge n. 392/1978, non può che essere rimessa all'apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, è sorretto da congrua e coerente motivazione, il Supremo Collegio non riscontra, infatti, vizi logici o giuridici nell argomentazione della sentenza impugnata che, al contrario, ha fatto corretta applicazione del principio consolidato in giurisprudenza per cui le ragioni che consentono al locatario di liberarsi dal vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. 4

5 Procedendo nel solco già tracciato dalla costante giurisprudenza precedente, quindi, la S.C. rigetta il ricorso alla luce del principio per cui, ben potendo costituire grave motivo di recesso del conduttore un andamento della congiuntura economica (sia favorevole che sfavorevole all'attività di impresa) - sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile al tempo della stipula - che lo costringa ad ampliare o ridurre la struttura aziendale, così da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo, [ ] In tema di recesso del conduttore in base al disposto di cui all'art. 27 ultimo comma della legge n.392/78, le ragioni che consentono al locatario di liberarsi del vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto, estranei alla sua volontà ed imprevedibili, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. La gravosità della prosecuzione deve avere una connotazione oggettiva non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo, ma deve non solo essere tale da eccedere l'ambito della normale alea contrattuale, ma altresì consistere in un sopravvenuto squilibrio tra le prestazioni originarie tale da incidere significativamente sull'andamento dell'azienda del conduttore globalmente considerata. 4. Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza n del 13 dicembre 2011: filiazione naturale e diritto al mantenimento. La Suprema Corte si pronuncia, con la sentenza in commento, in tema di filiazione naturale e, in particolare, in ordine all individuazione del momento in cui origina il diritto al mantenimento da parte dei genitori, ravvisato dalla Corte d Appello nel giorno del riconoscimento del minore o del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della filiazione naturale. Si chiede la cassazione della sentenza d appello dolendosi, tra l altro, dell erronea interpretazione ed applicazione, da parte della Corte territoriale, di un orientamento diffuso in giurisprudenza di legittimità che, peraltro, andrebbe rimeditato. Questa, infatti, ha sempre pacificamente sostenuto che l obbligo di mantenimento dei figli nasce [ ] con e per il fatto della procreazione, dal momento che la legge pone a carico dei genitori l obbligo di mantenere i figli per il solo fatto di averli generati.[ ] e, pertanto, il termine iniziale di prescrizione del diritto al rimborso pro quota - nei 5

6 confronti dell altro genitore - delle spese sostenute dal genitore che, solo, ha provveduto al mantenimento del figlio, non può decorrere prima del riconoscimento del minore o del passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la filiazione naturale. Da ciò discende che, ai fini dell individuazione della fonte del diritto al mantenimento, non occorrerebbe verificare lo status giuridico formale di figlio naturale del minore, essendo sufficiente prendere atto della avvenuta procreazione, nella sua dimensione storico - fattuale. La Suprema Corte ritiene il ricorso infondato e lo rigetta dopo avere rimodulato i termini di principio di cui alla giurisprudenza richiamata dal ricorrente focalizzando lo snodo argomentativo della sentenza nel rilievo delle differenti conseguenze intercorrenti tra la nascita di un figlio naturale ed il suo riconoscimento. Alla luce di tale argomentazioni, pertanto, la Corte enuncia il principio secondo cui [ ]nell'ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto quindi a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene tuttavia meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale,che sorge dalla nascita del figlio. Insomma il diritto di questi ad essere mantenuto, istruito ed educato da parte di entrambi i genitori prescinde dal riconoscimento giuridico dello status parentale. Esso sorge con la nascita giacché è responsabilità che consegue ad una situazione ontologicamente naturale e pertanto giuridica. Il genitore che ritarda il suo doveroso riconoscimento, financo al punto da far intervenire il giudice, non può allegare a proprio vantaggio il ritardo stesso. 6

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