Università degli studi di Ferrara. Struttura degli insiemi di perimetro finito e applicazioni alla teoria delle superfici minime

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1 Università degli studi di Ferrara FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN. Struttura degli insiemi di perimetro finito e applicazioni alla teoria delle superfici minime Relatore: Prof. Michele Miranda Laureanda: Giada Scarpone Anno accademico 2012/2013

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3 Indice 1 Cenni di teoria della misura 5 2 Derivazione di misure Teoremi di ricoprimento Decomposizione di Radon-Nikodym Teorema di Riesz e convergenza debole Misure di Hausdorff Insiemi rettificabili Misure tangenti Insiemi di perimetro finito 55 5 Superfici minime 73 6 Esempi di superfici minime 83 A Formula dell area 91 B Convoluzione 99 C Curve e ipersuperfici in R d 103 3

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5 Capitolo 1 Cenni di teoria della misura In questo capitolo richiameremo alcune nozioni di base di teoria della misura a partire dalla definizione di misura esterna, che permette di introdurre il concetto di misura positiva tramite il criterio di Carathéodory, fino ad arrivare ad importanti proprietà delle misure di Borel definite sui Boreliani di uno spazio metrico localmente compatto. Queste nozioni ci serviranno in seguito per lo studio più particolareggiato della teoria in R d. Definizione 1.1. Sia un insieme diverso dal vuoto. Si definisce misura esterna una funzione, definita sull insieme delle parti di, µ : P() [0, + ] tale che (a) µ ( ) = 0; (b) (monotonia) se A B allora µ (A) µ (B); (c) (subadditività numerabile) se A = A i allora µ (A) µ (A i ). i=1 i=1 Vediamo alcuni esempi: (1) La misura di Lebesgue su R d. In tal caso = R d e µ = L d. Ricordiamo che la misura di Lebesgue viene costruita a partire dalla misura di un rettangolo di R d, ovvero R = [a 1, b 1 ]... [a d, b d ] con a i, b i R e a i b i. Tale misura è così definita d L d (R) = (b i a i ); i=1 5

6 6 CAPITOLO 1. CENNI DI TEORIA DELLA MISURA similmente viene definita la misura di un pluri-rettangolo, unione di rettangoli con parte interna disgiunta, P = m i=1r i in questo modo m L d (P ) = L d (R i ). i=1 Quindi dato un insieme limitato E R d si definisce misura esterna L d e(e) = inf { L d (R i ) : R i E } mentre per un insieme illimitato E R d, se consideriamo i sottoinsiemi limitati di E, B r E per ogni r > 0, allora la misura esterna diventa L d e(e) = sup L d e(b r E). r>0 Osserviamo che la misura di Lebesgue L d è invariante per traslazioni, infatti le traslazioni trasformano prlurirettangoli in plurirettangoli. Inoltre L d (λe) = λ d L d (E). Infatti, dato R un rettangolo di R d, allora λr = λ[a 1, b 1 ]... λ[a d, b d ], e quindi L d (λr) = d i=1 λ(b i a i ). (2) La misura Delta di Dirac per un punto ω 0, µ = δ ω0, è così definita δ ω0 (A) = (3) La misura indicatrice, così definita I(A) = { 1 se ω0 A, 0 se ω 0 / A. { 1 se A, 0 se A =. Il concetto di misura particolareggia quello di misura esterna richiedendo la proprietà di σ-additività cioè data {A j } j N una famiglia numerabile di insiemi disgiunti a due a due allora µ A j j N = j N µ (A j ). In particolare si dimostra che una misura esterna diventa misura con la sola ipotesi di finita additività: Lemma 1.2. Sia µ una misura esterna. Se, per ogni A e B P() tali che A B =, µ (A B) = µ (A) + µ (B), allora µ è σ-additiva.

7 Dimostrazione. La tesi è dimostrabile sia utilizzando la proprietà di σ-subadditività, sia utilizzando la continuità su successioni monotone. Infatti, data {A j } j N una famiglia numerabile di insiemi disgiunti a due a due, dalla σ-subadditività, segue + µ + A j j=1 j=1 n n + µ (A j ) = lim µ (A j ) = lim n + n µ A j µ A j. j=1 j=1 j=1 Utilizziamo ora la proprietà di continuità su successioni monotone, ovvero data una successione (F n ) n tale che F n+1 F n con n F n =, allora lim n + µ (F n ) = 0. Da questa proprietà, data {A j } j N una famiglia numerabile di insiemi disgiunti a due a due, segue + µ ( j=1 n + A j ) = µ ( A j ) + µ n + ( A j ) = µ (A j ) + µ ( A j ) j=1 j=n+1 j=1 j=n+1 e mandando n all infinito si ottiene la tesi. Facciamo una piccola digressione richiamando alcune nozioni importanti che ci serviranno in seguito. Definizione 1.3. Sia un insieme non vuoto e A una collezione di sottoinsiemi di. - A è detta algebra di se (i) A (ii) A B A per ogni A e B A (iii) \ A A per ogni A A. - A è detta σ-algebra di se è un algebra e per ogni infinità numerabile di insiemi {A i } i=1,2,... A l unione i=1 A i appartiene ad A. - Se A è una σ-algebra di, la coppia (, A) è detta spazio misurabile. - Se è uno spazio topologico definiamo σ-algebra di Borel, e la indichiamo con B(), la σ-algebra minimale di che contiene tutti gli aperti di. Osserviamo che ogni σ-algebra e ogni algebra contiene sempre il vuoto e. 7

8 8 CAPITOLO 1. CENNI DI TEORIA DELLA MISURA Vediamo ora come rendere µ una misura partendo dalla definizione di insieme µ -misurabile (misurabile secondo Carathéodory). Definizione 1.4. Un insieme M si dice misurabile per µ, e scriveremo M M(µ ), se per ogni T P() vale µ (T ) = µ (T \ M) + µ (T M). Proposizione 1.5. M(µ ) = {M P() : M µ -misurabile} è una σ- algebra e µ = µ M(µ ) è una misura. Dimostrazione. Osserviamo che M(µ ) poiché e M(µ ). Siano M 1 e M 2 M(µ ) e T P() allora si ha µ (T ) = µ (T M 1 ) + µ (T \ M 1 ) = µ (T M 1 ) + µ (T M 2 \ M 1 ) + µ (T \ (M 1 M 2 )) = µ (T (M 1 M 2 ) M 1 ) + µ (T (M 1 M 2 ) \ M 1 ) + µ (T \ (M 1 M 2 )) = µ (T (M 1 M 2 )) + µ (T \ (M 1 M 2 )). quindi M 1 M 2 M. Vediamo ora che µ = µ M(µ ) M 1, M 2 M(µ ) allora è additiva sugli elementi disgiunti di M. Siano µ(m 1 M 2 ) = µ((m 1 M 2 ) M 1 ) + µ((m 1 M 2 ) \ M 1 ) = µ(m 1 ) + µ(m 2 ). Grazie all ipotesi di subadditività di µ, µ è anche σ-additiva. Resta da dimostrare che M(µ ) è chiusa per un unione numerabile. Sia M j una successione di insiemi µ -misurabili disgiunti tale che M = + j=0 M j e T. Allora si ha + µ (T ) µ (T \ M) + µ (T M) µ (T \ M) + µ (T M j ) j=0 h = µ (T \ M) + lim µ (T M j ) h + j=0 h h lim µ T \ M j + µ T M j = µ (T ). h + j=0 j=0 Quindi le disuguaglianze diventano uguaglianze e M M(µ ).

9 Abbiamo quindi dimostrato che data un misura esterna, i misurabili formano una σ-algebra e che la misura esterna ristretta a tale σ-algebra è numerabilmente additiva, quindi è una misura. Riferendoci agli esempi precedenti, possiamo osservare che per la Delta di Dirac è facile vedere che tutti i sottoinsiemi di sono misurabili M(δ ω0 ) = P(), mentre per la funzione indicatrice solo il vuoto e tutto lo spazio lo sono, M(I) = {, }. Invece, per la misura di Lebesgue la questione è più delicata in quanto esistono insiemi non misurabili, quali ad esempio l insieme di Vitali: consideriamo l intervallo reale [0, 1] e su esso la relazione d equivalenza x y x y Q. Sia V l insieme dei rappresentanti delle classi d equivalenza (ottenuto mediante l assioma della scelta) allora [0, 1] q [ 1,1] Q (V + q) da cui segue che 1 = L 1 ([0, 1]) q [ 1.1] Q L 1 (V ). Se chiamiamo c = L 1 (V ) > 0, poichè q [ 1,1] Q(V + q) [ 1, 2], allora 3 L 1 q [ 1,1] Q (V + q) = q [ 1.1] Q L 1 (V ) = q [ 1.1] Q quindi c = 0, ed ecco l assurdo dovuto all aver supposto che V sia misurabile. Diamo ora la definizione di misura: Definizione 1.6. Dato uno uno spazio misurabile (, E) dove E è una sottoσ-algebra delle parti di, si definisce misura µ una funzione µ : E R p tale che (a) µ( ) = 0 (b) per ogni successione (A j ) j E disgiunta si ha la σ-additività, cioè posto A = j A j, µ(a) = µ(a j ). j c 9 Si definisce quindi (, E, µ) uno spazio misura. In questa definizione non si richiede la monotonia per inclusione, che però è conseguenza dell additività sui disgiunti. Una misura si definisce positiva quando il codominio è [0, + ], con segno o scalare, se il codominio è [, + ] ed infine vettoriale se il codominio è R p e p > 1. In questi ultimi

10 10 CAPITOLO 1. CENNI DI TEORIA DELLA MISURA due casi la condizione (b) dovendo valere per ogni successione A j, implica che la serie µ(a j ) j deve essere assolutamente convergente, altrimenti facendo dei riordinamenti potremmo ottenere qualsiasi numero. Definizione 1.7. Sia (, E, µ) uno spazio misura. La misura µ si dice completa se dato un insieme E E tale che µ(e) = 0, per ogni A E allora A E. Definizione 1.8. Sia (, d) uno spazio metrico. Una funzione µ : P() [0, ] si definisce metrica se dati A, B tali che d(a, B) > 0, allora µ (A B) = µ (A) + µ (B). Teorema 1.9. (criterio di Carathéodory) Se la misura esterna µ : P() [0, ] è metrica allora B() M(µ ) e quindi µ = µ B() è una misura. Dimostrazione. Definiamo F := {E B() : µ (B E) + µ (B \ E) = µ (B) B }, chiaramente F M(µ ). Basta dimostrare che B() = F, in particolare basta dimostrare che ogni chiuso C è µ -misurabile e quindi che per ogni Boreliano B valga µ (B) µ (B C) + µ (B \ C) in quanto l altra disuguaglianza segue dalla subadditività. Non è restrittivo supporre che µ (B) < +. Chiamiamo B p = { x B : d(x, C) 1 p} e B j = { x B : 1 j + 1 d(x, C) < 1 } j per j 1. Dunque per l ipotesi di additività sui disgiunti avremo p µ (B 2j ) µ (B), j=1 p µ (B 2j+1 ) µ (B) j=0 e quindi + j=1 µ (B j ) < +. Usando ora la subadditività di µ otteniamo µ (B C)+µ (B\C) µ (B C)+µ (B\ B p )+ Facendo tendere p a + otteniamo la tesi. + j=p µ (B j ) µ (B)+ + j=p µ (B j ).

11 Pertanto, dal fatto che la misura di Lebesgue di un insieme limitato E può essere definita come L d e(e) = lim Ld (R), E R = ρ 0 m R j con diam R j < δ j=1 deriva che L d e è metrica e quindi B(R d ) M(L d ). Vediamo ora alcune proprietà delle misure, dando prima la definizione di misura di Borel. Definizione Sia (, B(), µ) uno spazio misura. Allora la misura µ : B() R p si definisce misura di Borel. D ora in poi ci riferiremo, se non diversamente indicato, a misure di Borel, ma teniamo presente che molte delle successive proprietà valgono anche per generiche misure. Definizione Sia µ una misura scalare o vettoriale. La variazione totale µ di µ è una misura così definita { } µ (B) := sup µ(b i ) : B = B i, B i B j = i=0 i=0 dove il sup è fatto al variare di tutte le partizioni di B in insiemi disgiunti di Borel. Proposizione Se µ è una misura non positiva su, allora µ è una misura positiva e finita cioè µ () < +. Inoltre µ (B) µ(b) per ogni B B(). Dimostrazione. Dimostriamo inizialmente la subadditività di µ. Sia B insieme di Borel e B h una successione di sottoinsiemi di di Borel tali che B h=0 B h. Definiamo una nuova successione disgiunta di insiemi B 0 = B 0, B i = B i \ i 1 h=0 B h per ogni i 1 e consideriamo una partizione numerabile di B, (A j ). Allora si osserva che la successione (A j B h ) h per ogni j N è una partizione numerabile di A j e con l ipotesi che µ sia σ-additiva abbiamo: µ(a j ) = µ(b h A j ) µ(b h A j ) µ (B h). j=0 j=0 h=0 h=0 j=0 h=0 Per l arbitrarietà della partizione (A j ), abbiamo la subadditività di µ. Dimostriamo ora l additività. Siano B 1 e B 2 due sottoinsiemi di di Borel 11

12 12 CAPITOLO 1. CENNI DI TEORIA DELLA MISURA disgiunti. Per ogni ɛ > 0 possiamo trovare due partizioni numerabili di B 1 e B 2, (B 1 h) e (B 2 h) tali che µ (B 1 ) µ(bh) 1 + ɛ, h=0 µ (B 2 ) µ(bh) 2 + ɛ h=0 ed inoltre B 1 h B 2 k = per ogni h, k N. Pertanto l insieme B 1 B 2 ammette una partizione numerabile formata dagli insieme delle due partizioni (B 1 h) e (B 2 h) e quindi vale la relazione: 2 µ (B 1 B 2 ) µ(bh) i µ (B 1 ) + µ (B 2 ) 2ɛ. i=1 h=0 Per arbitrarietà di ɛ abbiamo l additività di µ che unita alla subadditività mi permette di dire che µ è σ-additiva, quindi è una misura. Resta da dimostrare che µ è finita. Per questa dimostrazione consideriamo µ reale infatti nel caso in cui µ sia vettoriale per esempio µ = (µ 1,..., µ m ) vale la disuguaglianza: m µ (B) µ h (B) h=1 per ogni insieme di Borel B. Assumiamo per assurdo che µ () =. numerabile (X h ) di e un n N tale che n µ(x h ) > 2( µ() + 1) h=1 Allora esiste una partizione Inoltre dividendo i termini positivi con i termini negativi è possibile formare un insieme B unione di alcuni di questi X h tale che µ(b) > µ() + 1; chiamiamo C = \ B allora µ(c) = µ() µ(b) µ(b) µ() > 1 e per additività di µ o µ (C) = o µ (B) =. Assumiamo che µ (C) = e chiamiamo B 1 = B. Ripetiamo il ragionamento appena fatto applicandolo a C unione disgiunta di B 2 e C 1 con µ(b 2 ) > 1 e µ (C 1 ) =. Di questo passo otteniamo una successione di insiemi (B h ) tale che µ(b h ) > 1 e quindi la serie h=1 µ(b h ) non può convergere e ciò è assurdo. Quindi µ è finita. Da questo risultato segue quindi che µ è una misura ben definita, nel caso non positivo, se e solo se µ () < +. Definizione Sia uno spazio metrico localmente compatto e separabile. Una misura µ su si dice finita se µ () < +. Una funzione d insieme

13 13 µ : B() R p si chiama misura σ-finita se esiste ( h ) h tale che = h=1 h e µ h : B( h ) R p è una misura finita. Diremo invece che µ, misura di Borel, è una misura localmente finita o di Radon in se è una misura finita su (K, B(K)) per ogni insieme di Borel relativamente compatto K B(). In questa tesi denoteremo con M f (, R p ) l insieme delle misure in a valori in R p finite e con M loc (, R p ) l insieme delle misure di Radon. In seguito vedremo che lo spazio vettoriale M f (, R p ), diventa uno spazio di Banach se come norma si considera la variazione totale. Definizione Sia µ una misura scalare. Possiamo definire parte positiva e parte negativa di µ in questo modo µ + = µ + µ 2 µ = µ µ. 2 Chiaramente µ + e µ sono misure positive e vediamo che µ = µ + µ e µ = µ + + µ. Definizione Il supporto di una misura µ su, supp µ, è il più piccolo chiuso C tale che µ ( \ C) = 0. Se µ è una misura non negativa e f L 1 (, µ; R p ) oppure µ è una misura vettoriale e f L 1 (, µ ) indichiamo con µ f o semplicemente fµ (da Federer indicata con la notazione f µ) la misura cosi definita µ f(b) := f(x) dµ(x) per ogni insieme di Borel di. La misura µ Boreliana. Proposizione µ f = µ f. B f è Boreliana se la funzione f è Dimostrazione. Sia B B(). Dimostriamo prima che µ f (B) µ f (B): { } µ f (B) = sup µ f(b i ) : B = B i, B i B j = i=0 i=0 { } = sup f dµ : B = B i=0 B j i, B i B j = i=0 { } sup f d µ : B = B i, B i B j = i=0 B j i=0 { } = sup µ f (B i ) : B = B i, B i B j = = µ f (B) i=0 i=0

14 14 CAPITOLO 1. CENNI DI TEORIA DELLA MISURA Pertanto per dimostrare che µ f (B) = µ f (B) bisogna trovare una opportuna partizione di B. Possiamo supporre che µ sia una misura scalare e f L 1 (, µ ); il caso vettoriale infatti si dimostra considerando componente per componente. Definiamo la seguente partizione di B B 1 = {x B : f(x) 0 µ(x) 0}, B 2 = {x B : f(x) 0 µ(x) > 0}, B 3 = {x B : f(x) > 0 µ(x) 0}, B 4 = {x B : f(x) > 0 µ(x) > 0}. Dividiamo f e µ in parte positiva e parte negativa f = f + f µ = µ + µ allora abbiamo 4 4 µ f(b i ) = f(x) dµ(x) i=1 i=1 B j = f dµ + f dµ + + B 1 B 2 + f + dµ + f + dµ + = (f + f + ) dµ + (f + f + ) dµ + B 3 B 4 B 1 B 3 B 2 B 4 = f dµ + f dµ + = f d µ B 1 B 3 B 2 B 4 B come volevasi dimostrare. In generale, data una misura µ e E un insieme di Borel si denota con µ E la restrizione di µ a E, ovvero µ E(A) = µ(e A). Quindi nel caso in cui f = χ E, dove χ E è la funzione caratteristica di un insieme di Borel E, scriveremo µ χ E = µ E. Infatti µ f(b) = f(x) dµ(x) = χ E dµ(x) = dµ(x) = µ(e B) = µ E(B). B B Definizione Siano X e Y spazi metrici. Una funzione f : X Y è detta funzione di Borel se, per ogni aperto A Y, f 1 (A) B(X). Proposizione Sia µ una misura positiva localmente finita in. Per ogni insieme di Borel B si ha B E µ(b) = sup {µ(k) K B compatto} µ(b) = inf {µ(a) B A aperto} Le proprietà precedentemente enunciate sono definite regolarità interna ed esterna di una misura.

15 Capitolo 2 Derivazione di misure 2.1 Teoremi di ricoprimento Definizione 2.1. Una famiglia di sottoinsiemi di R d, B, si dice disgiunta se B B = per ogni B, B B, B B. Per la separabilità di R d, ogni famiglia disgiunta costituita da insiemi aventi parte interna non vuota è al più numerabile. In seguito scriveremo B := B. Definizione 2.2. Sia A R d. Una famiglia di palle chiuse B si dice ricoprimento fine di A se per ogni x A esiste una palla in B di centro x e con raggio arbitrariamente piccolo cioè B B inf { ρ > 0 B ρ (x) B } = 0 x A. Teorema 2.3. (Besicovitch) Esiste un numero intero ξ(d) (dipendente solo dalla dimensione dello spazio) con la seguente proprietà: se B è una famiglia di palle chiuse di R d tale che A = { x R d ρ > 0 B ρ (x) B } (insieme dei centri) è limitato allora esistono ξ famiglie disgiunte e al più numerabili B 1,...,B ξ tale che ξ A Bi. i=1 Dimostrazione. Possiamo supporre che sup { r : B r (x) B, x A } < +, (2.1) 15

16 16 CAPITOLO 2. DERIVAZIONE DI MISURE perchè se così non fosse, dimostriamo il teorema considerando una sottofamiglia B B che verifica (2.1). Dividiamo la dimostrazione in tre parti. Parte prima. Costruiamo una sottofamiglia al più numerabile B B che ricopre A. Definiamo per induzione su n una famiglia descrescente di insiemi in questo modo A 0 = A, A 1 = A 0 \ B(1),..., A n+1 = A n \ B(n + 1) dove B(1) {B ϱ (x) B : ϱ > 2 3 sup { } } r : B r (x) B, x A 0 B(n + 1) { B ϱ (x) B : x A n, ϱ > 2 3 sup { r : B r (x) B, x A n } }. Quindi avremo una successione A 0 A 1... A n... ed in particolare A 0 \ A n n h=1 B(h), dove scriveremo B(h) = B ϱh (x h ). Nel caso in cui n sia il più piccolo numero naturale tale che A n = allora poniamo n = n + 1, altrimenti, se tale n non esiste, poniamo n =. In entrambi i casi si dimostra che B = {B(h) : 1 h < n } ricopre A. Questo è ovvio se n <, ma vediamo l altro caso: consideriamo la successione (x h ) h e k > h 1 allora x h x k > ϱ h e ϱ k < 3 2 ϱ h, per come abbiamo definito i B(n), ma siccome A è limitata ϱ h 0. Quindi se supponiamo che esista un x A h per ogni h allora dovrebbe esistere B ϱ (x) B tale che ϱ h > 2 3 ϱ ma ciò è in contraddizione con il fatto che la successione dei ϱ h è infinitesima. Parte seconda. In questa parte dimostreremo che la cardinalità dell insieme I n = {h [1, n 1] : B(h) B(n) } non supera ξ, costante dipendente solo dalla dimensione N dello spazio, per ogni n < n. Definiamo I n = {h I n : ϱ h < 7ϱ n } e I n = I n \ I n. Ragioniamo prima su I n. Sappiamo che, per k > h, x h x k > ϱ h e ϱ k < 3ϱ 2 h e da ciò segue che le palle B 2ϱ h (x h ) sono a due a due disgiunte e per h I n 5 sono contenute in B 54ϱn 5 (x n ). Infatti se x B 2ϱ h 5 (x h ) e h I n abbiamo x x n x x h + x h x n 2ϱ h 5 + ϱ h + ϱ n 14ϱ n + 7ϱ n + ϱ n = 54ϱ n 5 5. Inoltre, siccome h < n, ϱ h > 2ϱ 3 n e quindi B 4ϱn (x h ) B 2ϱ h (x h ) per ogni 15 5 h [1, n 1]. Da ciò segue che I n non contiene più di ( 81 2 )d elementi. Infatti usando la misura di Lebesgue abbiamo L d (B 54ϱn (x n )) L d (B 2ϱ h (x h )) I 5 h I n 5 nl d (B 4ϱn (x h )) 15

17 2.1. TEOREMI DI RICOPRIMENTO 17 e quindi ω d ( 54ϱn 5 )d I nω d ( 4ϱn 15 )d cioè semplificando I n ( 81 2 )d. Stimiamo ora la cardinalità di I n. Siano h, k I n con h < k e definiamo γ = x h x n x h x n, η = x k x n x k x n. I vettori γ ed η sono unitari. Dimostreremo che γ η > δ dove δ è una costante positiva, infatti in questo modo la cardinalità di I n sarà minore del massimo numero di punti sulla sfera S d 1 che distano tra di loro di un valore maggiore di δ. Dall identità deduciamo γ, η = x h x n 2 + x k x n 2 x h x k 2 2 x h x n x k x n γ, η < (ϱ h + ϱ n ) 2 + x k x n 2 ϱ 2 h 2ϱ h x k x n = ϱ n x k x n + ϱ 2 n 2ϱ h x k x n + x k x n 2ϱ h ϱ n + ϱ2 n + ϱ k + ϱ n = 1 ϱ n 2ϱ h ϱ k 2ϱ h = < 1. Dunque se prendiamo δ = 10 abbiamo γ η > δ, come volevamo dimostrare. 14 Parte terza. Disponiamo in righe le palle B(h) per h [1, n ) in modo che palle nella stessa riga siano a due a due disgiunte: poniamo B(1) nella prima riga, e B(h) nella prima riga nella quale troviamo palle che non la intersecano. Se chiamiamo B i la famiglia disgiunta delle palle della riga i, allora dalla seconda parte segue che il numero delle righe è finito ξ, dalla prima parte segue che B 1,..., B ξ ricoprono A. Teorema 2.4. Sia A R d limitato e ρ : A (0, ) allora esiste S A al più numerabile tale che A B ρ(x) (x) x S e ogni punto di R d appartiene ad al più ξ palle centrate in punti di S, ovvero χ Bρ(x)(y) ξ y R d. x S Il teorema precedente vale anche per famiglie di palle aperte e si possono anche prendere in considerazione famiglie più generali di insiemi. Dimostrazione. Se poniamo B = { B ρ(x) (x) x A } allora A è l insieme dei centri di B e quindi per il Teorema 2.3 esistono B 1,..., B ξ sottofamiglie disgiunte al più numerabili tali che A ξ Bi i=1

18 18 CAPITOLO 2. DERIVAZIONE DI MISURE e S è l insieme dei centri delle palle delle famiglie B i. Teorema 2.5. (Vitali-Besicovitch) Sia A R d un insieme di Borel limitato e B un ricoprimento fine di A. Allora per ogni misura µ localmente finita e positiva su R d esiste una famiglia numerabile e disgiunta B B tale che µ ( A \ B ) = 0. Dimostrazione. Siccome B è un ricoprimento fine di A per il Teorema 2.3 è possibile trovare ξ famiglie disgiunte al più numerabili D 1,..., D ξ che ricoprono A. Inoltre esiste un intero i [1, ξ] tale che µ(a D i ) 1 ξ µ(a), e quindi esiste una sottofamiglia finita disgiunta B 1 D i tale che µ(a B 1 ) 1 2ξ µ(a). Consideriamo ora A 1 = A \ B 1, allora (1 12ξ ) µ(a) e sia µ(a 1 ) D = { B ρ (x) B B ρ (x) B 1 = }. D è un ricoprimento fine di A 1, dunque ripetendo il ragionamento appena fatto possiamo dire che esiste una sottofamiglia finita disgiunta B 2 D (quindi anche disgiunta da B 1 ) tale che µ(a 1 B 2 ) 1 2ξ µ(a 1). Proseguendo in questo modo otteniamo una successione (A h ) h N tale che µ(a h+1 ) ( 1 1 2ξ ) µ(a h ) ( 1 1 2ξ ) h+1 µ(a 1 ) e quindi µ(a h ) è infinitesimo. In conclusione se poniamo B = i=1 B i, abbiamo una sottofamiglia numerabile disgiunta e tale che µ(a \ B ) µ( A h ) = 0. h=1

19 2.2. DECOMPOSIZIONE DI RADON-NIKODYM Decomposizione di Radon-Nikodym Definizione 2.6. Sia µ una misura di Borel su. Diciamo che µ è concentrata in un insieme di Borel E se per ogni insieme B B(). µ(b) = µ(b E) Ricordiamo che un insieme A si dice trascurabile per una misura µ se µ(a) = 0. Questa definizione è legata al fatto che noi considereremo sempre misure complete. Definizione 2.7. Sia λ una misura scalare o vettoriale su e µ una misura positiva su. Diciamo che 1. λ è assolutamente continua rispetto a µ, λ << µ, se ogni insieme di Borel µ-trascurabile è λ-trascurabile. 2. λ è singolare rispetto a µ, λ µ, se esiste un insieme di Borel µ- trascurabile B tale che λ è concentrata in B. Un esempio per quest ultima definizione è L d δ ω0 dove δ ω0, ricordiamo, è la misura Delta di Dirac e L d la misura di Lebesgue. Infatti l insieme {ω 0 } è trascurabile per la misura di Lebesgue mentre la Delta di Dirac si concentra su di esso. Osserviamo che le due definizioni precedenti valgono non solo per le misure di Borel, come nel caso considerato, ma anche per misure più generali. Teorema 2.8. (di Radon-Nikodym) Sia λ una misura vettoriale su di codominio R p e µ una misura positiva σ-finita su. Allora esistono un unica funzione f L 1 (, µ, R p ) e una misura λ s tali che λ = fµ + λ s e λ s µ. La funzione f è chiamata derivata di λ fatta rispetto a µ. Corollario 2.9. Dal teorema precedente segue che, siccome µ << µ, esiste ν L 1 (, µ, R p ) tale che µ = ν µ. In particolare si dimostra che ν : S p 1 per µ -quasi ogni x. Passeremo ora ad introdurre il concetto di derivata di una misura rispetto ad un altra, partendo da questa definizione:

20 20 CAPITOLO 2. DERIVAZIONE DI MISURE Definizione Siano µ e ν due misure di Radon positive e x supp µ. Definiamo allora due funzioni di Borel: D + µ ν(x) := lim sup ρ 0 ν(b ρ (x)) µ(b ρ (x)), D µ ν(x) := lim inf ρ 0 ν(b ρ (x)) µ(b ρ (x)). Definiamo dunque derivata di ν fatta rispetto a µ la misura D µ ν := lim ρ 0 ν(b ρ(x)) µ(b ρ(x)). Osserviamo che le due densità non cambiano se al posto di palle aperte consideriamo palle chiuse. Proposizione Siano µ e ν due misure di Radon positive in R d e sia t [0, ). Per ogni insieme di Borel E supp µ valgono le due implicazioni: D µ ν(x) t x E = ν(e) tµ(e), D + µ ν(x) t x E = ν(e) tµ(e). In particolare se ν è finita allora µ ({ x D + µ ν(x) = }) = 0. Dimostrazione. Dimostriamo che se D µ ν(x) t allora ν(e) tµ(e). Non è restrittivo supporre che E sia limitato; sia A un insieme aperto limitato tale che E A, e per ɛ > 0 definiamo B = { B ρ (x) x E, B ρ (x) A, ν(b ρ (x)) < (t + ɛ)µ(b ρ (x)) }. B è un ricoprimento fine di E e quindi per il Teorema 2.5 esiste una famiglia numerabile disgiunta B B tale che ν(e \ B ) = 0 e quindi avremo ν(e) ν( B ) (t + ɛ)µ( B ) (t + ɛ)µ(a). Mandando ɛ 0 e grazie alla regolarità esterna di µ, Proposizione 1.18, otteniamo ν(e) tµ(e). La dimostrazione dell altra implicazione è analoga a questa. Teorema (di derivazione di Besicovitch) Siano µ una misura positiva localmente finita in un aperto R d e ν : B() R p una misura vettoriale localmente finita. Allora, per µ-quasi ogni x supp µ, il limite f(x) := lim ρ 0 ν(b ρ (x)) µ(b ρ (x)) esiste in R p e la decomposizione di Radon-Nikodym di ν è data da ν = fµ + ν s dove ν s = ν E ed E è un insieme µ-trascurabile così definito { } ν (B ρ (x)) E = ( \ supp µ) x supp µ lim ρ 0 µ(b ρ (x)) =.

21 2.2. DECOMPOSIZIONE DI RADON-NIKODYM 21 Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che ν sia una misura positiva e ν e µ siano misure finite. In tal caso, per la Proposizione 2.11, l insieme { ν (B x supp µ lim ρ(x)) ρ 0 µ(b ρ(x)) = } è µ-trascurabile quindi E è µ- trascurabile. Il nostro obiettivo è dimostrare che f = D µ ν esiste µ-quasi ovunque e che µ f = ν F dove F = \ E. Definiamo quindi λ + (B) := D µ + ν(x) dµ(x), λ (B) := Dµ ν(x) dµ(x) B per ogni insieme di Borel B di. Se verifichiamo che λ + ν la dimostrazione è conclusa, infatti se così fosse avremmo lim sup ρ 0 ν(b ρ (x)) µ(b ρ (x)) lim inf ρ 0 B ν(b ρ (x)) µ(b ρ (x)) F λ allora µ-quasi ovunque e quindi le disuguaglianze diventerebbero uguaglianze. In tal caso quindi f esiste µ-quasi ovunque e µ f = ν F. Proviamo prima che λ + ν; sia t > 1 e B B() fissato, tale che B supp µ e D + µ ν (0, ) su B, quindi contenuto in F. Definiamo B n := { x B : D + µ ν(x) (t n, t n+1 ] } n Z. Dal fatto che D µ ν + t n+1 segue direttamente che λ + (B n ) t n+1 µ(b n ) mentre dalla Proposizione 2.11 dal fatto che D µ ν + t n segue che t n+1 µ(b n ) tν(b n ); unendo le due cose e sommando rispetto a n otteniamo λ + (B) tν F (B), e mandando t 1 otteniamo la disuguaglianza. Analogamente si dimostra l altra disuguaglianza. Siamo finalmente arrivati alla definizione di derivata di una misura rispetto ad un altra, infatti la funzione f che abbiamo appena dimostrato esistere µ-quasi ovunque è: f(x) = dν ν(b ρ (x)) (x) = lim dµ ρ 0 µ(b ρ (x)). Corollario Sia µ una misura di Radon positiva su un insieme aperto R d e f L 1 (, µ). Allora per µ-quasi ogni x vale la seguente uguaglianza: lim ϱ 0 1 f(y) f(x) dµ(y) = 0. µ(b ϱ (x)) B ϱ(x) Ogni punto x per cui vale l uguaglianza è chiamato punto di Lebesgue di f rispetto a µ.

22 22 CAPITOLO 2. DERIVAZIONE DI MISURE Dimostrazione. Consideriamo ν q = µ Teorema 2.12: f q con q Q e applichiamo il ν q (B ρ (x)) f(x) q = lim ρ 0 µ(b ρ (x)) = lim 1 f(y) q dµ(y). (2.2) ρ 0 µ(b ρ (x)) B ρ(x) Questa uguaglianza vale per ogni x \N q dove N q è un insieme trascurabile per la misura µ. Chiamiamo ora E = q Q N q, allora µ(e) = 0, e per ogni x \ E e per ogni q Q vale (2.2). Da ciò segue che per ogni q Q vale lim sup ρ 0 lim sup ρ 0 1 f(y) f(x) dµ(y) µ(b ρ (x)) B ρ(x) 1 f(y) q dµ(y) + q f(x) = 2 f(x) q. µ(b ρ (x)) B ρ(x) e quindi per la densità di Q l enunciato è dimostrato. Riprendiamo ora il Corollario 2.9 e vediamo che dal Teorema di derivazione di Besicovitch segue che ν(x) 1 per µ -quasi ogni x : supponiamo infatti che µ = fλ allora cioè µ(b ρ (x)) f(x) = lim ρ 0 λ(b ρ (x)) = µ λ (x) 1 f(x) = lim f(y) dλ(y). ρ 0 λ(b ρ (x)) B ρ(x) Nel nostro caso abbiamo µ << µ e quindi esiste ν L 1 (, µ, R d ) tale che µ = ν µ ma allora per µ -quasi ogni x vale che Osserviamo però che ν(x) = lim 1 ν(y) d µ (y) ρ 0 µ (B ρ (x)) B ρ(x). µ (B ρ (x)) µ(b ρ (x)) = da cui segue, per µ -quasi ogni x B ρ(x) ν(y) d µ (y) ν(x) = lim 1 ν(x) d µ (x) ρ 0 µ (B ρ (x)) B ρ(x) 1.

23 Capitolo 3 Teorema di Riesz e convergenza debole di misure Anche in questa sezione considereremo uno spazio metrico localmente compatto e separabile. In seguito denoteremo con C c (, R p ) l insieme delle funzioni continue in a valori in R p a supporto compatto e con C 0 (, R p ) la sua chiusura nella norma f = sup x 0 f(x), dove C 0 è l insieme delle funzioni continue che si annullano sul bordo di. Pertanto, data una successione (x n ) n di elementi di convergente a x, allora, se f C 0, f(x n ) 0. Similmente, data una successione (x n ) n tale che x n, allora f(x n ) 0. Enunciamo un importante proprietà delle funzioni di Borel: Teorema 3.1. (Lusin) Sia f L (, µ, R p ). φ ɛ C 0 (, R p ) tale che Per ogni ɛ > 0 esiste µ ({f φ ɛ }) < ɛ. Questo teorema può anche essere riformulato in questo modo: data una funzione di Borel f : R n esiste una successione (K h ) h di compatti di tale che f Kh è continua per ogni h e µ ( \ + h=0 K h) = 0. Vedremo ora un importante risultato che permette di identificare il duale di C 0 (, R p ) con l insieme M f (, R p ) e similmente il duale di C c (, R p ) con M loc (, R p ); questo permette di utilizzare proprietá note dei funzionali lineari per dedurre ulteriori caratterizzazioni delle misure finite. Inoltre si osserva che la variazione totale coincide con la norma dello spazio di Banach M f (, R p ). 23

24 24 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Teorema 3.2. (Riesz) Per ogni funzionale L (C 0 (, R p )) esiste ed è unica una misura µ M f (, R p ) tale che L(φ) = Inoltre L = µ (). p i=1 φ i (x) dµ i (x) φ C 0 (, R p ). Dimostrazione. Possiamo supporre L : C 0 () R, e dimostrare che esiste µ M f (), perché il caso vettoriale segue dall analisi componente per componente. Supponiamo prima L(φ) 0 φ 0. Per ogni A B() definiamo µ(a) := sup {Lφ : 0 φ χ A } e dimostriamo che µ è una misura positiva. Chiaramente µ( ) = 0. Sia (A j ) una successione di insiemi di Borel tali che A = A j, vediamo che µ(a) µ(a j ). Poiché gli insiemi K = {φ C 0 () : 0 φ χ A } e T = coincidono, risulta µ(a) = sup φ K Lφ = sup Lφ = φ T sup 0 φ j χ Aj φ j j=0 : φ j C 0 () e 0 φ j χ Aj Lφ j sup Lφ j = µ(a j ). j=0 j=0 j=0 Applichiamo ora il criterio di Carathéodory. Siano A e B sottoinsiemi di tali che d(a, B) > 0. Ogni funzione φ C 0 tale che 0 φ χ A B può essere scritto come somma φ = φ A + φ B dove φ A, φ B C 0, 0 φ A χ A, 0 φ B χ B, pertanto µ(a B) = sup Lφ = 0 φ χ A B sup Lφ A + 0 φ A χ A Resta da verificare che Lφ = φ dµ.... sup Lφ B = µ(a) + µ(b). 0 φ B χ B Dal teorema di Riesz, sostituendo con un qualsiasi aperto A, segue: Corollario 3.3. Se A è un insieme aperto avremo { } µ (A) = sup ϕ(x) dµ(x) 0 ϕ(x) χ A (x), ϕ C(A). A

25 Dimostrazione. Del teorema di Riesz abbiamo dedotto che { } µ () = sup φ, ν d µ φ C 0 (, R p ) φ 1 ma ripetendo il ragionamento per ogni aperto A e considerando che se µ è positiva allora µ = µ, quindi ν = 1, avremo { } µ(a) = sup φ dµ φ C 0 (A), φ 1. A 25 Dal Corollario 3.3 segue la seguente proprietà: Proposizione 3.4. Siano λ e µ due misure definite in B(). Se λ µ allora µ + λ () = µ () + λ (). Dimostrazione. L ipotesi λ µ significa che esiste B B() tale che µ(b) = 0 e per ogni E B() λ(e) = λ(b E). Dal Corollario 3.3 segue { } µ + λ () = sup φ(x) d(µ + λ) 0 φ(x) χ (x), φ C() { } = sup φ(x) d(µ + λ) 0 φ(x) χ B (x), φ C(B) B { } + sup φ(x) d(µ + λ) 0 φ(x) χ \B (x), φ C( \ B) = sup { + sup \B { B } φ(x) dλ 0 φ(x) χ B (x), φ C(B) } φ(x) dµ 0 φ(x) χ \B (x), φ C( \ B) \B = λ () + µ (). Parleremo ora di convergenza debole di misure, utilizzando la definizione e le proprietà della convergenza nella topologia debole, σ(e, E), quella topologia indotta da un generico spazio normato E sul suo duale E : Definizione 3.5. Una successione di misure (µ h ) h converge debole a µ se i funzionali indotti L µh convergono nella topologia debole a L µ cioè lim p h i=1 φ i (x) dµ h,i (x) = p i=1 φ i (x) dµ i (x) φ C 0 (, R p ).

26 26 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE In seguito parleremo di convergenza debole di misure riferendoci alla convergenza debole e scriveremo µ h µ. In certi casi si utilizza la convergenza debole locale, che si ha quando lim p h i=1 φ i (x) dµ h,i (x) = p i=1 φ i (x) dµ i (x) φ C c (, R p ). Chiaramente la convergenza debole implica la convergenza debole locale, ma vedremo che sotto opportune ipotesi vale anche il viceversa. Dal teorema di Banach-Steinhaus segue che ogni successione convergente debolmente soddisfa la condizione sup µ h () < +. h Viceversa, data una successione (µ h ) h di misure, alle quali posso associare i funzionali L h, se sup h µ h () M < + e supponiamo che L h (f) converge nella topologia forte a L(f) per ogni f C c (, R p ), allora la successione di misure converge debolmente e quindi lim p h i=1 f i (x) dµ h,i (x) = p i=1 f i (x) dµ i (x) f C 0 (, R p ). Ciò segue dalla densità di C c in C 0, infatti in tal caso per ogni f C 0 (, R p ) e per ogni ɛ > 0 esiste f ɛ C c (, R p ) tale che f f ɛ < ɛ e quindi Pertanto avremo ɛm < lim inf h Inoltre, possiamo scrivere (f f ɛ )dµ h f f ɛ d µ h f f ɛ d µ h = f f ɛ µ h () < ɛm. (f f ɛ ) dµ h lim sup (f f ɛ ) dµ h ɛm. h f dµ h = f ɛ dµ h + (f f ɛ ) dµ h. Da queste ultime due osservazione, con l ipotesi che L h (f) L(f) per ogni f C c, segue: lim sup f dµ h = lim h + h f ɛ dµ h + lim sup (f f ɛ ) dµ h f ɛ dµ + ɛm h +

27 lim inf f dµ h = lim f ɛ dµ h + lim inf (f f ɛ ) dµ h f ɛ dµ ɛm h + h h + e quindi per arbitrarietà di ɛ si ottiene la convergenza debole. Quindi abbiamo dimostrato che, con l ipotesi sup h µ h () < +, la convergenza debole locale implica la convergenza debole. Richiamiamo la definizione di funzione semicontinua inferiormente, e un risultato legato ad essa: Definizione 3.6. Una funzione f : R si dice sequenzialmente semicontinua inferiormente se per ogni x e per ogni successione (x h ) h tale che x h x allora f(x) lim inf h f(x h ) Proposizione 3.7. Sia F = {f : R continua}, allora g(x) = sup f F f(x) è semicontinua inferiormente. Dimostrazione. Sia x h x. Per definizione di sup esiste f ɛ F per ogni ɛ > 0 tale che g(x) f ɛ (x) + ɛ. Inoltre: f ɛ (x) = lim inf h da cui segue che g(x) lim inf h g(x h ) + ɛ. f ɛ(x h ) lim inf h g(x h) Corollario 3.8. Per ogni aperto A di, la funzione µ µ (A) è semicontinua inferiormente. Dimostrazione. Segue dal Corollario 3.3 e dalla Proposizione 3.7. Teorema 3.9. (Proprietà della convergenza debole di misure) Siano (µ h ) misure in a valori in R p tali che la successione µ h () è limitata. Allora (a) esiste una sottosuccessione (µ hk ) convergente debolmente in ; (b) se p = 1 e le misure sono non negative, allora µ h µ implica lim inf h per ogni insieme aperto A e per ogni insieme chiuso K ; µ h(a) µ(a) lim sup µ h (K) µ(k) h 27

28 28 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE (c) se µ h µ e µ h σ si ha µ σ e lim µ h(e) = µ(e) h per ogni insieme di Borel E tale che σ( E) = 0. Dimostrazione. (a): Consideriamo B M = {L h C 0 : L h < M}, dove gli L h sono i funzionali associati alle misure µ h, per il teorema di Riesz. Allora per il teorema di Alaoglu-Bourbaki, essendo C 0 uno spazio di Banach, esiste una sottosuccessione (L hk ) che converge nella topologia debole e quindi, sempre grazie al teorema di Riesz, esiste una sottosuccessione di misure (µ hk convergente debolmente. (b) Prima parte: Definiamo Λ φ (µ) = A φ dµ per ogni φ C 0() φ 1 e per ogni µ misura positiva; Λ φ è sequenzialmente continua, perché se µ h µ, per definizione si ha lim Λ φ(µ h ) = lim φ dµ h = φ dµ = Λ φ (µ). h h A A Sia F = {φ C 0 () : φ 1} e Γ(µ) = sup φ F Λ φ (µ) allora dalla Proposizione 3.7 segue che Γ(µ) è semicontinua inferiormente; inoltre dal Corollario 3.3 segue che pertanto avremo Γ(µ) = sup φ F µ(a) = Γ(µ) lim inf h Λ φ (µ) = sup φ dµ = µ(a), φ F A Γ(µ h) = lim inf h µ h(a). Seconda parte: Sia K un compatto allora K = \ A dove A è un aperto e quindi µ h (K) = µ h () µ h (A) per ogni h. Da ciò e dalla prima parte del punto (b) segue lim sup h µ h (K) = lim sup h (µ h () µ h (A)) lim sup µ h ()+ h lim sup( µ h (A)) = µ() lim inf µ h(a) µ() µ(a). h h (c) Prima parte: Sia A un aperto dimostriamo che µ (A) σ(a). Sia φ C 0 (A, R p ) allora p φ i (x) dµ h,i (x) i=1 A A φ(x) d µ h (x)

29 29 e mandando h p i=1 A φ i (x) dµ i (x) A φ(x) dσ(x). Ma dal Corollario 3.3, sappiamo che µ (A) = sup { A φ dµ φ C 0(A), φ 1} quindi µ (A) σ(a). Seconda parte: Sia E B() tale che σ( E) = 0 e µ + h, µ h le parti positive e negative di µ h ; per il punto (a) possiamo supporre che µ + h ν+ e µ h ν e quindi avremo µ = ν + ν e σ µ ν ± = ν ±. Sia ora K la chiusura di E e A la parte interna di E. Usando il punto (b) e il fatto che σ ν ± abbiamo lim sup µ ± h,i (E) lim sup µ ± h,i (K) = ν± h,i (K) = h h e quindi = ν h,i ± (A) + ν± h,i ( E) lim inf h µ± h,i (A) lim inf h µ± h,i (E) lim inf h µ h(e) = lim sup µ h (E) = lim µ h (E) = µ(e). h h

30 30 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE 3.1 Misure di Hausdorff Le misure di Hausdoff k-dimensionali in R d sono misure esterne o misure di Borel molto importanti in teoria geometrica della misura perché la loro definizione è indipendente dalle parametrizzazioni locali ed ha senso anche per insiemi non regolari. Al fine di comprendere la definizione di tale misura ricordiamo che il diametro di un sottoinsieme E R d non vuoto è definito da diam(e) = sup { x y : x, y E}. Sia k N, e ω k la misura di Lebesgue della palla unitaria di R k. La definizione di ω k si può dare per ogni k [0, + ) in questo modo ω k = π k 2 Γ(1 + k 2 ), k 0 dove Γ(t) = 0 s t 1 e s ds è la funzione di Eulero. Definizione Sia k [0, ) e E R d. k-dimensionale di E è data da: La misura di Hausdorff H k (E) := sup Hδ(E) k δ>0 dove, per 0 < δ +, H k δ(e) è cosi definita: Hδ(E) k := ω { k 2 inf [diam(e k i )] k : diam(e i ) < δ, E } E i. i I i I Osserviamo che la definizione è ben posta infatti l applicazione δ H k δ (E) è monotona decrescente ed in particolare da ciò segue che in (0, ]: H k (E) = sup Hδ(E) k = lim H k δ>0 δ 0 δ(e). Si può anche parlare di misura di Hausdorff sferica S k definita in modo analogo alla misura di Hausdorff ma in cui i ricoprimenti sono fatti non con insiemi generici E i ma con palle B i. Teorema (Proprietà delle misure di Hausdorff) (a) Le misure H k sono monotone, numerabilmente subadditive sulle parti di R d e, in particolare, σ-additive sugli insiemi di Borel;

31 3.1. MISURE DI HAUSDORFF 31 (b) H k è identicamente nulla per k > d e coincide con la misura del conteggio quando k = 0; (c) se k > k 0 allora H k (E) > 0 = H k (E) = ; (d) per ogni insieme di Borel B R d ed ogni δ > 0 si ha L d (B) = Hδ(B) d = H d (B) dove L d è la misura di Lebesgue in R d ; (e) H k S k 2 k H k ; (f) per ogni insieme di Borel B R n ed ogni k > 0 si ha H k (B) = 0 H (B) k = 0. Dimostrazione. (a) Prima parte: basta dimostrare che le funzioni Hδ k ogni δ > 0 sono numerabilmente subadditive cioè per E + j=0 E j H k δ(e) + j=0 H k δ(e j ) in tale caso infatti, passando al sup si ha la stessa proprietà per H k. Supponiamo che E j=1 E j con E j R d e Hδ(E k j ) < +. Sia poi per ogni j, (E j i ) i un ricoprimento di E j tale che diam(e j i ) < δ e tale che, fissato ɛ > 0 si abbia: ω + k (diam(e j 2 k i )) k Hδ(E k j ) + 2 j ɛ. i=0 Dato che (E j i ) al variare di i e j è anche un ricoprimento di E si ha H k δ(e) ω k 2 k + i,j (diam(e j i )) k + j=0 (H k δ(e j ) + 2 j ɛ) = + j=0 H k δ(e j ) + ɛ e dal arbitrarietà di ɛ segue la disuguaglianza cercata. Seconda parte: utilizziamo il criterio di Carathéodory per dimostrare la σ-additività sugli insiemi di Borel. Supponiamo che A e B siano insiemi distanti e 0 < δ < d(a,b), allora ogni insieme di diametro minore di δ interseca 2 A o B, ma non entrambi; allora Hδ(A) k + Hδ(B) k = Hδ(A k B) e quindi passando al sup abbiamo che H k è additivo sugli insiemi distanti.

32 32 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE (b) Prima parte. La tesi segue dalla σ-subadditività e dall invarianza per traslazioni della misura di Hausdorff. Consideriamo Q, il cubo di lato 1 di R d ; questo può essere ricoperto da n d cubi chiusi di lato 1 e quindi diametro n d ; pertanto avremo n Hk ( δ(q) ω d) k n d k k con δ > d. Mandando n 2 k n H k (Q) = 0 e quindi dall ipotesi di σ-subadditività e invianza per traslazioni segue che H k è identicamente nulla. Seconda parte. Supponiamo che E sia un insieme finito di s elementi e δ 0 la minima distanza degli elementi di E, allora per δ < δ 0 ogni ricoprimento di E fatto da insiemi aventi diametro minore di δ è costituito da almeno s insiemi; ma in particolare esiste un ricoprimento costituito da esattamente s insiemi e quindi Hδ 0 = s se δ < δ 0 e quindi H 0 (E) = s. Se E invece è costituito da infiniti punti, si considera E s E una selezione di s elementi di E; dalla monotonia segue H 0 (E) H 0 (E s ) = s per ogni s N, quindi H 0 (E) = +. (c) Segue dalla disuguaglianza 2 k H k 2 k ω δ(e) δ k k Hδ k (E) k ω k facendo tendere δ 0. (d) Da questo punto risulta chiara la ragione della scelta di una tale normalizzazione nella definizione di misura di Hausdorff. Per dimostrare questo punto è necessaria la disuguaglianza isodiametrica, in base alla quale l insieme avente misura di Lebesgue massima tra quelli di diametro fissato è la palla, cioè ( ) d diam(b) L d (B) ω d. 2 Dimostriamo prima che H d (B) L d (B). Supponiamo che B sia un insieme limitato. Dal fatto che la misura di Hausdorff è invariante per traslazioni e omotetie, risulta quindi finita sugli insiemi limitati. Dato δ > 0 e un aperto limitato A contenente B, possiamo considerare la famiglia B di tutte le palle chiuse aventi centri in A e diametro minore di δ; siamo però nelle ipotesi del Teorema 2.5 pertanto esiste una famiglia numerabile e disgiunta B B tale che H d ( A \ B ) = 0. Quindi B ricopre H d -quasi tutto B e in particolare i suoi elementi li denotiamo: B h = B ρh (x h ) A. Allora avremo: Hδ(B) d H d δ(b h ) ω d ρ d h = L n (B ρh ) L n (A) h=0 h=0 h=0

33 3.1. MISURE DI HAUSDORFF 33 dove, nel primo passaggio, abbiamo utilizzato la subadditività numerabile di Hδ. d Sfruttando l arbitrarietà di δ e di A si ottiene la disuguaglianza cercata. Per dimostrare che L d (B) Hδ(B) d usiamo la disuguaglianza isodiametrica. Sia (B h ) h un ricoprimento di B tale che diam(b h ) < δ per ogni h, allora otteniamo: L d (B) h=0 L d (B h ) ω d 2 d (diam(b h )) d h=0 e quindi dall arbitrarietà del ricoprimento la disuguaglianza è verificata. (e) La prima disuguaglianza è ovvia perché nella misura di Hausdorff abbiamo più insiemi; la seconda segue dal fatto che un insieme E i lo si può mettere in una palla centrata in un punto di E i con raggio uguale al diametro di E i, da cui il coefficiente 2 k. (f) La prima implicazione è ovvia. Dimostriamo. Supponiamo H (B) k = 0, allora possiamo trovare per ogni σ > 0 un ricoprimento di B costituito da insiemi (B i ) i aventi diametro 2b i e tale che i ω k b k i < σ. Siccome il massimo dei b i può essere stimato con ( ) 1 σ k ω k allora ( ) 1 σ Hδ(σ)(B) k k < σ con δ(σ) := 2, ωk e quindi mandando σ 0, si ottiene H k (B) = 0. Osserviamo che dal punto (d) del Teorema 3.11 si può dedurre che per ogni insieme B contenuto in un k-piano π R d si ha H k (B) = H k π(b) = L k π(b) (3.1) dove H k π e L k π indicano la misura di Hausdorff k-dimensionale e la misura di Lebesgue k-dimensionale sul piano π. Per k-piano si intende un sottospazio di R d di dimensione k. Grazie alle proprietà viste nel Teorema 3.11 ha senso la seguente definizione: Definizione Se E R d, definiamo la sua dimensione di Hausdorff mediante dim H (E) := inf { k 0 : H k (E) = 0 }. Osserviamo quindi che per il Teorema 3.11 se k < dim H (E) allora H k (E) = + e se k > dim H (E) allora H k (E) = 0.

34 34 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Definizione Sia µ una misura di Radon positiva in un insieme aperto R d e k 0. Le densità superiore e inferiore k-dimensionali di µ in x sono rispettivamente: Θ k(µ, x) := lim sup ϱ 0 µ(b ϱ (x)) µ(b ϱ (x)), Θ ω k ϱ k k (µ, x) := lim inf. ϱ 0 ω k ϱ k Se Θ k(µ, x) = Θ k (µ, x), allora si parla di densità k-dimensionale di µ in x e si indica Θ k (µ, x). Per ogni insieme di Borel E definiamo inoltre Θ k(e, x) := lim sup ϱ 0 H k (E B ϱ (x)) H k (E B ϱ (x)), Θ ω k ϱ k k (E, x) := lim inf. ϱ 0 ω k ϱ k e se questi coincidono, denotiamo il valore comune delle densità con Θ k (E, x). Quando k = d otteniamo Θ (E, x) := lim sup ϱ 0 E B ϱ (x), Θ (E, x) := lim inf B ϱ (x) ϱ 0 E B ϱ (x). B ϱ (x) Se le due densità coincidono otteniamo Θ(E, x) che viene chiamata densità dell insieme E in x. Definizione Sia E R d in insieme di Borel. Definiamo l insieme E α = { x R d : Θ(E, x) = α }. Chiaramente, dal Teorema di Besicovitch, segue che, per quasi ogni x R d, x E 0 E 1. Teorema Sia R d un insieme aperto e µ una misura di Radon positiva in. Allora per ogni t (0, ) e ogni insieme di Borel B valgono le seguenti implicazioni: Θ k(µ, x) t Θ k(µ, x) t x B = µ th k B x B = µ 2 k th k B. Dimostrazione. Senza perdere di generalità possiamo supporre t = 1, k > 0 e B limitato. Dimostriamo la prima parte. Fissato δ (0, 1), consideriamo le palle aperte C contenute in un aperto limitato A centrate in punti di B e con diametro d C < δ tali che µ(c) (1 δ)ω k d k C 2 k. Applicando il Teorema 2.4 a

35 3.1. MISURE DI HAUSDORFF 35 questo ricoprimento di B otteniamo una famiglia di palle (C i ), con intersezione controllata da una costante ξ(d) che ancora ricopre B. In particolare: H k δ(b) i ω k 2 k dk C i i 1 1 δ µ(c i) ξ(d) 1 δ µ(a). Mandando δ 0, otteniamo H k (B) ξ(d)µ(a) < +. Quindi possiamo applicare il Teorema 2.5 al ricoprimento di B costituito dalle palle iniziali C contenute in A e ottenere quindi una sottofamiglia numerabile disgiunta di palle C i che ricopre H k -quasi tutto B. Pertanto avremo: H k δ(b) i ω k 2 k dk C i i 1 1 δ µ(c i) 1 1 δ µ(a) cioè sfruttando l arbitrarietà di δ e di A si ottiene H k (B) µ(b). Potendo ripetere questo discorso per qualsiasi sottoinsieme di Borel di B, si ha la prima disuguaglianza. Dimostriamo ora la seconda disuguaglianza. Fissato t > 1, per ogni intero h 1 consideriamo gli insiemi B h := { x B : µ(b ρ (x)) ω k ρ k k < t ρ (0, 1 h ) } La successione (B h ) h è crescente e la sua unione è l insieme B. Fissato h, siano (C i ) gli insiemi con diametro minore di 1 la cui unione contiene B h h e tali che ω k ρ k i < H k 1 (B h ) + 1 h h i=0 con ρ i := diamc i. Possiamo supporre che gli insiemi C 2 i intersechino gli insiemi B h in punti x i. Definiamo allora gli insiemi C i = B 2ρi (x i ), che ricoprono ancora B h e si ha µ(b h ) µ(c i) t ( ω k (2ρ i ) k < t2 k H k (B) + 1 ). i i h Facendo tendere h + e t 1 si ottiene la disuguaglianza voluta. Osserviamo che la seconda disuguaglianza non necessita del 2 k se usiamo la misura di Hausdorff sferica al posto della misura di Hausdorff. Corollario Due conseguenze importanti del Teorema 3.15 sono (1) Θ k(µ, x) < per H k quasi ogni x ; (3.2) (2) B B(), µ(b) = 0 Θ k(µ, x) = 0 per H k quasi ogni x B. (3.3).

36 36 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Dimostrazione. Per ogni insieme B {x : Θ k(µ, x) = } limitato, dal Teorema 3.15 segue che µ(b) th k (B) per ogni t, dunque H k (B) = 0. Dalla subadditività di H k segue la prima disuguaglianza. Similmente si dimostra anche la seconda implicazione.

37 3.2. INSIEMI RETTIFICABILI Insiemi rettificabili Partiamo con la definizione e alcune proprietà delle funzioni Lipschitziane, classe di funzioni molto utilizzata nella teoria geometrica della misura. Definizione Sia E R d e f : E R m. Diciamo che f è una funzione Lipschitziana in E e scriviamo f [Lip(E)] m se Lip(f, E) := sup { f(x) f(y) x y : x y, x, y E Per definizione Lip(f,E) è il minimo M [0, ] tale che f(x) f(y) M x y x, y E x y. } < Vedremo ora che è possibile estendere una funzione Lipschitziana, definita in un sottoinsieme di R d a valori reali, all intero spazio mantenendo la stessa costante di Lipschitz: Proposizione Sia E R d e sia f : E R una funzione Lipschitziana; allora esiste f : R d R tale che f(x) = f(x) per ogni x E e Lip( f, R d ) = Lip(f, E). Dimostrazione. Sia L = Lip(f, E) e sia f : R d R, quella funzione che ad x associa f(x) = inf {f(z) + L x z }. z E Per ogni x E, dalla lipschitzianità di f segue che f(x) f(z) + L x z per ogni z E, quindi f(x) f(x) = inf {f(z) + L x z } f(x) z E cioè f(x) = f(x) per ogni x E. Dimostriamo ora che Lip( f, R d ) = sup { f(x) f(y) x y : x, y R d, x y } = L. (3.4) Nel caso in cui x, y E, (3.4) è ovvia. Supponiamo ora x E e y / E, allora per ogni ɛ > 0 esiste z ɛ E tale che e quindi f(y) > f(z ɛ ) + L y z ɛ ɛ. f(x) f(y) f(x) f(z ɛ ) L y z ɛ + ɛ L x z ɛ L y z ɛ + ɛ

38 38 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE L x z ɛ y + z ɛ + ɛ = L x y + ɛ. Inoltre se y / E, allora per ogni z E f(y) f(z) + L y z in particolare anche per z = x, pertanto In conclusione f(y) f(x) f(x) + L y x f(x) L x y. L x y f(x) f(y) L x y + ɛ e (3.4) deriva dall arbitrarietà di ɛ. Supponiamo ora x, y / E, allora per ogni ɛ > 0 esistono y ɛ e x ɛ in E tali che f(y) > f(y ɛ ) + L y y ɛ ɛ, f(x) > f(xɛ ) + L x x ɛ ɛ. Pertanto, utilizzando quanto abbiamo appena dimostrato, segue f(x) f(y) f(x) f(y ɛ ) L y y ɛ + ɛ L x y ɛ L y y ɛ + ɛ ma anche L x y ɛ y + y ɛ + ɛ = L x y + ɛ f(y) f(x) f(y) f(x ɛ ) L x x ɛ + ɛ L y x ɛ L x x ɛ + ɛ L y x ɛ x + x ɛ + ɛ = L x y + ɛ. Dall arbitrarietà di ɛ segue (3.4), e la tesi è dimostrata. Esiste anche un Teorema più generale per funzioni vettoriali; in tal caso è facile costruire una estensione ragionando componente per componente ma meno facile è farlo in modo che la costante di Lipschitz sia la stessa. La dimostrazione generale va sotto il nome di Osserviamo che la funzione utilizzata nella dimostrazione della Proposizione 3.18 viene anche indicata con f + ed è la più grande estensione di f; similmente viene anche definita la più piccola estensione di f in questo modo f (x) := sup {f(y) L x y : y E}. Esiste un particolare legame tra le funzioni Lipschitziane e la misura di Hausdorff:

39 3.2. INSIEMI RETTIFICABILI 39 Proposizione Sia f : R d R m una funzione Lipschitziana, e E R d. Allora H k (f(e)) (Lip(f)) k H k (E). Dimostrazione. Escludiamo i casi banali e supponiamo k > 0, H k (E) < e L = Lip(f) > 0. Fissati ɛ > 0 e δ > 0, si ha H k δ(e) < ed esiste un ricoprimento di E, (E i ) i, con diam(e i ) < δ, tale che ω k 2 k i (diam E i ) k H k δ(e) + ɛ. Osserviamo che diam(f(e i )) L diam(e i ) e quindi {f(e i )} è un ricoprimento di f(e) tale che diam(f(e i )) Lδ. Allora avremo HLδ(f(E)) k ω k (diam(f(e 2 k i ))) k L k ω k (diam(e 2 k i )) k L k (Hδ(E)+ɛ) k i e quindi mandando ɛ e δ a zero otteniamo la tesi. i Un altra proprietà importante delle funzioni Lipschitziane in R d differenziabilità L d -quasi ovunque: è la Teorema (Rademacher) Sia f : D R d R m Lipschitziana. Allora f è differenziabile in L d -quasi ogni punto di D. Dimostrazione. Ricordiamo che una funzione f : R d R m è differenziabile in x R d se esiste una mappa lineare L : R d R m tale che f(x) f(y) L(x y) lim y x x y = 0. Se questa mappa esiste è chiaramente unica e la si indica con Df x. Osserviamo che f = (f 1,..., f m ) è differenziabile in a se e solo se ogni funzione f i è differenziabile in a, quindi non è restrittivo supporre m=1. Prima parte: dimostriamo prima che f Lip(a, b), con < a < b < +, è differenziabile in L 1 -quasi ogni punto di (a, b). Sia g C 1 c (a, b) e definiamo l operatore b L (h) f (g) := a f(x + h) f(x) b g(x h) g(x) g(x) dx = f(x) h a h dove h è tale che h < dist(supp g, (a, b) c ) e la seconda uguaglianza è ottenuta mediante un cambiamento di variabile. Osserviamo che b L (h) f (g) f(x + h) f(x) a h g(x) dx L g (b a) dx

40 40 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE dove L è la costante di Lipschitz della funzione f, e quindi applicando la convergenza dominata si ottiene lim h 0 L(h) f b (g) = f(x)g (x) dx = L f (g). a Siccome L f (C c (a, b)), per il Teorema di Riesz esiste una misura µ M loc (a, b) tale che L f (g) = b a b g(x) dµ(x) = f(x)g (x) dx a g C 1 c (a, b). Dimostriamo ora che µ << L 1. Sia (c, d) (a, b) tale che d c < δ. Dal Corollario 3.3 segue { } d µ(c, d) = sup g(x) dµ(x) g C c (c, d), g 1 c { } d = sup f(x)g (x) dx g C c (c, d), g 1 c { } d f(x + h) f(x) = sup lim g(x) dx g C c (c, d), g 1 Lδ. h 0 c h Allora per il teorema di Radon-Nikodym esiste q L 1 (a, b) tale che µ = ql 1 e quindi b a b f(x)g (x) dx = g(x)q(x) dx a g C 1 c (a, b). Per ogni x 1, x 2 (a, b), x 1 x 2, e h min{x 1 a, b x 2 } consideriamo la funzione g(x) C c (a, b) tale che nell intervallo [x 1, x 2 ] assume valore costante 1, in [x 1 1, x h 1] è la retta y = hx + 1 x 1 h in [x 2, x ] è la retta h y = hx+1+hx 2 e fuori dall intervallo [x 1 1, x h ] è nulla. Allora avremo h x1 x2 + 1 x2 + 1 h h h f(x) dx h f(x) dx = g(x)q(x) dx x 1 1 x h 2 x 1 1 h e mandando h f(x 2 ) f(x 1 ) = x2 x 1 q(x) dx. Pertanto per ogni x 0 (a, b) e per ogni 0 < ɛ < (b x 0 ) avremo f(x 0 + ɛ) f(x 0 ) ɛ = 1 ɛ x0 +ɛ x 0 q(x) dx

41 3.2. INSIEMI RETTIFICABILI 41 e quindi per il Teorema di Lebesgue per quasi ogni x 0 (a, b) esiste il f(x lim 0 +ɛ) f(x 0 ) ɛ 0 e coincide con q(x ɛ 0 ). Quindi esiste N (a, b), L 1 (N) = 0, tale che f è differenziabile per ogni x (a, b) \ N e f (x) = q(x). Seconda parte: Sia ora d > 1. Per la Proposizione 3.18 possiamo considerare l estensione f : R d R. Dalla prima parte segue che per ogni x, v R d, la funzione Lipschitziana f x,v (t) = f(x + tv) di una variabile, è differenziabile per quasi ogni t R. Dunque, fissato v R d, per il Teorema di Fubini e i precedenti risultati, per quasi ogni x R d esiste f(x + tv) f(x) D v f(x) := lim. t 0 t In particolare, se consideriamo (e 1,..., e d ) la base canonica di R d, avremo quindi f x i = D ei f, cioè per quasi ogni x R d esiste il gradiente f(x) = ( f x 1,..., f x d ). Vogliamo ora mostrare che per ogni v R d e per quasi ogni x R d abbiamo D v f(x) = v f(x). Fissato v = (v 1,..., v d ) R d e fissata una funzione φ C 0 (R d ) abbiamo f(x + tv) f(x) D v f(x)φ(x) dx = lim φ(x) dx R d R d t 0 t φ(x) φ(x tv) = lim f(x) dx t 0 R d t = f(x)d v φ(x) dx R d d = v i f(x) φ (x) dx R d x i = i=1 d v i i=1 R d f x i (x)φ(x) dx = R d v f(x)φ(x) dx. Per arbitrarietà di φ l asserto è dimostrato per quasi ogni x R d. Consideriamo ora un insieme denso e numerabile di direzioni v i di R d, che chiamiamo V S d 1. Fino ad ora abbiamo dimostrato che esiste un sottoinsieme A R d tale che L d (R d \ A) = 0 e che per ogni v i e per ogni a A vale D vi f(a) = v i f(a).

42 42 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Ora fissiamo a A. Per ogni v D e t R, t 0 definiamo D(v, t) := f(a + tv) f(a) t v f(a). Dobbiamo dimostrare che D(v, t) 0 per t 0 indipendentemente da v. Fissato ɛ > 0 scegliamo v 1,..., v kɛ V tali che per ogni v V esiste un qualche i = 1,..., k ɛ tale che v v i < ɛ, allora avremo: f(a + tv) f(a + tv i ) D(v, t) D(v i, t) t + (v v i) f(a) L (v v i ) + f(a) (v v i ) Cɛ, dove C = (1 + d)l non dipende da v. Infatti f = d ( ) 2 f(x + tei ) f(x) lim d ( lim L te ) 2 i = L d. t 0 t t 0 t i=1 Poiché lim t 0 D(v i, t) = 0 per ogni v i, allora possiamo scegliere un δ > 0 tale che per t < δ, D(v i, t) < ɛ per ogni i = 1,..., k e quindi, per t < δ D(v, t) < Cɛ i=1 dove C non dipende da v, come volevasi dimostrare. Iniziamo ora lo studio degli insiemi rettificabili a partire dalla definizione: Definizione Sia E R d un insieme H k -misurabile. Diciamo che E è σ-k-rettificabile se esiste una famiglia numerabile di funzioni Lipschitziane f i : R k R d tale che E f i (R k ). i=0 Diciamo che E è σ-h k -rettificabile se esiste una famiglia numerabile di funzioni Lipschitziane f i : R k R d tale che H k (E \ f i (R k )) = 0. i=0 Infine diciamo che E è H k -rettificabile se E è σ-h k -rettificabile e H k (E) <. Per k = 0 insiemi σ-k-rettificabile e σ-h k -rettificabile corrispondono a insiemi finiti o numerabili, mentre insiemi H k -rettificabile corrispondono a

43 3.2. INSIEMI RETTIFICABILI 43 insiemi finiti. Dalla Proposizione 3.19 segue che insiemi rettificabili sono stabili sotto trasformazioni Lipschitziane. Facciamo ora alcune premesse. Per k-grafico in R d rispetto al piano π si intende l insieme { x R d : φ(πx) = π x } dove φ è una funzione definita nel k-piano di R d, π a valori in π. Ricordiamo che per k-piano intendiamo un sottospazio di R d di dimensione k e quindi con π, intendiamo il sottospazio di R d ortogonale a π. Infine con πx si intende la proiezione ortogonale di x sul sottospazio π. Facciamo un esempio di insieme σ-k-rettificabile: Esempio Il grafico di una funzione Lipschitziana di k variabili (kgrafico) è un esempio di insieme σ-k-rettificabile. Sia φ : π π una funzione Lipschitziana e Γ il grafico di φ. Scelta {e 1,..., e k } una base di π e data una funzione f : R k Γ così fatta otteniamo che Γ è σ-k-rettificabile. ( k k ) f(y) := y i e i + φ y i e i i=1 i=1 Definizione Sia µ : B(R d ) R m una misura vettoriale di Radon. Diciamo che µ è k-rettificabile se esiste un insieme S σ-h k -rettificabile e una funzione di Borel θ : S R m tale che µ = θh k S. Nel caso in cui k = d le misure k-rettificabili coincidono con le misure assolutamente continue rispetto a L d. Inoltre, dal Teorema di Radon-Nikodym segue che µ = θh k S, dove S B(R d ), se e solo se µ è assolutamente continua rispetto a H k ed è concentrata in S. Definizione Sia π R d un k-piano e M 0; il cono K M (π) con asse π e apertura M è definito da K M (π) := { x R d : π x M πx }. Osserviamo che se M = 0 allora K M (π) = π, mentre per M allora K M (π) \ {0} R d \ π. Proposizione Sia S un sottoinsieme del k-grafico di una funzione Lipschitziana f, allora per ogni x S esiste un k-piano π e una costante M tale che S x + K M (π). Viceversa, se per ogni x S esiste un k-piano π e una costante M tale che S x + K M (π) allora S è grafico di una funzione Lipschitziana.

44 44 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Dimostrazione. Sia f : π π una funzione Lipschitziana di k-grafico Γ e S Γ. Siano x 1, x 2 S, allora x i = πx i + π x i = πx i + f(πx i ) per i = 1, 2. Da ciò e dal fatto che f è Lipschitziana segue che π (x 1 x 2 ) M π(x 1 x 2 ) con M Lip(f). Pertanto, per ogni x S, ogni elemento z di S è anche contenuto nel cono x + K M (π) = { y R d : π (y x) M π(y x) } con M Lip(f). Viceversa, per ogni x S, S x + K M (π), perció per ogni y S vale π (x y) M π(x y) e ponendo f(π(x)) = π (x), f(π(y)) = π (y) si ottiene che S è grafico di una funzione f, Lipschitziana. Dalla precedente dimostrazione si può osservare che la costante di Lipschitz non supera M. Nel prossimo risultato vedremo una condizione sufficiente affinché un insieme sia σ-k-rettificabile. Parlemo di distanza tra due k-piani, riferendoci alla norma dell operatore lineare individuato dalla matrice di rappresentazione [v 1,..., v k ] R k d, dove (v 1,..., v k ) è una base ortonormale del k-piano. Teorema (criterio di rettificabilità per insiemi) Sia S R d e assumiamo che per ogni x S esiste ϱ(x) > 0, M(x) > 0 e un k-piano π(x) R d tale che S B ϱ(x) (x) x + K M(x) (π(x)). (3.5) Allora, S è contenuto nell unione di una famiglia numerabile di k-grafici di funzioni Lipschitziane con costante di Lipschitz non superiore a 2 sup x M(x). Dimostrazione. Consideriamo i sottoinsiemi di S: S i := { x S : ϱ(x) > 1 } i i N, i 1 e dimostriamo l enunciato per questi insiemi. Possiamo assumere senza perdere di generalità che α = sup x M(x) (0, ) infatti se così non fosse si modificano i sottoinsiemi S i in S ij aggiungendo la condizione M(x) j. Sia δ > 0 soddisfacente α + δ(α + 1) 1 δ(α + 1) 2α δ(α + 1) < 1

45 3.2. INSIEMI RETTIFICABILI 45 e sia {π 1,..., π n } un insieme di k-piani tali che min j π j π < δ per ogni k-piano π, dove π j π = d(π j, π). Definiamo ora S ij := {x S i : π(x) π j < δ} 1 j n; dobbiamo allora dimostrare che ogni sottoinsieme T S ij con diametro minore di 1 è contenuta in un k-grafico di una funzione Lipschitziana con i costante di Lipschitz minore di 2α. Siano x, x T, allora π j (x x ) π j (x x ) π (x)(x x ) + π (x)(x x ) π j π(x) x x + π(x) (x x ) ricordando che ci troviamo in S ij e applicando la condizione di cono (3.5), otteniamo π j π(x) x x + π(x) (x x ) δ x x + π(x) (x x ) δ x x + α π(x)(x x ) δ x x + α( π(x) π j x x + π j (x x ) ) δ(1+α) x x +α π j (x x ) (α+δ(1+α)) π j (x x ) + π j (x x ) δ(1+α). Da questa successione di disuguaglianze segue quindi π j (x x ) (α + δ(1 + α)) 1 δ(1 + α) π j(x x ) 2α π j (x x ) cioè T x + K 2α (π j ); grazie alla Proposizione 3.25 la dimostrazione è conclusa. Esistono anche altre condizioni necessarie e sufficienti per un insieme rettificabile che noi ci limiteremo ad enunciare: la prima coinvolge il concetto di densità, la seconda il concetto di k-grafico di una funzione Lipschitziana: Proposizione Sia E B(R d ) con H k (E) <. Allora, E è H k - rettificabile se e solo se Θ k (E, x) = 1 per H k -quasi ogni x E. Proposizione Ogni insieme E, H k -misurabile, è σ-h k -misurabile se e solo se esiste una famiglia numerabile di k-grafici di funzioni Lipschitziane Γ i R d tale che ) H (E k \ Γ i = 0. i=0 Inoltre, dato ɛ > 0, i grafici Γ i possono essere scelti in modo che la costante di Lipschitz sia minore di ɛ.

46 46 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE 3.3 Misure tangenti In questa sezione considereremo µ una misura vettoriale di Radon a valori in R m definita in un aperto R d. Inoltre definiamo µ x,ϱ (B) := µ (x + ϱb) una misura che per ϱ < dist(x, ) è definita per ogni insieme di Borel C B 1, dove B 1 è la palla unitaria di R d. Definizione Denotiamo con Tan(µ, x) l insieme delle misure ν finite di Radon definite in B 1 a valori in R m limiti debole delle misure 1 c x,ϱi µ x,ϱi con c x,ϱ := µ (B ϱ (x)) per una qualche successione infinitesimale (ϱ i ) (0, ). Gli elementi di Tan(µ, x) sono le misure tangenti a µ in x. La scelta di una tale normalizzazione è dovuta al fatto che 1 µ x,ϱ (B 1 ) = 1 µ (B ϱ (x)) = 1 c x,ϱ c x,ϱ ϱ (0, dist(x, )). Questo implica, ricordando il Teorema 3.9, che l insieme Tan(µ, x) è non vuoto. Inoltre per la semicontinuità inferiore di µ µ (B 1 ), e per definizione di misura tangente ν (B 1 ) 1 ν Tan(µ, x). Infatti supponiamo che ν Tan(µ, x), cioè esiste una successione infinitesimale (ϱ i ) tale che 1 c x,ϱi µ x,ϱi ν. Allora dal Corollario 3.8 segue ν (B 1 ) lim inf i 1 c x,ϱi µ x,ϱi (B 1 ) = 1. Esempio Sia Σ R d una superficie k-dimensionale di classe C 1 e sia µ = H k Σ. Allora Tan(µ, x) contiene solo la misura 1 ω k H k π(x) per ogni x Σ, dove π(x) = T x Σ è lo spazio tangente a Σ in x. Infatti supponiamo di avere una k-varietà regolare parametrizzata da r : D R k R d, Σ = r(d). Sia Σ x0,ρ = Σ x 0 ρ parametrizzata da r x0,ρ(u) =

47 3.3. MISURE TANGENTI 47 r(u) x 0 ρ dove x 0 = r(u 0 ), u 0 D e sia r > 0 tale che B r (u 0 ) D. Nel nostro caso µ = H k Σ quindi µx 0,ρ c x0 = Hk Σ x0,ρ,ρ ω k, pertanto basta dimostrare che H k Σ x0,ρ H k T x0 Σ. Sia φ C 0 (R d ), utilizzando la Formula dell area, otteniamo ( ) r(u) x0 Σ x 0 ρ φ(x) dh k (x) = Poiché dr x0,ρ(u) = 1 dr(u), abbiamo ρ D φ ( ) r(u) x0 J k dr x0,ρ(u) du = 1ρ k ρ = 1 ρ k = D D u 0 ρ D φ ρ D J k dr x0,ρ(u) du. ( ) r(u) r(u0 ) φ J k dr(u) du ρ ( φ dr(u 0 ) u u 0 + o( u u ) 0 ) J k dr(u) du ρ ρ ( φ dr(u 0 )v + o(ρ v ) ) J k dr(u 0 + ρv) dv ρ dove nell ultima uguaglianza abbiamo utilizzato un cambio di variabile v = u u 0. Poiché B ρ r (u 0 ) D allora B r D u 0, e quindi se ρ << 1, ρ ρ rx 1 0,ρ(supp φ) B r. Utilizzando queste ultime osservazioni proseguiamo le ρ uguaglianze: = R k φ ( dr(u 0 )v + v o(ρ v ) ρ v e mandano ρ 0 φ (dr(u 0 )v) J k dr(u 0 ) dv = R k come volevasi dimostrare. ) J k dr(u 0 + ρv) dv T x0 Σ φ(w) dh k (w) Teorema Sia µ una misura di Radon vettoriale a valori in R m definita in e sia µ = f µ la sua decomposizione polare. Per ogni punto di Lebesgue x di f relativo a µ vale la seguente proprietà: µ x,ϱi c x,ϱi ν Tan(µ, x) µ x,ϱ i c x,ϱi ν e ν = f(x) ν. In particolare Tan(µ, x) = f(x) Tan( µ, x).

48 48 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Dimostrazione. Siano µ i per i = 1,..., m le componenti di µ e scriveremo µ ρ = µ x,ρ, c ρ = µ (B ρ (x)). Sia φ C c (B 1 ), allora abbiamo B 1 φ(z) d µ ρ (z) m i=1 f i (x) φ(z) dµ i ρ(z) B 1 m = φ(z) d µ ρ (z) f i (x) φ(z)f i (x + ρz) d µ i ρ (z) B 1 i=1 B 1 = φ(z)(1 f(x + ρz), f(x) ) d µ ρ (z) B 1 ( ) y x = φ (1 f(y), f(x) ) d µ (y). B ρ(x) ρ Poiché 1 f(y), f(x) f(y) f(x) e φ è limitata, supponendo di poterla maggiorare con una costante M, abbiamo ( ) y x φ (1 f(y), f(x) ) d µ (y) M f(y) f(x) d µ (y). B ρ(x) ρ B ρ(x) Pertanto, essendo x punto di Lebesgue: Dunque vale B 1 φ(z) d µ ρ (z) m i=1 µ ρi v µ ρ i c ρi c ρi f i (x) φ(z) dµ i ρ(z) = o(c ρ ). B 1 σ = i f i (x)ν i dove le convergenze deboli sono da intendersi in B 1. Scrivendo ν = g ν e utilizzando il punto (c) del Teorema 3.9, possiamo dire che ν σ e quindi f(x), g ν ν. Questo implica che g = f(x) ν -quasi ovunque in B 1 e quindi ν = σ e ν = f(x) ν = f(x)σ. Abbiamo così dimostraro la prima implicazione e l inclusione Tan(µ, x) f(x) Tan( µ, x). Viceversa se supponiamo che µρ i c ρi converga debolmente a σ in B 1, allora possiamo supporre grazie al punto (a) del Teorema 3.9 che µρ i c ρi converga debolmente in B 1 a una misura ν. Ma allora, per il punto precedente, abbiamo che ν = f(x) ν, ν = σ e quindi f(x)σ = f(x) ν = ν. Con ciò abbiamo concluso la dimostrazione. Vedremo successivamente un importante proprietà delle misure k-rettificabili. Queste misure infatti, per quasi ogni x nel supporto, sono asintoticamente concentrate vicino ad x, su un k-piano. Possiamo quindi definire quello che viene chiamato piano tangente approssimato alla misura:

49 3.3. MISURE TANGENTI 49 Definizione Sia µ una misura vettoriale di Radon a valori in R m definita in un aperto R d e x. Diciamo che µ ha uno spazio tangente approssimato in x, π, con molteplicità θ R m,dove π è un k-piano di R d e scriveremo Tan k (µ, x) = θh k π se ϱ k µ x,ϱ converge debolmente localmente a θh k π in R d per ϱ 0. In altre parole possiamo dire che lo spazio tangente approssimato a µ in x è quell unico k piano π nel quale le misure ϱ k µ x,ϱ sono asintoticamente concentrate. Quindi se consideriamo il cono K M (π) di asse π e apertura M vale µ (B ϱ (x) \ (x + K M (π))) = o(ϱ k ) M > 0. (3.6) Ricordando la definizione di convergenza debole locale, possiamo dire che la misura µ ammette un piano tangente approssimato, π, in x con molteplicità θ se ( ) y x lim ϱ 0 ϱ k φ ϱ dµ(y) = θ φ(y) dh k (y) φ C c (R d ) π dove abbiamo anche utilizzato la definizione di µ x,ϱ. Corollario Siano µ e ν misure di Radon definite in R d a valori in R m. Se Tan k (µ, x) = σ e ν µ (B ϱ (x)) = o(ϱ k ) allora Tan k (ν, x) = σ. Osserviamo un caso particolare: sia E R d un insieme H k -misurabile con misura finita, e sia µ = H k E. Osserviamo che ϱ k µ x,ϱ = H k E x,ϱ con E x,ϱ = E x, ϱ ϱ k µ x,ϱ (B) = ϱ k µ(x + ϱb) = ϱ k H k E(x + ϱb) = = ϱ k E (x+ϱb) dh k (y) = E x,ϱ B dh k (z) = H k E x,ϱ (B) dove abbiamo applicato un cambio di variabile y = x+ϱz e abbiamo utilizzato la proprietà della misura di Hausdorff di essere invariante per traslazioni e H k (λe) = λ k H k (E). Quindi possiamo dire il k-piano π è uno spazio tangente approssimato di H k E, in x con molteplicità 1 se e solo se lim φ(y) dh k (y) = φ(y) dh k (y) φ C c (R d ). ϱ 0 E x,ϱ π Vediamo ora una proprietà dello spazio tangente approssimato:

50 50 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE Teorema Sia µ una misura vettoriale di Radon a valori in R m definita in R d e assumiamo che ϱ k µ (B ϱ (x)) è limitata per ϱ 0. Se µ = f µ e x è un punto di Lebesgue per f relativo a µ, allora v = Tan k (µ, x) ν = Tan k ( µ, x). La dimostrazione è simile alla dimostrazione dell analogo Teorema Utilizzando questo ultimo risultato osserviamo che se Tan(µ, x) = θh k π dove µ = f µ e x un punto di Lebesgue di f allora ϱ k µ x,ϱ converge debolmente localmente a θ(x) H k π in R d quando ϱ 0, quindi per il punto (c) del Teorema 3.9 vale che µ(b ϱ (x)) lim ϱ 0 ϱ k Da ciò segue che 1 = lim ϱ 0 ϱ µ x,ϱ(b k 1 ) = θ(x)h k π(b 1 ) = θ(x)ω k. Tan k (µ, x) = θ(x)h k π Θ k (µ, x) = θ(x). (3.7) Quando abbiamo definito la misura k-rettificabile, cioè una misura µ rappresentabile come θh k S, dove S è un insieme σ-h k -rettificabile e θ : S R m è una funzione di Borel, abbiamo anche osservato che per il Teorema di Radon-Nikodym µ = θh k S, per un qualche S B(R d ) e θ : S R m, se e solo se µ è assolutamente continua rispetto a H k e concentrata in S. Però il teorema di Radon-Nikodym non fornisce una forma esplicita per θ, mentre il seguente teorema, grazie anche al risultato (3.7), mostra che, quando µ è concentrata in un insieme σ-h k -rettificabile, θ(x) coincide µ-quasi ovunque con Θ k (µ, x). In particolare vedremo che è possibile usare lo spazio tangente approssimato per caratterizzare la rettificabilità. Teorema (Criterio di rettificabilità per misure) Sia µ una misura positiva di Radon definita in un insieme aperto R d. (a) Se µ = θh k S e S è σ-h k -rettificabile, allora µ ammette uno spazio tangente approssimato con molteplicità θ(x) per H k -quasi ogni x S. In particolare θ(x) = Θ k (µ, x) per H k -quasi ogni x S. (b) Se µ è concentrata in un insieme di Borel S e ammette uno spazio tangente approssimato con molteplicità θ(x) > 0 per µ-quasi ogni x S, allora S è σ-k-rettificabile e µ = θh k S. In particolare esiste Tan k (µ, x) per µ-quasi ogni x = µ è k-rettificabile.

51 3.3. MISURE TANGENTI 51 Dimostrazione. (a) Prima parte. Supponiamo che S = f(k) dove f : R k R d è una funzione Lipschitziana iniettiva e K è un compatto di R k. Sia E un sottoinsieme di K costituito da quegli elementi y tali che esiste df y e J k df y > 0, Θ k (K, y) = 1 e lim ϱ 0 ϱ k θ(f(z))j k df z θ(f(y))j k df y dz = 0. (3.8) B ϱ(y) cioè y è punto di Lebesgue per θ: chiaramente H k (K \ E) = 0. Dobbiamo dimostrare che per ogni x f(e) esiste il piano tangente approssimato a θh k f(k). Sia y 0 E, x 0 = f(y 0 ) e φ C c (R d ) allora applicando la formula dell area si ottiene ( ) x ϱ k φ(x) dµ x0,ϱ(x) = ϱ k x0 φ dµ(x) = R d R d ϱ = ϱ k S ( ) x ( ) x0 f(y) θ(x)φ dh k (x) = ϱ k f(y0 ) θ(f(y))φ J k df y dy = ϱ K ϱ ( ) f(y0 + ϱz) f(y 0 ) = θ(f(y 0 + ϱz))φ J k df y0 +ϱz dy K ϱ ϱ dove nell ultima uguaglianza abbiamo applicato un cambio di variabile y = y 0 + ϱz e abbiamo posto K ϱ = K y 0. Per la convergenza dominata e per la ϱ Formula dell area, mandando ϱ 0, otteniamo lim ϱ 0 ϱ k φ(x) dµ x0,ϱ(x) = θ(x 0 )J k df y0 R d φ(df y0 (z)) dz R k = θ(x 0 ) φ(x) dh k (x) π 0 con π 0 = df y0 (R k ). Abbiamo così dimostrato che θ(x 0 )H k π 0 = Tan k (µ, x 0 ). Osserviamo che da L k (K \ E) = 0 segue H k (f(k) \ f(e)) = 0, grazie alla Proposizione 3.19, e quindi Tan k (µ, x) esiste per H k -quasi ogni x f(k). Seconda parte. Affrontiamo ora il caso generale. S, essendo σ-h k - rettificabile, può essere considerato, H k -quasi ovunque, come l unione di un infinità numerabile di insiemi compatti S i parametrizzati da funzioni Lipschitziane iniettive. Definiamo µ i = µ S i allora Tan k (µ i, x) esiste con molteplicità θ(x) per H k -quasi ogni x S i. Inoltre per il punto (2) del Corollario 3.16 vale Θ k (µ (S \ S i )) = 0 per H k quasi ogni x S i. Ora, poichè µ = µ i +µ (S \S i ), da queste ultime osservazioni e dal Corollario 3.33, segue che Tan(µ, x) esiste con molteplicità θ(x) per H k -quasi ogni x S i,

52 52 CAPITOLO 3. TEOREMA DI RIESZ E CONVERGENZA DEBOLE e quindi per arbitrarietà di i la dimostrazione è conclusa. L ultima parte segue dall equazione (3.7). (b) Per ogni numero intero n 1 definiamo S n := { x S : µ(b ϱ (x)) (0, ϱk n ϱ 1 ) }. n Dall implicazione (3.7), l unione degli S n ricopre µ-quasi tutto S, infatti, poiché Θ k (µ, x) = lim ϱ 0 µ(b ϱ(x)) ω k ϱ k, n N S n = {x S : θ(x) > 0}. Dimostriamo perció che S n per ogni n è k-rettificabile. Dimostriamo per assurdo che S n verifica le ipotesi del Teorema 3.26 con M(x) = 2 e ϱ(x) > 0 sufficientemente piccolo. Sia (x h ) h S n \ (x + K 2 (π(x))) una successione convergente a x S n ; allora poiché x h / x + K 2 (π(x)) vale e dal fatto che unendo le due cose troviamo π (x)(x h x) 2 π(x)(x h x) x h x 2 = π(x)(x h x) 2 + π (x)(x h x) 2, x h x π (x)(x h x) 2 + π (x)(x h x) 2 = 5 4 π (x)(x h x) 2. In conclusione π (x)(x h x) 2 5 x h x. (3.9) Si dimostra inoltre che se ϱ h = x h x 2 allora B 5 ϱh (x h ) x + K 1 (π(x)) =. Infatti, preso y B ϱh (x h ) e quindi y x h x h x 2, vale 5 π (x)(y x) π (x)(x h x) π (x)(y x h ) π (x)(x h x) y x h π (x)(x h x) x h x 2 5 = 1 2 π (x)(x h x) π (x)(x h x) x h x 2 5 dalla disuguaglianza (3.9) e dal fatto che x h / x + K 2 (π(x)) segue 1 2 π (x)(x h x) + x h x 2 5 π(x)(x h x) + x h x 2 5

53 3.3. MISURE TANGENTI 53 e infine sempre utilizzando y x h x h x 2 5 π(x)(x h x) + y x h π(x)(x h x) + π(x)(y x h ) π(x)(y x). Quindi y / x + K 1 (π(x)). Consideriamo ora α = e ϱ h < 1 n. Poiché x h S n, µ(b ϱh (x h )) ϱk h n. Inoltre da ϱ h < 1 segue che x n h x < 2 5 mentre n se y B ϱh (x h ), allora y x y x h + x h x ϱ h + 2 5ϱ h = αϱ h e quindi y B αϱh (x). Da ciò segue µ(b αϱh (x) \ (x + K 1 (π(x)))) µ(b ϱh (x h )) che è in contraddizione con (3.6), quindi dall assurdo deduciamo che S n è k-rettificabile. Consideriamo ora S = {x : esiste Tan(µ, x)}. Dal Teorema 3.15 e dall implicazione (3.7) segue che µ è concentrata in S e in particolare µ << H k S. Pertanto per il Teorema di Radon-Nikodym anche l ultima implicazione è dimostrata.

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55 Capitolo 4 Insiemi di perimetro finito In questa sezione, se non diversamente indicato, verrà considerato un aperto di R d. Prima di definire la funzione perimetro e affrontare le relative proprietà, introduciamo il concetto di funzione a variazione limitata. Definizione 4.1. Sia R d un insieme aperto e sia u L 1 (). Diremo che u ha variazione limitata in, e scriveremo u BV (), se { } Du () := sup u div g dx g Cc 1 (, R d ), g 1 <. Lo spazio vettoriale delle funzioni a variazione limitata in lo indicheremo con BV (). Diamo subito un esempio di funzione a variazione limitata. Esempio 4.2. Sia E R d un insieme limitato, non vuoto e E regolare. Allora χ E L 1 (), poiché χ E dx = L d (E ) <. Sia ora g Cc 1 (, R d ) tale che g 1, dal Teorema della divergenza, chiamando ν il versore normale interna a E, segue χ E div g dx = div g dx = g, ν dh d 1 (x) H d 1 ( E) E E e quindi Dχ E () < cioè χ E BV (). In particolare dal Corollario 3.3 segue che { } Dχ E () := sup χ E div g dx g Cc 1 (, R d ), g 1 = { } = sup g, ν dh d 1 g Cc 1 (, R d ), g 1 E 55 = νh d 1 E ().

56 56 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO Similmente si dimostra anche che le funzioni di classe C 1 in, sommabili e con gradiente sommabile, hanno variazione limitata in. Infatti utilizzando l integrazione per parti si ottiene u div g dx = g, u dx g Cc 1 (), g 1 e quindi Du () = u L 1 () <. Proposizione 4.3. Il funzionale che ad ogni elemento u L 1 loc() associa Du () è semicontinuo inferiormente nella convergenza in norma L 1 loc. Dimostrazione. Sia f g : u u div g dx g C 1 c (, R d ) u L 1 loc() un funzionale continuo nella norma L 1 loc. Poniamo allora il funzionale F = { g C 1 c (, R d ) : g 1 }, u Du () = sup f g (u), g F per la Proposizione 3.7, è semicontinuo inferiormente. Vedremo che la misura Du, nominata nella definizione di funzione a variazione limitata coincide con la derivata distribuzionale di u, pertanto valgono i seguenti risultati: Proposizione 4.4. Sia u BV (). Per ogni funzione φ Lipschitziana allora uφ BV () e D(uφ h ) = φ h Du + u φ h L d. Inoltre in ɛ = {x : dist(x, ) > ɛ} si ha (u ρ ɛ ) = Du ρ ɛ. Dimostrazione. Prima parte. Sia ϕ Cc 1 () tale che ϕ 1, allora D(uφ), ϕ = u div(φϕ) dx u φϕ dx = φϕ ddu+ u φϕ dx φ Du () + u L 1 () φ dunque uφ BV () e dall integrazione per parti segue D(uφ h ) = φ h Du + u φ h L d. Seconda parte. Segue dal Teorema B.6.

57 Teorema 4.5. Sia u L 1 (). Le seguenti affermazioni sono equivalenti: (i) u BV (); (ii) esiste µ u M f (, R d ) tale che 57 u div g dx = g, dµ u g Cc 1 (, R d ); (4.1) (iii) esiste una successione (u j ) j C () tale che u j u L 1 () 0 e Inoltre si verifica che sup u j (x) dx C <. j Du () = µ u () = inf lim inf j u j (x) dx. Dimostrazione. (i) (ii) Sia u BV () e sia L u (g) := u div g dx g Cc 1 (, R d ) un funzionale, che vedremo essere lineare e continuo. Infatti L u (g) = L g u( g ) g g Du (). Utilizzando un corollario del teorema di Hahn-Banach, possiamo estendere l operatore L u allo spazio C 0 (, R d ) e otteniamo cosi un funzionale lineare,l, di norma minore o uguale a Du () e tale che L(g) = L u (g) per ogni g Cc 1 (, R d ). Per il Teorema di Riesz, esiste quindi µ M f (, R d ) tale che L(g) = g, dµ per ogni g C 0(, R d ) e µ () Du (). Unendo le due cose si ottiene g, dµ = u div g dx g Cc 1 (, R d ) come volevasi dimostrare. (ii) (i) Sia u L 1 () e µ M f (, R d ) tale che valga (4.1), allora { Du () = sup { = sup µ () <. } u div g dx : g Cc 1 (, R d ), g 1 } g, dµ : g Cc 1 (, R d ), g 1

58 58 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO In realtà utilizzando il Corollario 3.3 e osservando che Cc 1 è denso in C 0 si ottiene: Du () = µ (). (iii) (ii) Data una successione di funzioni (u h ) h C (), allora per ogni h vale u h φ dx = φ, u h dl d (x) φ Cc 1 () (4.2) e quindi u h BV () e Du h () = u h L 1 () <. Consideriamo le misure a variazione equilimitata µ h = u h L d e chiamiamo µ il limite debole in della successione (µ h ) h. Allora mandando h nella formula (4.2) si ottiene quanto richiesto. (ii) (iii) Definiamo i seguenti sottoinsiemi di A h := A 1 := { x : { x : dist(x, ) > 1 } 2 1 h + 1 } 1 < dist(x, ) < h 1 per h > 1 intero. Mediante una partizione dell unità relativa agli A h, possiamo trovare delle funzione φ h : [0, 1] tali che φ h C c (A h ) e h=1 φ h 1. Per ogni j N scegliamo ɛ h > 0 tali che supp((uφ h ) ρ ɛh ) A h e ( (uφ h ) ρ ɛh uφ h + (u φ h ) ρ ɛh u φ h ) dx < 2 j h. (4.3) Allora la funzione u j = (uφ h ) ρ ɛh (4.4) h=1 è di classe C (), infatti per come abbiamo definito gli A h, ogni punto di è contenuto in al massimo due sottoinsiemi A h, perció la funzione (4.4) è localmente somma di al più due funzioni C. Inoltre vale che: u j u dx = (uφ h ) ρ ɛh u φ h dx h=1 h=1 (uφ h ) ρ ɛh uφ h dx < 2 j h (u φ h ) ρ ɛh u φ h dx < 2 j h=1 h=1 h=1 da cui segue la prima parte. Utilizzando ora la Proposizione 4.4 si ottiene u j = ((uφ h ) ρ ɛh ) = (D(uφ h )) ρ ɛh h=1 h=1

59 = (φ h Du) ρ ɛh + (u φ h ) ρ ɛh h=1 h=1 = (φ h Du) ρ ɛh + ((u φ h ) ρ ɛh u φ h ). h=1 h=1 dove abbiamo considerato che, poiché h φ 1, h φ = 0. Dato che u j C, come già osservato in precedenza, Du j () = u j L 1 () e quindi, utilizzando la condizione (4.3) e il Teorema B.6 Du j () = u j dx 2 j + h=1 φ h d Du = 2 j + Du (). Pertanto lim sup j + Du j () Du () = µ () <. La misura µ u = Du nominata nel punto (ii), per definizione, coincide con la derivata distribuzionale di u. In particolare se u = χ E con E regolare allora la misura µ u nominata nel punto (ii) è 59 µ u = ν E H d 1 E, (4.5) dove ν E è il versore normale interna a E; similmente se u C 1 (), u L 1 () e u L 1 (), allora µ u = ul d. (4.6) Teorema 4.6. BV () è uno spazio di Banach con la norma u BV = u L 1 () + Du (). Osserviamo che questa norma è troppo forte, in quanto C () BV BV (); se per esempio consideriamo u = χ E BV (), si dimostra che non esiste una successione (u h ) h C tale che u h u BV 0 per h infatti u u h BV = u u h L 1 () + µ u µ uh () utilizzando adesso le due equazioni (4.5), (4.6) e la Proposizione 3.4, si prosegue = χ E u h L 1 () + H d 1 ( E ) + µ uh () H d 1 ( E ), quindi per h, u u h BV non converge a zero. Però data una funzione u BV () sappiamo, per il Teorema 4.5, che esiste una successione (u j ) j C () tale che u u j L 1 () 0 e u j L 1 = Du j () Du (),

60 60 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO quindi, utilizzando la convergenza debole di misure, possiamo dire che per ogni u BV () esiste una successione (u j ) j C tale che u u j L 1 () 0 e u j L d µ u. In seguito ci interesseremo soprattutto di funzioni u = χ E per lo studio degli insiemi di perimetro finito che ora andremo a definire: Definizione 4.7. Sia E R d un insieme misurabile tale che L d (E) <. Diremo che E è un insieme di perimetro finito in un aperto R d se { } P (E, ) := sup div g dx g Cc 1 (, R d ), g 1 < + E Osserviamo che ciò equivale a richiedere che χ E BV (), con P (E, ) = Dχ E (). In certi casi può essere utile la definizione di insieme con perimetro localmente finito in, ovvero un insieme E tale che P (E, A) < A, A aperto dove con A intendiamo che la chiusura di A è un compatto contenuto in. Esempio 4.8. Gli insiemi E con E di classe C 1 e H d 1 ( E ) < hanno perimetro finito. Dimostrazione. Segue dall Esempio 4.2. Osserviamo che per ogni insieme E di perimetro finito in, la derivata distribuzionale Dχ E è una misura di Radon in, inoltre Dχ E << Dχ E e quindi per il Corollario 2.9 esiste ν E L 1 (, Dχ E, R d ) tale che ν E = 1 Dχ E quasi ovunque e Dχ E = ν E Dχ E. Dal Teorema di derivazione di Besicovitch segue inoltre che per Dχ E quasi ogni x Diamo allora la seguente definizione: Dχ E (B ρ (x)) ν E (x) = lim ρ 0 Dχ E (B ρ (x)). Definizione 4.9. Sia E R d un insieme di perimetro finito. Definiamo frontiera ridotta di E l insieme FE = { } Dχ E (B ρ (x)) x supp Dχ E esiste lim ρ Dχ E (B ρ (x)) = ν E(x) e ν E (x) = 1.

61 Osserviamo quindi, per i discorsi fatti in precedenza, che Dχ E è concentrata in FE cioè Dχ E (R d \ FE) = 0. Inoltre dal fatto che 1 ν E (y) ν E (x) 2 Dχ E (B ρ (x)) d Dχ E (y) = 1 ν E (x), 2 Dχ E (B ρ (x)) B ρ(x) Dχ E (B ρ (x)) segue che ogni elemento di FE è punto di Lebesgue di ν E rispetto a Dχ E. Riprendendo ora la Definizione 3.14, ricordiamo che, dato E R d un insieme di Borel, per il Teorema di derivazione di Besicovitch, L d (R d \ E 0 E 1 ) = 0. Questo insieme di misura di Lebesgue nulla viene così definito: Definizione Sia E R d misurabile. Definiamo frontiera essenziale di E l insieme R d \ E 0 E 1 e lo indicheremo E. In seguito vedremo che la frontiera ridotta FE è un insieme H d 1 rettificabile e Dχ E = H d 1 FE. Inoltre dimostreremo che 61 FE E 1 2 E e che H d 1 ( E \ FE) = 0. Prima di proseguire con le proprietà degli insiemi di perimetro finito, facciamo alcune precisazioni. Con la scrittura E F definiamo la differenza simmetrica, ovvero E F = (E \ F ) (F \ E) = (E F ) \ (E F ). Diciamo che una successione di insiemi (E h ) h converge in misura in a E se (E h E) 0 per h. Quando invece si parla di convergenza locale in misura in si intende per ogni aperto A. Queste convergenze corrispondono alle convergenze delle rispettive funzioni caratteristiche nella norma L 1 () e L 1 loc (). Teorema (Proprietà della funzione perimetro) (i) E P (E, ) è un funzionale semicontinuo inferiormente nella convergenza locale in misura in ; (ii) E P (E, ) è locale, cioè P (E, ) = P (F, ) se (E F ) = 0;

62 62 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO Dimostrazione. (i) Segue direttamente dalla Proposizione 4.3. (ii) Siano E e F due sottoinsiemi di R d misurabili, con misura finita e tali che E F = 0. Allora E = F L d -quasi ovunque in e quindi E div g dx = F div g dx cioè P (E, ) = P (F, ). Definizione Definiamo traslata di una funzione f, la funzione (τ h f)(x) := f(x + h) con x, h R d. Enunciamo un importante risultato, che permette di stabilire quando un insieme di funzioni di L p () ha chiusura compatta in L p (). Si tratta quindi dell analogo in L p (), del teorema di Ascoli-Arzela che prende in questione invece funzioni continue. Teorema (Frechet-Kolmogorov) Sia F L p (R d ) con 1 p <. Se F è equilimitata ed esiste c > 0 tale che τ h f f L p (R d ) c h f F (4.7) allora F ha chiusura compatta in L p () per ogni R d di misura finita, dove con F si intende la restrizione a delle funzioni di F. Se invece di R d si ha un suo sottoinsieme, allora la funzione traslata τ h u la si considera definita in e (4.7) diventa ω h = { x : dist(x, R d \ ) > h } τ h u u L p (ω h ) c h f F L p (). Lemma Sia E un insieme di perimetro finito in. Allora τ h χ E χ E L 1 (ω h ) h P (E, ω h ). (4.8) Dimostrazione. Sia u ɛ (x) una successione di funzioni approssimanti di χ E, ottenuta mediante l utilizzo dei mollificatori ρ ɛ, u ɛ (x) = χ E ρ ɛ (x) = E ρ ɛ (y x) dy = ɛ d E ( ) y x ρ ɛ ɛ Pertanto u ɛ è una funzione C e poiché χ E L 1 (), allora u L 1 ɛ χ E per ɛ. dy.

63 63 Perció le misure Du ɛ = u ɛ L d convergono debolmente a Dχ E e quindi Osserviamo che di conseguenza cioè Du ɛ () = u ɛ (x) dx Dχ E () = P (E, ). u ɛ (x + h) u ɛ (x) = u ɛ (x + h) u ɛ (x) dx ω h τ h u ɛ (x) u ɛ (x) L 1 (ω h ) 1 Mandando ɛ 0 si ottiene (4.8) ω h u ɛ (x + th)h dt 1 0 u ɛ (x + th) h dtdx h u ɛ (x + th) dxdt h u ɛ L 1 (). ω h Osservazione 1. Sia un aperto di misura di Lebesgue finita. Consideriamo l insieme F = {χ E : P (E, ) < } L 1 (). Allora F è equilimitata infatti χ E L 1 () = E < inoltre vale (4.8) allora per il Teorema 4.13 F è relativamente compatta. Teorema Sia (E h ) h una successione di insiemi misurabili tale che sup {P (E h, A) : h N} < A aperto, allora ammette una sottosuccessione (E hk ) k localmente convergente in misura in. Se < allora la sottosuccessione converge in misura in. Dimostrazione. Segue dal Teorema 4.13 e dall Osservazione 1. Il seguente teorema, che ci limiteremo ad enunciare, è noto con il nome di disuguaglianza isoperimetrica locale, e viene utilizzato per la dimostrazione della disuguaglianza isoperimetrica globale.

64 64 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO Teorema Sia Q un cubo di R d di lato L. Per ogni u BV (Q) si ha u u Q dx dl Du (Q) dove Q u Q := L d Inoltre per ogni insieme di Borel E si ha Q u dx. Q E Q \ E P (E, Q) 2 d. (4.9) L d L d L d 1 Teorema (Disuguaglianza isoperimetrica) Per ogni d > 1 esiste una costante γ d tale che per ogni insieme di Borel E si ha min { E, R d \ E } γ d [ P (E, R d ) ] d d 1. Dimostrazione. Sia Q un cubo di R d di lato L tale che Q d 1 d > 2dP (E, R d ). (4.10) Poiché Q = L d, la disuguaglianza (4.10) equivale a e quindi utilizzando (4.9) si ottiene 1 4 > dp (E, Rd ) 2L d 1 Q E Q Q \ E Q dp (E, Rd ) 2L d 1 < 1 4. Osserviamo che α(q) := Q E è un valore compreso tra 0 e 1, in particolare Q però non può assumere il valore 1 Q\E, perché in tal caso = 1 quindi 2 Q 2 e ciò non è possibile. Allora α(q) := Q E Q Q E Q Q \ E Q = 1 4 [0, 1 2 ) (1 2, 1]. Per continuità di α, si ha che per ogni cubo Q soddisfacente (4.10), o α(q) ( 1, 1], o α(q) [0, 1 ). Supponiamo che 2 2 α(q) [0, 1 ). (4.11) 2

65 Tasselliamo R d con cubi che verificano (4.10), cioè aventi lato L > (2dP (E, R d )) 1 d 1. Poiché Q E [0, 1 Q\E ) allora ( 1, 1] e quindi Q 2 Q 2 Dalla disuguaglianza (4.9) e da (4.12) segue pertanto 65 2 Q \ E > 1 (4.12) E Q E Q 2 Q \ E dlp (E, Q) E dlp (E, R d ). Facendo tendere L (2dP (E, R d )) 1 d 1, si ottiene la disuguaglianza desiderata, dove γ d = (2d d ) 1 d 1. Proposizione Sia E un insieme di perimetro finito in, x 0 e δ = d(x 0, ). Posto m(ρ) = E B ρ (x 0 ) e m + la sua derivata destra, allora P (E B ρ (x 0 ), R d ) P (E, B ρ (x 0 )) + m +(ρ) ρ (0, δ) (4.13) Dimostrazione. Non è restrittivo supporre x 0 = 0. Sia u BV () e u ρ = uχ Bρ per ogni ρ (0, δ). Preso σ (0, δ ρ) consideriamo la funzione u σ (x) = u(x)γ σ ( x ) dove 1 t ρ γ σ (t) = 1 + ρ t ρ t ρ + σ σ 0 t ρ + σ. Allora u σ coincide con u in B ρ, supp(u σ ) B ρ+σ e u σ BV (R d ). Inoltre utilizzando la Proposizione 4.4 si ottiene Du σ = γ σ ( x )Du + u(x)γ σ(x) x x Ld. Da ciò segue Du σ (R d ) γ σ ( x ) d Du (x) + R d u(x)γ σ(x) dx R d B σ+ρ d Du (x) + u(x)γ σ(x) dx B ρ+σ \B ρ Du (B σ+ρ ) + σ 1 B ρ+σ \B ρ u(x) dx. Inoltre si dimostra che u σ converge a u ρ in L 1 (R d ) quando σ 0, infatti u σ u ρ L 1 (R d ) = u(x)γ σ ( x ) u(x)χ Bρ (x) dx R d

66 66 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO = u(x) γ σ ( x ) χ Bρ (x) dx B ρ+σ u(x) γ σ ( x ) χ Bρ (x) dx = 0 B ρ e quindi Du σ converge debole a Du ρ. Utilizzando i risultati precedentemente dimostrati si ottiene lim inf σ 0 Du σ (R d ) lim inf σ 0 Du (B σ+ρ ) + lim inf σ 0 σ 1 B ρ+σ \B ρ u(x) dx e dal fatto che Du Du () è semicontinua inferiormente segue Se si considera u = χ E, allora Du ρ (R d ) Du (B ρ ) + ( B ρ u(x) ). + Dχ E Bρ (R d ) Dχ E (B ρ ) + m +(ρ) e quindi si ottiene la disuguaglianza cercata. Osserviamo che se P (E, B ρ (x 0 )) = 0, allora sottraendo da ambo i membri di (4.13) P (E, B ρ (x 0 )), si ottiene P (E B ρ (x 0 ), B ρ (x 0 )) m (ρ) ρ (0, δ). (4.14) Infatti per la località del perimetro, dato che (E B ρ (x 0 ) E) B ρ (x 0 ) =, si ha P (E B ρ (x 0 ), R d ) = P (E B ρ (x 0 ), B ρ (x 0 )) + P (E B ρ (x 0 ), B ρ (x 0 ))+ +P (E B ρ (x 0 ), R d \ B ρ (x 0 )) = P (E, B ρ (x 0 )) + P (E B ρ (x 0 ), B ρ (x 0 )). Lemma Sia E un insieme di perimetro finito in e sia x 0 FE. Allora esistono ϱ 0 (0, dist(x 0, )) e due costanti, dipendenti solo dalla dimensione, α, β > 0 tali che P (E, B ϱ (x 0 )) αϱ d 1 ϱ (0, ϱ 0 ) (4.15) min { E B ϱ (x 0 ), B ϱ (x 0 ) \ E } βϱ d ϱ (0, ϱ 0 ). (4.16) Dimostrazione. Il caso in cui d = 1 è ovvio. Supponiamo quindi d > 1. Scegliamo ρ 0 (0, dist(x 0, ) 2 ) tale che Dχ E (B ρ (x 0 )) 1 2 Dχ E (B ρ (x 0 )) = 1 2 P (E, B ρ(x 0 )) ρ (0, 2ρ 0 ). (4.17)

67 Sia ρ (0, 2ρ 0 ), denotiamo con E ρ gli insiemi E B ρ (x 0 ) tali che P (E, B ρ (x 0 )) = 0. Osserviamo che Dχ Eρ (R d ) = 0. Infatti utilizzando il fatto che supp(dχ Eρ ) B ρ (x 0 ), e scelto φ Cc 1 (R d ) tale che φ 1 in B ρ (x 0 ), abbiamo Dχ Eρ (R d ) = 1 ddχ Eρ (y) = 1 ddχ Eρ (y) R d B ρ(x 0 ) = φ(y)ddχ Eρ (y) = div φ dy = 0. B ρ(x 0 ) E ρ Da ciò segue che Dχ Eρ (B ρ ) = 0, e quindi Dχ Eρ (B ρ ) + Dχ Eρ ( B ρ ) = 0. Di conseguenza, utilizzando anche (4.14), si ottiene Dχ E (B ρ (x 0 )) = Dχ Eρ (B ρ (x 0 )) = Dχ Eρ ( B ρ (x 0 )) Dχ Eρ ( B ρ (x 0 )) = P (E ρ, B ρ (x 0 )) m +(ρ). Osserviamo che la cardinalità dell insieme A = {ρ : P (E, B ρ (x 0 )) > 0} è al più numerabile: se chiamiamo per semplicità c ρ = P (E, B ρ (x 0 )) poiché ρ c ρ < + e poiché la cardinalità di { ρ c ρ 1 h} è finita, allora la cardinalità di {ρ c ρ > 0} { ρ c 1 h} è al più numerabile. Di conseguenza L 1 (A) = 0, ovvero per L 1 quasi ogni ρ (0, 2ρ 0 ) si ha P (E, B ρ (x 0 )) = 0. Osserviamo inoltre che dalla Formula di Coarea (A.6) applicata a u(x) = x x 0, dato che segue E B ρ (x 0 ) = = + 0 Pertanto, poiché abbiamo che u(x) = 1 e u 1 (t) = {x : x x 0 = t} = B t (x 0 ), E B ρ(x 0 ) u(x) dx = + H d 1 ( B t (x 0 ) E B ρ (x 0 )) dt = 0 67 H d 1 ( u 1 (t) E B ρ (x 0 ) ) dt ρ m +(ρ) = lim h 0 + m(ρ + h) m(ρ) h m(ρ) + = H d 1 (E B ρ (x 0 )). 0 H d 1 (E B t (x 0 )) dt. Perció, dal fatto che la funzione t H d 1 (E B t (x 0 )) è continua nei punti t in cui P (E, B t (x 0 )) = 0, segue che m = m + nei punti in cui P (E, B ρ (x 0 )) = 0, e quindi per L 1 -quasi ogni ρ (0, 2ρ 0 ). Pertanto, da (4.17), segue P (E, B ρ (x 0 )) 2m (ρ) per L 1 quasi ogni ρ (0, 2ρ 0 ). (4.18)

68 68 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO Per t (ρ, 2ρ), con ρ < ρ 0, vale che P (E, B ρ (x)) P (E, B t (x 0 )), e quindi integrando da ρ a 2ρ si ottiene 2ρ 2ρ P (E, B ρ (x)) ρ 1 P (E, B t (x 0 )) dt ρ 1 = 2 E B 2ρ(x 0 ) ρ ρ ρ 2m (t) dt 2m(2ρ) ρ 2 ρ B 2ρ(x 0 ) 2 ρ 2d ρ d ω d = 2 d+1 ρ d 1 ω d perció la prima disuguaglianza è dimostrata con α = 2 d+1 ω d. Dimostriamo ora la seconda disuguaglianza. Da (4.13), (4.18), e ricordando che P (E, B ρ (x 0 )) = 0 per L 1 quasi ogni ρ (0, 2ρ 0 ), segue P (E ρ, R d ) P (E, B ρ (x 0 )) + P (E, B ρ (x 0 )) + m (ρ) 3m (ρ) per L 1 quasi ogni ρ (0, 2ρ 0 ). Utilizzando la disuguaglianza isoperimetrica e quanto appena dimostrato si ottiene (m 1 d ) (ρ) = 1 d m 1 d 1 (ρ)m (ρ) 1 d m 1 d d (ρ) 1 3 P (E ρ, R d ) 1 ( 3d m 1 d 1 d (ρ) min { d 1 }) E ρ, R d d \ E ρ γ d = γ 1 d d d 3d per L 1 quasi ogni ρ (0, 2ρ 0 ). Utilizziamo adesso una proprietà delle funzioni monotone: sia u : (a, b) R una funzione monotona, allora u è differenziabile in L 1 -quasi ogni t (a, b) e u(b ) u(a + ) b a u (t) dt + t Γ u u(t + ) u(t ) dove Γ u è l insieme dei punti di discontinuità di u. Sia u(ρ) = m 1 d (ρ), allora u è monotona crescente e positiva, perció è derivabile quasi ovunque e u(ρ) u(0) ρ Poiché m(0) = E B 0 (x 0 ) = 0, allora e quindi m 1 d (ρ) = m 1 d (ρ) m 1 0 u (t) dt ρ (0, ρ 0 ). d (0) ρ E B ρ (x 0 ) = m(ρ) γ d ρ d. 0 ( m 1 d ) (t) dt γρ Ripetendo gli stessi ragionamenti per R d \ E al posto di E, si ottiene la seconda disuguaglianza cercata. = γ

69 Siamo finalmente arrivati a uno dei più importanti risultati ottenuti da De Giorgi che, come già preannunciato, mostra la H d 1 -rettificabilità della frontiera ridotta e identifica Dχ E con la misura H d 1 FE. Teorema Sia E R d di perimetro finito. Allora FE è σ-(d 1)- rettificabile e Dχ E = H d 1 FE. Inoltre, per ogni x 0 FE valgono le seguenti proprietà: (i) gli insiemi E ρ = (E x 0) per ϱ 0 convergono localmente in misura al ϱ semispazio H := { y R d : y, ν E (x 0 ) 0 } ortogonale a ν E (x 0 ) e contenente ν E (x 0 ); (ii) Tan d 1 (H d 1 FE, x 0 ) = H d 1 ν E (x 0 ) e in particolare H d 1 (FE B ϱ (x 0 )) lim = 1. ϱ 0 ω d 1 ϱ d 1 Dimostrazione. Sia x 0 FE, e ϱ 0 come nel Lemma Primo passo. Osserviamo che per ogni ϱ (0, ϱ 0 ) vale P (E ϱ, B R ) = dh d 1 = 1 E ϱ B R ϱ d 1 E B ϱr (x 0 ) dh d 1 αr d 1 dove l ultima disuguaglianza segue da (4.15). Allora per il Teorema 4.15 esiste una sottosuccessione (E ϱh ) h localmente convergente in misura e quindi la famiglia E ϱ è relativamente compatta nella topologia L 1 loc(r d ). Pertanto per dimostrare che (E ϱ ) converge ad H, basta dimostrare che il limite F di una qualsiasi sottosuccessione (E ϱh ), coincide con H. Supponiamo pertanto che la sottosuccessione (E ϱh ) converge localmente in misura a F ; allora χ Eϱh converge in L 1 loc a χ F, e quindi Dχ Eϱh converge debolmente localmente a Dχ F, infatti per ogni φ C c (R d ) si ha lim φ ddχ Eϱh h R d = lim div φ dx = div φ dx = φ ddχ F. h E ϱh F R d Poiché x 0 FE allora x 0 è punto di Lebesgue di ν E relativo a Dχ E pertanto utilizzando il Teorema 3.31 si può affermare che Dχ Eϱh converge debolmente localmente a Dχ F e Dχ F = ν Dχ F (4.19) dove ν = ν E (x 0 ). Quindi Dχ F non ha componenti nelle direzioni ortogonali a ν ed inoltre Dχ F, ν = Dχ F ν, ν 0. Lavoriamo ora con funzioni 69

70 70 CAPITOLO 4. INSIEMI DI PERIMETRO FINITO approssimanti per convoluzione f ɛ = χ F ρ ɛ, e utilizzando una proprietà delle convoluzioni otteniamo f ɛ = (Dχ F ) ρ ɛ = ( Dχ F ρ ɛ )ν. Quindi, dal fatto che le f ɛ hanno derivata nulla nelle direzioni ortogonali a ν, cioè variano solo nella direzione di ν e Dχ F ρ ɛ > 0, segue che le approssimanti χ F ρ ɛ possono essere rappresentate come funzioni γ ɛ ( x, ν ), dove γ ɛ sono funzioni crescenti definite in R a valori in [0, 1]. Mandano ɛ 0 otteniamo χ F = γ( x, ν ) per L d quasi ogni x R d per una qualche funzione γ : R [0, 1] crescente. Pertanto, assumendo solo i valori 0 e 1 ed essendo crescente, γ può essere solo della forma γ = χ L con L R e in particolare χ L = χ [c,+ ) ; quindi F = { x R d : x, ν c }. Supponiamo ora che c > 0. Dal fatto che E B cϱh (x 0 ) = dx = ϱ d h dy = ϱ d h E ϱh B c E ϱh B c E B cϱh (x 0 ) ottenuto mediante il cambio di variabile x = yϱ h + x 0, segue E B cϱh (x 0 ) lim h ϱ d h = lim h E ϱh B c = F B c = 0. L ultima uguaglianza si può dedurre osservando che se x B c allora x < c, mentre gli elementi x F sono tali che x x, ν c. Questo però è assurdo, in quanto x 0 FE e quindi in x 0, E non può avere densità nulla grazie al Teorema Similmente si dimostra che c non può essere strettamente negativa, allora c = 0 e F = H = { x R d : x, ν 0 }. Secondo passo. Poiché (E ϱ ) converge localmente in misura ad H, allora Dχ Eϱ converge debolmente localmente a Dχ H = νh d 1 H e quindi per definizione di piano tangente approssimato si ha Tan d 1 (Dχ E, x 0 ) = νh d 1 H. Inoltre dal Teorema 3.34 segue che Tan d 1 ( Dχ E, x 0 ) = H d 1 H. Pertanto la misura Dχ E che, come abbiamo osservato in precedenza, è concentrata in FE, ammette uno spazio tangente approssimato con molteplicità 1 per ogni x FE, allora dal punto (b) del Criterio di rettificabilità per misure, segue che FE è σ-(d 1)-rettificabile e Dχ E = H d 1 FE. Terzo passo. Dall implicazione (3.7) segue 1 = lim ϱ 0 Dχ E (B ϱ (x 0 )) ω d 1 ϱ d 1 =

71 H d 1 FE (B ϱ (x 0 )) lim ϱ 0 ω d 1 ϱ d 1 e il teorema è dimostrato. = lim ϱ 0 H d 1 (FE B ϱ (x 0 )) ω d 1 ϱ d 1 Ricapitolando, abbiamo appena dimostrato che Dχ E = H d 1 FE, inoltre sappiamo che se E è un insieme di perimetro finito allora Dχ E (R d ) < +, ma non è detto che la misura di Hausdorff della frontiera topologica E sia finita. Questo implica che non necessariamente H d 1 ( E \ FE) = 0, e con il prossimo teorema dimostreremo che invece vale H d 1 ( E \ FE) = 0. Teorema (Federer) Sia E un insieme di perimetro finito in. Allora FE E 1 2 E e H d 1 ( \ (E 0 FE E 1 )) = 0. Dimostrazione. L inclusione FE E 1 2 segue dal fatto che E ϱ converge al semispazio H, grazie al Teorema Dimostriamo ora che P (E, B ϱ (x)) = o(ϱ d 1 ) x E 0 E 1. (4.20) Dalla disuguaglianza isoperimetrica locale segue min { E B ϱ (x), B ϱ \ E } cp (E, B ϱ (x)) = o(ϱ d 1 ) pertanto se il minimo è assunto da E B ϱ (x) allora altrimenti E B ϱ (x) lim ρ 0 B ϱ (x) E B ϱ (x) lim ρ 0 B ϱ (x) = 0 = lim ρ 0 B ϱ (x) B ϱ (x) \ E B ϱ (x) e quindi x E 0 E 1. Dal Teorema 4.20 segue che P (E, B ϱ (x)) = Dχ E (B ϱ (x)) = H d 1 osserviamo quindi che, per (4.20), se x E allora lim sup ϱ 0 = 1 FE(B ϱ (x)) = H d 1 (FE B ϱ (x)) H d 1 (FE B ϱ (x)) ω d 1 ϱ d 1 > 0. Ma dal Teorema 4.20 sappiamo che ciò è vero per H d 1 -quasi ogni punto di FE pertanto H d 1 ( \ (E 0 FE E 1 )) = 0 come volevasi dimostrare. 71

72

73 Capitolo 5 Superfici minime In questo capitolo, mediante la nozione di perimetro, studieremo le superfici minime, intendendo le superfici di area minima tra quelle aventi bordo fissato. Quindi parleremo di superficie (d 1)-dimensionale o ipersuperficie di R d, intendendo i bordi di un insieme E R d misurabile di perimetro finito; di conseguenza l area di tale ipersuperficie viene definita come la variazione totale della misura Dχ E, ovvero come la misura del perimetro di E, P (E). In altre parole quello che andremo a studiare è il seguente problema di minimo min P (E, ) (5.1) E F dove è un insieme aperto di R d e F un insieme di perimetro localmente finito fissato. In particolare, dopo averne dimostrato l esistenza, studieremo alcune proprietà e discuteremo la regolarità di tali superfici. Dimostriamo subito che il minimo esiste. Teorema 5.1. Sia un aperto di misura finita, allora il problema di minimo ammette soluzione. Dimostrazione. Poniamo min P (E, ) E F α = inf P (E, ) E F e consideriamo una successione minimizzante (E h ) h cioè tale che P (E h, ) α + 1 h α

74 74 CAPITOLO 5. SUPERFICI MINIME Allora, per l Osservazione 1, F = {χ Eh } è relativamente compatta in L 1 () e in particolare per il Teorema 4.15, a meno di sottosuccessioni, esiste un insieme E tale che χ Eh χ E in L 1 () con E F. Infine per la semicontinuità inferiore del perimetro si ha cioè esiste il minimo. α P (E, ) lim inf h P (E h, ) α Il seguente teorema è un importante risultato dimostrato da De Giorgi che permetterà in seguito di identificare la frontiera topologica con la frontiera ridotta a meno di insiemi di misura nulla. Teorema 5.2. (di regolarità di De Giorgi) Sia E R d minimo allora FE = E e H d 1 ( E \ FE) = 0. Inoltre FE E è relativamente aperto, cioè localmente x FE ϱ(x) > 0 tale che FE B ϱ(x) (x) FE e FE B ϱ(x) (x) è grafico di una funzione analitica. Supponiamo ora che E R d abbia perimetro minimo, cioè P (E, ) = min P E E (E, ), (5.2) allora dimostreremo che H FE = 0. Questo risultato vedremo che deriva dalla condizione δp (E, ) = 0 (variazione prima del perimetro). Consideriamo delle deformazioni di E, ottenute mediante una famiglia di diffeomorfismi Φ t : R d R d ; ciò equivale a considerare una funzione Φ : R d R R d tale che: 1. per ogni t R, l applicazione che ad x R d associa Φ t (x) := Φ(x, t) è un diffeomorfismo; 2. per ogni x R d, l applicazione che a t R associa Φ t (x) è derivabile; 3. Φ 0 (x) = x; 4. per ogni t > 0, si ha {φ t (x) x}. L ultima condizione mi assicura che F E. Chiamiamo F t = Φ t (E), allora per la condizione (5.2) vale P (E, ) P (F t, )

75 e quindi la funzione che a t associa P (F t, ) ha un minimo per t = 0. Questo si traduce nel fatto che la variazione prima dell area è nulla e la variazione seconda è positiva, ovvero d dt P (Φ t(e), ) t=0 = 0 d 2 dt 2 P (Φ t(e), ) t=0 0. Lemma 5.3. Sia f BV loc (), e Φ : R d R d un diffeomorfismo. Sia A, f = f Φ 1, = Φ() e A = Φ(A), allora dove H = detdφ DΦ 1 Df = A A HDf Dimostrazione. Supponiamo prima che f C 1 () e g C 1 0(A, R d ). Allora g, Df dx = g Φ 1, DΦ 1 D(f Φ 1 ) dx A A applichiamo la sostituzione x = Φ(y) A g, (DΦ 1 Φ)Df detdφ dy = A g, HDf dy. Supponiamo ora che f BV loc () allora per il Teorema 4.5 esiste una successione di funzioni (f j ) j C () tale che f j f L 1 () 0 e quindi f j convergono in L 1 (A ) a f. Pertanto dalla prima parte segue che e mandando j si ottiene g, Df A j dx = g, Df = A A A g, HDf = g, HDf dy A g, Hv Df dove nell ultimo passaggio abbiamo utilizzato la decomposizione di Radon- Nikodym Df = ν Df. Supponiamo adesso che g 1, quindi g 1, ed essendo g C 0 (A, R d ), supp g A. Allora A inoltre passando al sup g, Hv Df = g, Df A Df A sup g, Hv Df = Hv Df Df. (5.3) g A A A 75

76 76 CAPITOLO 5. SUPERFICI MINIME Consideriamo adesso γ C0(A 1, R d ) con γ 1 e tale che g = γ Φ; allora γ = g e γ, Df = g, Hv Df sup g, Hv Df = Hv Df A g pertanto A sup γ, Df = Df Hv Df = HDf. γ A A A A Da quest ultima disuguaglianza e da (5.3) segue l enunciato. Teorema 5.4. Sia E un insieme di perimetro finito e Φ t (x) = x + tg(x) un diffeomorfismo con t R e g C 1 c (, R d ). Allora d dt P (Φ t(e), ) = div FE g dh d 1. FE Dimostrazione. Dal Lemma 5.3, posto f = χ E e quindi f = χ Φ(E), segue che P (Φ t (E), ) = dh n 1 = H t ν E (x) dh n 1 (x) FΦ t(e) A FE con H t = detdφ t Dφ 1 t. Dalla definizione di Φ t (x) segue che Φ 1 t = x tg(x) + o(t) e quindi DΦ 1 t A = I tdg + o(t). Lo jacobiano di φ t invece coincide con Dφ t = I + tdg R d d, pertanto dopo aver scelto la base canonica di R d, {e 1,..., e d }, e indicando con δ ij il simbolo di Kronecker, si ottiene det DΦ t = det[δ ij + t i g j ] = 1 + ttr(dg) + o(t) R. Calcoliamo dunque H t ν E (det DΦ t )Dφ 1 t ν E = (1 + ttr(dg) + o(t))(i tdg + o(t))ν E = = (1+tTr(Dg)+o(t))(ν E tdgν E +o(t)) = ν E +ttr(dg)ν E (x) tdgν E +o(t) e deriviamo rispetto a t d dt (H tν E ) t=0 = Tr(Dg)ν E Dgν E. Da quanto abbiamo appena detto e dal fatto che H 0 è l identità e ν E = 1 segue che ( ) ( d H t ν E (x) dh d 1 (x) = H tν E (x) dt FE t=0 FE H t ν E (x), d ) dt H tν E dh d 1 t=0

77 = FE Osserviamo che ν E, Tr(Dg)ν E (x) Dgν E dh d 1 = FE d Tr(Dg) = i g i e ν E, Dgν E = d j g i ν j ν i ; i=1 i,j=1 ricordando la definizione di derivata tangenziale si ottiene e quindi d d d div FE g = i g i = i g i ν j j g i ν i i=1 i=1 j=1 d dt P (Φ t(e), ) = FE 77 Tr(Dg) ν E, Dgν E dh d 1. d d i g i j g i ν j ν i dh d 1 i=1 i,j=1 d d = i g i ν j j g i ν i dh d 1 = div FE g dh d 1 FE i=1 j=1 FE come volevasi dimostrare. Teorema 5.5. Sia E un insieme di perimetro finito e g C 1 c (, R d ), allora FE div FE g dh d 1 = g, ν E H FE dh d 1 FE Dimostrazione. Supponiamo che FE sia grafico localmente di una funzione analitica u : A R d 1 R con supp g A R e E = {(y, t) : t [0, u(y)]}. Allora mediante sostituzione si ottiene div FE g dh d 1 = div FE g(y, u(y)) 1 + u(y) 2 dy = FE d i=1 A A δ i g i (y, u(y)) 1 + u(y) 2 dy. Studiamo prima il caso in cui F = g i e 1 i d 1: FE δ i F dh d 1 = A F x i (y, u(y)) d F (y, u(y))ν j ν i j=1 x j 1 + u 2 dy

78 78 CAPITOLO 5. SUPERFICI MINIME poiché y i F (y, u(y)) = F x i (y, u(y)) + F x n (y, u(y)) u y i, si ottiene FE δ i F dh d 1 = + A [ F (y, u(y)) F (y, u(y)) u ] 1 + u y i x d y 2 dy+ i d j=1 A F (y, u(y))ν j (u) u(y) (y) dy x j y i dove abbiamo sostituito ν i = u 1 y i per i d. Applichiamo ora 1+ u(y) 2 1 l integrazione per parti e il fatto che ν d = 1+ u 2 = F (y, u(y)) F 1 + u(y) A y 2 dy (y, u(y)) u (y) 1 + u(y) i A x d y 2 dy+ i d 1 j=1 A F (y, u(y)) u (y) u dy (y) x j y j y i 1 + u + 2 A F (y, u(y)) u dy (y) x d y i 1 + u 2 = F (y, u(y)) F 1 + u(y) A y 2 dy (y, u(y)) u (y) u(y) 2 i A x d y i 1 + u 2 d 1 j=1 A F u (y) u d 1 dy (y) y j y j y i 1 + u + 2 = F 1 + u(y) A y 2 dy + i = F A d 1 + F A j= u(y) 2 d 1 j=1 d 1 j=1 A j=1 A u (y) 2 u dy+ y j y i y j A 1 u (y) 2 u 1 + u(y) 2 y j Supponiamo ora che i = d, allora = FE A δ n F dh d 1 = A F x d (y, u(y)) F x d (y, u(y)) F x d (y, u(y))ν n ν n ( ) 2 F u u x d y j y i dy 1 + u 2 F u(y) y j u dy y j 1 + u(y) 2 y i (y) dy = y j y i u(y) F div 1 + u(y) 2 FE d F (y)ν j ν n j=1 x j d 1 j=1 F (y, u(y))ν j ν n x j F H FE ν i dh d u(y) 2 dy u y i dy 1 + u 2 dy

79 79 = = A = A F 1 F d 1 F u (y) x d 1 + u(y) 2 x d j=1 x j y j ( u 2 A = A 1 + u 2 A ) F x d u u 2 dy + A d 1 j= u u 2 d 1 j=1 ( ) 2 F u (y, u(y)) (y) dy x n y j u 2 F F u u 2 x n x d 1 + u u 2 d 1 = j=1 A F (y, u(y)) y j u y j 1 + u 2 u F (y, u(y)) div dy = 1 + u 2 FE F u dy+ y j y j d 1 j=1 dy F u y j y j F H FE ν n dh d 1. Sommando gli integrali per i che va da 1 a d si ottiene il risultato. Ricapitolando, dato un insieme di perimetro finito E, per ogni g C 2 c (, R d ) e per ogni diffeomerfismo Φ t (x) = x + tg(x) si ha che 0 = d dt P (Φ t(e), ) t=0 = FE div FE g H d 1 = gh FE ν E dh d 1 FE e quindi per arbitrarietà di g, deve valere H FE (x) = 0 per ogni x FE. Esiste anche una variante del problema di minimo (5.1), ovvero min P (E, ) + f dx (5.4) E F E dove f L 1 (). Si dimostra anche in questo caso che il minimo esiste, e che la curvatura media coincide con f. Teorema 5.6. Sia un aperto di R d con misura finita, e f L 1 (). Allora esiste il minimo di min P (E, ) + f dx. E F E

80 80 CAPITOLO 5. SUPERFICI MINIME Dimostrazione. Sia α = inf P (E, ) + f dx. E F E Consideriamo una successione minimizzante (E h ) h cioè tale che P (E h, ) + E h f dx α + 1 h. Dall Osservazione 1 segue che F = {χ Eh } L 1 () soddisfa il teorema di Frechet-Kolmogorov e in particolare per il Teorema 4.15, a meno di sottosuccessioni, esiste E tale che Verifichiamo che il funzionale F : χ E è continuo. Siano χ E e χ E = ( F (χ E ) F (χ E ) = (E E ) f dx χ Eh χ E in L 1 (). (5.5) E f dx due funzioni caratteristiche allora E (E E ) ) 1 ( ) 1 f p p dx (χ E E ) p p dx f dx E f dx = f dx = χ E E f dx. = f L p χ E χ E dove nell ultima disuguaglianza abbiamo applicato la disuguaglianza di Hölder. Dunque da (5.5), dalla semicontinuità inferiore del perimetro e dalla continuità di F segue che e quindi P (E, ) lim inf h α P (E, ) + E = lim inf h Pertanto il minimo esiste. P (E h, ) e f dx lim inf h E 1 p L 1 f dx = lim f dx h E h P (E h, ) + lim f dx h E h ( ) P (E h, ) + f dx α. E h

81 Abbiamo dimostrato quindi che il problema (5.4) ammette minimo quando f L 1 () o anche semplicemente f L 1 loc(); è inoltre possibile estendere il Teorema di regolarità di De Giorgi anche a questo problema: Teorema 5.7. Sia f L p (), con p > d, e E R d soluzione del problema (5.4), allora FE è relativamente aperto e FE = E e H d 1 ( E \ FE) = 0. Inoltre per ogni x FE e ρ sufficientemente piccolo, FE B ρ (x) è grafico di una funzione holderiana ( C (2,α)) ; mentre è grafico di una funzione analitica se f è analitica. Teorema 5.8. Sia f una funzione continua e E insieme di perimetro finito, minimo per il problema (5.4). Allora 81 H FE (x) = f(x) x FE. Dimostrazione. Supponiamo che FE sia grafico localmente della funzione u : A R d 1 R +, con A R = e E = {(y, t) : y A, t [0, u(y)]}. Denotiamo con F(u) = P (E, ) + E f dx = Poiché F in u è minimo segue che A 1 + u 2 dy + A u(y) dy f(y, t) dt 0 F(u) F(v) v : A R d R + tale che v = u in A. Consideriamo v = u + ɛg con g Cc (A) allora 0 = d dɛ F(u+ɛg) ɛ=0 = d ( 1 + (u + ɛg) dɛ 2 dy + A A 1 = u g dy + f(y, u(y))g(y) dy A 1 + u 2 A u = g(y) div + f(y, u(y)) dy. A 1 + u 2 Dall arbitrarietà di g segue che (d 1)H FE = div u = f(y, u(y)). 1 + u 2 u+ɛg ) dy f(y, t) dt 0 ɛ=0

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83 Capitolo 6 Esempi di superfici minime In questa ultima parte, dove considereremo d = 3, andremo ad osservare esempi di superfici minime, spostando quindi la teoria vista fino ad ora nello spazio tridimensionale; verificheremo inoltre che la superficie in questione ha curvatura media nulla, condizione necessaria e sufficiente affinche la superficie sia minima, ma non sufficiente a stabilire che sia soluzione del problema di Plateau. Riprendiamo alcuni concetti di geometria differenziale legati alle curve e superfici in R 3. Sia Σ una superficie parametrizzata da S : U R 2 R 3 tale che S(u, v) Σ. Sia p Σ tale che p = S(u 0, v 0 ). Lo spazio tangente a Σ in p, T p Σ sappiamo essere uno spazio vettoriale di dimensione due generato dai vettori {S u (u 0, v 0 ), S v (u 0, v 0 )} mentre il versore normale alla superficie in p è il vettore n Σ (p) = S u(u 0, v 0 ) S v (u 0, v 0 ) S u (u 0, v 0 ) S v (u 0, v 0 ) ortogonale a T p Σ. Pertanto la Prima Forma Fondamentale, I p : T p Σ T p Σ R, diventa I p (x, y) = x 1 S u + x 2 S v, y 1 S u + y 2 S v = x 1 y 1 S u S u + x 2 y 2 S v S v per ogni x, y T p Σ e dove +(x 1 y 2 + x 2 y 1 )S u S v = [ ] [ ] [ ] E F y1 x 1 x 2 F G y 2 E = S u S u = S u 2, G = S v S v = S v 2, F = S u S v. 83

84 84 CAPITOLO 6. ESEMPI DI SUPERFICI MINIME Perciò la norma di un vettore x T p Σ è data dalla forma quadratica definita positiva I p (x) = x 2 = Ex Gx F x 1 x 2. (6.1) Consideriamo ora una curva r avente in Σ il suo sostegno r : [a, b] R 3 tale che r(t) = S(u(t), v(t)) Σ e tale che r(t 0 ) = S(u 0, v 0 ) = p. La curvatura di r in t 0 coincide con la curvatura normale di Σ in p nella direzione v = r (t 0 ) e si ottiene mediante Poiché k r = r (t 0 ) n Σ (p) r (t 0 ) 2. r (t 0 ) = u (t 0 )S u (u 0, v 0 ) + v (t 0 )S v (u 0, v 0 ) e r (t 0 ) = S uu (u (t 0 )) 2 + S vv (v (t 0 )) 2 + 2S uv u (t 0 )v (t 0 ) + S u u (t 0 ) + S v v (t 0 ), usando (6.1) si ottiene dove k r = e(u ) 2 + g(v ) 2 + 2fu v E(u ) 2 + G(v ) 2 + 2F u v e = S uu (u 0, v 0 ) n Σ (p), g = S vv (u 0, v 0 ) n Σ (p), f = S uv (u 0, v 0 ) n Σ (p). La matrice [ e ] f f g rappresenta la Seconda Forma Fondamentale di Σ relativa al punto p. In un punto p, al variare di u, v la curvatura k r assume un massimo e un minimo; si tratta delle curvature principali k 1, k 2, le cui rispettive tangenti in p sono perpendicolari tra di loro. Pertanto la curvatura media H si ottiene H = 1 2 (k 1 + k 2 ) = ge 2fF + eg. 2(EG F 2 ) Fra le prime superfici minime scoperte, troviamo il Catenoide, studiata da Eulero nel Si tratta della superficie di area minima tra tutte quelle aventi come bordo 2 circonferenze poste su piani paralleli. Può essere vista come superficie di rotazione ottenuta mediante la rotazione di un arco di catenaria di equazione y = a cosh( z ). La parametrizzazione del catenoide è a S(u, v) = (a cosh v cos u, a cosh v sin u, av) con 0 < u < 2π < v < +.

85 85 Figura 6.1: Catenoide. Osserviamo che la curvatura media è uguale a zero. Supponendo a = 1, calcoliamo le derivate S u = (cosh v sin u, cosh v cos u, 0) S v = (cos u sinh v, sin u sinh v, 1) S uu = ( cosh v cos u, cosh v sin u, 0) S vv = (cosh v cos u, cosh v sin u, 0) da cui otteniamo S uv = ( sinh v sin u, sinh v cos u, 0) E = cosh 2 (v), G = 1 + sinh 2 (v) = cosh 2 v, F = 0. Inoltre e 1 e 2 e 3 S u S v = det cosh v sin u cosh v cos u 0 = cosh v(cos u, sin u, sinh v) sinh v cos u sinh v sin u 1 e quindi S u S v = cosh 2 v e n Σ (p) = 1 (cos u, sin u, sinh v). cosh v Una volta calcolati e, f, g e = 1, g = 1, f = 0 si ottiene H = 0

86 86 CAPITOLO 6. ESEMPI DI SUPERFICI MINIME come volevasi dimostrare. Dopo catenoide e piano, superficie minima banale, fu scoperta l Elicoide, bolla ottenuta immergendo un elica in una soluzione di sapone e acqua. Una sua parametrizzazione è S(u, v) = (v cos u, v sin u, bu) con 0 < u < 2π e < v < +. Figura 6.2: Elicoide. Anche in questo caso si dimostra che la curvatura media è nulla infatti e = f = g = 0. Per tutto il settecento, le uniche superfici minime conosciute rimasero l elicoide, il catenoide e il piano. Fu Scherk nel 1835 a scoprire la successiva superficie minima, parametrizzata da S(u, v) = (u, v, f(u, v)) con f(u, v) = log ( ) cos u. cos v Osserviamo che f è ben definita solo quando cos u > 0 quindi il piano uv sarà cos v diviso in quadrati in cui la superfice è definita e quadrati in cui non lo è. Per esempio negli intervalli π 2 < x < π 2, π 2 < y < π 2 otteniamo un pezzo di questa superficie, rappresentato nella Figura 6.3.

87 87 Figura 6.3: Superficie di Scherk. Dimostriamo che la curvatura media è nulla: S u = (1, 0, f u ) = (1, 0, sin x cos x ), S v = (0, 1, f v ) = (0, 1, sin y cos y ), S uu = (0, 0, f uu ) = (0, 0, 1 cos 2 u ), S 1 vv = (0, 0, f vv ) = (0, 0, cos 2 y ), Dalle formule S uv = (0, 0, f uv ) = (0, 0, 0). E = 1 + f 2 u, G = 1 + f 2 v, F = f u f v, n Σ (p) = ( f u, f v, 1) 1 + f 2 u + f 2 v e = f uu 1 + f 2 u + f 2 v =, g = f vv, f = 1 + f 2 u + fv 2 f uv, 1 + f 2 u + fv 2 segue che ma H = 0 f uu (1 + f 2 v ) 2f u f v f uv + f vv (1 + f 2 u) = 0 f uu (1 + f 2 v ) 2f u f v f uv + f vv (1 + f 2 u) = 1 cos 2 u ( 1 cos 2 v ) + 1 cos 2 u ( 1 cos 2 v ) = 0 come volevasi dimostrare.

88 88 CAPITOLO 6. ESEMPI DI SUPERFICI MINIME Spostiamoci ora nella seconda metà dell ottocento, quando Alfred Enneper scopre la superficie minima di equazioni parametriche S(u, v) = (u 1 3 u3 + uv, v + u 2 v 1 3 v3, u 2 v 2 ) con u, v R, che per v ed u tali che u 2 + v 2 < 3 non ha autointersezioni. Figura 6.4: Superficie di Enneper. Dimostriamo che la curvatura media è nulla. Calcoliamo le derivate S u = (1 u 2 + v 2, 2uv, 2u), S v = (2uv, 1 + u 2 v 2, 2v), Pertanto Poiché allora n Σ (p) = S uu = ( 2u, 2v, 2), S vv = (2u, 2v, 2), S uv = (2v, 2u, 0). E = G = (1 + u 2 + v 2 ) 2 F = 0; e 1 e 2 e 3 S u S v = det 1 u 2 + v 2 2uv 2u 2uv 1 + u 2 v 2 2v = ( 2u(v 2 + u 2 + 1), 2v(1 + v 2 + u 2 ), 1 (u 2 + v 2 ) 2 ). S u S v = (1 + v 2 + u 2 ) 2 1 (1 + v 2 + u 2 ) ( 2u, 2v, 1 v2 u 2 ), e = 2, g = 2, f = 0

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