Limiti e potenzialità dei processi di governance locale

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1 Policies, Governance and Innovation for Rural Areas International Seminar November 2003 Università della Calabria, Arcavacata di Rende Limiti e potenzialità dei processi di governance locale Silvia Sivini Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica, Università della Calabria (Italia) silvia.sivini@unical.it 1

2 Abstract La governance fa riferimento allo sviluppo di forme di governo in cui i confini tra e nei settori pubblici e privati non sono più netti. Da un lato, si abbandona la logica gerarchica che rende lo Stato regolatore sovraordinato agli altri soggetti (government) e dall altro si richiede ai vari soggetti di partecipare ai processi di governance in quanto tutti dotati di risorse specifiche, di potere da esercitare, di responsabilità da assumere riconoscendo loro poi la possibilità di usufruire dei benefici attesi dall esito delle stesse policies. La Comunità Europea ha individuato questa prassi come meccanismo moltiplicatore delle risorse impiegate e come una strada che consente il conseguimento dei risultati attesi nei processi di sviluppo locale e in quelli volti all equiparazione delle condizioni di vita quanti-qualitative delle regioni europee. Molte politiche di sviluppo locale si fondano sulla costituzione di partenariati misti pubblicoprivati e diverse sono dunque le esperienze di governance territoriale che si sono date a livello italiano a partire soprattutto dagli anni novanta del 900, come i piani strategici urbani, le intese istituzionali di programma, i patti territoriali, i contratti d area e i Gruppi di azione locale. In presenza di un programma di finanziamento però, che preclude l accesso alle risorse a coloro che non si costituiscono in partenariato il rischio è che questo sia inteso dalle parti più come uno strumento di reperimento di risorse che non come una possibilità da impiegare per promuovere uno sviluppo locale. Nel Mezzogiorno in presenza di rapporti particolaristici diffusi e dove la capacità di azione dei soggetti pubblici è ancora spesso legata a logiche burocratiche, quando non clientelari, perché si dia un processo di governance appare necessario che i programmi di intervento non diano per scontato che questo avvenga semplicemente istituendo i partenariati ma che si attivino meccanismi che facilitano l affermazione del processo. Con riferimento a questi ultimi, tra gli altri, appare molto importante: a)promuovere azioni immateriali di animazione del territorio che insegnino e abituino i soggetti locali a partecipare alla costruzione del loro sviluppo attraverso la costituzioni di reti a livello territoriale; b) costituire rapporti stabili con soggetti esterni alle aree. Uno sviluppo endogeno infatti non può implicare la chiusura del territorio ma, nell era globalizzata, è necessario che gli attori locali siano in grado di stabilire reti di relazioni non gerarchizzate, per evitare di dar vita ad un localismo asfittico. Abituare con azioni finanziate i soggetti locali a confrontarsi con realtà altre diventa, dunque, uno strumento molto efficace sia per introdurre innovazione nei territori che per individuare nuovi mercati di sbocco per le imprese. Questo paper, a partire dal dibattito teorico sulla governance locale e sullo sviluppo dal basso, si propone di analizzare i limiti e le potenzialità degli attuali processi di governance locale. L attenzione viene, dunque, posta sugli elementi facilitatori e quelli di ostacolo del processo per come emerge dalle esperienze maturate nel Mezzogiorno d Italia, in particolare, dai Gruppi di azione locale (GAL) e dai Patti territoriali nazionali. 2

3 Introduzione Il processo di globalizzazione, che pure produce una intensificazione delle connessioni e delle interdipendenze sociali a livello mondiale (Axford 1995) e una compressione del tempo e dello spazio (Harvey 1993), non ha reso intercambiabili i luoghi fra loro (Martinelli 1998). Lo sviluppo si manifesta in maniera differente e si concentra in alcune aree piuttosto che in altre. Le società locali, non assumono dimensioni e strutture identiche in quanto queste dipendono da svariati fattori quali le particolari funzioni economiche, l organizzazione sociale, l articolazione del potere, le specifiche tradizioni culturali. Nell era della polarizzazione territoriale e della globalizzazione economica la sopravvivenza delle aree marginali appare strettamente collegata con la capacità di promuovere processi di sviluppo locali genericamente intesi come autonomi e capaci di autosostenersi in un economia aperta di mercato (Trigilia 2001 a). Considerando le diverse variabili che emergono dalle posizioni teoriche è possibile definire, in maniera più articolata, lo sviluppo locale come un processo che riconosce l importanza della dimensione territoriale, sia da un punto di vista geografico (lo spazio) che sociale e culturale (le risorse umane); e riconosce agli attori locali la capacità (ma anche il potere) di valorizzare, con azioni innovative, le risorse locali collettive (tangibili e non), intrattenendo nello stesso tempo rapporti esogeni, al fine di produrre benefici che vengono mantenuti all interno dell area. Sul fronte delle policies questo si traduce nell affiancare al modello finora prevalente di politiche di sviluppo erogate dall alto, tendenzialmente settoriali e dirette alle singole imprese che non attribuivano alla variabile territoriale un peso rilevante, un modello che prevede un approccio integrato dal basso che non privilegia più la sola dimensione economica ma punta alla riqualificazione dell ambiente, al miglioramento della qualità della vita e al grado di integrazione sociale creando sinergie tra gli interventi (Mela, Belloni, Davico 2000). Contestualmente, da un lato, si abbandona la logica gerarchica che rende lo Stato regolatore sovraordinato agli altri soggetti (government) e dall altro, si richiede ai vari soggetti di partecipare ai processi di governance in quanto tutti dotati di risorse specifiche, di potere da esercitare, di responsabilità da assumere riconoscendo loro la possibilità di usufruire dei benefici attesi dall esito delle spesse policies. Col termine governance, dunque, intendiamo il processo di elaborazione, determinazione, realizzazione e implementazione di politiche condotto secondo criteri di concertazione e di partenariato tra soggetti pubblici e soggetti privati (Segatori). Viene posta attenzione ai modi in cui 3

4 le organizzazioni statali e non lavorano insieme e sui modi in cui il potere politico si distribuisce (Stoker 1996). La partecipazione degli attori locali non rappresenta soltanto un mezzo per conseguire determinati risultati ma diventa anche un fine delle politiche stesse che viene ricercato, di norma, attraverso la creazione di partenariati, intesi genericamente come accordi di collaborazione misti pubblico-privati nei quali i soggetti coinvolti mettono in comune le risorse di cui sono portatori al fine di conseguire obiettivi da quelli più specifici, come la valorizzazione di contesti ambientali e naturali, anche ai fini turistici, l aumento delle dotazioni infrastrutturali e dei servizi innovativi per le imprese, il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie, e così via, a quello più generale dello sviluppo endogeno. Diverse sono le esperienze di governance territoriale che si sono date a livello italiano a partire soprattutto dagli anni novanta del 900, come i piani strategici urbani, le intese istituzionali di programma, i patti territoriali, i contratti d area, i Programmi Integrati Territoriali (PIT) e i Gruppi di Azione Locale (GAL). La analisi proposta fa riferimento, in particolare, a due programmi di sviluppo, i Patti Territoriali Nazionali e il LEADER e l attenzione si focalizza sui gruppi che hanno operato nelle regioni meridionali. In presenza di un programma di finanziamento che preclude l accesso alle risorse a coloro che non si costituiscono in partenariato il rischio è duplice. Da un lato, infatti, non è affatto scontato che questo sia inteso dalle parti come una possibilità da impiegare per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo e non piuttosto soltanto come uno strumento per il reperimento di risorse; dall altro, non è neppure scontata l idea di sviluppo perseguita, nel senso che le azioni individuate potrebbero essere integrate ma prevalere per esempio la dimensione economica o quella della tutela ambientale; potrebbero essere multi settoriali ma non nell ambito di un quadro coerente di sviluppo del territorio e così via. Il contesto socio-istituzionale e ambientale e i trascorsi storici, oltre che le modalità di costituzione, di organizzazione e di pratica dei partenariati influiscono su entrambi gli elementi, ciò non di meno, anche il tipo di programma di sviluppo, la normativa che lo disciplina, la sua strutturazione sembrano poter facilitare (o non) la realizzazione di processi di governance. Fermo restando che ogni esperienza concreta è diversa dall altra e che, per dirla con le parole di Bagnasco, non si possono dare ricette semplici in quanto ostacoli e risorse si presentano in genere in forme diverse nei diversi casi (Bagnasco 1999, p.90), con questo contributo ci si propone di cogliere alcune indicazioni rispetto ai limiti e le potenzialità dei processi di governance emerse in letteratura e nella prassi concreta con attenzione particolare al ruolo svolto anche dalla tipologia di programma 4

5 di sviluppo posto in essere. E opportuno comunque fare due premesse in relazione alla idea della partecipazione della comunità locale ai processi di sviluppo e ai tema dello sviluppo rurale integrato. La partecipazione della comunità In letteratura e nei documenti della Comunità Europea si ritrova spesso rimarcato il concetto della partecipazione della comunità locale al processo di sviluppo, di fatto, però, la comunità non viene definita e sembra piuttosto far riferimento ad un insieme, variabile e non preordinato, di alcuni attori locali che si mobilitano per dar luogo ad un partenariato che, quindi, non può dirsi rappresentativo degli interessi della comunità ipso facto. Il coinvolgimento della comunità locale nel processo di sviluppo appare piuttosto una dichiarazione intrisa di retorica (Vitale 2002), che difficilmente sembra aver trovato riscontro, almeno nell esperienza italiana e specie nelle aree marginali e svantaggiate. In queste situazioni, piuttosto, sembrerebbe che, solo nel medio-lungo termine, un azione portata avanti da un gruppo di soggetti innovatori è in grado di favorire il coinvolgimento più ampio della popolazione. La considerazione che i partenariati rappresentino le comunità locali appare dunque, difficilmente condivisibile, in particolare nelle fasi iniziali del processo. Nel caso dei distretti è stato rilevato che la comunità rappresenta un requisito preliminare e una condizione imprescindibile per la sua riproduzione, la cui caratteristica prima è la presenza di un sistema sufficientemente omogeneo di valori. Studi sul LEADER (Cavazzani e Moseley 2001) hanno invece, rilevato che nelle aree marginali questo sistema non esiste ma è piuttosto l obiettivo che i GAL si propongono di perseguire. Le loro azioni cercano da un lato, di rafforzare l identità locale e, dall altro, di creare nuove reti di relazioni sul territorio tra gli attori, pubblici e privati, e tra questi e i partenariati. Da qui l importanza delle azioni promosse dai GAL per favorire la cooperazione, la creazione di filiere corte, e, in via generale, la creazioni di reti sul territorio capaci di veicolare innovazioni, economiche, sociali e culturali. Il fine appare, dunque, quello di liberare un capitale sociale, in potenza, già presente ma schiacciato dalle negative esperienze storiche, lontane e recenti. In via generale, una ampia compagine del partenariato non indica di per sé l attuazione di un valido processo concertativo in quanto ciò che rileva è la motivazione che spinge i soggetti ad associarsi. Evidentemente, è opportuno, come è stato illustrato anche dagli studi compiuti sui Patti territoriali, che ciascun partecipante al partenariato assuma degli impegni precisi in termini di offerta di servizi, risorse umane, fisiche o finanziarie da porre nella disponibilità del Gruppo. 5

6 Questo, infatti, evita adesioni legate alla sole aspettative di trasferimenti finanziari pubblici e/o alla mera visibilità politica. Se appare auspicabile un allargamento delle compagini dei partenariati sembra altresì importante che questo avvenga quando il processo di affermazione delle nuove modalità operative si sia consolidato. Il cambiamento non è, infatti, un processo lineare ma al contrario spesso le organizzazioni locali possono operare per bloccarlo quando ritengono che le posizioni acquisite all interno del sistema siano a rischio e/o quando vengono riformulate le modalità di accesso alle risorse (Fadda 1999). E necessario dunque, un cambiamento culturale dell intero sistema istituzionale. Le istituzioni regionali e nazionali sono spesso guidate da logiche centralistiche che tentano di limitare l autonomia degli attori locali, mentre sarebbe necessario si attrezzassero per assicurare un adeguato sostegno ai partenariati locali, così da valorizzarne le potenzialità espresse. Appare altresì inopportuno che si forzi l adesione di attori che, per ragioni di diversa natura, non fossero interessati a far parte dei partenariati o che si richieda a potenziali Gruppi operanti nella stessa area di fondersi al fine di avere un unico piano di sviluppo (Mirabelli 2001a, PRIDE- Unità di Ricerca Italiana 2001). Si potrebbero, infatti, innescare meccanismi riproduttivi degli schemi tradizionali di spartizione delle risorse, vanificando le potenziali coerenze dei piani. L intervento di attori extralocali nei processi di sviluppo endogeno, come rilevato in letteratura, dovrebbe piuttosto andare nella direzione di attribuire i contributi finanziari sulla base della effettiva validità dei progetti presentati. Si è, invece, per esempio, ancora in presenza di Regioni, che pur di spendere le risorse comunitarie finanziano i progetti a prescindere dalla loro validità. Si sono avuti così casi di GAL finanziati a pochi mesi dalla scadenza del Programma LEADER II che ovviamente, già in partenza non hanno avuto la possibilità di realizzare una adeguata animazione dei territori ma al massimo hanno potuto finanziare qualche intervento locale, ricadendo in una logica finalizzata soltanto all effettuazione di una spesa non accompagnata da una spinta reale al cambiamento. Gli stessi Patti Territoriali sono stati approvati e finanziati indipendentemente dalla loro validità complessiva, producendo in tal modo uno spreco di risorse finanziarie. Le modalità della selezione si basano, infatti, essenzialmente su criteri microeconomici che ricalcano quelli adottati per la legge 488, per cui si valutano l efficacia tecnica delle iniziative imprenditoriali, l attivazione di nuovi posti di lavoro, l esistenza di una relazione funzionale tra i progetti imprenditoriali e le infrastrutture. Questo rappresenta un limite notevole dell attuale impianto normativo in quanto non è valutata e premiata la validità del progetto di sviluppo nel suo complesso, né con riferimento alla dimensione istituzionale (non ci sono vantaggi a sottoscrivere protocolli d intesa che prevedano impegni specifici e cogenti per i sottoscrittori, né norme sanzionatorie per coloro che non 6

7 adempiono agli impegni assunti) né a quella economica (non si valuta il grado di integrazione degli investimenti e delle azioni all interno di una idea di sviluppo locale). I patti vengono valutati sulla base di criteri che non sono coerenti con le loro finalità ultime di creazione e rafforzamento della cooperazione tra soggeti pubblici e privati e di programmazione secondo una logica di sviluppo integrato (Cersosimo e Wolleb 2001, p.401). I progetti che fanno parte di un patto territoriale non dovrebbero essere valutati solo singolarmente e, quindi, con puri e soli criteri bancari, ma come facenti parte di un complesso integrato di progetti che ha come obiettivo lo sviluppo di un determinato territorio (CNEL 1999, p.109), altrimenti, si rischia di premiare comportamenti collusivi. Le Amministrazioni locali, d altro canto, devono avviare una riorganizzazione delle loro modalità operative, non avendo più solo funzioni di gestione amministrativa ma anche di gestione di una progettualità sul territorio in collaborazione con gli attori privati. La riproduzione e la conservazione del ceto politico meridionale per lungo tempo è stata assicurata dalla redistriduzione delle risorse pubbliche effettuata in una logica diretta ad evitare i conflitti sociali attraverso la ricerca di meccanismi di consenso e di controllo sociale, piuttosto che dal sostegno di processi di sviluppo endogeni (De Vivo 1997). Oggi si tratta di modificare le dinamiche del rapporto esistente tra componente politica e tecnica al fine di accrescere le competenze disponibili e avviare nuove modalità di azione. Là dove si sono avuti tentativi in questa direzione, le istituzioni pubbliche hanno dimostrato, infatti, di essere in grado di comprendere le potenzialità che le nuove funzioni offrono e sono state coinvolte nell esperienza dei partenariati con maggiore facilità, riuscendo anche a trarne benefici diretti per le collettività rappresentate, con un miglioramento della qualità della vita delle popolazioni locali. Di contro, quando le Municipalità permangono ancorate a logiche di tipo tradizionale le difficoltà riscontrate sono state maggiori e, spesso, è solo la presenza, all interno di qualcuna di queste, di persone particolarmente sensibili al tema a favorire una adesione al partenariato non semplicemente finalizzata ad ottenere visibilità politica. Il problema non è comunque solo politico ma anche amministrativo, la burocrazia stessa si è rivelata frequentemente impreparata a soddisfare le nuove richieste degli operatori. Si tratta di adeguare le modalità operative ai bisogni emergenti riorganizzando le strutture, qualificandole e mettendole in grado di assolvere compiutamente ai nuovi compiti derivanti dall esigenza di gestire una progettualità sul territorio insieme agli operatori privati. Lo sviluppo rurale integrato 7

8 Anni di finanziamenti al settore industria le, di contributi alle aziende per insediarsi nelle aree meridionali hanno rafforzato in molti amministratori pubblici meridionali la convinzione che l unico sviluppo auspicabile fosse quello industriale. L impianto di una grande impresa, magari del nord, infatti permetteva, in una sola volta, la creazione di numerosi posti di lavoro, non di rado consentendo agli amministratori locali di soddisfare le richieste, in primo luogo, dei propri elettorati. Si riteneva che lo sviluppo rurale fosse uno sviluppo di serie b in quanto legato unicamente al comparto agricolo e che questo, in aree svantaggiate e marginali, non potesse fornire adeguati sostegni finanziari agli agricoltori. L idea che uno sviluppo può essere possibile ancorandolo a quelle che sono le risorse locali non è affatto semplice da far recepire e accettare. Si tratta di un profondo cambiamento del concetto stesso di sviluppo rurale. La stessa Unione Europea ha riconosciuto esplicitamente che le azioni di sviluppo rurale devono essere concepite sulla base delle realtà locali (Commissione Europea 1988, p.7) e anche in letteratura si ritrovano sottolineature analoghe che ribadiscono come la presenza di attività diversificate nelle aree rurali vanno sostenute e non più considerate di ostacolo allo sviluppo (Saraceno 1995) e come il comparto agricolo debba riorganizzarsi per non rimanere schiacciato dalla attuale organizzazione in filiere lunghe controllate dalle industrie che, di fatto, hanno privato gli agricoltori del valore aggiunto derivante dalla commercializzazione dei prodotti agricoli (Scoppola 1993, Buccirossi et al 2002, Sivini G. 2002). Il modello di azienda agricola che ci si dovrebbe proporre di stimolare è molto diverso da quello produttivistico e si caratterizza per la diversificazione produttiva, la pluriattività della famiglia agricola, l integrazione con l ambiente rurale, e soprattutto per la trasformazione dei prodotti direttamente in azienda. Si tratta, in sintesi, di privilegiare una filiera corta che permetta di realizzare un offerta qualificata in termini territoriali (Brunori 2002, Sivini G. 2002). La ricerca PRIDE (Cavazzani, Moseley 2001, Moseley 2003) se da un lato ha confermato che l obiettivo generale di uno sviluppo rurale integrato è formalmente condiviso da tutti i partenariati, dall altro, ha mostrato che nel concreto domina ancora un approccio settoriale. In Italia, si è inoltre, rilevato che i partenariati nati sulla base di precedenti esperienze di sviluppo locale focalizzano frequentemente l attenzione principale sulla promozione di azioni economiche, mentre le esperienze più giovani elaborano piani di sviluppo che, pur non essendo pienamente integrati, prevedono interventi nei diversi settori. In generale, tuttavia, si è potuto registrare una scarsa attenzione al problema dell esclusione sociale, che pure rappresenta in ambito rurale un problema rilevante. Sono state molto limitate, in particolare, le azioni dirette a particolari fasce sociali quali, le donne, gli anziani, i giovani e i portatori di handicap. La lotta all esclusione occupa uno degli ultimi posti nella graduatoria dei principali obiettivi perseguiti dai partenariati, e indagini qualitative 8

9 hanno confermato il dato sia pure con delle eccezioni (Campennì 2001). E da accogliere positivamente, dunque la priorità attribuita dal LEADER + alla selezione dei Piani di Sviluppo Locali (PSL) indirizzati a gruppi target, quali donne e giovani. I Patti Territoriali Nazionali e il programma LEADER I patti territoriali nazionali si pongono, almeno teoricamente, obiettivi che in parte sono analoghi a quelli perseguiti dal programma LEADER; infatti, da un lato si tratta di rafforzare le relazioni orizzontali tra le istituzioni locali e, dall altro, di produrre e realizzare programmi di sviluppo locali integrati. La normativa che regolamenta i Patti territoriali prevede che la loro creazione sia preceduta da una fase di concertazione tra i soggetti locali al fine di definire l area territoriale di riferimento, analizzarne i problemi economici e individuare una strategia di intervento che si concretizzi nella selezione di progetti imprenditoriali e infrastrutturali. Inoltre, ad ognuno dei soggetti partecipanti viene richiesto di assumere degli impegni, sulla base delle specifiche competenze, per facilitare la realizzazione del patto (snellimento delle procedure burocratiche, riduzione del costo del lavoro, abbattimento del costo del denaro eccetera). Il risultato della concertazione si traduce nella predisposizione di un documento - il Pattoche viene inviato alle banche convenzionate col Ministero del Tesoro, al fine di verificare la validità dei progetti previsti. Il Patto poi deve essere approvato dal Ministero che verifica la bontà del progetto di sviluppo, la presenza di interventi imprenditoriali privati e l esistenza di un protocollo d intesa tra i soggetti locali in cui sia ribadita la volontà di lavorare insieme. I soggetti coinvolti nella concertazione di norma sono l Amministrazione Provinciale, i Comuni, l Associazione degli Industriali e i Sindacati. Molto diffusa è anche la presenza delle Camere di Commercio, delle altre associazioni imprenditoriali (CNA; Lega delle Cooperative, Api, Confartigianato), dei Consorzi di sviluppo e, in particolare nel centro-nord, delle banche (Cersosimo, Wolleb 2001). Il tetto massimo di finanziamento è di 100 miliardi delle vecchie lire. La fase seguente prevede la costituzione formale di una Società, a maggioranza pubblica, responsabile della gestione del Patto. I suoi compiti in estrema sintesi sono: seguire l insieme delle attività operative del patto, ricercare nuovi finanziamenti, assicurare il monitoraggio, verificare i risultati. I soggetti che sottoscrivono le azioni di questa società non devono necessariamente essere gli stessi che hanno sottoscritto il Patto, anzi, nella realtà spesso mancano alcuni di questi e se ne aggiungono di altri. 9

10 Anche nel caso del LEADER la costituzione del partenariato è condizione di accesso al finanziamento. Ma, il processo di costituzione e la gestione dei finanziamenti sono stati diversi e, sia pure in parte, diversi sono stati i soggetti coinvolti. Alcune volte si è avuta una prevalenza di enti pubblici (Municipalità e Comunità Montane), molto più spesso di associazioni di categoria agricole e artigiane, poche le banche, ancora meno le associazioni del terzo settore, in maniera variabile sono state anche presenti imprese e professionisti. In generale, sembrerebbe che l attenzione delle istituzioni pubbliche, in particolare nel Mezzogiorno d Italia e nelle prime fasi del programma, sia stata limitata (Cavazzani, Moseley 2001) rispetto a quanto non è avvenuto per i Patti Territoriali. La limitata disponibilità finanziaria del programma LEADER sembra aver giocato un ruolo importante (Vettoretto 2003). Ricordiamo che i GAL hanno mediamente gestito 8.3 miliardi di lire su un arco temporale di circa 4 anni a fronte di una disponibilità per ogni singolo Patto di 100 miliardi di lire. Indagini empiriche hanno mostrato che in un numero elevato di Patti Territoriali il fine unico è stato quello di drenare finanziamenti (Cersosimo e Wolleb 2001, p.370). Le istituzioni pubbliche, in seguito alla crisi che ha investito i grandi partiti nazionali a partire da tangentopoli, erano rimaste prive dei punti di riferimento politici a livello centrale cui ricorrere per intercettare risorse finanziarie e si sono quindi, dovute impegnare su altri fronti. Le ridotte risorse finanziarie attribuite ai GAL sembrano, di contro, aver favorito una rottura della logica di partecipazione ad un programma al solo fine di intercettare fondi pubblici e dunque la partecipazione dei soggetti, in via generale, è apparsa legata ad obiettivi, se si vuole anche non ben definiti, ma che riguardavano lo sviluppo dell area. Non si trattava più solo di avere una disponibilità finanziaria ma di avere risorse finalizzate ad interventi coordinati tra loro, legati da una logica intrinseca di sviluppo. La classe politica è apparsa impreparata a cogliere le opportunità che il programma comunitario (peraltro molto meno pubblicizzato dei Patti Territoriali) offriva ritenendo che scarsi potessero essere i ritorni in termini di consenso e di visibilità politica. A conferma di ciò si nota, in diverse esperienze concrete, che l attenzione dei politici è cresciuta proporzionalmente ai risultati conseguiti dai Gruppi e sembra essersi ulteriormente accentuata nel corso del LEADER +. Se da un lato l esiguità dei finanziamenti non consente apparentemente di avere risultati immediati in termini di nuove imprese e nuovi posti di lavoro, dall altro, bisogna ricordare che un processo di sviluppo che sia autosostenibile si basa, prima di ogni cosa, su nuove prassi operative degli operatori locali. In particolare, l analisi di esperienze concrete sembra mettere in luce che alcuni elementi influiscono positivamente sull acquisizione delle nuove prassi operative da parte degli attori locali. 10

11 Presenza di persone chiave e livelli di fiducia tra i soci La letteratura sui Patti sottolinea che in genere i primi momenti di avvio dei Patti Territoriali sono segnati dalle difficoltà di instaurare, tra i soggetti istituzionali che vi aderiscono, modalità di interazione basate su rapporti di fiducia reciproca, su una comunanza di interessi che superi il ristretto ambito comunale, per giungere ad ipotesi e prospettive di sviluppo mirate a bisogni territorialmente più ampi (De Vivo 2001, p.95); nel caso dei GAL diverse indagini (Moseley 2003, Vettoretto 2003) rilevano di contro una sostanziale fiducia tra i diversi soci. La funzione svolta dalle persone chiave nella costituzione dei GAL sembra aver giocato un ruolo importante. Queste hanno coinvolto nell esperienza le diverse istituzioni locali sulla base, spesso, di relazioni personali pre-esistenti con soggetti che ricoprivano importanti cariche direttive all interno delle istituzioni stesse. Le persone chiave sono, di solito, soggetti fortemente motivati e dotati di una personalità carismatica, che occupano posizioni nella società locale che consentono di avere accesso a diverse reti di relazioni. In particolare, per le loro storie di vita personale, queste hanno avuto la possibilità di stabilire buoni rapporti sia con attori del settore privato che di quello pubblico. Questo ultimo elemento appare rilevante nelle aree meridionali in quanto vi è una diffusa sfiducia verso l operato pubblico, ma anche verso forme di cooperazione tra imprese. Indurre, quindi, soggetti privati a costituire dei partenariati insieme agli enti pubblici non è impresa facile. I legami personali diventano così una risorsa da impiegare nelle fasi costitutive dei partenariati. Sembrerebbe che quando le persone chiave si impegnano a costruire ponti di raccordo tra le reti, stimolano nuovi processi di sviluppo e la diffusione della fiducia tra gli attori. In questo caso, nel medio periodo, si avvia quel processo di istituzionalizzazione (Lanzalaco 1995) del partenariato per cui i rapporti sociali e i comportamenti si autonomizzano dagli individui coinvolti, le nuove modalità di azione diventano prassi e il partenariato assume una sua autonoma connotazione, distinta dalla persona chiave. Nel caso, invece, in cui le persone chiave tendono a svolgere il ruolo di mediatori tra le reti, mantenendo le stesse separate, è possibile che il processo di istituzionalizzazione. Questi soggetti, infatti, tendono a mantenere un ruolo forte nel tempo, dominante in termini di potere e responsabilità, e inibiscono una partecipazione attiva degli altri soggetti e vanificando, in tal modo, l esperienza del partenariato. Rimane aperta la questione, che andrebbe approfondita analizzando esperienze che sono andate in questa direzione, del perché i soggetti appartenenti alle diverse reti non assumano delle posizioni atte a contrastare il dominio dei soggetti forti. Una possibile spiegazione sembra essere legata alla considerazione che gli altri 11

12 soggetti locali, a causa delle esperienze storiche vissute, siano talmente deboli, da ritenere la delega alla persona chiave l unica via possibile per l acquisizione di risorse finalizzate allo sviluppo dell area, interessati a essere presenti nel partenariato solo per acquisire visibilità ma non in grado di gestire direttamente le responsabilità connesse all implementazione di processi di sviluppo. Le reti di relazione presenti, in questo caso, non si indirizzano verso l introduzione di innovazione, elemento quest ultimo fondamentale per assicurare uno sviluppo sostenibile nell attuale società globalizzata (Murdoch 2000, Amin 1998). Si realizza, piuttosto, uno dei maggiori rischi legati allo sviluppo endogeno, ossia quello di essere accompagnato da una generale apatia della popolazione che mina le basi del processo stesso (Lowe et al 1988, Shortfall, Schucksmith 1998, Ward, McNicholas 1998). La riuscita dell intero processo appare comunque, facilitata in contesti in cui non vi sono posizioni di potere fortemente consolidate che potrebbero essere intaccate dalla nascita di nuovi attori istituzionali, quali i GAL o i Patti. L esistenza di poteri locali non motivati e/o consolidati potrebbe ostacolare il cammino in maniera da limitarne gli effetti a risultati parziali che non consentono l acquisizione del nuovo metodo di lavoro e il cambiamento culturale necessario che ne sta alla base. La persistenza di istituzioni meno efficienti infatti, ricorda Granovetter, può essere spiegata con la presenza di reti sociali consolidate che le riproducono. Anche gli studi sui Patti hanno individuato nella presenza di una leadership forte, disposta ad assumersi una parte rilevante degli oneri organizzativi, un elemento utile alla creazione di un tessuto fiduciario tra i partecipanti (Trigilia 2001, Barbera 2001). Il successo del patto è dipeso dall autorevolezza dei leader che hanno creduto nel patto ed hanno dato efficacia all intero processo. La fiducia che circonda il patto dipende molto dalla considerazione e dalla reputazione nel territorio per i soggetti promotori (Cersosimo e Wolleb 2001, p.396). Anche nel caso dei patti che hanno avuto successo, dunque, la fiducia è stata sviluppata a partire da un numero molto ristretto di persone di riconosciuta affidabilità personale o istituzionale per poi allargarsi, in seguito agli incontri, alle riunioni e ai contatti interpersonali ad altri soggetti. Si è potuto, inoltre, notare che la presenza di una leadership forte, se mantenuta anche nella fase di gestione, ha ridotto notevolmente il livello di conflittualità altrimenti presente. A questo riguardo va ricordato che nei GAL le persone chiave mantengono, di solito, un ruolo importante anche quando il partenariato comincia ad implementare le azioni di sviluppo previste nei Piani di Azione Locale. Se la scelta delle strategie da adottare per la realizzazione degli interventi è apparsa condizionata dalla tipologia dei soci presenti, sono proprio le persone chiave ad impegnarsi in prima persona per la attuazione delle strategie. In particolare, indirizzano la struttura operativa, e si impegnano ad assicurare livelli di fiducia adeguati tra questa e il partenariato. 12

13 L idea che uno sviluppo dal basso possa avere successo non è un idea condivisa tout court da tutti i soggetti locali; spesso è necessario far toccare con mano alla popolazione, alle imprese e ai soggetti pubblici cosa questo significhi e quali frutti può dare, non solo in termini di crescita economica ma anche di miglioramento della qualità della vita. Non si può nemmeno dare per scontato la volontà di partecipazione alla costruzione del proprio sviluppo, soprattutto in aree meridionali in cui diffusa è l idea che sia lo Stato a dover risolvere il problema dello sviluppo delle aree e in cui con difficoltà le istituzioni pubbliche locali abbandono la logica della semplice amministrazione per lavorare produttivamente alla gestione del territorio insieme agli attori privati nei cui confronti si pongono spesso con un atteggiamento di supremazia. Una innovazione radicale e inattesa in campo istituzionale, quale è certamente la costituzione di un partenariato pubblicoprivato, che implica nuove modalità di relazione e di azione, nuovi interessi, regole, identità e valori, deve essere sostenuta da soggetti sociali concreti che si propongono il fine di divulgarla, spiegarla e farla accettare agli altri attori locali (Parri 1997). Territorio di riferimento La opportunità per i GAL di lavorare su un area territorialmente più ristretta rispetto a quella della maggior parte dei Patti sembra aver facilitato notevolmente il processo. I rapporti personali, come chiarito, hanno continuato a giocare un ruolo anche quando si è trattato di gestire operativamente le risorse per cui i conflitti venivano frequentemente mediati e risolti ricorrendo ai legami personali. Le interazioni, spesso informali, hanno consentito di ridurre l incertezza, permettendo agli attori di controllare i comportamenti opportunistici, di ottenere informazioni sulle azioni poste in essere, di veicolare processi peculiari di integrazione tra ambiti istituzionalmente differenti (Mutti 1996) e sembra abbiano favorito la coesione all interno dei partenariati. Concertazione e gestione Al di là della presenza o meno di una forte leadership, la normativa sui Patti ha un limite rilevante nella distinzione che traccia tra la fase concertativa e quella propriamente della gestione. L obbligo di costituire una società a maggioranza pubblica che gestisca la fase operativa del Patto ha spesso prodotto l entrata in gioco di nuovi soggetti e la fuoriuscita di altri che, invece, avevano pienamente partecipato alla concertazione. In particolare, i soggetti finanziariamente più deboli si sono trovati in difficoltà a sottoscrivere le quote azionarie, mentre altri, per incompatibilità con i 13

14 loro fini istituzionali, non hanno potuto. Coloro che avevano lavorato per elaborare le strategie di sviluppo non hanno così potuto partecipare, anche praticamente, alla realizzazione delle stesse. Rompendosi gli equilibri che nei tavoli di concertazione si erano raggiunti, i soggetti rimasti si sono spesso scontrati nel tentativo di acquisire ciascuno un posto negli organi direttivi delle società di gestione (De Vivo 2001). La maggior autonomia riconosciuta ai GAL nella gestione del programma rappresenta un elemento di fondamentale differenza rispetto ai Patti. Essi non si limitano a elaborare i piani di azione locale ma sono responsabili anche della gestione operativa del programma. Gli staff operativi creati ad hoc rispondono direttamente ai partenariati e gli associati spesso ne fanno parte integrante svolgendo le più diverse funzioni (coordinatore del piano, animatore, componenti dei Comitati che vagliano le domande di contributo, eccetera). In tal modo il lavoro di elaborazione strategica viene completato con un lavoro operativo che favorisce il coinvolgimento degli attori. Si è certamente riscontrata, nella prassi, una maggiore partecipazione dei soci facenti parte del Consiglio di Amministrazione e di eventuali Comitati creati ad hoc ma, in linea di massima, i soci, pur non facendo parte del CdA, sono informati sulle attività poste in essere e partecipano, sia pure in misura diversa, alla pubblicizzazione delle iniziative, forniscono consulenze per le tematiche su cui hanno specifiche competenze (Cavazzani, Moseley 2001).Tutto ciò consente ai soggetti locali di maturare una consapevolezza del nuovo ruolo da loro giocato per lo sviluppo delle aree, e evita l insorgere di quei sensi di frustrazione e di disimpegno emersi in diversi attori che hanno preso parte alle fasi concertative dei Patti territoriali e che sono esclusi da quelle attuative. Presenza di una struttura operativa La costituzione di strutture operative ad hoc, formate, motivate, snelle e non gerarchizzate è uno dei punti di forza dei GAL (PRIDE- Unità di Ricerca Italiana 2001). Sono queste che si relazionano direttamente con gli operatori del territorio tanto da indurre questi ultimi ad identificarle spesso con i partenariati veri e propri. Le azioni di sensibilizzazione, di informazione e animazione del territorio realizzate dai componenti della strutture operative costituiscono una delle principali novità introdotte dal programma LEADER. Non si tratta più solo di concedere finanziamenti ad imprese ma soprattutto, come già chiarito, di lavorare nelle aree per l affermazione di nuove modalità di azione che vedano i soggetti locali partecipare direttamente alle scelte e alla realizzazione di iniziative di sviluppo. 14

15 I beneficiari delle azioni previste nel PAL sono individuati per lo più in maniera generica (le aziende agrituristiche, le aziende artigiane, e così via) e questo costringe i componenti della struttura operativa ad avviare attività di animazione sul territorio. In tal modo la creazione di rapporti con gli operatori locali che vanno ben al di là della semplice erogazione del finanziamento appaiono facilitati. Esemplare in tal senso è l esperienza del Gal Santa Maria di Leuca (Sivini S. 2003, Tedesco 2003). La scelta del personale è quindi molto delicata in quanto è proprio questo ultimo ad essere l interfaccia tra la popolazione locale e il partenariato vero e proprio. La sua disponibilità, competenza, il livello di collaborazione e le sue capacità di animazione sono tutti elementi rilevanti per il successo dell iniziativa. Si è, inoltre, notato il valore positivo dell esistenza di rapporti di fiducia, non solo a livello di personale della struttura, ma anche tra questa e gli organismi decisionali. L esistenza di una Rete Leader nazionale, i frequenti incontri organizzati tra i rappresentanti dei diversi GAL, anche a livello europeo, i progetti di cooperazione transnazionale, inoltre, hanno consentito di accrescere le competenze tecniche e amministrative dei componenti della strutture operative, anche in termini di gestione delle risorse finanziarie, di rendicontazione, di predisposizione di bandi, di assistenza ai potenziali beneficiari degli interventi per la predisposizione delle domande di contributo. L importanza di avere una autonoma struttura operativa è confermata anche dagli studi compiuti sui Patti Territoriali che hanno rilevato come, a differenza dei patti europei in cui è presente una struttura tecnica, quelli nazionali sono fortemente dipendenti dall attivismo di qualche attore nello stimolare le pratiche concertative e l azione collettiva degli attori pattizi. E proprio l assenza di una struttura operativa simile ad aver, peraltro, alimentato il mercato professionale esterno, soprattutto quando i Patti sono diventati operativi, attraverso la ricerca di consulenti che fossero in grado di predisporre proposte per i bandi di gara emanati (De Vivo 2001, p.100). I rapporti tra i territori Come la letteratura ha ampiamente sottolineato lo sviluppo endogeno non può che essere uno sviluppo promosso dagli attori locali che abbiano le conoscenze e le capacità di relazionarsi con l extra-locale, per coglierne le sfide e per ridurre la vulnerabilità delle aree rispetto all agire di forze esogene (Ray 2000 a). La costituzione di rapporti stabili con soggetti esterni alle aree è di fondamentale importanza in quanto uno sviluppo endogeno non può implicare la chiusura del territorio in se stesso. Abituare con azioni finanziate i soggetti locali a confrontarsi con realtà altre 15

16 diventa quindi, uno strumento molto efficace sia per introdurre innovazione nei territori che per individuare nuovi mercati di sbocco per le imprese. La presenza di una rete italiana dei GAL, aderente alla rete europea LEADER, e la misura della cooperazione transnazionale sono esempi di come un programma di sviluppo possa favorire la creazione di rapporti tra i territori evitando ai processi di sviluppo di assumere delle dimensioni asfittiche e non sostenibili. Nessuna area locale può, infatti, sviluppare una crescita endogena in assenza di un contesto macroeconomico che rechi il proprio contributo. Le esperienze avute a livello nazionale ma soprattutto europeo, da parte dei componenti dei GAL, sono alla base, infatti, di alcuni significativi interventi innovativi che hanno prodotto effetti positivi nelle aree, generando processi imitativi a livello di territorio. Il rapporto con l'esterno ha stimolato anche l'apertura culturale degli attori locali e, non ultimo, ha favorito la promozione dei singoli territori, in termini di offerta turistica e di valorizzazione dei prodotti tipici. Entrambe le misure hanno, inoltre, consentito lo scambio reciproco di esperienze, l acquisizione di conoscenze e, attraverso gli incontri e i convegni, hanno abituato gli attori locali a confrontarsi con soggetti di altre aree e paesi, facendo tesoro delle loro esperienze e apportando loro stessi suggerimenti e idee. Il futuro Nel Mezzogiorno in presenza di rapporti particolaristici diffusi e dove la capacità di azione dei soggetti pubblici è ancora spesso legata a logiche burocratiche, quando non clientelari appare necessario, per avviare processi di sviluppo locali sostenibili, creare in primo luogo contesti socioistituzionale adeguati. Rispetto all esperienza meridionale i Patti sembrano aver sollecitato spesso interessi politici rilevanti che hanno replicato logiche tradizionali burocratiche e talvolta clientelari. Mirabelli (2001) nel suo studio su quattro patti calabresi conclude proprio affermando che i patti appaiono uno strumento più utile in aree già sviluppate che non in territori come quello calabrese in cui le debolezze del sistema istituzionale hanno costituito un ostacolo al circolo virtuoso che i PT avrebbero dovuto avviare. Le valutazioni, tuttavia, non sono concordati in merito perché vi è anche chi non si lascia spaventare dai primi risultati formulando, comunque, delle valutazioni ottimistiche per il futuro (Cersosimo, Wolleb 2001) e chi invece assume atteggiamenti più interlocutori (Freschi 2001). I GAL hanno, invece, in genere incominciato ad operare senza grande pubblicità, né attenzioni particolari da parte della società locale ma nel corso del lavoro sono stati spesso in grado di farsi riconoscere come nuovo soggetto istituzionale. Hanno saputo diffondere, con le attività di 16

17 informazione e animazione svolte nelle aree, l idea che lo sviluppo possa essere possibile ancorandolo alla valorizzazione delle risorse locali, coinvolgendo nelle pratiche di sviluppo attori sociali e istituzionali che inizialmente non avevano creduto, o non si erano interessati all esperienza. Ciò è avvenuto più facilmente in quelle aree in cui non vi erano posizioni di potere fortemente consolidate che potevano opporsi alla costituzione di un nuovo soggetto istituzionale come il GAL. Indagini empiriche (Sivini S. 2003) hanno rilevato che per i beneficiari dei GAL la partecipazione al programma LEADER è stata significativa sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, hanno sperimentato un nuovo approccio al finanziamento pubblico, non più ottenibile solo per amicizia o con il ricorso a consulenti privati ma piuttosto come possibilità offerta a chiunque. Certo, è stato evidenziato che i contributi erano limitati ma anche che spesso sono stati proprio questi a indurre gli operatori locali a decidere di impegnarsi nell avvio di nuove attività o nel miglioramento di quelle esistenti. Si è creato così un effetto moltiplicatore che ha travalicato i limiti dei progetti stessi, inducendo anche altri soggetti, non beneficiari del LEADER, ad avviare attività analoghe 1. Le esperienze di successo dei GAL mostrano che la fiducia degli operatori locali nel partenariato facilita anche la partecipazione dei beneficiari alle iniziative volte alla creazione di reti tra gli operatori e che, nel tempo, queste ultime tendono a consolidarsi nella loro autonomia e operatività. Quando le reti presenti sul territorio non si indirizzano più verso la ricerca del politico di turno che può aiutare a sbloccare una pratica o ad ottenere un finanziamento, sembrano, dunque, puntare ad accrescere la cooperazione e la fiducia in maniera da favorire l intensificazione delle reti di relazione sul territorio e l introduzione di innovazioni, economiche e sociali, nelle aree. La sede del GAL, inoltre, diventa un luogo di incontro tra gli operatori locali, istituzionali e non, in cui è possibile scambiarsi idee, progettare nuove azioni, ma anche ricevere informazioni e aiuti per il disbrigo di pratiche amministrative per l ottenimento di finanziamenti, licenze e quant altro. In sintesi, cambia la concezione di ufficio pubblico e il GAL assume la connotazione di vera e propria Agenzia di Sviluppo. Questa rappresenta anche l obiettivo ultimo dei Patti ma l attuale normativa, le lentezze burocratiche e i forti interessi in gioco sembrano non aver facilitato il conseguimento di tale risultato. Gli studi empirici hanno, infatti, riscontrato solo in un numero limitato di casi la presenza di beni pubblici realizzati al di fuori della sfera d azione diretta delle attività previste dai patti (Cersosimo e Wolleb 2001, p.409). 1 Sul tema si veda anche Perna

18 Il merito del programma LEADER sta proprio nell essere, prima che un programma di finanziamento, un metodo (Farrell) innovativo di sviluppo che attraverso azioni immateriali e di tipo dimostrativo prova, e in vari casi riesce, a spiegare i vantaggi di un approccio allo sviluppo dal basso. Le ipotesi di una sua cancellazione supportate dall idea che essendo un programma pilota non dovrebbe più essere rifinanziato o ancora peggio, dall idea che poiché fornisce poche risorse al territorio non è utile in quanto, si dice, fa venire fame alle popolazioni locali ma poi non le sfama, sembrano non tener presente che le opportunità di sperimentazione da questo offerte sono state preziose nel contribuire a modificare i contesti istituzionali locali. In particolare, nelle aree meridionali l attivazione di iniziative che privilegiano la dimensione immateriale cercando di innescare circuiti virtuosi di relazioni, a livello sia di attori, pubblici e privati, dei singoli territori che dei partenariati, nazionali e non, contribuiscono ad accrescere il capitale sociale collettivo delle aree rurali e sembrano porre le condizioni, non sufficienti ma indispensabili, per avviare processi di sviluppo sostenibili. La sfida del futuro è proprio quella di immaginare, proporre e sperimentare nuove forme sociali e istituzionali di gestione del territorio a partire da un progetto comune di futuro sostenibile (Perna 2002). Innumerevoli sono, come già chiarito, gli ostacoli che si danno, a partire dalla necessità di un radicale cambiamento non solo delle modalità operative delle istituzioni pubbliche locali ma anche di quelle degli attori privati che, specie nel sud, si pongono rispetto alle prime con un atteggiamento predatorio e nel contempo servile, quando non scettico rispetto alle capacità di azione delle prime. Si tratta perciò di far crescere le reti locali e la loro densità e di costruire, nel contempo reti tra locale e locale di tipo non gerarchico, ma federativo e solidale (Magnaghi 2000, Perna 2002). La sfida non è facile da vincere ma vale la pena provarci perché rappresenta la possibile risposta alla globalizzazione in atto se non si vuole continuare a rimanere schiacciati in una logica di competizione fra poveri ed è, in questa logica, che il programma LEADER può essere considerato un utile strumento. Riferimenti bibliografici Amin A., (1999), "An institutionalist perspective on regional economic development", in International Journal of urban and regional Research, n.23, pp Arrighetti, Serravalli (a cura di), (1999), Istituzioni intermedie e sviluppo locale, Roma, Donzelli. Axford B (1995), The global system. Economics, Politics and Culture, Cambridge. Polity Press. Bagnasco A. (1999), Tracce di comunità, Bologna, Il Mulino. Bagnasco A (2003), Società fuori squadra. Come cambia l organizzazione sociale, Bologna, Il Mulino. Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A., Trigilia C. (2001), Il capitale sociale istruzioni per l uso, Bologna, Il Mulino. 18

19 Barbera F. (2001), Le politiche della fiducia. Incentivi e risorse sociali nei patti territoriali, in Stato e Mercato, n.63, pp Barke M., Newton M., (1997), The EU LEADER Initiative and endogenous rural development: the application of the programme in two rural areas of Andalusia, Southern Spain, in Journal of Rural Studies, vol. 13, n.3, pp Brunori G.,(2002), La territorializzazione delle politiche settoriali: alcuni spunti teorici in De Rosa M., de Vincenzo D. (a cura di), pp Buccirossi P., Marette S., Schiavina A., (2002), Competition Policy and the Agribusiness Sector in the European Union, in European Journal of Agricultural Economics, vol. 29, n.3, pp Campennì A., (2001), Partenariati per lo sviluppo rurale integrato: I problemi di un approccio innovativo, relazione presentata al Terzo seminario di Sociologia dell Ambiente, Università della Calabria, Rende, 8-9 giugno Cavazzani A., Moseley M. (a cura di), (2001), ThePractice of Rural Development Partnerships in Europe. 24 Case Studies in Six European Countries, Soveria Mannelli, Rubbettino. Cersosimo D. (a cura di), (2000), Il territorio come risorsa, Roma, Formez/Donzelli. Cersosimo D., Wolleb G., (2001), Politiche pubbliche e contesti istituzionali. Una ricerca sui patti territoriali, in Stato e Mercato, n.63, pp CNEL (1999), Rapporto sulla concertazione locale, Collana Laboratori Territoriali, Roma, CNEL. Commissione Europea (1988), Il futuro del mondo rurale, COM (88) 37, Finale, Bollettino delle Comunità Europee, supplemento 4, pp De Rosa M., de Vincenzo D. (a cura di) (2002), Tra globalizzazione e localismo. Quale futuro per i sistemi produttivi territoriali, Napoli, Liguori Editore De Vivo P. (1997), Tra mercato e istituzioni: un caso di sviluppo locale nel Mezzogiorno, in Rassegna Italiana di Sociologia, n.3. De Vivo P. (2001), Le attuali politiche di sviluppo per il Mezzogiorno: i Patti territoriali e le istituzioni locali, in Cersosimo D. (a cura di), Istituzioni, capitale sociale e sviluppo locale, Soveria Mannelli, Rubbettino, pp Di Iacovo F. (a cura di) (2003), Lo sviluppo sociale nelle aree rurali, Milano, Franco Angeli Di Iacovo F., Gouérec N. (1997), L iniziativa Leader: una riflessione sulle possibilità offerte e sui problemi da superare alla luce delle esperienze toscane in Di Iacovo F., Gouréc N., Tellarini V., D Alonzo R., Russu R., L esperienza Leader in Toscana, La rivitalizzazione delle aree rurali per la crescita dell economia regionale, Firenze, ARSIA, pp Esparcia J., Moseley M., Noguera J. (eds) (2000): Exploring rural development partnerships in Europe,"Research Working Paper", Valencia: Univeristy of Valencia & Cheltenham: Cheltenham and Gloucester College of Higher Education. Faddà S. (1999), Istituzioni e sviluppo economico: un quadro metodologico con particolare riferimento al caso del Mezzogiorno, in Questione Agraria, n.73 Freschi A.C., (2001), Capitale sociale, politica e sviluppo locale. L esperienza dei patti in Toscana, in Stato e Mercato, n.63, pp Granovetter M., (2000), Un agenda teorica per la sociologia economica, in Stato e Mercato,n.60, pp Harvey D. (1993), La crisi della modernità, Milano, Il Saggiatore. Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) (2000), Le politiche comunitarie per lo sviluppo rurale.rapporto 2000, Roma, INEA. Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) (1997), Valutazione Ex-Post Leader I. Rapporto Nazionale. Roma, INEA. 19

20 Lanzalaco L., (1995), Istituzioni, organizzazioni, potere. Introduzione all'analisi istituzionale della politica, Roma, La Nuova Italia Scientifica. Lanzalaco L., (1998), Istituzioni nazionali, istituzioni locali e diversificazione dei modelli di sviluppo: spunti per un interpretazione neoistituzionalista, in Sviluppo Locale, vol. V, n. 7, pp Lowe P., Ray C., Ward N. et al. (1998), Participation in rural development. A review of European Experience, New Castle, Centre for Rural Economy. Magnaghi A. (2000), Il progetto locale, Torino, Bollati Boringhieri Martinelli A. (1998), La modernizzazione, Bari, Laterza Mela A., Belloni M.C., Davico L., (2000), Sociologia e progettazione del territorio, Roma, Carocci Mirabelli M., (2001 a), "A.L.L.BA Local Action Group - Italy", in Cavazzani A., Moseley M. (eds), The practice of rural development partnerships in Europe. 24 case studies in six european countries, Soveria Mannelli, Rubbettino, pp Mirabelli M., (2001 b), L istituzionalismo amorale. L esperienza dei patti territoriali in una regione del Mezzogiorno, Soveria Mannelli, Rubbettino Moseley M. (ed), (2003), Local partnerships for rural development. The european experience, CABI Publishing, Wallingford Murdoch J. (2000), Networks. A new paradigm of rural development?, in Journal of Rural Studies, n.16, pp Mutti A. (1996), "Particolarismo", in Rassegna Italiana di Sociologia, n.3, p Mutti A. (1998), Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Bologna, Il Mulino Parri L. (1997), I giochi della cooperazione tra piccoli imprenditori: i consorzi di vendita come istituzioni, in Quaderni di Sociologia, 41 (13), pp , Parri L. (2002), Presentazione. L innovazione istituzionale nella sociologia economica, in Rassegna Italiana di Sociologia, 2, pp Perna T. (2002), Aspromonte. I parchi nazionali nello sviluppo locale, Torino, Bollati Boringhieri Pesce A. (1998), "Formazione e costituzione della partnership locale: alcune riflessioni", in Rete Leader, n, 1, pp.4-8. PRIDE- Unità di Ricerca Italiana (2001), Partenariati per lo sviluppo rurale: guida per una buona pratica, Soveria Mannelli, Rubbettino. Ray C., (2000 a), Endogenous socio-economic development in the European union. Issue of evaluation, in Journal of Rural Studies, n.16, pp Ray, (2000 b), Endogenous socio-economic development and trustful relationships: partnerships, social capital and individual agency, Working Paper 45, Newcastle upon Tyne, Centre for Rural Economy Saraceno E., (1995), "Recent Trends in Rural Development and Their Conceptualisation" in Journal of Rural Studies, 10, pp Saraceno E., (1999 a), "Il fantasma di Cork," in Esposti R. (a cura di), Sviluppo Rurale e Occupazione, Milano, Franco Angeli Saraceno E., (1999 b), Partenariato e sviluppo locale: aspetti teorici e metodologici, seminario tenuto a Rende il 13 maggio 1999 Scoppola M., (1993), Gli interessi delle multinazionali e la politica agricola comunitaria, La Questione Agraria, 52,

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