La bioetica e il senso della morte

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1 FRANCESCO BELLINO La bioetica e il senso della morte 1. La negazione della morte e la tecnomedicina La vita e la morte costituiscono un binomio inscindibile. «Noi moriamo», afferma Montaigne, «perché siamo vivi». L uomo del XXI secolo come quello di tremila anni fa scandisce la sua esistenza all interno di questo binomio. Che cosa cambia storicamente? Cambiano soprattutto la rappresentazione della morte e il modo di morire nelle varie epoche. Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma la rappresentazione delle cose, ovvero i giudizi che essi formulano intorno alle cose, ammonisce Epitteto. «La morte non è niente di terribile altrimenti sarebbe sembrata tale anche a Socrate, bensì il giudizio che la morte è terribile, ecco quel che è terribile. Quando, dunque, siamo impacciati o addolorati, non accusiamo nessun altro, ma noi stessi, cioè, i nostri giudizi» 1. La paura della morte e la sua intensità non sono affatto un dato costante storicamente, ma sono delle variabili culturali: crescono, infatti, con lo sviluppo della civiltà. Più si cerca di spiegare la vita, la natura, la morte, tutta la realtà, come nel razionalismo moderno, più cresce la paura della morte. Come sostiene anche Aleksandr Lavrin in Cronache di Caronte. Enciclopedia della morte, diventato subito un best-seller a Mosca 2, «un atteggiamento di familiarità con la morte presuppone l assenza del tentativo di spiegarla». Il dato fenomenologico più rilevante nel nostro tempo è costituito dalla negazione della morte naturale, che è una conseguenza, come ha acutamente annotato Max Scheler, della conce- 1 EPITTETO, Manuale, Rusconi, Milano 1982, p Cfr. G. CHIESA, Best-seller la morte. A Mosca Thanatos batte Eros, «La Stampa», 28 agosto 1993, p. 14.

2 506 FRANCESCO BELLINO zione scientifica, meccanica della vita. Se l organismo vivente è un processo chimico-fisico, meccanico, con un suo automatismo, non può essere disturbato e distrutto se non dall esterno. La morte, in una cultura come la nostra di tipo tecnico-scientifico, è «sempre la conseguenza di uno stimolo puramente esteriore, che rompe direttamente la macchina come un colpo di pistola, e ha come effetto indiretto il dissolversi del sistema in movimenti singoli delle parti del sistema i quali si propagano in tutte le direzioni circostanti. In altre parole, ogni morte è allora più o meno artificiale e catastrofica ; non c è più differenza tra morte naturale e morte artificiale» 3. Ogni macchina è per principio riparabile, le sue parti sono sostituibili. Ne deriva che scompare, a prescindere dalla sfera della coscienza, qualsiasi fenomeno determinato e percepibile che si possa definire morte. Se gli uomini muoiono ancora è soprattutto per la mancanza di progresso della tecnomedicina o per la negligenza dei ricercatori e degli operatori sanitari. La morte nella immagine scientifica del mondo non è più pensata «come una struttura cosmica assoluta e definitiva» 4. L intromissione della medicina nel morire, che consente di mantenere in vita le funzioni vitali di un corpo che normalmente sarebbe dovuto essere morto, porta a definire la morte non più un fenomeno naturale, ma sempre più un fenomeno in nostro potere, la conseguenza di una decisione umana. Di qui nasce anche l accanimento terapeutico, che tende a medicalizzare la morte e a privare il malato della sua morte. Diciamo come Doucet: La cultura occidentale rifiuta di riconoscere la morte e isola il morente. L organizzazione sociale ha fatto scomparire dalla vita quotidiana la presenza dei morenti. Li si fa entrare in un istituzione specializzata che, per vocazione, si rifiuta di riconoscere la morte perché l ospedale è la negazione stessa della sua esistenza. Intorno al malato si crea il vuoto umano; a circondarlo è soltanto l armamentario di strumenti sofisticati ma freddi. In questo contesto, è difficile riconoscere la realtà e la singolarità della persona in fase terminale 5. 3 M. SCHELER, Il dolore, la morte, l immortalità, LDC, Torino 1983, p Ibi, p H. DOUCET, Al fiume del silenzio. Vita e morte: dialogo fra saggezza e scienza, SEI, Torino 1992, p. 16.

3 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE Immagini storiche della morte La negazione della morte naturale crea una cesura tra la nostra immagine e quella premoderna e delle civiltà extraeuropee della morte, dove la morte è considerata un dato intrascindibile della vita, un evento, cioè una realtà non in potere dell uomo, che si dà, avviene (ad-venire = venire verso) all uomo. Una poesia zen esprime bene questo senso della morte: «La vita è come noi / La troviamo e così la morte» 6. Scrive Tagore: «La morte, come la nascita, fa parte della vita. Camminare consiste sia nell alzare il piede sia nel posarlo» (Uccelli migranti, CCXVII). Il mondo greco aveva posto nel concetto di essere la sua nozione più astratta e fondamentale. Per il fatto di essere, di accadere, la morte ha il suo senso, va accettata, anche se, come dice Aristotele (Etica Nicomachea, III 6, III 5a 26), fra tutte le cose terribili, «la più terribile è la morte». È inutile ribellarsi alla morte, che, per il fatto di essere, costituisce il nostro destino. L unico atteggiamento saggio è quello di fare di necessità virtù, di accettarla con rassegnazione. Ne scaturisce un atteggiamento elegiaco, che è uno dei vertici della lirica antica, come è evidenziato nell Antologia Palatina. L elegia è l espressione propria di uno stato d animo di accettazione disincantata dell ineluttabile. La cultura ebraico-cristiana introduceva una nuova visione del tempo, non più ciclica, ma lineare, progressiva e la concezione del futuro come totum novum. Questa nuova visione del mondo, fondata sulla metafisica creazionistica, elaborava un idea della vita come passaggio e della morte come apertura e inizio di una nuova vita. Nella cultura ebraico-cristiana anche la nozione di essere viene messa in discussione; la nozione più alta non è quella di essere, ma quella di vita e di amore. Dio è il signore della vita e della morte, è amore. Cristo ha vinto la morte risuscitando. Ne deriva che l uomo, diciamo con Erasmo da Rotterdam, «con la morte non finisce, ma è trasformato; che l anima uscendo come da un carcere si avvia verso una beata pace e che il corpo resta in attesa di essere associato alla gloria futura» 7. Per san Paolo «vivere 6 Poesie Zen, trad. it. a cura di L. STRYK e T. IKEMOTO, Newton Compton, Roma 1983, p ERASMO DA ROTTERDAM, La preparazione alla morte, Edizioni Paoline, Roma 1984, p. 35.

4 508 FRANCESCO BELLINO è Cristo e morire un guadagno» (Fil 1, 21); egli desidera «essere sciolto dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1, 23) nella vita eterna. San Francesco considera la vita un dono gratuito di Dio e chiama la morte «sora» nel celebre Cantico delle creature. La massima espressione di questa rappresentazione della vita e della morte è la laudatio, il canto di lode, di benedizione e di ringraziamento rivolto al Signore. La Croce, che era follia per i greci e per la ragione, diventa riscatto e perfezionamento della precaria e peccaminosa condizione umana e luce della nostra vita spirituale, come è ben rimarcato dal motto «per Crucem ad Lucem» di padre Pio da Pietralcina. «Ascendiamo, ascendiamo senza mai stancarci il Calvario carichi della croce, e teniamo per fermo che la nostra ascensione scriveva padre Pio nel suo Epistolario ci condurrà alla celeste visione del nostro dolcissimo Salvatore» 8. Il Cristianesimo, come tutte le grandi religioni, lungi dal rimuovere il problema della morte, vuol aiutare l uomo ad accettare la morte, a vincere la sua paura, a trovare nella verità della morte la verità piena della vita. In tale prospettiva l Apparecchio alla morte di sant Alfonso Maria de Liguori non è solo un invito alla conversione, a servire Dio per la nostra salvezza, ma è anche una profonda meditazione sulla condizione umana, non una fuga dalla vita, ma un fascio di luce per comprendere più a fondo, senza facili mistificazioni e illusioni, la verità più profonda e autentica della vita 9. Il mondo moderno ha cercato di demolire sia la visione della morte del mondo antico, trasformandola da evento naturale in fenomeno calcolato e programmabile, sia la visione ebraico-cristiana, considerando la morte un assurdo, una irrazionalità, una realtà da negare e da ridurre sotto il dominio dell uomo, secolarizzando la vita eterna e riducendo il regno di Dio alla società perfetta. Per l uomo contemporaneo la morte tende a sottrarsi alla sua visibilità, a essere rimossa dalla sua coscienza scientifica, a perdere ogni aspetto simbolico. Infatti oggi la morte non è rappresentabile né con l adolescente che abbassa la fiaccola, né con la 8 Cfr. PIO DA PIETRALCINA, Solo, nel mistero di Dio. Sinossi ascetico-mistica, a cura di S. PANUNZIO e GERARDO DI FLUMERI, Cantagalli, Siena 1992, p Cfr. ALFONSO MARIA DE LIGUORI, Apparecchio alla morte, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986.

5 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 509 Parca e neppure con lo scheletro. L uomo moderno è privo di simboli per esprimerla, perché la morte non è parte costitutiva della sua esperienza. Diciamo con Scheler, la morte non è una verità essenziale che vale per l uomo in quanto egli appartiene all essenza vita, bensì una induzione! Nessuna meraviglia allora che l arrivo della morte non appaia più come il necessario compimento del senso della vita, ma faccia spalancare gli occhi a tutti gli interessati, come quando si sbatte la testa al muro. La morte rimossa, la presente diventata invisibile, temuta fino a renderla inesistente, diventa d un tratto potere e brutalità insensati: così essa appare al nuovo tipo d uomo quando questi si trova a confronto con essa. La morte sopraggiunge soltanto come catastrofe. Non si muore più con dignità e con coscienza. E nessuno sente più e sa più di dover morire la propria morte. [...] Questo nuovo tipo d uomo è individualista; eppure cerca la sua identità lì dove egli è interamente perduto, nel suo io sociale, nella immagine che gli altri hanno di lui e in ciò che egli è dentro quest immagine. Perciò per lui muore sempre e soltanto in quanto è un altro per gli altri! Non sa di morire anche per se stesso. Come si riveste di seta multicolore una figura disegnata, così l uomo del passato inseriva i tratti della sua esistenza, le sue azioni e le sue opere nella struttura di totalità della sua vita che sempre gli era presente: egli viveva di fronte alla morte. La morte era per la sua vita un potere plasmatore e orientatore: qualcosa che le dava articolazione e strutturazione. L uomo nuovo vive letteralmente alla giornata, finché sorprendentemente all improvviso non c è più nessuna giornata 10. Come per la scienza moderna la morte non è un fatto naturale, ma è un fatto più o meno catastrofico, così l uomo moderno fa i conti con la morte come con i pericoli d incendio e di inondazione. Come ha annotato anche Canetti, nel mondo attuale si è massificata la morte, «perde peso la morte del singolo». Canetti fa l esempio della tragedia greca, in cui la morte del singolo «ha ancora tutto il suo peso. Omicidio, suicidio, sepoltura, sepolcro, tutto è lì, esemplare, nudo e senza orpelli; compreso il lamento (che da noi è castrato); compreso il dolore dei colpevoli. Ciò che veramente si è modificato nell epoca presente è il contesto della morte. La massificazione della morte non è più un eccezione, 10 SCHELER, Il dolore, la morte, l immortalità, pp

6 510 FRANCESCO BELLINO tutto va a finire lì dentro. Nella fretta di arrivarci perde peso la morte del singolo. Con tutti gli uomini che ci sono in più [...] devono ancora morire uno alla volta? Il punto di non ritorno sarà raggiunto il giorno in cui non verrà più permesso agli esseri umani di morire, appunto, uno alla volta» 11. «È più facile scrive Pascal accettare la morte senza pensarci che pensare alla morte». Per Ariès, ci sono due modi di non pensarci: «il nostro, quello della nostra civiltà della tecnica, che rifiuta la morte e la colpisce d interdetto; e quello delle civiltà tradizionali, che non è rifiuto, ma impossibilità di pensarci intensamente, perché la morte è troppo vicina e troppo inserita nella vita di ogni giorno» Morte e civilizzazione: il soffocamento della sfera affettiva Il modello di civilizzazione dominante ha comportato, come ha dimostrato Elias, il controllo delle emozioni e dell affettività e quindi la desensibilizzazione del comportamento. La morte appare indecente, sconveniente e quindi deve essere tenuta nascosta. Tali presupposti culturali hanno prodotto nella nostra civiltà la rimozione dell idea stessa della morte e l isolamento del morente, che viene affidato all impersonale trattamento degli operatori sanitari. Questo ha reso il morire per molti aspetti, osserviamo con la dottoressa Elisabeth Kübler-Ross, che ha individuato quattro stadi fondamentali nel cammino verso la morte (1. rifiuto e isolamento, 2. collera, 3. venire a patti, 4. accettazione), «più spaventoso, cioè più solitario, più meccanico, più disumanizzato; qualche volta è difficile perfino determinare tecnicamente il momento in cui è avvenuta la morte» E. CANETTI, La tortura delle mosche, Adelphi, Milano 1993, p PH. ARIÈS, L uomo e la morte dal medioevo a oggi, Mondadori, Milano 1992, pp Sulla storia del problema e delle idee della morte, cfr. anche W. FUCHS, Le immagini della morte nella società moderna, Einaudi, Torino 1973; E. MORIN, L uomo e la morte, Newton Compton, Roma 1980; M. VOVELLE, La morte e l Occidente, Laterza, Roma-Bari 1993; S. SPINSANTI (a cura di), La morte umana, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1987; A. PARONUZZI (a cura di), Il grande forse, Ancora, Milano E. KÜBLER-ROSS, La morte e il morire, Cittadella, Assisi 1984, p. 16. Sulle fasi del

7 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 511 «Il tempo della morte annota Ariès si è insieme allungato e suddiviso» 14. Si parla, infatti, di morte clinica, cerebrale, biologica, di «esperienze di pre-morte», di cui ha dato pubblicità il dott. Raymond Moody jr., documentando ben 150 casi. La rimozione della morte e del moribondo rischia di soffocare ogni sentimento di umana solidarietà. Ciò che veramente chiede il morente, come ha ben chiarito Pierre Baudry, non è tanto la morte dignitosa, quanto di potersi confrontare sulla sua malattia e sulla sua morte. «Non una medicina più umana, ma una diversa socializzazione del morire che gli consenta di essere strappato alla sua solitudine e di affermare la sua diversità» Dall eutanasia all eubiosia Sono d accordo con Pannuti, promotore del progetto internazionale «Eubiosia» ( buona vita, vita in dignità ), elaborato e reso operamorire si veda E. ADLER SEGRE, Alcune teorie sulle fasi del morire: dalla crisi della conoscenza all accettazione della morte, in G.C. ZAPPAROLI - E. ADLER SEGRE (a cura di), Vivere e morire. Un modello d intervento con i malati terminali, Feltrinelli, Milano 1997, pp ARIÈS, L uomo e la morte dal medioevo a oggi, p P. BAUDRY, Une sociologie du tragique, Cerf Cujas, Paris 1986, p Anche nella medicina da oltre dieci anni sono in corso cambiamenti importanti per dare una risposta umana al problema dei moribondi e dei malati terminali. L inguaribilità della malattia non deve significare incurabilità dei malati e dei morenti, che sono pur sempre viventi. Dal mondo anglosassone si sta diffondendo anche da noi il movimento «Hospice», che viene definito «un programma di servizi palliativi e di sostegno che fornisce assistenza fisica, psicologica, sociale e spirituale ai morenti e alle famiglie». Quali sono gli elementi fondamentali della filosofia di fondo della medicina palliativa? Vediamo quelli essenziali: una visione positiva della fase terminale della vita; l unità paziente/famiglia come centro della assistenza; massimizzare non tanto la quantità bensí la qualità della vita del paziente; approccio olistico al paziente, che vive la sua sofferenza non solo sul piano fisico e psichico, ma anche sociale e spirituale; l équipe è multidisciplinare: paziente/famiglia, medico, psicologo, infermiere, assistente sociale, assistente spirituale, volontari. Cfr. G. DI MOLA, La medicina palliativa ovvero: prendersi cura della vita, quando non si può guarire, in S. SPINSANTI (a cura di), Nascere, amare, morire, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989, pp ; P. VERSPIEREN, Eutanasia? Dall accanimento terapeutico all accompagnamento dei morenti, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1985; C. CARRIERO, Problemi di bioetica in oncologia,in F. BELLINO (a cura di), Trattato di Bioetica, Levante, Bari 1992, pp

8 512 FRANCESCO BELLINO tivo in Italia dall Associazione Nazionale Tumori (ANT) congiuntamente alla Divisione di Oncologia Medica dell Ospedale Sant Orsola-Malpighi di Bologna, nel considerare «l eutanasia come l incapacità della nostra società a garantire a ciascuno una morte dignitosa, intesa come il termine fisiologico della vita biologica» 16. L eubiosia, che significa vita buona, vita dignitosa, costituisce uno dei diritti umani basilari dell uomo, dall inizio fino all ultimo attimo di vita. La dignità della vita include aspetti medici, sociali e culturali. La terapia oncologica di supporto deve essere sempre più sviluppata nel mondo per cui «soffrire per il dolore e la cachessia nella fase avanzata della malattia tumorale deve diventare sempre più un errore anacronistico» 17. Il progetto «Eubiosia», infatti, prevede l assistenza globale e gratuita a domicilio dei malati terminali e rifiuta l eutanasia intesa come morte anticipata. Tale progetto si ispira ai princìpi della solidarietà sociale e familiare, finalizzata alla difesa della dignità della vita del morente aiutando a superare molte sofferenze, soprattutto quelle controllabili, e non recidendo le sue relazioni umane con i propri familiari e amici. L eubiosia aiuta a vincere le due paure più forti del morente: la paura della solitudine e del dolore fisico. Questo collocarsi oltre la paura ci porta, scrive Jean-Yves Leloup, «verso la resurrezione: verso un amore più forte della morte» 18. Come ricorda Paul Ricoeur, il dramma dell uomo contemporaneo è di non avere «una coscienza più grande della propria coscienza». Una cultura ispirata all eubiosia può contribuire all evoluzione dell atteggiamento della società nei confronti della morte. La società, invece di negare la morte, di nasconderla, come se fosse «vergognosa e sporca», vedendola soltanto come «orrore, assurdità, sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile» 19, può imparare a integrarla nella vita. L ars moriendi deve costituire un capitolo fondamentale dell ars vivendi. Una società, che è consa- 16 F. PANNUTI, Il progetto Eubiosia. Risultati ed aspetti organizzativi degli Ospedali Domiciliari oncologici (ODO-ANT), Edizioni La Formica, s.l., s.d., p Ibidem. 18 M. DE HENNEZEL - J.-Y. LELOUP, Il passaggio luminoso. L arte del bel morire, Rizzoli, Milano 1998, p M. DE HENNEZEL, La morte amica. Lezioni di vita da chi sta per morire, Prefazione di F. MITTERAND, trad. it., Rizzoli, Milano 1996, p. 13. Cfr. A. HOWARD (ed.), Death: Breaking the Taboo, Arthur James, Evesham 1996.

9 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 513 pevole della nostra condizione di esseri mortali, diventa più umana e ha più rispetto per il valore dell esistenza. «Quando non si può più fare nulla scrive Marie de Hennezel, tuttavia si può ancora amare e sentirsi amati, e molti moribondi, nel momento di lasciare la vita, ci hanno lasciato questo messaggio struggente: non ignorate la vita, non ignorate l amore» 20. I morenti «han più che mai bisogno di sentire di non aver ancora perduto importanza agli occhi altrui» 21, di essere accettati così come sono, come persone e come morenti. L esigenza più profonda del malato, come ha acutamente rilevato Jean Baudrillard, è di «essere riconosciuto come tale e di scambiare la sua malattia». Il malato vuol fondare uno scambio su questa differenza, la sua vera esigenza non è quella «di farsi curare e rettificare, ma di dare la sua malattia, e che essa sia ricevuta, quindi simbolicamente riconosciuta e scambiata, invece d essere neutralizzata nella morte tecnica ospedaliera e in quella sopravvivenza strettamente funzionale che si chiama salute e guarigione» 22. Succede, invece, che nella nostra civiltà della tecnica, «in quanto corpo biologico, il moribondo o il malato non ha più posto che in un ambiente tecnico. Con il pretesto di curarlo, è quindi deportato in uno spazio-tempo funzionale che s incarica di neutralizzare la malattia e la morte nelle loro differenze simboliche» DE HENNEZEL, La morte amica, p. 17. In questa ottica l aptonomia, fondata da Franz Veldman e praticata dalla stessa dott.ssa Marie de Hennezel, ovvero la scienza del contatto tattile affettivo può umanizzare il rapporto del moribondo con gli altri e aiutarlo a riconciliarsi con un evento ineluttabile. 21 N. ELIAS, La solitudine del morente, il Mulino, Bologna 1985, p J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1980, pp La solitudine peggiore per un moribondo, come ci insegna Marie de Hennezel, psicologa e psicoanalista che lavora nell unità di cure palliative presso l ospedale della città universitaria a Parigi, «è non poter annunciare ai suoi cari che sta per morire. [ ] Non è forse la percezione dell angoscia di chi lo circonda che gli impedisce di parlare e lo induce a proteggere gli altri? [ ] Chi può parlare in modo diretto annunciando che sta per morire, non subisce la propria morte, riesce a viverla da protagonista. Allora si riscuote e rivela una forza interiore a volte insospettata» (DE HENNEZEL, La morte amica, pp ). La sicurezza di essere assistiti fino all ultimo, di sapere che verrà alleviato il dolore fisico e conservare un rapporto normale e vivo con gli altri, come accade nel progetto «Eubiosia», aiuta l uomo ad affrontare con dignità gli ultimi tratti della propria esistenza, a morire «secondo il principio di realtà» (orthotanasia). 23 BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, p Eissler (in K.R. EISSLER, The Psychiatrist and the Dying Patient, International University Press, New York 1995)

10 514 FRANCESCO BELLINO 5. Biofilia e necrofilia Nella misura in cui l approccio burocratico-meccanico si diffonde, l uomo diventa indifferente alla vita e perfino attratto dalla morte. Se scientia est potentia (Bacone), quando si esercita sulla vita diventa bio-potere. La biocrazia produce un effetto perverso: la necrofilia. Il rigido controllo della vita e quindi della morte nasconde un atteggiamento necrofilo, sul quale bisogna riflettere seriamente, se vogliamo capire una serie di problemi della nostra civiltà e quindi anche il problema della morte. L uomo è «gettato» nel mondo, diciamo con Heidegger, è dentro situazioni problematiche e cerca di uscirne inventando ipotesi o risposte risolutive. Le soluzioni che l uomo dà ai problemi quotidiani della sua esistenza risultano essere nelle loro ultime e non intenzionali conseguenze o nelle loro immediate e dirette intenzioni soluzioni di vita oppure di morte. Nella vita dei singoli individui e delle civiltà a volte prevalgono le prime, a volte le seconde. Questi due tipi di soluzioni, cui si riduce tutto il ventaglio delle soluzioni che l uomo dà ai problemi esistenziali, hanno un fondamento antropologico. Come ha insegnato Freud, gli istinti fondamentali dell uomo sono l istinto di vita e l istinto di morte, la biofilia e la necrofilia. La necrofilia, cioè la tendenza contro la vita, considerata nei suoi aspetti più gravi, costituisce, come sostiene Erich Fromm sulla scia di Freud, una delle «forme maligne» della «sindrome di decadimento», rappresenta «la quintessenza del male» ed è «la patologia più acuta e la radice della distruttività e dell inumanità più guaste» 24. ha distinto il morire «secondo il principio del piacere» (eutanasia) e il morire «secondo il principio di realtà» (orthotanasia). La funzione del clinico orthotanatista, che considera la morte non un danno, ma un evento che ha in sé un senso che prescinde dalla persona che muore, ha lo scopo di favorire, quando è possibile, «una morte serena, attraverso l utilizzazione di tutte quelle realtà interne ed esterne all individuo che concorrono a tal fine» (G.C. ZAPPAROLI, Orthotanasia, in ZAPPAROLI - ADLER SEGRE, Vivere e morire, p. 74). 24 E. FROMM, Psicoanalisi dell amore. Necrofilia e biofilia nell uomo, Newton Compton, Roma 1973, p. 49. Sul nesso tra necrofilia e culto della tecnica si veda anche E. FROMM, Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano 1975, pp ; F. BELLINO, La storia della bioetica e la sfida biopedagogica, Cacucci, Bari 2001, capitolo II.

11 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 515 «Non c è distinzione, in senso psicologico e morale scrive Fromm, più di fondo tra gli uomini, di quella esistente tra coloro che amano la morte e coloro che amano la vita, tra il necrofilo e il biofilo» 25. Con tale distinzione non si vuol riconoscere che necessariamente un uomo e il discorso vale anche per gli orientamenti di valore di un età storica debba essere interamente necrofilo o interamente biofilo. Nei fenomeni della vita, fa notare Fromm, quello che importa ai fini della determinazione del comportamento dell uomo «non è la completa assenza o presenza di uno dei due orientamenti, ma quale inclinazione sia più forte» 26. Tra i molti aspetti della fenomenologia della necrofilia voglio sottolineare alcuni che sono rinvenibili nei comportamenti di massa prodotti dall industrialismo e che spiegano talune soluzioni di morte come l aborto, l eutanasia, la possibilità tecnica di una guerra nucleare, la morte per fame di milioni di persone nel Terzo mondo, che la civiltà industriale e post-industriale dà ai suoi problemi. Per intendere a fondo l atteggiamento necrofilo, bisogna partire da un carattere peculiare della civiltà tecnologica e di massa, che è costituito da un processo in atto tendente, anche se è stato spesso contestato e contrastato nel nostro secolo, alla reificazione dell uomo e alla personificazione delle cose. L avere sembra prevalere sull essere. Dal prevalere del senso della cosalità, che riduce l essere alla sua utilizzabilità cosalizzando l uomo stesso, nella vita umana e sociale scaturisce l orientamento necrofilo dell uomo dell odierna civiltà tecnologica, che sempre più viene definito e descritto come uomo automa, uomo dell organizzazione, homo consumens, homo mechanicus, uomo eterodiretto, e anche homo necans. Scrive Fromm, delineando la fenomenologia della tendenza necrofila: Mentre la vita è caratterizzata dalla crescita strutturata, funzionale, la persona necrofila ama tutto ciò che non cresce, tutto ciò che è meccanico. La persona necrofila è spinta dal desiderio di trasformare l organico nell inorganico, di accostarsi alla vita meccanicamente, come se 25 FROMM, Psicoanalisi dell amore, p Ibidem.

12 516 FRANCESCO BELLINO tutte le persone fossero cose. Tutti i processi viventi, i sentimenti e i pensieri vengono trasformati in cose. La memoria, più che l esperienza; avere, più che essere: questo conta. Il necrofilo può entrare in contatto con un oggetto un fiore o una persona solo se lo possiede; se perde uno dei suoi beni, perde il contatto col mondo. Ecco il perché della paradossale reazione per cui egli preferirebbe perdere la vita che gli averi, anche se, perdendo la vita, chi possiede ha cessato di esistere. Egli ama il controllo, e nell atto di controllare uccide la vita; ha profondamente paura della vita, perché per sua propria natura essa è disordinata e incontrollabile 27. Di qui scaturiscono nel necrofilo alcuni tratti, che possono anche non trovarsi tutti nella persona necrofila, come «il desiderio di uccidere, l adorazione della forza, l attrazione per la morte e per il suicidio, il sadismo, il desiderio di trasformare l organico nell inorganico mediante l ordine» 28. Analizzando il rapporto tra la necrofilia e alcuni orientamenti comportamentali di massa, Fromm ribadisce che la vita è crescita strutturata e per sua propria natura non è soggetta a rigido controllo o a previsioni. Nel regno della vita si può essere influenzati soltanto dalle forze della vita, come l amore, la disponibilità, l esempio. La vita, inoltre, può essere sperimentata soltanto nelle sue manifestazioni individuali, in una persona, come in un uccello o in un fiore. Non esiste la vita delle masse, non esiste la vita in astratto. Purtroppo il nostro approccio alla vita diventa sempre meno immediato e sempre più mediato e quindi sempre più meccanico. Il nostro scopo principale scrive Fromm è di produrre cose, e nel corso di questa idolatria per le cose, noi ci trasformiamo in beni di consumo. Le persone vengono trattate come numeri. Qui il problema non è se la gente sia trattata bene e se sia ben nutrita (anche le cose possono essere trattate bene); il problema è se le persone siano cose o esseri viventi. L approccio agli uomini è astratto, intellettuale. Ci si interessa alle persone come ad oggetti, alle loro proprietà comuni, alle regole statistiche del comportamento di massa, non agli individui viventi. Tutto questo si accompagna al crescente ruolo del sistema burocratico. In giganteschi centri di produzione, in città giganti, in paesi giganti, gli uomini vengono amministrati come se fossero cose; gli uomini e i loro amministratori si 27 Ibi, p Ibi, p. 58.

13 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 517 trasformano in cose, ed obbediscono alle leggi delle cose. Ma l uomo reagisce con una impennata di protesta Fromm non è destinato ad essere una cosa, se diventa una cosa viene distrutto, e ancor prima che questo avvenga, egli è disperato e vuole uccidere la vita 29. Per ridare senso alla vita e alla morte occorre promuovere l atteggiamento biofilo. Non il dominio, ma il rispetto. Non la biocrazia, che è una forma di necrofilia, di distruzione della vita attraverso il suo controllo, ma la biofilia. L atteggiamento biofilo crea un rapporto di gratuità tra la persona e la vita, la vita appare un dono, una realtà da rispettare e da restituire, non da dominare, anzi è la vita che ci domina, come ha ammonito nei suoi Aforismi Oscar Wilde, «non siamo noi a dominarla» 30. Se la vita è dono, bisogna restituire di buon grado, ci ammonisce Epitteto, quel che ci è stato donato. «Non dire mai di nessuna cosa: L ho perduta, ma: l ho restituita. Tuo figlio è morto? È stato restituito. Tua moglie è morta? È stata restituita» 31. La morte è la restituzione della vita a chi ce l ha donata. La tendenza necrofila, insita nella società attuale, inoltre, è collegata e agevolata dalla crescente perdita di senso, nell uomo moderno, della morte. La razionalizzazione intellettualistica a opera della scienza e della tecnica, se da un lato ha prodotto il weberiano «disincantamento del mondo» 32, che è stato sempre un obiettivo operante nella cultura occidentale, dall altro non ha significato, come comunemente si crede, l attestarsi della ragione in tutti i campi, bensì solo il modo di organizzare la vita in rapporto al rendimento e alla efficacia, disintegrando l uomo dal ciclo organico della vita e proiettandolo in un assurda e illimitata progressività. Al di là del significato puramente pratico e tecnico, il disincantamento non è andato. Anzi sul piano esistenziale i suoi risultati sono stati tutt altro che positivi, come dimostra Max Weber, 29 Ibi, pp O. WILDE, Aforismi, Newton Compton, Roma 1992, p EPITTETO, Manuale, p M. WEBER, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1966, p. 20. Il disincantamento del mondo, per Weber, ha significato solo questo: «La coscienza o la fede che basta soltanto volere, per potere ogni cosa in linea di principio può esser dominata con la ragione», invece di ricorrere alla magia, come fa il selvaggio (ibidem).

14 518 FRANCESCO BELLINO sulla scia degli ultimi romanzi di Lev Tolstoj, circa il problema della morte. Fu il grande scrittore russo nelle sue ultime opere a chiedersi se il disincantamento prodotto dalla scienza e dalla tecnica avesse una portata e un significato, che andassero al di là del fatto puramente tecnico e prammatico. A questa domanda, che era stata anche il clou della speculazione di Rousseau, Tolstoj rispose negativamente. La questione se la morte fosse o no un fenomeno che avesse un senso negli uomini inciviliti, ricevette una risposta negativa in Tolstoj. Questo perché, come scrive Weber a commento e a sostegno della risposta tolstojana, la vita del singolo individuo civilizzato, inserita nel progresso, nell infinito, per il suo stesso significato immanente non può avere alcun termine. Giacché c è sempre un ulteriore progresso da compiere per chi c è dentro; nessuno muore dopo essere giunto al culmine, che è situato nell infinito. Abramo o un qualsiasi contadino continua Weber dei tempi antichi moriva vecchio e sazio della vita perché si trovava nell ambito della vita organica, perché la sua vita, anche per il suo significato, alla sera della sua giornata gli aveva portato ciò che poteva offrirgli, perché non rimanevano per lui enigmi da risolvere ed egli poteva perciò averne abbastanza. Ma un uomo incivilito, il quale partecipa all arricchimento della civiltà in idee, conoscenze, problemi, può divenire stanco della vita ma non sazio. Di ciò che la vita dello spirito sempre nuovamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre qualcosa di transeunte e mai definitivo: quindi la morte è per lui un accadimento assurdo. Ed essendo la morte priva di senso conclude Weber lo è anche la vita civile come tale, in quanto appunto con la sua assurda progressività fa della morte un assurdo 33. Venendo meno, dunque, ogni significato al carattere progressivo della vita, la vita come la morte rischiano di diventare fatti privi di significato. È questa la logica conseguenza della teoria che ha finalizzato il progresso a se stesso e lo ha reso illimitato e assiologicamente neutro, chiuso nel circolo vizioso della propria tautologia. 6. L homo clausus Un altro ostacolo all impostazione di un corretto rapporto con la morte nella nostra civiltà è dato dall immagine di sé dell uomo 33 Ibi, pp

15 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 519 oggi prevalente, che è quella, come ha osservato Norbert Elias, dell homo clausus. Nelle nostre società «gli uomini per lo più pensano a se stessi come ad esseri indipendenti, a monadi senza finestre, a soggetti isolati, a cui si contrappone il mondo esterno e quindi anche gli altri uomini, e il cui mondo interno è separato da questo mondo esterno come da un muro invisibile» 34. Questa immagine solipsistica dell uomo, separato dal mondo, crea una visione solipsistica anche della vita, del suo senso e della morte. Se un uomo pensa di vivere come un essere isolato, il senso e l etica della vita sono racchiudibili nel concetto di homo clausus. Se ci si aspetta che ogni uomo, come una monade isolata, debba avere un senso per se stesso, a priori e se non si riscontra tale senso, ci si lamenta della insensatezza dell esistenza umana. Dei due generi di libertà, enucleati da sant Agostino, l homo clausus si richiama unicamente al primo (la libertà di scelta) e dimentica il secondo (la libertà di azione che nasce dalla consapevolezza di aver fatto la scelta giusta). La libertà solitaria, priva della possibilità di certezza se abbiamo scelto nel modo giusto, rende ogni uomo giudice della propria soddisfazione spirituale. «Un aspetto della nostra disposizione spirituale che lascerebbe stupito il membro di una tribù primitiva scrive Ignatieff è la convinzione di poter dare un significato alla nostra esistenza privata in assenza d una cosmologia o teologia collettiva» 35. L homo clausus preferisce addossarsi la solitudine della scelta personale che legarsi con le catene dello schiavo felice attraverso il sogno di un utopia che lo liberi dall onere di dover giudicare da solo. L ethos dell homo clausus è auto-poietico, nasce dalla separatezza, è autonormato, sfugge al mondo comune sociale. Tale ethos, pur esaltando l autonomia del soggetto, produce solitudine e isolamento. La categoria di senso, che è fondamentale per il recupero dell identità culturale dell uomo, è, però, una categoria sociale e nasce da una pluralità di uomini legati e comunicanti tra di loro 34 ELIAS, La solitudine del morente, p M. IGNATIEFF, I bisogni degli altri. Saggio sull arte di essere uomini tra individualismo e solidarietà, il Mulino, Bologna 1986, p. 73.

16 520 FRANCESCO BELLINO e pertanto è incomprensibile se è riferita a un individuo isolato, o un universale astratto. Il senso che assumono i segni che gli uomini si scambiano, è un senso collettivo, è un gioco linguistico, direbbe Wittgenstein, che è radicato in una «forma di vita». È vero che ogni individuo può trasformare il senso, ma in misura limitata, perché, se egli eccede nella sua trasformazione, i suoi segni (la cultura è un insieme significativo di segni) perdono di comunicabilità e, quindi, diventano privi di senso. Partendo da tali presupposti, Elias considera vano «cercare un senso nella vita di un individuo indipendentemente dal significato che tale vita ha per altri uomini. Nella prassi della vita sociale la connessione tra la percezione dell individuo che la propria vita abbia un senso e la sua idea del significato di se stesso per altri uomini e di altri individui per se stesso è perfettamente chiara» 36. Purtroppo l evidenza della connessione del significato della nostra vita con il significato che essa ha per altri uomini si dilegua nell autoriflessione ed è a questo punto che nelle società avanzate prende il sopravvento il sentimento dell homo clausus, che impedisce che nella riflessione venga incluso ciò che nella prassi è evidente: l appartenenza di un individuo a un mondo di altre persone e oggetti. Il genere di individualizzazione attuale delle società sviluppate, che concepisce l uomo come essere esistente per sé e che pretende che tale individuo debba avere un senso per se stesso, condanna alla insensatezza l esistenza umana, perché la persona è nella sua costituzione onto-assiologica relazionalità, comunicazione, esse ad, trascendimento. Ogni uomo ha bisogno di sentire che è importante agli occhi altrui. Il riconoscimento sociale è fondamentale per scoprire e valorizzare l identità personale. Nelle nostre società «i meccanismi di autocontrollo sono così solidi che gli individui li percepiscono come dei veri e propri muri che bloccano i loro affetti e i loro sentimenti spontanei rivolti verso altri individui isolandoli così da essi» 37. Se un uomo pensa di vivere come un essere isolato privo di senso, come un io sigillato, morirà con la stessa convinzione. L etica dell homo clausus si può superare con una cultura che 36 ELIAS, La solitudine del morente, p Ibi, p. 72.

17 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 521 sviluppi il senso di appartenenza sociale della persona umana. Non si crea cultura se il senso è privato o astratto. Occorre una cultura più empatica e partecipativa, meno basata sul dominio. Su questa base, come suggerisce Rifkin, occorre ripensare il libero arbitrio. Alla «volontà di potere» occorre sostituire la «volontà di empatia». Nell impostazione empatica il libero arbitrio non viene più misurato dal grado di autonomia esercitata, quanto dal grado di partecipazione e di condivisione comunitaria. Non c è alcuna ragione per cui la libertà debba essere identificata con il concetto di indipendenza. Si può essere liberi di scegliere un sistema di rapporti piuttosto che l autosufficienza. La mente empatica fa proprio questo. [...] Appartenere diventa più importante che possedere. [...] In un mondo temporale empatico, la mente dà più importanza alla conoscenza rivelatrice e meno importanza alla conoscenza manipolatrice. La conoscenza manipolatrice dà all uomo il controllo, ma a spese della saggezza Senso e cultura empatica La cultura empatica e della solidarietà, il pensiero rivelativo, la promozione del senso di appartenenza, ci possono aiutare a ripensare la nostra vita, a reinventarla, a umanizzarla, a riscoprire i numerosi legami che ci legano agli altri, al mondo, e ridare senso alla esistenza e alla morte. L etica dell homo clausus, dell uomo che si considera isolato, indipendente da altri individui altrettanto isolati, decadrà rapidamente se gli uomini riusciranno «a riconoscersi nella trama di dipendenze reciproche in cui sono inseriti, a considerarsi come meri anelli nella catena delle generazioni, come staffette che alla fine della loro corsa passano ad altri la fiaccola» 39. In tal modo l uomo cesserà di rimuovere la morte accettandola come parte integrante della vita. Per dare senso alla vita e alla morte occorre una visione dell essere che non lo chiuda nella tautologicità astratta dell essere in quanto essere, ma lo assuma nella sua costitutiva apertura al 38 J. RIFKIN, Guerre del tempo, Bompiani, Milano 1989, pp ELIAS, La solitudine del morente, p. 53.

18 522 FRANCESCO BELLINO valore. Anche l uomo è un essere che non si identifica come l animale col suo essere, ma tende a essere di più, a superarsi, è a- essere, Zu-sein (Heidegger). Il movimento che costituisce la persona non si conclude in essa, ma è diretto verso la trascendenza, verso un transpersonale, verso l Altro. Voler vivere a ogni costo, afferma Mounier, significa accettare di vivere anche a prezzo delle ragioni stesse del vivere. Noi non esistiamo, in definitiva, che dal momento in cui ci siamo costituiti un quadro interiore di valori o di ideali, sapendo che neppure la minaccia della morte potrà prevalere su di essi. È perché disarmano queste cittadelle interiori, che le tecniche moderne di avvilimento, i successi dovuti al denaro, le rassegnazioni borghesi e le intimidazioni di parte sono più esiziali delle armi da fuoco 40. Come le ragioni della vita, i valori sono fondamentali alla vita e le danno significato, così l essere nella sua struttura più profonda è essere-con l altro e inter-essere, non è un puro essere (il puro essere, come ha insegnato Hegel, è il puro nulla). 8. La categoria dell evento Se l altro è costitutivo della persona, non solo le persone, ma anche gli animali, la flora, l ambiente, i beni culturali vengono riscattati da ogni funzione strumentale oggettuale, e acquistano valore. La prospettiva personalista ispira una forte esigenza critica nei confronti di tutti i tentativi teoretici e pratici di reificare l uomo, la vita, l essere. L uomo, la vita, l essere non sono res, oggetti, definibili una volta per sempre essenzialisticamente. Sono eventi. L uomo moderno, diciamo con le acute osservazioni di Mounier, è «l uomo che ha perduto il senso dell Essere, che non si muove che tra cose, e cose utilizzabili, destituite del loro mistero» 41. Se la limitazione del potere è il problema più importante della nostra epoca, che cosa può aiutare l uomo a stabilire un limite al suo potere? Un diverso modo di concepire il mondo, l essere, la 40 E. MOUNIER, Le personnalisme, in ID., Oeuvres, Seuil, Paris 1962, III, pp ID., Manifeste au service du personnalisme, in ID., Oeuvres, I, p. 493.

19 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 523 vita, l altro. Non come res, diciamo con Heidegger, come Zuhandenheit, utilizzabili e riducibili alla nostra soggettività. L assoggettamento, la riduzione dell altro al medesimo, dell oggetto al soggetto si traduce in una forma di accecamento, di perdita del senso del reale e quindi del limite, di derealizzazione. È lo stupore che può rivelarci il reale, l esteriorità (Lévinas), il mistero del mondo e della vita. Il mistero, come scrive Mounier, non è il misterioso, l irragionevole compiacimento della nostra impotenza intellettuale, «significa la presenza stessa del reale» 42. Come pure il mistico, secondo un acuta osservazione di Wittgenstein, consiste nella scoperta, nella rivelazione dell essere del mondo, dell evento: «che il mondo è, è il mistico» 43. Contro il mondo privo di sentimenti profondi, disincantato, ridotto agli schemi mentali preconfezionati, «la persona è la protesta del mistero», infatti «è in me che io lo riconosco con maggiore purezza che altrove, nella cifra indecifrabile della mia singolarità» 44. Di fronte ai grandi progetti olistici di cambiamento ingegneristico della realtà sociale e umana, di fronte alla ragione eugenetica, al mito prometeico del progresso e del dominio assoluto dell uomo sul mondo, la categoria filosofica che può essere utile per svegliare l uomo dalla follia dell onnipotenza è proprio quella di evento. Si tratta di stabilire un diverso rapporto con l essere, che non può più configurarsi, come in alcune forme della modernità, come rapporto di dominio, ma di ascolto (hören). L essere non è un puro oggetto da dominare, né è totalmente dominabile, perché ci comprende, ma, secondo una delle istanze più vive della filosofia heideggeriana, è evento (Ereignis). Nella filosofia mounieriana troviamo tematizzata la nozione di evento, la cui consapevolezza dà all uomo il senso del proprio limite e lo apre al mondo, alla storia, agli altri, liberandolo dalla volontà di dominio. Afferma Mounier in una lettera a Jean-Marie Domenach della metà di settembre del 1949 in modo perentorio: «L avvenimento sarà la nostra guida interiore» 45. Cosí egli definisce l événement: 42 Ibi, p L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 1974, Proposizione MOUNIER, Manifeste au service du personnalisme, p ID., Corrispondence, in ID., Oeuvres, IV, p. 817.

20 524 FRANCESCO BELLINO l avvenimento, a saperlo cogliere, è precisamente la rivelazione di tutto ciò che è estraneo, della natura e degli uomini, e per alcuni più ancora dell uomo. Segna l incontro dell universo con il mio universo [...]. L avvenimento è precisamente ciò che io non possiedo, ciò che non creo, la catastrofe, l invito a uscire dal mio essere [...]. La rivelazione dell universo, qui ancora, termina con un dono 46. L attenzione all événement è attenzione non solo ai limiti del potere umano di trasformare la realtà, è soprattutto attenzione al concreto, alla persona, al particolare, agli aspetti rivelativi e non solo manipolativi del nostro rapporto con il mondo, è apertura, diciamo con Lévinas, all Altro (Autrui) senza catturarlo nel dominio di una Totalità. Impegnandosi «nella catena dell avvenimento» si risveglia l intelligenza dell azione. Occorre prendere maggior consapevolezza della distinzione tra azioni ed eventi, tra atti nel potere dell uomo ed eventi che sfuggono al suo potere e che avvengono (ad-vengono) al di fuori della volontà umana. 9. Morte e ontologia relazionale Essendo la persona «il volume totale dell uomo» (corpo, psiche, spirito) ed essendo il suo statuto onto-assiologico relazionale, non è solo il momento biologico a conferire lo statuto di persona, ma un esplicito atto di volontà di un tu. È nel contesto delle relazioni, nell essere voluto, desiderato, amato dall altro che si personalizza l essere umano. Il rispetto e la dignità non sono solo fondati su alcune peculiari caratteristiche di cui è dotato il vivente (uomo o animale), ma soprattutto sul valore attribuito da chi lo ama e lo vuole e che ha stabilito con lui una relazione. Non solo occorre postulare il valore intrinseco dell essere, del mondo, della persona se l essere non fosse valore, cioè, non avesse una ragione e un senso, sarebbe un puro nulla, perché non avrebbe neppure la ragione di essere, ma occorre anche il riconoscimento di tale valore, il riconoscimento, diciamo con Rosmini, dell essere nel suo ordine. La prospettiva personalista responsabilizza l uomo e lo pone di fronte all abisso della sua volontà di ricono- 46 ID., Révolution personnaliste et communautaire, in ID., Oeuvres, I, p. 172.

21 LA BIOETICA E IL SENSO DELLA MORTE 525 scere o meno l altro come persona. L altro mi interpella e io so che, perché l altro possa essere, non basta che io permetta a una vita la pura sussistenza biologica ma occorre una relazione di accoglienza e di solidarietà. Alla riflessione bioetica oggi non basta sapere solo quando inizia una vita umana e quando finisce. È prioritaria la conversione del nostro atteggiamento nei confronti della vita, chiedersi quanto siamo disposti a riconoscere e amare la vita in ogni sua espressione e a riconoscere la vita umana nascente e morente come proprio simile, prendendosi cura di essa. È nel cuore dell uomo che si pone il grande dilemma morale: scegliere la vita o la morte. Negando l altro, essendo lo statuto onto-assiologico della persona relazionale, l uomo nega se stesso, sceglie la separazione e quindi la morte, come la goccia dell oceano, secondo la bella immagine di Gandhi, viene completamente prosciugata non appena si separa dall oceano. Se riconosce l altro come proprio simile, l uomo sceglie la vita, perché la vita è comunicazione, è relazione. L essere si manifesta nella sua realtà piú profonda come inter-essere. Essere è in realtà inter-essere annotiamo con il pensatore zen Thich Nhat Hanh. Non potete essere solo in virtù di voi stessi, dovete interessere con ogni altra cosa. Questa pagina è, perché tutte le altre cose sono. Proviamo a restituire uno degli elementi che la compongono alla sua fonte; restituiamo ad esempio al sole la sua luce. Esisterebbe ancora questo foglio di carta? No, senza luce solare niente può esistere. Se riassorbissimo il taglialegna nei suoi genitori, di nuovo nessun foglio di carta. La realtà è che questo foglio di carta è fatto di elementi di noncarta. Se restituiamo tutti gli elementi di non-carta alla loro origine, non ci sarà più alcun foglio di carta. Niente elementi di non-carta (la luce del sole, il taglialegna, la mente, eccetera), niente carta. Questo foglio, così sottile, contiene tutto l universo 47. Tutto ciò che è riceve esistenza e non può essere inteso adeguatamente nel suo senso se non nel sistema di relazioni che lo costituisce e lo fa essere quello che è. È proprio tale interdipendenza tra le cose e l interesistenza tra gli uomini il fondamento dell etica. 47 THICH NHAT HANH, Essere pace, Astrolabio, Roma 1989, pp

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