Dario G. Martini l antiapocalisse

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1 Roberto Trovato Dario G. Martini l antiapocalisse Un autore teatrale italiano fra due millenni ARACNE

2 Copyright MMV ARACNE EDITRICE S.r.l Roma via Raffaele Garofalo, 133 A/B (06) ISBN I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. I edizione: agosto 2005

3 Indice Capitolo I Dall'esordio al premio Riccione 7 Capitolo II Da un trittico scherzoso a La mano mancina 43 Capitolo III Da La Signora dell'acero Rosso a Perché non gridate? 71 Indice dei nomi 91

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5 Capitolo I Dall esordio al premio Riccione Per analizzare la personalità di Dario G. Martini, uno degli autori drammatici italiani più interessanti 1 degli ultimi anni, mi pare utile partire da un episodio che mi è stato raccontato. Nella primavera del 2003, esattamente il 27 marzo, a Zagabria, Martini, è stato presentato a Suzana Glava, giovane docente di letteratura presso l Istituto di italianistica della locale Università. Il commediografo era nella capitale croata assieme a Mario Mattia Giorgetti, direttore di «Sipario», per presentare, su iniziativa dell Unesco, il volume Suvrumena Talijanska Drama Izabrani autori, antologia di testi italiani, scelti a cura dello stesso Giorgetti 2, per proporre alla Croazia una panoramica (quanto più possibile significativa) della più recente produzione teatrale degli scrittori del nostro Paese. Durante uno dei ricevimenti offerti per l occasione da Flavio Andreis, direttore dell Istituto italiano di Cultura, Martini incontrò Suzana Glava. «Questo disse alla docente De Andreis è l autore di In nome del figlio, il dramma che lei stessa ha tradotto con il titolo U Ime Sina». La giovane docente, guardando con sorpresa l uomo che le veniva presentato commentò laconica: «Ma lei ha i capelli bianchi». «Perché? disse Martini a Zagabria è proibito avere i capelli bianchi?». «Ma no, ma no replicò immediatamente la Glava Mi scusi, mi scusi tanto Sono rimasta sbalordita nel rendermi conto che lei è una persona già avanti con gli anni. Leggendo e traducendo il suo te- 1 G. ANTONUCCI, Storia del teatro italiano del Novecento, Edizioni Studium, Roma 2002, p. 281, dopo aver scritto «La verità è che il teatro degli anni Novanta è assai più ricco e articolato di quanto esso appaia da certi resoconti e bilanci» fa un preciso riferimento al «teatro di costume e satirico di Dario G. Martini». 2 Nel volume, edito in Croazia nel 2003, oltre alla pièce di Martini, sono raccolti Abélardo ad Eloisa ad Abélardo di Maricla Boggio, Flamenco Matto di Elena Bono, Tre sull altalena di Luigi Lunari, Veronica, meretrice e scrittora di Dacia Maraini, La piscina nel cortile di Carlo Maria Pensa e Francesco e il re di Vincenzo Ziccarelli. 7

6 8 Capitolo I sto, così carico di sdegno per i mali che ci affliggono e così voglioso di qualcosa che aiuti a migliorare la condizione umana, pensavo che le sue fossero parole di un ragazzo ancora animato da fresco entusiasmo, parole di un autore che sa contestare decisamente, senza paura, ciò che ci passa accanto, parole di un di un al massimo di un trentenne. Mi scusi». La pronta risposta di Martini fu: «Lei oggi mi ha gratificato, forse senza accorgersene, dell elogio migliore che io abbia mai ricevuto». In effetti l aver conservato, sino agli anni della completa maturità, la capacità di sdegnarsi per le ingiustizie e la voglia di combatterle, è una delle caratteristiche più tipiche dell autore di cui mi occupo in questa stringata monografia 3. Indicherò più avanti come nella più recente delle sue opere, Perché non gridate?, Martini abbia saputo polemizzare con asprezza contro la più tremenda delle ingiustizie sofferte dagli esseri umani, quella della morte. Conviene per ora richiamarmi ad una polemica, che si manifestò in tutta l Europa, alla fine del secondo conflitto mondiale, tra chi riteneva che per l arte fosse necessaria una sorta di tabula rasa sulla tragedia vissuta, un ricominciare da capo che facesse astrazione, per quanto possibile, da ogni sofferenza patita dai popoli e dagli individui, e chi invece riteneva fosse indispensabile un indugio e un insistita meditazione sui mali patiti al fine di guarirne definitivamente. I due contrastanti punti di vista alimentarono, naturalmente, opposte correnti di pensiero. Finì con l avere la me- 3 Sul drammaturgo hanno scritto contributi articolati: C. GARELLI, Commediografi: Dario G. Martini, in AA.VV., Genova libro bianco, Sagep, Genova 1967, pp ; M. MANCIOTTI, Il teatro: Dario G. Martini, in AA.VV., La letteratura ligure. Il Novecento, Costa & Nolan, Genova 1988, vol. II, pp ; E. AN- DRIUOLI, Dieci drammaturghi e quattro poeti drammaturghi (Ricerche sul teatro del Novecento in Liguria), EL, Savona 1995, pp ; P. BRUNO, Il teatro di Dario G. Martini, su «Agave», dicembre 1995, pp ; R. TROVATO, Dario Guglielmo Martini: Teatro per cambiare, in Filologia romanza e cultura medievale. Studi in o- nore di Elio Melli, Dell Orso, Alessandria 1998, pp ; E. BUONACCORSI, Il teatro in Liguria dal 1945 al 2000, in AA.VV., Bilancio della Letteratura del Novecento in Liguria. «Atti del Convegno (Genova, 4 5 maggio 2001)», a cura di G. Ponte, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Genova 2002, pp ; R. TRO- VATO, Il teatro in Liguria nel Novecento: autori, registi, scenografi e attori, in F. DE NICOLA R. TROVATO, Parole e scene di un secolo in Liguria, Dell Orso, Alessandria 2002, pp

7 Dall esordio al premio Riccione 9 glio chi proponeva di non dimenticare, ma semmai di approfondire le ragioni dei tanti lutti e delle ferite lasciate ai giovani delle nuove generazioni. Tra i sostenitori delle tesi del non dimenticare vi furono i curatori di due antologie poetiche uscite a Firenze e a Bergamo, una nel 1955 e l altra nel 1958, rispettivamente a cura di Gian Maria Mazzini e di Remo A. Borzini. Sia la prima di tali antologie, Il fiore Rassegna della nuova generazione poetica, uscita per i tipi della Editoriale Kursaal, e sia la seconda, Poeti nuovi nel quadro della lirica post bellica italiana, pubblicata dalla Nuova Italia Letteraria, ospitarono versi di Dario G. Martini, che già nel 1952 aveva suscitato l attenzione di alcuni critici, in particolare di Piero Chiara, con un volume di poesie dal titolo A greve cuore 4. E come poteva essere, se non greve, il cuore di chi era ancora frastornato dalla crudeltà della guerra? Nelle due antologie figuravano voci destinate ad imporsi: Maria Luisa Spaziani, Pier Paolo Pasolini, Rocco Scotellaro, David Maria Turoldo, Elena Bono e Vittorio Sereni. Martini fu chiamato in causa da Gian Maria Mazzini soprattutto per una composizione, Quasi candela accesa che cito integralmente perché ha in sé un nucleo drammaturgico che fra poco e- spliciterò: Quasi candela accesa in notte senza vento, ai limiti del nulla il mio destino. Oh spegnetemi alfine se l ardere non giova a chi sta solo. Il curatore commentò: «È interessante notare come il modernissimo contenuto (quel senso [ ] dell inutilità del proprio impegnarsi) assume nella [ ] lirica modi levigatamente classici, quasi petrarcheschi, con bell effetto di mordente» 5. Richiamandosi al titolo della raccolta A greve cuore, il commentatore aveva rilevato poco prima: «Martini è uno di quei giovani che più si sentono crocifissi al loro secolo, inchiodati alla responsabilità di es- 4 Il volume uscì nel 1952 per i tipi della genovese Edizioni Liguria. 5 G.M. MAZZINI, op. cit., p. 92.

8 10 Capitolo I so. [ ] Una posizione non del tutto cristiana né del tutto prometeica, i cui sviluppi necessari in un senso o nell altro vanno attentamente seguiti, non solo nel quadro di una letteratura, ma in quello più vasto della storia di una generazione» 6. Va fatta una precisazione: Dario G. Martini, l autore drammatico italiano che forse più di ogni altro, operando a cavallo tra due millenni, si è battuto contro gli assertori del nulla, tanto che mi è riuscito a- gevole, dopo aver analizzato a fondo la sua opera, definirlo l antiapocalisse, è partito se non proprio da posizioni scettiche (potrei addirittura dichiararle paranichilistiche) per giungere infine a sostenere a spada tratta la necessità di un impegno assoluto contro gli assertori, più o meno in buona fede, del malinconico non ne vale la pena. Le note dolenti di A greve cuore piacquero poco ai recensori genovesi. Toccò loro maggior fortuna a Milano, ma Martini non se ne crucciò. Non sembrava amare molto, allora, l attualità anche perché era costretto a sopportarla quotidianamente con il suo lavoro di cronista. Egli ne prese presto le distanze, dedicandosi, oltre che al teatro e alla poesia, allo studio della storia. Il giornale per il quale allora lavorava, Il Corriere Mercantile, a partire dai primi anni Cinquanta gli commissionò servizi sul passato di Genova. Da tali articoli, poi raccolti in volume, nacquero tre libri di successo: La Liguria e la sua anima 7 (con la collaborazione di Divo Gori), L uomo dagli zigomi rossi. Cristoforo Colombo visto fuori del mito 8, agile biografia colombiana, e Genovesi malelingue 9, indagine sul tipico mugugno dei liguri. Accennavo in precedenza alla vaga allergia del Dario G. Martini d allora per ciò che gli passava attorno. Quando gli accadde di riunire in volume le pagine de L uomo dagli zigomi rossi, alle quali venne conferito nel 1974 il premio Caffaro d oro, le fece precedere da un epigrafe costituita dai vv del secondo componimento dei Canti di Leopardi, intitolato Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze: «O Italia, a 6 Ivi, p Il libro è stato edito a Savona da Sabatelli per la prima volta nel Il volume fu stampato a Savona da Sabatelli nel Il libro fu pubblicato a Savona da Sabatelli nel 1968.

9 Dall esordio al premio Riccione 11 cor ti stia / far ai passati onor; ché d altrettali / oggi vedove son le tue contrade, / né v è chi d onorar ti si convegna». Dirò più avanti come la vocazione storicistica di Dario G. Martini gli sia stata fondamentalmente propizia per dare serietà e consistenza ai suoi drammi evocativi di grandi eventi. Tornando al teatro va detto che Martini, nato il 14 gennaio 1923 a Pamparato, presso la Val Casotto sul crinale fra Piemonte e Liguria, vi si addestrò con commedie in dialetto ligure, scritte per Radio Genova, delle quali hanno dato e- sauriente conto Carlo Beretta 10 e Cesare Viazzi 11. E proprio la frequentazione di Radio Genova è stata determinante per fare di Martini un autentico uomo di teatro: lo fece esordire in ambito nazionale il primo aprile 1950 con una radioscena dedicata a Valerio Bacigalupo, uno dei campioni del grande Torino scomparsi nella tragedia di Superga, che inaugurò il programma Raccontate la vostra storia; gli fece inventare per un attore ligure, Giuseppe Marzari, un personaggio, o sciô Ratella, voce dei tipici mugugni genovesi, la cui popolarità durò fra il 1950 e il Tale collaborazione cementò ulteriormente la sua amicizia con Enrico Bassano, che lo aveva aiutato nei suoi esordi nel giornalismo e che lo volle accanto a sé, come co autore, per una serie di produzioni commissionate per il premio Italia e per altre importanti iniziative dell emittente di Stato. Chiarirò meglio nelle pagine seguenti la collaborazione Bassano Martini, sulla quale peraltro una giovane studiosa ha scritto un interessante saggio 12. Tornando alla radioscena dedicata al giocatore del grande Torino, va ricordato che piacque molto a Vittorio Veltroni, allora tra i maggiori dirigenti Rai. Questi, nel presentare ufficialmente la nuova rubrica, riconobbe a Martini «una squisita sensibilità radiofonica». È utile insistere sull episodio inaugurale di Raccontate la vostra storia perché in quella mezz ora di trasmissione si coglieva già uno dei temi nodali del teatro di Martini: la consapevolezza che nulla av- 10 C. BERETTA, Storia del teatro dialettale genovese, Edizioni Tolozzi, Genova 1974, pp. 151, 156, 262, 272, C. VIAZZI, 40 anni di teatro radiofonico genovese, , Erga, Genova 1968, pp. 75, 78 81, 88, 93, 95, 131, 134, 152, P. BARTALINI, Un felice sodalizio: Enrico Bassano e Dario G. Martini, in AA.VV., Teatro in Liguria alle soglie del 2000, a cura di R. Trovato e L. Venzano, Erga, Genova 1997, pp

10 12 Capitolo I viene nell universo senza che ovunque ne rimanga traccia e l altrettanto sicura consapevolezza che talvolta dai misteri da cui siamo avvolti ci giungono segnali che potrebbero aprirci varchi inaspettati per meglio interpretare la nostra sorte, se solo li sapessimo decifrare. Riguardo alla citata radioscena riporto quanto scrisse Gino Cornali il 6 aprile 1950 nella rubrica «La settimana alla radio» del «Corriere d Informazioni». Sotto il titolo Invito all autobiografia l articolista annotò: La storia che ha inaugurato la rubrica [ ] ha avuto un [ ] merito: quello della sua semplicità. Chi raccontava era un signore di Genova, Dario Guglielmo Martini, che aveva tutta l aria di sapere perfettamente il fatto suo anche nel leggere al microfono. La sua era un avventura esile, ma indubbiamente suggestiva: rievocava la figura di Bacigalupo, il portiere azzurro. Cresciuti insieme da ragazzi, Valerio e Dario si divertivano a prendere a pedate un pallone nei prati di Vado Ligure; e un giorno Valerio portò l amico davanti al passaggio a livello e qui, facendogli ascoltare il cigolio delle sbarre che si abbassavano per l arrivo di un treno, gli disse che in quel cigolio sentiva le prime note del Claire de lune di Beethoven. Il pomeriggio del 4 maggio 1949, il signor Martini, uscendo dall ufficio, si sentiva come svagato: gli ronzava nella testa, fastidiosamente, il tema iniziale del Claire de lune, e non riusciva a liberarsene: fino a che uno strillone, passandogli accanto, non lo risvegliò: annunciava una edizione straordinaria con la notizia della tragedia di Superga. Nient altro che questo: ma esposto con una semplicità e una immediatezza non comuni. Pur condividendo il parere di Gino Cornali sulla semplicità e l immediatezza della radioscena di Martini, osservo che una lettura anche superficiale del testo permette di conoscere quanto fossero complesse e lungamente meditate le motivazioni della prolifica operosità di Martini. Qualcuno saprà che cosa sia l entanglement, parola inglese di difficile traduzione. Potrei usare il termine impigliamento, oppure, come ha fatto Massimiliano Pagani, curatore della versione italiana del libro di Amir D. Aczel, intitolato Entanglement.. Il più grande mistero della fisica 13 far notare che, sebbene lo stesso termine «abbia corrispondenza in italiano con le parole groviglio, ingarbugliamento, confusione, 13 Il volume, uscito a New York nel 2001 per i tipi di Four Walls, Eight Windows, è stato pubblicato in italiano dall editore Raffaello Cortina di Milano nel 2004.

11 Dall esordio al premio Riccione 13 ecc., e nonostante sia stato tradotto in passato con termini quali correlazione (Enrico Beltrametti), intreccio (Mario Rasetti), nel contesto di questo libro si è preferito attenersi all abitudine attualmente diffusa nella letteratura scientifica di mantenere l inglese» 14. Amir D. Aczel, docente di matematica al Bentley College, nel Massachusetts, noto per la sua attività di divulgatore scientifico, ha fatto il punto su quello che è considerato il maggiore mistero della fisica: il fatto cioè che qualcosa che accade qui può far sì che qualcos altro accada molto lontano. C è in tutto l universo una misteriosa forza d armonia per cui due particelle misurate una volta insieme obbediscono poi a uno stesso legame, o entanglement, anche se si trovano poi a migliaia di chilometri o addirittura ad anni luce di distanza. Là fuori, per dirla con Einstein, c è un immenso mondo che esiste, indipendentemente da noi esseri umani e che sta là davanti a noi come un enorme, eterno enigma, solo parzialmente alla portata delle nostre indagini. Pur non essendo un esperto di fisica, Martini ricordava una battuta pronunciata da Amleto: «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne conosca la tua filosofia». La radioscena dedicata a Valerio Bacigalupo ebbe molti consensi perché, a livello subliminale, molti sapevano allora delle misteriose connessioni, oggi rese note dalle più recenti acquisizioni degli studi sulla meccanica quantistica. Dopo il successo della puntata inaugurale di Raccontate la vostra storia, Martini continuò per qualche anno a seguire parallelamente due versanti della propria attività: da una parte il côté drammatico e dall altro quello comico. Tale parallelismo fu vivo anche nella produzione per il teatro dialettale 15. Anche la già accennata collaborazione con Bassano per testi destinati al vasto pubblico nazionale della Rai oscillò 14 M. PAGANI, Nota al lettore, in A.D.ACZEL, Entanglement. Il più grande mistero dell universo, op. cit., p Appartengono al filone patetico drammatico le commedie L angiou co a trombetta, in collaborazione con Vito Elio Petrucci, in onda su Radio Genova il 14 ottobre 1956 (verrà pubblicata dalla rivista «A voxe de Zena», n. 11, luglio 1961); O resveggin ammaccou, premio Genova 1960, in onda il 22 giugno 1960, pubblicata dalla rivista «Genova», fascicolo n. 6, giugno Appartengono invece al filone comico le commedie O barba Renzo, in collaborazione con Vito Elio Petrucci, in onda sulla stessa rete il 17 ottobre 1957; Caccia a a vorpe, trasmessa da Radio Genova il 19 giugno 1957; Ciù un pittin, in onda da Radio Genova il 13 ottobre 1963.

12 14 Capitolo I tra i due versanti. La serietà del binomio Bassano Martini, a parte tre spettacoli pedagogico didascalici, destinati ai ragazzi, portati in tournées in varie città della penisola, si espresse soprattutto con il copione Vento d agosto, prodotto per il premio Italia, che si avvalse dell interpretazione fra gli altri di Elena Zareschi e Giulia Lazzarini. Nel settore del divertimento, Martini ottenne un primo successo, nell ambito dialettale, in coppia con Silvio Torre, con un paradossale divertissement intitolato L uomo di carta, e un secondo come coautore di uno dei primi esperimenti italiani di teatro da camera con la pièce dal titolo Il dente senza giudizio, andata in scena, per la regia di Adolfo Perani, il 27 aprile 1954 al Duse di Genova, allora diretto da Nino Furia, che aveva sede in piazza Tommaseo. Autori di questo testo che precede «le riviste di Fo Durano Parenti Il dito nell occhio e Sani da legare» 16 erano quattro giovani, allora pressoché sconosciuti: Martini, Adolfo Perani, Silvio Torre e Enzo Tortora. Scene e costumi di carta e di juta (dal che la battuta «Aiutati che la juta t aiuta»). Lo spettacolo, i cui testi erano stati coordinati da Martini, fu un tale trionfo, che, in luogo delle preannunciate tre sole rappresentazioni, ebbe quarantotto repliche nello stesso teatro ed altre undici all Augustus 17, prima di essere allestito numerose volte all Alfieri di Torino, all Odéon di Milano e al Quattro Fontane di Roma. Il sorprendente successo era dovuto al coraggio e alla grinta con cui erano affrontati, con pungente cattiveria e in polemica con l imperante conformismo di quegli anni, argomenti allora di stringente attualità. A proposito de L uomo di carta, andato in scena al Duse di Genova il 16 giugno 1959, è interessante riportare un brano della recensione di Giorgio Striglia, comparsa sul «Corriere Mercantile» il 24 giugno 1959: Tutt altro che nuovi alle fortunate esperienze teatrali, specialmente sul piano dello spettacolo attuale, tra la cronaca e la fantasia, i due autori hanno riversato in questa loro ultima fatica [ ] una vivace ondata polemica, addolcita dal desiderio di far sorridere e spesso francamente ridere lo spettatore, 16 G. COSTA, su «Roma», 1970, p M. MANCIOTTI, È scomparsa Emma Fedele. Fu tra i protagonisti del risveglio teatrale, su «Il Secolo XIX», 23 maggio 1981.

13 Dall esordio al premio Riccione 15 nutrita da una costante aderenza alla realtà, innervata spesso di notazioni che paiono svagate e sono sostanzialmente poetiche. Quello stesso giorno Enrico Bassano nella parte finale della sua critica, uscita su Il Nuovo Cittadino, rilevava che gli sviluppi della commedia erano «fortemente originali, e vivacissimo il dialogo, ed e- strose le battute, e vividi i personaggi. Qua e là appaiono addirittura i pungenti strali della rivista, con riferimenti attualissimi, e sberleffi e impertinenze godibilissimi». Lo spettacolo, che eredita in maniera intelligente lo schema della vecchia farsa goviana e quasi gli stessi personaggi: il marito un po pazzo, la moglie di sano e quadrato realismo, la figlia moderna, il fidanzato della figlia e via dicendo, racconta le vicende di Spasimo Fravega. Questi, ossessionato dalla cronaca nera, inventa un giornale che porta solo le buone notizie. Quello che i due autori intendevano dire con il lavoro era che l uomo trova nei delitti e nelle sciagure altrui un triste conforto per i nostri mali, che sono al paragone tanto minori. Un giorno ho chiesto a Martini le ragioni della sua costante voglia di far ridere sfruttando i possibili equivoci o nonsense insiti nell uso della parola. Perché mi ha risposto il riso è una delle poche risorse che abbiamo per attenuare gli effetti dello stress. C è una scienza nuova, la psiconeuroendocrinoimmunologia (già il solo citarla induce al sorriso, non ti pare?) che spiega come mai Tommaso Moro in una sua preghiera chiedesse a Dio il dono di saper ridere. Oggi siamo tutti vittime, più o meno consapevoli, di perenni tensioni. Lo stress stimola cortisone ed endorfine che abbassano le nostre difese immunitarie. Sai perché mi fa piacere che tu ricordi Il dente senza giudizio? Mi fa piacere perché c era in quello spettacolo una carica d ironia, un rifiuto dei luoghi comuni e soprattutto una presa a gabbo del nostro modo di esprimerci che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Te ne do un piccolo esempio proprio da quello spettacolo: Scena in alta montagna. L atmosfera è sottolineata dall irrompere di un popolare coro alpino. Arriva un ometto che scopre la moglie intenta a tradirlo tra massi coperti di neve, a pochi passi da un ghiacciaio tra nugoli di stelle alpine. L ometto grida: Perfida fedifraga! Farmi le corna qui, verso la vetta del monte Bianco, a tremila e ottocento metri d altezza. Come hai potuto cadere così in basso? Ma non era quella dell umorismo la corda privilegiata da Martini negli anni dell apprendistato. La corda privilegiata era quella già risuo-

14 16 Capitolo I nata nelle poesie di A greve cuore e che ritroveremo nel suo autonomo testo teatrale d esordio, L ultimo venuto, la prima novità assoluta italiana presentata nella mitica Borsa d Arlecchino, che vedrà di lì a poco impegnato il regista Aldo Trionfo. L argomento della commedia in un atto L ultimo venuto è la morte. A questo punto è opportuno fare una premessa che aiuterà a comprendere come in tutti i testi di Martini, compresi quelli brillanti, scaturiti dal côté comico, la Grande Nemica sia sempre in qualche modo una contestata presenza, sino a dover essere affrontata frontalmente, come si vedrà più avanti, nel più recente e impegnativo testo di Martini, quel Perché non gridate? che è, a mio parere, un vero e proprio finale di partita tra l autore e la morte. Per chiarire meglio l annunciata presenza della grande nemica, mi richiamo ad una conferenza tenuta recentemente a Genova da Fernando Savater, docente di Filosofia all Università di Madrid e uno degli intellettuali spagnoli più noti. Martini lo stima molto e, lo noto qui per inciso, ha parlato a lungo di lui per spiegare l uso delle citazioni ai miei allievi per i quali ha tenuto con me, qualche anno fa, un seminario di drammaturgia. Il filosofo basco è ammirato da Martini non soltanto perché ha sostenuto e sostiene che, se qualcuno ha detto una cosa benissimo, è sciocco volerla parafrasare. È meglio riferirla esplicitamente, citandone, ovviamente, la fonte. Savater è ammirato da Martini perché è, anche lui, un puntiglioso oppositore del nulla. Nella già ricordata conferenza a Genova, prima della quale Martini ha avuto con lui un cordiale colloquio, il filosofo iberico ha affrontato il tema Don Chisciotte e la morte, per dire un po controcorrente rispetto alle più note interpretazioni del romanzo di Cervantes (quella di Miguel de Unamuno, ad esempio) che l innamorato di Dulcinea, combattendo i mulini a vento, combatteva in sostanza la consapevolezza della propria caducità. «Morirà, ha sostenuto Savater, quando non sarà più sorretto dalla fantasia». Il non voler morire è, secondo Savater, alla fonte di ogni sincera ispirazione creativa e lo è anche secondo Martini che ha avuto questa intuizione molti anni fa, prima che Savater la enunciasse in maniera articolata. L ultimo venuto è andato in scena alla Borsa d Arlecchino di Genova, preceduto da un testo di André Roussin, Gli allegri bugiardi, e seguito da uno di Luigi Bonelli, Il topo, il 23 dicembre 1957 per la regia di Aldo Trabucco.

15 Dall esordio al premio Riccione 17 Ha osservato un saggista: «È un atto unico che poggia su di una buona invenzione di fondo: un uomo, che ha avuto un figlio schiacciato da un automobile, simula nei confronti di un amico un analogo incidente mortale al fine di poter assistere alla felicità dell altro quando gli si rivela la verità, che il suo ragazzo, cioè, è vivo e sta bene» 18. Essere vivi, ecco ciò che conta. E qui mi torna in mente una considerazione di David Herbert Lawrence, citata da Martini nelle sue chiacchierate con i miei studenti: «Per l uomo l unico vero, grande miracolo, è quello di essere vivo» 19. Recensendo l atto unico, Giannino Galloni parlò di un giovane autore, nuovo per le scene di prosa, che «si muove con delicata misura tra una appena accennata satira e un pathos alla fine convincente» 20. Della novità del commediografo Enrico Bassano scrisse sul Corriere Mercantile : «L atto è forte, originale, sostanzioso nell assunto umano e poetico, ingegnoso nella costruzione e nel taglio delle poche scene; è senz altro un opera bella, che segnala un ingegno vivo e fervido, un cuore che batte senza meccanismi predisposti». Replicata per alcune settimane a Genova, in quelle che Roberto De Monticelli definì «le catacombe di Arlecchino» 21, la pièce fu poi scelta con Trentanove anni di Gino Pugnetti per inaugurare la stagione del Teatro Minimo di Bologna il 19 gennaio Anche nel capoluogo emiliano, annotò un cronista genovese: «Successo vivissimo per la bella e umana commedia del Martini. [ ] Il Martini è stato portato alla ribalta dopo molte chiamate, e applaudito da un magnifico pubblico interamente conquistato e commosso dalla trama originale e dalla sicura e sincera ansia drammatica dei personaggi» 22. Nel frattempo la pièce si era imposta dai microfoni di Radio Monteceneri, andando in onda il 9 gennaio Il testo di Martini, diretto da Enrico D Alessandro, era stato così presentato il 3 gennaio M. MANCIOTTI, Il teatro, cit., p La citazione si legge alla pagina 134 del volume di D.G. MARTINI, a mia cura, Le parole di Amleto. Teoria e pratica di scrittura teatrale, EL, Savona G. GALLONI, Roussin, Martini, Bonelli, su «L Unità», 24 dicembre Così De Monticelli intitolava l articolo dedicato alla Borsa d Arlecchino comparso su «Il giorno» il 14 gennaio L ultimo venuto di Martini a Bologna, su «Nuovo Cittadino», 3 gennaio 1959.

16 18 Capitolo I sulle pagine del settimanale «Radioprogramma svizzero» da un articolista che si firmava con la sigla g. b: Dario Guglielmo Martini, giornalista di valore [ ], è anche autore teatrale dal genuino istinto vigoroso e dalla tecnica raffinata. Quest atto unico [ ] ne è una dimostrazione quanto mai convincente. In breve spazio di battute, entro una scena che sembra destinata piuttosto ad accogliere l azione d una farsa o d una commedia grottesca, egli sa far sbocciare un dramma, esasperandolo poi sino a tragedia e concludendolo con un metafisico lirico grido del protagonista l Uomo in sé e per sé, spirito infinito, costretto nel carcere d inesorabili limiti di materia finita che squarcia il velo su un aspetto persino misterioso della condizione umana: la felicità di quel che non accade. L eco dei consensi ricevuti dal lavoro, pubblicato in Italia sulla rivista «Il palcoscenico» e tradotto in tedesco da Emo Lonardi col titolo Der letze Agenkommen, suggerì a Giovanni Fusco, autore tra l altro della colonna sonora del film Hiroshima, mon amour di Alain Resnais, l idea di fare del copione di Martini un opera musicale, che entrò il 29 luglio 1962, per la regia di Filippo Crivelli, nel repertorio della Rai e che verrà replicata più volte. Fu tuttavia dai tre atti di Bocca di lupo che lo sgomento della caducità sofferto da Martini, già avvertibile in molte delle poesie della già ricordata silloge A greve cuore, ebbe modo di delinearsi scopertamente con la tragica vicenda di un ergastolano, Jean. L ossessione di una condanna senza limiti ha creato le premesse per un rifiuto della morte del tutto iperbolico. Significativamente è una doppia morte che il protagonista sfida nel tentativo di esorcizzare l inesorabilità dell estremo commiato. A questo punto, confortato dalle dichiarazioni di Martini e dai frequenti contatti che ho con lui, mi pare utile dire quali sono gli scrittori a cui egli si è richiamato maggiormente o che comunque sia hanno inciso profondamente sul suo modo di pensare e di fare teatro. Su tutti spicca il nome di Shakespeare, capace, per riprendere Harold Bloom, di pensare «in maniera più vasta e originale di qualunque altro scrittore. [ ] Shakespeare superò tutti i suoi predecessori [ ] e inventò l umano come lo conosciamo tuttora» 23. Due testi di Martini, in particolare Studio 13 e Perché non gridate?, testimoniano della puntigliosa 23 H. BLOOM, Shakespeare. L invenzione dell uomo, Rizzoli, Milano 2001, p. 16.

17 Dall esordio al premio Riccione 19 e appassionata attenzione con la quale egli ha scandagliato tutte le o- pere del grande drammaturgo elisabettiano giacobiano. Altri nomi tuttavia hanno avuto nella sua formazione un importanza rilevante: uno è Dostoevskij 24. Non a caso il personaggio non visibile, ma di cui si parla molto nella pièce intitolata In nome del figlio, pone proprio il grande scrittore russo al centro di una triade che si apre con Kierkegaard e si chiude con Pessoa. Il filosofo danese gli è caro per almeno tre ragioni: l antidogmatismo; il valore attribuito all ironia e l importanza data alla responsabilità del sé nei confronti altrui e di sé stesso. Martini concorda con Kierkegaard nella denuncia di un informazione sempre asservita al potere e nel ritenere che si possa ambire ad un oltre non fatto di sole illusioni. Del poeta portoghese Fernando Pessoa invece apprezza l aver capito quanto possa essere frantumato il nostro io e la sincerità che un giorno gli ha fatto scrivere i seguenti sei versi, collocati nella seconda parte della lirica intitolata Foschia: Nessuno sa cosa vuole. Nessuno conosce quale anima possiede, né cosa è male, né cosa è bene. (Quale ansia distante piange vicino?). Tutto è incerto e disperato, Tutto è disperso, nulla è intero 25. Tornando a Dostoevskij, mi è già accaduto di notare altrove 26 che egli è molto amato da Martini, non tanto e non solo per avere scandagliato a fondo le nostre contraddizioni riguardo al problema del male, come ne La leggenda del grande inquisitore da I fratelli Karamazov, ma soprattutto per il modo con il quale, al di là delle problematiche 24 Dello scrittore russo Martini ha parlato a più riprese nel già ricordato seminario di drammaturgia, citando in primo luogo un opinione di Forster tratta da Aspetti del romanzo: «Nessuno ha esplorato l animo umano profondamente come Dostoevskij. [ ] in Dostoevskij personaggi e situazioni rappresentano sempre qualcosa al di là di loro stessi. L infinito li accompagna. Pur rimanendo ben individuati, si e- stendono ad abbracciarlo e lo invocano per esserne abbracciati». Il brano si legge in D.G. MARTINI, Le parole di Amleto, cit., p Poesie di Fernando Pessoa. Cronistoria della vita e delle opere. Versione, bibliografia e note a cura di Luigi Panarese, Lerici Editore, Milano 1967, p Una pietà che viene da lontano, su «Sipario», n. 629, novembre 2001, pp

18 20 Capitolo I sulla predestinazione e sul libero arbitrio, ha intuito che l umanità stava avviandosi alla crisi per la resa al naufragio consistente nella santificazione del nulla, e, forse anche in misura maggiore, per non aver saputo porre argine ai singoli egoismi e per aver dimenticato l aspirazione ai grandi orizzonti. Altri insegnamenti sono venuti a Martini da Cechov, che richiamandosi al fare alacre dei genovesi, provato da una battuta de Il gabbiano, ha sostenuto a più riprese che è proprio nel fare che si deve ricercare la speranza di riscatto per l uomo; da Gogol, che gli ha dimostrato quanto possa essere corrotta e disumana la burocrazia; da Puskin, che ha sottolineato quanto possa essere ingiusta la cosiddetta giustizia. Oltre che dal suo primo maestro, Enrico Bassano, e da Eduardo De Filippo, Martini ha tratto spunti fecondi per il suo teatro anche da autori che non hanno scritto per il palcoscenico. Da Pound ha appreso che muoversi controcorrente comporta rischi che pure occorre correre se si vuole difendere la dignità dell uomo; Borges lo ha colpito, tra l altro, per un affermazione tratta da una prefazione nella quale si legge: «Il nostro destino è tragico perché siamo irreparabilmente imprigionati dal tempo e dallo spazio, ma nulla, di conseguenza, è più lusinghiero di una fiducia che elimina le circostanze dichiarando che ogni uomo è tutti gli uomini e che non c è nessuno che non sia l universo». Altri nomi che hanno fornito spunti, che egli ha saputo rielaborare con autonomia, sono il Voltaire del Dizionario e di Candido, il Pascal dei Pensieri, Montaigne, Rabelais, Goethe, Schiller e Schopenhauer. Di quest ultimo ama citare in particolare due riflessioni: «Più uno appartiene alla posterità e più è straniero ai suoi contemporanei»; «Non andare a teatro è come lavarsi la faccia, al mattino, senza avere a disposizione uno specchio». E ancora: Nietzsche e Dürrenmatt. Quest ultimo ha affermato «La nostra è l epoca di un crudele grottesco, visto che viviamo in maniera assurdamente infelice mentre il nostro pianeta avrebbe risorse più che sufficienti per sopperire ai bisogni di tutti». Martini è pure in consonanza con due uomini di teatro importanti come Peter Brook e Brecht. Del primo ripete una riflessione che sta

19 Dall esordio al premio Riccione 21 alla base della sua idea del teatro, non solo quando si cimenta con la critica teatrale, ma anche quando compone testi pensati per la scena: «Chi si occupa di teatro oggi, o perché lo fa o perché ne scrive, è un po come i Maya che usavano rotelline per far correre i giocattoli dei loro bambini e non si sono mai accorti che in quelle rotelline c era il principio della ruota che, ove ne avessero avuto consapevolezza, sarebbe stato in grado di cambiare, ovviamente in meglio, la loro esistenza». Il teatro potrebbe essere dunque una ruota per l evoluzione dell umanità, aiutando a rendere la vita diversa da quella che è. Il secondo è l autore dal quale Martini ha imparato a usare il teatro per servire la causa dell uomo, in particolare laddove questa risulti mutilata o offesa. Del grande drammaturgo tedesco Martini ama citare tre battute. La prima è sulla non affidabilità della giustizia umana: «Sono talmente innocente che mi arrestano» 27. La seconda evidenzia l assurdità delle guerra: «O si elimina il popolo o si elimina la guerra: tutte e due insieme non possono coesistere» 28. La terza sottolinea la superfluità dei lunghi eloqui: «In due minuti si potrebbe passare sotto silenzio tutto quello che c è da dire» 29. Anche secondo Martini il teatro deve fornire un aiuto per interpretare la realtà, elemento imprescindibile per chi voglia battersi per un futuro meno mortificante e deludente, mettendo nel conto il disinteresse, se non addirittura l opposizione, di quanti vogliono che nulla cambi. Tornando alla produzione teatrale di Martini analizzo ora il radiodramma Bocca di lupo, il cui testo sarebbe poi apparso sul n. 6 della rivista «Ridotto» nel giugno L autorevole funzionario della Rai, Gigi Michelotti, lo ricevette da Bassano. Michelotti fece sapere all autore che il suo testo, pur apprezzabile, non avrebbe avuto il nulla osta della Commissione alla valutazione dei copioni da trasmettere per l arduità del soggetto, inadatto ad un pubblico indifferenziato come quello radiofonico. Più oltre dirò come anche l emittente transalpina 27 La battuta è pronunciata dal protagonista nel primo atto di vejk nella seconda guerra mondiale, Einaudi, Torino 1973, p La battuta, tratta dalla prima sequenza de Le visioni di Simone Machard è pronunciata da Père Gustave (B. BRECHT, Teatro, a cura di E. Castellani, Einaudi, Torino 1965, p. 189). 29 La battuta è di John nella settima sequenza di Nella giungla della città, Ivi, p. 179.

20 22 Capitolo I «France Culture», dopo aver premiato nel 1998 un suo altro dramma, La signora dell acero rosso, nella traduzione francese curata da Monique Baccelli col titolo La dame à l érable rouge, ne congelerà la realizzazione con un non placet giunto all ultimo minuto per la scabrosità dell argomento trattato. Prima della stesura in forma di radiodramma, il soggetto di Bocca di lupo era stato sintetizzato nella proposta di un film, intitolato Quasi candela accesa, che si aggiudicò nel 1952 il primo premio ad un concorso del Centro Sperimentale di Cinematografia. A presiedere la giuria, segnala uno studioso 30, era il regista Alessandro Blasetti. Finalmente Bocca di lupo, nella sua definitiva forma teatrale, giunse alla ribalta del Goldoni di Roma il 15 aprile Il plot del dramma può essere così sintetizzato: un ergastolano, Jean, che ha ucciso la moglie Marie, perché deluso da lei, talvolta sogna in carcere sua madre e la donna amata. Dopo l arrivo del Nuovo provvisorio compagno di cella, l uomo dalla pelle color calce sogna che l ultimo venuto gli seduca la moglie. Al risveglio l ergastolano si vendica uccidendo l intruso. Il titolo della pièce deriva da un lato dal nome dell alta finestrella a piramide tronca rovesciata, chiusa da solide sbarre, dalla quale penetra nelle celle dei carcerati l aria e la luce del giorno e dall altro si richiama all omonimo romanzo di Remigio Zena. Nella tesi di laurea, dal titolo La donna nel teatro di Dario G. Martini, Alessandra Accorsi ha osservato: il dramma, pur essendo una «polemica presa di posizione contro la reclusione a vita, affronta sotto varie angolazioni, il rapporto uomo donna». In realtà la pièce scandaglia anche il tema della caducità dell esistenza, consueto in Martini, con l assurdo di due omicidi posti in maniera paradossale come rifiuto alla i- nesorabilità della morte. Sul tema della consapevolezza di quanto sia effimera la felicità sono interessanti due brani del dialogo iniziale fra la madre e Marie, la moglie dell ergastolano, entrambe viste in sogno dal protagonista: MARIE (dopo un istante di immobilità ) Sono stufa di aspettare. LA MADRE Anch io. Ho le mani stanche, ma il cuore no bisogna essere pazienti. MARIE È inutile. Non verrà più. LA MADRE Non dire più. È una parola che precipita. Non gli piaceva. 30 E. ANDRIUOLI, op. cit., p. 242.

21 Dall esordio al premio Riccione 23 Poco oltre il loro dialogo così prosegue: MARIE (assorta) Diceva: Mi piacciono i tuoi occhi perché ridono. C è tanta gioia, nei tuoi occhi, da farmi dimenticare la nostalgia che ne avrò. (Altro tono) Era felice con me. LA MADRE Non è mai stato felice. Ha capito presto che nessuno può esserlo (Si ode in lontananza una musica dolce) Una volta eravamo in campagna, lui era ancora un ragazzo si arrabbiò perché, durante la messa, il suono delle campane disturbava, in chiesa, la musica dell organo. Tornò in chiesa, più tardi, e dette fuoco alle corde delle campane Ci fu pericolo di un incendio. Quando lo sgridai, disse: Quella musica, mamma, non la sentiremo più. Caro gli risposi potrai ancora ascoltarla. E lui, con la voce di chi scopre cos è la vertigine: Non quella! Non così. Mai più come l ho sentita prima che le campane suonassero! Mai più! Mai più!. (Con altro tono, dopo una pausa) Anche questo tu non lo sai Troppe cose non sapevi di lui Era impossibile che tu potessi amarlo 31. Nonostante la realizzazione con estrema povertà di mezzi, lo spettacolo al Goldoni di Roma, in cui Franco Castellani era impegnato nel duplice ruolo di regista e interprete della parte principale, ebbe un imprevedibile successo. Considerata la concomitanza con altre prime romane al debutto di questa novità assoluta di un giovane autore italiano andarono tanti vice. Molto calorosi furono i consensi: lo spettacolo fu molte volte applaudito a scena aperta e alla fine vi furono una ventina di chiamate, cinque delle quali per l autore. Il recensore de «Il Messaggero» scrisse il 16 aprile 1961: «Dario G. Martini [ ] ha costruito questi tre atti con la sapienza dell autore consumato e al tempo stesso con la sincerità e l onestà del neofita». Il cronista de «Il Paese» elogiò lo stesso giorno la vivacità della scrittura teatrale di Martini. Due giorni dopo il critico del «Giornale d Italia» rese conto di un successo dovuto allo spirito dell opera, che aveva «un evidente carattere lirico e una carica estremamente fantastica». Sulle pagine del Quotidiano di Roma il 18 aprile era esaltato l equilibrio della commedia, «che si sviluppa in senso verticale per assurgere ad altezze notevoli, permeata com è di dolorante umanità e di tragica poesia». 31 D.G. MARTINI, Bocca di lupo, su «Ridotto», n. 6, giugno 1964, pp

22 24 Capitolo I Il recensore de «Il Tempo», dopo aver evidenziato il 17 aprile che il lavoro rivelava «doti di salda struttura teatrale, non disgiunte da una non comune forza poetica», affermò che all autore andava riconosciuto il merito di aver affrontato «una tematica cupa e difficile ma condotta sempre con mano ferma, in un atmosfera a mezzo tra sogno e realtà». Il cronista di «Momento sera» del aprile espresse consensi per il racconto «costruito con bella evidenza» e lodò una «commedia senza dubbio difficile nella sua impostazione non solo letteraria ma anche tecnica». Su «Telesera» del aprile si leggeva: «Si tratta di un dramma di grande interesse: il problema della pena dell ergastolo è affrontato da un punto di vista esclusivamente umano, nei suoi aspetti più sconvolgenti». La recensione comparsa su «Arcoscenico» nel maggio 1961, in occasione di una ripresa, riportava: «Il dramma [ ] è davvero degno di nota e di attenzione perché rivela un temperamento teatrale di primissimo ordine». Bocca di lupo ebbe quarantaquattro repliche, inusuali per una novità italiana data in un teatro della capitale. La pièce verrà ripresa il 16 giugno 1963 all Astra di La Spezia dal Gruppo d Arte Drammatica Eleonora Duse, che si conquistò l accesso alla rassegna nazionale di Pesaro 32. Nella città marchigiana la compagine, per la regia di Neldo Costa, si esibì con buon esito il 23 ottobre Un articolista del Resto del Carlino, che si siglava m. z., nella recensione intitolata L ergastolano non può sognare elogiò il 25 ottobre 1963 il testo per «un grande, potente e indistruttibile enunciato che Martini ha sintetizzato nello slancio dell amore assoluto e nel desiderio di sognarlo al di là delle contingenze e in un ambiente che a tutto spinge fuor che a meditare». Il 12 maggio di quello stesso anno, Bocca di lupo, che nel frattempo era stata tradotta in francese da Anne Donte Guedy e in tedesco da Emo Lonardi, col titolo rispettivamente Le sang et la chaux (Il sangue e la calce) e Lebenslänglich (Per tutta la vita), era stato trasmesso alla Radio della Svizzera italiana, che l avrebbe poi ripresa il 30 gennaio Il cronista del Giornale del Popolo di Lugano ne diede il Il Festival nazionale d Arte Drammatica di Pesaro, che ha quasi sessant anni di vita, è la manifestazione teatrale più antica e gloriosa del dopoguerra riservata agli Amatori.

23 Dall esordio al premio Riccione 25 maggio 1963 un ampia descrizione, nella quale si parlava di limpida poesia e dell amore dell uomo per la donna. A Pesaro e in Svizzera, e successivamente a Montecarlo, a Genova e altrove venne rappresentata la commedia in tre atti, Angela e il diavolo, un altro successo di Martini. La pièce, che era stata segnalata al Premio Riccione del 1958, è una sorta di favola, all apparenza ottimistica, che ha al centro il personaggio dello sconosciuto, apparentabile, come per qualche verso lo straniero di Vento d agosto, ai giovani on the road di quella generazione negli Stati Uniti d America. Martini scrisse Angela e il diavolo tra il 1956 e il E proprio nel 1957 Jack Kerouac pubblicava il celebre romanzo Sulla strada. Lo sconosciuto di Angela e il diavolo, un ragazzo, che ha fatto delle strade, da lui percorse ininterrottamente, la sua dimora elettiva, viene accusato di aver tentato di violentare Angela, una adolescente orfana che ha difficoltà ad esprimersi e che è ospitata in un convento. La giovane è stata sfiorata, nel buio della sua cameretta, da qualcuno che si presume volesse stuprarla. I sospetti cadono sullo sconosciuto e diventano certezza quando Angela lo riconosce. Un maresciallo dei carabinieri, dotato di buon senso, lo salva dal linciaggio degli abitanti del paesino in cui è ambientata la vicenda. Egli scopre che il riconoscimento da parte della ragazza è dovuto al fatto che essa ha scorto nel volto del giovane qualcosa che assomiglia al Cristo di un immagine sacra che porta sempre con sé. Pièce a lieto fine dunque, con la morte appena intravista nelle minacce dei benpensanti all ipotetico diavolo. Benpensanti sui quali Martini aspramente ironizzava, coprendo di ridicolo una stizzita marchesa dalla cattiva coscienza, costantemente ammantata di alterigia. La prima assoluta della commedia, pubblicata su «Palcoscenico» nell agosto 1959, si ebbe da Radio Monteceneri il 25 ottobre di quello stesso anno, con la regia di Enrico D Alessandro. Ma il vero successo dei tre atti giunse con l allestimento diretto da Sandro Bobbio, interprete anche della parte di un carabiniere che venne reso molto comico 33. Con questa pièce Bobbio si impose al Festival nazionale 33 Bobbio era stato tra i fondatori del nuovo Teatro Stabile di Genova, anche se, non appena il nuovo organismo si assestò, venne emarginato. Costituì allora una compagnia, La Società Amici del teatro, con attori dilettanti spesso più bravi dei professionisti.

24 26 Capitolo I dei Gruppi di Teatro Amatoriale di Pesaro nel Grazie al primo premio per la miglior regia, egli venne delegato, con la commedia di Martini, a rappresentare, nel settembre 1961, il nostro paese al secondo Festival Internazionale del Teatro Amatori di Montecarlo. A tale rassegna, che si svolge ogni quattro anni, parteciparono compagini provenienti da vari paesi europei e dagli Stati Uniti. Per la chiusura, il 16 settembre, fu scelta la rappresentazione di Angela e il diavolo. Nella recensione dello spettacolo, comparsa su «Combat» il 21 settembre 1961, Marcelle Capron scrisse che bisognava ringraziare la Federazione italiana del Teatro Amatori: «de nous faire connaître e de défendre un jeune auteur, Dario G. Martini». Il giornale «La presse» di Tunisi sottolineò le divagazioni piacevoli e le battute divertenti del testo di Martini. Paul Deila, critico di «Nice Matin», il 19 giugno 1961 riconobbe al commediografo italiano l abilità con cui aveva definito i caratteri dei vari personaggi. Le successive rappresentazioni della pièce ebbero luogo nell ordine il 29 ottobre a Reggio Emilia, nell ambito della rassegna Maria Melato, il 18 novembre all ex teatro Balilla di via Cesarea a Genova e il 13 dicembre al teatro Kursaal di Locarno. Quest ultima rappresentazione venne trasmessa in diretta dalla televisione della Svizzera italiana. Una successiva ripresa dalla stessa emittente, il 4 febbraio 1962, piacque molto alla critica e al pubblico. Il lavoro ebbe successive repliche radiofoniche in Svizzera il 16 febbraio 1962, il 27 novembre 1963 e il 18 settembre Lo spazio ampio concesso ai primi testi di Martini è giustificato dalla scarsa conoscenza della sua produzione antecedente il premio Riccione. Inoltre tali testi dimostrano la coerenza dell itinerario da lui percorso. A questo punto è opportuno accennare ai copioni scritti in collaborazione con Enrico Bassano. Commissionato per il Premio Italia, Vento d agosto andò in onda per la prima volta sul programma nazionale della Rai il 22 novembre 1958 (in quegli anni non imperando ancora nel nostro Paese la televisione, i programmi radiofonici erano seguiti da un grande pubblico), per la regia di Umberto Benedetto, con un cast eccezionale costuito nei ruoli principali da Elena Zareschi, Giulia Lazzarini e Ivo Garrani. Il radiodramma è la storia di un misterioso straniero il cui preannunciato arrivo e la cui musica rompono consoli-

25 Dall esordio al premio Riccione 27 dati equilibri, scatenando furie distruttrici. Il recensore del «Corriere di Sicilia», che si siglava M, scrisse tra l altro il 30 novembre 1958: Non si tratta per noi di un processo alle streghe, né di una simbologia teologica vera e propria. Non è la definizione in assoluto di un Male o di un Bene; una Presenza metafisica quale il demoniaco. Piuttosto, intendiamo noi, un quid lirico, una figurazione allusiva, sfumata, che mentre si sottrae ad ogni individuazione troppo concettuale, assomma in sé tutti gli inespressi e gli inesprimibili: quelle inquietudini e malesseri e trasalimenti che, latenti in noi, possono d un tratto scatenarsi, diventare furia selvaggia, rottura d argini; figurazione in una parola di una carica emozionale e fantastica che fanno della vita umana, per dirla con Shakespeare, una cosa fatta di sogno. Il drammatico sta piuttosto nell ambivalenza che questo quid lirico racchiude potenzialmente: questa musica, questa dolcezza suadente che ci apre ad orizzonti d anima più vasti e meravigliosi o ci precipita in affanno orgiastico in fondo a cui è l annientamento, mutandosi da quella serpeggiante dolcezza in vorticoso uragano (il vento d agosto, cui il titolo allude). Ma è da noi, in definitiva che dipende la scelta fra l una e l altra delle due possibilità: è sempre dentro di noi, religiosamente ed eticamente, che si decide il nostro destino. Vento d agosto, pubblicato sul n. 292 de «Il dramma», nel gennaio 1961, era stato intanto replicato dalla Rai il 31 maggio 1959 e verrà ripreso negli anni successivi. Radio Monteceneri lo programmò l 11 novembre 1959, il 27 marzo 1963 e poi la sera del 26 aprile Se ne ebbero anche un edizione da Capodistria, in sloveno, e due in palcoscenico: una al teatrino di piazza Marsala di Genova, a partire dal 24 maggio 1974, a cura dei Lettori di Vittoriano De Ferrari, e l altra a Cecina Mare, a cura de La soffitta, il 12 agosto La ripresa genovese venne recensita il 26 maggio 1974 sul «Il Secolo XIX» da Carlo Marcello Rietmann. Il critico scrisse tra l altro: Il vento d agosto è una specie di tornado che passa e distrugge. È un irosa contaminazione della natura che entra nella gente e la squassa: giovani travolti dall insania, alberi divelti, tetti incendiati, animali sgozzati nelle stalle. A questa ondata di violenza gli autori hanno voluto dare un aspetto umano, il volto pallido d uno straniero che non parla, ma con un ghigno enigmatico fa sentire una sua musica strana, eccitante, che promette sventure. Quello stesso giorno Tullio Cicciarelli notò su «Il lavoro» che l arrivo dello straniero affascinante e diverso consentiva: «agli autori di affermare che il male è dentro di noi e che l unica arma per debellare

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