L'importanza di Svevo nella letteratura del Novecento

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1 SEZIONE 1 3. Italo Svevo Ettore Schmitz (solo in seguito avrebbe assunto lo pseudonimo letterario di "Italo Svevo") nasce il 19 dicembre 1861 a Trieste, città all'epoca facente parte dell'impero austroungarico. La sua famiglia è di origine ebraica. Dopo un'infanzia felice, viene mandato (1873) con due fratelli nel collegio di Segnitz in Baviera, dove resta cinque anni. Conclude quindi gli studi commerciali presso l'istituto Revoltella di Trieste, presso cui sarà poi docente. Nel frattempo decide di abbracciare la cultura italiana e compie da autodidatta la propria formazione letteraria: legge gli autori classici italiani nella biblioteca civica di Trieste; scrive abbozzi di commedie e si appassiona ai romanzi del francese Zola. Frequenta inoltre l'amico pittore Umberto Veruda. Dal 1880 lavora presso la Banca Union di Trieste come impiegato (una condizione poi riflessa nel romanzo, in parte autobiografico, Una vita). Intanto, con lo pseudonimo di Ettore Samigli, pubblica articoli di critica sul quotidiano "L'Indipendente". Nel 1892 pubblica il suo primo romanzo. Una vita, firmandolo con lo pseudonimo di Italo Svevo (che, come lui stesso scrisse, "sembra voler affratellare la razza italiana e quella germanica"). Nel 1896 sposa Livia Veneziani, figlia di un affermato industriale triestino. Qualche anno dopo, nel 1899, entra a lavorare come dirigente nella ditta di vernici sottomarine del suocero. Nel 1898 dà alle stampe ij suo secondo romanzo, Senilità. L'indifferenza di pubblico e critica verso le sue opere lo induce ad abbandonare la letteratura. S'impegna quindi a fondo nel commercio; per conto della ditta Veneziani risiede per lunghi periodi a Londra. A Trieste, nel 1906, prende lezioni d'inglese da James Joyce, che risiede per qualche tempo in città. Intorno al 1908 Svevo legge (tra i primi intellettuali in Italia) le opere di Freud, fondatore della psicoanalisi. Ritorna alla letteratura dopo un ventennio di silenzio: dal 1919 al 1922 elabora il suo terzo romanzo, La Coscienza di Zeno, pubblicato nel L'opera ottiene scarsissimi echi sulla stampa e questo nuovo insuccesso amareggia profondamente Svevo. L'amico Joyce (a cui aveva inviato, per amicizia, una copia della Coscienza) si adopera però, da Parigi, per far conoscere il romanzo; una recensione favorevole scrive, in Italia, il giovane Eugenio Montale. Esplode così, nel 1926, il "caso Svevo": da perfetto sconosciuto, l'autore conosce un'improvvisa celebrità. Si dedica perciò a nuove opere, narrative e teatrali, ma mentre sta lavorando a un quarto romanzo di memorie, muore improvvisamente a Motta di Livenza (13 settembre 1928), a seguito di un incidente automobilistico. L'importanza di Svevo nella letteratura del Novecento Svevo è uno scrittore "di frontiera": nasce e si forma a Trieste, ha esperienze letterarie e culturali più mitteleuropee che italiane, non si sente obbligato verso la nostra tradizione letteraria: è dunque più libero, rispetto agli scrittori del suo tempo, di accostarsi ai modelli (in particolare Joyce) della narrativa europea. Proprio questa estraneità alla tradizione italiana impedì alla critica di riconoscere subito il suo valore. Fu "scoperto" dalla critica poco prima di morire, dopo essere stato ignorato per circa trent'anni. Da allora, però, è divenuto un punto di riferimento decisivo del romanzo italiano contemporaneo. Sul piano letterario, Svevo costituisce un'importante voce del decadentismo europeo, in quanto pone al centro di ogni sua opera la figura dell'"inetto", l'antieroe, opposto al superuomo dannunziano, perché non solo non sa dominare il mondo esterno, ma, anzi, ne viene schiacciato. Il decadentismo di Svevo è di taglio critico e conoscitivo, molto diverso dal decadentismo estetizzante di D'Annunzio e dal simbolismo poetico di Pascoli. Svevo predilige far parlare la realtà (realismo), anche se la realtà cui guarda non è quella esterna, ma quella interna: la realtà delle zone segrete della coscienza, delle inquietudini e dei turbamenti della psiche. Fu tra i primissimi scrittori europei, infatti, a fare largo uso della psicoanalisi freudiana come fondamentale elemento narrativo. Anche sul piano dello stile e del linguaggio Svevo rivela decisive novità: nelle sue opere, infatti, scava nell'interiorità del personaggio, utilizzando largamente il metodo del monologo interiore e, a tratti, del "flusso di coscienza". 16

2 Gli autori del Novecento: memoconcetti Le opere TRAMA Il romanzo è la "biografia" di Alfonso Nitti, che lascia il suo villaggio nel Carso per impiegarsi nella Banca Mailer di Trieste. È però scontento di quel lavoro, che giudica meschino. Ha ambizioni intellettuali; vuole scrivere un romanzo, ma fallisce. S'innamora di Annetta, ma non riesce a conquistarla. Alfonso è un "inetto"; analizza se stesso, ma non fa che rinunciare alla vita. Molto diverso è Macario, cugino di Annetta e rivale di Alfonso in amore, prototipo dell'individuo dotato di senso pratico e uomo di successo. Alla fine Alfonso, sconfitto e deluso, si ritira dalla "lotta per la vita" e si suicida. Come un romanzo del naturalismo, Una vita inizia con una lettera (che annuncia l'arrivo di Alfonso a Trieste) e finisce con una lettera che annuncia la sua morte. È dunque inquadrato in una cornice di "fatti". Una vita è, però, tutt'altro che un romanzo naturalistico: la storia di Alfonso viene ricostruita attraverso la biografia interiore del personaggio, i suoi monologhi, le sue aspirazioni fallite, le sue inettitudini. Alfonso si suicida, perché in sostanza scopre che c'è troppa sproporzione tra i suoi sogni e la realtà, cui non sa adeguarsi: egli è il primo dei "teoristi" sveviani, sognatori e malati d'inettitudine, sconfitti nella lotta per l'esistenza. TRAMA Emilio Brentani è un piccolo borghese, romanziere fallito e "senile", non d'età (ha 35 anni), ma di spirito. Inizia una relazione con Angiolina, una donna "facile" di cui, senza volerlo, s'innamora. È manovrato dalla bella e abile popolana, ma di ciò non si accorge perché è del tutto privo di senso pratico. Al carattere introverso di Emilio si oppone quello, pratico e utilitarista, dell'amico scultore Stefano Balli. Stefano è l'uomo privo di scrupoli, che ha successo con le donne (anche con Angiolina); la sua figura ricorda direttamente quella di Macario in Una vita. Emilio ha una sorella, Amalia, come lui sognatrice solitaria. Innamorata, senza speranze, di Balli, si consola con l'alcool e muore dopo lunga agonia. Ella rappresenta il "doppio" narrativo del suo infelice fratello. Emilio, deluso per i tradimenti di Angiolina, decide di ritirarsi anzitempo: ricorderà per sempre non la vera Angiolina, bensì una sua immagine idealizzata, un "simbolo" di bellezza e bontà (inesistenti). Alfonso Nitti, in Una vita, si era suicidato; Emilio riesce almeno a sopravvivere a se stesso: si accontenta di idealizzare Angiolina, nel ricordo. Ma è anche lui uno sconfitto dalla vita: è vecchio a soli trent'anni, nessuno legge le sue opere, ed è sconfitto nell'amore, che credeva di poter dominare, ma di cui ha perso ben presto il controllo. Senilità approfondisce il tema della malattia (poi centrale nella Coscienza di Zeno): Emilio e Amalia sono malati, soffrono amaramente la distanza che sussiste tra i sogni e la realtà. Invece Angiolina e Stefano sono sanissimi e pieni di vita. Senilità è già pienamente un romanzo psicologico: la storia emerge infatti soltanto attraverso il filtro della memoria e del giudizio soggettivo di Emilio. Tutti gli eventi principali (e anche il tempo in cui la vicenda accade) prendono vita in una dimensione solo psicologica e "soggettiva", come accadrà anche nella Coscienza di Zeno.

3 TRAMA Su consiglio del dottor S., medico psicanalista, Zeno redige un diario di ricordi: il suo scopo è guarire dalla nevrosi e smettere di fumare. Poi però Zeno ha interrotto la cura. Per vendicarsi il dottor S. pubblica quel diario privato, scritto in sei parti staccate, che non rispecchiano la cronologia dei fatti, ma solo il disordinato affollarsi dei ricordi nella "coscienza" del protagonista. Emerge così per sequenze non lineari la storia di Zeno. Egli ha interrotto gli studi di chimica e giurisprudenza; è inetto al lavoro e a ogni attività pratica. Si è inimicato il padre e non riesce a smettere di fumare. In ogni sua cosa Zeno è maldestro, e sembra "inciampare nelle cose", come Charlot. È innamorato di Ada, che però preferisce Guido. Vorrebbe Alberta, ma anch'ella Io rifiuta. Si rassegna alla terza delle sorelle Malfenti, cioè Augusta, che invece lo ama: Augusta, che sopporta con serenità la sua abulia e le sue ansie di malato immaginario, si rivelerà sorprendentemente la sposa più adatta a lui. Zeno collabora come può (in un rapporto ambiguo di amore-odio) con il cognato Guido, commerciante. Questi tradisce Ada; vorrebbe fingere di suicidarsi, ma muore davvero, ingerendo una pozione consigliatagli (forse non per sbaglio) da Zeno. E quando Zeno va al funerale di Guido... sbaglia funerale! Nel finale Zeno ha un colpo di fortuna e si arricchisce con il commercio di guerra (siamo al tempo della prima guerra mondiale). Il nome del protagonista è significativo: "Zeno" deriva forse dal greco xénos, "straniero"; il cognome "Cosini", diminutivo di "cosa", esprime la piccolezza del personaggio, non più eroe, come voleva la tradizione, ma uomo normale e insignificante, per giunta inetto e malato. Zeno è un personaggio ambiguo e paradossale. Rispetto ai protagonisti dei primi romanzi sveviani, egli non soccombe, anzi, trova parziali vittorie e soddisfazioni. In realtà, evita di lottare; prende tutto con ironia e indifferenza, accetta le contraddizioni che fanno parte della vita comune e riesce in tal modo a tenere a freno la nevrosi che, secondo Svevo, penalizza tutti gli uomini. Il tema della malattia caratterizza l'intera opera. L'ultima pagina contiene una profezia apocalittica sul destino dell'umanità: una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni farà esplodere il pianeta, che solo così potrà, forse, tornare alla salute. L'autore rinuncia a una ricostruzione puntuale e graduale dei fatti. Zeno ricorda, da vecchio, gli eventi del passato senza però dare a essi un ordine; scrive di getto i propri ricordi, obbedendo al suggerimento del dottor S. In questo procedere disordinato del racconto, che non segue alcun disegno prestabilito, ma obbedisce al libero fluire dei ricordi nella mente di Zeno, si rivela tutta la novità e sperimentalità della scrittura sveviana.

4 Gli autori del Novecento: memoconcetti EMOCONCETTI UN INTELLETTUALE DI FORMAZIONE EUROPEA Svevo accostò autori e opere di respiro europeo, che gli procurarono un vantaggio decisivo rispetto ad altri autori italiani coevi. La poetica In età giovanile Svevo accolse le idee evoluzionistiche di Darwin: ne riprende perciò alcuni temi (per es. l'idea della continua lotta per la sopravvivenza, e il motivo del soccombere degli individui più deboli di fronte ai più forti). Di Darwin, però, Svevo respinge il parallelismo tra comportamento umano e animale. Sempre in età giovanile, Svevo lesse le opere del filosofo tedesco Arthur Schopenauer, da cui riprese l'idea di volontà, in particolare di volontà di vivere: essa però, secondo Svevo, produce angoscia e disordine nel mondo. Nei due primi romanzi sveviani, il tema della volontà ispira gli sforzi dei protagonisti, Alfonso e Emilio, di differenziarsi dagli altri, gli "uomini comuni". Più avanti ebbe modo di leggere Freud. La psicoanalisi ispirerà la struttura narrativa della Coscienza di Zeno, in cui ritroviamo anche sogni, atti mancati, lapsus: tutti strumenti tipici dell'indagine psicoanalitica e ricorrenti nel terzo romanzo sveviano. I PROTAGONISTI "INETTI" L'inettitudine è la caratteristica saliente dei protagonisti sveviani. UN PRIMO RIMEDIO: L'IRONIA Di fronte al male del mondo e ai guasti della psiche individuale, Zeno accoglie il rimedio dell'iròr L'ironia Costantemente attenti all'introspezione, a "guardarsi dentro", i tre protagonisti di Svevo finiscono per sentirsi estranei rispetto alla realtà che li circonda. Ciò li allontana dai valori piccolo-borghesi, incentrati sull'azione e sulla produttività. A sua volta tale sensazione di separatezza finisce per rafforzare in questi personaggi il bisogno dell'analisi interiore, facendo scattare meccanismi di difesa. In particolare: - In Alfonso Nitti l'inettitudine si manifesta nella radicale incapacità di risolvere positivamente le contraddizioni della vita interiore. Il conseguente fallimento esistenziale lo porterà alla rinuncia a vivere e al suicidio finale. - In Emilio Brentani l'inettitudine è una condizione psicologica dominata dall'autoinganno, dall'incapacità di chiarire i propri sentimenti e il proprio vissuto interiore. - Infine in Zeno Cosini l'inettitudine è esemplificata dalla "malattia". Il personaggio non è in sintonia con il mondo che lo circonda: tale inadeguatezza gli fa compiere azioni non consequenziali ai propri desideri originari (non riesce a smettere di fumare, sposa Augusta anziché Ada, sbaglia funerale, ecc.). può servire come strumento critico, per sottolineare impietosamente l'immaturità psicologica dei personaggi e raffigurarne così le contorsioni psichiche. Nella Coscienza di Zeno gli stessi rapporti tra i personaggi finiscono per ribaltarsi sotto lo sguardo ironico dell'autore: per esempio, l'amico-rivale Guido fallisce nell'impresa commerciale, accumula debiti, inscena un finto suicidio e suo malgrado morirà, mentre l'inetto Zeno si riscatta a poco a poco... fino a fare fortuna con il commercio! Il terzo romanzo si conclude con un ultimo scarto di ironia, o di grottesco, assegnando l'unica possibile speranza di rinnovamento a una "esplosione enorme", a una "catastrofe inaudita", vista quale sola occasione di palingenesi e purificazione per l'umanità. Sul piano letterario l'ironia crea esilaranti effetti di vera e propria comicità. UN SECONDO RIMEDIO: LA SCRITTURA LETTERARIA Scrivere serve a conoscersi meglio. Per Svevo scrivere romanzi e racconti non è un fine (com'era per gli scrittori della tradizione), ma semmai uno strumento, utilissimo per cogliere più a fondo l'animo individuale, per svelare le complesse dinamiche della coscienza. Svevo riprese questa convinzione da Freud. Perciò, nelle pagine del suo Diario, l'autore stesso afferma che la scrittura ha senso solo quando giova a mettere a nudo le verità profonde (e nascoste) del nostro essere. 19

5 SEZIONE 1 MEMOCONŒTTI LA FONDAMENTALE SCELTA DEL REALISMO Lo stile Svevo non è uno scrittore di professione, perciò è meno legato alle forme tradizionali. La sua scelta fondamentale è il realismo: la letteratura, cioè, non deve abbellire la realtà, o ricrearne una alternativa, ma deve solo testimoniare questa realtà, bella o brutta che sia. La malattia, l'imperfezione, vanno mostrate come sono; il realismo di Svevo è anzitutto fedeltà alla vita. Di conseguenza egli rifiuta il classicismo e sceglie uno stile vivo, parlato (vicino, per più aspetti, al dialetto). LE INCERTEZZE LINGUISTICHE DEI PRIMI DUE ROMANZI Nei primi due romanzi si coglie un certo impaccio nell'uso della lingua italiana: a Trieste si parlava il triestino; inoltre Svevo aveva dimestichezza con le lingue straniere (prima il tedesco, poi l'inglese) e non con l'italiano letterario. Si spiega così, in Una vita e in Senilità, la presenza di un curioso impasto lessicale: termini e modi di dire dialettali (triestini), tedeschi, francesi. Quanto alla sintassi, alcuni costrutti sono un po' forzati; si riscontrano anche anacoluti. D'altra parte lo scrittore stava faticosamente procedendo, da autodidatta, alla propria formazione letteraria, leggendo i classici della tradizione italiana. Ciò lo porta, nelle prime opere, a utilizzare in maniera spesso poco felice arcaismi (parole antiquate) e toscanismi (termini della tradizione letteraria toscana). Anche questa impurità della lingua conferma l'originalità letteraria di Svevo. L'ORIGINALITÀ STILISTICA DELLA COSCIENZA DI ZENO 4 Nel terzo romanzo il linguaggio di Svevo si fa più sicuro, più "aderente alle istanze analitiche dello scrittore" (B. Maier). Lo scrittore raggiunge così uno stile peculiare, diversissimo dalla tradizionale prosa italiana. Sul piano linguistico l'opera si caratterizza per un linguaggio "parlato", colloquiale, adeguato ai caratteri di un romanzo-diario scritto a uso privato. Sul piano narrativo, la Coscienza di Zeno adotta una particolare tecnica in fieri: l'opera, cioè, prende forma poco per volta, crescendo pian piano su se stessa. Il racconto è svolto in prima persona e il narratore s'identifica con il protagonista; in apparenza i due livelli coincidono, ma a creare distanza tra personaggio e narratore c'è il fatto che l'io narrante descrive avvenimenti risalenti a quando era molto più giovane. Inoltre la narrazione non è mai condotta in modo lineare: l'io narrante attua un continuo passaggio da ieri a oggi, dalla memoria al giudizio critico. C'è lo Zeno che scrive nel presente, e quello che racconta del proprio passato; e mentre racconta, fa uso continuo dell'ono/ess/ o flashback (per informare il lettore su ciò che precede) e della prolessi o anticipazione (per informare sui fatti futuri). Il risultato finale è che viene sconvolta la scansione cronologica degli avvenimenti: il tempo acquista una dimensione puramente psicologica, coerentemente alle ricerche degli autori europei coevi (Proust, Joyce, Mann e altri). IL MONOLOGO INTERIORE Svevo fa largo uso del monologo interiore: dà, cioè, la parola al personaggio che pensa a voce alta. Tale procedimento, attuato già nei due romanzi giovanili, si fa sistematico nella Coscienza di Zeno: qui la narrazione pare "trasformarsi in un dialogo tra l'attore che subisce i fatti e l'autore che s'insinua nello spazio della coscienza per commentarli e giudicarli" (M. Guglielminetti). NEL GIUDIZIO DELLA CRITICA Dopo forti perplessità iniziali, la critica ha riconosciuto che il linguaggio e lo stile sveviani sono funzionali sia a rendere realisticamente il modo di esprimersi dei personaggi di Svevo, sia a esprimere il tormentato lavoro d'introspezione del narratore. Svevo testimonia la fine delle certezze tipica della cultura d'inizio Novecento, scettica sul fatto che esistano strumenti intellettuali capaci di far luce sul mondo interiore. I suoi personaggi sono parenti stretti degli antieroi, incerti e perplessi, del romanzo europeo di quei decenni. 20

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