ASL RM/B SMRE CONSULTORIO FAMILIARE SAN BASILIO CICLO DI SEMINARI SUL PROCESSO TERAPEUTICO. Anno 2011 LA FASE CONCLUSIVA DELLA PSICOTERAPIA

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1 ASL RM/B SMRE CONSULTORIO FAMILIARE SAN BASILIO CICLO DI SEMINARI SUL PROCESSO TERAPEUTICO Anno 2011 LA FASE CONCLUSIVA DELLA PSICOTERAPIA 8 Giugno 2011 Supervisore Dott. Leonardo Luzzatto Contributo teorico clinico Dr.ssa Alessia Mezzani 1

2 LA FASE CONCLUSIVA DELLA PSICOTERAPIA L argomento di cui oggi tratteremo riguarda una fase specifica del processo terapeutico, ovvero la fase conclusiva. Affronteremo tale questione secondo l orientamento psicoanalitico, proponendo degli spunti di riflessione teorica. Seguirà la presentazione di un caso clinico, in cui verranno evidenziati alcuni aspetti peculiari della fine della relazione terapeutica. Nella prima parte del lavoro faremo riferimento alla teoria psicoanalitica, mutuandone dei concetti, benché consapevoli che, per una serie di motivi, tra cui il setting, il lavoro da noi svolto in questa sede istituzionale non può essere considerato strettamente analitico. Prima di parlare della conclusione di una terapia abbiamo voluto interrogarci su quali siano i suoi fini. Pontalis (1997) descrive l analisi attraverso un immagine marinara Non parliamo di viaggio o di avventura troppo romanzesco no, abbiamo solo il presentimento, analista e paziente, che comincia una traversata, la nostra, senza troppo sapere ciò che l imbarcazione trasporta nella stiva tesori ed esplosivi senza disporre di una mappa per assicurarci che la strada seguita sia la migliore, senza garanzie che arriveremo in porto. Un esperienza che porta a situazioni nuove, imprevedibili, non conosciute prima, ma dopo la quale le cose non saranno più le stesse. Nel corso del tempo, vari autori di orientamenti diversi hanno individuato degli obiettivi principali di un processo terapeutico, tra i quali: il rafforzamento dell Io, la risoluzione di angosce persecutorie e depressive, la risoluzione del transfert, l elaborazione della perdita e del lutto, la strutturazione e l ampliamento del Sé. Nel momento in cui si inizia un trattamento psicoterapeutico si dovrebbe aver chiaro in mente sia l obiettivo sia la sua conclusione. Winnicott (1965) affermava Allorché svolgo una psicoanalisi io miro a stare vivo, stare bene, stare sveglio. Miro ad essere me stesso e a comportarmi di conseguenza. 2

3 Una volta che ho iniziato un analisi mi attendo di continuarla, di sopravvivere ad essa e di terminarla. Mi piace condurre un analisi e ne attendo sempre la fine. L analisi per amore dell analisi non ha significato per me. Può accadere, nel corso della terapia, che il paziente individui delle situazioni per separarsene (dalla terapia), ma ciò può veicolare, di volta in volta, significati specifici, fantasie e desideri consci ed inconsci, ma soprattutto è importante, anche con l aiuto di questa, che egli riesca ad effettuare le trasformazioni necessarie per separarsi e trovare le risorse interne per realizzare la separazione: le risorse possono essere acquisite anche attraverso l utilizzazione degli aspetti della realtà esterna. Quando si fissa la data della conclusione è facile che emergano sentimenti di perdita. Il paziente manifesta il bisogno di essere rassicurato sia rispetto all affidabilità dell oggetto interno, ma anche rispetto al possibile ritrovamento dell oggetto reale. Il tempo dell analisi non deve essere pensato come isomorfo a quello della vita ci ricorda Gilda De Simone (1994). Spesso infatti, nella fase conclusiva della terapia vengono enfatizzati eccessivamente gli elementi connessi con la perdita ed il lutto (De Simone, 1994), mentre si può concepire la fine dell analisi come un nuovo inizio. La conclusione della terapia può infatti essere concepita come un processo di lutto ma, allo stesso modo, potrebbe implicare la riattivazione di un timore fobico di rimanere solo e senza protezione. A volte il lutto nasconde una sottile strategia difensiva, il paziente non vuole portare avanti il miglioramento per timore degli oggetti interni nocivi, che sente come persecutori. Il lutto per gli oggetti persecutori che non lasciano crescere è un falso lutto e la cosa migliore da fare è espellerli per liberarsene. Il compito del terapeuta è di smascherare questa strategia difensiva invece di accettare i falsi sentimenti di lutto, lasciando spazio ad un vissuto di affermazione e soddisfazione. A partire da un sentimento di perdita e di nostalgia inevitabili, il paziente si assume la responsabilità di portare a termine un lavoro intrapreso come persona indipendente. 3

4 Come dice Eliot (1943) Ciò che chiamiamo l inizio è spesso la fine e finire è spesso cominciare. La fine è il punto da cui partiamo. In tutte le conclusioni sicuramente è possibile evidenziare sentimenti di perdita e di distacco così come il desiderio di spostarsi su altri possibili investimenti. Un criterio per concludere può essere quello di valutare che il paziente sia in grado di tollerare la separazione, verificare che essa non sia vissuta in modo difensivo, ma sia integrabile con i sentimenti di tristezza e nostalgia. Spesso si può evidenziare la negazione maniacale di questi sentimenti, oppure si può verificare che vengano vissuti senza che essi ostacolino il percorso trasformativo. La terapia spesso termina proprio nel momento in cui diventa più creativa e piacevole, a volte dopo lunghi periodi carichi di aggressività e noia e ciò, si può riflettere, può causare delle difficoltà anche al terapeuta stesso, che può esprimere delle resistenze alla separazione, perché è lui a doversi confrontare con il sentimento di lutto e perdita. Con il paziente il terapeuta perde anche un proprio aspetto interno, un immagine narcisistica collegata alle costruzioni che egli ha fatto con il suo paziente. Nell affrontare gli aspetti tecnici sulla conclusione dell analisi non possiamo prescindere dalla teoria che sottende il lavoro clinico; il problema teorico infatti consiste nella identificazione della fine della terapia, ovvero stabilire quando è il momento di terminare il percorso terapeutico con il paziente. In un ottica di campo, dovremmo considerare che esso è strutturato dall apporto della vita mentale di paziente e terapeuta, dall interagire delle loro difese, dei loro transfert e di identificazioni proiettive: il fine della terapia è quindi qualcosa di molto specifico volta per volta, e di specifico a quella coppia. I criteri di guarigione inoltre sono diversi in base alla teoria di riferimento che prendiamo in considerazione, che riscontrerà dei segni clinici indicativi affinché si possa parlare di conclusione. Ciò che ci auspichiamo è che la terapia finisca quando gli obiettivi prefissati vengono raggiunti. 4

5 Vista la tematica che stiamo affrontando, non possiamo esimerci dal fare riferimento ad Analisi terminabile e interminabile, uno degli ultimi scritti di Freud. Egli individua tre fattori fondamentali che influenzano fortemente l esito di un analisi: la forza costituzionale delle pulsioni, le alterazioni dell Io e l eziologia traumatica. La terminabilità di una terapia comporta la liquidazione di una premessa di interminabilità che appartiene alle categorie della relazione. È la funzione del terapeuta a porre la terminabilità di un processo terapeutico ed è la funzione terapeutica internalizzata dal paziente che ripropone l interminabilità nella riformulazione del senso di quanto avverrà dopo la terapia, con la ripresa degli indici di senso costruiti nel corso del processo terapeutico. In altri termini, la relazione terapeutica è terminabile nella realtà, ovvero paziente e terapeuta smettono di incontrarsi, ma è interminabile poiché una volta interiorizzata, viene mantenuta viva e operante nella mente del paziente. Semi sostiene che Il compito dell analisi viene a terminare quando il desiderio reciproco si estingue (Flournoy, 1985a); esso è stato, nel corso del processo terapeutico, elaborato e rielaborato, declinato tra il qui-ora e l altrove-allora ci riferiamo proprio al valore mutativo della rimemorazione (Freud, 1914; Kris, 1955) nel tempo a posteriori -, spostato e mediato nei suoi affetti, attraverso il discorso e il linguaggio terapeutico. Il paziente può dunque, nell illusione di una relazione interminabile, disimpegnarsi e aprirsi alla virtualità del ricordare nel ritrovamento simbolico di oggetti (che siano i propri oggetti interni o l analista stesso), accettati nella loro perdita e finalmente segnati dalla rinuncia. Secondo Freud (1937a) la fine dell analisi è il momento in cui paziente e analista smettono di incontrarsi in occasione delle sedute analitiche. E lo faranno quando si siano all incirca realizzate due condizioni: la prima che il paziente non soffra più dei suoi sintomi e abbia superato sia le sue angosce, sia le sue inibizioni; la seconda che l analista giudichi sia stato reso cosciente al malato tanto materiale rimosso, e siano 5

6 state chiarite tante cose inesplicabili, e debellate tante resistenze interne, che non c è da temere il rinnovarsi dei processi patologici in questione (p. 502). Vengono individuati tre criteri per valutare concluso un percorso terapeutico: Quello che si ispira all ideologia clinico-terapeutica: il paziente non deve più soffrire di sintomi o di inibizioni di qualsiasi genere; Quello che si ispira all ideologia maturativo-adattiva: il paziente deve aver raggiunto la capacità di stabilire relazioni oggettuali soddisfacenti, mature, deve essere capace di creatività e di gioco, ma nello stesso tempo deve essere in grado di saper gestire la propria e altrui aggressività e di tollerare le frustrazioni; Quello che deve garantire le modifiche avvenute nel mondo interno, modifiche strutturali, topiche ed economiche, nel senso di una migliore armonia tra Es, Io e Super Io, di una riduzione delle rimozioni e un ampliamento della consapevolezza, e di un impiego delle energie libidiche in modo efficace e non dispersivo; fondamentali sono anche il ridimensionamento delle idealizzazioni, il raggiungimento della capacità di vivere il lutto e la separazione e la raggiunta acquisizione della funzione autoanalitica. Sono diversi gli aspetti sui quali il terapeuta deve porre la propria attenzione nella fase conclusiva della terapia. E importante, ad esempio, che non si basi sui segni clinici proclamati, ma sarebbe ben più importante che il paziente raccontasse di sfuggita degli aspetti della sua vita o delle sue relazioni e che venissero confermate dal racconto di un sogno. Occorre inoltre prestare attenzione all andamento dei rapporti familiari; in seguito alla terapia il paziente può aver sviluppato una maggiore capacità di perdonarsi, e di conseguenza può meglio tollerare gli altri. 6

7 Non si può sottovalutare l importanza della modificazione dei sintomi, intesi anche come tratti caratteriopatici. La diminuzione dell angoscia e della colpa è un segno clinico importante, come anche riuscire ad affrontarle e gestirle. Un altro indicatore centrale è il contenuto dei sogni, poiché esso può esprimere la qualità della fantasia inconscia; come scrive Freud se possiamo accettare che i desideri censurabili che appaiono nei nostri sogni ci appartengono, è perché siamo capaci di osservare senza deformazioni la nostra realtà psichica e perciò siamo vicini alla conclusione dell analisi (Freud in La responsabilità morale per il contenuto dei sogni, 1925). Ciò che occorre rilevare inoltre, è l aumento della capacità e l espressione linguistica del paziente nei momenti di insight, che rappresentano l espressione di un lungo processo di elaborazione che avviene nella seduta ma che certamente proseguirà anche al di fuori. Quando un paziente vuole terminare il proprio percorso terapeutico comincia a far capire, più o meno esplicitamente, che tutto sommato sta bene e che è soddisfatto dei risultati raggiunti, lascerà intendere o dirà apertamente che la terapia comincia a pesargli, farà sogni in cui in genere compaiono temi quali la nascita, la crescita, viaggi o chiederà apertamente di finire. L analista dovrà quindi seguire tre passaggi fondamentali: dovrà prima concordare che l analisi deve finire, poi che dovrebbe finire entro un certo tempo; in questa fase, si faranno sentire quei problemi di controtransfert che possono portare il terapeuta ad abbreviarla o ad allungarla. Se tutto procede bene, con il tempo, fisserà un termine preciso. Il tempo dipende dal tipo di paziente, ma in parte anche dal fatto che il problema della conclusione sia già stato affrontato nel corso del trattamento e sia già stato almeno in parte elaborato. Sarebbe opportuno definire la data precisa con due o tre mesi di anticipo, nei quali la separazione occupa molto dello spazio terapeutico; un tempo maggiore non sarebbe realistico, poiché sarebbe impegnato ancora dall elaborazione del distacco; un tempo 7

8 più breve invece non darebbe il tempo necessario per elaborare opportunamente la fine. Il terapeuta deve fare in modo che la data prefissata venga rispettata e non modificare il termine, perché ciò comporterebbe rendere nullo il contratto; sarebbe più utile invece lasciare aperta la possibilità di un nuovo percorso terapeutico, magari con un altra persona. Una fine del trattamento di questo tipo è da considerarsi naturale, perché avviene spontaneamente e trova concordi paziente e terapeuta. In altri casi può verificarsi un interruzione precoce agita dal paziente o esistono percorsi terapeutici infiniti che sono tali perché gli istinti sono costituzionalmente troppo forti, l Io è troppo alterato da difese molto intense, che si esprimono sotto forma di resistenza al trattamento o di reazione terapeutica negativa (dovuta cioè al senso di colpa ad affrancarsi dalla sofferenza, dalla malattia) o comunque di soddisfacimento del proprio masochismo. In questi casi si deve ricorrere ad una fine artificiale in cui è il terapeuta a dover fissare un termine entro il quale pensa di riuscire a raggiungere una conclusione, se non ideale quantomeno soddisfacente. Alcuni consigliano l uso di tecniche attive per responsabilizzare il paziente ed indurlo ad investire sulla realtà esterna e a disinvestire il trattamento. Interventi di questi tipo rischiano di stimolare un transfert negativo, sempre latente in una fase conclusiva del percorso terapeutico, che accentuerà le resistenze alla conclusione. Probabilmente è più opportuno far presente al paziente le sue difficoltà a concludere il trattamento, proponendo un periodo finale della terapia dedicata alla risoluzione di tale difficoltà. Il senso, quindi, è quello di provare a finire per riuscire a finire. Questa tecnica permette di analizzare i problemi relativi alla fine del trattamento e spesso porta ad una soluzione soddisfacente. 8

9 Bisogna inoltre ricordare che a volte il distacco non viene effettuato in tempo, portando così ad una ipermaturazione, ovvero un periodo in cui il paziente sa di aver ottenuto delle cose importanti e che altre non potrà ottenerle, quindi si innesca un processo morboso che non permette una separazione. Da parte del terapeuta dunque ci si aspetta una decisione coraggiosa, che interrompa il processo infruttuoso e che apra ad un contatto umano più forte. Polito sostiene che nel periodo conclusivo, è particolarmente importante che il terapeuta faccia una costante valutazione dell andamento del processo: un confronto oggettivo tra la situazione attuale con quella di momenti precedenti, per evidenziare i cambiamenti avvenuti. Bisogna dunque essere pronti a cogliere il momento in cui il paziente percepisce che la terapia è entrata nella fase finale e poi concordare, eventualmente, con la sua valutazione; l opinione del terapeuta introduce un elemento reale, e solo quando egli sarà d accordo inizierà la fase conclusiva, che prenderà un tempo non breve. Questa fase vedrà momenti di avanzamento, di integrazione, ed altri di inspiegabile regresso, che raggiungerà il culmine quando verrà concordata una data. Molti autori sostengono che non debba mai essere lo psicoterapeuta a proporre la conclusione, ciò che invece può fare è interpretare che il paziente possa terminare, che lo desidera o lo teme, nel momento in cui sente che questi moti interni si agitano e che il paziente tende a reprimerli. In ogni caso non esprime un opinione a riguardo, ma indaga quanto profondo sia il pensiero del paziente e tiene per sé il proprio. Ad un certo punto però il paziente chiederà una opinione a riguardo, ed il terapeuta non potrà sottrarsi, ma dovrà farlo in modo attento e senza anticipare quello che ancora non si pone. In generale il parere del terapeuta corrisponde a idee consce o inconsce del paziente e in questo modo andranno a definirsi i termini della conclusione, che saranno tendenzialmente irrevocabili. Alcuni analisti, come Edith Buxbaum, rispettano i modelli infantili del paziente, il suo stile o la sua storia, per stabilire il modo in cui terminare l analisi. 9

10 Ad esempio, nel caso di un paziente con una madre iperprotettiva che esprime il desiderio di terminare un analisi, potrebbe essere utile concederglielo al fine di correggere quell esperienza infantile disfunzionale. L incontro conclusivo tra paziente e terapeuta rappresenta la fine di un percorso compiuto per un lungo periodo di tempo, che è stato di relazione profondamente intima, di ricerca, di trasformazione, di lavoro. Generalmente nell ultimo incontro terapeuta e paziente rievocano insieme le tappe più importanti del trattamento, per confrontare i loro punti di vista sui risultati raggiunti. È l incontro tra due persone che hanno vissuto insieme un avventura sofferta e affascinante. Possono essere entrambi soddisfatti oppure può accadere che uno dei due o entrambi debbano riconoscere che qualche problema non abbia trovato completa soluzione. È importante sottolineare che spesso la fine della relazione non rappresenta la fine anche del processo terapeutico, il quale, essendo un movimento interno al paziente, può continuare, spesso molto attivamente, in modo spontaneo, anche dopo la conclusione del trattamento. Nel periodo successivo alla fine della terapia, si sviluppano fasi diverse (Guiard); inizialmente si sente la mancanza del terapeuta e si desidera un suo ritorno, segue poi una fase maggiormente elaborativa, nella quale l ex paziente ricerca una propria autonomia e tollera la solitudine ed infine la fase della risoluzione, in cui si raggiunge l autonomia. Data la naturale e fisiologica sequenza delle fasi, è opportuno saper aspettare tutto il tempo che è necessario al processo post-terapeutico, e riprendere la relazione solo se si è certi che non evolverà nel modo auspicato. Bisogna sempre tener presente che si è importanti durante la terapia poiché c è un processo potente di transfert, che in parte si risolve e in parte irrimediabilmente si perde. Lo psicoterapeuta dunque, assumerà un posto importante nel ricordo, non più nella vita del paziente; il suo destino (conscio) infatti è la nostalgia, l assenza e, nel 10

11 tempo, l oblio (anche se la relazione tra paziente e terapeuta persiste, ma interiorizzata). La conclusione della terapia comporta un doppia perdita, transferale e reale: la prima è inevitabile, poiché anche nelle terapie più riuscite rimangono resti di transfert; insieme a questa perdita di oggetti transferali il paziente perde anche lo stesso psicoterapeuta, per cui è inevitabile che ciò avvenga con dolore (Annie Reich, 1951). Alcuni terapeuti danno la possibilità ad ex pazienti di incontrarsi occasionalmente per parlare di problemi che insorgono nel periodo successivo alla fine della terapia; aderire a tali richieste potrebbe essere rischioso poiché potrebbe essere un modo celato per continuare o per ricominciare. Freud affermava che il legame affettivo di intimità che l analisi lascia è molto forte, ed è logico che un ex paziente, quando attraversa un momento critico, voglia parlare con lui che è stato il suo analista. L esperienza della conclusione comunque dovrebbe essere concreta e poco ambigua, pur lasciando al paziente la libertà di tornare se lo desidera. E importante inoltre mantenere sempre un certo riserbo, poiché non possiamo avere la certezza che il paziente non avrà più bisogno della sua terapia. Potrebbe sembrare superfluo specificare che la relazione terapeutica non dovrebbe essere trasformata in amicizia, poiché presenta un inconveniente: il paziente sarebbe nella condizione di non avere più un riferimento nel caso volesse tornare a proseguire il suo percorso psicoterapeutico. Il compito principale del terapeuta, è quello di accompagnare il paziente verso il suo naturale processo di autonomia e di svincolo dalla cattività, per andare da solo verso la libertà esterna al luogo terapeutico, come se fosse una metafora- ripetizione dell esperienza della nascita (Balint, 1968). Fase conclusiva della psicoterapia Esemplificazione clinica Il caso di Anna 11

12 Nel tentativo di illustrare alcune delle caratteristiche della fase finale di una psicoterapia abbiamo scelto di presentare, a titolo esemplificativo, il percorso terapeutico di Anna. Dato lo scopo del presente lavoro, verrà presentato un quadro sintetico del percorso intrapreso per poi proporre alcuni stralci dei colloqui relativi alla fase finale della terapia, fase che è tutt ora in corso. Anna è una donna di 37 anni (ora 40), di corporatura robusta, molto curata nell aspetto, si definirà molto vanitosa. È calabrese di origine, ma si è trasferita a Roma all età di 19 anni per intraprendere l università. Ha conseguito una laurea in Lettere ad indirizzo archeologico. Vive, da circa cinque anni, con il compagno Giorgio, un uomo più giovane di lei, dividendo l appartamento con un altro ragazzo e lavora presso una Università telematica. Si è rivolta al servizio alla fine del 2008 esprimendo così il motivo della sua richiesta: E da un po di tempo che ci pensavo, vorrei fare chiarezza nella mia vita. Dai colloqui iniziali emerge che Anna è la primogenita di quattro fratelli, nata quando la madre aveva 16 anni. In modo con-fuso viene tratteggiata l immagine di una famiglia con confini ben poco definiti, i cui membri sembrano adottare modalità piuttosto intrusive gli uni nella vita degli altri. Anche i ruoli sembrano poco definiti, la madre sembra aver delegato ad Anna il compito di occuparsi e preoccuparsi dei due fratelli più piccoli: Paolo di 26 anni ed Emilia di 21, figure che torneranno spesso durante i nostri incontri e, solitamente, tratteggiate come poco autonome. Di contro, A. sembra non riuscire ad assumere il ruolo che le compete rispetto ai fratelli, verso i quali sembra porsi più come una madre che come una sorella maggiore, fino anche con il compagno. Giorgio sta ancora studiando, non ha un lavoro e dai suoi racconti sembra ancora dipendere molto dalla famiglia d origine sia economicamente che affettivamente. 12

13 Sulla base di quanto emerso sembra che Anna stia chiedendo di essere accompagnata a fare un passaggio evolutivo ( fare chiarezza e ordine nella mia vita ). Progredire da una modalità relazionale fusionale, per approdare a confini tra sé e l altro più definiti, dall indifferenziato ad un senso di separatezza/differenziazione tra sé e l altro, le viene pertanto proposta una psicoterapia. Trascorrono quasi due anni in cui, progressivamente, si verificano alcuni cambiamenti: A. e G. decideranno che non è più il caso di avere un inquilino in casa, desiderosi di una vita di coppia più intima. Nonostante ciò continueranno ad offrire ospitalità ai membri delle rispettive famiglie, pur manifestando una sempre maggiore insofferenza per la frequente presenza di altre persone. Nel mese di Aprile del 2010 fisseranno la data del loro matrimonio (maggio 2011) e, con entusiasmo, inizieranno ad occuparsi dei relativi preparativi. A. riuscirà ad ottenere una promozione sul lavoro, tornando ad assumere un ruolo di responsabilità all interno dell azienda. Nei mesi di novembre e dicembre del 2010 A. porterà spesso comunicazioni relative a cicli che finiscono per dare avvio a nuovi cicli, solitamente in relazione alle questioni relative al matrimonio, matrimonio che vede come portatore di nuove rappresentazioni di sé e della coppia. Durante un colloquio del mese di dicembre dirà: vede tutta una serie di tasselli si stanno mettendo al loro posto, mi rendo conto che stanno cambiando delle cose anche grazie al matrimonio, come se stia finendo un ciclo e si sita avviando un nuovo ciclo. Ho la sensazione che una fase si stia concludendo per dare avvio ad una nuova fase. Oggi io stessa rifletto in modo diverso prima ragionavo come fossi da sola tipo dicevo la mia casa, oggi penso alla nostra casa. Non saremo più solo due fidanzati, ma marito e moglie penso che cambierà anche la visione che gli altri hanno di noi e sono convinta che questo farà sì che si comporteranno in modo diverso. Più avanti nello stesso colloquio si soffermerà a riflettere sul suo percorso terapeutico, in relazione ai cambiamenti che nota rispetto a se stessa, dicendo: Sa l altra volta ci pensavo, ormai sono tre anni che vengo qui e pensavo che è tanto tempo (in realtà lei ha iniziato il suo percorso 13

14 alla fine del 2008 quindi ha una percezione che sia trascorso un anno in più rispetto al tempo reale di 2 anni) continua e sono proprio contenta di me perché sono riuscita ad affrontarlo con costanza, senza fare mai un assenza io proprio io il mio limite è sempre stata la costanza, sono stata proprio brava e oggi mi sento capace più di prima di prendermi le mie responsabilità. Sulla scia di queste comunicazioni io comincio a riflettere sulla possibilità di cominciare ad affrontare la questione relativa alla conclusione del nostro percorso terapeutico. Anche il nostro potrebbe rientrare all interno di una fase che sta finendo per dare avvio ad una nuova fase. Una fase in cui, grazie ai movimenti interni fatti da A. durante questi anni, possa continuare da sola quanto iniziato insieme. Di fatto A. si mostra più capace di operare una serie di differenziazioni tra sé e l altro in particolare rispetto alla madre ed al fratello. Se prima accettava a malincuore che la madre chiamasse lei per avere notizie dei fratelli senza chiedere nulla che la riguardasse, oggi, dopo essere riuscita a confrontarsi con la madre rispetto a questa particolare dinamica tra loro, la madre sa che se vuole avere notizie dei fratelli deve chiamare direttamente loro senza passare per A. Qualcosa di simile accade con il fratello con il quale prima sembrava identificarsi completamente. Inizialmente viveva con estrema angoscia i momenti di difficoltà del fratello come fossero i propri, perdendo così di vista i confini tra loro tanto da avere estrema difficoltà a porre e porsi dei limiti rispetto alle sue richieste (P. si presenta a casa in qualsiasi orario, mangia quotidianamente da loro, le porta i panni da lavare e stirare, usa la loro auto come fosse propria). Progressivamente, con non poche difficoltà e conflitti, A. riesce a porre dei limiti ed inizia a pensare al fratello come ad una persona che deve essere in grado di fare le proprie scelte ed assumersi le proprie responsabilità senza sentire l esigenza di intromettersi o sentirsi terribilmente in colpa. 14

15 Inoltre, per citare Ferro (1996), sembra si avvenuta un introiezione da parte di A. delle qualità mentali dell analista, un introiezione del metodo che l analista usa per trattare emergenze emotive, passioni e pensieri Sulla base di queste riflessioni a febbraio ritengo opportuno proporre ad A. quanto ho pensato rispetto al nostro percorso terapeutico, avendo in mente come possibile termine per i nostri incontri il mese di luglio. Di seguito saranno riportati gli stralci del colloquio, avvenuto il 10 febbraio, in cui ho proposto alla paziente la fine della terapia e, di seguito, le parti significative dei colloqui seguenti. A. inizia il colloquio comunicandomi che finalmente ha ottenuto il passaggio di livello anche sulla busta paga. Precisa che il direttore del personale in persona ha voluto darle la notizia. Continua dicendo: Ho avuto un motto d entusiasmo però rispetto al passato il vissuto è stato meno travolgente. Prima avrei chiamato tutti, colleghi parenti e lo avrei detto in modo straripante invece questa volta no mi sono sentita contenta, ma in modo più contenuto poi sì l ho detto a Giorgio, alla mia collega a mia madre, ma in modo più calmo. Avendo in mente l idea di dare avvio alla fase finale, decido di non proporle riflessioni legate ad antiche rappresentazioni di sé e dei suoi oggetti interni e delle loro relazioni, come il legame che sembra esserci tra la figura del direttore del personale e la madre, ma indirizzo i miei interventi sulla valorizzazione delle nuove risorse espresse attraverso questa sua comunicazione. Riflettiamo, quindi, su due aspetti: 1- la possibilità di sentire che quanto ottenuto sia il frutto dei suoi sforzi, delle sue risorse e capacità e non frutto di decisioni arbitrarie estranee a lei, sottolineando la differenza rispetto al vissuto provato in relazione al demansionamento, demansionamento vissuto come punizione ingiusta; 2- la maggior capacità di operare delle differenziazioni tra le persone scegliendo, così, di non 15

16 raccontare a tutti indistintamente qualcosa di sé, ma condividendo la buona notizia solo con chi le sta più a cuore. Rispetto a tali riflessioni A. si trova d accordo e dice: vede tutto procede tanti tasselli si stanno mettendo al loro posto. Decido, con non poca agitazione, di comunicarle le mia idea relativa alla conlusione: in questi mesi ho riflettuto attentamente su quanto sta emergendo durante i nostri incontri. Lei spesso ha parlato di tasselli che vanno al loro posto, di fasi che si concludono dando avvio a nuove fasi e un idea ha iniziato ad albergare in me relativa alla conclusione del nostro percorso. In particolare mi è rimasta in mente la sua riflessione, di qualche tempo fa, sul suo percorso terapeutico e anche rispetto all interruzione natalizia durata un mese in cui lei si è sentita serena e capace di fare da sola per quel periodo. Non so se mi sbaglio, ma mi chiedevo se anche lei avesse iniziato a fare qualche riflessione a riguardo? Mentre parlo sembra cogliere subito il senso della mia comunicazione, sembra trattenere il fiato e, senza celare un certo rammarico, dice: beh è vero anche io stavo rivedendo il mio percorso qui in realtà lo so da sempre che prima o poi sarebbe giunto questo momento - fa una pausa poi riprende dicendo- beh io questa fine voglio vederla non tanto come una fine, ma come un nuovo inizio, l inizio di poter fare da me delle cose, di poter fare da sola delle riflessioni che fino ad oggi ho fatto qui con lei, perché lei mi ha aiutato tantissimo. Rispetto all inizio anche io lo sento che vivo le cose diversamente prima trattenevo il fiato e sentivo quel peso all altezza della bocca dello stomaco quando c erano delle preoccupazioni, ora non mi capita più c è un altro breve silenzio poi poi immagino che se avessi bisogno potrei contattarla. Io annuisco e, nel tentativo di iniziare ad offrirle una visione diversa della fine di un rapporto rispetto a quella da lei sviluppata in relazione alla sua storia, concludiamo il colloquio riflettendo sul fatto che la fine del nostro percorso possa rappresentare 16

17 un opportunità per fare l esperienza di una separazione piuttosto che di una rottura, a differenza di quanto accadutole in passato a causa di conflitti familiari. Al colloquio successivo arriverà con cinque minuti di ritardo (lei che è sempre arrivata con almeno 15 minuti di anticipo), trafelata si accomoda in stanza dicendo: mi scusi tantissimo, ma purtroppo la via adiacente al consultorio era tutta bloccata e l autista dell autobus non ci ha permesso di scendere. Mi limito ad annuire tenendo conto dell elemento di realtà portatomi. Durante questo colloquio si soffermerà a lungo sulla figura della zia materna che di recente è in conflitto con la madre per questioni legate all eredità. A riguardo dirà: in questi giorni ho provato a contattare mia zia due volte, ma non mi ha mai risposto. La sto chiamando perché voglio invitarla al matrimonio. Si sofferma sui problemi sorti tra la zia e la madre e sulle critiche che la zia si è permessa di fare nei confronti di G.. Le chiedo se invitare la zia rispecchi un suo desiderio o sia una formalità. A. risponde: ho pensato che nelle beghe tra mia madre e mia zia non ci voglio entrare, già è successo in passato e penso che a me farebbe proprio piacere che mia zia venisse perché per me è stata sempre una figura importante in fondo lei c è sempre stata in tutte le occasioni importanti quello che penso realmente è che è lei che ora sta mettendo dei paletti e ci sta tenendo fuori. Dopo una pausa continua: lei è sempre stata importante però oggi mi chiedo se sia altrettanto per lei in realtà comincio a pensare che sia molto egoista per esempio l anno scorso è stata a Roma e ci ha aiutato a dipingere casa, oggi penso che lo abbia fatto non tanto per fare un piacere alla nipote, ma perché voleva stare in compagnia. Mentre A. parla della zia mi chiedo se in realtà stia parlando di me e di quanto per lei il nostro rapporto sia importante e non sia più sicura che per me sia altrettanto importante visto che voglio lasciarla sola. Decido quindi di chiederle se questo lungo 17

18 discorso sulla zia non abbia anche a che fare con quanto ci siamo dette la volta precedente rispetto alla fine del nostro rapporto. A. prima che io finisca assume un espressione come di chi ha ben compreso cosa intendo, abbozza un sorriso imbarazzato e dice: beh penso che un po c entra e che abbia a che fare con le mie paure le confesso che un po mi spaventa il dover fare da me, però penso anche di potercela fare perché durante l interruzione di natale in cui non ci siamo viste per un mese in realtà ci ho pensato anche io che stavo bene senza venire qui. Poi è arrivato il momento di fare i miei passi da sola, di assumermi le mie responsabilità. So che probabilmente mia zia non verrà, però la scelta di invitarla, di chiamarla è mia. Alla fine di marzo A. porta un sogno che definirà surreale : ero fuori casa di mia nonna, era il giorno del mio matrimonio e vedo arrivare mio fratello a bordo di una limousine. Però la parte posteriore dell auto era quella di una Fiat Uno. Io ero sotto shock perché non era l auto che avrei voluto, poi era tutto così strano, mio fratello che riusciva a passare per le vie strette con quella macchina così lunga. Dall auto scende G. con un abito blu lucido ed una corona di edera al collo e anche questo proprio non mi piaceva. Gliel ho detto a G. tutto tranne un abito lucido. Poi io non riuscivo a truccarmi, mi sbavavo di continuo e non riuscivo a farmi fare i capelli dalla parrucchiera, ogni volta che finiva io li disfacevo e lei, calma, li rifaceva. Rispetto al sogno si sofferma sul fatto che fosse ambientato a casa della nonna, un luogo importante per lei dove c è sempre stata la zia. Considerata la fase del nostro percorso, decido di sottolineare gli aspetti del sogno che attengono alla separazione con le sue implicazioni. Le faccio notare che nel sogno si verificano una serie di cose che lei non vuole, mentre penso che la nostra prossima separazione riattiva antiche questioni come la separazione dai genitori a otto anni, o alcune rotture familiari. 18

19 A. risponde: sì lo so rispecchia delle mie paure che dall esterno non si vedono perché sto facendo le cose con serenità perché ho le idee chiare, poi credo che abbia a che fare anche con mia zia. La scorsa settimana sono riuscita a sentirla. Lei ci ha provato a tirare fuori le questioni con mia madre però le ho detto che non volevo entrarci in questa questione e che la invitavo perché mi avrebbe fatto molto piacere che venisse. Alla fine della telefonata mi ha detto che ci avrebbe pensato. Con queste sue affermazioni A. mi offre l opportunità di sostenere e rafforzare le sue difese più mature, continuando ad affrontare le tematiche legate alla separazione. Le faccio notare come sia stata capace di rimanere centrata su se stessa e sul suo desiderio legato alla presenza della zia, piuttosto che intromettersi in questioni che non la riguardano direttamente. Le propongo anche una riflessione legata alle paure di cui parla, che forse non sono solo legate ai preparativi del matrimonio, ma anche alla conclusione della terapia per cui sembra chiedersi potrebbe accadere qualcosa che non voglio? come nel sogno. A. beh un po ho paura di non venire più qui, però come ho già detto credo sia arrivato il momento di fare i miei passi da sola. Nel tentativo di contenere la sua tendenza alla razionalizzazione le dico che è comprensibile sentirsi spaventati, di fatto con la fine della terapia io non potrei prometterle che starà sempre bene, la vita le presenterà nuovi momenti di gioia e di dolore, ma, rispetto a quando è arrivata qui, credo che potrà affrontarli con modalità diverse rispetto al passato. Modalità di cui continueremo a parlare durante i due colloqui che precedono l interruzione per il matrimonio in cui i miei interventi saranno centrati sulle maggiori capacità di operare differenziazioni tra sé e l altro e di percepire confini maggiormente definiti nel tentativo di fare con lei una ricapitolazione del suo percorso così da mostrarle come funziona oggi rispetto al passato. 19

20 Nel penultimo colloquio si dilunga a parlare dell addio al nubilato, mostrandosi molto arrabbiata per essere stata coinvolta nell organizzazione e resa partecipe dei problemi organizzativi che la sorella e le amiche stanno affrontando, tanto da minacciare di non partecipare. Avrebbe voluto che fosse una sorpresa e che le altre, conoscendola, fossero riuscite a cogliere i suoi gusti. Riflettiamo insieme sul fatto che tale reazione possa essere collegata alla sua maggiore chiarezza del proprio ruolo nei diversi contesti, in particolare lei è la sposa, la festeggiata e non è carino che assuma anche il ruolo di colei che partecipa all organizzazione. A tal proposito, da sola, comincia a riflettere su quanto ciò possa essere dipeso dal suo atteggiamento, come con il fratello. Mostrandosi sempre molto materna, nel tempo lui si è approfittato della sua disponibilità. Allo stesso modo con il suo atteggiamento molto confidenziale ha fatto sì che gli altri pensassero che con lei si può parlar di tutto anche del suo addio al nubilato. Sulla scia di queste riflessioni le faccio notare come, oggi, sia riuscita a porre dei limiti all altro senza poi sentirsi in colpa, manifestando chiaramente le proprie esigenze. Riflettiamo su come sembri maggiormente in grado di operare una differenziazione più chiara tra sé e l altro rispetto all inizio del suo percorso. Allora lei sembrava far fatica a cogliere quanto, di ciò che accadeva, riguardasse lei e quanto l altro. Nell ultimo mi racconta del suo addio al nubilato e di come, alla fine, le sue amiche siano riuscite a cogliere perfettamente i suoi gusti, facendole trascorrere una serata magica. Unica nota stonata i commenti negativi di una collega che, dopo l aperitivo, insieme ad altre due colleghe è andata via. A. con fierezza mi dice: sa cosa ho fatto, con calma, ma in modo fermo, ho preso da parte la collega e le ho detto quello che pensavo, poi non ho provato quel senso di oppressione che mi attanagliava. Le ho detto che mi dispiaceva che la serata non era stata di suo gusto, ma in fondo era il mio addio al nubilato e io sono stata benissimo e comunque non 20

21 era molto carino quello stava facendo. Lei poi ha provato a giustificarsi, ma io poi me ne sono tornata al mio lavoro. Continua manifestando la volontà di limare quella sua tendenza a pensare che tutti siano buoni e dirà: non è così, le persone sono diverse e gli va dato un diverso livello d importanza, questa è una collega e niente di più, la mia amica è diversa mi colpisce quanto mi conosca bene. Ricollego ciò che sta dicendo con quanto detto la volta precedente rispetto alla capacità di fare delle distinzioni più chiare. Lei annuisce e mi dice che ha ricontattato la zia e le è sembrata più disponibile nei suoi confronti e più affettuosa, nello stesso tempo lei ha continuato a mantenere una posizione neutrale rispetto al conflitto tra la zia e la madre. Riflettiamo su quanto sembra essere importante, nello scambio con la zia, il fatto che le abbia manifestato apertamente il desiderio che fosse presente il giorno del suo matrimonio e come ciò abbia potuto contribuire ad un suo atteggiamento più affettuoso dal momento che, durante l ultima telefonata, non ha riproposto questioni che non riguardano il loro rapporto. A. si mostra d accordo. Ci salutiamo ribadendo la data del nostro prossimo incontro mentre A. manifesta il desiderio di raccontarmi come sarà andata. Volevamo concludere con questo pensiero di Heidegger: Quanto ai modi positivi dell aver cura ci sono due possibilità estreme. L aver cura può in un certo modo sollevare l altro dalla cura sostituendosi a lui nel prendersi cura, intromettendosi al suo posto. ( ) Opposta a questa è la possibilità di aver cura la quale, anziché intromettersi al posto degli altri, li presuppone nel loro poter essere esistentivo, non già per sottrarre loro la cura, ma per inserirli autenticamente in essa. Questa forma di aver cura, che riguarda essenzialmente la cura autentica, cioè l esistenza dell altro e non qualcosa di cui egli si prenda cura, aiuta l altro a divenire trasparente nella propria cura e libero per essa. M. Heidegger (Essere e tempo). 21

22 Riferimenti bibliografici Albarella C., Donadio M. (1986) Il Controtransfert. Saggi psicoanalitici, Liguori Editore. Balint M. (1968) Primary Love and Psychoanalytic Technique. In In-fine. Saggio sulla conclusione dell analisi. Ferraro F., Garella A., Franco Angeli De Simone G. (1994) La conclusione dell analisi: Teoria e Tecnica, Borla. Eliot T.S. (1943) Quattro quartetti. In Sul finire. Il tempo dell analisi con i bambini. Lucarelli D., Tabanelli L., Franco Angeli Ferraro F., Garella A. (2001) In-fine. Saggio sulla conclusione dell analisi, Franco Angeli. Flournoy T. (1985) Dalle Indie al pianeta Marte: dallo spiritismo alla nascita della psicoanalisi. In In-fine. Saggio sulla conclusione dell analisi. Ferraro F., Garella A., Franco Angeli Freud S. (1925) L Interpretazione dei sogni. Freud S. (1937) Analisi terminale e interminabile. Guiard F. (1979) Aportes al conocimento del proceso post-analitico. Psicoanalisis I: In La conclusione dell analisi: Teoria e Tecnica. De Simone G., Borla Heidegger M. (1927) Essere e tempo. Kris E. (1955) Neutralization and sublimation. Psychoanalytic study of the child. In Trattato di Psicoanalisi. Semi A.A., Cortina Lucarelli D., Tabanelli L. (2005) Sul finire. Il tempo dell analisi con i bambini, Franco Angeli. Pontalis J.B. (1997) Questo tempo che non passa. In In-fine. Saggio sulla conclusione dell analisi. Ferraro F., Garella A., Franco Angeli Reich A. (1951) On Counter-transference. Int. J. Psychoan, 32, In Il Controtransfert. Saggi psicoanalitici. Albarella C., Donadio M., Liguori Editore Winnicott D.W. (1965) Sviluppo affettivo e ambiente, Armando. 22

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