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1 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 liber Galleria Liber In direzione dei sogni, di Emanuela Verdone l Altra Copertina Vedere una creazione artistica da gif o da fotocopia a colori non aiuta alla disamina della tecnica, e questo lavoro Emanuela l ha presentato in stampa nell ambito della partecipazione al 1 concorso letterario LiberAccademia. Sembrerebbe un acquerello rafforzato con dei tocchi di pastello a cera, successivamente sgraffiato in alcuni punti, per rendere più dinamica la rappresentazione. Assodato che la forma sia contenuto, l estremo desiderio di libertà dell autrice è espresso da tautologie che confermano il titolo della creazione. E infatti il sogno, il desiderio primario qui espresso, non quello onirico, ma quello puramente espresso nella libertà dell anima, dell essere. Una figura stilizzata, in un sapido gioco di mostra nascondi, solca le onde del cielo, dove la dominante cromatica è la tonalità di blu oltremare, riscaldata da tocchi sfumati di rosa e porpora, organizzati in un movimento ondivago, che rende ingigantite le sagome delle montagne basse. Non vi sono più né montagne, né cielo né terra né figura umana, ma solo il moto totalizzante di natura, movimento aperto e libero di una figura che con passo largo e deciso conquista il suo divenire, appunto in direzione dei sogni. I sopra detti e ipotizzati tocchi di pastello a cera si ripetono nelle stesse tonalità e modalità di stesura sia nell aquilone che nella folta capigliatura della figura che nella manica e nel gambale del pantalone, ripreso in tocchi più sfumati ora sulle montagne basse, ora sulla curviforme rappresentazione del cielo: una necessità di calore nel dominante freddo delle tonalità delle varie gamme di blu adoperate, che si risolve in sfumature color ciclamino e lillà. Per sua ammissione, Emanuela ama i viaggi disorganizzati, solitari, avventurosi, e l arrampicata libera. Uno spirito animato da un tale spessore grintoso e indipendente non poteva scegliere migliore modo di esprimere la sua essenza. Loredana Bua Galleria Liber è uno spazio espositivo aperto alle vostre creazioni artistiche. Se volete, inviate a liber@mensa.it le foto in formato gif o jpg. Saranno pubblicate (in 4ª di copertina) e commentate. Norme editoriali di Liber Con l invio dei Vs. scritti a Liber, s intende resa implicita attestazione di paternità dell elaborato. Si ricorda che le opinioni espresse nei testi sono quelle dei rispettivi autori e non riflettono necessariamente quelle degli altri soci o del Mensa stesso. In caso di ripensamento da parte dei rispettivi autori su quanto fornito a Liber, gli stessi autori sono tenuti a darne tempestiva comunicazione a liber@mensa.it. Per principio del silenzio assenso, la mancata comunicazione di correzioni o di divieto di pubblicazione, da parte dei soci che hanno inviato i loro contributi creativi a questo foglio letterario, autorizza Liber ad avere piena libertà di pubblicare sulle sue pagine quanto ricevuto, nella forma e nella sostanza in cui è stato ricevuto, salvo ovvie correzioni sintattiche e di stile, pubblicazione che può essere fatta anche a considerevole distanza di tempo dall invio. Liber è con questa nota sollevato da qualunque responsabilità derivante da omesse correzioni tanto nei testi che nelle note biografiche - o da omesse revoche di consenso alla pubblicazione da parte degli stessi autori. Solo i rispettivi autori sono responsabili di quanto scritto su questo foglio letterario. Pertanto ed eventualmente, Liber non ne risponde in nessuna sede di contenzioso. In ogni caso, a insindacabile giudizio della redazione di Liber, non si accettano elaborati che possano esporre Liber, Memento ed il Mensa Italia a contenziosi di qualsiasi natura. La Redazione di Liber Il terzo compleanno di Liber Il 18 settembre 2002 nasceva Liber. Niente feste. Niente torte. Niente candeline. Niente fercoli processionali. Niente turiboli auto-incensiatori. Niente apparati effimeri celebrativi. Niente tripudi. Niente fanfara. Niente fuochi d artificio. Niente discorsi dal pergamo. Niente pazzarielli tipo L oro di Napoli di Vittorio de Sica. solo grazie a tutti Loredana Bua e Giuseppe Provenza Labyrinth Liber Con questa Guida, dal nome Labyrinth Liber, ricordiamo le sezioni di questo foglio letterario. Autori Liber Piccole note biografiche per presentare i soci, scritte dai soci stessi. Galleria Liber Qui viene presentata una creazione artistica di un socio alla volta. Le voci di dentro Dall omonima commedia di Edoardo de Filippo, da cui trae il solo titolo, dedicata a quei brani narrativi che adottino l io narrante, senza cadere nella mera autobiografia. Ut Pictura Poesis Dall omonimo adagio oraziano; in questa sezione è prevista la presentazione di una lirica, ispirata ad un qualunque celebre dipinto. La Musa Calliope Dedicata alle liriche composte dai soci. Dal diario di un medico Sezione di Liber, dedicata ai racconti scritti da Cecilia Deni. LiberLibris Spazio aperto alle recensioni scritte dai soci. Il giallo e il nero Dedicato evidentemente ai misteri e al noir. Spazio Concorsi Dedicato a quei concorsi che vorrete occasionalmente segnalare per Liber. 3

2 liber liber libris Dacia Maraini La lunga vita di Marianna Ucrìa Edizione Rizzoli Una vita apparentemente anonima, quella di un antenata della scrittrice, resa però originale dal racconto di Dacia Maraini stessa, in modo intelligente e con uno stile narrativo che scorre piacevolmente senza interruzioni. Con tinte sfumate e senza contrasti, come un quadro dipinto ad acquerello. Il lettore lentamente impara a conoscere Marianna Ucrìa e l epoca in cui vive, in modo semplice ma coinvolgente. Impressionante, la ricerca storica dei costumi e delle abitudini del Settecento. Si è portati a pensare che se la documentazione non fosse già stata in possesso dell autrice, la Maraini ha sicuramente dovuto impiegare più tempo per raccoglierla che a scrivere lo stesso libro. Si apprende molto del Settecento Italiano e in particolare siciliano, del tipo di vita che si conduceva e soprattutto del modo di pensare dell epoca. Una vera lezione di storia del nostro passato. E la storia di una ragazza sordomuta in una benestante famiglia siciliana nel primo Settecento. La sua menomazione la rende difficilmente desiderabile come moglie e quindi va in sposa, a soli tredici anni, la musa calliope Mt 25, di Francesco Magro Calcutta è un pugno nello stomaco. Caotica, popolosissima, inquinata come nessun altra capitale al mondo ed esasperata in ogni suo aspetto, essa ospita una delle povertà più gravi che la Terra conosca. Nelle sue stradine più buie e sporche Madre Teresa cominciò a raccogliere gli affamati, gli orfani, i moribondi, ed a dare loro cibo, una famiglia, una morte dignitosa. Amore, in una parola. Madre, come era semplicemente nota a Calcutta, ha amato indistintamente tutti i suoi poveri, e pur senza aver mai cercato di convertire alcuno al cristianesimo molte vollero unirsi a lei e seguirla. Dopo la sua morte la casa di Madre è una stanza nella missione da lei stessa fondata, dove nel profumo di fiori e nel silenzio rotto solo dal ronzio dei ventilatori ho visto pregare ciascuno nella sua forma Induisti, Cristiani e Scintoisti. Madre sapeva che difficilmente altre città potranno mai essere ricche come Calcutta. Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 Dove giace lo scrigno stanno tante benedizioni quante l uomo non ne può contare, e l aria affaticata si riposa nei fiori. Il tanfo dei luoghi dimenticati, ed il buio e la sozzura non osano insidiare, credo, il riposo di chi troppo bene li ha conosciuti. Scalzo, siedo per terra e con me sono scalzi il cristiano e l hindù, il ricco ed il povero. Madre li ha amati come uguali, ed uguali essi ora pregano. Su piedi zitti giunge la novizia, il sari bianco vola, si piega. Sorride serena e l abbraccia e ricorda chi sciolse nell Amore ogni sua paura. Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere....ero nudo e mi avete vestito.. e sa che la strada migliore è percorsa tra gli Ultimi e sa che tra gli Ultimi è Dio. di uno zio quarantacinquenne che altrimenti non si sarebbe mai sposato. Una vita ligia alle regole, sesso compreso, ma la sua difficoltà comunicativa che la costringe ad esprimersi scrivendo con inchiostro, penna d oca e cenere, la spinge anche alla lettura. Una lettura vorace che le farà scoprire nuove idee, e finirà per farla pensare in modo scandaloso, per quel tempo. La ragione deve essere al servizio della passione e non viceversa. L esatto contrario di ciò che le avevano sempre insegnato. Questa e altre frasi sconvolgono i suoi pensieri, permea in lei un gene che lentamente le fa comprendere il vuoto della propria esistenza e l ipocrisia che la circonda. Si evidenziano quindi le contraddizioni del suo tempo e tutto diventa stretto, soffocante e, poi, indifferente. Solo alla morte del marito, quando lei ha superato i quarant anni ed è più volte nonna, Marianna Ucrìa conosce l amore. Amore fisico e passione, per la prima volta nella sua vita. Contro tutto e tutti vede - e ci fa vedere - il suo tempo con il distacco di un mondo senza suoni, che lascia tanto spazio ai pensieri. Tutto questo per portarci a capire che il suo scandaloso abbandono finale di proprietà, figli e nipoti per seguire la passione era solo un tentativo di vivere. Facilmente comprensibile a noi di età più moderna. Una trama difficile, con l ambizione di rendere partecipe il lettore all evoluzione dei pensieri di Marianna. Ma tessuta magistralmente, in modo superbo da una grande scrittrice. Che riscatta così a distanza di duecento anni una sua antenata, cancellata dall albo di famiglia dai suoi contemporanei. Un libro pieno di pensieri e riflessioni rivolti al lettore, che regalano momenti di elevato piacere. Una lettura gradevole e intrigante che lascia molto al termine del libro. Da questo libro, è stato tratto il film Marianna Ucrìa, per la regia di Roberto Faenza. Maurizio Bonzagni 4

3 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 le voci di dentro Il primo giorno di lavoro liber il giallo e il nero Moon over Bourbon Street di Giacomo Pagano E una giornata di novembre. Una piacevole giornata di novembre in Texas. La mia prima giornata di lavoro. Potete pensare a me come a un impiegato. In effetti sono nato per questo incarico. Insieme ad altri colleghi, tutti frementi quanto me, siamo in attesa di un cenno da parte del nostro datore di lavoro. Lee, così si chiama, non mi dà molta fiducia: è pallido, magro, lo sguardo assente. Inoltre è sudato, sembra molto più teso di me. Ma, nonostante il suo aspetto poco professionale, non vedo l ora di cominciare. Io sarò il primo. Attendo il mio turno in una specie di corridoio buio, con gli altri pronti a scattare alle mie spalle. Non si vede nulla da qui. Dopo lunghi minuti di attesa si cominciano a sentire dei suoni: un folto assembramento di persone che urlano, una banda che suona una marcia. Deve esserci una festa o qualcosa del genere. Lee è ancora più teso: tende l orecchio e scruta l orizzonte con attenzione, in attesa di qualcosa che non mi è dato sapere. Improvvisamente imbraccia il suo fucile, un Mannlicher-Carcano calibro 6,5 a otturatore manuale, e prende la mira. Finalmente guadagno la posizione migliore per vedere cosa succede fuori. C è una parata. Una lunga macchina scoperta procede a passo d uomo tra due ali di folla festante. Sedute sul sedile posteriore ci sono due persone, un uomo e una donna. Lui sorride e risponde alle grida della folla con ampi movimenti delle braccia, quasi a voler abbracciare tutti i presenti. Lei, più compassata, saluta con garbo senza rubare la scena all uomo. Entrambi hanno un aura di carisma che attrae inesorabilmente tutte le persone accorse per vederli. Devono essere due pezzi grossi. Intorno a loro agenti della sicurezza seguono la macchina a piedi. Ma ormai non c è più tempo per fare lo spettatore, è ora di cominciare il lavoro. Lee trattiene il fiato. Preme il grilletto: proprio il cenno che stavo aspettando. BANG! Una fiammata e in un istante sono fuori. Fendo l aria percorrendo centinaia di metri ogni secondo e più mi avvicino, più sono i particolari che riesco a cogliere. I bambini sventolano con orgoglio bandierine a stelle e strisce, senza sapere cosa rappresentino esattamente. Le espressioni sui volti della gente, più che eccitazione nel vedere un personaggio importante, rivelano una sincera e profonda ammirazione nei confronti dell uomo. La donna che siede accanto a lui è sorridente e a suo agio, ma un velo di tristezza offusca la luminosità dei suoi occhi. Gli uomini con gli occhiali scuri che seguono la macchina a piedi si guardano intorno con circospezione, come se sapessero che qualcosa sta per accadere. La mia corsa continua. Ormai sono arrivato e, considerando la traiettoria e l intensità del vento, ho già capito quale sia il mio bersaglio. Comunque per me non fa differenza. Ho una missione e ho intenzione di svolgerla nel migliore dei modi. Sono nato per questo. Il mio volo sta per concludersi. Prima ancora che la gente assiepata ai bordi della strada se ne renda conto ho già attraversato la gola dell uomo. Il suo collo è squarciato, la trachea spezzata. L uomo rantola, prova a inspirare ma i suoi polmoni non si gonfiano. A completare l opera provvedono altri colleghi. Alcuni hanno il mio stesso datore di lavoro, altri no. La mia corsa finisce sull asfalto della strada. A me e agli altri colleghi non resta che aspettare che qualcuno dell FBI o della CIA ci raccolga. Se sia per analizzarci o per nasconderci in qualche sancta sanctorum dei segreti di Stato, non è affar mio. Quello che importa è che la mia giornata di lavoro è finita. La mia prima e ultima giornata di lavoro. E il 22 novembre del 1963 e a Dallas il sole di mezzogiorno splende alto. # di Stefano Machera She walks everyday through the streets of New Orleans Dice bene Sting. Evidentemente, a New Orleans di notte per le strade non c è nessuno. Qui a Roma è l una di notte, è inverno e fa freddo, e in strada c è più gente che a mezzogiorno. Faccio quasi fatica a tenerla d occhio: lei è appena uscita dalla libreria dove lavora fino a tardi. Passa sotto il monumento a Giordano Bruno senza guardarsi intorno, come se i crocchi di stranieri mezzo ubriachi non esistessero. La pioggia di questi giorni ha lasciato tracce viscide sul selciato, mescolandosi ai rifiuti e allo smog che qui in piazza non mancano mai, e le auto disegnano arabeschi lucidi sotto i fanali. Lei ha un passo leggero e deciso, guarda dritto davanti a sé, schivando senza sforzo le bottiglie vuote abbandonate sul selciato; sembra una ragazza determinata e senza grilli per la testa, che sa ciò che vuole e dove andare per trovarlo. Un ricciolo di vapore accompagna il suo respiro regolare. Ho imparato a riconoscerlo, il suo passo. Eppure, io la conosco meglio di così. So che legge romanzi di avventura mentre mangia un panino a mezzogiorno. So che ama la fantasia e la forza della parola, che dietro il banco della libreria tiene racconti scritti a penna su dei quaderni da scuola. Una sera che non lavoravo sono entrato e le ho chiesto un consiglio, le ho detto che cercavo qualcosa che mi portasse via dal puzzo di mercato e di birra, che avevo voglia di un viaggio in un mondo di colori e di immagini. Lei si è illuminata e ha cominciato a tirare fuori libri di Marquez, Allende, Amado ho fatto fatica ad uscire dalla libreria con solo Eva Luna racconta. Già. La luna. There s a moon over Bourbon Street tonight Mi guardo le mani, come soprappensiero. Fra le dita inguantate, un sottile filo di nylon. "" 5

4 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 Le guardo e solo ora capisco: è per stasera. Il cuore mi batte forte. Mi avvio dietro di lei, senza fretta. «Un altra». «Un altra. La quinta. E ancora nei dintorni di Campo dei Fiori», conferma il commissario Valori. I ragazzi si fermano, lo guardano negli occhi. Gli basta per capire che è furibondo, di quell ira fredda che hanno imparato a conoscere, e che di solito significa duro lavoro di gambe per loro e guai per i delinquenti. Questo poi è un caso particolare. Cinque donne strangolate, tutte e cinque in pieno centro, a due passi da Campo dei Fiori, tutte e cinque di notte, quando da quelle parti gira gente di tutte le razze e tutti i generi. Valori ha dovuto ingoiare più di un rospo, e fare da bersaglio delle critiche dei suoi superiori, dell opinione pubblica, dei giornali. Ora ne ha abbastanza, e i suoi lo hanno capito. Le scrivanie del commissariato sono ingombre di foto delle vittime, rapporti della Scientifica, verbali di interrogatori, profili psicologici del possibile killer. Gli psicologi dicono le solite cose: un uomo, apparentemente normale, con delle inclinazioni sadiche e una vita sociale insoddisfacente. I posacenere sono colmi di cicche, e l ufficio di Valori è in uno stato che scoraggerebbe dal riordinarlo anche una Mary Poppins al meglio della forma. E sono solo le sei del mattino. Valori si guarda intorno, e sente il malumore placarsi. Intorno a lui, con gli sguardi rivolti verso di lui, la sua squadra: Corelli, il più anziano, il suo naturale braccio destro; Valente, giovane, anticonformista, un po irruente; Lorenzi, calmo, meticoloso, quasi freddo; 6 Giuliani, appassionato di tecniche scientifiche. E poi gli altri, acquisiti più di recente. Ha lavorato duro per costruire questa squadra, e i risultati sono buoni. Ma questa indagine è il suo cruccio: tutti i giornali stanno rifacendo la prima pagina, cercando il titolo giusto per abbinare la minaccia dell assassino con l incapacità della polizia, e per mantenere vivo l allarme nei lettori, che è l unico modo per essere sicuri di vendere una valanga di copie. Gli psicologi non perdono l occasione per pavoneggiarsi descrivendo le probabili caratteristiche dell omicida. Insomma, sul serial killer ci campano tutti, e a Valori proprio non va giù. «Questa storia deve finire. E la quinta poveraccia che fa questa fine, ed io sono stufo di fare la figura del fesso», dice Valori. «Finché non lo abbiamo preso, io a casa non ci torno più.» E neanche voi, capirono tutti senza che lo dicesse. «Commissario, qualcosa da cui partire ce l abbiamo» interviene Corelli, l unico che abbia la tacita autorizzazione di interloquire quando Valori parte con una sparata: «Giuliani, che ne diresti di riepilogare?» «Ok. Ci sono alcuni fatti certi: 1. tutte le donne sono state uccise tra l una e l una e mezza di notte; 2. tutte lavoravano o abitavano lì; 3. tutte sono state strangolate, probabilmente con un filo di nylon; 4. gli omicidi sono avvenuti in angoli bui e poco in vista, senza testimoni e senza lasciare tracce. E ci sono alcune deduzioni probabili: 1. l assassino è uno che passa le sere in zona; 2. probabilmente sceglie e studia le sue vittime, visto che erano tutte di zona. Non ha mai scelto una passante casuale; 3. il fatto che uccida sempre dopo l una fa pensare che fino a quell ora lavori o abbia altri impegni.» «Già, e l ultimo omicidio non fa eccezione rispetto agli altri», aggiunge Corelli. «Maledizione, la verità è che non ci saranno più di venti o trenta possibili sospetti. Gente che lavora nei locali, magari qualche barbone Arrestiamone qualcuno, lo teniamo dentro per un po Alla fine se è stato lui, parlerà!» «Calmati, Valente. Se arrestiamo qualcuno senza prove ci troviamo ancor più nei guai di quanto siamo ora». Valori tace, ha l impressione di guardare un gruppo di studenti che cercano di finire un compito difficile. Ognuno sa quello che valgono gli altri, e sa che insieme a loro può fare di più che da solo. Ora interviene Lorenzi: «Arrestare, magari no. Ma li controlliamo uno a uno come si deve. E se il nostro ha fatto un errore, lo becchiamo. Io è da qualche anno che pattuglio Campo dei Fiori, e Valente ha ragione a dire che se le nostre ipotesi sono giuste, i sospettabili non sono poi tanti.» «E tu cosa suggeriresti?» «Prendiamo l elenco dei sospetti che abbiamo preparato: sì, insomma, camerieri delle pizzerie, baristi, edicolanti tutti quelli che lavorano in zona, li interroghiamo e facciamo una perquisizione come si deve. La Scientifica negli altri casi non ha cavato un ragno dal buco, e non credo che stavolta sarà diverso. Andiamo sul campo.» «Io ci sto», fa Valente. Corelli scambia un occhiata con Valori, poi interviene: «Ok, può essere una buona idea. Lorenzi, Valente e voi, Guidi, Martini e Ricci, buttate giù dal letto tutti quelli della lista e interrogateli. E quando dico interrogateli, voglio sapere anche cosa hanno mangiato ieri a colazione. Giuliani, fai un salto alla Scientifica e vedi di sapere se stavolta per caso hanno trovato qualcosa di utile. Noi andiamo a parlare col magistrato per le perquisizioni. Forza, andate! Ci vediamo a mezzogiorno.» A mezzogiorno, Valori tiene una riunione nel suo ufficio. I risultati delle indagini non sono entusiasmanti. Corelli riassume: «Sui ventisette candidati che avevamo individuato dopo i primi delitti, dodici sono da escludere. Otto hanno un alibi, uno è in ospedale, tre hanno lavorato fino alle cinque in un locale dove c era una festa. Gli altri quindici non raccontano niente di interessante: stavano andando a casa, o erano in giro da soli, senza nessuno che ne possa confermare i movimenti. E ovviamente, nessuno ha visto niente.» «Giuliani, cosa ha trovato la Scientifica?» ""

5 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 liber «Le solite cose: la ragazza è stata strangolata da dietro. Ha un profondo solco sul collo, l assassino deve aver usato un filo di nylon, ma sul luogo del delitto non è stato trovato nulla. Niente tracce corporee, niente sotto le unghie della ragazza, niente tracce di violenza, a parte ovviamente lo strangolamento. Un lavoro pulito.» Valori fa una smorfia: «Insomma la copia degli altri quattro delitti. Bene, ho parlato col magistrato. Stasera perquisiamo tutti i locali della zona e gli appartamenti dei nostri quindici amici. Lorenzi e Valente: voi andate verso le otto, e fate un giro dei locali per verificare che sia tutto tranquillo. Alle dieci e mezza partiamo con le perquisizioni, e vediamo di trovare questo bastardo. Forza ragazzi, che stavolta ci siamo.» È sera. Qui in giro c è la solita gente, turisti, ragazzi, qualche spostato, molti gruppi che cercano allegramente un posto dove passare la serata. I pray everyday to be strong qualche volta vorrei che mi prendessero. E passato solo un giorno, ma già non sento più nessun sollievo. Non mi basta ripensare a ieri notte, alle sue ultime, faticose boccate d aria, al calore del suo corpo mentre lottava, al profumo dei suoi capelli. I ricordi stanno già sbiadendo. Devo farmi forza per non guardarmi attorno, cercare nella folla il collo, la nuca di una ragazza. Di solito è così che comincia. Poi però devo conoscerla, capire se è intelligente e sensibile, se ha sogni, desideri di una vita diversa, di una storia che non sia solo riempire una solitudine. Dio solo sa quante ragazze dal collo slanciato e dal corpo elastico sono più grette di un agente delle tasse, incapaci anche solo di uno slancio, di guardare il mondo e vedere quanto schifo c è. Quelle non fanno per me. Io cerco le altre. Le ragazze che non hanno paura della vita, che lavorano, o studiano, e sanno come cavarsela, ma non per questo si accontentano. Quelle che cercano ancora qualcosa che forse non sanno bene cosa sia, e ogni tanto vanno al cinema per ricordarselo, quando escono dalla sala e sentono quella speranza un po malinconica di chi pensa che la vita si può cambiare se si vuole, e se si ha fortuna. Quelle che non desiderano essere ricche o vivere ai Caraibi, ma una vita normale, solo con sentimenti veri, con intorno persone vere, e non dei fantocci. Cerco queste ragazze, e le riconosco, e le amo. E le uccido. E con loro uccido anche me. Sono arrivato. Ho in tasca il filo di nylon di ieri sera, lo nascondo in fretta. Sento che stasera «L avevo detto che stasera lo beccavamo! Me lo sentivo, come se avessi letto i giornali di domani.» Valori sembra un altro uomo, ciarliero, quasi gioviale, lui che parla poco, e quel poco di solito senza troppi svolazzi. Gli altri sono addirittura euforici: Valente non smette più di raccontare, ha raccolto intorno a sé tutto il commissariato di zona e continua imperterrito a ripetere la sua storia, forse fa pratica pensando ai giornalisti: «Stavo quasi per andare via, poi ho pensato di guardare dietro la pianta, e centro! C era quel dannato filo di nylon. Mi ci gioco quel che vuoi che è quello che ha usato ieri.» «Sì» interviene Giuliani «ci sono tracce di sangue, e non sarà difficile verificare che sia lo stesso.» «Certo che è lo stesso! Lo abbiamo fregato quel bastardo! Al cinema, lavorava. Il posto giusto, proprio in piazza, ci passano davanti tutti, ma chi vuoi che badi al bigliettaio del cinema? E poi, durante lo spettacolo, uno può anche andare un po in giro» «Scommetto che se me lo lavoro un po, confessa» «Bah, chissenefrega, ormai l abbiamo preso, non se la cava di sicuro, confessi o non confessi!» È proprio finita, come doveva finire. Qui al commissariato, in quest atmosfera di sollievo generale perché il killer è stato preso. Guardali, tutti contenti, come se l assassino fosse qualcosa di orrendo ed estraneo, una cisti in un corpo sano, e loro i bravi chirurghi che lo hanno asportato. Un lavoro preciso, pulito. Idioti. Il loro assassino è lì, sotto stretta sorveglianza, non gli scappa più. Domani lo esibiranno a tutta la città, per dire a tutti che il male era lui, e ora è sconfitto. È finita, e mi sento sollevato anch io. Ero stanco di uccidere così, nylon nella carne, come pescare un salmone che si dibatte. Non mi emozionava più. Adesso, dovrò cambiare. Certo, è ironico che Valori sia così in gamba. «Selezioniamo quelli che lavorano in zona, che fanno orari di notte». Bravo. Ma, inevitabilmente, hai dimenticato uno dei lavori che si fanno di notte, in strada, uno che ti fa guardare in giro la gente che passa, e magari ti permette di entrare in un cinema per vedere che sia tutto tranquillo. È stato facile. Dovrò cambiare, o capiranno che è stata una montatura. Penso che userò il coltello, quello che ho preso ieri è perfetto, bellissimo e lucido, l ho provato su quel pezzo di manzo, tagliava, affondava Ho voglia di toccarlo, di oliarlo per bene. Sì, il coltello andrà benissimo. Mi avvio verso la porta. «Lorenzi, vai a casa?» fa Valori: «Fai bene, dobbiamo riposare. Ragazzi, domani un giorno di riposo per tutti. Ve lo siete meritato!» Mi giro. Sono sulla porta, ho già la faccia in ombra, vedo gli altri come in una foto di gruppo. «Mi sembrerà strano, riposare,» gli faccio, e vedo Valori girarsi verso di me «ma penso che mi verrà in mente qualcosa da fare. Buonanotte.» Mi rispondono in coro, ma mi sono già avviato; fuori è notte e fa freddo, ma il cielo è sgombro, e l aria è limpida, e buona da respirare. In giro, a quest ora, non c è nessuno. # Foto: Sting, Campo de Fiori. 7

6 liber dal diario di un medico Il Pescatore di Cecilia Deni 1Mi sono assentata qualche gior no dallo studio e al mio ritor no ho trovato un paziente, che è anche un amico, ad aspettarmi in sala d attesa. Lo fa spesso. E un impaziente, uno frenetico. Spiccio, intelligente, simpatico, infelice ma disposto ad accontentarsi. Un pescatore. Sta fermo in mezzo all acqua del fiume per giornate intere a far la posta al pesce, ma si lascia prendere dall angoscia quando deve aspettare il medico. Entra e mi porge una busta di radiografie. Apro e guardo. Polmoni. Che schifo, penso, un focolaio. Poi guardo meglio. Non è un focolaio. Alzo gli occhi, mi spinge sotto il viso un fazzoletto insanguinato. Ecco, dice. Lo vedi? Me la sto facendo sotto dalla paura. Devi dirmi che non è niente, se non è niente. Altrimenti dimmi cos è. Il tuo collega mi ha dato questo e mi porge un antibiotico. Lo guardo fisso. Mica gli posso raccontare balle. C è una voragine tra me e lui, d improvviso, solo la verità può farci da ponte. Non lo so cos è, ma lo scopriamo presto. Ti faccio fare una Tac. Urgente. Vai al Cup, prenotala e torna qui. Mentre lui esegue, mi consulto con una collega, telefono ad un altro collega, prendo accordi per una visita pneumo, una broncoscopia. Su quelle lastre c è, al 98 per cento, un cancro. Torna, gli comunico il piano d azione. Ho una paura matta, dice. Ma è una sfida. Vada come vada, l uomo è tutto qui: una sfida. Certo che, bella fregatura questa vita: vai in pensione, cominci a pescare, ti compri una canna nuova, e quando hai il tempo di guardare il cielo, il fiume, di spadroneggiare sul tuo tempo, scopri che il tuo tempo non c è più. Ci stringiamo la mano, a me viene in mente Pantera, alla fine di Antracite di Evangelisti, quando parte da solo, a cavallo, contro i mitra nemici e dice alla ragazza: sei sicura di voler venire? Questa è una battaglia persa, e lei risponde: sono le battaglie migliori. Non sono mica le battaglie migliori. 8 Sono le uniche battaglie. Il resto è ragioneria. Il Pescatore è Don Chisciotte, io sono un irriducibile Sancho. 2 Il Pescatore è dimagrito. Così asciutto, con gli occhi intensi ed i capelli grigi, il viso segnato dal sole, ma più pallido del consueto, ha più che mai uno sguardo di sfida. Entra, s appoggia di spalle alla mia scrivania, le mani in tasca, mi saluta: «Ciao». Ci penso dopo che forse le tiene nascoste le mani, nasconde la magrezza vera, non forte, ma smunta, che lo ha preso. Non lo sentivo da settimane, ho saputo dalla Figlia che ha cominciato la chemio, che è convinto che sia una presa in giro e si fa beffe di lei, credulona, pronta a farsi tranquillizzare dagli oncologi. Mi manda il primo emocromo da leggere e gli scrivo un messaggio sul foglio da ricettario. Non premeditato, mi scappa. Gli chiedo se ce l ha con me e perché non si fa vedere di persona. Ecco perché è qui, oggi, perché mi guarda dritto in faccia, perché rimango in piedi di fronte a lui e so che tocca a me chiedere, e non so cosa dirò, fino a che le parole vengono da un punto imprecisato della mia mente, o del mio cuore, forse, sorprendendo me pure. «Come ti trovi in questa situazione?» Guarda di lato, alla sua destra, in basso; scuote appena la testa e con la voce calma, apparentemente serena «Ti dirò, dice, non lo so. La parte più difficile è arrivarci, capisci.» Lui mi guarda, e vede che non capisco. «Arrivarci, voglio dire smettere di correre qui e là, l esame, la visita, questo, quello, e intanto fai finta di non vedere, non vuoi renderti conto, eviti i loro sguardi e loro guardano da un altra parte. Perché non volevo capire, sai? Ma poi mi sono visto, mi vedi anche tu...» E si tocca le braccia, indica il corpo smagrito, io li guardavo già, e anche le dita, forti e nodose, ora ridotte come quelle di uno scribacchino, sottili, bianche. «Non si può continuare a far finta, bisogna farlo il passo, quello di accettare. E appena lo fai, diventa tutto più facile. O almeno non facile, accidenti, ma non impossibile...» e gli scappa una risata amara. Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 «Accettare?» «Si, accettare, smettere di illudersi, guardarsi in faccia, accettare. Quello che è, quello che succede, dove sto andando. Ma c è una cosa che non posso accettare, anzi due cose. Intanto quella di essere diventato un povero fesso. Un povero fesso, vedi, non mi frega di avercene poco, di tempo, ma quel poco che me ne faccio se non sono più in grado di fare nulla? Io non voglio essere qui.» E mi fa il gesto di chi lancia la lenza «Con questa neve? Mica vorresti andarci oggi a pescare?!» «No, oggi no, ma comunque...» Io finirei la frase per lui così facilmente, ora che il tempo si rimette un poco, no, forse la forza di andarci non l avrai. Ma taccio, lo spazio è suo, ascolto. «E comunque essere un povero fesso per la gente, quei bastardi che ti si avvicinano e ti chiedono come stai. Ma perdiana, cosa mi chiedi, non si vede come sto? Non me lo chiedere, e soprattutto non mi guardare così. Io non lo tollero di farmi compatire, la loro pena così soddisfatta la vadano a dare a qualcun altro. E allora non vedo nessuno!! Non voglio vedere nessuno, non voglio parlare con nessuno! E poi ho paura dell altra cosa, lo sai, tu certo ne hai visti tanti, ma anche io sono abbastanza vecchio da averne visti un po. Urlano per il dolore, sai? Persino quando sono in coma gridano! E io sono al quarto stadio. Quarto stadio! Cosa mi debbo aspettare?» Mi dispiace, gli dico, doverti raccontare io questo, non è una bella verità, ma se ti raccontassi balle tu le confronteresti con la realtà e capiresti che ho mentito e allora tra noi non ci sarebbe più nulla da dire. Lui annuisce con forza, e aspetta. Continuo a esporre cosa ci si può attendere dalla chemio, quanto tempo ci vorrà per capire se funziona o no, preferirei potergli dare delle certezze, anche pessime, ma mi tocca dirgli di questi due mesi di attesa prima della tac di controllo, nei quali non sappiamo, e possiamo temere tutto, e persino sperare un po. Ora debbo parlargli del dolore. Ci sono mezzi, dico, per controllare il dolore. Ci sono medici che non se la sentono di farlo, ci sono credenze assurde che gli analgesici abbrevino la vita. Non è vero. Gli studi ""

7 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 liber dicono che la sedazione del dolore la allunga invece, la vita, perché il corpo che non soffre.. E qui mi interrompe. «E chiaro dice, soffrire è fatica, soffrire ti consuma prima, ti uccide prima.» Questo è lavoro mio, se mai ne avrai bisogno ci penserò io. A casa, in ospedale, non importa, basta che mi fai chiamare. Io spero che questo non sarà necessario, ma se dovesse esserlo, se dovesse servirti... «Si, me ne ricorderò.» E poi vorrei dirgli ancora qualcosa, a questo uomo così brillante, così più in alto delle altre menti, perseguitato dalla stupidità umana e infastiditone sino all ultimo, e lo dico. Perché badi alla gente? Che ti importa di loro, non sai che non capiscono? Fanno finta di non sapere che toccherà a loro. «Ah, ma li invidio, invece! Maledizione, era la sola cosa che sognavo, di prender sonno e di prenderlo del tutto, così semplicemente. Una morte da ricchi, una morte di lusso. Senza sapere, senza capire, senza aspettare. E li invidio non sai quanto questi che non capiscono, e non guardano mai avanti e se guardano non vedono, così presi da quattro piccole fesserie, davanti alla televisione come galline alla cova, e sono felici, e mi fa rabbia, è una felicità da poco, è vero, la felicità degli stupidi, una felicità non conosciuta, ma è una felicità, non me lo puoi negare!» Quale felicità? Non sono in grado neppure di capire cosa è soffrire o essere felici, galleggiando come tappi tutto il tempo, inebetiti davanti a Sanremo, la capacità di essere felici si paga con quella di soffrire, non lo sai? C è un prezzo per tutto, e questo è il suo. Preferiresti non avere mai conosciuto neppure la differenza? Preferiresti non saperla neppure riconoscere la felicità? Preferiresti essere sempre stato cieco solo perché ora sei al buio? E non averla mai guardata in faccia la vita, in cambio del lusso di non vedere, adesso, la morte? Ha aperto gli occhi, un piccolo sussulto, ora è vicino al lavabo, cammina un po in tondo, con gli occhi a terra, poi li solleva e mi guarda di nuovo: «Sai, non l avevo mai vista da questo punto, mi dai da pensare.» Parliamo un poco dei prossimi giorni, della Figlia che gli sta addosso, che non capisce, che non cresce. «E io avrei la tentazione di darle uno spintone, di scuoterla, ma proprio così, con una manata, ahò, aprili quegli occhi, accidenti, e mi chiedo adesso cosa farà, cosa farà, eh?» «Imparerà, imparerà qualcosa, dai genitori si impara, no?» Ride ancora, un poco amaro... «Ah, vedi, non credo di essere stato un gran che come padre. E la distanza, vedi. C è questa distanza, tanti anni, almeno trenta, come chilometri attraverso cui non si riesce a farsi sentire la voce. Ma ad un certo punto, crescendo, questa distanza dovrebbe ridursi, diventare di meno, da trenta a dieci, due, forse persino quasi niente, e allora si potrebbe riuscire a farsi capire. Ma lei non cresce ancora, e io...» Tu, amico mio, tu non hai più tempo d aspettare che si decida a maturare. Parliamo ancora, ci salutiamo, poi sulla porta continuiamo a parlare, torniamo indietro, ci stringiamo la mano di nuovo, alla fine è una telefonata che mi trascina via e che lo spinge fuori, dove la Figlia aspetta. Perché, e questo non l ha detto, negli ultimi tempi il Pescatore, ed è una cosa nuova per lui, ama farsi accompagnare... 3 La Figlia del Pescatore mi viene a trovare spesso. Ha bisogno di raccontare a qualcuno. Mi relaziona sulle tappe del viaggio di suo padre e dentro questi fatti c è il suo malessere di figlia che si rende conto d essere stata sempre amata e di non averlo mai capito. Suo padre le ha fatto una carezza sulla guancia e lei dice «Accidenti a lui, poteva farlo anni prima? Perché non mi ha mai sorriso così, abbracciato così quando non pensava di dover morire presto?» L altro giorno è andata a cercarlo al bar, dove lui passa parte della giornata con gli amici. Il Pescatore è uscito nel gelo della mattinata invernale in maniche di camicia. Ma come, prendi freddo! E lui: dimmi quel che devi dire e sbrigati: sto giocando a carte e mi aspettano. Naturalmente lei si è alterata due volte: per la mancata giacca e per la fretta di tornare alla briscola. Con quel che succede pensi alle carte? Perché, a cosa dovrei pensare? A me piace la briscola, andare a pesca, stare con gli amici. Non ho mica cambiato i miei gusti solo perché sono malato. La Figlia sta peggio del Pescatore, in un certo senso. Vorrebbe un padre diverso, un padre che pensi solo a lei, che la coccoli come una bambina. La Figlia non capisce. Ma se non smette, almeno per un poco, d essere Narciso, non capirà mai. Perché Narciso è ottuso. Tanto giovane, tanto bello e tanto ottuso. Il Pescatore come padre forse non è stato un campione. Ma non si racconta balle, è fantastico in questo. E se muore di terrore non disdegna di camminarci attraverso, vive scopertamente la tentazione di anticipare la Morte correndo verso di Lei, e resiste al desiderio inconsulto di tuffarsi nel baratro prima che la Signora stessa lo spinga di sotto. Gioca a briscola mentre l aspetta, me lo immagino sollevare gli occhi dalla mano di carte per guardarla, Lei scheletrica e candida, le orbite vuote piene di una luce blu. «ANDIAMO?» «Proprio adesso? Guarda qui: tre carte e tre carichi di briscola, fammi prendere e battere questi scalcagnati e sono subito da te, cara.» Ma sarà ancora più difficile di così. Sarà un corpo a corpo sanguinoso, ed ho paura anch io, terrore puro se oso fermarmi a pensarci. Vorrei che toccasse ad un altro il compito di reggere la sua spugna all angolo del ring. Maledizione, forse dovrei andare a trovarlo al bar e farmi io pure una mano di briscola, nell attesa. 4 E morto stanotte all una e un quarto, verosimilmente per un infarto cardiaco, nel giro di poco più d un ora. Nell ultimo mese si era ulteriormente aggravato. S era procurato una zanetta, un bacchetto lo chiamava, un bastone fatto con un ramo scortecciato e lucidato, e vi si appoggiava per girare in casa ed anche quando era seduto sulla sedia. Un bastone da camminatore, da boscaglia, da prode del fiume. "" 9

8 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 5/2005 Un bastone per appoggiarsi tra i sassi, per scostare l erba, per cercare funghi. Un bastone perfetto per lui, anche alla fine. Ieri sera aveva giocato con la nipotina fino alle dieci di sera: lei faceva le capriole sul suo letto e lui la stuzzicava dispettoso. La piccola l ha salutato: «Ciao nonno, ci vediamo domani mattina.» Aveva un gran mal di stomaco sin dal mattino; alle undici e mezzo si è svegliato ed è andato in bagno, ma gli è venuto un gran fiatone e non riusciva a riprendersi. Si è affacciato al terrazzo, poi gli sono mancate le forze. La moglie ha chiamato la figlia, la Maggiore: Appena è entrata m ha chiamato subito: rantola, m ha detto, cosa debbo fare? Vengo io, ho risposto. Gli ho dato dei sedativi, è morto circa venti minuti dopo. La Maggiore voleva mettergli i pantaloni che usava per andare a pescare, la moglie il vestito del matrimonio. Sono giunte ad un compromesso: pantaloni da città ed il suo golf preferito. La Figlia gli ha messo accanto nella bara tutto quanto poteva essergli utile di là : canna da pesca, l ultima, la migliore, a fianco; licenza di pesca nel portafogli, debitamente rinnovata poco tempo fa; sacchetto dei bigattini a portata di mano. E poi foto delle sue donne: le due figlie e la nipotina. La moglie no: aveva raccomandato alla Figlia: «Non farla venire al funerale, lasciami andare in pace, senza quella lì». Fiori, un sacchetto di biscotti fatti in casa, quelli che gli piacevano, i documenti, era una persona seria e non andava in giro senza, il suo bacchetto. L hanno cremato di venerdì. Voleva essere cremato e poi finire nel fiume, il posto dove preferiva stare. Le ceneri sono partite in macchina, chiuse in una scatola di cartone, con la Figlia e col compagno pescatore del Pescatore, dirette ad uno dei posti da lui preferiti, e laggiù sono finite dentro il fiume, a scorrere con lui, come voleva il nostro amico. La Nipotina piange spesso. Continuava a cercare il nonno e pare ne abbia ereditato il caratteraccio, visto che strillava e faceva i capricci e rifiutava di mangiare se non la portavano subito, dico subito, dal SUO nonno. La situazione in capo a pochi giorni era diventata insostenibile, era chiaro che non aveva alcuna intenzione di scordarsene o di lasciar perdere, così le hanno raccontato che gli angioletti sono venuti a prendere il nonno per portalo in Cielo. La spiegazione non l ha placata, ha solo indirizzato altrove le sue proteste: che diritto hanno gli angioletti di portarsi via il mio nonno? non ce l hanno un nonno, loro? io lo rivoglio, bisogna dirgli che me lo riportino, in Cielo è troppo lontano e non mi piace. In seconda battuta, ha indagato sulla possibilità che quei disgraziati si portino via anche la mamma, o la zia, e le sorveglia attentamente: non si sa mai. Ogni giorno attraverso il fiume. Non posso vederlo, ma so che è là. # Emanuela Verdone Studia Filosofia. Suoi scrittori preferiti: Buzzati, Baricco, Dostoevskij, Dickinson, Pessoa, Ende, H.D. Thoreau, Pennac. Frequenta un laboratorio di Teatro e una scuola di dizione da cinque anni, nella compagnia Spazio tre. Ama i viaggi, soprattutto quelli disorganizzati, solitari, avventurosi. Sue ultime mete: Istanbul, Francia, Austria, Germania, Slovenia, Corsica, Florida. Ama moltissimo la pittura e l arte in genere. In particolare l Impressionismo, l Aeropittura, Escher, Magritte. Suoi sport preferiti: pattinaggio, free-climbing e corsa (cento metri). Ha partecipato per due anni alla manifestazione letteraria Bologna ad alta voce, con la lettura di racconti nei vari angoli della città, assieme a scrittori noti. In quest occasione sono stati pubblicati due racconti, E- Help e Ciao tu, dalla casa editrice Pendragon - Bologna. Inoltre è stata segnalata nel Premio Premio Teramo Ha vinto il Premio Speciale Poesia al 1 Concorso Letterario LiberAccademia, con i suoi versi dal titolo Forse. 10 Maurizio Bonzagni Nato nel 1958 a Mirandola (MO) dove tuttora risiede, Maurizio Bonzagni è laureato in Chimica all Università di Modena. Lavora da vent anni nel campo delle plastiche per una multinazionale americana, la DOW Chemical, nella sede di Correggio (RE), come Technical Sales Senior Specialist BS&M. Tre anni fa, partecipò ad un concorso di poesia indetto dalla trasmissione televisiva In famiglia su Rai Due e vinse con la lirica La speranza. Ama la lettura, Internet, il PC in generale, il Giardinaggio e colleziona valuta straniera in corso. Ha vinto il 1 concorso Letterario LiberAccademia, classificandosi al Primo posto con il suo racconto Il Viaggio. Giacomo Pagano Giacomo Pagano è nato il 3 gennaio 1980 a Bologna. Lavora presso un ente di certificazione mentre è in procinto di laurearsi in Scienze della Comunicazione. Nel (poco) tempo libero si dedica all ascolto di musica rock, alla pratica del Tae Kwon Do e alla scrittura di racconti brevi dal finale imprevedibile. Stefano Machera Stefano Machera ha 43 anni, fa il consulente informatico. Socio Mensa dal 1986, almeno crede di ricordare, è da diversi anni coordinatore del SIG Libri. Legge molto e indiscriminatamente, e i gialli sono una sua passione adolescenziale, passione non ancora terminata. Francesco Magro Francesco Magro nasce da genitori siciliani a Mons (Belgio) il 26 novembre 1979, ma si trasferisce a Napoli in tenerissima età, città nella quale cresce e risiede attualmente. Studia in Italia, in Francia, in Australia, in Germania, lavora per brevi periodi in Messico, in Egitto. Nel 2004 si laurea in Medicina e Chirurgia presso l Università degli Studi Federico II di Napoli e parte poco dopo per l India come medico volontario, restandovi un mese. Un giorno, durante una visita, scorge di sfuggita Dio intento a nascondersi negli occhi di un bambino affetto da una grave parassitosi intestinale. Da allora continua ad inseguirlo con scarsissimi risultati. Per la seconda volta pubblica dei versi, sempre su Liber. Cecilia Deni Medico di famiglia con un migliaio di pazienti sparsi prevalentemente tra Lavino ed il Reno, Cecilia Deni è nata in Sardegna nel Cresciuta tra il Sarrabus ed il Campidano, ha frequentato a Cagliari il liceo classico ed il biennio di Medicina. Trasferitasi a Bologna, vi ha conseguito la laurea nel 1984, insieme ad una specializzazione in Medicina dello Sport, un abilitazione in psicoterapia che però non utilizza, il biennio di formazione in Medicina Generale e un particolare genere di Master in comunicazione. Sposata a un bolognese, ha due figli, che definisce i grandi amori della mia vita. Si dichiara lettrice accanita, compulsiva, e molto istintiva: dalla narrativa di genere, soprattutto FS, a quella per ragazzi, saggistica, fumetti, classici, poesia, teatro, umoristica, di tutto un bel po. Tranne il tedesco, ha imparato i fondamenti delle principali lingue europee francese più che bene, poi inglese e spagnolo e dice di aver viaggiato poco per cronica mancanza di denaro. Ama ascoltare musica, andare a teatro, fare lavori manuali, soprattutto ricamo e falegnameria; si definisce cuoca passabile ma appassionata. Eclettica come spesso molti Soci del Mensa, si interessa di cure palliative, tanatologia, bioetica. Infine, dice di sé: Sono irrimediabilmente e piacevolmente golosa e grassa. In questo numero un altra pagina dei suoi ricordi professionali. $

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