CORSO DI FILOSOFIA PER PROBLEMI. CHE COS È L UOMO E QUAL È IL SUO BENE? (Pico della Mirandola, Montaigne, Cartesio, Pascal, Hobbes, Kant)

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1 CORSO DI FILOSOFIA PER PROBLEMI ARGOMENTARE MANUALE DI FILOSOFIA PER PROBLEMI PAOLO VIDALI GIOVANNI BONIOLO EDIZIONE DIGITALE CHE COS È L UOMO E QUAL È IL SUO BENE? (Pico della Mirandola, Montaigne, Cartesio, Pascal, Hobbes, Kant) 2013 VERSIONE A STAMPA EDITA DA BRUNO MONDADORI CON TESTI DI FABIO GRIGENTI E ANTONIO DA RE

2 CHE COS È L UOMO E QUAL È IL SUO BENE? (Pico della Mirandola, Montaigne, Cartesio, Pascal, Hobbes, Kant) SOMMARIO 1. Il problema dell uomo nell età moderna L umanesimo: il rovesciamento del rapporto prospettico fra macrocosmo e microcosmo Ficino e Pico della Mirandola Montaigne: la infondabile centralità dell uomo l uomo al centro dell universo, ma senza alcun primato... 6 Testo Montaigne Le conseguenze della posizione di Montaigne Cartesio: la duplicita dell uomo fondamento del suo primato da montaigne al dualismo cartesiano La copresenza di res cogitans e res extensa... 8 Testo Cartesio Le conseguenze del dualismo cartesiano La morale provvisoria di Cartesio Pascal: la miserevole grandezza dell uomo La vita di Pascal La soluzione pascaliana al problema dell uomo, il suo presupposto teorico e la sua critica a soluzioni alternative L uomo, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla L uomo e il dualismo tra fede e ragione Il pari I temi della riflessione morale pascaliana Hobbes: il primato dell uomo nel materialismo La dimensione materiale dell uomo La dimensione materiale dell uomo Testo Hobbes Libertà e necessità immanenti all uomo L etica kantiana La metafisica non è una scienza Il problema etico in Kant L imperativo categorico Testo Kant: il bene e la legge morale I postulati della ragion pura pratica Il sentimento del bello e del sublime Conclusioni Laboratorio didattico Condizione necessaria e condizione sufficiente Piano di discussione Bibliografia minima Testi ad integrazione Marsilio Ficino Montaigne Cartesio e l uomo Cartesio la morale provvisoria Cartesio: la lezione di Seneca e l ideale dell uomo saggio Hobbes Kant: le persone come fini in sé Kant: l uomo appartiene a due mondi Kant: il sommo bene Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 2

3 CHE COS È L UOMO E QUAL È IL SUO BENE? (Pico della Mirandola, Montaigne, Cartesio, Pascal, Hobbes, Kant)1 1. IL PROBLEMA DELL UOMO NELL ETÀ MODERNA Il primato assunto dalla domanda su natura e ruolo dell uomo segna la nascita dell età moderna. L Umanesimo, in questo senso, appare come un erma bifronte. Per un verso, esso tira le fila della speculazione medioevale ponendosi, rispetto a essa, in una posizione nuova non per gli elementi concettuali sui quali gli umanisti agiscono, bensì per la posizione speculare, rispetto ai medioevali, dalla quale li considerano; è, questo il carattere rilevante (che abbiamo considerato nel volume dedicato al Medioevo) della ripresa, da parte di Marsilio Ficino ( ) e di Pico della Mirandola ( ), della prospettiva platonica del rapporto fra macrocosmo e microcosmo. D altro lato, l Umanesimo apre, alla riflessione immediatamente successiva, un orizzonte effettivamente nuovo, dove appaiono elementi che non trovavano spazio nel quadro concettuale precedente : ciò accade attraverso la messa in luce dell insufficienza di quest ultimo, della sua contraddittorietà e della necessità di fornire nuove fondamenta concettuali alle esigenze che l Umanesimo avanza. Cartesio ( ) individua questo fondamento nella ragione; è quest ultima, infatti, a dar conto del primato dell uomo rispetto alle altre realtà del creato. La ragione costituisce, altresì, la frontiera invalicabile che separa l uomo dall animale: l animale rappresenta l essere determinato, nei suoi comportamenti, dalle dinamiche intrinseche alla corporeità, mentre l uomo, proprio in virtù della ragione, può trascendere la dimensione meccanicista e determinista che è propria della materialità. In quanto costituita sul fondamento della ragione, la specificità dell essenza umana, nella sua irriducibile differenza rispetto a quella dell animale, appare, dunque, come un articolazione del dualismo cartesiano di res extensa e res cogitans. Del dualismo cartesiano fra dimensione spirituale e dimensione corporea, che si ripercuote nella definizione dell essenza dell uomo, Blaise Pascal ( ) e Thomas Hobbes ( ) rappresentano i due corni. La scelta di Pascal assume la realtà spirituale come caratteristica definitoria dell essenza umana, e propone anzi nella sfera spirituale un dualismo ulteriore, quello tra fede e ragione: la ragione dimostrativa non esaurisce la realtà umana, che si estende fra l evento del peccato e la possibilità della redenzione, alla quale l uomo può pervenire soltanto in virtù della fede, frutto di una scelta che rappresenta, per l uomo, l esercizio più alto del libero arbitrio. Il secondo corno del dualismo cartesiano è incarnato, invece, dalla posizione di Hobbes. Nel suo rigoroso sistema meccanicista, l antropologia non è altro se non una sezione della fisiologia, e quest ultima una sezione della fisica. La risposta alla domanda che chiede che cosa sia l uomo viene offerta, da Hobbes, attraverso un indagine che comporta la riduzione dell essenza umana e del suo manifestarsi alla risultante di un complesso di movimenti di corpi materiali. A partire dalla fondazione dualistica cartesiana della differenza specifica dell uomo nei confronti del resto del mondo creato, nonché avanzando lungo i due percorsi che da essa si diramano (l uno centrato sull elemento spirituale, l altro su quello materiale), nell età moderna vengono riprese, in chiave antropologica, questioni che la riflessione medioevale già conosceva, ma come pertinenti a una dimensione ultraterrena e al problema della sua conoscibilità: il problema del rapporto tra fede e ragione, per esempio, che da questione relativa al rapporto dell uomo con Dio diventa questione inerente all essenza della ragione umana; oppure, il problema del rapporto fra libertà e necessità, che da questione relativa all azione di Dio nel mondo diventa questione che definisce l essenza del volere umano, in quanto sospeso fra la spontaneità della ragione e la passività della sensazione. In questo modo, tuttavia, i termini della domanda su che cosa sia l uomo subiscono, rispetto a come essi emergevano nella riflessione dei secoli precedenti, un mutamento così radicale da comportare una dissoluzione della domanda stessa. Data per acquisita la prospettiva antropocentrica, infatti, per gran parte della riflessione del Settecento e dell Ottocento non si tratterà tanto di prendere le mosse dall indagine sull essenza dell uomo e sulla specificità che lo distingue dagli altri enti, quanto, piuttosto, di esaminare i problemi posti dal conoscere, dal volere e dall agire umano, dando per scontata quella 1 Con testi di Fabio Grigenti, per la parte antropologica, e Antonio da Re per quella etica. Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 3

4 stessa specificità. Detto altrimenti: fino alla filosofia dell esistenza del ventesimo secolo, la questione di che cosa sia l uomo risulterà riformulata nella domanda su come l uomo conosca, voglia, agisca. Questo è il frutto di come la domanda sull uomo viene posta dalla riflessione filosofica nel periodo fra Cinquecento e Seicento, che ci apprestiamo a considerare. 2.L UMANESIMO: IL ROVESCIAMENTO DEL RAPPORTO PROSPETTICO FRA MACROCOSMO E MICROCOSMO L uomo occupa, dal punto di vista metafisico, una posizione centrale all interno del cosmo: essere intermedio fra l àmbito sensibile e quello sovrasensibile ma, anche, immagine del Creatore nonché microcosmo, ovvero immagine, sebbene in scala minore, del macrocosmo, cioè della totalità dell universo. Nel passaggio dalla prospettiva medioevale a quella umanistica cambia l angolo visuale dal quale sono riguardati il rapporto fra l uomo e Dio, e quello fra l uomo e il mondo. Se per Agostino, così come per Bonaventura e per Tommaso, il punto focale dell indagine consiste nella spiegazione della realtà di Dio e di quella del cosmo, all interno della quale l uomo trova la propria natura e il proprio ruolo, per gli Umanisti il punto focale dell indagine è specularmente opposto, il percorso della ricerca inverso e il fuoco dell indagine spostato. E a partire dal microcosmo, cioè dalla realtà dell uomo, che è possibile spiegare quella dell universo e di Dio, e proprio per questo la realtà dell uomo diventa meritevole di essere indagata di per sé stessa, in quanto autonoma. L Umanesimo non rappresenta tanto un fenomeno esclusivamente filosofico quanto, più in generale, un fenomeno di carattere culturale. Esso consiste, per il suo tratto fondamentale, nell affermarsi di una visione del mondo che pone al centro del proprio interesse e della propria prassi l uomo : anche laddove quest ultimo sia concepito, anzitutto, come ente creato e, in quanto tale, come parte dell universo, la sfera dell umano diventa, infatti, il centro focale dell indagine. Pur prendendo le mosse dall interpretazione, di ascendenza neoplatonica, del rapporto fra uomo e mondo come rapporto fra cosmo e microcosmo, nella riflessione dell Umanesimo la relazione fra i due termini risulta riformulata: incentrandosi sul microcosmo, l indagine ne sottolinea la dignità, e apre così la strada perché il microcosmo sia considerato una realtà autonoma rispetto alla sfera del divino, inaugurando una prospettiva che si imporrà con l età moderna,. Dal punto di vista più propriamente filosofico, risulta dunque decisiva, per la soluzione umanistica al problema dell uomo, la distinzione fra macrocosmo e microcosmo, nei termini in cui essa è delineata dal platonismo ma, soprattutto, da Bonaventura: la lettura che Bonaventura dà di tale distinzione attraverso la lente del dualismo aristotelico di materia e forma, insistendo sul carattere di realtà da attribuirsi all unità dell una e dell altra (unità che si realizza appunto, in modo esemplare, nell uomo), costituisce la premessa decisiva per la considerazione umanistica dell uomo come realtà degna di essere posta quale oggetto privilegiato dell indagine. Marsilio Ficino 2.1 FICINO E PICO DELLA MIRANDOLA All interno della riflessione sul problema dell uomo, Marsilio Ficino ( ) e Pico della Mirandola ( ) possono essere considerate come due figure rappresentative per comprendere non soltanto i contorni della soluzione umanistica, ma anche la sua genesi, storica e teorica, nonché le sue conseguenze. Per quanto, infatti, entrambi i pensatori muovano dalla concezione dell uomo come microcosmo, da Ficino a Pico è, nondimeno, possibile individuare una l inea di sviluppo concettuale, in direzione di una maggior centralità dell uomo e della sua considerazione come realtà dotata di una dignità autonoma nei confronti del resto del mondo creato e dello stesso Creatore. Il peculiare platonismo cristiano di Ficino definisce la posizione dell uomo come intermedia fra i corpi da un lato e le nature angeliche e Dio dall altro. ( testo) L argomentazione all interno della quale è collocata la definizione ficiniana dell essenza dell uomo è finalizzata a sostenere il carattere immortale di quest ultima, cioè dell anima. L esistenza umana sarebbe insopportabilmente infelice, argomenta Ficino, se l essenza dell uomo non fosse immortale: l uomo è infatti carente, tanto sul lato della corporeità, quanto su quello dello spirito. L uomo partecipa della dimensione del corporeo, ma con una Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 4

5 evidente debolezza, su questo piano, nei confronti degli altri animali; egli partecipa anche dell essenza del divino, cioè della sfera spirituale, ma ciò non genera in lui, rispetto alla beatitudine delle forme angeliche, altro che inquietudine, fintanto che l anima sia prigioniera di quell oscuro carcere che è la mole inerte del corpo. D altra parte, proprio questa posizione intermedia entro la topografìa del reale nella quale l uomo si colloca costituisce anche il motivo del suo primato: la posizione intermedia si rivela essere una centralità, il qualificarsi intermedio dell uomo si rivela come un valore. Pico della Mirandola ( ) sottolinea il primo dei due aspetti ricordati, cioè il primato che, nel contesto dell indagine, deve essere assegnato all uomo in quanto compartecipe di tutti gli elementi e le qualità attribuiti, nell universo, alle altre creature. Creando per ultimo l uomo, dichiara Pico, Dio stabilì che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Quella che in Ficino è presentata ancora come una carenza dell uomo diventa, in Pico, il motivo della sua dignità ; Dio colloca l uomo nel mezzo del mondo perché, di lì, egli possa scorgere tutto ciò che è nel mondo. In breve: la posizione intermedia dell uomo lo pone, secondo Ficino, al di sopra degli altri enti creati, perché gli consente di trascendere questa stessa posizione verso la dimensione spirituale del divino, e in questo trascendere sta l eccellenza della natura umana; per Pico, invece, la dignità dell uomo consiste proprio in questa posizione, non nell oltrepassarla. PICO TESTO: De Dignitate hominis Il Discorso sulla dignità dell'uomo (Oratio de hominis dignitate) è un'opera scritta nel L'orazione è composta da 900 tesi che dimostrano la potenza dell'intelletto che mette l'essere umano al centro dell'universo, definendosi così come un Dio plasmatore e creatore, è ritenuta una delle sue opere maggiori. In essa la descrizione dell uomo assume caratteri e modi totalmente innovativi, propri dell Umanesimo. Già il Sommo Padre, Dio creatore, aveva foggiato, secondo le leggi di un arcana sapienza, questa dimora del mondo quale ci appare, tempio augustissimo della divinità. [ ] Senonché, recato il lavoro a compimento, l artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un opera sì grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. Perciò, compiuto ormai il tutto, come attestano Mosé e Timeo, pensò da ultimo a produrre l uomo. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori uno ve n era da largire in retaggio al nuovo figlio, né dei posti di tutto il mondo uno rimaneva in cui sedesse codesto contemplatore dell universo. [ ] Stabilì finalmente l ottimo artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio alla cui potestà ti consegnerai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine. O somma liberalità di Dio Padre, somma e ammirabile felicità dell'uomo! Al quale è dato di poter avere ciò che desidera, ed essere ciò che vuole. I bruti nascendo, assorbono dal seno materno ciò che possederanno. Gli spiriti superiori furono invece, sin dall'origine, o poco di poi, ciò che saranno eternamente. Il Padre infuse all'uomo, sin dalla nascita, ogni specie di semi e ogni germe di vita. Quali di questi saranno da lui coltivati cresceranno e daranno i loro frutti: se i vegetali, sarà come pianta, se i sensuali, diventerà simile a un bruto, se i razionali, da animale si trasformerà in celeste; se gl'intellettuali, diverrà angelo e figlio di Dio. E se di nessuna creatura rimarrà pago, rientrerà nel centro della sua unità, e lo spirito, fatto uno con Dio, verrà assunto nell'umbratile solitudine del Padre che s'aderge sempre al di sopra di ogni cosa. Chi ammira questo nostro camaleonte, o, anzi chi altri può ammirare di più? Pico della Mirandola, De hominis dignitate, Vallecchi, Firenze 1942, pp Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 5

6 Il rapporto tra Marsilio Ficino e Pico della Mirandola appare come esemplificativo della trasformazione che segna il passaggio, nella soluzione del problema dell uomo, dalla prospettiva medioevale a quella umanistica: nel contesto di un interpretazione che colloca l uomo, quale microcosmo, sullo sfondo del suo rapporto con l universo, nonché di quello con il suo Creatore, l accento si sposta sempre più sulla sfera dell umano, fino a legittimarla come dimensione autonoma della realtà. Al termine del Medioevo, la risposta degli Umanisti alla domanda che chiede che cosa sia l uomo rappresenta, oltre che la loro eredità concettuale più importante, il gesto filosofico e culturale che inaugura l età moderna. E rovesciato il senso del rapporto fra macrocosmo e microcosmo. Per Agostino, il ripiegarsi dello sguardo contemplativo nell interiorità dell anima umana deve servire a elevarla a Dio. Per Pico della Mirandola è invece nell uomo, nel quale sono riposti semi d ogni specie e germi d ogni vita, che si trova la chiave dell universo. In questo modo, la speculazione degli Umanisti apre la strada alla considerazione della sfera dell umano come realtà primariamente degna di essere indagata, ciò che costituisce il tratto decisivo dell età moderna MONTAIGNE: LA INFONDABILE CENTRALITÀ DELL UOMO L orizzonte della risposta di Michel de Montaigne ( ) alla domanda che chiede che cosa sia l uomo è circoscritto, da un lato, dall ispirazione scettica, dall altro dalla polemica con i sistemi metafisici di ispirazione aristotelica e neoplatonica che avevano nutrito la posizione dell Umanesimo rinascimentale. Questa polemica non ha lo stesso valore nei due casi: mentre l attacco ai sistemi metafisici della Scolastica (condotto con gli strumenti forniti dallo scetticismo) non lascia spazio, in Montaigne, ad alcuna forma di contiguità con essi, la disputa con l interpretazione neoplatonica dell uomo come microcosmo, caratteristica della prima fase dell Umanesimo, mette in luce, invece, una assunzione di fondo che è comune a Montaigne e all Umanesimo, con cui il filosofo francese polemizza: la convinzione che la natura umana debba costituire l oggetto privilegiato dell indagine, cioè il terreno dove nasce e si esercita la riflessione filosofica. È forte, già nella prima metà del Cinquecento, l influsso dello scetticismo di Sesto Empirico ( d. C.), utilizzato da molti pensatori per mettere in luce, a fronte delle incertezze della scienza umana, le certezze della fede. Non è questo, tuttavia, l orientamento di Montaigne: anche se non intende attaccare le verità della fede, non intende neppure utilizzarle per la propria soluzione al problema dell uomo. L assunzione della posizione scettica da parte di Montaigne non è dunque meramente strumentale: la sua antropologia è effettivamente scevra da elementi e da obiettivi fideistici ed è sviluppata con gli strumenti dell introspezione e dell autoriflessione L UOMO AL CENTRO DELL UNIVERSO, MA SENZA ALCUN PRIMATO Il più ampio dei saggi che compongono i tre volumi degli Essais montaigneani è ironicamente dedicato all Apologia di Raimundo Sebonde, filosofo scolastico spagnolo (m. 1436), autore di una Theologia naturalis, la cosmologia del quale trova il proprio compimento in Dio: per Montaigne, invece, le cosmologie razionali, ovvero le teologie naturali di ispirazione aristotelica, si fondano su un illusione, in quanto l uomo non può in alcun modo giungere alla comprensione della totalità dell universo né, tantomeno, a quella del suo creatore. L argomentazione di Montaigne tende a sottolineare il carattere animale dell uomo, negando ad esso il ruolo privilegiato che, in virtù della ragione, gli Scolastici gli conferiscono all interno della sfera degli enti creati. È frutto di una presunzione tanto smodata quanto infondata, dichiara Montaigne, ritenere che l uomo sia una creatura eletta rispetto alle altre, in virtù di una pretesa somiglianza con Dio: «come può egli conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro?» (Saggi, Lib. II, cap. XII). Detto altrimenti: essendo l uomo uno dei termini del rapporto che intercorre fra l uomo stesso e gli animali, non è possibile che egli si costituisca a misura di questo rapporto, giudicando ciò che gli è estraneo (l animale), nonché la totalità del rapporto, come se egli potesse porsi al di fuori di quest ultimo. L argomentazione qui utilizzata da Montaigne mostra con evidenza il suo debito con la tradizionale Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 6

7 argomentazione scettica che sostiene l inconoscibilità degli oggetti per l uomo, al di là delle apparenze che essi gli mostrano: nel rapporto conoscitivo, l uomo non può giudicare il termine estraneo (l oggetto «in sé») né, di conseguenza, l adeguatezza, ad esso della propria conoscenza, in quanto egli dovrebbe porsi, per ciò, al di fuori del rapporto stesso. Questa argomentazione, abbattendo la pretesa di primato dell uomo nei confronti delle altre creature, vale, per conseguenza, anche contro quelle prospettive, di ascendenza platonica e neoplatonica, che nella prima fase dell Umanesimo concepivano l uomo come microcosmo, cioè come contenente in sé le potenzialità dell universo creato e, in virtù di ciò, assegnavano all uomo un ruolo centrale, per posizione e per valore. Tuttavia, se all uomo non può essere riconosciuto alcun primato in forza di una sua presunta centralità metafisica, questo stesso primato, ovvero il suo costituire il centro di interesse per la riflessione filosofica, gli deve venir assegnato in virtù del fatto che, di questa stessa riflessione, l uomo costituisce l oggetto precipuo e, in ultima analisi il solo possibile, e dunque meritevole, di indagine. In questo modo, la soluzione di Montaigne, pur attaccando la posizione dell Umanesimo rinascimentale, ne ripropone il presupposto di fondo. TESTO MONTAIGNE In questo brano, tratto dall Apologia di Raimundo Sebonde, Michel de Montaigne attacca il primato che il platonismo aveva conferito, nella prima fase dell Umanesimo, all uomo. Consideriamo dunque, per ora, l uomo solo, senza soccorso esterno, armato delle sue sole armi e sprovvisto della grazia e della conoscenza divina, che è tutto il suo onore, la sua forza e il fondamento del suo essere. Vediamo quanto egli possa resistere in questo bello stato. Che egli mi faccia capire, con la forza del suo ragionamento, su quali basi ha fondato quei grandi privilegi che pensa di avere sulle altre creature. Chi gli ha fatto credere che quel mirabile movimento della volta celeste, la luce eterna di quelle fiaccole ruotanti così arditamente sul suo capo, i movimenti spaventosi di quel mare infinito siano stati determinati e perdurino per tanti secoli per la sua utilità e per il suo servizio? È possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa miserabile e meschina creatura, che non è neppure padrona di se stessa ed è esposta alle ingiurie di tutte le cose, si dica padrona e signora dell universo, di cui non è in suo potere conoscere la minima parte, tantomeno di comandarla? E quel privilegio che si attribuisce, di essere, cioè, il solo, in questa gran fabbrica, ad avere la facoltà di riconoscerne la bellezza e le parti, il solo a poter rendere grazie all architetto e a tener conto del bilancio del mondo, chi gli ha conferito questo privilegio? Ci mostri le credenziali di questo bell ufficio. [ ] M. de Montaigne, Saggi, Lib. II, cap. XII. Per la comprensione L argomentazione di Montaigne si sviluppa attraverso alcune tesi: 1. Per valutare l essenza dell uomo occorre considerarla a prescindere dal favore a esso accordato da Dio. 2. Prescindendo dalla grazia di Dio, la pretesa che l universo sia finalizzato all uomo è indimostrabile. 3. In questa condizione, non è neppure dimostrabile che l uomo sia il solo ad avere nozione dell universo e di Dio. Riporta le parti di testo corrispondenti a queste tesi LE CONSEGUENZE DELLA POSIZIONE DI MONTAIGNE La conseguenza della risposta di Montaigne al problema dell uomo nella cultura e nella filosofia occidentali consiste nella definitiva acquisizione della prospettiva antropocentrica, ovvero nella designazione della realtà umana come oggetto principale e terreno privilegiato dell indagine. Come si è visto, in Montaigne ciò accade in modo quasi paradossale: l imporsi della prospettiva antropocentrica avviene infatti, in questo pensatore, attrave rso il rifiuto di conferire all uomo una dignità metafisica superiore a quella delle altre realtà dell universo. In questo modo, il primato dell uomo rimane privo di un fondamento metafisico, che l orientamento scettico di Montaigne ritiene inesigibile e insostenibile; la speculazione successiva, tuttavia, accettando Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 7

8 l orizzonte antropocentrico così emerso dalla posizione di Montaigne, cercherà proprio questo fondamento. 2.3 CARTESIO: LA DUPLICITA DELL UOMO FONDAMENTO DEL SUO PRIMATO Con Cartesio la prospettiva antropocentrica, che costituisce il tratto distintivo dell età moderna, impostosi nella cultura e nella filosofia occidentali grazie all Umanesimo, riceve un fondamento metafisico: il primato dell uomo, all interno del cosmo, deriva dal fatto che egli è il solo essere costituito da materia e spirito DA MONTAIGNE AL DUALISMO CARTESIANO Per comprendere la posizione di Cartesio in merito alla questione dell uomo, occorre distinguere, fra le premesse, un esigenza e un presupposto. L esigenza nasce dalla configurazione assunta dalla questione dell uomo dopo la soluzione offerta da Montaigne. La posizione di quest ultimo aveva avuto vasta eco nella cultura francese: il suo peculiare ispirazione umanistica, che rifiuta le ipoteche metafisiche non soltanto perché inutili a legittimare la «dignità» dell uomo, ma in quanto fuorvianti per riconoscerne limiti e portata, aveva contribuito in misura rilevante a spostare il fuoco dell indagine sull uomo e a rendere salda l eredità umanistica, ben al di là dei confini dell àmbito disciplinare della filosofia. D altra parte, è proprio in quest àmbito che si fa sentire più forte l esigenza di fornire un fondamento alle acquisizioni montaigneane; di questa esigenza, Cartesio si fa interprete. Il presupposto che sta alla base della soluzione di Cartesio al problema dell uomo è intrinseco alla sua filosofia, e consiste nel dualismo che oppone la corporeità (la res extensa) alla sostanza spirituale (la res cogitans): il primato dell uomo, fra gli esseri creati, è dovu to alla presenza, in lui, di entrambe le sostanze LA COPRESENZA DI RES COGITANS E RES EXTENSA La soluzione cartesiana al problema dell uomo consiste nel far risiedere la specificità della natura umana nella compresenza, in essa, delle due sostanze assolutamente eterogenee fra loro, la res extensa e la res cogitans. Nei termini tradizionali, esse corrispondono, rispettivamente, a corpo e anima; nel sistema cartesiano, che intende spiegare tutti i fenomeni intrinseci alla materia riconducendoli al movimento governato da leggi fisiche (e, nell uomo, riconducendo tutti i fenomeni vitali, fra i quali passioni e sensazioni, alla dimensione materiale), questo dualismo risulta declinato attraverso quello fra ragione e sensibilità. Cartesio appare preoccupato di scavare un solco irriducibile fra l uomo e le altre creature, come è evidente dall accento che egli pone sulla differenza fra uomo e animale. Scavato questo solco, cioè marcata l eterogeneità fra le due sostanze, il problema da risolvere consiste nel dar conto di come esse possano, nell uomo, interagire. Vediamo, anzitutto, come Cartesio argomenta la differenza tra uomo e animale; in secondo luogo, esamineremo, di seguito, la sua proposta per spiegare compresenza e interazione, nell uomo, delle due sostanze. Secondo Cartesio, esistono due elementi che marcano come insopprimibile la differenza fra uomo e animale: il linguaggio e la ragione, consistente, quest ultima, nella facoltà di adattare i propri comportamenti a situazioni diverse (Discorso sul metodo, V, XIX-XX;). A ben vedere, i due «mezzi certissimi» che Cartesio individua per discernere da uomini autentici eventuali automi con sembianze umane si riducono, in realtà a uno solo, la ragione. Qual è, infatti, la caratteristica che il filosofo francese attribuisce come decisiva al linguaggio, tanto da far sì che esso costituisca, in senso proprio, una prerogativa dell uomo soltanto, fra tutti gli esseri animati? Il fatto che il linguaggio sappia adattarsi a situazioni specifiche, anziché consistere in risposte determinate in modo necessario da stimoli esterni. La struttura dell argomentazione di Cartesio è, dunque, di tipo sillogistico: poiché ragione e linguaggio consistono nell adattare i propri comportamenti (azioni e discorsi) alle situazioni, anziché rispondere in modo univoco a determinati stimoli, e poiché gli animali reagiscono, invece, con comportamenti stereotipati agli stimoli esterni, gli animali non hanno né ragione, né linguaggio. Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 8

9 TESTO CARTESIO In questo brano, tratto dal Discorso sul metodo Cartesio individua nel carattere universale della ragione l elemento che discrimina l uomo dagli animali. Mi ero qui fermato a far vedere in modo particolare che, se ci fossero macchine aventi organi e figura di scimmia o di altro animale privo di ragione, noi non avremmo nessun mezzo per riconoscere la differenza; mentre, se ve ne fossero che somigliassero al nostro corpo e imitassero le nostre azioni quanto meglio fosse possibile, noi avremmo pure sempre due mezzi certissimi per riconoscere che esse non sono affatto, nonostante ciò, dei veri uomini. Il primo è che non potrebbero mai valersi di parole o di altri segni, componendoli come noi facciamo per esprimere agli altri i nostri pensieri: poiché si può bene immaginare una macchina che profferisca delle parole, e anzi ne profferisca alcune riguardanti azioni corporali che producano qualche alterazione nei suoi organi, come domandare qualcosa, se toccata in una sua parte, o gridare che le si fa male se toccata in altra parte, e simili cose; ma non già che essa disponga le parole diversamente per rispondere a tono a tutto quello che uno può dirle, come, invece, saprebbe fare anche l uomo più idiota. Il secondo mezzo è che, anche se facessero alcune cose ugualmente bene e, anzi, meglio di noi, esse, inevitabilmente, sbaglierebbero in alcune altre, e si scoprirebbe, così, che esse non agiscono per conoscenza, ma soltanto per una disposizione dei loro organi. [ ] è cosa ben certa che non ci sono uomini così idioti e stupidi, o addirittura insensati, i quali non sappiano combinare insieme diverse parole e comporre un discorso per farsi intendere; e che, al contrario, non c è un altro animale, per quanto perfetto e felicemente nato, che faccia similmente. E questo non accade per difetto di organi [ ] E questo prova non soltanto che le bestie hanno meno di ragione degli uomini, ma che non ne hanno affatto: poiché tutti vediamo che ne basta ben poca per parlare. R. Cartesio, Discours de la méthode, V, XIX-XX. Per la comprensione In rapporto al testo, ripercorri la tesi di Cartesio rispondendo alle seguenti domande: Come si potrebbe riconoscere un autentico animale da un automa che ne imitasse perfettamente le sembianze? Quali sono i mezzi che permetterebbero di distinguere un uomo da un automa che ne imitasse perfettamente le sembianze? Quale è, secondo Cartesio, la prova del fatto che gli animali non hanno la ragione? In breve: ciò che caratterizza l uomo è il fatto che egli sia titolare di una facoltà che non consiste in un automatismo, mentre l animale (e l uomo stesso, per ciò che concerne le funzioni vitali, che egli condivide con gli animali) può essere equiparato, sostiene Cartesio, a una macchina; il funzionamento meccanico è la proprietà che contraddistingue la corporeità, mentre la spontaneità della ragione è prerogativa della res cogitans, cioè, nell uomo, dell anima. Secondo l argomentazione cartesiana, dunque, la presenza della facoltà spontanea è la prova dell esistenza nell uomo di una duplice natura che è inderivabile dalla materia ed è, nondimeno, ad essa (almeno finché l uomo vive) molto più intimamente congiunta di quanto ritenesse Platone : in questo modo, Cartesio ritiene di aver «descritto l anima ragionevole e mostrato che essa non può, in alcun modo, essere tratta dalla potenza della materia, [ ] che non basta che essa sia posta nel corpo umano come un pilota sulla sua nave [così come riteneva, invece, Platone], se non, forse, per muovere le sue membra, ma che occorre che essa sia congiunta e unita più strettamente con il corpo per avere, oltre a ciò, dei sentimenti e degli appetiti simili ai nostri, e comporre, così, un vero uomo» (Discorso sul metodo, V, XX). Si apre, in questo modo, un problema che inerisce più alla fisiologia che alla metafisica, consistente nella domanda relativa a come possa l anima, sostanza inestesa, influire e determinare i movimenti del corpo, ovvero la questione relativa alla sede fisica dell anima: la risposta di Cartesio, offerta nel Trattato sull uomo, menziona una parte del cervello, la cosiddetta ghiandola pineale, come luogo privilegiato di attività dell anima nel corpo. Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 9

10 2.3.3 LE CONSEGUENZE DEL DUALISMO CARTESIANO E quasi superfluo ricordare come la configurazione dualistica cartesiana di res cogitans e res extensa, con la scissione che essa comporta, costituisca comunque, come presupposto o come obbiettivo polemico, il punto di partenza dal quale muove la quasi totalità della riflessione secentesca. Per coloro che accettano la prospettiva dualistica cartesiana, si tratta di spiegare come le due sostanze possano coesistere ed interagire: per coloro che la rifiutano (magari, proprio a motivo della difficoltà di tale spiegazione), si pone il problema di dar conto dei fenomeni che mostrano l eterogeneità di corporeo e spirituale, ovvero di dar conto, nell uomo, della presenza di disposizioni attive e di disposizioni passive in fenomeni appartenenti sia all àmbito della conoscenza, sia a quello della volizione. In particolare, per quanto concerne la questione dell identità specifica dell uomo, l alternativa consisterà, da un lato, nel ricondurre l identità alla dimensione spirituale, ponendo l accento sull irriducibilità dello spirituale al materiale, e affrontando la difficoltà di spiegare i rapporti tra le due dimensioni, dall altro nel ricondurre, all inverso, la dimensione spirituale a quella materiale, affrontando (a meno di non voler abdicare alla specificità dell uomo) il problema dei fenomeni che testimoniano la presenza nell uomo di un attività spontanea in rapporto alla materia; esamineremo, quali paradigmi rappresentativi di queste alternative, le soluzioni proposte, rispettivamente, da Blaise Pascal e da Thomas Hobbes. Posta in questo modo la questione, tuttavia, la domanda stessa sull uomo risulta articolarsi in modo nuovo rispetto alla riflessione filosofica dei secoli precedenti: non si tratta più tanto di chiedere conto dell identità dell uomo, la specificità del quale è data, nei confronti del mondo animale e della realtà divina, come acquisita e, dunque, come non più da porre in discussione. Si tratta, piuttosto, di vedere come agisca, all interno delle sue facoltà conoscitive e volitive, il dualismo fra la sua spontaneità e l influenza che egli subisce dalle condizioni esterne di carattere materiale. Nella filosofia della conoscenza come nell etica, questi saranno, dunque, i temi sui quali si impegnerà la riflessione filosofica nel Settecento, tesa a rispondere al quesito che chiede non chi sia l uomo, ma come egli conosca, voglia e agisca LA MORALE PROVVISORIA DI CARTESIO Il dubbio metodico a cui Cartesio sottopone tutto il sapere, per rifondarlo, non risparmia, ovviamente, nemmeno la morale. Tuttavia, mentre può sospendere il giudizio conoscitivo (epoché), l uomo non può sospendere il proprio comportamento. In attesa di fondare su nuove basi anche una morale, Cartesio introduce, ne Il discorso del metodo (1637), una sorta di morale provvisoria, da seguire utilizzando il buon senso. Tale morale provvisoria è costituita tra tre massime fondamentali ( testo Cartesio 2) 1. La prima era di obbedire alle leggi e ai costumi del mio paese, serbando fede alla religione nella quale Dio mi ha fatto la grazia di essere educato sin dall'infanzia, e regolandomi nel resto secondo le opinioni più moderate, lontane da ogni eccesso, e comunemente seguite dalle persone più assennate, con le quali dovevo vivere.[ ] 2. La seconda massima era di esser fermo e risoluto, per quanto potevo, nelle mie azioni, e di seguire anche le opinioni più dubbie, una volta che avessi deciso di accettarle, con la stessa costanza come se fossero le più sicure. [ ] 3. La mia terza massima fu di vincere sempre piuttosto me stesso che la fortuna, e di voler modificare piuttosto i miei desideri che l'ordine delle cose nel mondo; e in generale di assuefarmi a credere che nulla all'infuori dei nostri pensieri è interamente in nostro potere, in modo che, quando abbiamo fatto del nostro meglio riguardo alle cose che son fuori di noi, se qualcosa non ci riesce, vuol dire ch'essa non dipende assolutamente da noi. [ ] Dopo di essermi così assicurato di queste massime e averle messe da parte insieme alle Verità della fede che sono state sempre le prime fra le mie credenze, ritenni di poter cominciare, per tutto il resto delle mie opinioni, a disfarmene liberamente. Nonostante le intenzioni, Cartesio non arriverà mai a formulare una morale definitiva. I suoi ultimi scritti vertono su questioni di carattere etico, come nel caso della sua ultima opera, Les passions de l âme (Le passioni dell anima), scritta nell inverno La redazione del trattato, pubblicato poi nel 1649, si deve fondamentalmente alle sollecitazioni della principessa Elisabetta, figlia di Federico V di Palatinato, che in una fitta e dotta corrispondenza con il filosofo francese si chiede come sia possibile sottrarsi al condizionamento delle passioni e all influsso del corpo; soprattutto la Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 10

11 principessa solleva un problema assai rilevante, una volta che si ammettano i presupposti del cartesianesimo di una netta distinzione tra anima e corpo, tra res cogitans e res extensa: come può ciò che non è dotato di estensione influire su ciò che è materia estesa? e il corpo, come può agire sull anima e influenzarla? (si veda a titolo d esempio la lettera inviata da Elisabetta il e pubblicata nell edizione Adam e Tannery = AT III 660). Le passioni sono definite da Cartesio nel suo trattato come percezioni, o sentimenti, o emozioni dell anima (art. 27;) e come tali vengono nettamente distinte dagli atti del pensiero e della volontà: questi ultimi, infatti, indicano l attività propria dell anima, i sentimenti e le emozioni invece designano lo stato di passività dell anima (art. 28). Il concetto di passione è comunque strettamente correlato a quello di azione (art. 1), di modo che se nel soggetto si manifestano delle passioni, a queste dovranno corrispondere delle azioni. E da dove deriveranno le azioni? La risposta di Cartesio è chiara al riguardo: nulla agisce più direttamente sull anima del corpo a cui essa è unita (art. 2). Le azioni del corpo quindi determinano il patire dell anima. Il problema che ora si pone è se si possa eliminare o anche solo correggere una passione (per esempio la paura), vale a dire se si possa influire sulle azioni del corpo e sui processi somatici. Innanzitutto Cartesio esclude che le passioni debbano (e possano) essere estirpate: chi ha una buona conoscenza di esse, non ha motivo di preoccuparsi. Le passioni, infatti, a cominciare dalle sei fondamentali (ammirazione, amore, odio, desiderio, gioia, tristezza) (art. 69), per finire con le altre che da queste derivano, per loro natura son tutte buone, e noi dobbiamo solo evitarne il cattivo uso e l eccesso (art. 211). Più che all eliminazione, si deve quindi ricorrere alla correzione o alla moderazione; per l anima questo compito è possibile, anche se non in forma diretta, proprio perché si è visto come essa sia facilmente affetta dal corpo, si trovi quindi in uno stato di passività rispetto ai processi somatici. L anima però non si esprime solo attraverso le passioni; essa si esprime anche attraverso le azioni, ovvero gli atti volontari, che sono completamente in suo potere (art. 28): la volontà afferma Cartesio è per sua natura talmente libera da non poter essere mai costretta (art. 41). Benché libera, la volontà non può sopprimere e neppure eccitare le passioni in modo diretto; può però intervenire indirettamente, suscitando rappresentazioni adeguate alle passioni che si vuole avere e contrarie a quelle che si vuole evitare (art. 45). La paura di morire, per esempio, può essere ridimensionata se si smette di guardare alla morte come ad un male estremo, al quale ci si può sottrarre solo con una fuga infamante. La volontà interviene formulando giudizi saldi e precisi circa la conoscenza del bene e del male (art. 48); e le anime più deboli sono quelle che non si impegnano a seguire i giudizi della volontà, le anime più forti quelle invece che si attengono ad essi (art. 49). Tuttavia, anche le anime più deboli potrebbero esercitare un dominio sulle passioni se solo venissero educate e guidate (art. 50). In queste ultime indicazioni emerge con sufficiente chiarezza l ideale stoico dell uomo saggio, riproposto da Cartesio, in sintonia del resto con ampi settori della cultura filosofica e letteraria del suo tempo (tra tante testimonianze ci si può limitare a menzionare l opera di Pierre Charron ( ), La saggezza, pubblicata nel 1601, che traccia le linee di una morale umanistica e razionale, richiamatesi allo stoicismo antico, soprattutto romano): l uomo saggio è l uomo libero, che non si lascia condizionare dagli eventi esterni, che sa affrontare la sventura con animo fermo, che sa controllare e padroneggiare le passioni. E significativo che in una lettera (vedi testo) Cartesio consigli a Elisabetta la lettura del De vita beata di Seneca (4 a.c.-65 d.c.) e proponga tre regole, che ben delineano l ideale stoico dell autosufficienza: 1) cercare di servirsi sempre del proprio spirito, per sapere ciò che si deve fare in ogni circostanza; 2) avere un animo fermo e risoluto nel seguire ciò che la ragione consiglia, senza lasciarsi distogliere dalle passioni e dagli appetiti; 3) considerare i beni che non possediamo come al di fuori del nostro potere, di modo che ci si abituerà a non desiderarli. La debolezza della morale cartesiana, almeno rispetto al progetto di rifondazione di tutto il sapere, deriva dalla difficoltà a in cui si imbatte chi separa nettamente l ambito della libertà umana da quello del determinismo materiale, individuando, tuttavia, un sistema di costruzione della conoscenza basato sulla matematica e sulla sua ricerca di evidenza, certezza e necessità. L orizzonte morale non si presta facilmente a descrizioni di tal genere: da qui la sostanziale inconsistenza della morale cartesiana, che si appoggia al buon senso senza riuscire a fondare una nuova Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 11

12 etica (morale provvisoria) o al più recupera l ideale storico del saggio capace di governare le passioni con la forza della volontà e dell intelletto PASCAL: LA MISEREVOLE GRANDEZZA DELL UOMO Blaise Pascal (1623 Parigi, 1662) fu un matematico, fisico, filosofo e teologo francese. Bambino precoce, si occupò di scienze naturali e di scienze applicate. A sedici anni scrisse un trattato di geometria proiettiva e, dal 1654 lavorò con Pierre de Fermat sulla teoria delle probabilità che influenzò fortemente le moderne teorie economiche e le scienze sociali. Contribuì in modo significativo alla costruzione di calcolatori meccanici e allo studio dei fluidi, chiarendo i concetti di pressione e di vuoto. Ma la sua importanza non è minore nel campo filosofico e teologico. Portatore di una antropologia in cui la grandezza dell uomo è coniugata alla sua fondamentale miseria esistenziale, Pascal coniuga filosofia moderna, scienza e teologia, in chiara antitesi al progetto cartesiano. Rintracciando l essenza dell uomo nel primo dei due lati del dualismo cartesiano, quello spirituale, Pascal reduplica, in esso, il dualismo: la specificità caratteristica dell uomo, che resta sospeso fra la colpa originaria e la speranza della salvezza, è quella di essere definito dalla scissione tra fede e ragione, e la sua grandezza sta nella consapevolezza della propria pochezza all interno del creato LA VITA DI PASCAL Nato a Clermont-Ferrand, nell'auvergne, Pascal perse la madre, Antoinette Begon, all'età di tre anni. Il padre, Étienne Pascal ( ), magistrato e matematico, si occupò personalmente della sua educazione. Il giovane Blaise si rivelò assai precoce nello studio e nella comprensione della matematica e della fisica, tanto che fu ammesso alle riunioni scientifiche del circolo intorno a Marin Mersenne, che era in corrispondenza con i più grandi ricercatori del tempo, tra cui Girard Desargues, Galileo Galilei, Pierre de Fermat, René Descartes ed Evangelista Torricelli. Dal 1639 al 1647 fu a Rouen, dove Blaise Pascal compose la sua prima opera scientifica "Sulle sezioni coniche" e nel 1644 costruì la sua prima macchina calcolatrice, la Pascalina. Nel 1646, inoltre, suo padre, che si era ferito in una caduta, fu curato da due gentiluomini della setta di Giansenio, che in breve convinsero sia lui che i figli ad abbracciare le idee religiose e morali gianseniste. Nel 1650, a causa della sua salute cagionevole, Pascal lasciò temporaneamente lo studio della matematica. Nel 1653, quando la salute migliorò, scrisse il Traité du triangle arithmétique, nel quale descrisse il triangolo aritmetico che porta appunto il suo nome. A seguito di un incidente avvenuto nel 1654 sul ponte di Neuilly, nel quale i cavalli finirono oltre il parapetto ma la carrozza si salvò miracolosamente, Pascal abbandonò definitivamente lo studio della matematica e della fisica per dedicarsi alla filosofia e alla teologia. Da quel momento, Pascal entrò a far parte dei "solitari", dell'abbazia di Port-Royal, laici dediti alla meditazione e allo studio, fra i quali vi era già sua sorella, e qui diventò membro della setta dei giansenisti, fondata e guidata dal vescovo Giansenio. Proprio in quel periodo si era accesa un'aspra controversia tra i giansenisti e i teologi dell'università della Sorbona di Parigi, ed egli intervenne in tale disputa in difesa del Giansenismo. Il 23 gennaio 1656 pubblicò le sue prime Lettere, con lo pseudonimo di Louis de Montalte, scritte da un provinciale ad uno dei suoi amici, sulle dispute della Sorbona. A queste seguirono altre 17 lettere (l'ultima è datata 24 marzo 1657). Nel 1660, il re Luigi XIV ordinò però la distruzione delle Lettere provinciali di Pascal, scritte in difesa del giansenista Antoine Arnauld. Proprio mentre pubblicava le sue Lettere, Pascal aveva concepito l'intenzione di scrivere una grande opera apologetica del Cristianesimo (oltre che del giansenismo). Da questo progetto deriva la sua opera filosofica più nota, I Pensieri. Per riassumere la sua vita e il suo pensiero, lo scrittore e pensatore francese François-René de Chateaubriand scrisse: «Ci fu un uomo che a 12 anni, con aste e cerchi, creò la matematica; che a 16 compose il più dotto trattato sulle coniche dall'antichità in poi; che a 19 condensò in una macchina una scienza che è dell'intelletto; che a 23 dimostrò i fenomeni del peso dell'aria ed eliminò uno dei grandi errori della fisica antica; che nell'età in cui gli altri cominciano appena a vivere, avendo già percorso tutto l'itinerario delle scienze umane, si accorge della loro vanità e volge la mente alla religione; [...] che, infine, [...] Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 12

13 risolse quasi distrattamente uno dei maggiori problemi della geometria e scrisse dei pensieri che hanno sia del divino che dell'umano. Il nome di questo genio è Blaise Pascal.» (François-René de Chateaubriand, Il genio del Cristianesimo) LA SOLUZIONE PASCALIANA AL PROBLEMA DELL UOMO, IL SUO PRESUPPOSTO TEORICO E LA SUA CRITICA A SOLUZIONI ALTERNATIVE Il presupposto teorico dal quale muove Blaise Pascal è costituito da un lato dal dualismo cartesiano fra materia e spirito, dall altro dal rifiuto della soluzione di filosofi e dotti, quali quelli appartenenti al movimento dei libertini, che avevano risolto quel dualismo negando la realtà della res cogitans e pervenendo, in tal modo, a una concezione materialistica della realtà, al rifiuto della religione e al disprezzo nei confronti delle convinzioni morali consolidate. L esponente più rilevante del movimento libertino fu Cyrano de Bergerac ( ), il quale sostenne la natura mortale dell anima, in virtù dell essere quest ultima formata da atomi. Pascal, dunque, rifiuta sia, sul piano metafisico, la riduzione, operata dai libertini, della realtà alla sola sostanza materiale, sia le conseguenze che ne derivano dal punto di vista morale e da quello religioso, accettando la posizione dualistica cartesiana. Tuttavia, mentre il fatto che l uomo sia costituito da materia e spirito appare a Cartesio come la condizione di conoscibilità del mondo da parte dell uomo medesimo, in Pascal essa diviene l ostacolo insormontabile a questa conoscenza: il mondo, nonché la stessa realtà divina, sono inconoscibili proprio perché la natura umana è composta da anima e corpo (Pensieri, 84). Pascal radicalizza il dualismo cartesiano e lo reduplica nella dimensione spirituale: con la sua presenza, la dimensione spirituale differenzia l uomo dagli animali, ma essa si scinde, a sua volta, nel dualismo di fede e ragione, dove soltanto la prima può permettere all uomo di attingere la realtà di Dio L UOMO, QUALCOSA DI MEZZO TRA IL TUTTO E IL NULLA Perché l uomo non può conoscere la realtà della natura, né quella di Dio? L argomentazione pascaliana si fonda su un presupposto e su una tesi, che viene ulteriormente argomentata. Il presupposto consiste nell assunto che sostiene l impossibilità, per la materia, di conoscere sé medesima, nonché, a maggior ragione, la dimensione spirituale. Sulla base di questo presupposto, Pascal sostiene che è la nostra stessa costituzione di esseri composti a rappresentare un ostacolo per la conoscenza: essendo composti di anima e corpo, la nostra parte materiale ci impedisce di conoscere sia le cose materiali sia, a maggior ragione, quelle spirituali ( Pensieri, 223). Il tema che costituisce magna pars dell argomentazione di Pascal consiste in quella che egli definisce come la «sproporzione dell uomo» nei confronti dell universo creato e del suo creatore. Il filosofo francese giustifica così la propria tesi: «ecco dove ci conducono le conoscenze naturali. Se esse non sono vere, non c è verità nell uomo; se, invece le sue conoscenze sono vere, in esse l uomo troverà un grande motivo di umiliazione, perché sarà costretto ad abbassarsi, in un modo o nell altro». Infatti, «che cos è l uomo nella natura? Un nulla rispetto all infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo fra il tutto e il nulla» (Pensieri, 223). I toni, oltreché i concetti, di queste affermazioni sono montaigneani; di Montaigne, Pascal condivide la critica all antropocentrismo tipico della prima fase dell Umanesimo, fondato sull idea di una proporzionalità tra macrocosmo e microcosmo. Pascal non è tenero con Montaigne: gli rimprovera «parole lascive», «noncuranza per la propria salvezza», lo accusa di essere «credulo» e «ignorante» (Pensieri, 48), ma l insofferenza per lo scetticismo di Montaigne (in quanto non finalizzato, come è invece in Pascal, all apologia della fede) non può rimuovere la consonanza profonda che, in merito alla concezione dell uomo, si verifica fra i due pensatori. Pascal attacca anche l «inutile e incerto» Cartesio; a quest ultimo Pascal dice di «non poter perdonare» di aver voluto, «in tutta la sua filosofia, fare a meno di Dio; ma non ha potuto esimersi dal fargli dare un colpetto per mettere in movimento il mondo; dopo di che, non sa che farsene di lui» (Pensieri, 50-51). Del resto, come si è detto, proprio il dualismo cartesiano costituisce il presupposto teorico della soluzione pascaliana al problema dell uomo. Paolo Vidali, Argomentare III - Versione digitale Pagina 13

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