Una catastrofe italiana Ecco come abbiamo distrutto la più grande acciaieria d Europa

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1 settimanale diretto da luigi amicone anno 20 numero 6 12 Febbraio ,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, ne/vr Una catastrofe italiana Ecco come abbiamo distrutto la più grande acciaieria d Europa

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3 EDITORIALE LO SMANTELLAMENTO DELL ILVA La prova che è impossibile governare l Italia senza riformare la giustizia Dal 1960 al 1995 l Iri-Italsider-Ilva ha prodotto centinaia di milioni di tonnellate di acciaio. E disastri ambientali di Stato. Impuniti. L Ilva acquisita e gestita dagli antipatici e arroganti Riva (almeno così dicono di loro) ha prodotto altrettanto acciaio. Ma diversamente da quanto aveva fatto in precedenza il pubblico, tra il 1995 e il 2011 il privato ha investito a Taranto 4 miliardi e mezzo di euro per l aggiornamento tecnologico, di cui 1,5 per la salvaguardia dell ambiente (dati documentati dall ex prefetto ed ex presidente dell Ilva Bruno Ferrante, presentati al tavolo di lavoro istituzionale nei primi giorni di sequestro giudiziario dell Ilva, 17 agosto 2012, allorché insieme al vertice dell azienda ben due ministri di governo si recarono a Taranto e il procuratore capo della città non ritenne opportuno neppure incontrarli). Nessuno pensa che l acciaieria più grande d Europa non abbia dato il suo bel contributo a inquinare Taranto. Ma è tutto da dimostrare che il devastante quadro epidemiologico esibito dalla procura in sede di incidente probatorio e martellato da un circuito mediatico che ha incredibilmente rinunciato a ogni eserci- I poteridellostatoinvece INDuEANNIDIFOLLEcONFLITTO zio di intelligenza, critica e inchiesta checollaborareper TROVARE indipendente, sia addebitabile alla sola Ilva degli anni caosedistruzionedilavoro SOLUZIONIhANNOpRODOTTO Comunque sia, saranno processi e sentenze a stabilire responsabilità. Non il dagli all untore che si è scatenato nell ultimo biennio. C è chi, approfittando della debolezza infinita della politica, ha cercato all Ilva un capro espiatorio per fare di Taranto la capitale della deindustrializzazione e dell assistenzialismo italiani? Meglio vivere di risarcimenti e sussidi statali piuttosto che di lavoro? Chissà. Però i fatti sono quelli che leggerete nel servizio di Prima linea. Oggi, febbraio 2014, dopo due anni di folle conflitto istituzionale tra poteri dello Stato che avrebbero dovuto collaborare per trovare soluzioni invece che produrre caos, distruzione di posti di lavoro e fatale aggressione a un asset strategico per l Italia, l Ilva è un azienda privata trasformata per decreto Letta in azienda parastatale. Un azienda che, secondo le richieste del commissario Bondi che il parlamento si accinge ad approvare, dovrebbe essere ricapitalizzata con i soldi dei contribuenti e con i soldi dei Riva (oltre 1,2 miliardi di euro) bloccati dalla procura di Milano su tutt altra partita. Ovvero soldi dei Riva messi sotto sequestro cautelativo per supposta (e non ancora sentenziata) evasione fiscale, ma che verrebbero utilizzati per finanziare la capitalizzazione di un azienda dalla quale i Riva sono stati messi alla porta. Non occorre essere principi del foro per dubitare che un siffatto mostro giuridico possa tenere all esame di corti penali e civili. Non bastando tutto ciò, sugli impianti Ilva di Taranto vige a tutt oggi una procedura di asfissiante controllo di legalità, con periti giudiziari, Carabinieri, Guardia di finanza che vanno e vengono, impegnati a registrare e a prendere provvedimenti ad ogni benché minima violazione delle procedure di lavoro e di risanamento ambientale stabilite. Come si fa a lavorare in condizioni così? Chi si arrischierebbe a gestire sul serio un impresa così? Quale banca o quale investitore metterebbe soldi in un azienda così? FOGLIETTO Un altro Family day. In modi opposti, a Parigi e a Madrid si è visto che scendere in piazza serve eccome. Ora tocca a noi Fra Parigi e Madrid nel fine settimana le piazze si sono riempite. Nella capitale francese per protestare centinaia di migliaia di persone contro il gender nelle scuole e l imminente legge sull utero in affitto. E per ribadire che il matrimonio gay continua a non andare bene. Intorno alla stazione di Atocha qualche decina di migliaia di persone per contestare le restrizioni all aborto progettate dal governo Rajoy, che comunque, se approvate, lascerebbero in piedi le indicazioni terapeutiche, danni alla salute psichica inclusi. Secondo i media, in ossequio ai canoni di una corretta informazione di genere, a Parigi si sono trasferiti i tea party (quindi no tax e pro life sono la stessa cosa); a Madrid invece le donne, non le femministe, hanno ribadito di essere padrone del proprio corpo! Ciò che lega due manifestazioni così diverse è che sono riuscite a mettere in difficoltà Hollande e Rajoy: si è avuta la conferma che a scendere per strada sui temi etici non sono pochi appassionati della materia, bensì parti significative del corpo sociale. Lo scorso fine settimana in Italia, come ogni prima domenica di febbraio dal 1979, era la Giornata per la vita. Quale è stata la percezione di quello che dovrebbe essere un momento di riflessione sulla strage degli innocenti, in atto legalmente in Italia da 36 anni? Se Madrid e Parigi sono sveglie, Roma fa bene a dormire? Pare di no, a giudicare dai programmi di educazione all identità di genere imposti nelle scuole, dalle direttive sul tema rivolte ai giornalisti, e da quello che sta per uscire dal Parlamento su matrimonio gay, omofobia e droga. Dalle firme per Uno di noi alla Marcia per la vita, ci sono tante iniziative lodevoli; serve però di più: serve tornare in piazza, e in tanti, come per il Family day. Che si è svolto nel 2007: dopo (non avanti) Cristo! Alfredo Mantovano 12 febbraio

4 settimanale diretto da luigi amicone anno 20 numero 6 12 Febbraio ,00 SOMMARIO 06 PRIMALINEA CHIUSA L ILVA RIFANNO L IRI AMICONE NUMERO 6 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/vr Una catastrofe italiana Ecco come abbiamo distrutto la più grande acciaieria d Europa Caso Ilva, ecco come abbiamo distrutto la più grande acciaieria d Europa LA SETTIMANA 22 SOCIETÀ L ORA DI RICREAZIONE BOCCENTI Foglietto Alfredo Mantovano...3 Solo per i vostri occhi Lodovico Festa...15 Presa d aria Paolo Togni...38 Mamma Oca Annalena Valenti...39 Post Apocalypto Aldo Trento INTERNI DA ELECTROLUX A WHIRLPOOL RIGAMONTI Sport über alles Fred Perri...46 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano...47 Mischia ordinata Annalisa Teggi...50 RUBRICHE 28 ESTERI ARGENTINA, INCUBO DEFAULT CASADEI 34 L ITALIA CHE LAVORA GENERAZIONI DI DOLCI Stili di vita...38 Per Piacere...39 Motorpedia...42 Lettere al direttore...46 Taz&Bao...48 Foto: Ansa, Corbis, Sintesi/Photoshot Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell 11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 20 N. 6 dal 6 al 12 febbraio 2014 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto AP/LaPresse PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Elcograf Via Mondadori Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/ , fax 02/ , redazione@tempi.it, EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/ , fax 02/ GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/ , fax 02/ abbonamenti@tempi.it Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. Abbonamento annuale digitale 42,99 euro. Per abbonarti: GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, Milano. Le informazioni custodite nell archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali).

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7 COPERTINA DI LUIGI AMICONE Chiusa l Ilva rifanno l Iri Foto: Ansa Ecco come muore la prima acciaieria d Eeuropa nonostante gli stanziamenti, tre leggi ad hoc, l ingaggio di due governi, della Suprema Corte e della Corte Costituzionale che hanno disintegrato le ordinanze più devastanti del gip di Taranto. Procuratori scatenati, Enrico Letta imbelle 12 febbraio

8 Nei prossimi giorni il parlamento varerà una serie di provvedimenti per rilanciare la commissariata Ilva. La più grande acciaieria d Europa. Almeno fino a due anni fa. Dopo di che, nel biennio di massimo protagonismo della Procura di Taranto, tra il 26 luglio 2012 (data del primo sequestro degli impianti) e il 20 dicembre 2013 (pronuncia della Cassazione contro il sequestro del patrimonio della famiglia Riva, maggiore azionista dell azienda), l Ilva ha perso un terzo della sua produzione di acciaio, ha dimezzato i ricavi e nel 2014 attuerà un massiccio piano di messa a contratti di solidarietà di lavoratori. 26 luglio dicembre Segnatevi queste due date. Corrispondono all arco temporale durante il quale due magistrati, il procuratore capo Franco Sebastio e il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, impegnati a perseguire per disastro ambientale la proprietà e gli amministratori dell Ilva, hanno di fatto determinato la politica ambientale e industriale di un pezzo importante del sistema Italia (prerogative che, per legge, spetterebbero al governo e alle amministrazioni pubbliche). Non solo. Questa coppia di magistrati è stata sufficiente a polverizzare ogni record in materia di conflitto tra funzione giudiziaria e gli altri poteri dello Stato. Anticipato in rapide sequenze da trailer, il film è il seguente. Dopo aver ordinato le due prime e pesantissime raffiche di arresti e di sequestri all Ilva (26 luglio e 26 novem- bre 2012), prima la procura e il gip di Taranto si oppongono con ricorso alla Corte Costituzionale a una legge dello Stato del 3 dicembre Poi, alla sentenza (9 aprile 2013) che dichiara costituzionale una legge dello Stato (la cosiddetta salva Ilva ), la Procura attende un mese prima di predisporre il dissequestro, previsto per sentenza, di prodotti Ilva che la stessa Procura aveva impedito di commercializzare a partire dal 26 novembre Prodotti che in data 15 maggio 2013, giorno in cui il Gip di Taranto firma il dissequestro, hanno perduto (per deperimento e caduta dei prezzi sul mercato dell acciaio) oltre un terzo del loro valore di 1 miliardo di euro. Ancora. Il 25 maggio 2013, cioè dopo essere stati contraddetti dalla Corte Costituzionale (sentenza del 9 aprile e deposi- LE TAPPE DEL CASO ILVA LA GESTIONE RIVA Privatizzata nel 1995 L Ilva viene privatizzata nel 1995; lo stabilimento per la lavorazione dell acciaio di Taranto (il più grande d Europa) viene ceduto al gruppo Riva. I SIGILLI Sequestro preventivo Il 26 luglio 2012 il gip Patrizia Todisco, su richiesta della procura di Taranto, dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d uso, degli impianti dell area a caldo dell Ilva. Scattano i domiciliari per dirigenti ed ex dirigenti tra cui Emilio Riva, presidente e proprietario dello stabilimento, il figlio Nicola e l ex direttore Luigi Capogrosso febbraio 2014

9 Produzione di acciaio grezzo in Italia Dati in milioni di tonnellate metriche ,792 28,727 27,240 COPERTINA PRIMALINEA 24,058 19, Fonte: IISI (Istituto Internazionale Ferro e Acciaio)/WSA World Steel Association Foto: Ansa to delle motivazioni del 10 maggio 2013), i magistrati di Taranto sequestrano altri 8,1 miliardi di patrimonio dei proprietari dell Ilva e mantengono ferrignamente tale sequestro (col rischio di far collassare l intera filiera aziendale dei Riva) fintanto che, sette mesi dopo, la Corte di Cassazione cancella senza rinvio tale provvedimento, dichiarandolo «abnorme» e «fuori dall ordinamento». Infine, dopo l incredibile braccio di ferro tra Procura e leggi dello Stato, dopo che i più gravi e importanti provvedimenti assunti dai magistrati nei confronti dell Ilva sono stati demoliti da ben due sentenze delle massime Corti, invece che chiedere conto di quanto siano costati allo Stato (e a Taranto) l intransigenza e gli errori della Procura, Enrico Letta riesce nell impresa di rinunciare a esercitare le prerogative di un pri- mo ministro e di un governo. Così, con l alibi che nel giugno 2013 la proprietà Ilva (con tutto quello che aveva addosso) non era ancora riuscita a mettersi completamente a norma rispetto alle severe regole ambientali approvate nel decreto salva Ilva, il governo vara un ennesimo decreto legge che, a partire dall agosto 2013, sancisce il commissariamento straordinario dell Ilva. Azienda privata che viene in questo modo trasformata in azienda parastatale per almeno i prossimi 36 mesi. E ora, secondo le richieste del commissario Enrico Bondi, l Ilva dovrebbe essere ricapitalizzata con i soldi (1,2 miliardi di euro) che i Riva si sono visti porre sotto sequestro cautelativo dalla procura di Milano. Non per violazioni all Ilva, ma su tutt altra partita di una (ad oggi presunta) «maxi-evasione fiscale». Vendite in picchiata E ora godiamoci il film (si fa per dire), distesamente. Il 27 novembre 2012, Stefano Saglia, vicepresidente della commissione Camera per le Attività produttive è ancora ottimista. Il giorno prima era scattata una seconda retata, dopo quella del 26 luglio con cui il gip di Taranto, Patrizia Todisco, aveva sequestrato sei impianti dell area a caldo dell Ilva, emesso otto mandati di arresto cautelare per manager dell acciaieria (compreso l allora 87enne Emilio Riva, ex patron dell Ilva) e nominato quattro custodi giudiziari. Dunque, il 26 novembre 2012 una seconda ondata di arresti aveva portato in carcere altre sei persone e posto sotto sequestro 1,8 milioni di tonnellate di prodotti Ilva del valore commerciale di 1 miliardo di euro. Nonostante queste notizie, per Saglia l acciaieria di Taranto resta «una grande realtà siderurgica di cui il paese non può privarsi. L Ilva vale lo 0,5 per cento di Pil nazionale». E poi naturalmente ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro. Per la precisione: impiegati nelle acciaierie di Taranto più gli addetti in società strettamente collegate all Ilva. In totale, senza contare l indotto del Nord, nel novembre 2012 Ilva occupa ancora persone e il suo fatturato consolidato (oltre 6 miliardi di euro nel 2011) è in netta ripresa rispetto al biennio Ed ecco una fotografia dell azienda esattamente un anno dopo, dicembre 2013, quando il commissario straordinario Bondi scrive nella sua relazione che le vendite sono in picchiata, costi e perdite in paurosa ascesa. Colpisce il brusco calo di produzione. L Ilva perde due milioni di tonnellate d acciaio, un terzo della produzione, in un solo anno. Nel 2013 produce 6 milioni e 300 mila tonnellate, contro gli 8 milioni e 300 mila del Rispetto al 2011, quando a bilancio risultavano ricavi superiori a 6 miliardi di euro, in aumento del 30,4 per cento rispetto al 2010, la relazione di Bondi prevede per il 2013 ricavi quasi dimezzati, 3,65 miliardi, oltre il 40 per cento in meno rispetto al 2011, anno che precede gli interventi della Procura. Insomma, VIETATA LA VENDITA Un miliardo bloccato Il 26 novembre 2012 il gip fa sequestrare il prodotto finito e semilavorato: 1,8 milioni di tonnellate di acciaio per un valore di 1 miliardo di euro. LA NUOVA LEGGE Il via libera del governo Grazie alla legge 231 del dicembre 2012, l Ilva, che è considerata «stabilimento di interesse strategico nazionale» (articolo 3), può riprendere la produzione e rientrare in possesso dei prodotti sequestrati dal gip, a patto che i vertici aziendali si impegnino a investire capitali per il risanamento dello stabilimento (articolo 1). 12 febbraio

10 benché goda della speciale rete di protezione messa a disposizione dai governi Monti e Letta (che nell ultimo biennio hanno approvato ben tre decreti legge ad hoc e cospicue risorse economiche per interventi emergenziali, a cominciare dai 336 milioni di euro resi disponibili fin dall agosto 2012) l Ilva è inchiodata. Si deve procedere alla sua ricapitalizzazione. «All Ilva servono 3 miliardi», dichiara Bondi al vertice ministeriale del 9 gennaio scorso. E la legge sull emergenza ambientale, la cosiddetta Terra dei fuochi-ilva in corso di definitiva approvazione in Senato, dovrebbe servire a procurarli. Come? In parte utilizzando il miliardo e rotti di euro sequestrati ai Riva dal procuratore di Milano (e attualmente anche consulente di Palazzo Chigi) Francesco Greco. In parte provando a convincere banche e investitori a entrare nella partita Ilva. I due errori dei Riva E veniamo al disastro ambientale di cui sono accusati imprenditori, manager, funzionari pubblici, che hanno gestito l Ilva negli ultimi 15 anni. Prima, però, facciamo un bel passo indietro. Il 13 aprile 1972, in un elzeviro di pagina 3 sul Corriere della Sera, Antonio Cederna, fondatore di Italia Nostra, descrive così la Taranto dell Ilva-Italsider a gestione statale: «Una città disastrata, una Manhattan del sottosviluppo e dell abuso edilizio. Mille camion al giorno scaricano a mare il materiale sbancato a monte e i velenosi residui degli altiforni: un enorme distesa di mare è già colmata e i lavori procedono senza tregua». Cederna annota sgomento: «Un impresa industriale a partecipazione statale, con un investimento di quasi duemila miliardi, non ha ancora pensato alle elementari opere di difesa contro l inquinamento e non ha nemmeno piantato un albero a difesa dei poveri abitanti dei quartieri popolari sottovento». Il riferimento è al quartiere Tamburi, quello che nel 2013 è stato segnalato per l alta incidenza di tumori. A distanza di oltre quarant anni, 3 febbraio 2014, è Adriano Sofri a raccontare la visita e il ritorno da Taranto con animo «desolato». La magnifica penna di Repubblica non si lascia tentare dagli sforzi compiuti da ben due governi, dalle istituzioni locali e dalla stessa Corte Costituzionale che il 9 aprile 2013 aveva richiamato la necessità di contemperare le esigenze del lavoro, della salute e del rispetto dell ambiente, spettando al governo e alla pubblica amministrazione, non alla magistratura, dettare indirizzi e scelte in questi ambiti. Si ha l impressione che per giustizia Sofri intenda questo: «Poi, nella notte fra l 11 e il 12 gennaio i custodi giudiziari hanno compiuto un ispezione a sorpresa senza preavviso nell Ilva e hanno trovato gli impianti (quelli che dovrebbero funzionare a ritmo ridotto) tirati al massimo. «NegLI ANNI settanta i giornali già scrivono che a taranto MILLE camion AL giorno scaricano a MARE i veleni degli ALtifoRNI. Non c ERA Riva, MA c ERA l attuale capo della PRocuRA e l ILva ERA statale» Anomale accensioni delle torce dell acciaieria» e via di altre illegalità. Bene. Dai primi anni Settanta, quando Cederna descriveva lo sversamento e inquinamento a cielo aperto dell Ilva statale, pare che non sia successo niente. Poi, dai primi mesi del 2012, per la procura, i suoi periti e, a seguire, ambientalisti e dipietristi 2.0, l Ilva diventa il mostro di Taranto. E i Riva che pure hanno documentato investimenti a Taranto per 3 miliardi in tecnologia e 1,5 miliardi per l ambiente gli emblemi di un capitalismo selvaggio, feroce sfruttatore dei lavoratori, dell ambiente e della salute. In effetti, sussurrano i collaboratori degli (ex) patron dell Ilva, i Riva hanno commesso due gravi errori. Primo: sono scesi a Taranto col piglio bauscia del sciur parun del Nord. Secondo: il UN ALTRO STOP Procura contro governo Gennaio I giudici del tribunale di Taranto sollevano dubbi sulla costituzionalità della legge 231. Todisco invia gli atti alla Consulta, in particolare, dice il gip, con gli articoli 1 e 3 della cosiddetta Salva Ilva, la legge si pone «in stridente contrasto con il principio costituzionale della separazione tra i poteri dello Stato». PRIMA SENTENZA La decisione della Corte e la contromossa del gip Il 9 aprile la Corte costituzionale respinge il ricorso dei giudici del comune pugliese. La contromossa del gip di Taranto non tarda ad arrivare: il 24 maggio Todisco dispone il sequestro preventivo di 8,1 miliardi di euro al gruppo Riva per il risarcimento dei danni causati dai reati ambientali che gli sono contestati febbraio 2014

11 COPERTINA PRIMALINEA Andavamo all Italsider Quando l Ilva era azienda di Stato e piaceva al Papa, agli Usa e all Urss L Ilva sorge su una piana di circa 60 ettari davanti al mare di Taranto. Per 35 anni si è chiamata Italsider, azienda di Stato della filiera Iri. Con l assistenza tecnica degli americani della U.S. Steel (complementare a un accordo riservato di Eni-Finsider con Mosca), nel 1964 gli stabilimenti vengono completati. Nel 1968 migliaia di operai accolgono Paolo VI in visita alle acciaierie. E per trent anni la produzione di acciaio statale procede garantendo occupazione, debito pubblico e un enorme impatto ambientale. Negli anni Settanta, veleni e residui di altoforno sono sversati direttamente a mare. Negli anni Ottanta è la cattedrale nel deserto. Nel 1995 diventa Ilva e viene ceduta a una controllata dal gruppo Riva (soci di minoranza l indiana Essar, Nicola Amenduni, delle Acciaierie Valbruna di Vicenza, i fratelli Farina della Metalfar di Erba e un gruppo di banche pubbliche). Dall agosto 2013, a seguito dell accusa di disastro ambientale mossa dalla Procura di Taranto, per decreto legge del governo Letta, Ilva subisce il commissariamento straordinario. Durerà almeno tre anni. 17 febbraio 2012 non si sono presentati all incidente probatorio dove avrebbero potuto giocarsi una sentenza del Tar di Lecce che aveva dato loro ragione in tema di emissioni di diossina. Detto ciò, sembra veramente arduo che l accusa riesca a dimostrare in sede processuale che «in 13 anni» (13 anni? E i precedenti 50?) l Ilva dei Riva è stata l unica ed esclusiva responsabile di disastro ambientale. Tanto più che, oltre alla siderurgia, il sito industriale di Taranto comprende una grande raffineria, una grande centrale elettrica, un grande cementificio, un grande arsenale militare pieno di amianto. Non solo. A complicare le cose a quelli che vedono nei Riva il diavolo e nell Ilva l inferno, c è un particolare rivelato da Corrado Clini, ex ministro dell Ambiente del governo Monti che conosce ogni piega del caso e se ne è occupato personalmente fino al passaggio di testimone al suo omologo ministro Orlando del governo Letta. Dice Clini: «Il 4 agosto 2011 è stata data l Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per Ilva di Taranto, dopo un istruttoria di 5 anni, con 462 prescrizioni. 5 anni è un tempo superiore 10 volte a quanto prevede la legge. E le 462 prescrizioni erano in gran parte in contraddizione tra loro e non applicabili, perché espressione di un compromesso politico tra la resistenza dell impresa ad assumere impegni in linea con le migliori tecnologie disponibili e le istanze della Regione e degli enti locali in gran parte non sostenibili sul piano della fattibilità tecnica e giuridica. Ilva ricorre al Tar contro gran parte delle prescrizioni, ritenute in contrasto tra di loro e nei confronti delle norme vigenti. Il Tar riconosce la fondatezza del ricorso di Ilva e disapplica una parte rilevante delle prescrizioni. Nello stesso tempo, con valutazioni opposte a quelle del Tar, la procura della Repubblica di Taranto rileva che l Aia non è adeguata per risolvere le molte problematiche ambientali e per la salute causate dallo stabilimento Ilva». La telefonata al capo procuratore Giusi Fasano, giornalista del Corriere della Sera è a Taranto nei giorni dei sequestri e arresti che mettono a rischio quasi 12 mila posti di lavoro. Il 17 agosto 2012 l inviato del Corriere segue il vertice che si svolge in città tra le istituzioni e le parti coinvolte nella crisi delle acciaierie. Il governo Monti è presente con due carichi da novanta, il ministro dell Ambiente Corrado Clini e il ministro per lo Sviluppo economico e le infrastrutture Corrado Passera. Manca qualcuno? Sì. Manca il procuratore capo Franco Sebastio che pure è l artefice, diciamo così, di tutto il can can. Giusi Fasano ha il suo cellulare, chiama, lasciamoli chiacchierare. «Sebastio risponde da Soverato, Calabria, dove vengo in vacanza da 35 anni, dice. Ma come? È a tre ore di distanza, arrivano i ministri a Taranto perché una sua inchiesta ha fatto dell Ilva un caso nazionale e lei non torna nemmeno per una stretta di mano? L ho detto anche a loro in una telefonata, cordialissima: vedrete che non mancherà l occasione. Più che una promessa sembra una minaccia. Non mancherà occasione nel senso che c è sempre tempo per farlo. Presentarmi nell incontro di venerdì non mi è sembrato opportuno. Lì c era spazio per politici, amministratori, sindacalisti che c entrava un magistrato?». Ecco, bisogna aggiungere altro? Sì, bisogna aggiungere che alla fine del 2012 il procuratore Sebastio metterà in un libro-intervista le sue riflessioni. «Quando arriva a Taranto con la toga SECONDA SENTENZA Sblocco dei beni Il 20 dicembre, la Cassazione ha stabilito che i beni della holding Riva Fire, proprietaria di Ilva, non andavano confiscati e ha annullato il sequestro del gip, secondo cui gli 8,1 miliardi di euro erano i soldi che i Riva avrebbero risparmiato evitando di ammodernare gli impianti. Finora gli uomini della finanza avevano trovato solo due miliardi. L ULTIMO DECRETO Il via di Montecitorio Il 31 gennaio 2014 Montecitorio dà l ok alla conversione del decreto Ilva e Terra dei fuochi che affronta sia le misure per la protezione della popolazione, sia il risanamento ambientale. Il commissario Bondi può aumentare il capitale della società chiedendo ai Riva di intervenire e di non escludere investitori; oppure usare i soldi sequestrati. 12 febbraio

12 PRIMALINEA COPERTINA sulle spalle? Vengo trasferito nella mia città sempre da pretore nel 76. Che situazione trova? Una situazione non certo facile. L emergenza ambientale c era tutta, ma non era agevole rendersene conto e, soprattutto, documentarla. Ostacoli? Diciamo che non mancavano ostacoli oggettivi. In che senso? Beh, in generale l inquinamento ambientale non sempre provoca danni immediati. In alcuni casi, come per l amianto, occorre aspettare anche decenni per rilevare le conseguenze sulla salute delle persone. E poi non c era una sensibilità diffusa sulla qualità del lavoro e la tutela dell ambiente. Naturalmente, anche la Giustizia soffriva della stessa miopia». (Il mio Salento, la mia Puglia, dicembre 2012, edizione Affari Italiani). Dunque, alla fine del 2012 apprendiamo dal pm accusatore degli ultimi quindici anni di Ilva che dei 40 anni precedenti in cui lo stesso pm era a Taranto c è ben poco da ricordare. Eppure, già all inizio degli anni Settanta Antonio Cederna scriveva quel che scriveva sulla Iri-Italsider-Ilva di Stato. Ma certo, sono anni in cui «ostacoli oggettivi» non consentivano interventi come quelli odierni. E dal 1982 al 2012? Sempre in prima linea. Però «diciamo che la società civile non era consapevole del problema». La società civile? Ascoltiamo in proposito l ex ministro Corrado Clini. «Nel marzo 2012, per superare le contraddizioni ed uscire dalla situazione di stallo che si era venuta a creare, sulla base di gran parte delle valutazioni della procura della Repubblica di Taranto ho disposto la revisione dell Aia. Contestualmente al riesame dell Aia, ho avviato una ricognizione sullo stato dell ambiente nel territorio di Taranto. È stato messo in evidenza che molte iniziative strategiche per il risanamento ambientale di Taranto, programmate e finanziate a partire dalla fine degli anni 90, non erano state avviate o completate. E straordinariamente, nessuno aveva avuto nulla da ridire. In particolare. Primo, il piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto, finanziato nel 1998 con 50 milioni euro, era stato in gran parte disatteso. Secondo, le risorse destinate al risanamento ambientale del Mar Piccolo nel 2005 (26 milioni euro) erano state successivamente destinate ad altri interventi nella regione Puglia. Terzo, le risorse stanziate per il risanamento del quartiere Tamburi di Taranto (49,4 milioni di euro) l ex MINIstRO CLINI: «IL 15 NOvEMbRE 2012 Ilva RItIRA i CONtENzIOsi, ACCEtta LE PREsCRIzIONI, si ALLINEA a una NORMAtiva AMbIENtALE draconiana». Il 26 NOvEMbRE IL gip ORdINA una nuova ONdata di ARREsti e di sequestri il 3 luglio 2007 erano state successivamente destinate ad altri progetti». Ormai il danno è fatto E adesso occhio alle date. Clini spiega: «Il 26 ottobre 2012, dopo una procedura di sei mesi ho rilasciato la nuova Aia, con la prescrizione dell adeguamento degli impianti agli standard europei più severi e avanzati e che impone investimenti per 3 miliardi di euro». È un Aia draconiana. Impone all Ilva standard che in Europa si devono adottare entro il 2016 (mentre i tedeschi hanno ottenuto un posticipo al 2018). L Ilva deve adottarli entro il I primi due interventi prevedono la copertura di 65 ettari l equivalente di circa settanta campi di calcio di serie A di parchi minerali. Il secondo, l intubamento di novanta chilometri di nastri trasportatori. «Il 15 novembre 2012 spiega Clini Ilva accetta le prescrizioni e presenta il piano degli interventi per dare attuazione alla nuova Aia. Nello stesso tempo Ilva ritira tutti i contenziosi aperti nel 2011 e 2012 dall azienda contro l Amministrazione. Insomma, Ilva aveva finalmente deciso di allinearsi alle direttive europee, voltando pagina». Con la retata del 26 novembre, naturalmente tutto cambia. Si era creata una via d uscita rispettosa di tutte le esigenze (salute, lavoro, ambiente) al dramma di Taranto. Ma la legge è legge. Stessa storia accade il 24 maggio 2013, dopo la sentenza del 9 aprile con cui la Corte Costituzionale aveva sbloccato i sequestri e confermato la legitimità del salva Ilva di Monti. Il gip di Taranto passa a sequestrare l intero patrimonio dei Riva. È la mazzata finale. Vero che alla procura di Taranto non basterà il bel servizio di Report del 18 novembre scorso, completamente allineato con le tesi della Procura degli 8,1 miliardi sequestrati perché questa, dicono i periti del gip, «è la cifra da noi stimata delle risorse sottratte dai Riva al risanamento ambientale Ilva». Vero che, 7 mesi dopo il teorema della procura e dell affetto sostenitore di Report, arriverà la sentenza della Cassazione che disintegra l ordinanza del gip di Taranto e ordina la restituzione degli 8,1 miliardi di patrimonio sequestrati ai Riva. Ma ormai il danno è fatto, l Ilva è a pezzi, l aria che tira a Taranto è di scontro permanente, insormontabile. E il governo Letta che fa? Invece di affrontare di petto l incredibile anomalia di una procura che ha sbagliato pesantemente e che è stata due volte sonoramente stroncata nei suoi atti dagli stessi vertici del potere togato (Corte Costituzionale e Suprema Corte), ecco, invece di affrontare due magistrati, il governo batte in ritirata e si inventa una legge di commissariamento straordinario. Il resto è storia di questi giorni. Le acciaierie di Taranto sono tornate sotto amministrazione parastatale. E forse, chissà, invece che Ilva domani si chiameranno Iri. n febbraio 2014

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15 di Lodovico Festa SOLO PER I VOSTRI OCCHI Il governino Letta è morto. Il peso internazionale dell Italia non è mai stato così basso. Persino Giorgio Napolitano lo ha notato sul caso dei marò in India. E ciò mentre i primi problemi per la nostra economia derivano da scelte internazionali come quelle dell Unione. Intanto si sta disarticolando il sistema bancario: dal Monte dei Paschi a una Banca Intesa dove i ben poco chiari giochi sulla Compagnia San Paolo con le solite sponde di settori della magistratura s intrecciano alle vicende del dominus Nanni Bazoli azzoppato dai casi di società amiche come Tassara e Mittel. Nostre industrie strategiche (dall Alitalia a Telecom) sono sotto assedio (anche per le inevitabili fughe di Banca Intesa). Mentre lo sfarinamento dello Stato si manifesta pure in vicende giudiziarie meno politiche come con le dichiarazioni del presidente della Corte d appello di Firenze presentenza caso Meredith. Certo vi sono le esigenze di stabilità, le scelte necessarie a creare equilibri che reggano nel futuro, le mosse (come abolire il Senato) per recuperare un qualche rapporto con una società imbizzarita. Ma è indispensabile ricordarsi come in politica i tempi siano fondamentali. Se nei prossimi mesi le macerie del governino ti cascano addosso, se in qualche modo sarai responsabile per non avere prosciugato un pantano sempre più vasto, non vi saranno più le basi per esercitare anche i limitati rapporti di forza che oggi resistono. Non ci sono né una nazione né un insieme di corpi dello Stato né un sistema di influenze internazionali che ti concedano tempo. Il tentativo di Napolitano, Letta, Alfano e degli ambienti nazionali e stranieri che li hanno sostenuti, di modificare dall alto lo Stato è fallito per un misto di superbia (l idea di governare tutto perché si è superiori intellettualmente) e di pavidità (l incapacità nel favorire un clima di pacificazione) e fa marcire tutto. L operazione Lettino post ottobre 2013 si basava sulla convinzione che Berlusconi avesse esaurito la capacità di rappresentare ceti sociali fondamentali per il governo dell Italia. Dietro c erano anche argomenti ragionevoli, come quello che non si può costruire una politica solo sul presupposto dell eternità di Berlusconi. Però, poi, in questi mesi si è ben constatato non solo che, pur non essendo eterno, il leader di Forza Italia non è stato ancora seppellito, ma anche che Alfano, oltre a non essere lui stesso un leader eterno, non è neppure in grado di durare cinque minuti. Adesso il nuovo argomento in campo per rinviare l invece urgentissima soluzione di continuità degli equilibri politici FALLITA L OPERAZIONE NAPOLITANO-LETTA Meglio Renzi dell attuale pasticcio (e non è detto neanche che vincerà lui) oggi LA TENdENZA PIù PERICOLOSA PER LO STATO, l ECONOmIA e LA SOCIETà è l ELITISmo: DALl idea di RISOLVERE i PRObLEmi dall ALTO è NATA grazie ANCHE AL disastro monti LA bomba di PROTESTA NICHILISTA grillina in corso, è che così facendo si lascia il campo a Matteo Renzi, espressione di molteplici ambienti che non piacciono per la collocazione a sinistra. Non è un argomento ininfluente per chi coltiva prospettive e opzioni liberal-conservatrici. Però sia Renzi sia un eventuale, possibile presidenza della Repubblica di Romano Prodi sono comunque molto meglio del pasticcio Letta-Napolitano, perché la tendenza più pericolosa oggi per lo Stato, la società e l economia italiani è quella rappresentata dall elitismo, dall idea di risolvere i problemi solo dall alto: da ciò grazie anche a quel disastro anticipatore del governino che è stato Mario Monti è nata la bomba di protesta nichilistica del grillismo al 25 per cento dei voti. L obiettivo raggiungibile del centrodestra Talvolta, quando la posta è tutto (nel caso la tenuta decente di uno stato e una nazione), si deve saper scegliere la sconfitta migliore. Nel caso un governo Renzi, che peraltro almeno esprimerebbe rapporti reali con la società, e non solo cabale e camarille indecifrabili. E magari si potrebbe approfittare anche del possibile clima di dialogo tra avversari per individuare alcuni percorsi di quel riformismo costituzionale che i vari pasticcieri del governino hanno così abilmente e sistematicamente svuotato. Detto questo, aspetterei nel centrodestra a fasciarmi la testa politica: con il berlusconismo che presidia una parte centrale del voto di ceti medi e popolari (dal 20 al 24 per cento), con una Lega che andrebbe aiutata a raggiungere almeno il 4,5 per cento, è proprio impossibile immaginare uno schieramento che raccolga dagli ex An a Pier Ferdinando Casini oltre al 10 per cento dei voti, puntando alla vittoria? Naturalmente questo obiettivo è irraggiungibile se ci si occuperà essenzialmente di ceto politico (vedi le incredibili battaglie sulle preferenze) o in generale dei propri vari amichetti (costituzionalisti, farmaceutici, forestali, agricoltori, banchieri o costruttori che siano), però se il centrodestra non berlusconiano sposasse la bandiera della riforma costituzionale (presidenzialismo, verifica del federalismo possibile, separazione delle carriere togate, centralità del cittadino nella politica e nell amministrazione, sussidiarietà) e offrisse al centrodestra che c è un vero candidato al Quirinale (cioè non un nanetto di qualche vecchia o nuova nomenklatura), la partita sarebbe aperta. 12 febbraio

16 INTERNI IN LOTTA CON LA CRISI Nella fabbrica di Porcia (Pn) Electrolux produce lavatrici impiegando operai febbraio 2014 Foto: Ansa

17 DI MATTEO RIGAMONTI Qui tocca tentare l impresa La vertenza Electrolux mette alla prova definitiva la nostra capacità di non far fuggire gli investitori e salvare il poco lavoro rimasto. Ecco perché tutta Italia guarda con il fiato sospeso al caso Porcia 12 febbraio

18 INTERNI IN LOTTA CON LA CRISI 8-9 PER CENTO la riduzione netta degli stipendi dei lavoratori chiesta da Electrolux per rinunciare alla delocalizzazione dello stabilimento di Porcia (Pn) a Olawa, Polonia C era una volta l italianissima lavabiancheria Rex, quella dei manifesti pubblicitari anni Sessanta in cui un avvenente casalinga poteva permettersi il lusso di una rilassante e prolungata seduta dal parrucchiere per rifarsi la permanente sfogliando una rivista. «Certo! Può prendersi questa libertà», si leggeva sotto l oblò dell elettrodomestico stampato in primo piano sul cartellone, «tanto a casa lei ha la Rex». Quel gioiellino, che negli anni del boom giunse a detenere il 40 per cento del mercato domestico, esiste ancora. Ma nel frattempo ha perso gran parte del suo appeal oltre che quote di mercato. E mentre la concorrenza si faceva sempre più agguerrita (in testa la statunitense Whirlpool, numero uno mondiale, seguita dalle tedesche Bosch e Miele e dalla coreana Samsung), l azienda produttrice è stata acquisita insieme con tutto il gruppo Zanussi dagli svedesi di Electrolux. Era il 1984 e almeno si diceva allora gli stranieri hanno mantenuto la produzione in Italia. Oggi però, trent anni dopo, anche questo rischia di non essere più vero, visto che lo stabilimento di Porcia dove è ancora prodotta la Rex potrebbe essere chiuso e trasferito mille chilometri più a est, a Olawa, Polonia, dove il lavoro costa molto meno che in provincia di Pordenone e produrre lavatrici permetterebbe alla ditta di risparmiare 25 euro al pezzo. Infatti è dagli stabilimenti dell Est Europa che l attuale proprietà di Electrolux, la famiglia Wallenberg, dopo aver chiuso il quarto trimestre del 2013 con un rosso di 112 milioni di euro e un calo dell utile del 72 per cento che comunque rimane positivo a 76 milioni di euro, intende ripartire all assalto dei mercati Emea (Europa, Medio Oriente e Africa): stando alle analisi del quartier generale di Stoccolma, non è solo la crisi economica dell Italia e del Vecchio continente a mettere in difficoltà la produzione di Electrolux a Porcia, crollata dai 2,5 milioni di elettrodomestici del 2005 agli 1,1 attuali, bensì il costo della manodopera italiana. In effetti, nonostante la produttività dello stabilimento sia migliorata, passando grazie soprattutto ai miracoli dell automazione da 60 a 94 lavatrici realizzate in un ora, il costo della produzione brucia comunque l 8 per cento dei ricavi su un prodotto che, vale la pena ricordarlo, è venduto al prezzo medio di 320 euro e su cui il guadagno è di soli 15 euro. Per la precisione, il maggior costo di produzione per una lavatri- ce, spiega il Sole 24 Ore, è attribuibile per il 60 per cento al costo del lavoro, mentre il restante 40 per cento è da spartire tra il costo delle componenti e i costi variabili e della logistica. Il disastro contabile Dunque può ben ripetere Augustin Breda del comitato centrale della Fiom-Cgil che «il mero confronto dei costi di produzione è un approccio ragionieristico», ma la matematica non è un opinione. E anche se le differenze di costo, come puntualizza il quotidiano di Confindustria, «a prima vista, non sembrano così rilevanti, in realtà se moltiplicate per i 3,5 milioni di macchine prodotte in Italia», cioè considerando anche gli stabilimenti Electrolux a Solaro (lavastoviglie), Susegana (frigoriferi e congelatori) e Forlì (piani cottura), che almeno per ora non rischiano la chiusura, «si trasformano in decine di milioni febbraio 2014

19 nonostante la produttività dello stabilimento sia migliorata, il costo del lavoro brucia comunque secondo l azienda l 8 per cento dei ricavi su un prodotto la lavatrice venduto al prezzo medio di 320 euro e su cui il guadagno è di soli 15 euro (500 operai, senza considerare l indotto), ma anche per «altre zone d Italia, soprattutto da parte delle multinazionali», scrive Dario Di Vico sul Corriere della Sera. E l «epicentro di questa riflessione spiega sempre Di Vico suscitando un certo timore tra economisti, imprenditori e addetti ai lavori pare essere la Brianza, che ospita importanti aziende straniere». A Pordenone, dove per di più anche l edile e il legno-arredo sono in crisi da tempo, si sta giocando insomma una partita che riguarda tutto il paese, a partire dalla motrice del Nord. Ciononostante la proposta di Electrolux ha ricevuto la pressoché immediata bocciatura da parte delle rappresentanze sindacali unite, Fim- Cisl, Uilm e Cgil-Fiom. Soprattutto perché, come spiega a Tempi Anna Trovò, segretario nazionale Fim-Cisl, presente al tavolo con il governo e i vertici dell azienda, Electrolux non ha offerto né «garanzie circa il mantenimento della fabbrica» a Porcia né tracce di un possibile «piano industriale alternativo». Se la famiglia Wallenberg avesse voluto davvero imbastire una trattativa, avrebbe dovuto «mantenere integre le prospettive di occupazione» sul territorio, insiste la sindacalista. 250 MILIONI l investimento promesso da Whirlpool per la fabbrica di Biandronno (Va) in cambio degli impegni assunti dalla Regione in tema di competitività del territorio L interno dello stabilimento Whirlpool di Cassinetta di Biandronno (Va) di maggiori costi e minore margine». Un disastro contabile. Non sorprende, pertanto, il rigido aut aut imposto mercoledì 29 gennaio dall azienda al tavolo con le delegazioni sindacali e i rappresentanti del governo, il ministro dell Economia Zanonato e i presidenti delle quattro regioni interessate da un eventuale smobilitazione di Electrolux. L alternativa offerta dagli svedesi ai operai di Porcia per non chiudere è un taglio delle retribuzioni nette pari all 8-9 per cento (circa 130 euro mensili su stipendi compresi tra i e euro) e una riduzione del 20 per cento del trattamento complessivo, considerando lo stop ai premi, la diminuzione delle ore lavorate da 8 a 6 e una maggiore flessibilità nei turni, festività comprese. Un tipo di soluzione a cui si guarda con interesse non soltanto per la vicenda Electrolux e per il Friuli, dove tra l altro, sempre in provincia di Pordenone, a Orcenico, ha annunciato la chiusura un altro storico stabilimento del bianco come l Ideal Standard Il piano di Unindustria Pordenone L azienda, però, non sembra intenzionata ad assicurare la propria permanenza a Porcia senza prima avere ottenuto garanzie dal governo circa un intervento di sensibile riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Difficile che questo possa avvenire, tanto meno nel breve periodo. Verosimilmente, comunque, non sarà presa alcuna decisione definitiva in merito al destino dello stabilimento Electrolux di Porcia prima del 17 febbraio, data in cui il governo Letta (che finora non è andato oltre un generico impegno per «non alzare bandiera bianca») incontrerà la famiglia Wallenberg per discutere le condizioni. Fino ad allora le speranze dei lavoratori friuliani e dell esecutivo resteranno aggrappate a ogni spiraglio concesso dall azienda, in primis al suo asserito «impegno a rimanere in Italia con il più elevato grado possibile e sostenibile di occupazione e di attività». Nel frattempo, l unica proposta pervenuta alle parti oltre a quella di Electrolux è il piano di Unindustria Pordenone, in un documento redatto tra gli altri dall imprenditore ed ex presidente della Regione Riccardo Illy, da Luigi Campello, già dirigente di Zanussi e poi direttore di Elec- 12 febbraio

20 INTERNI IN LOTTA CON LA CRISI trolux Italia dal 2005 al 2012, e dall ex ministro del Lavoro Tiziano Treu. La proposta prende le mosse dalla constatazione che la crisi del paese è «sistemica», e mira a trovare una via d uscita che permetta sia di gestire l emergenza Electrolux sia di restituire competitività a tutto il territorio, rendendolo di nuovo attraente per gli investitori pubblici e privati. «Il caso di Porcia spiega a Tempi proprio l ex ministro Treu è emblematico delle difficoltà che sta attraversando la nostra industria, che, a eccezione di quel per cento di imprenditori che possono fare affidamento sui successi dell export, non cresce da anni». E al netto della crisi, le responsabilità di questa impasse, secondo Treu, non sono attribuibili esclusivamente alla gestione pubblica, rea di non aver investito sufficientemente sul territorio o di non aver abbattuto il costo del lavoro, ma anche a una classe imprenditoriale che non sempre ha saputo investire e innovare. Per questo la proposta di Unindustria suggerisce alcune linee di intervento volte a realizzare progressivamente una riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) pari addirittura al 20 per cento. Secondo Treu è il Clup, infatti, «il vero elemento che determina la scarsa competitività del paese su scala globale», non il semplice costo del lavoro. Gli ambiti su cui intervenire secondo i saggi di Unindustria sono: il costo del lavoro, la flessibilità degli orari, il ricorso agli ammortizzatori sociali, le pratiche virtuose di welfare aziendale sul modello introdotto da Luxottica, di formazione continua dei dipendenti e la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali in azienda. Alla politica, poi, aggiunge Campello, spetterebbe nel tempo ridurre gli ulteriori elementi di scarsa competitività del paese, a partire da «uno spread elevato che si traduce in interessi più salati per le aziende, un costo dell energia maggiore che in Francia e in Germania, un fisco che oltre ad essere salato è imprevedibile e non dà mai certezze a motivo dei continui cambiamenti di legge, una burocrazia che ogni anno costa alle imprese 31 miliardi di euro. Senza considerare che gli investimenti governativi in innovazione sono pari a 1/5 di quelli della Francia». «Il caso di Porcia spiega a TemPI l ex ministro TREu è emblematico delle difficoltà che attraversa la nostra INdusTRIa: a PARTE UN PER cento di imprese che possono affidarsi all export, non cresce da anni» Solo una strategia congiunta politicaimpresa-lavoratori permetterebbe secondo Unindustria di gestire l emergenza e abbattere i costi di produzione, come chiede Electrolux, senza però assottigliare dolorosamente la busta paga dei lavoratori. È l unica strada che permette di superare la crisi senza scaricarne il costo esclusivamente sulle spalle dei più deboli. E magari rendendo il paese più attrattivo per gli investimenti. Il precedente Whirlpool-Lombardia E che la via della cooperazione tra i diversi soggetti in campo, sia pubblici sia privati, per una soluzione condivisa all insegna del bene comune sia davvero l unica percorribile lo dimostra anche, sia pure a uno stadio ancora embrionale, proprio il caso della rivale di Electrolux, l americana Whirlpool, che dopo aver chiuso lo stabilimento a Trento e avere annunciato l imminente chiusura di quello di Norrkoeping in Svezia, è intenzionata a spostare la produzione di elettrodomestici da incasso nello stabilimento di Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese. Qui la società statunitense ha deciso di investire 250 milioni di euro in quattro anni per farne l hub europeo e la porta verso i paesi Emea, oltre che un vero e proprio centro di progettazione e design. Ma come è possibile che un territorio a soli 400 chilometri di distanza da Pordenone, nel medesimo paese che Electrolux vuole abbandonare, sia ancora così magnetico per i capitali a stelle e strisce? Certamente pesano la volontà pregressa di investire da parte di Whirlpool e la maggior redditività degli elettrodomestici da incasso rispetto alle lavatrici. Tuttavia anche il contesto operativo ha un peso non indifferente in questo caso. E il contesto varesino è quello di un tessuto produttivo ancora ricco al pari di Porcia di esperienze e competenze accumulate negli anni che difficilmente si possono già trovare in Polonia, ma soprattutto dove le istituzioni hanno deciso di impegnarsi per ripristinare la competitività. Whirlpool e Regione Lombardia, infatti, hanno firmato lo scorso ottobre un protocollo d intesa che ha di fatto anticipato l introduzione degli Accordi di competitività, lo strumento cardine del Progetto di legge sulla libertà di impresa che la Regione sta ultimando in questi giorni e che ha l obiettivo, come spiega l assessore alle Attività produttive, ricerca e innovazione Mario Melazzini, di «ridurre i costi per le imprese, introducendo anche sgravi fiscali, rilanciare l attrattività del territorio, introdurre una semplificazione della leva urbanistica per le aree dismesse, e anche ottenere una maggiore efficienza della pubblica amministrazione». Oltre a «facilitazioni per l accesso al credito e semplificazione per l avvio delle imprese con la Comunicazione unica, una sorta di autocertificazione che comporterà minori costi per la burocrazia». Bisogna solo sperare che anche a Porcia la politica sappia conquistarsi altrettanta fiducia da parte dell impresa. n febbraio 2014

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