Spazi di Banach e proprietà di Radon-Nikodym

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1 UNIVERITÀ DEGLI TUDI DI MILNO Facoltà di cienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Matematica (triennale) pazi di Banach e proprietà di Radon-Nikodym Relatore: Prof. Clemente Zanco Elaborato Finale di: Riccardo Brasca matricola n nno ccademico 2005/2006

2 Indice Introduzione 3 vvertenze 5 1 Misure vettoriali ed integrale di Bochner Misure vettoriali: prime proprietà L integrale di Bochner Misura e integrazione Un lemma di esaustione La proprietà di Radon-Nikodym Radon-Nikodym fallisce neanche Riesz sopravvive Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym L equivalenza delle due proprietà Il duale di L p (µ, X) Martingale Valore atteso Martingale Convergenza di martingale ltri risultati Proprietà geometriche degli spazi di Radon-Nikodym Di nuovo la proprietà di Radon-Nikodym lice e dentabilità

3 Indice ltri concetti geometrici Dentabilità e Radon-Nikodym Punti estremi, esposti e fortemente esposti pazi duali e la proprietà di Radon-Nikodym pazi duali separabili lcune importanti conseguenze Misure complesse e Teorema di Radon-Nikodym 65 Bibliografia 70 Ringraziamenti 72

4 Introduzione La definizione di misura, positiva o complessa, richiede che sia già stato introdotto il concetto di serie e questo può essere fatto senza problemi in R o in C; anche in uno spazio di Banach può essere ambientato il concetto di serie e quindi si può definire un nuovo tipo di misura, introducendo le cosiddette misure vettoriali. Nel primo capitolo dell elaborato, dopo aver introdotto le misure vettoriali, viene definito l integrale di una funzione scalare rispetto a tali misure e ne vengono dimostrate le prime proprietà. i passa poi all integrale di Bochner, una generalizzazione di quello di Lebesgue, che permette di integrare funzioni a valori in un qualsiasi spazio di Banach X rispetto ad una misura scalare. Vengono quindi introdotti gli spazi L p (µ, X) e si stabilisce, nel modo classico, una connessione tra integrale di Bochner e misure vettoriali. L integrale di Bochner sembra all inizio una generalizzazione di quello di Lebesgue priva di interesse: le due teorie sembrano infatti sostanzialmente uguali. L obiettivo principale del secondo capitolo dell elaborato è proprio quello di mettere in luce le differenze tra l integrale di Lebesgue e quello di Bochner. La prima, e per quanto ci riguarda più importante, differenza riguarda il Teorema di Radon-Nikodym: la sua naturale generalizzazione non è in generale realizzabile se si prescinde dallo spazio di Banach X. L obiettivo del resto dell elaborato è lo studio degli spazi per cui questa generalizzazione è attuabile, i cosiddetti spazi di Radon-Nikodym. Una prima caratterizzazione viene subito mostrata nel secondo capitolo, esaminando gli operatori lineari da L 1 (µ) a X; si affronta quindi lo studio del duale di L p (µ, X). Nel terzo capitolo vengono introdotti alcuni concetti in apparenza slegati dal resto dell elaborato, in realtà finalizzati al suo prosieguo; in particolare

5 Introduzione 4 viene studiata (brevemente) la teoria del valore atteso per funzioni vettoriali e quella delle martingale, anch esse vettoriali. Vengono quindi presentati diversi teoremi di convergenza, sia puntuale sia in norma. L obiettivo del quarto capitolo è lo studio delle proprietà geometriche degli spazi di Radon-Nikodym: in particolare si vuole arrivare all equivalenza tra la proprietà di Radon-Nikodym e la dentabilità di sottoinsiemi chiusi convessi e limitati. Per raggiungere l obiettivo per prima cosa viene riformulata la proprietà di Radon-Nikodym, introducendo il concetto di insieme con la proprietà di Radon-Nikodym e vengono poi introdotti diversi concetti geometrici, tra i quali in particolare quello di insieme dentabile. Per la dimostrazione della più importante caratterizzazione geometrica vengono inoltre utilizzati pesantemente i risultati riguardanti le martingale, che trovano quindi una collocazione naturale in questo contesto. lla fine del quarto capitolo vengono presentate, senza dimostrazione, altre caratterizzazioni degli spazi di Radon-Nikodym, che coinvolgono tutte le nozioni geometriche precedentemente introdotte. Nel quinto ed ultimo capitolo si studiano gli spazi duali: il teorema più importante al riguardo afferma che spazi duali separabili sono spazi di Radon- Nikodym. Grazie a questo teorema vengono dimostrati diversi corollari, in particolare si mostra che gli spazi riflessivi hanno la proprietà di Radon- Nikodym. Gli argomenti trattati nell elaborato sono classici, una loro trattazione completa e precisa può essere trovata nell unione dei testi in bibliografia. Gli esempi presentati sono una rielaborazione personale di esempi noti.

6 vvertenze Per tutta la durata della tesi (X, ) sarà uno spazio di Banach e (, Ω, µ) uno spazio di misura positiva, che supporremo sempre essere σ-finito e completo. In particolare lo spazio (, Ω, µ) sarà sempre sottinteso nei vari enunciati e dimostrazioni, inoltre quando dirò quasi ovunque, senza specificare a quale misura mi riferisco, intenderò sempre rispetto alla misura µ. Quando parlerò di funzioni semplici, dicendo per esempio f = n x i i, spesso ometterò di scrivere che { i } è una partizione di costituita da insiemi misurabili, tuttavia questo sarà spesso sottinteso, inoltre intenderò sempre che se i j x i x j (questo per evitare che f sia misurabile anche se non tutti gli i sono misurabili). Con L p (µ) intenderò lo spazio L p () rispetto alla misura µ. Con L p (), essendo un insieme misurabile, intenderò lo spazio delle funzioni in L p (µ), con supporto contenuto in. Con B a (x) intenderò la bolla di raggio a centrata nel punto x, cioè l insieme y X : y x a, co () indica l involucro convesso di e co () la chiusura di co (). Per il resto la notazione utilizzata è standard. Per la comprensione dell argomento è necessaria una certa conoscenza della teoria della misura, in particolare il Teorema di Radon-Nikodym classico verrà spesso utilizzato nelle dimostrazioni. Utilizzerò largamente la teoria dell integrazione secondo Lebesgue e la teoria relativa agli spazi L p, tutto quello che serve al riguardo può essere trovato nei primi capitoli di [17] e in [16]. Darò anche per scontate le proprietà basilari degli spazi di Banach e i primissimi teoremi di analisi funzionale: al riguardo due testi molto belli (che costituiscono un corso intero di analisi funzionale e contengono infinitamente di più di quello che utilizzeremo qui) sono [18] e [14]; per chi volesse vedere un impostazione dell argomento diversa e forse poco usuale consiglio [3].

7 vvertenze 6 La teoria del valore atteso e delle martingale è sviluppata il meno possibile, tutti i risultati proposti servono per dimostrare proposizioni riguardanti argomenti diversi. Probabilmente il lettore che non ha famigliarità con questi concetti avrà delle difficoltà a comprendere il senso degli argomenti proposti, tuttavia non è necessario avere grande padronanza di questi argomenti per comprendere il resto.

8 Capitolo 1 Misure vettoriali ed integrale di Bochner In questo primo capitolo verrà generalizzato il concetto di misura complessa, introducendo le cosiddette misure vettoriali. Verrà quindi definito l integrale di una funzione scalare rispetto ad una misura vettoriale. Verrà poi introdotto l integrale di Bochner, definendo quindi l integrale di una funzione a valori in uno spazio di Banach rispetto ad una misura scalare. I legami tra questi due concetti emergeranno in maniera naturale, definendo una misura vettoriale attraverso l integrale di Bochner. L impostazione dell argomento, almeno all inizio, segue quella di [1]. 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà ia un insieme e Ω una σ-algebra di sottoinsiemi di. Una funzione µ : Ω C è chiamata misura complessa se soddisfa: ( ) µ i = µ( i ), i Ω i N, i j = se i j; i N i N si noti che la serie deve convergere incondizionatamente, quindi assolutamente, da cui µ dev essere finita. Vogliamo ampliare questo concetto sostituendo a C insiemi più generali: ovviamente la definizione di misura deve restare si-

9 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 8 mile, in particolare dovremo scegliere insiemi in cui sia ben definito il concetto di serie. È allora naturale scegliere spazi normati, in particolare sceglieremo spazi di Banach. ia dunque (X, ) uno spazio di Banach e (, Ω) uno spazio misurabile: diamo la definizione di misura vettoriale. Definizione 1.1 Una funzione τ : Ω X è detta misura vettoriale se soddisfa: ( ) τ i = τ( i ), i Ω i N, i j = se i j, (1.1) i N i N dove, per ipotesi, la serie converge incondizionatamente. i ha il seguente utile Lemma 1.2 Una funzione d insieme τ : Ω X finitamente additiva è numerabilmente additiva (e quindi è una misura vettoriale) se e solo se τ( n ) 0 per ogni successione decrescente di insiemi { n } tale che n =. Dimostrazione. Il verso del solo se è evidente. Per il viceversa sia { i } i N una partizione di un generico Ω, si ha ( ) τ i i N se n per ipotesi. ( ) ( n τ( i ) = n ) τ i τ i = ( = τ i=n+1 n N i ) 0 Mantenendo l analogia con le misure complesse diamo la seguente Definizione 1.3 ia τ una misura a valori in X. ia τ : Ω X

10 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 9 { } sup τ(i ), (1.2) dove il sup si intende esteso a tutte le partizioni { i } i N di. Esattamente come nel caso di misure complesse si verifica che τ è una misura positiva, tuttavia non vale più τ () < : vedremo fra poco un controesempio. Per mantenere l analogia con le misure standard richiediamo allora che τ sia di variazione limitata, cioè che τ () <. In realtà per quasi tutto quello che verrà detto in seguito basterebbe τ di semivariazione limitata, dove la semivariazione di τ è definita come: τ () = sup { x τ ()} dove il sup è esteso a tutti gli x X tali che x 1 e dove con x τ intendo la variazione totale della misura scalare x τ. Naturalmente una misura è detta di semivariazione limitata se τ () <. Per maggiori dettagli riguardo quest argomento si veda [4]. i ha il seguente facile teorema, che useremo spesso, anche senza richiamarlo esplicitamente. Teorema 1.4 e µ() < ed esiste k R tale che τ() kµ() per ogni Ω allora τ è di variazione limitata. Dimostrazione. ia { i } una qualunque partizione di. i ha τ(i ) kµ( i ) = kµ() <. Esempio 1.5 ia (, Ω) = ([0, 1], L ([0, 1])) 1 e X = L p ([0, 1]). Definiamo una funzione d insieme τ ponendo τ() = χ. ffinché τ sia una misura vettoriale occorre che sia p, infatti in caso contrario τ non è σ-additiva: se si scrive [0, 1] come unione di una famiglia 1 Con L ([0, 1]) intendo la σ-algebra costituita dai sottoinsiemi di [0, 1] Lebesguemisurabili, analogamente con altri insiemi al posto di [0, 1].

11 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 10 numerabile di insiemi disgiunti { i }, allora τ([0, 1]) = τ( i ) = τ( i ) = χi, tuttavia χ i = 1 i da cui la serie non può convergere (si ricordi che la convergenza dev essere in norma). Viceversa se 1 p < sia C [0, 1] e C = i, con { i } mutuamente disgiunti: essendo µ(c) 1 (µ indica qui la misura di Lebesgue su R) si ha che µ( i ) converge e quindi χi converge in norma L p. e p 1 τ non è di variazione limitata, basta )}, stimare dal basso τ ((0, 1)) usando questa {( i n, i+1 n scrivere (0, 1) = n 1 i=0 partizione e lasciare n per ottenere τ ((0, 1)) =. Ovviamente se p = 1 si ha τ ([0, 1]) = 1. Nel seguito τ sarà sempre una misura di variazione limitata. Vogliamo definire l integrale di una funzione scalare rispetto a una misura vettoriale τ. Il modo più naturale di procedere consiste nel partire dalle funzioni semplici: se f = m a iχ i, con i Ω per ogni i, (si ricordi che { i } dev essere una partizione di, questo nel seguito sarà sempre sottinteso) definiamo f dτ = m a i τ( i ). (1.3) e f è semplice vale f dτ = m m a i τ( i ) a i τ( i ) = m a i τ( i ) f d τ. e al posto di c è un insieme generico, ovviamente poniamo f dτ = fχ dτ. Consideriamo ora una generica f misurabile ed essenzialmente limitata, rispetto a τ : poiché f è limite uniforme di funzioni semplici è ben definito, per continuità, l integrale di f rispetto a τ (si ricordi che τ () < ). Per densità delle funzioni semplici, per ogni f essenzialmente limitata vale f dτ f d τ Ω. (1.4)

12 1.1 Misure vettoriali: prime proprietà 11 La (1.4) significa ovviamente che l integrazione rispetto a τ è un operatore (lineare) continuo da L ( τ ) a X. Per estendere l integrazione rispetto a τ basta ora procedere per continuità e ottenere un operatore lineare continuo da L 1 ( τ ) a X. Tutte le proprietà fin qui discusse valgono in generale per la densità di L ( τ ) in L 1 ( τ ) e la continuità dell integrale. i noti che la definizione di integrale (di Lebesgue) rispetto ad una misura complessa viene data sfruttando il Teorema di Radon-Nikodym: ovviamente a questo punto della trattazione non abbiamo nessun teorema analogo a Radon-Nikodym per misure vettoriali, vedremo in seguito che un tale teorema non può esistere e quindi il ricorso all esensione per continuità è indispensabile. Esempio 1.6 ia (, Ω) = (N, P(N)) e sia τ({i}) = x i X (dev essere xi incondizionatamente convergente). In questo modo abbiamo sempre una misura vettoriale, che è di variazione limitata se e solo se x i converge assolutamente. Introduciamo ora il concetto di misura vettoriale assolutamente continua rispetto ad una misura scalare. Definizione 1.7 Una misura vettoriale τ di variazione limitata è detta assolutamente continua rispetto ad una misura positiva µ σ-finita se vale una di queste condizioni (equivalenti): τ µ; µ() = 0 τ() = 0; ε > 0 δ(ε) > 0 tale che µ() < δ τ () < ε. In questo caso scriviamo τ µ. L ipotesi di σ-finitezza di µ serve per garantire l equivalenza delle 3 condizioni, al riguardo si veda [4]. Con le ipotesi del Teorema 1.4 possiamo dedurre che τ è assolutamente continua rispetto a µ, infatti µ() = 0 τ() = 0 τ() = 0. i noti che il Lemma 1.2 permette di dedurre il seguente Teorema 1.8 Una funzione d insieme τ : Ω X

13 1.2 L integrale di Bochner 12 finitamente additiva e assolutamente continua rispetto a µ misura positiva è numerabilmente additiva. 1.2 L integrale di Bochner Passiamo ora all argomento principale di questo capitolo, l integrale di Bochner. Vogliamo dare un senso alla scrittura f dµ, dove però f è una funzione definita da a valori in uno spazio di Banach X. In apparenza tutto ciò non è collegato con il concetto di misura vettoriale (la misura µ è infatti positiva), tuttavia vedremo come il concetto di misura vettoriale entrerà naturalmente in gioco. bbiamo bisogno per prima cosa del concetto di funzione misurabile: incominciamo dalle funzioni semplici. Definizione 1.9 ia f = m x iχ i, con x i X i. Diciamo che f è misurabile se i Ω i. Veniamo ora alla definizione generale. Definizione 1.10 ia f : X. f è misurabile se è µ-quasi ovunque limite puntuale di funzioni semplici misurabili. Nel caso di funzioni reali la definizione è diversa, tuttavia è comunque vero che ogni funzione misurabile è limite di funzioni semplici misurabili, e viceversa; per funzioni vettoriali è conveniente adottare questa definizione. Definizione 1.11 ia f : X. µ-misurabile per ogni x X. f è debolmente misurabile se x f è La più importante caratterizzazione delle funzioni misurabili è il seguente teorema, dovuto a Pettis. Teorema 1.12 (Pettis) ia f : X. f è misurabile se e solo se valgono le seguenti condizioni: f è debolmente misurabile; Ω, con µ() = 0, tale che f(\) sia separabile. Dimostrazione. ia f misurabile e sia quindi {f i } una successione di funzioni semplici misurabili che convergono puntualmente quasi ovunque a f. Per

14 1.2 L integrale di Bochner 13 il Teorema di Egoroff 2 n N n Ω con µ( n ) < 1 tale che f n i f uniformemente su \ n. f i (\ n ), essendo f i semplice, è finito dimensionale e limitato, da cui f(\ i ) è precompatto (per l uniforme convergenza ε > 0 m tale che f i (x) f(x) < ε x \ n e i m: allora f m (\ n ), che è costituito da un numero finito di punti, è una ε-net finita per f(\ n )) e quindi risulta separabile. llora f( n \ n) = n f(\ n) è separabile ed essendo µ(\ n (\ n)) = µ( n n) = 0 è dimostrato che vale la seconda proprietà. ia x X : allora x (f n (s)) x (f(s)) per quasi ogni s. x f n è semplice misurabile e x f è quasi ovunque limite di x f n e quindi è misurabile e vale allora la prima proprietà. Viceversa sia, con µ() = 0 tale che f(\) sia separabile. upponiamo che {x n } sia una successione densa in f(\). Per il Teorema di Hahn-Banach esiste {x n} X tale che x n = 1 n e x n(x n ) = x n n. Per la densità di {x n } si ha f(s) = sup x n(f(s)), n quindi la funzione f( ) è µ misurabile e anche g m ( ) = f( ) x m = sup n {x n(f( )) x n(x m )} è µ-misurabile per ogni m fissato. ia ε > 0 e ε n = {s \ tali che g n (s) < ε} : allora, per la densità di {x n }, vale \ = n ε n e gli ε n sono tutti misurabili. Definiamo n 1 Bn ε = ε n\ ε i : allora {B ε n} è una partizione di \ e se g ε = i x iχ B ε i si ha g ε (s) f(s) < ε s \ e f è limite uniforme di funzioni con rango al più numerabile misurabili. semplici. egue che f è quasi ovunque limite puntuale di vere funzioni 2 Molti teoremi, come appunto il Teorema di Egoroff, valgono anche per funzioni vettoriale, e la loro dimostrazione è identica al caso di funzioni reali; tralascio quindi i dettagli.

15 1.2 L integrale di Bochner 14 iamo pronti a definire l integrale di Bochner! l solito cominciamo con le funzioni semplici. Una funzione f = m x iχ i è Bochner integrabile se il supporto ha misura finita: in questo caso scriviamo f dµ = m x i µ( i ), dove per convenzione 0 = 0. Più in generale: Definizione 1.13 ia f : X. f è Bochner integrabile se esiste una successione {f i } di funzioni semplici misurabili, Bochner integrabili e puntualmente convergente a f tale che f n f m dµ 0. (1.5) In questo caso scriviamo f dµ = lim f n dµ. (1.6) Il caso in cui è sostituito da insiemi diversi si tratta nel modo ovvio. Bisognerebbe fare molte verifiche, per esempio che la definizione è ben posta, nel senso che il limite non dipende dalla scelta della successione di funzioni semplici, ma tutto funziona come nel caso scalare. seguente Vale per esempio il Teorema 1.14 Per ogni funzione f Bochner integrabile si ha f dµ f dµ Dimostrazione. La disuguaglianza è evidente nel caso f semplice e il caso generale segue per densità. Come ci si può aspettare, si ha la seguente utile caratterizzazione delle funzioni Bochner integrabili. Teorema 1.15 ia f : X. f è Bochner integrabile se e solo se f è misurabile; f dµ <.

16 1.2 L integrale di Bochner 15 Dimostrazione. Che le due condizioni siano necessarie è evidente dalla definizione di funzione Bochner integrabile. Viceversa, se f è misurabile, anche f lo è, quindi esiste una successione {f n }, costituita da funzioni misurabili e con rango al più numerabile (si veda la dimostrazione del Teorema 1.12), tale che f f n 1 n valga quasi ovunque; quindi vale quasi ovunque n f n f + 1. ssumiamo per il momento µ() <, e scriviamo n f n = x n,i χ n,i. ia p n sufficientemente grande perché si abbia f n dµ µ() n m=pn+1 n,m e si ponga g n = p n x n,iχ n,i : in questo modo ogni g n è semplice e misurabile. Vale f g n dµ f f n dµ + f n g n dµ 1 µ() dµ + n n = 2µ() n 0 se n. Il caso generale in cui non ha misura finita segue ora dal fatto che in uno spazio di misura σ-finito ε > 0 ε, con µ( ε ) <, tale che \ ε f dµ < ε. D ora in poi, quando non vi saranno dubbi, spesso tralascerò di scrivere dµ negli integrali, scrivendo solo f; inoltre tralascerò anche l insieme di integrazione se questo è generico. L insieme delle classi di equivalenza (a meno di uguaglianza quasi ovunque) di funzioni Bochner integrabili, dotato della norma naturale, è uno spazio di Banach che viene indicato con L 1 (µ, X). nche gli spazi L p (µ, X), 1 < p, definiti nel modo ovvio, sono spazi di Banach. La dimostrazione ricalca il caso scalare. Teorema 1.16 e T : X R è un funzionale lineare continuo, allora T f = T f f L 1 (µ, X).

17 1.3 Misura e integrazione 16 Dimostrazione. Il teorema è ovvio per funzioni semplici. Inoltre se f n f in norma L 1 (µ, X), con f n semplici, si ha che f n f in norma di X. Inoltre la successione T f n è di Cauchy in L 1 (µ) e quindi il teorema segue dall uguaglianza T f n = T f n, passando al limite da entrambe le parti. Le proprietà dell integrale di Bochner sono molto simili a quelle dell integrale di Lebesgue, ad esempio se f n f puntualmente e f n g L 1 (µ) quasi ovunque, il teorema della convergenza dominata applicato a f n f con dominante 2g assicura che f n f 0. Teorema 1.17 ia f L 1 (µ, X). llora valgono le seguenti proprietà: 1) lim µ() 0 f 0; 2) se { n } n N è una partizione di (costituita da insiemi misurabili) vale f = f e la serie converge assolutamente. n N n Dimostrazione. 1) egue direttamente dal Teorema ) La serie è certamente assolutamente convergente, infatti, per ogni n N, n f dµ n f dµ, la cui serie converge. i noti che l integrale di Bochner è finitamente additivo, come segue immediatamente dalla definizione, e quindi vale f dµ n=1 n m f dµ n = f dµ. n=m+1 n n=1 Inoltre µ ( n=m+1) 0 se m e quindi dalla proprietà appena dimostrata segue la tesi. 1.3 Misura e integrazione Come si collegano misure vettoriali ed integrale di Bochner? Partendo da una funzione f L 1 (µ, X) possiamo definire una misura vettoriale nel modo più naturale: infatti dal Teorema 1.17 segue direttamente il seguente

18 1.3 Misura e integrazione 17 Teorema 1.18 ia f L 1 (µ, X), allora la seguente funzione è una misura vettoriale. τ : Ω X f dµ (1.7) e g è una funzione scalare semplice è immediato verificare che, detta τ la misura del teorema precedente, vale g dτ = fg dµ e quindi per densità vale sempre g dτ = fg dµ. Una misura così definita ha tutte le buone proprietà che dovrebbe avere: intanto è di variazione limitata, infatti se { i } n si ha n τ( i ) = n f dµ i n f dµ = i è una partizione di Ω f dµ. (1.8) Ne segue τ () f dµ e quindi l assoluta continuità di τ rispetto a µ. Un fatto molto utile nella pratica è che vale anche la disuguaglianza opposta. Teorema 1.19 e f L 1 (µ, X) e τ è come sopra, allora vale τ () = f dµ. (1.9) Dimostrazione. Una disuguaglianza è già stata vista; per l altra sia ε > 0 e sia {f n } una successione di funzioni semplici tali che lim f f n dµ = 0. n ia n 0 tale che f f n dµ < ε. i scelga una partizione π di tale che B π B f n0 dµ = f n0 dµ,

19 1.3 Misura e integrazione 18 che esiste poiché f n0 è una funzione semplice. Raffinando π si può trovare una partizione π di tale che τ () B π B f dµ < ε; inoltre vale ancora B π B f n0 dµ = f n0 dµ. Vale e quindi B π B τ () f dµ B f n0 dµ f f n0 dµ < ε f n0 dµ = τ (E) f n0 dµ < 2ε. B π Poiché questa disuguaglianza vale per tutti gli n 0 sufficientemente grandi, possiamo dedurre che e quindi la tesi. Deduciamo il seguente τ () = lim f n dµ = f dµ, n Corollario 1.20 e f e g sono Bochner integrabili e f dµ = g dµ Ω allora f = g µ-quasi ovunque. Dimostrazione. i costruisca τ a partire da f g: allora τ() = 0 Ω e quindi τ () = 0 Ω. Dal Teorema 1.19 segue che f g dµ = 0 Ω. Ne segue f g = 0 µ-quasi ovunque e allora f = g µ-quasi ovunque. Fin qui l integrale di Bochner non ha nessuna differenza rispetto all integrale di Lebesgue, se non che il simbolo di valore assoluto è sostituito

20 1.4 Un lemma di esaustione 19 da quello di norma. Tuttavia, non appena si esaminano fatti più profondi della teoria dell integrazione e della misura, emergono delle fondamentali differenze: è quello che vedremo nel prossimo capitolo. 1.4 Un lemma di esaustione Mostriamo qui un lemma tecnico, che sarà utile più avanti: la dimostrazione non ha nulla di concettualmente importante e potrebbe anche essere omessa, la inseriamo per completezza. Lemma 1.21 ia τ : Ω X una misura vettoriale e supponiamo che µ() <. ia P una qualsiasi proprietà che τ può avere su un certo misurabile. e si verificano le seguenti circostanze: 1) τ ha P sugli insiemi di misura nulla; 2) ogni volta che τ ha P su un insieme misurabile, τ ha P su ogni insieme misurabile B ; 3) ogni insieme misurabile con µ() > 0 contiene un sottoinsieme misurabile B, con µ(b) > 0, tale che τ abbia P su B. llora esiste una successione di insiemi { n }, mutuamente disgiunti, tali che n n = e τ abbia P su ogni n. Dimostrazione. ia Y = { Ω tali che τ ha P su } e poniamo X = {unioni finite di elementi di Y }. ia c = sup X {µ()} < e sia { i } i N tale che lim n µ( n ) = c. Poniamo inoltre B n = n i: allora {B n } X e lim n µ(b n ) = c. ia = \ B i: se fosse µ() > 0, esisterebbe C, con µ(c) > 0, tale che τ avrebbe P su C e quindi {B n C} sarebbe contenuto in X e si avrebbe lim n µ(b n C) = c + µ(c) > c; che è assurdo per la definizione di c. Quindi µ(c) = 0. Consideriamo ora la successione C 0 =, C 1 = B 1, C 2 = B 2 \B 1,..., C n = B n \B n 1,....

21 1.4 Un lemma di esaustione 20 allora {C n } è una successione di elementi di X, mutuamente disgiunti, tali che C n =. La tesi è allora immediata espandendo ogni C n che è unione finita di elementi di Y.

22 Capitolo 2 La proprietà di Radon-Nikodym e non detto altrimenti in questo capitolo supporremo sempre µ() <. Il teorema forse più importante della teoria della misura è il Teorema di Radon-Nikodym: Teorema 2.1 (Radon-Nikodym) e α : C è una misura complessa assolutamente continua rispetto a µ esiste una (e una sola) f L 1 (µ) tale che α() = f dµ. f viene chiamata derivata di Radon-Nikodym di α rispetto a µ e si scrive f = dα dµ. Per quanto riguarda la teoria dell integrazione è invece di fondamentale importanza il Teorema di rappresentazione di Riesz. Teorema 2.2 (Riesz) ia T : L 1 (µ) R un funzionale lineare continuo. llora esiste una (e una sola) g L (µ) tale che T f = fg dµ.

23 2.1 Radon-Nikodym fallisce i può facilmente ipotizzare una generalizzazione del Teorema di Radon- Nikodym che usi l integrale di Bochner invece di quello di Lebesgue, tuttavia la dimostrazione del caso scalare non funziona più: cosa possiamo dire allora? Il Teorema di Riesz si può generalizzare in diversi modi: per ora noi considereremo la generalizzazione che al posto di funzionali lineari tratta di operatori a valori in X, lo studio del duale di L 1 (µ, X) verrà affrontato invece più avanti. 2.1 Radon-Nikodym fallisce... Vedremo che il Teorema di Radon-Nikodym è falso se al posto di C si considera un generico spazio di Banach X; diamo allora la seguente Definizione 2.3 iano X uno spazio di Banach e (, Ω, µ) uno spazio di misura positiva. Diciamo che X ha la proprietà di Radon-Nikodym rispetto a µ se per ogni misura vettoriale τ : Ω X, di variazione limitata ed assolutamente continua rispetto a µ, esiste una (e una sola) f L 1 (µ, X) tale che τ() = f dµ. Diciamo che X ha la proprietà di Radon-Nikodym se ha questa proprietà rispetto a ogni µ misura positiva di probabilità. i noti che, per il Corollario 1.20, l esistenza di una tale f è sufficiente per dedurne l unicità. Nel caso X abbia la proprietà di Radon-Nikodym scriverò più semplicemente che X ha RNP, oppure dirò che X che è uno spazio di Radon-Nikodym. Vediamo subito che tutto questo discorso è in effetti sensato. Teorema 2.4 Esistono degli spazi di Banach che non hanno RNP.

24 2.1 Radon-Nikodym fallisce Dimostrazione. Dimostriamo che c 0 non ha RNP. ia (, Ω) = ([0, 2π], L ([0, 2π])) e sia µ la misura di Lebesgue normalizzata. Definiamo nel modo seguente ( 1 dµ, τ : Ω c 0 ) e it dµ(t),..., e int dµ(t),... ; per il Lemma di Riemann-Lebesgue la definizione è ben posta (nel senso che l immagine di appartiene effettivamente a c 0 ). d insieme finitamente additiva e da τ() = sup n N e int dµ(t) µ() È chiaro che τ è una funzione segue che τ è assolutamente continua rispetto a µ; quindi dal Teorema 1.8 deduciamo che τ è una misura vettoriale, ed inoltre è di variazione limitata. Tuttavia τ non ha derivata di Radon-Nikodym rispetto a µ: infatti l unica scelta possibile sarebbe f = ( 1, e it,..., e int,... ) che non mappa [0, 2π] in c 0 (questa f è l unica scelta possibile per il Teorema 1.16, considerato che le proiezioni π i sono funzionali lineari continui). Il caso di c 0 non è isolato, come provano i seguenti ulteriori esempi. Esempio 2.5 nche X = L 1 ([0, 1]) non ha RNP. Per (, Ω, µ) scegliamo [0, 1] con la misura di Lebesgue. Poniamo τ() = χ : con ragionamenti analoghi al caso di c 0 si vede che τ è una misura vettoriale, di variazione limitata e assolutamente continua rispetto a µ. e esistesse la derivata f di τ rispetto a µ dovrebbe essere f : [0, 1] L 1 ([0, 1]), quindi f(x) dovrebbe essere una funzione f(x) : [0, 1] R x [0, 1]. Possiamo quindi vedere f come una

25 2.1 Radon-Nikodym fallisce funzione reale di due variabili f : [0, 1] [0, 1] R (x, y) (f(x))(y). Dovrebbe essere τ() = χ = f dµ = f(x, y) dx, (ricordo che l integrale di Bochner coincide con l integrale di Lebesgue e con quello di Riemann quando questi hanno senso) e quindi seguirebbe B ( f(x, y) dxdy = µ ) B, quindi f dovrebbe essere nulla fuori dalla diagonale, che è chiaramente assurdo. Esempio 2.6 ia X = C 0 ([0, 1]) e (, Ω, µ) sia [0, 1] con la misura di Lebesgue. i ponga ( τ()(t) = µ ) [0, t]. Come nei due casi precedenti τ è una misura vettoriale di variazione limitata assolutamente continua rispetto a µ, inoltre vale τ = µ. e esistesse f tale che µ( [0, t]) = f(s, t) ds (vale il discorso dell esempio precedente) dovrebbe necessariamente essere f(s, t) = 1 per quasi ogni s t e f(s, t) = 0 per quasi ogni s > t, ma allora f non sarebbe una funzione continua. bbiamo visto attraverso questi esempi che il Teorema di Radon-Nikodym non è sempre vero per misure vettoriali; che cosa possiamo dire riguardo al Teorema di rappresentazione di Riesz?

26 neanche Riesz sopravvive neanche Riesz sopravvive Definizione 2.7 ia T : L 1 (µ) X un operatore lineare continuo. Diciamo che T è rappresentabile se esiste una (e una sola) g L (µ, X) tale che T f = fg dµ. i noti che per il Corollario 1.20 l esistenza di una tale g è sufficiente per dedurne l unicità. In sostanza il Teorema di Riesz classico afferma che ogni operatore lineare e continuo a valori in R è rappresentabile. Teorema 2.8 Esistono misure µ e spazi di Banach X in corrispondenza ai quali esistono operatori lineari continui T : L 1 (µ) X non rappresentabili. Dimostrazione. Per prima cosa abbiamo bisogno di scegliere lo spazio di Banach che sarà il codominio di T, sia allora X = c 0. ia (, Ω, µ) come nella dimostrazione del Teorema 2.4, e sia T : L 1 (µ) c 0 { } f e int f(t) dt Q con Q = [0, 2π] (per il Lemma di Riemann-Lebesgue la definizione è ben posta). Poiché Q e int f(t) dt Q e int f(t) dt f(t) dt = f Q 1 si ha che l operatore appena definito (che è ovviamente lineare) è limitato. n N upponiamo allora che esista g L (µ, X) tale che T f = Q fg dµ. ia τ la misura del Teorema 2.4: allora si dovrebbe avere τ() = T (χ ) = g dµ, che abbiamo visto non essere possibile. nche per il Teorema di Riesz il caso X = c 0 non è peculiare.,

27 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 26 Esempio 2.9 Esistono degli operatori a valori in L 1 (µ) non rappresentabili. ia (, Ω, µ) come nell Esempio 2.5 e sia T l identità. e T fosse rappresentabile, dovrebbe esistere g L (µ, X) tale che f = T f = fg dµ per ogni f L 1 (µ, X), in particolare si dovrebbe avere χ = g dµ e quindi g sarebbe la derivata di Radon-Nikodym della τ definita nell Esempio 2.5, assurdo. Considerando gli esempi precedenti è lecito formulare l ipotesi che ci sia una qualche relazione tra il Teorema di Radon-Nikodym e il Teorema di Riesz, è quanto vedremo fra poco. 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon- Nikodym L equivalenza delle due proprietà Vogliamo dimostrare che uno spazio di Banach X ha RNP se e solo se, per ogni misura µ, ogni operatore lineare limitato da L 1 (µ) a X è rappresentabile! In apparenza le due proprietà sono slegate fra loro, che cosa c entra il Teorema di Radon-Nikodym con la rappresentabilità di operatori? Negli esempi il collegamento nasceva costruendo una misura vettoriale τ() = T (χ ), con il seguente lemma cerchiamo di ufficializzare questo legame. Lemma 2.10 iano µ una misura e T : L 1 (µ) X un operatore lineare continuo. e Ω si ponga τ() = T (χ ). llora T è rappresentabile se e solo se esiste g L 1 (µ, X) tale che τ() = g dµ

28 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 27 per ogni Ω. In questo caso si ha g L (µ, X) e T f = fg dµ per ogni f L 1 (µ). Inoltre vale T = g. i noti che il lemma non fa altro che generalizzare quanto visto negli esempi; nella dimostrazione emergerà meglio il legame fra le due proprietà. Dimostrazione. Uno dei due versi è ovvio: se T è rappresentabile, esiste g L (µ, X) tale che T (f) = fg dµ f L1 (µ, X), quindi τ() = T (χ ) = g dµ, come vogliamo (ricordo che µ() < e quindi g L (µ, X) g L 1 (µ, X)). Per il viceversa osserviamo che, essendo le funzioni semplici dense in L 1 (µ) ed essendo T lineare e continuo, è sufficiente che T sia rappresentabile per quanto riguarda le funzioni caratteristiche per concludere che sia effettivamente rappresentabile; quindi resta solo da dimostrare che g L (µ, X). i ha τ() = T (χ ) T χ = T µ() e quindi τ () T µ() Ω. Per il Teorema 1.19 vale τ () = g dµ e quindi g T almeno quasi ovunque, cioé g L (µ, X). Resta da dimostrare la disuguaglianza opposta per provare che in effetti g = T. i ha T (f) = fg dµ Quindi T g da cui segue la tesi. f g dµ = g f 1. Con la dimostrazione di questo lemma la connessione fra le due proprietà è stabilita. iamo ora pronti a dimostrare l equivalenza.

29 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 28 Teorema 2.11 Uno spazio di Banach X ha RNP se e solo se, per ogni misura µ, ogni operatore T : L 1 (µ) X è rappresentabile. Dimostrazione. upponiamo che X abbia RNP. ia T un operatore lineare continuo a valori in X, si definisca τ() = T (χ ). Essendo τ() T µ() si ha che τ è una misura vettoriale assolutamente continua rispetto a µ, e quindi deve esistere la derivata di Radon-Nikodym di τ rispetto a µ, sia g. Poiché g L 1 (µ, X) e τ() = g dµ, il Lemma 2.10 permette di concludere. Il viceversa è più difficile. L idea è quella di usare τ() = χ dτ e quindi di passare attraverso l operatore f dτ, che però non è sempre continuo (è limitato come operatore da L 1 ( τ ), non da L 1 (µ)): vediamo come si può aggirare il problema. upponiamo quindi che ogni T che soddisfa le ipotesi del teorema sia rappresentabile e sia τ una misura vettoriale di variazione limitata, con τ µ. Per il Teorema di Radon-Nikodym classico possiamo trovare h L 1 (µ) tale che τ () = h dµ. i osservi che dev essere h(s) 0 quasi ovunque. Per n N poniamo n = {s : n 1 h(s) < n}, questi insiemi sono tutti misurabili e vale τ () nµ() per ogni n e per ogni n N. i fissi n e si definisca T n : L 1 (µ) X

30 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 29 f f dµ. n In questo modo ogni T n è lineare e continuo: infatti se f = p α iχ Bi si ha p T n (f) = α i τ p ( n Bi ) p ) α nµ ( n Bi n f 1 ) α i τ ( n Bi e, per densità delle funzioni semplici, T n n. In questo modo abbiamo risolto il problema della non continuità dell integrale rispetto a τ. Per ipotesi ogni T n è rappresentabile, quindi esiste g n L (µ, X) tale che T n (f) = Per quanto detto prima si ha anche fg n dµ. ) τ ( n = T n (χ ) = g n dµ. Questa relazione ci permette di dedurre che g n (s) = 0 per quasi ogni s n. Tutto questo può essere fatto per ogni n, e quindi si ottiene una successione {g n } n N L (µ, X), e per quanto appena detto è naturale definire g = g n, cioè g(s) = g n (s) dove n è l unico che soddisfa s n. i ha τ() = τ ( ) n = n=1 τ ( ) n = n=1 g n dµ. Mostriamo che g L 1 (µ). i ha g dµ = g n dµ n=1 g n dµ g n dµ = = τ ( n ) τ () <.

31 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 30 Per il teorema della convergenza dominata (che ricordo vale anche per l integrale di Bochner), con dominante g si ha τ() = g n dµ = g n dµ = g dµ, e poiché g L 1 (µ, X) abbiamo dimostrato il teorema. Esempio 2.12 Vediamo ora un esempio non banale di spazio di Banach che abbia RNP: l 1. ia τ : Ω l 1 una misura vettoriale di variazione limitata assolutamente continua rispetto a µ. Possiamo applicare il Teorema di Radon- Nikodym classico ad ogni componente per trovare una f : l 1 che sia la derivata di τ. Perché tutto questo funziona? e {τ n } sono le componenti di τ e se f n è la derivata di τ n, si ha, detto e k il vettore che ha tutti 0 tranne un 1 al k-esimo posto, τ() = τ i ()e i = f i dµe i = f i e i dµ, inoltre vale f i e i dµ f i dµ f i dµ < dove l ultima disuguaglianza segue da τ () <. Questo in l 1 permette di concludere che la serie f ie i converge in norma e quindi f ie i dµ = f ie i dµ = f dµ, per cui abbiamo trovato la derivata di Radon- Nikodym di τ rispetto a µ. i noti che la proprietà forte di l 1 che è stata usata è la seguente: se α i e i < allora α i e i converge in norma 1. 1 Esiste un analogo di questa proprietà per spazi più generali dove {e i } è una base di chauder: per questi spazi vale infatti la proprietà di Radon-Nikodym.

32 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym Il duale di L p (µ, X) Qual è il duale di L p (µ, X)? Ovviamente non può essere L q (µ, X) 2, almeno non nel senso classico, perché non è neanche possibile fare il prodotto tra f e g, dove f L p (µ, X) e g L q (µ, X). Un ipotesi sensata potrebbe allora essere la seguente L p (µ, X) = L q (µ, X ) : infatti il prodotto tra f e g può essere definito in questo modo < f, g > (s) = g(s)(f(s)). (2.1) Più esplicitamente la nostra ipotesi è la seguente: se T L p (µ, X), allora esiste una (e una sola) g L q (µ, X ) tale che inoltre T = g q. T f = < f, g > dµ; (2.2) Incominciamo a vedere che L q (µ, X ) può sempre essere immerso, isometricamente, in L p (µ, X). Teorema 2.13 L q (µ, X ) può essere immerso isometricamente in L p (µ, X) definendo e vale T = g q. T g f = < f, g > dµ, (2.3) Dimostrazione. Per prima cosa occorre dimostrare che l integrale che compare in 2.3 ha senso, quindi per prima cosa che < f, g > è misurabile: se {g n } L q (µ, X ) è una successione di funzioni semplici che converge a g si ha che 2 Nel corso di questa sezione p e q saranno sempre esponenti coniugati, quindi se 1 < p < si ha e se p = 1 q =. 1 p + 1 q = 1

33 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 32 < f, g n > è misurabile e anche < f, g >= lim < f, g n > è misurabile. Inoltre < f, g > dµ f g dµ f p g q, dove l ultima disuguaglianza segue dalla disuguaglianza di Hölder. Quindi ad ogni g L q (µ, X ) possiamo associare un T g L p (µ, X) e vale T g g q. La dimostrazione della disuguaglianza opposta è più complessa, e passa attraverso lo spazio L p (µ): infatti la funzione g permette di trovare un elemento del duale di L p (µ), quello dato da g q L q (µ). ia ε > 0, g = x i χ i e si scelga h L ( µ), con h 0, 0 < h p 1 e tale che g q ε 2 < g h dµ, h in sostanza è un elemento di L 1 (µ) che fa realizzare, a meno di ε 2, a T g q la sua norma. i scelga poi {x i } X, con x i = 1 i tale che x i ε 2 h 1 < x i (x i ). ia ora f L p (µ, X), f = x i hχ i, allora f p = h p 1 e si ha h < f, g > dµ = h x i (x i )χ i dµ ( x i ε 2 h 1 s ) χ i dµ = h g dµ ε h dµ 2 h 1 g q ε 2 ε 2 = g q ε. da cui segue che se g ha rango numerabile T g g q, cioè T g = g q. Per il caso generale si osservi che se 1 q < le funzioni semplici, e quindi anche quelle a rango numerabile, sono dense in L q (µ, X) (segue direttamente dalla definizione di funzione Bochner integrabile) e, come nel caso scalare, queste ultime sono dense anche in L (µ, X). ia quindi g L q (µ, X ) e si scelga {g n } L q (µ, X ), tutte a rango numerabile, tali che g g n q 0 se n. i ha 0 < T g T gn g g n 0 se n, inoltre

34 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 33 T gn = g n q e quindi T g = lim T gn = lim g n q = g q. Com è facile aspettarsi, l isomorfismo isometrico appena costruito non è sempre suriettivo; si ha però il seguente teorema Teorema 2.14 L uguaglianza L p (µ, X) = L q (µ, X ) vale se e solo se X ha RNP. Dimostrazione. upponiamo che X abbia RNP. L idea della dimostrazione è quella di scegliere, a partire da un T L p (µ, X), un opportuna misura vettoriale τ, a valori in X, la cui derivata di Radon-Nikodym g sia l elemento di L q (µ, X ) cercato: vediamo come dev essere fatta τ. e f L p (µ, X) è semplice, vale n ( n ) < f, g > dµ = < x i χ i, g > dµ = g(s) x i χ i (s) dµ = = n i g(s)(x i ) dµ. pplichiamo adesso il Teorema 1.16, e otteniamo n n n < f, g > dµ = g(s)(x i ) dµ, = g dµ(x i ) = τ( i )(x i ). i i Inoltre vogliamo che valga < f, g > dµ = ( n n ) τ( i )(x i ) = T x i χ i = n T (x i χ i ). Dato allora T L p (µ, X), risulta naturale definire τ in modo che valga τ()(x) = T (xχ ). La finita additività di τ è ovvia, inoltre se x = 1 si ha τ()(x) = T (xχ ) T xχ p = T χ p, quindi τ() T χ p e quindi τ è una misura vettoriale, a valori in X, assolutamente continua rispetto a µ. Dobbiamo mostrare che τ è di variazione limitata. ia allora { i } n una partizione di : dobbiamo stimare τ( i ), per cui

35 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 34 consideriamo {x i } n X con x i = 1 i. i ha n τ( i )(x i ) = n T (x i χ i ) T n x i χ i p n T χ i = T µ() p 1/p. Facendo il sup al variare di {x i } otteniamo esattamente τ( i ) e facendo di nuovo il sup al variare delle partizioni abbiamo τ () T µ() 1/p, quindi τ è di variazione limitata. Poiché per ipotesi X ha RNP, esiste g L 1 (µ, X ) tale che τ() = g dµ. Per come abbiamo costruito τ è ovvio che, se f L p (µ, X ) è una funzione semplice, vale T (f) = < f, g > dµ. Per il caso generale si scelga una successione crescente di insiemi { n } tale che n = e tale che g sia limitata su ogni n. Fissato n 0 si ha che l operatore T n0 ( ) = n0 <, g > dµ è un funzionale lineare continuo (per la limitatezza di g su n0 ) uguale a T per tutte le funzioni semplici con supporto contenuto in n0. Per densità delle funzioni semplici segue T (fχ n0 ) = T n0 (fχ n0 ) = < f, gχ n0 > dµ per ogni f L p (µ, X). Per la limitatezza di g abbiamo che gχ n0 L q (µ, X ) e per il Teorema 2.13 vale gχ n0 q = T n 0 T. Quest ultima disuguaglianza vale per ogni n 0 e quindi per il teorema della convergenza dominata vale g L q (µ, X ). i ha T (f) = lim < f, gχ n > dµ = < f, g > dµ, n

36 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 35 dove per l ultima uguaglianza è stato usato il fatto che g L q (µ, X ) e la disuguaglianza di Hölder per portare il limite sotto il segno di integrale. Per il viceversa dimostreremo che, data una misura vettoriale τ di variazione limitata assolutamente continua rispetto a µ e dato un insieme misurabile, con µ() > 0, esiste un insieme misurabile B, con µ(b) > 0, tale che τ abbia la derivata di Radon-Nikodym su B; grazie poi al Lemma di esaustione 1.21 potremo concludere. L idea della dimostrazione è simile a quella del Teorema ia allora 0 un insieme misurabile. Procedendo come nella dimostrazione del Teorema 2.11, si riesce a trovare un k intero e un B 0 tale che τ () kµ() per ogni B misurabile (si scelga k tale che µ(c k 0 ) > 0, dove {C n } è la partizione trovata nella dimostrazione di 2.11 e si ponga B = C k 0 ). Definiamo ora un operatore T sulle funzioni semplici: se f = n x iχ i sia T (f) = n τ ( i B ) (x i ). Vale n ) T (f) = τ (E i B (x i ) = n τ(e i B) µ( i B) (µ( i B)x i ) n τ(e i B) µ( i B) (µ( i B)x i ) n τ ( i B) µ( i B) (µ( i B)x i ) n k (µ( i B)x i ) k f 1 kµ() 1/p f p. Quindi T, che è lineare sulle funzioni semplici, è anche limitato, quindi continuo e allora ha un unica estensione ad un funzionale lineare continuo su L p (µ, X). Per ipotesi esiste allora g L q (µ, X ) tale che T (f) = < f, g > dµ f L p (µ, X). Non è difficile continuare, τ( B)(x) = T (xχ ) = < x, g > dµ per ogni

37 2.3 Proprietà analitiche degli spazi di Radon-Nikodym 36 x X e ogni misurabile. Essendo g Bochner integrabile per il Teorema 1.16 si ha ( ) τ( B)(x) = g dµ (x) per ogni e per ogni x, quindi dev essere τ( B) = g dµ. Grazie al Lemma di esaustione, costruiamo ora una g che va bene su tutto : questa g è Bochner integrabile perché τ è di variazione limitata. Con questo teorema concludiamo lo studio delle proprietà analitiche degli spazi con la proprietà di Radon-Nikodym e passiamo allo studio delle proprietà geometriche. Vedremo in particolare come si può riformulare il Teorema 2.11 tramite concetti puramente geometrici. Prima però abbiamo bisogno di introdurre un concetto completamente nuovo: le martingale.

38 Capitolo 3 Martingale Questo capitolo potrà inizialmente sembrare inutile e in apparenza verranno introdotti dei concetti slegati dal resto della tesi, tuttavia per arrivare alle caratterizzazioni geometriche della proprietà di Radon-Nikodym l unico modo che si conosce è passare attraverso le martingale. 3.1 Valore atteso Prima di iniziare a trattare le proprietà geometriche di spazi con RNP abbiamo bisogno di alcuni concetti preliminari. Diamo la definizione di valore atteso condizionato come nel caso scalare. Definizione 3.1 ia Σ Ω una σ-algebra tale che µ Σ sia completa (nel seguito diremo brevemente che Σ è una σ-algebra completa) e sia f L 1 (µ, X). Il valore atteso di f, data Σ, se esiste, è una g L 1 (µ, X) che sia Σ-misurabile tale che fdµ = g dµ per ogni Σ. In questo caso scriveremo g = E(f Σ). i noti che se tale g esiste è univocamente determinata in base al Corollario e X ha RNP g è la derivata di Radon-Nikodym di τ() = f dµ, dove τ è definita su Σ.

39 3.1 Valore atteso 38 Ricordiamo brevemente alcune proprietà del valore atteso scalare, cioè nel caso sia X = R. 1. E( Σ) è un operatore positivo, cioè f 0 quasi ovunque implica E(f Σ) 0 quasi ovunque; 2. E( Σ) è lineare; 3. E( Σ) è idempotente; 4. se Σ 1 e Σ 2 sono σ-algebre complete tali che Σ 2 Σ 1 Ω, allora E(E(f Σ 1 ) Σ 2 ) = E(f Σ 2 ) per ogni f L 1 (µ); 5. E(c Σ) = c per ogni costante c; 6. E( Σ) = 1; 7. per ogni 1 p E( Σ) mappa L p (µ) in sé e vale E(f Σ) p f p. La dimostrazione che il valore atteso, nel caso scalare, esiste sempre di fa immediatamente sfruttando il Teorema di Radon-Nikodym. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il valore atteso condizionato esiste sempre, qualunque sia lo spazio di Banach X. Teorema 3.2 Per ogni f L 1 (µ, X) e per ogni σ-algebra completa Σ Ω esiste sempre g = E(f Σ). Dimostrazione. e f = x i χ i è una funzione semplice è immediato verificare che E(f Σ) = x i E(χ i Σ), dove E(χ i Σ) sono i valori attesi delle funzioni scalari χ i. Dalle proprietà del valore atteso nel caso scalare segue che questo operatore, che è lineare, è limitato sulle funzioni semplici e quindi ha un unica estensione ad un operatore lineare continuo da L 1 (µ, X) a L 1 (µ, X). Inoltre si dimostra, sempre utilizzando le proprietà del valore atteso scalare, che l operatore è una proiezione lineare contrattiva da L p (µ, X) in sé,

40 3.2 Martingale 39 nel senso che vale E(f Σ) p f p. (3.1) 3.2 Martingale Definizione 3.3 ia {Σ i } i N una successione crescente di σ-algebre (tutte complete), (quindi i < j Σ i Σ j ). Una successione {f i } i N L 1 (µ, X) è chiamata una martingala (relativa ad {Σ i } i N ) se i < j E(f j Σ i ) = f i. Esempio 3.4 ia f L p (µ, X), 1 p e sia {Σ i } i N una successione crescente di σ-algebre complete e si ponga f i = E(f Σ i ) : allora per la proprietà 4 del valore atteso (che vale anche nel caso non scalare) {f i } i N è una martingala, inoltre f i L p (µ, X) i N. Una martingala in L p (µ, X) è detta L p -convergente a f L p (µ, X) se lim i N f f i p = 0. D ora in poi tutte le σ-algebre saranno sempre complete, anche quando non detto. Vediamo un utile caratterizzazione delle martingale convergenti. Teorema 3.5 ia {f n } L 1 (µ, X) una martingala relativa ad {Σ n }. ia Σ la σ-algebra generata dall algebra Σ n. llora le seguenti condizioni sono equivalenti 1. {f n } converge in L 1 (µ, X) ad una f L 1 (µ, X); 2. esiste f L 1 (µ, X) tale che f i = E(f Σ i ) per ogni i. Inoltre, se valgono queste due condizioni, si ha E(f Σ ) = f, dove f è una qualsiasi funzione che soddisfa 2.

41 3.3 Convergenza di martingale 40 Dimostrazione i fissi n 0 e sia Σ n0. Dalla definizione di martingala segue f n dµ = f n0 dµ per ogni n n 0. Per ipotesi f n dµ f dµ se n e quindi dev essere f n 0 dµ = f dµ. Per l arbitrarietà di n 0 e di abbiamo dimostrato che vale Poniamo f = E(f Σ ): allora per le proprietà del valore atteso si ha f n = E(f Σ n ) = E(f Σ n ). Per concludere la dimostrazione dobbiamo far vedere che E(f Σ n ) f in norma L 1 (µ, X). e g è una funzione semplice, misurabile rispetto a Σ, sicuramente vale E(g Σ n ) g, perché per n sufficientemente grande vale E(g Σ n ) = g. La densità di queste funzioni semplici in L 1 (µ Σ, X), insieme al fatto che E( Σ n ) = 1 n, permette di concludere. 3.3 Convergenza di martingale In questa sezione vogliamo mostrare che una martingala che converge in norma L 1 (µ, X) converge necessariamente quasi ovunque: tutti i risultati a cui giungeremo serviranno solo a questo scopo. Chi si fida può tranquillamente passare oltre. Lemma 3.6 ia {f n } L 1 (µ, X) una martingala relativa a {Σ n } e sia δ > 0. Posto δ = {s : sup n { f n (s) > δ}}, si ha lim sup ( f n δ) dµ 0, n δ da cui ({ }) µ s : sup { f n (s) > δ} n 1 δ sup f n 1. n Dimostrazione. Per ogni m N si ponga m δ = {s : f m (s) > δ e f j (s) δ per j < m}.

42 3.3 Convergenza di martingale 41 È immediato verificare che gli δ m è Σ m -misurabile. Quindi si ha sono una partizione di δ, inoltre ogni m δ lim sup ( f n δ) dµ lim sup lim n δ n k k m=1 δ m ( f n δ) dµ. e k è fissato e n k si ha E(f n Σ m ) = f m per m = 1,..., k, inoltre vale E(f Σ) f : tutto ciò permette di dedurre m δ Concludiamo quindi che ( f n δ) dµ lim sup ( f n δ) dµ lim sup lim n δ n k = m=1 m δ m δ ( f m δ) dµ. k m=1 m δ ( f m δ) dµ 0. Per dimostrare l altra disuguaglianza si osservi che sup n f n 1 δ che è esattamente la tesi. lim sup n 1 f n dµ δ δ δ δ µ( δ), ( f m δ) dµ = Possiamo ora enunciare il teorema che ci interessa davvero. Teorema 3.7 ia {f n } L 1 (µ, X) una martingala relativa a {Σ n } e supponiamo inoltre che {f n } converga in norma L 1 (µ, X). llora {f n } converge puntualmente, quasi ovunque, allo stesso limite. Dimostrazione. Per il Teorema 3.5 esiste una f L 1 (µ, X) tale che f n = E(f Σ n ) per ogni n. ia Σ la σ-algebra generata da Σ n e sia f = E(f Σ ) (in sostanza f ha la stessa proprietà di f, ma in più è Σ - misurabile; inoltre sappiamo che f è il limite in norma). cegliamo ε e δ positivi arbitrari e troviamo una g, Σ -misurabile, semplice e tale che

19. Inclusioni tra spazi L p.

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