Stop alla chirurgia estetica sui disabili

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1 Stop alla chirurgia estetica sui disabili Ricorrere alla chirurgia per soli fini estetici sui bambini disabili, in particolare Down, è eticamente giustificabile? In Italia, secondo il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), presieduto dal Prof. Francesco Paolo Casavola, la risposta è no. Il parere espresso nelle scorse settimane segue anni di dibattiti innescati da due casi, avvenuti in Gran Bretagna, di bambine con sindrome di Down che i genitori avrebbero voluto sottoporre ad intervento chirurgico per cancellare i tratti della disabilità. Le sedici pagine che compongono il parere espresso dal CNB sono articolate in due parti che affrontano sia sotto l aspetto della legittimità sia sotto il profilo della bioetica la chirurgia plastica e ricostruttiva. In particolare, si ritiene che non sia comunque da considerarsi lecita la chirurgia estetica su bambini o adulti incapaci con sindrome di Down, finalizzata alla conformazione a canoni sociali di normalità. Soprattutto specie se presenta un carattere invasivo e doloroso, considerato anche che con questi interventi difficilmente si realizza un beneficio per la persona con sindrome di Down. Senza contare che è frequente la possibilità di accentuare, anziché diminuire, il suo disagio personale. Un contributo, quello del massimo organo italiano in tema di bioetica, che certamente serve a fare chiarezza su una questione delicatissima riguardante interventi invasivi dolorosi su esseri umani. Il parere è stato accolto con favore dalle stesse associazioni per persone Down che si sono dette assolutamente contrarie a questo tipo di interventi. Che considerano non avere alcun tipo di giustificazione, a meno che non vi siano motivazioni di tipo medico-sanitario. Al di là di qualsiasi moralismo, fa di certo riflettere la scelta di alcuni genitori di sottoporre il proprio figlio Down ad un intervento doloroso solo ed esclusivamente per renderlo meno diverso dai canoni estetici che la società impone. Non esiste alcuna prova scientifica, infatti, che un operazione di chirurgia estetica migliori l accettazione che la persona o il bambino Down ha di sé, ma, al contrario, il mutamento d aspetto è spesso controproducente per lo sviluppo della propria identità. fonte: west-info.eu 4 settembre 2012

2 Quella legittima voglia di maternità «Voglio essere madre, ma come?» si chiede Antonella Ferrari, attrice tv, ex ballerina, colpita da sclerosi multipla. Il desiderio di maternità emerge evidente nel suo libro Più forte del destino, tra camici e pailettes, la mia lotta alla sclerosi multipla, in cui racconta la sua vita e la difficile convivenza con una malattia debilitante. Un delicato e intricato dedalo di pensieri, riflessioni, speranze e paure. InVisibili le ha chiesto di raccontare il suo desiderio di maternità. Sono già entrata negli anta e il ticchettio dell orologio biologico mi crea sempre più ansia. Voglio, anzi vogliamo un figlio. Ma mille pensieri, dubbi e perplessità mi hanno frenata. Certo la mia malattia, la sclerosi multipla, quasi per miracolo durante la gravidanza si arresta, quasi si autosospendesse per poi tornare, in molti casi, a chiedere il conto più salato dopo la nascita del figlio. Altre malattie in questo campo sono certamente meno buone, ma i miei dubbi riguardano il dopo: come potrei gestire un pargolo sgambettando con scarso equilibrio su due gambe malferme e appoggiando le mani sulle stampelle? I dottori, quando accettano di affrontare l argomento, sottolineano soprattutto questo aspetto: il dopo! Io avrei bisogno di cure piu forti per riprendermi dallo stress di gravidanza e la presenza di qualcuno che mi sostenga sarebbe fondamentale. Non potendo contare sui nonni, sarebbe necessaria una tata che aiutasse me e il mio piccolo. E per poterne disporre è necessario avere soldi e lavoro. Oggi, e questo non riguarda di certo solo le donne con disabilità, prima di decidere di avere un figlio è necessario guardare al proprio conto corrente e di conseguenza al lavoro. Già il lavoro e il successo, ho lottato per tutta la mia vita per arrivare a realizzare i miei sogni, ho strappato brandelli di visibilità, vincendo la ritrosia di un mondo legato ai canoni di perfezione estetica. Un figlio mi frenerebbe? Forse sì, sicuramente mi troverei in difficoltà se avere un figlio significasse dover rinunciare alla carriera per cui ho lottato, e non solo contro la società, ma anche contro la mia stessa malattia. Ma poi riuscirei a portare avanti famiglia e carriera? Talvolta mi rendo conto di aver utilizzato le mie energie per vivere, per combattere contro una malattia debilitante e contro una società, compreso il mondo della televisione e del cinema, che fatica ad accettarti. Ora ne avrei da dedicare a un figlio? Quanti dubbi si attorcigliano in una matassa sempre più intricata. E come se ballassi, un passo avanti e uno indietro, scatti energici nella direzione della maternità e ritirate per pensare e ricaricare le batterie. E quante speranze spesso deluse! Mio marito sembra nato per fare il padre, ma si sa che con i figli degli altri è tutta un altra cosa! Quando ebbi quella tragica ricaduta che mi costrinse in sedia a rotelle per più di un anno, lui crollo! E se crollasse anche con le mie debolezze post parto? Tutto questo mi crea ulteriori stress psicologici. Vivo un perenne senso di inadeguatezza vedendo mio marito mentre coccola e gioca con i figli dei nostri amici e mi sento in colpa di non potergli dare la gioia di un figlio suo. Soffro e mi scopro arrabbiata. Se solo avessi potuto avviare le procedura di adozione, forse avrei colmato questo dolore. Ma anche in questo caso ho paura di ricevere altri schiaffi in volto. Le mie chiacchierate con gli assistenti sociali, i ginecologi e molte donne con disabilità mi hanno portato a pensare che sia una strada inutile, costellata di mille ostacoli fatti apposta per non permettermi di adottare un figlio. Il primo step, fondamentale, è presentarsi con un certificato di sana e robusta costituzione. Pensate che a me lo darebbe qualcuno? fonte: invisibili.corriere.it 6 settembre 2012

3 Stereotipando sui disabili Capita spesso di incrociare, per strada, una coppia classica, uomo e donna. Capita di vederli far la spesa insieme, passeggiare nel corso, chiacchierare seduti su una panchina. Il primo pensiero che viene in mente è che siano, appunto, una coppia. Sposati o fidanzati, magari amanti. E un pensiero comune, logico, non sempre corrispondente alla realtà ma generalmente quello è il primo e, spesso, pure il secondo pensiero. Immaginate adesso che l uomo di questa coppia sia un disabile (o diversamente abile, come va di moda dire adesso). Credete che il primo pensiero sia lo stesso, cioè che si tratti di una coppia? Dovrebbe essere così, ma non lo è. Fatte le dovute eccezioni, il primo pensiero è che la donna sia la sua assistente familiare. Non lo dico come supposizione personale ma come esperienza provata più volte sulla mia pelle e confermata da molte altre coppie nella stessa situazione. Ok, molti disabili possono avere una badante/assistente. Vero. Molti disabili, purtroppo, hanno difficoltà nel trovare una compagna o un compagno. Vero anche questo. Però per forza di cose deve essere proprio questo il primo pensiero? Si può dire che esista un idea stereotipata sulla disabilità? Il primo pensiero, in genere, nasce dal timbro della cultura in cui vivi. Che tu lo voglia o no, spesso è così. Il secondo pensiero può essere più soggettivo, ragionato. Ma la retorica di una cultura stereotipata è sempre in agguato. In questi casi non basta neanche spiegare che la tua compagnia quotidiana è anche il tuo amore. Ci scappa spesso un «complimenti, te la sei scelta bella,vedo..», come se un disabile, avendo grosse difficoltà nel trovare una donna che lo ami, debba per forza accontentarsi della prima che gli dice sì, senza voler e poter scegliere e, magari, ringraziando la buona sorte. Oppure che la vita sessuale di coppia di un disabile sia solo platonica, frutto d immaginazione, forse perché molti sono convinti che in quella condizione non possa vivere pienamente la propria sessualità. Ne consegue, a volte, pure una sorta di compassione mista ad ammirazione nei confronti dell esemplare femminile che, nonostante tutto, ti ama lo stesso. Di queste e altri tipi di compassioni ci parla anche Sofia nel suo articolo, citandole con i «Ti Stimo». Il paradosso è che ti vedono come un eroe per ogni cosa che fai, pure le più semplici e comuni ma poi, in realtà, non ti considerano per cose altrettante banali. Esempio: alle casse dei negozi, in banca, negli uffici, si rivolgono sempre a chi ti sta vicino e quasi mai a te disabile. Ok, mettiamo che non conoscendo la mia patologia, non sappiano se relazionarsi, parlarmi normalmente o se ho delle minorazioni a livello intellettivo (lo stereotipo disabile = deficit mentale). Ma nel momento in cui mi rivolgo a te, senti il mio tono e capisci che posso comunicare con te, perché devi continuare a rivolgerti al tuo accompagnatore? Finisce l alibi e inizia la colpa: il medico che parla con tua madre o con tua moglie invece che con te. Il fisiatra che dopo aver messo una firma su di un documento ti dice «bravo», come se avessi fatto una capriola all indietro. Molti disabili, compreso me, non si fanno turbare più di tanto da simili atteggiamenti ma molti altri sì. Il punto però è che ogni piccolo gesto può portare con sé una grave falla nella cultura generale. Il disabile, spesso, non può neanche mostrare le sue debolezze, non sono facilmente comprensibili e la compassione che potrebbe scaturire è spesso quella più umiliante. fonte: ilfattoquotidiano.it 6 settembre 2012

4 I Giochi cambiano il linguaggio. Le difficoltà dei media per cronache di gesta per niente "eroiche" Sul sito della Bbc un lungo articolo ricorda le raccomandazioni della British Paralympic Association ma avverte della necessità di non incorrere nell'errore di offendere, considerando "eroico" ciò che tale non è LONDRA - L'intensa copertura delle Paralimpiadi di Londra da parte dei media ha costretto giornalisti e addetti ai lavori a fare i conti con un diverso linguaggio da usare. Un linguaggio politicamente corretto, rispettoso di situazioni e storie personali. Il sito online della Bbc ospita un articolo dal titolo "Paralimpiadi, è corretto chiamare gli atleti eroici'?", in cui si rileva come prima dei Giochi paralimpici i media abbiano discusso seriamente sulle parole che dovrebbero e non dovrebbero essere usate. Qualcuno ha ovviato attenendosi solo alle questioni tecniche. Ma questo crea un problema. Si scrive infatti: "Negli stadi e nelle arene, si sentono i commentatori che si riferiscono solo a ai termini tecnici,cosa che suona un po' come il gioco della battaglia navale: T54, C3, S6 - scrive.come si sa, la prima lettera si riferisce alla manifestazione (T sta per il ciclismo, C o S per il nuoto, ecc...). Il numero si riferisce al livello di compromissione fisica dell'atleta. Per cui i numeri più bassi si riferiscono alle disabilità più gravi, i numeri più alti a quelle meno gravi". "All'inizio di quest'anno- ricorda ancora l'articolo della Bbc -, la British Paralympic Association (BPA) ha emesso una guida alla lingua delle Paralimpiadi, ha avuto incontri con i media che coprono la manifestazione e ha elaborato documenti su di esso per assicurarsi che sia seguito bene. Per lo più si tratta di galateo Paralimpico. Ma per la gran parte si tratta di rispetto per le persone e per le loro realizzazioni". Il paradosso. Ma a volte anche gli eccessi sono scorretti. L'articolo mette infatti in risalto un paradosso: "Stiamo vedendo elite di atleti disabili impegnati in corsa, nuoto, tiro con l'arco, tennis e altro ancora. Essi sono certamente stimolanti, ma decenni di aspettative circa i disabili hanno fatto in modo che sia spesso classificato come eroico il solo scendere al negozio per comprare un litro di latte. In alcuni ambienti, parole che elevano le persone disabili ad un livello sovrumano (che in realtà non meritano) sono viste come più dannose e limitano come il vecchio stile di insulti al parco giochi". E si cita l'attore Jamie Beddard, protagonista in una performance sulla spiaggia di Weymouth, che ha aperto la sede olimpica nel mese di luglio e ha detto: "La maggior parte degli epiteti', come ispirato, coraggioso, ecc,sono utilizzati come mezzo per separare noi (i disabili) da loro (i non-disabili)". Quentin Hull è un commentatore sportivo per la Abc, emittente ufficiale dell'australia Paralimpica: "Se vedi otto ragazzi in gara in una corsa, è molto difficile capire la loro storia, perché l'orologio mostra solo il conseguimento di un risultato atletico, non mostra l'umana realizzazione".non solo, per Hull esperienze di vita come queste tendono modificare le abitudini linguistiche e a dettare un proprio dizionario personale. "La British Paralympic Association - afferma - preferirebbe che non ci si soffermasse sulla disabilità delle persone. Tuttavia alcune categorie, come gli affetti da paralisi cerebrale, necessitano di un piccolo commento, di una spiegazione circa il loro grado di disabilità. In questo caso, infatti, i fisici appaiono normali in tv e la gente potrebbe voler sapere di che tipo di problema si tratta". E a proposito di linguaggio e rispetto, Hull conclude: "Non sono sicuro che ci sia mai stato davvero dibattito fuori da una stanza piena di temibili responsabili televisivi che non fanno altro che annuire e scarabocchiare appunti. Il fattore paura è alto, nella mia lunga esperienza su queste cose, a volte essa può impedire la messa in onda dei programmi o la presenza in tv dei collaboratori disabili perché qualcuno non vuole proprio fare errori. In una normale giornata inglese la gente senza alcun bisogno arrossisce e inizia a scusarsi per aver detto la parola camminare' davanti a qualcuno in sedia a rotelle. E tutto questo è capitato poco prima che il britannico David Weirvincesse i 5 mila metri in uno stile così impressionante che il suo nome ha iniziato ad andare di moda in tutto il mondo su twitter ed è stato citato dal primatista olimpico Bolt". Se le persone disabili in precedenza trovavano un'intesa solo sulle cose negative,come il non voler essere chiamati speciali', forse questi giochi ampiamente coperti dalla stampa (cosa da lasciare a bocca aperta) offriranno alcuni aspetti collettivi a cui aggrapparsi". fonte: superabile.it 7 settembre 2012

5 Veri disabili contro falsi invalidi I dati pubblicati della Guardia di Finanza parlano chiaro. Dall inizio dell anno le forze dell ordine hanno scovato migliaia di falsi invalidi che percepivano ingiustamente indennità di accompagnamento e pensioni varie. I circa 3400 truffatori dell INPS individuati su tutto il territorio nazionale hanno percepito indebitamente circa 60 milioni di euro. Risorse sottratte a chi veramente si trova in stato di bisogno ed ai cittadini onesti. In un epoca di spending review fa di certo piacere sapere che cittadini disonesti vengono scovati e portati davanti a un tribunale per rispondere della loro truffa ai danni del welfare. Allo stesso tempo, però, mentre si prova piacere a leggere queste notizie non possono non considerarsi altri aspetti, quelli più umani, che riguardano i singoli individui. Per raggiungere questi risultati, infatti, negli ultimi anni centinaia di migliaia di persone con disabilità, anche definitive o degenerative, si sono dovute recare presso gli uffici dell Istituto di previdenza per dimostrare il proprio handicap. Sono numerose le associazioni che, grazie anche alla testimonianza diretta di molti disabili, hanno denunciato come durante i controlli straordinari per accertare l invalidità si assista anche a pratiche talvolta invasive e lesive delle dignità delle persone. La Federazione Italiana per il Superamento dell Handicap (FISH) nel corso di un audizione presso la Commissione Lavoro del Senato, che sta svolgendo un indagine conoscitiva proprio sulle procedure di accertamento delle minorazioni civili da parte dell INPS, ha presentato un dettagliato dossier nel quale ribadisce la necessità di una profonda riforma del sistema finalizzata alla semplificazione amministrativa, alla certezza dei diritto e ai minori disagi per le persone. È senz altro vero che è anche sul fronte dei controlli, che però devono essere più attenti fin dall inizio, e delle sanzioni per chi commette simili illeciti ai danni della comunità che si gioca la partita per rendere più equo e sostenibile il welfare in Italia. Tuttavia, non può dimenticarsi che dietro i numeri esistono esseri umani portatori di dignità e capacità, cittadini onesti ma privi di tutela reale, costretti in molti casi, come detto, a subire autentiche vessazioni. fonte: west-info.eu 10 settembre 2012

6 Dalle Paralimpiadi un segnale di inclusione In Italia l evento ha avuto una visibilità maggiore che nelle edizioni precedenti, «anche se comunque in spazi limitati e riservati» sottolinea una nota della Federazione italiana per il superamento dell handicap (Fish). «Ben diversa la risposta in Gran Bretagna annota la Fish - grazie ad uno straordinario ed efficace impegno della Bbc, la Tv che ha svolto esattamente il ruolo civico ed educativo che ci si aspetterebbe da una Tv pubblica. «In moltissimi pub le Tv erano sintonizzate sui giochi commenta il presidente della Fish, Pietro Barbieri, che era a Londra nei giorni delle Paralimpiadi - e gli avventori li seguivano con interesse e passione. Ho visto megaschermi nei parchi pubblici dove la gente faceva il tifo durante le partite di calcio dei non vedenti o durante le finali dei 100 metri. I telegiornali sportivi aprivano sempre con le notizie sui giochi paralimpici con servizi accattivanti e dettagliati. È stata la Bbc, con il suo lavoro, a creare interesse e partecipazione. Ed a questo si aggiungano tutti gli interventi strutturali per tentare di rendere realmente fruibile la capitale inglese». Un risultato che testimonia come, almeno nel Regno Unito, le persone con disabilità vengono intese come incluse in una società, in una collettività più ampia che verso di loro dimostra interesse non occasionale. «Lo spettacolo più sorprendente annota infine Barbieri si è visto per le strade, fra la gente, alle fermate d autobus rese accessibili e nell osservare un organizzazione che non punta solo ad una buona logistica, ma anche a trasmettere un messaggio culturale». Ma perché questa prospettiva si consolidi è necessario anche un maggiore impegno da parte dei Governi, asserisce la nota. In questo senso Giuliano Bellezza, responsabile Diritti sociali Uisp, ai microfoni del Giornale Radio Sociale commenta: «Vogliamo che non si spengano i riflettori su questa realtà. E poi un appello: anche a costo di rivedere l impianto del sistema olimpico, le risorse degli Stati e dei Governi per lo sport e soprattutto per lo sport destinato alle persone con disabilità, siano adeguate. L obiettivo principale deve essere che il movimento olimpico susciti nelle istituzioni locali una diversa cultura dello sport di base, con particolare attenzione allo sport sociale e per persone con disabilità». Un percorso verso l inclusione, conclude la nota, «che passa anche attraverso lo sport». fonte: healthdesk.it 11 settembre 2012

7 L'Istat censisce le organizzazioni no profit, più 470 mila Il 9 censimento dell'istat di industria e servizi, istituzioni no profit e istituzioni pubbliche, ha rilevato la presenza sul territorio nazionale di oltre 470 mila organizzazioni no profit. Il censimento rappresenterà anche contributo alle decisioni di politica economica e per lo sviluppo, ha sottolineato il presidente dell'istat Enrico Giovannini. In situazioni difficili e complesse risultano importanti tutte le informazioni di dettaglio sulla struttura economica del Paese aggiunge - sul modo in cui le imprese hanno reagito o si sono confrontate con le sfide imposte dalla congiuntura economica. Il nuovo censimento non sarà un monitoraggio periodico come nel passato, ma una rilevazione continua. Alle informazioni tradizionali prese dagli archivi amministrativi, si aggiunge infatti un registro statistico dell occupazione i cui dati, insieme a quelli tradizionali sul sistema impresa, saranno utilizzati per le indagini sull andamento dell imprenditorialità italiana. Non saranno coinvolte tutte le realtà imprenditoriali ma un campione rappresentativo costituito da 260 mila unità di cui fanno parte tutte le grandi imprese e circa 190 mila aziende di piccole e piccolissime dimensioni. La scelta, spiega l Istituto, è legata alla volontà di ridurre al minimo il fastidio statistico per le imprese già impegnate a fronteggiare la crisi. Il nuovo censimento, che arriva a dieci anni dall'ultimo effettuato, riguarderà anche le istituzioni non profit. "Questo campo è cambiato molto - spiega Giovannini - nel 2001 le organizzazioni non profit censite erano 230 mila oggi sono più di 470 mila". Infine il censimento coinvolgerà anche 13 mila istituzioni pubbliche: tutti gli organi costituzionali, gli enti locali, le autorità amministrative etc. La spedizione dei questionari, che faranno riferimento al 31 dicembre 2011, a imprese e istituzioni non profit è partita il 3 settembre e si concluderà il 14. I dati saranno diffusi entro la seconda metà del Un attenzione rinnovata e sempre più forte al Terzo settore perché possa essere finalmente considerato un soggetto attivo per la crescita del paese. Così Andrea Olivero, presidente del Forum del Terzo settore definisce la scelta dell Istat di censire, dopo dieci anni dall ultima rilevazione, le oltre 470mila organizzazioni non profit del nostro paese. fonte: affaritaliani.libero.it 12 settembre 2012

8 Manuela è paraplegica ma farà la maratona Le paralimpiadi londinesi appena concluse sono state occasione di grandi emozioni ma anche di qualche polemica, su tutte quella sollevata da Paolo Villaggio che le ha definite un triste spettacolo che evoca solo disgrazie. Punti di vista. Detto ciò le paralimpiadi sono una grande manifestazione di civiltà e di cultura sportiva e, anche se resta qualche dubbio sul valore assoluto delle prestazioni perchè gli atleti delle federazioni più ricche sono avvantaggiati, è certo che abbiano un grande valore sulla sperimentazione tecnologica delle apparecchiature che potranno poi essere utilizzate dai disabili nella vita di tutti i giorni. E l'ultimo esempio è quello di Manuela Migliaccio, 28 anni e paraplegica da tre, che tra poche settimane correrà la maratona di Lugano, grazie a un esoscheletro che assisterà i suoi movimenti. Non è la prima, va detto. Qualche mese fa Claire Lomas, 32 anni, ha impiegato 16 giorni per tagliare il traguardo della Maratona di Londra proprio grazie alla stessa apparecchiatura. Ma con Manuela si comincia a parlare anche in Italia di questa macchina che, al di là dei 5km che farà a Lugano il prossimo 30 settembre, le permetterà di tornare a muoversi con un po' più di autonomia anche nella vita di tutti i giorni. L'esoscheletro che userà si chiama ReWalk, ed è prodotto dalla israeliana Argo Medical Technologies. Semplificando molto, consiste in due gambe che si affiancano a quelle della persona, e la sostengono. C'è poi uno zainetto, che contiene le batterie e l'unità di controllo. Con semplici movimenti del torso si può indicare all'esoscheletro se si vuole camminare, o salire le scale, o sedersi. Finora apparecchi come questo erano presenti solo per la riabilitazione negli ospedali più attrezzati: la novità è che ora potranno entrare a far parte della vita di tutti i giorni. Non possono però usarlo tutti i paraplegici: la lesione al midollo della persona deve essere dalla quarta vertebra dorsale in giù, e gli arti superiori devono funzionare normalmente. Inoltre bisogna sostenere un colloquio psicologico, per accertarsi che non ci siano troppe aspettative. Il ReWalk infatti permette di muoversi a un paziente paraplegico, ma non (ancora) di camminare in modo naturale. Per imparare a usare il dispositivo, poi, la persona deve seguire 18 sedute di «addestramento» tre volte alla settimana: Un lavoro duro, «Ma che vale la pena fare ha commentato oggi Manuela in Regione Lombardia dove è stata presentata questa apparecchiatura per portarsi all'altezza degli occhi delle altre persone». «Oggi è cominciato il futuro ha detto l'assessore regionale alla sanità, Luciano Bresciani la comunità internazionale sta lavorando e ha lavorato duramente per ottenere questo straordinario risultato. Quello di tornare a guardare gli altri negli occhi è uno dei più grandi risultati che il futuro ci sta indicando». Ogni anno restano paralizzati per una lesione al midollo fino a italiani. Il dispositivo ReWalk è sperimentato da due anni al Centro Riabilitativo Villa Beretta, che è coordinatore dei test a livello europeo, grazie a un programma di cooperazione internazionale tra Italia e Israele (dove la tecnologia è stata inventata), e al supporto di Fondazione Cariplo. Il dispositivo potrebbe essere in commercio entro due anni. Il costo ipotizzato potrebbe essere 52 mila euro: per confronto, il costo di una carrozzina 'super accessoriatà si aggira intorno ai 30 mila euro. fonte: ilgiornale.it 12 settembre 2012

9 La spending review mette a rischio i servizi per i disabili Dura la protesta delle associazioni Anffass contro "gli ultimi assurdi ed indiscriminati provvedimenti derivanti dalla cosiddetta spending review stabiliti con buona pace dei diritti civili e umani delle persone con disabilità sanciti dalla Convenzione Onu e con la colpevole indifferenza del Governo e delle forze politiche che lo sostengono". Le associazioni hanno deciso di consegnare nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le chiavi delle proprie sedi. L'Anfass ha fatto in una nota che il prossimo 27 settembre discuterà la situazione di profonda crisi in una riunione straordinaria. L'associazione sottolinea che i provvedimenti emanati dal Governo sotto la voce spending review prevedono, tra le altre cose, all art. 15, comma 13, il taglio lineare, già a partire dal 7 luglio, del 5% sui budget dei contratti e servizi stipulati dalla Pubblica Amministrazione" portando così numerose Aziende Sanitarie a tagliare "la generalità dei servizi fra i quali rientrano i servizi Anffas", si legge ancora nella nota. Questa situazione afferma Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas Onlus solo per i servizi Anffas, si traduce immediatamente nella messa a concreto rischio di oltre posti di lavoro e nel gettare nella più buia e cupa disperazione oltre persone con disabilità intellettiva e/o relazionale e loro genitori e familiari nei centri gestiti in regime di accreditamento, convenzionamento, etc. in tutte le Regioni d Italia e realizzati in 54 anni di vita di Anffas grazie all impegno, alla dedizione e al volontariato di decine di migliaia di familiari che, spesso in totale assenza dello Stato, si sono fatti carico di realizzare strutture e servizi per garantire ai propri congiunti con disabilità un migliore qualità della vita. Le nostre famiglie sono davvero stanche e hanno intenzione di continuare a lottare per i propri diritti aggiunge Speziale -. La riunione del 27 settembre sarà solo l inizio di una battaglia che dobbiamo e vogliamo portare avanti, con ogni mezzo a nostra disposizione, comprese azioni eclatanti. fonte: affaritaliani.libero.it 12 settembre 2012

10 Assistenza sessuale ai disabili: è possibile in Italia? «Il sesso è un diritto». Spesso è così che si chiosa quando si parla delle difficoltà che le persone disabili incontrano nel vivere la propria sessualità. Sinceramente io non penso che il sesso sia un diritto. Credo che «la libertà di scelta» sia un diritto. Ma l amore si può scegliere? Diciamo di sì. Non è certo però che l amore decida di scegliere noi. Nell amore si decide in due e questo non concede la totale libertà di scelta. Vale per tutti, disabili e non disabili. Tralasciamo per ora le difficoltà nell incontrare una persona che ci possa amare se abbiamo una condizione di disabilità, rispetto a chi è normodotato. Parliamo della sessualità. In questo ambito esistono differenti possibilità di scelta tra disabili e non disabili? Penso di sì. Qualcuno potrà obbiettare che anche chi non è disabile può avere difficoltà nel vivere pienamente la propria sessualità. È vero. Procediamo però per gradi: il primo avvicinamento alla sfera sessuale in genere è l autoerotismo. Tempo fa mi scrisse un ragazzo di 22 anni, raccontandomi che non solo non aveva mai avuto rapporti sessuali ma che non poteva neanche masturbarsi. Il motivo? L impossibilità di usare le mani e, soprattutto, la totale mancanza di privacy. Non essere autosufficienti significa anche non potersi chiudere in camera o in bagno da soli e subire sempre una presenza invasiva, in questo caso la madre. Questo vale anche per una donna disabile, ovviamente. La sessualità non è solo un bisogno fisiologico e anche se così fosse, decidere di soddisfarlo o meno, dovrebbe comunque dipendere da ognuno di noi. Si può rinunciare ai piaceri del sesso ma deve rimanere una propria scelta. Ci sono madri che masturbano i propri figli e li portano a prostitute. Pensate che siano situazioni rare e frutto di devianze? No, non è così. È solo l amore di madri disperate nel vedere i propri figli altrettanto disperati. Non è perché non se ne parla che le cose non accadono. Le cose accadono lo stesso e accadono nei silenzi delle famiglie con figli e figlie disabili. Accadono al riparo dalle ipocrisie della gente, convinta che i disabili non sentano gli impulsi sessuali e che non abbiano voglie e fantasie. Se non puoi camminare esistono carrozzine manuali o elettriche per spostarsi. Se non puoi usare le mani ci sono i comandi vocali per il computer. Se vuoi guidare ci sono vari accorgimenti che te lo permettono. La tecnologia ha supplito molto alle incapacità fisiche di persone con disabilità. Non può però far nulla per altre necessità o, almeno, non tutto. In alcune nazioni (Danimarca, Svizzera, Olanda, Germania, America e, prossimamente, forse, in Francia e Spagna) è nata la figura dell assistente sessuale. Un operatore o operatrice che aiuta i disabili impossibilitati a vivere la sessualità. Il pensiero di molti corre subito alla prostituzione. E un pensiero limitato per chi ha un idea limitata della sessualità. La sessualità non è solo l atto in sé o il semplice piacere fisico. E anche conoscenza di sé e della propria intimità. Un percorso lento e delicato, un complesso processo di crescita emotiva che va affrontato con persone preparate, sia psicologicamente che nel saper trattare fisicamente le diverse disabilità. Prima di dare la vostra opinione su questa figura, chiudete gli occhi un istante e immaginatevi a anni senza aver mai provato nessun piacere derivato dalla sessualità e che tutto questo non sia avvenuto per vostra scelta. fonte: ilfattoquotidiano.it 13 settembre 2012

11 Dall'India all'afghanistan, i reportage di Fabio Lepore, giornalista ipovedente Torinese, 35 anni, ha all'attivo una lunga serie di lavori da ogni angolo del mondo, scritti per molti dei maggiori periodici nazionali. A 16 anni gli è stata diagnosticata la malattia di Stargardt, che ha ridotto la sua vista a un decimo per occhio. "La mia condizione mi ha permesso di superare i limiti che tutti noi ci mettiamo davanti, come degli alibi per non fare ciò che desideriamo" TORINO - È senz'altro la calma la prima cosa che salta agli occhi parlando con Fabio Lepore. Proprio quel tipo di calma che può tornarti utile se decidi di arrampicarti su per un ghiacciaio d'alta quota; o quando, con l'esercito italiano, ti trovi ad attraversare una zona che pullula di guerriglieri insorti. Trentacinque anni, torinese, giornalista freelance con all'attivo servizi e reportage per molti dei maggiori periodici nazionali, Fabio sembra animato da una grande consapevolezza di sé e dei suoi desideri. Una consapevolezza che, come reporter, lo ha spinto ai quattro angoli del globo: dall'india alla Giordania, dall'afghanistan all'islanda, nel costante inseguimento di una notizia, di un pezzo di realtà da catturare con taccuino e reflex per farne un racconto giornalistico. Spezzando così gli ostacoli che la vita gli ha messo di fronte: fin dall'adolescenza, infatti, Fabio è ipovedente; una malattia molto rara, il morbo di Stargardt, gli ha ridotto drasticamente l'uso della vista, che si è stabilizzato a un decimo per occhio. "Ho scoperto di avere la malattia di Stargardt a 16 anni - spiega - durante un controllo di routine. Si tratta di una patologia degenerativa che crea delle interferenze nella macula, rendendo sempre più difficile la messa a fuoco del campo visivo centrale. Rientra tra le cosiddette malattie rare, per le quali non esistono cure. Dopo la diagnosi, con mia madre e mio padre, che è medico, ho iniziato una serie di pellegrinaggi, vedendo specialisti a Parigi, alla Columbia University di New York e al San Raffaele di Milano, dove ho anche partecipato al Progetto genoma. Ma non c'è stato molto da fare". Fabio appare disteso mentre ricorda quel periodo, ma non è stato sempre così: "La malattia - continua - è una compagna scomoda con la quale devo dialogare in continuazione. Ho dovuto accettarla, ma non è stata affatto una cosa immediata. Quando me l'hanno diagnosticata ero solo un ragazzino. Nel giro di un'estate ho perso tra i 5 e i 6 decimi per occhio e di colpo le mie prospettive sono cambiate: sapevo che non avrei mai potuto guidare e credevo che non avrei mai potuto fare tante altre cose. Ricordo che all'inizio tendevo a nascondere la malattia, così, nel paese dove sono cresciuto, molti credevano che non li salutassi più per una questione di snobismo. In realtà non li riconoscevo. Alla fine sono entrato in depressione, e ci sono voluti anni per uscirne". Col tempo, però, Fabio ha saputo dimostrare a se stesso che si sbagliava. "Credo che in realtà la mia condizione mi abbia permesso di superare una serie di limiti che tutti noi ci mettiamo davanti, come degli alibi per non fare ciò che realmente desideriamo. Fin da ragazzino, ad esempio, uno dei miei sogni era di lanciarmi con il paracadute, ma l'impatto con la retina poteva essere dannoso. Così ho deciso di iscrivermi a un corso di parapendio e alla fine sono riuscito a fare alcuni voli in solitaria. Gradualmente ho iniziato ad assumere un nuovo atteggiamento nei confronti della vita: ora, quando mi si presenta la possibilità di fare una nuova esperienza, anziché chiedermi perché', mi chiedo perché no?' Un'altra grande passione per me - continua - è sempre stata la montagna. Sognavo di arrampicarmi su ghiaccio e ho imparato a farlo. Qualche anno fa c'era in giro una pubblicità ambientata nel ghiacciaio del Vatnajokull, in Islanda. Vedendola mi è venuta voglia di andare ad arrampicarmi lì: così sono partito, ho trovato una guida alpina e in una settimana ho scalato il ghiacciaio". In quell'occasione, Fabio realizza anche uno dei suoi primi reportage: ogni due giorni è in collegamento con Zip Radio, una emittente torinese, raccontando la vita dei villaggi in cui si ferma lungo il cammino e intervistandone gli abitanti. Poi, nel giugno del 2010, è la volta dell'afghanistan. "Qualche mese prima, una mia amica fotografa, Valentina Bosio, mi aveva contattato dicendomi che aveva la possibilità di raggiungere la Brigata alpina Taurinense, che era appena partita per il suo turno.

12 All'epoca facevo il giornalista già da 3 anni, per cui ero in contatto con alcuni settimanali che potevano essere interessati ai nostri servizi. Quando lavoro cerco sempre di farlo con un fotografo: non solo per una questione di professionalità, ma anche perché mi aiuta a superare alcuni limiti che la mia condizione mi impone. Riguardando gli scatti, ad esempio, posso cogliere particolari che sul momento non riesco a vedere; un fotografo può inoltre raccontarmi' in tempo reale quello che succede a distanze che da solo non riesco a mettere a fuoco. Nei 15 giorni in Afghanistan - continua Fabio - abbiamo avuto la possibilità di spostarci molto. Siamo stati in un villaggio nei pressi di Shindand, dove per Focus Junior abbiamo potuto realizzare un servizio sulla vita dei bambini locali, di cui vado molto fiero. Siamo stati anche a Bala Murghab, dove appena un mese prima erano morti due alpini nell'esplosione di un ordigno. Quello è stato un turno davvero duro per la Taurinense". Pochi mesi dopo, a dicembre del 2010, Fabio parte per l'india, per realizzare un servizio sulla Rickshaw run, la corsa dei Tuk Tuk (i taxi a tre ruote, simili alla nostra Ape Piaggio) che attraversa tutto il paese. "Sono partito con due amici, uno dei quali è un regista, con il quale abbiamo cercato di realizzare un mini documentario. Posso dirti che siamo rientrati nel 60% delle squadre che sono arrivate fino in fondo, anche se siamo arrivati esattamente ultimi (ride, ndr). In realtà ci interessava visitare l'india, quindi ci siamo fermati in parecchi villaggi, entrando a contatto con la popolazione locale, scattando foto, facendo interviste. Alla fine siamo arrivati proprio nell'ultimo dei 19 giorni di gara: ma il nostro Tuk Tuk era quello ridotto meglio di tutti. Comunque, visto come si usa guidare in India, posso dirti che in media ho avuto più paura su quelle strade che in Afghanistan". fonte: superabile.it 14 settembre 2012

13 Barriere architettoniche in Campania: Le necessità inascoltate dei diversamente abili In tutta la Campania è chiaro quanto l'urbanistica sia medievale. Confronto con Ileana Esposito Lepre su una tematica poco discussa e sugli interventi pratici e culturali da attuare al più presto. Se ne parla troppo poco. Mai abbastanza da espandere nuove riflessioni nelle mentalità di tutti. Molti ragazzi ad esempio, pur essendo partecipi degli interessi sociali, non sono abbastanza informati su una questione che è sotto i nostri occhi quotidianamente. Si tratta dei disagi generati dalle barriere architettoniche, fin troppo presenti nella nostra regione. Persino le università di architettura studiano poco questa tematica. Il danno, probabilmente il più insidioso, è quello di associare la disabilità fisica con l incapacità di vivere la città, qualsiasi essa sia. Il danno, è quello di pensare che chi è portatore di una disabilità fisica è diverso da chi non ha inabilità, e quindi il rischio altissimo è quello di ritenere che esistano due specifici indirizzamenti sociali non ravvicinabili: una realtà per i poveri disabili, e una realtà per i sani cittadini. Andrebbe ora fatto un lungo discorso sul vero significato di povero e sano, poiché in questa discussione è molto più facile definire povero d intelligenza chi sta bene fisicamente, così com è molto facile definire sano mentalmente chi è su una sedia a rotelle, ma questo è un altro discorso. La questione trattata in questa esposizione tende invece, a rilevare il divario tra le distinzioni prodotte da noi stessi riguardo ai due indirizzamenti sociali. Un divario che nessun provvedimento legislativo può abbattere se non viene contrastato dalla creazione di un valore collettivo nuovo che definisca la realtà sociale unica per chiunque, identica a tutti e con opportunità per ogni soggetto, a prescindere dalle sue dotazioni fisiche. Ciò non è assolutamente utopico, in molte città del nord Italia ma soprattutto del nord Europa tutto ciò è già un problema risolto con un atteggiamento culturale ben accettato da tutti. Con quale faccia Napoli ospita il World Urban Forum? Si chiede Ileana Esposito Lepre, Presidente dell Associazione Peepul che si occupa dei diritti dei diversamente abili con quale coraggio Napoli ha speso tutti questi soldi per questo incontro, quando invece, dovrebbe investire sulla modifica dei tanti impedimenti architettonici? Con quale coraggio noi abbiamo parlato di come dovrebbero essere le città se qui la condizione è quella di una dilagante ignoranza civica con evidenti disagi per chi è diversamente abile?. Sono queste e tante altre le domande poste a noi tutti dalla Dottoressa Lepre che specifica quanto siano inutili questi lavori di facciata, provvedimenti che servono solo a buttare fumo negli occhi della gente: L attenzione sull argomento è scarsa, una vergogna, frutto di una politica malata che non tiene assolutamente conto del bene comune ma che si limita ad un apparenza demagogica attraverso interventi simbolici. C è del comico poi, se pensiamo che il convegno ospitato a Napoli, organizzato in collaborazione con la Regione Campania e il Comune di Napoli, in cui i temi trattavano il miglioramento della qualità della vita nelle città, non aveva nessun posto per disabili, un assurda contraddizione testimoniata dalla Dottoressa Esposito. Il confronto con il Presidente è stato utile proprio per definire la necessità di diffondere una nuova mentalità, in cui gli stessi disabili non siano solo promotori di lamentele ma propositori di nuove idee. Esigere diritti vuol dire concepire una totale autonomia dei diversamente abili.

14 Mancano ad oggi, a Napoli e in gran parte della Campania, gli strumenti che consentano di guadagnare un autonomia necessaria ad espletare tutte le funzioni sociali che in una comunità civile dovrebbero essere consentite quotidianamente. Esistono casi positivi, come Sorrento, continua la Dottoressa, in cui sono stati messi in atto provvedimenti urbanistici utili, ma c è ancora molto da fare in molte città della nostra regione. Le istituzioni sono lente, i provvedimenti scarsi e spesso solo simbolici, i vari assessorati devono assolutamente garantire accessibili tutti i servizi. Il contrasto alla diversità andrebbe considerato come priorità durante le decisioni, affinché sia favorita l integrazione e non la ghettizzazione. Andare incontro alle esigenze degli invalidi vuol dire creare opportunità sociali nuove, crescita economica, reti amicali intense, uno stato di armonia collettiva utile per una vita migliore. La Dottoressa inoltre, invita tutti ad assimilare il concetto secondo cui la questione non è limitata alla denuncia delle barriere architettoniche, poiché non è solo sistemando alcuni edifici pubblici che si risolve il problema. La questione piuttosto, è relativa alla creazione di un nuovo modo di pensare che renda possibile una reale e armoniosa convivenza tra persone fisicamente abili e persone con differenti abilità. L errore, in verità, è minimizzare la faccenda sminuendola con atteggiamenti compassionevoli. I soggetti disabili in una società realmente civile non dovrebbero essere compatiti o essere oggetto di azioni di solidarietà. Dovrebbero essere attori integranti e attivi delle scelte comuni, con dei mezzi adatti alle loro disponibilità, alimentando le loro risorse, abbattendo tutti gli impedimenti infrastrutturali. L autonomia come ricchezza. Prima di cambiare i marciapiedi bisognerebbe cambiare le teste, bisognerebbe normalizzare tutti, abili e inabili, su uno stesso livello, con contesti accessibili in eguale modo a tutti, spazi condivisi e non separati. Il vero invalido è l idiota che ha la fobia del diverso, colui che sminuisce la questione mettendo in luce fantomatiche superiorità fisiche per ovviare a demenze culturali, il vero invalido è il politico ipocrita che si fa portavoce di cambiamento ma che lo attualizza solo per se stesso o per fare bella figura in qualche conferenza stampa. fonte: ilmediano.it 17 settembre 2012

15 Guerra: "l'indennità di accompagnamento non sarà toccata" L'indennità di accompagnamento per le persone disabili "non è mai stata messa in discussione, né sarà toccata", ma entrerà nel conteggio dell'isee "perché lo prevede la legge". Di contro, però, verranno sottratte tutte le spese che le famiglie dei disabili devono sostenere per l'assistenza: oltre a quelle conteggiabili verrà stimata anche una somma forfetaria di spese fisse. Lo ha assicurato il sottosegretario al ministero del Welfare, Maria Cecilia Guerra intervenendo oggi a Roma al sit-in organizzato dal "Comitato 14 settembre" a piazza Montecitorio. Proprio lì il sottosegretario ha scelto di incontrare i manifestanti per sottolineare la sua completa apertura al dialogo. E per circa un'ora ha ascoltato le ragioni di quanti, disabili, familiari e operatori, nonostante una pioggia incessante hanno mantenuto il presidio sotto il Parlamento. Quattro i punti al centro della protesta. In primo luogo il comitato chiede che il Parlamento modifichi tutte le leggi in materia di disabilità sostituendo la parola "possono" con "debbono". Una questione particolarmente importante soprattutto a livello locale, dove la facoltà di erogare o meno i servizi per le persone disabili è vincolata alle risorse disponibili. E quindi penalizza gli enti locali più piccoli. In secondo luogo di definire un Bilancio sociale dei comuni allo scopo di evitare tagli al mondo della disabilità. E la restituzione da parte del Governo dei 45 milioni sottratti a Roma capitale, senza i quali circa diecimila persone perderanno aiuti assistenziali. Ma il punto più conteso è legato al calcolo Isee che "dopo tante battaglie fatte in questi anni potrebbe rigettare in uno stato di povertà le famiglie con disabili - sottolinea il presidente del Comitato Michele Colangelo -. Ma noi disabili la crisi la stiamo pagando già ampiamente". Con esempi semplici e concreti (dall'aumento della benzina alla spesa al supermercato) Colangelo ha illustrato al sottosegretario le difficoltà quotidiane di chi vive con un deficit motorio e ha bisogno di assistenza. "Per me sarebbe bello avere risposte definitive ma così non è, è giusto però che l'attenzione del governo e della società su questi temi venga mantenuta alta - afferma Guerra -. Dobbiamo sgombrare il campo da preoccupazioni infondate: nessuno ha mai pensato di toccare l'indennità di accompagnamento. Mentre sull'isee una versione definitiva non c'è ancora ma la discussione su questo tema è stata fatto con le federazioni che rappresentano il mondo della disabilità: Fish e Fand. Quello che pensiamo di fare è togliere tutte le spese che le famiglie devono sostenere per l'assistenza: alcune verranno conteggiate in maniera forfetaria, perché il lavoro di cura ad esempio non si può quantificare, le altre saranno documentabili". Il sottosegretario ha inoltre ricordato che ci sono precisi vincoli di bilancio e una situazione difficile dovuta anche al taglio di 20 miliardi alla spesa sociale operata dal precedente Governo. "È vero che noi non abbiamo messo nuovi fondi sul sociale ma non ne abbiamo neanche tolti perché la situazione già era grave - aggiunge -. Sul lungo periodo sto riaprendo la discussione con le regioni sui Lea, ma al di là dell'impegno personale, che assicuro, non credo si arriverà a una definizione in tempi brevi". "La nostra non è una battaglia sull'indennità di accompagnamento, ma non siamo d'accordo che entri nel conteggio Isee anche se l'abbattimento delle spese fosse quadruplo - ha replicato Colangelo -. Quello che vogliamo è un nuovo patto sociale e l'esigibilità dei diritti. Molti comuni e regioni usano la disabilità per foraggiare il mondo del Terzo settore e i disabili restano prigionieri di questo sistema, mentre vogliamo avere la possibilità di scegliere". Simona Bellini del Comitato famiglie di disabili gravi e gravissimi ha poi chiesto che ai prossimi tavoli di confronto con il ministero oltre alle federazioni più grandi possano essere accolte anche altre associazioni che non si sentono rappresentate da Fish e Fand. fonte: superabile.it 17 settembre 2012

16 Teatro delle differenze: Capannori si candida come capofila regionale Capannori (Lucca) - Il comune di Capannori si candida a divenire capofila istituzionale a livello regionale dei Teatri delle Differenze, una rete toscana di artisti, associazioni e compagnie professionali che attraverso il teatro esprimono le necessità poetiche e politiche che emergono da situazioni di bisogno: adolescenti, malati di mente, disabili, stranieri. Lo farà con un costituendo protocollo d intesa che affida al Comune un ruolo di indirizzo e controllo e che ha tra gli obiettivi principali la creazione di un percorso che porti il teatro sociale a divenire un soggetto nel settore dello spettacolo della Regione Toscana, così come già lo sono, ad esempio, il Teatro di Tradizione e il Teatro Ragazzi. Il documento d intesa sarà presentato nel corso di un incontro in programma venerdì 21 settembre alle ore ad Artè di via Carlo Piaggia a Capannori, durante il quale si darà avvio alla costituzione di un comitato di sostegno e garanzia della rete regionale toscana Teatri delle differenze composto da amministratori, docenti universitari, operatori sociali, culturali, sanitari, psichiatri, associazioni territoriali, ricercatori e artisti, provenienti non solo dalla Toscana, ma anche da varie parti d Italia. Obiettivo del nascente comitato - spiega l assessore alla cultura, Leana Quilici è quello di realizzare il prossimo dicembre a Capannori un numero 0 del cantiere delle differenze nella prospettiva di dar vita ad una Biennale delle Differenze, un non festival d arte sociale sulle culture della diversità. Stiamo vivendo un tempo di grande fragilità e cambiamento con molte crescenti diversità che è importante far conoscere e non nascondere. Il teatro è certamente uno strumento potente in grado di coinvolgere in uguale misura attori e spettatori e di comunicare quindi anche tutto ciò che è diverso dalla visione sempre più omologante del nostro mondo. Il punto di riferimento fisico di questo nuovo importante progetto sarà Artè il nuovo spazio culturale nel centro di Capannori". fonte: loschermo.it 20 settembre 2012

17 Iwa: "Allarme accessibilità per i siti della PA" L'International Webmasters Association Italia scrive ai ministri Profumo e Patroni Griffi: "Senza l'aggiornamento dei requisiti dei siti pubblici i cittadini disabili rischiano di rimanere fuori dalla digitalizzazione" È allarme accessibilità per la PA digitale. In una lettera inviata ai ministri Profumo e Patroni Griffi, l Iwa - International Webmasters Association Italia avverte che senza l aggiornamento dei requisiti obbligatori per i siti Web della PA vi sono seri problemi contrattuali e i cittadini disabili rischiano di essere tagliati fuori dalla digitalizzazione. Già dal 2010 è pronto un testo di aggiornamento dei requisiti obbligatori per tutte le PA che fanno e commissionano servizi nel Web che, però, non è mai stato attuato spiega al Corriere delle Comunicazioni, Roberto Scano, presidente di Iwa Italy nonché consulente della cabina di regia per l Agenda digitale - Senza tale aggiornamento restano in vigore i requisiti della legge Stanca, risalenti al 2005 e diventati oramai tecnologicamente obsoleti. Senza le nuove regole tutte le forniture fatte alle PA, di fatto, non sono conformi alla legge. I requisiti contenuti nella legge Stanca si basavano infatti sulla versione stabile delle specifiche di accessibilità emanate dal consorzio mondiale del Web (W3C) nel 5 maggio Ciò significa che oggi queste specifiche non sono adatte alle tecnologie nate successivamente, tra cui i social media e il web dinamico puntualizza ancora Scano - I nuovi requisiti si basano invece sull ultima versione delle specifiche di accessibilità, W3C WCAG 2.0, necessarie per poter garantire alle PA i diritti di tutti gli utenti di usufruire dei servizi digitali. La limitazione "tecnologica" dei requisiti attuali inoltre rappresenta un serio problema per il rispetto dei criteri di valutazione della qualità dei servizi erogati ai cittadini tramite Web. Uno dei criteri di valutazione della qualità dei siti Web delle PA, indicato nelle linee guida, è proprio il grado di accessibilità ed usabilità dei servizi mentre un ulteriore criterio di valutazione è il cosiddetto "Amministrare 2.0". Come possono convivere - con l'attuale decreto - le due indicazioni? - si chiede Scano - A oggi una PA non può, ad esempio, sviluppare e/o commissionare soluzioni come sistemi di geo-referenziazione di segnalazioni effettuate dal cittadino e - per assurdo - nemmeno applicazioni Web-based per dispositivi mobili. Tutte (o quasi) le forniture pubbliche quindi sono di fatto fuori legge con tutto ciò che ne consegue sotto l aspetto della validità contrattuale e dei relativi procedimenti amministrativi di liquidazione delle forniture. Iwa Italy chiede al governo di risolvere la situazione per cui lo Stato in questo caso da troppo tempo fa la parte del falso invalido conclude Scano - ovvero fa finta di non sentire le necessità sia delle persone con disabilità, sia di chi quotidianamente desidera svolgere con diligenza e legalità il proprio lavoro di sviluppatore Web. fonte: corrierecomunicazioni.it 25 settembre 2012

18 L'Ens compie 80 anni. "Le battaglie non sono terminate" Il presidente Petrucci: "C'è ancora da combattere per il riconoscimento della lingua dei segni (Lis), l'abbattimento di tutte le barriere comunicative e in ambito lavorativo e un maggiore impegno nella scuola a favore dei bambini sordi" "Oggi celebriamo 80 anni di storia dell'ente nazionale sordi, ma le battaglie non sono terminate: c'è ancora da combattere per il riconoscimento della lingua dei segni (Lis), l'abbattimento di tutte le barriere comunicative e in ambito lavorativo, e un maggiore impegno nella scuola a favore dei bambini sordi. Sono queste le prossime sfide dell'ente". Così Giuseppe Petrucci, presidente nazionale dell'ens, a margine della conferenza stampa di presentazione delle attività per l'80 An niversario di Fondazione dell'ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei sordi - Onlus. L'appuntamento, tenutosi questa mattina presso la sede nazionale dell'ens a Roma, è stato un momento per ricordare le campagne dell'organizzazione e le figure storiche che hanno accompagnato l'ente in tutti questi anni. "Ottant'anni sono tanti - ha detto Petrucci -. Grazie a queste conquiste oggi le persone sorde possono essere al pari degli udenti, ma dobbiamo conquistare molte altre cose". fonte: superabile.it 25 settembre 2012

19 Disabili a scuola, troppe difficoltà. Perché? Perché in Italia, dove è in vigore una delle più avanzate legislazioni sui disabili in Europa, l integrazione scolastica dei portatori di handicap è ancora un obiettivo da raggiungere? Un insuccesso tanto più sorprendente se si pensa che negli ultimi dieci anni la presenza di alunni con disabilità nelle scuole italiane ha conosciuto un incremento del 56%. Al punto che nell anno scolastico 2011/12 erano quasi 200 mila, di cui la fetta maggiore circa 75mila alle elementari e gli altri divisi tra asilo, medie e superiori. Eppure alla prova dei fatti qualcosa sembra non avere funzionato. Dopo la definitiva chiusura, decenni addietro, degli istituti speciali, infatti, non c è stata una completa risposta alternativa e il tentativo di inserire tra i banchi di scuola i ragazzi con handicap, soprattutto grave, ha spesso fallito. Per almeno tre ragioni. In primis, la carenza e la scarsa specializzazione dei cosiddetti insegnanti di sostegno. Spesso infatti a prendersi cura di questa particolare categoria di studenti sono docenti che non hanno una formazione apposita per svolgere questo compito. In secondo luogo, non bisogna sottovalutare il fatto che nella maggior parte degli istituti della penisola non sono disponibili servizi e supporti tecnologici per questa fetta della popolazione studentesca. Senza contare che ancora oggi in 1 scuola su 10 le barriere architettoniche sono ancora una dura realtà. Infine, come ha denunciato di recente l OCSE, l investimento complessivo nell istruzione in Italia è più basso tra gli stati europei: 4,7% del Pil contro una media UE del 5,8. Anche se quest ultimo è un dato che va letto cum grano salis. Visto che su questo fronte la sensazione è che più che la quantità di risorse destinate in particolare ai giovani disabili, il vera problema sia la qualità: cioè come vengone spese. La verità è che l integrazione dello studente con handicap necessita di programmi educativi individualizzati e di un raccordo fra il disabile, la classe e gli insegnanti, e fra la scuola e la famiglia che solo un insegnante di sostegno e il supporto fornito dagli stessi compagni di classe può assicurare. Questi ultimi, d altro canto, potranno trarre benefici dal rapporto con un compagno disabile, a partire da una maggiore consapevolezza della diversità. fonte: west-info.eu 26 settembre 2012

20 In Italia integrazione record degli alunni disabili nelle classi Secondo il rapporto Education and disability redatto per la Commissione europea dal Nesse (network indipendente di esperti in scienze sociali ed educazione) la scuola italiana eccelle nell integrazione degli alunni disabili nelle aule. La scuola è già cominciata e arrivano le prime statistiche europee sui comparti dell istruzione, in particolare sul rapporto tra i disabili e le strutture scolastiche. E sembra che l Italia dei tagli alla Gelmini riservi alcune sorprese nell integrazione degli alunni disabili nei comparti della scuola. L autore principale di questo rapporto è il professor Sheila Riddell, Direttore del Centro di Ricerca in Educazione Inclusione e Diversità al Moray House School of Education dell università di Edimburgo, sostenuto da altri membri del gruppo NESSE e di altri esperti in questo campo che hanno fornito stimoli e osservazioni sui progetti. La situazione italiana al riguardo si presenta molto lusinghiera. Come rivelano i dati 2008 dell Agenzia Europea per lo Sviluppo dell Istruzione degli Alunni Disabili in Italia il numero di coloro che frequentano la scuola dell obbligo ammonta a , collocandosi così in terza posizione (dopo la Francia con e la Germania con ) nel panorama europeo, con disabili nella scuole (pari al 2,3% della popolazione in aula) rimanendo sempre terza dopo le già citate Francia ( pari al 2,8%) e Germania ( pari al 5.8%). Ma se l Italia prende la medaglia di bronzo solo per il numero, così non si può dire per il numero di disabili ospitati in strutture ad hoc perché su un numero di circa solo 693 (ovvero lo 0,01%) sono inseriti in strutture speciali, mentre nessun alunno tra questi è segregato in classi separati. Risultato: l Italia è l ultima nazione europea a separare le classi tra disabili e non (dopo Svezia e Portogallo) mentre il Belgio è in testa alla classifica, ed è sempre l Italia una delle più basse (penultima dopo la Serbia-Montenegro) a mettere insieme gli alunni in base al gruppo etnico ( ovvero lo 0,68% dei ragazzi in aula) e a separarli in strutture speciali (sono cioè l 1,37%). Inoltre l Italia ha la percentuale più bassa di studenti il cui fisico da infermità o da malattia cronica ostacola il loro apprendimento. Questo fenomeno può essere visto (sempre secondo il rapporto) alla luce di ragioni geografiche, storiche e culturali, che hanno interessato i paesi europei. Infatti non si rivelano grandi cambiamenti né sostanziali ristagnamenti tra gli Stati che hanno adottato i due metodi, perché quelli più vecchi (Paesi Bassi, Belgio e Germania) si erano dotati di strutture apposite fin dal XVIII secolo che erano nate come istituzioni filantropiche (poi finanziate dallo Stato). Solo dal 1970 sono stati compiuti degli sforzi per sviluppare sistemi più inclusivi. I Paesi invece dell Europa meridionale (come Italia, Spagna e Grecia) prima di entrare nella comunità europea erano molto più poveri e non avevano la stessa tradizione delle classi speciali degli Stati nordici. E con l avvento dell integrazione scolastica l Italia ha avuto la tendenza ad inserire insegnanti di sostegno piuttosto che normali assistenti d aula per sostenere i bambini con esigenze educative particolare nelle classi. fonte: lavika.it 26 settembre 2012

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