Napoli a Sud dell Europa a Nord dell Africa

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1 18 marzo 2011 anno XI n. 14 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell Università Suor Orsola Benincasa di Napoli www. unisob.na.it/inchiostro Noi, lo spirito del Mediterraneo di Gennaro Sangiuliano * Se proviamo a guardare, anche in maniera distratta una cartina del bacino del Mediterraneo, non possiamo non accorgerci di una centralità geografica di Napoli, città dalla quale sembra potersi irradiare un reticolo di relazioni. Per molti secoli il Mediterraneo è stato l epicentro di fondamentali civiltà dell umanità, dagli egizi ai fenici, ai greci, ai romani, ai bizantini, agli arabi. Napoli, nella sua intrinseca porosità, sembra aver assimilato e metabolizzato alcuni tratti di queste culture. Dopo un lungo primato il mare nostrum perse la sua centralità, prima a vantaggio dell Atlantico anglosassone e poi negli ultimi decenni a favore dell Asia. In questi giorni le rivolte nei paesi del Maghreb riaccendono i riflettori sul Mediterraneo ponendo non pochi interrogativi sugli esiti di queste vicende. Le società del Mediterraneo sono profondamente mutate nel tratto sociale e culturale, e le vicende in essere marcano l arretratezza dei sistemi politici che le governano. Problemi sociali ed economici con implicazioni demografiche, lotta per accaparrarsi le fonti energetiche, sincere aspirazioni di libertà, vanno intrecciandosi nel magma magrebino non senza lo spettro del fondamentalismo che appare sempre minaccioso sullo sfondo. Chi ha letto un testo importante come Mediterraneo di Fernand Braudel non può non condividere le affermazioni dello storico francese laddove sottolinea il legame delle tradizioni, delle persone e delle culture di questo spazio. Considerazioni che lo portano a ritenere che esista una sorta di spirito del Mediterraneo. Sul rapporto fra Napoli e la sua centralità mediterranea si è già scritto tanto e soprattutto si sono coltivate a lungo illusioni. In questo numero di Inchiostro, la cui realizzazione mi ha dato la possibilità di incontrare giovani vivaci e intellettualmente capaci, verifichiamo quanto sia ancora esistente il rapporto fra Napoli e il Mediterraneo, se rappresenti ancora un dato culturale e una potenzialità economica, oppure sia solo l ennesima chimera di questa città decadente. Il titolo scelto per questo numero già riassume con chiarezza la posizione geografica di Napoli e le sue ricadute economiche, politiche e culturali. La città partenopea è certamente una capitale europea, nel senso culturale pieno di questa parola che travalica i contenuti giuridico-amministrativi, ma è anche una metropoli aperta sul Mediterraneo e i suoi intrecci. In passato, nella sua storia, si pensi a Federico II, ha saputo marcare questo tratto, ora non più. La politica e le classi dirigenti, ammesso che vi siano, non hanno saputo cogliere le potenzialità di questa posizione geografica e l eredità della storia. Inchiostro tenta di fotografare lo stato dei rapporti fra Napoli e il mare nostrum e soprattutto le prospettive evolutive. Il discorso sarebbe lungo e complesso ma gli spunti ci sono tutti. *Vice direttore del Tg1 Rai Napoli a Sud dell Europa a Nord dell Africa I NUMERI Gli immigrati nella società napoletana pagg. 2-3 L UNIVERSITÀ Orientale, dove si studia l Islam pag. 5 LA MEMORIA Gli italiani cacciati dalla Libia pag. 8 L ARTE Le tracce islamiche nell architettura campana pag. 11 Cinque riflessioni sulla No fly zone Francamente a dirla tutta, questa iniziativa del bombardamento del- La capitale inconsapevole di Romolo Napolitano Se con una squadretta si tracciano due linee perpendicolari che vanno da Nord a Sud e da Est a Ovest del Mediterraneo, il punto di incrocio, il centro di questo mare è molto vicino al capoluogo campano. Una centralità solo geografica, se l 80 per cento dei traffici commerciali con il Nord Africa passa per Milano e non per Napoli, così come la comunità maghrebina in città è a dir poco minuta, con solo mille arabi residenti. Questo numero di Inchiostro scatta la foto di una Napoli che è stata e potrebbe di nuovo essere la capitale del Mediterraneo, ma non lo sa. Lo è stata e le tracce le troviamo nel dialetto, nella musica e nell architettura. E anche nelle tragedie e nel malaffare, con gli ebrei sefarditi di fine 400 così come gli italiani scacciati da Gheddafi nel 70 che trovano ospitalità a Napoli. Sono indizi rivelati dalla malavita locale che traffica armi con i dissidenti algerini e dall uccisione dei marinai campani della nave Lucina sgozzati a Jenjen. segue a pag. 7 La scintilla scoccata dal Web sotto il controllo di Gheddafi e di quelle liberate di Alberto Canonico Internet è stato il principale protagonista dagli insorti. segue a pag. 5 nelle insurrezioni che hanno sconvolto la geopolitica dei paesi del Mediterraneo e che hanno portato alla fuga di Ben Alì prima in Tunisia, e di Mubarak dopo in Egitto. Ora anche Gheddafi in Libia fa i conti con il corteo di voci anti-regime che da Twitter e Facebook si sta velocemente elevando fino alla creazione di un sito, che rappresenta il portale web del Consiglio di transizione nazionale della Repubblica della Libia. La pagina Internet tiene continuamente aggiornati gli utenti, attraverso una mappa interattiva, della situazione delle città libiche che sono ancora Twitter e Facebook baluardi di libertà la Libia da parte di una autoproclamata coalizione mondiale per la giustizia e la democrazia ci pare, sì, ci pare... a volerla dire proprio tutta e in buon italiano... una stronzata. Ecco perché: 1) I bombardamenti di qualunque natura ci sono indigesti anche perché le bombe, per quanto intelligenti (!!!) tendono ad uccidere; 2) Il mondo arabo è stato finora dominato da monarchie più personali che dinastiche, ma comunque monarchie: il processo di mutazione di tale sistema politico è tutt altro che concluso. Non è detto che a Gheddafi, il quale a lungo ha ben corrisposto allo stato politico della Libia succeda qualcuno (un altro monarca?) migliore di lui. 3) Il mondo arabo, in generale, è convinto (non del tutto a torto) che gli Occidentali abbiano con gli Arabi un atteggiamento di aggressione motivata dal desiderio di suggere il petrolio. Può darsi che non la pensino così gli insorti libici, ma cosa accadrà nell opinione pubblica araba diffusa? 4) Ci sono ben noti e poco ci piacciono tutti i leader che (da quando si può sparare da lontano con i piedi ben al caldo, giacché all epoca di Cesare non si poteva) gonfiano muscoli e indossano elmetti per qualche guerra facile facile con annesso (sperato) trionfo agli Champs Elysées. 5) L immagine di Saddam Hussein dittatore prima blandito e poi impiccato per intervento dell Occidente tormenta solo le nostre notti? Il fratello di Abele

2 A SUD DELL EUROPA, A NORD DELL AFRICA pagina 2 inchiostro n. XIV 2011 pagina 3 Napoli, città europea al centro Istat: solo mille gli arabi e i nordafricani registrati, appena due gli yemeniti. di un Mediterraneo in fiamme Ma le cifre ufficiose dicono altro: più di ventimila le presenze dei soli tunisini LIBIA «Siamo ricchi ma solo dieci» di Anna Lucia Esposito Sono poco più di dieci i libici residenti in Campania. Per l esiguo numero, i migranti nordafricani non sono riusciti a creare una comunità e un punto di riferimento geografico. In maggioranza sono studenti, venuti esclusivamente in città per imparare la lingua italiana, fondamentale in Libia per gli scambi commerciali. «A differenza degli altri immigrati arabi afferma Amar Abdallah, imam della moschea di corso Arnaldo Lucci, i libici non hanno problemi economici da cui sfuggire. Le loro proteste difatti sono le uniche di origine meramente politica». La Libia è il paese africano con il reddito pro capite più alto dopo Seychelles e Mauritius. È il petrolio a contribuire in maggioranza alla formazione del Pil, con una percentuale che si attesta intorno al 30%. La distribuzione del reddito è molto diseguale ma lo Stato finora ha messo in campo ammortizzatori sociali in grado di sostenere il tenore di vita dei libici e garantire un ordine sociale nel Paese. La solidità economica della Libia è dovuta inanzitutto all Italia che rimane la prima importatrice di greggio. La stipula dell accordo italo-libico è da considerarsi comunque un affare per entrambi i Paesi. I fondi investiti per la costruzione di opere infrastrutturali sono gestiti direttamente dal governo italiano, così da permettere alle aziende di casa nostra di ottenere lavori per milioni di dollari l anno. Nonostante ciò, nemmeno il regime di Gheddafi è riuscito a sfuggire alla sete di democrazia dei popoli arabi, alla speranza di libertà tradotta in sangue dal rais. di Egidio Lofrano Concepire la città di Napoli come una grande porta di collegamento dell Italia con le popolazioni del Mediterraneo pare sia ancora un ideale lontano dalla realtà. E ciò che emerge dai dati relativi alla presenza di stranieri dell area mediterranea che sono residenti regolari nel capoluogo partenopeo e in tutta la Campania. Secondo la rilevazione compiuta da Demo Istat, il portale dedicato ai rapporti statistici demografici con dati aggiornati ai primi mesi del 2010, gli immigrati dell area mediterranea sono una netta minoranza rispetto alle comunità originarie di paesi europei. I residenti nordafricani a Napoli sono solo 939, con i gruppi più numerosi provenienti da Tunisia, Algeria e Marocco, in ordine 356, 302 e 215 unità. Significativo il numero di stranieri originari della Libia, l ex possedimento dei tempi dell espansionismo coloniale: in totale la comunità conta 12 individui, regolarmente residenti nel capoluogo. Se si passa ai Paesi dell Asia occidentale il rapporto non cambia: gli iraniani che vivono in città sono 37, gli yemeniti solo 2. Eppure la popolazione straniera residente a Napoli conta quasi 25 mila persone, di cui oltre 15 mila donne, e un aumento di 3 mila nuove unità nel Un indicazione generale sul quadro regionale arriva dal rapporto sull immigrazione dell Istat, relativo alle comunità più numerose radicate nelle regioni italiane. Il 39% degli immigrati residenti in Campania è composto da ucraini e romeni, rispettivamente il 22,6% e il 16,4% del totale, mentre la comunità più numerosa di nordafricani è quella dei marocchini, pari all 8,3%. Degli oltre 100 mila tunisini che vivono regolarmente in Italia, poco meno di 3 mila hanno residenza in Campania. Un dato importante visto che i tunisini sono la seconda comunità, a pari merito con gli algerini, nella regione e che gli africani dei paesi settentrionali sono in totale 18 mila, con oltre 12 mila persone originarie del Marocco, sui circa 147 stranieri regolari. Il dato campano riflette in proporzione i numeri del capoluogo. In tutta la regione vivono meno di 6 mila algerini e tunisini, gruppi che conservano nuclei più radicati sul territorio, mentre scarsa è la presenza di residenti regolarmente censiti provenienti da altri Paesi del Nord-Africa, come egiziani e libici, rispettivamente 174 e 22 elementi che compongono queste comunità. Stesso discorso per gli immigrati dei paesi asiatici: in questo caso tutti gli iraniani residenti sono 154, mentre gli yemeniti solo 9. Una conferma dei dati viene dall ultimo rapporto della Fondazione Migrantes. Dei quasi 6 milioni di residenti in Campania meno di 150 mila sono stranieri, di tutte le nazionalità ed etnie. Di questi solo 1 su 10 proviene dalla fascia africana del Mediterraneo, e solo lo 0,4% dall Asia occidentale. Oltre la metà degli immigrati è impiegata nel settore dei servizi, in particolare nei ristoranti e alberghi, nelle attività presso le famiglie e nei servizi alle imprese. Gli altri lavori riguardano soprattutto l industria, in particolare le costruzioni, che con il 13,5% è la singola occupazione più praticata dagli stranieri, e il settore dell agricoltura e della pesca, con tassi di occupazione rispettivamente del 31,1% e del 12%. Quasi la metà degli immigrati ha scelto, per lavoro o per necessità, di risiedere nella provincia di Napoli, mentre altri 60 mila si sono stabiliti nel salernitano e nel casertano, con 33 mila e 28 mila residenti. Molto inferiori invece le presenze di stranieri nelle province di Avellino e di Benevento, con quest ultima che accoglie il 3% del totale regionale. È lo stesso Mezzogiorno che si rivela una terra inospitale per gli immigrati regolarmente registrati. Dei quasi 4 milioni di residenti stranieri in Italia solo 350 mila vivono nel Sud continentale e 144 mila in Sicilia e Sardegna. Se nel Centro-Nord non è italiano il 9% circa della popolazione, nel Mezzogiorno questo tasso di incidenza scende al 2,6%. Un ulteriore dato significativo è quello relativo alle nascite. In regioni del Nord come Lombardia, Piemonte e Veneto un bambino su cinque che nasce in Italia è straniero mentre in Campania solo il 2,9% delle natalità ha origine non italiana. IRAN «I napoletani come i miei concittadini» di Jessica Mariana Masucci I ragazzi di Napoli sono più simili a quelli di Teheran che ai coetanei di Bergamo Alta o del Nord Europa. A rivelarlo è una studentessa di Fisica della Federico II che viene dall Iran. R.G. ha 27 anni e nell aprile del 2008 è venuta a vivere in Italia: «L università funziona bene, i professori sono bravi e alla mano. In Iran c è maggiore severità; alla fine di ogni semestre c è solo una data per fare l esame e se lo salti devi aspettare un anno e ripetere il corso. Tutto questo per pochi posti di lavoro e anche mal retribuiti». Vale solo per la facoltà di Fisica? «No, tutte le facoltà sono difficili e l accesso è regolato da un esame di Stato che ogni anno con una graduatoria stabilisce il futuro dei ragazzi che scelgono di studiare. A seconda del punteggio viene indicato il tipo di studi e le università disponibili nel Paese. Altrimenti esistono gli atenei a pagamento, ma sono di qualità inferiore». Della città in cui vive da tre anni racconta: «Napoli è disorganizzata e sporca. Però si vive bene, perché le persone sono ospitali e simili agli iraniani in molte cose. Ad esempio il rapporto con il cibo: diamo la stessa importanza culturale. Se ti sposti al Nord non è così». Su come pensa che sia ritratto il suo Paese dai mezzi di informazione italiani chiarisce: «Sembriamo diversi perché quando siamo per strada dobbiamo rispettare un codice di comportamento. Ma tra le mura domestiche non è così. Anche nei rapporti tra uomo e donna: spesso sono le mogli a dettare le regole in casa». ALGERIA «Vicini ai nostri connazionali» di Angelo De Nicola La lunga e sanguinosa protesta, iniziata in Tunisia, ha minato la credibilità, già compromessa, del governo algerino e a Napoli l esiguo numero di cittadini alerini vive nell angoscia. La paura, per i circa 300 algerini in città e per i 3 mila in tutta la regione, è per i familiari che sono rimasti nella terra natìa. Molti nordafricani sono giunti in Italia in cerca di lavoro e dopo averlo trovato continuano le loro attività con la paura nel cuore. «Siamo in un momento difficile, ma noi algerini in Italia siamo vicini ai nostri compatrioti dice il giornalista algerino Magid, corrispondente per il quotidiano Ikip spero che il conflitto si risolva nel più breve tempo possibile». Sono molti i casi di cittadini algerini che lavorano in Italia, ma non dimenticano i problemi che affliggono il loro Paese di origine. Le arterie principali della capitale Algeri sono presidiate da numerose camionette della polizia. Misure di sicurezza eccezionali in vista delle continue manifestazioni organizzate da tutti i cittadini dell Algeria. «La maggioranza del popolo algerino, inoltre, vuole lo scioglimento immediato delle due Camere, la libertà di poter fondare nuovi partiti politici e la revoca dello stato di emergenza. A Napoli abbiamo allestito una tenda a piazza Garibaldi e, con altri africani residenti in Italia, ci riuniamo per discutere di questi delicati temi». Abdelaziz Bouteflika, attuale presidente dell Algeria, è in carica dal Tramite un amnistia offerta ai guerriglieri che accettavano di deporre le armi il presidente riuscì a far diminuire le violenze e ad accreditare il suo governo come un alleato dell occidente nella guerra al fondamentalismo. Oggi in Algeria continuano ad esserci decine e decine di vittime negli scontri tra guerriglieri ed esercito. ALGERIA TUNISIA NAPOLI MAR MEDITERRANEO LIBIA EGITTO «Non ci sentiamo nè arabi nè musulmani» di Lorenzo Marinelli Hassan El Kathari è un ragazzo egiziano di 27 anni. All appuntamento porta con sé una borsa piena di libri e spiega di essere uno studente di ingegneria edile. Parla un ottimo italiano. Lo ha imparato negli anni del liceo, all istituto salesiano del Cairo. «Napoli è piena di capolavori architettonici dice, mentre sediamo al bar quando sarò laureato tornerò nel mio Paese. Lì c è un gran bisogno di ricostruire». Hassan è l unico di tre fratelli attualmente in Italia. Quando gli domando come si trovi a vivere in questa città, mi risponde: «Napoli è una città porosa come il tufo su cui è costruita. Napoli assorbe ogni cosa. Non ho mai avuto problemi di integrazione. Tutto sta nell avere rispetto della cultura altrui». Quando finiamo a parlare della situazione in Egitto, è lui stesso a porsi delle domande. Si chiede se il suo Paese accetterà di far passare armi occidentali attraverso i suoi confini. Si chiede chi siano realmente gli oppositori di Gheddafi: laici o radicalisti islamici? «Noi egiziani non siamo mussulmani o arabi aggiunge la nostra è una storia che risale al 4000 a.c. Dobbiamo proteggere il nostro patrimonio materiale e spirituale, ad ogni costo». Prima di salutarci, chiedo ad Hassan quali, secondo lui, saranno gli sviluppi dei prossimi tempi. «Questa è la grande scommessa. L Egitto è a un bivio dice vedremo se vincerà il fondamentalismo o la memoria del mio Paese, la sua storia di convivenze. Non è l Egitto a preoccuparmi, ma tutto ciò che c è intorno. Inshallah». TUNISIA «Ventiduemila clandestini chiusi in se stessi» di Enrico Parolisi Nacheur, 28 anni, è uno dei 350 tunisini regolari a Napoli. Si è trasferito in Italia da due mesi dopo aver conseguito una laurea in Lingue e Telecomunicazioni in Tunisia. Ed è uno dei 12 tunisini che ha partecipato alla manifestazione antirazzista del primo marzo nel capoluogo partenopeo. «Gran parte della comunità tunisina è mal informata e chiusa in se stessa afferma e non è molto interessata all attualità». Nel loro paese natìo, il regime di Ben Ali è ormai il passato. Nonostante ciò, non sono molti i tunisini scesi in piazza per chiedere la svolta democratica in Maghreb. I tunisini continuano ad avere la stessa paura del Raggruppamento costituzionale democratico (Rcd) che coltivavano prima della rivoluzione. In Occidente il partito è sempre stato criticato da governi e stampa per essere incline alla dittatura, e per l imposizione di pesanti limitazioni dei diritti umani e della libertà di stampa. «C è chi è convinto continua Nacheur che scendere in piazza voglia dire opporsi al partito. Esiste ancora la paura di essere arrestati quando si torna a Tunisi». La comunità tunisina a Napoli secondo alcuni immigrati conta in realtà tra le e le unità. Vivono in gran parte nella zona di piazza Garibaldi e fanno parte di quel gruppo di nordafricani impegnato nel campo agricolo che si sposta dove c è bisogno di loro. In questi giorni, in tanti sono arrivati a Caserta per la raccolta delle fragole. Chi non è in campagna ha la sua bancarella abusiva in zona stazione o nel vicino corso Umberto. IRAN Ecco i numeri degli stranieri YEMEN 356 tunisini 302 algerini EGITTO 215 marocchini BAHRAIN 37 iraniani 2 yemeniti YEMEN E BAHREIN «Vogliamo la democrazia» di Antonio Frascadore Secondo Pier Paolo Pasolini lo Yemen è il paese più bello del mondo. Così scrisse della capitale Sana a: «Una Venezia selvaggia, sulla polvere, senza San Marco e senza la Giudecca, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti ma nell incompatibile disegno architettonico». Per Al-Sha ab, ventiseienne yemenita in trasferta napoletana, Pasolini aveva ragione. Non ha nessuna intenzione di andarsene dall Italia, per il momento. La situazione dalle sue parti non è delle migliori. Migliaia di persone stanno protestando proprio per le strade di Sana a contro il governo di Ali Abdullah Saleh, presidente del Paese da oltre trenta anni. I manifestanti chiedono un nuovo governo e nei loro canti citano spesso i recenti episodi della Tunisia. Afferma Al Sha ab: «I miei connazionali si stanno ispirando alla Tunisia perché da li è partita la rivolta per la caduta del governo di Ben Ali. Vogliamo una democrazia contro uomini potenti che usano la violenza come unica forma di governo. Io lì non ci torno, ho paura e sto male pensando che la mia famiglia sta vivendo questa situazione in prima persona». Impossibile contare il numero dei morti nel paese africano. Una situazione che sta per precipitare e analoga a quella del Bahrein. Nel Regno dei due mari non mancano le proteste contro le autorità del governo, anche se l amministrazione di Washington, che in questo stato ha collocato una sede della marina Usa, sta apprezzando la scelta della monarchia del Golfo di seguire una linea morbida per affrontare la protesta, pur facendo appello ad accogliere le richieste della popolazione.

3 A SUD DELL EUROPA, A NORD DELL AFRICA pagina 4 inchiostro n. XIV 2011 pagina 5 Storie di intolleranza e integrazione La maggioranza degli arabi trova lavoro nell edilizia o in attività commerciali Tra i giovani sono molti gli iscritti alle facoltà di Medicina, Farmacia e Ingegneria di Emanuele De Lucia Napoli è sicuramente una città multi-culturale. Gli arabi sono presenti in tutto il territorio campano e ci sono tutte le fasce di età di un popolo variegato e molto diversificato. Un associazione socio-culturale Araba nel capoluogo campano è presente in via Chiavettieri 56, alle spalle della facoltà di Lettere della Federico II. Il presidente è da qualche anno Ali Oraney, palestinese di 52 anni, dal 1984 a Napoli. È il rappresentante di una piccola associazione che conta 34 persone e racconta di una comunità abbastanza integrata nel tessuto socio-economico partenopeo. Presidente Oraney, la comunità araba in Campania come è distribuita sul territorio? Quali sono le città con maggiore presenza di arabi? «Tra le varie province, sicuramente Napoli ha la maggioranza dei cittadini provenienti dai vari paesi arabi. Vengono dalla Tunisia, dal Marocco e dall area del Medioriente. In ogni caso, sono presenti in tutta la regione. Ci sono anche presenze significative nella provincia di Caserta, di Avellino e Salerno». La comunità araba è integrata nella realtà napoletana? «In parte si è integrata. Per fortuna non abbiamo avuto casi di abusi gravi da segnalare. Se c è stato qualche caso di intolleranza, ricordo che questo si verifica anche tra cittadini della stessa provenienza, non solo nei confronti degli immigrati». Quali sono le attività che prevalentemente svolgono gli arabi in regione? «Sono abbastanza inseriti in questo contesto. Sono soprattutto presenti nelle attività commerciali, dal kebab alla vendita al dettaglio oppure all ingrosso. Poi ci sono lavorati di altri settori. Molti sono impiegati nell edilizia. Alcuni svolgono lavori stagionali, molti dei quali lavorano nel settore agricolo». Oraney: Studio e lavoro: la comunità araba si è inserita bene Le rivolte portano al cambiamento, ma è presto per lo stato di diritto Ha riscontrato discriminazioni nel pagamento dello stipendio ai suoi connazionali? «Per quanto posso attingere dalla mia esperienza in Italia, non ci sono gravi disparità di pagamento». Quali sono, invece, le condizioni degli studenti di origine araba in Campania? «I ragazzi di origine araba che vengono a studiare qui in Italia e a Napoli in particolare provengono soprattutto dalla Giordania. Ci sono molti studenti iscritti alla facoltà di Architettura. Altri atenei scelti dagli arabi sono quelli di Farmacia, Medicina e Ingegneria. In buona sostanza, i ragazzi si sentono accolti in questo paese». Presidente Oraney, come valuta la politica italiana nei confronti dei paesi arabi? «C è ancora molto da fare nelle relazioni tra i nostri paesi, soprattutto nei rapporti commerciali con i paesi del Mediterraneo. Occorre comprendere di più cosa sta accadendo in tutta l area interessata dalle attuali rivolte, capire quali effetti avranno nel Sud dell Europa». Lei crede che queste agitazioni contribuiranno alla nascita della democrazia nei paesi arabi? «Speriamo che avranno una conseguenza positiva per questi paesi. Sicuramente porteranno qualcosa di nuovo. Ci sarà una fase di cambiamento. Quello che è successo in Tunisia si è poi propagato in una vasta area e questo comporterà nuovi scenari, ma per parlare di stato di diritto ci vorranno almeno 20 anni». Maghreb-Italia solo andata Gli esperti: gli immigrati di seconda generazione studiano nelle università partenopee per riscoprire le proprie origini di Ludovica Criscitiello Marocco, momento di preghiera «Qui la gente è ospitale, mi trovo molto meglio dei miei connazionali che vivono a Brescia. Lì ambientarsi è più difficile». A parlare è Ahmed, marocchino, che da quattro anni vive a Napoli. Come per lui, anche per molti suoi connazionali non è stato difficile ambientarsi. «Credo che Napoli rappresenti il baluardo dell accoglienza», dice Luigi Serra, esperto del Maghreb e docente di lingue e letterature berbere alla Facoltà di Studi Arabo Islamici dell Università Orientale di Napoli. «La comunità maghrebina qui è sparsa un po dappertutto, anche nella periferia della città», dice. Pure la provincia casertana ha la sua concentrazione di maghrebini per la presenza di campi coltivati, dove è facile trovare un lavoro per chi è clandestino. Secondo molti storici, quando si parla del Maghreb in Italia ci si riferisce al Marocco, all Algeria e alla Tunisia. Marocchini, algerini e tunisini affollano le comunità presenti a Napoli. Libici e mauritani sono ininfluenti dal punto di vista dell immigrazione. «Si tratta soprattutto di giovani, tra i venti e i quarant anni continua Serra - Immigrati di seconda generazione o anche ragazzi che si sono trasferiti qui con le famiglie, ormai conoscono bene la lingua italiana e si sono integrati, mentre diversa è la condizione dei clandestini sottoposta ai meccanismi di sfruttamento». Alcuni di loro si sono iscritti all università. Ho molti studenti maghrebini dice Anna Maria Di Tolla, docente di Storia del Nord Africa, alla facoltà degli Studi Arabi Islamici. La loro scelta è dovuta al desiderio di riscoprire le loro origini, di studiare in maniera approfondita e da un altro punto di vista i propri Paesi. L essersi integrati però non è abbastanza per sentirsi davvero a casa. «Questi ragazzi a volte soffrono per le scarse condizioni di vita e la realtà sociopolitica del loro Paese. Non vogliono tornare perchè le prospettive di lavoro sono pari a zero», afferma Serra. Tunisia, la recente rivolta dei gelsomini Studiosi e analisti dei fenomeni dell immigrazione maghrebina sono giunti a una conclusione, diversa da quella di pochi anni fa. Oggi chi decide di emigrare non lo fa più con l intenzione di accumulare risparmi qui e ritornare al proprio Paese. L obiettivo è di costruirsi una vita in Italia, soprattutto ora che le rivolte arabe hanno stravolto la vita di intere nazioni. Una gran parte resta, dunque, e parecchi nascono qui e diventano cittadini italiani a tutti gli effetti. «Sono nato a Napoli, i miei hanno lasciato il Marocco dopo essersi sposati», dice Youssef che ha 17 anni e conta di iscriversi alla facoltà di lingue e letterature straniere a Napoli. «Quando ho chiesto a mia madre il perché si fossero trasferiti in Italia lei mi disse che solo qui avremmo potuto avere un futuro migliore». A Napoli la comunità marocchina è molto numerosa e organizza attività ricreative, iniziative culturali, convegni all università. «Cerchiamo di coinvolgere soprattutto gli immigrati di seconda generazione per aiutarli a integrarsi e a non sentirsi diversi», dice Mohammed Saady, presidente dell Anolf, Associazione nazionale oltre le frontiere che ha come scopo quello di favorire l amicizia e la fratellanza dei popoli. Il problema principale però restano le istituzioni. È di questa opinione Serra: «Napoli è una città multiculturale e aperta dal punto di vista umano. È la politica che deve imparare a gestire la questione immigrazione». Per Di Tolla tv e giornali stanno concentrando la loro attenzione esclusivamente sui flussi immigratori provenienti da Tunisia, Egitto e Libia che hanno fatto scattare l allarme all Isola di Lampedusa. «Così è facile destare preoccupazione anche tra la popolazione napoletana con il rischio che la solidarietà diminuisca e si finisca con il perdere di vista la reale importanza di questa rivoluzione che sta cambiando la geopolitica di questi Paesi». Il Sud accoglie meglio le diversità islamiche di Francesco Romaldo Sono più tolleranti e hanno meno paura degli stranieri. I meridionali battono il Nord in accoglienza e ospitalità. Secondo il rapporto della Fondazione Leone Moressa, centro studi di Mestre, la maggior parte degli abitanti del Mezzogiorno ha dichiarato che la discriminazione verso gli immigrati è ben poco diffusa nel territorio in cui vive. Diverse le risposte al Nord e al Centro dove si riscontra una maggiore percezione della disparità. La differenza etnica è quindi meno sentita al Sud, ma proprio lì questa tendenza sembra in crescita. Oltre un terzo dei cittadini dell Italia meridionale e insulare avverte un aumento di episodi di razzismo nell ultimo anno. Una percentuale maggiore rispetto a quella del Nord e del Centro e che supera la media nazionale, pari al 33,2 per cento. In ogni caso il 42 per cento dei meridionali non ha riscontrato un significativo aumento dei casi di razzismo, in linea con la percezione nazionale. L immigrazione sembra, comunque, turbare ancora gli italiani che collocano al terzo posto, dopo disoccupazione e criminalità, il problema della presenza straniera. E se il Sud è più tollerante, Napoli ne è un esempio. Crocevia di culture e tradizioni diverse, il capoluogo campano è da sempre abituato all arrivo di stranieri. Per facilitare l integrazione, il Comune di Napoli in collaborazione con Federconsumatori Campania, ha promosso il progetto Mondo Intero, tre sportelli (in piazza Municipio, corso Garibaldi e via dei Tribunali) a cui gli immigrati possono rivolgersi per chiedere informazioni. Per 4 mesi tre mediatori culturali saranno a disposizione degli stranieri per rispondere a domande su diritti di cittadinanza, orientamento formativo, ricongiungimento familiare, problemi riguardanti casa e lavoro. L obiettivo è quello di diffondere una cultura dell accoglienza e della solidarietà e andare oltre il semplice svolgimento di una pratica burocratica. «Spesso diamo informazioni pratiche commenta Ruwana Perera mediatrice culturale dell ufficio di piazza Municipio, ci chiedono come pagare le bollette, per esempio, o dove fare i test di italiano per la carta di soggiorno». Ruwana è cingalese, ma vive a Napoli da quando aveva 4 anni. «Esistono altri sportelli per gli immigrati conclude, ma sono tutti a pagamento. Il nostro, invece, è un servizio importantissimo per instaurare un filo diretto tra le istituzioni e gli stranieri». Comunità diverse unite nelle difficoltà C è anche il Subsahara segue dalla prima pagina La scintilla scoccata dal Web SPROZZILLO + FSOPRANI ciclo di lezioni magistrali anno VII UNIVERSITÀ DEGLI STUDÎ SUOR ORSOLA BENINCASA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA LA RAGIONEVOLEZZA DEL DIRITTO di Francesca Saccenti Appena si esce dalla stazione di Piazza Garibaldi, c è la zona del Vasto. E lì, dove sorge il mercato, che si concentra la maggior parte della comunità subsahariana di Napoli. Più lontano dal centro della città si raccoglie nel comune di Castelvolturno, in provincia di Caserta. Secondo i dati Istat del 2009 la comunità senegalese di Napoli è al primo posto con 359 residenti, il numero di quella nigeriana è di 276, Costa D Avorio 167, mentre quella ghanese è invece sul gradino più basso con 39. Provenienti, invece, dall Africa Orientale 152 somali, 133 dall Eritrea e 53 dall Etiopia. Il problema dell integrazione e dei rapporti tra le diverse comunità residenti a Napoli per alcuni non esiste, la vera difficoltà è la loro accettazione da parte dei napoletani. «Io non credo che si possa parlare di razzismo all interno delle diverse comunità. Mi riferisco in particolare modo a episodi di intolleranza tra quelle maghrebine e quelle subsahariane. spiega Fausto Amato del Comitato Solidale antirazzista -. Si chiamano fratelli tra loro, perché spesso trovandosi in situazioni difficili, in assenza del permesso di soggiorno e in condizioni di estrema povertà tendono a venirsi incontro, a darsi una mano nonostante le differenze culturali. In Italia, invece, tutti dicono di essere tolleranti, ma è solo una veste di facciata, del resto l ignoranza porta a dire spesso: non siamo razzisti però mia figlia nun s addà spusà cò nir». Una storia diversa è quella della comunità nigeriana di Napoli, che secondo il presidente dell Istituto Migrantes, Pasquale Silvestri, è perfettamente integrata e assorbita dalla cultura napoletana, tanto da aver dimenticato la sua storia passata: «Ormai sono due, tre generazioni di persone che sono arrivate a Napoli e hanno dimenticato le proprie tradizioni, le proprie origini. Stiamo infatti organizzando dei corsi per far recuperare ai ragazzi le proprie radici, la propria lingua. Del resto i figli degli immigrati adesso parlano napoletano». La rete si è offerta, sin da quando sono iniziate le rivolte nel Maghreb, prima come strumento di protesta del malcontento popolare, denunciando la corruzione e i soprusi che i cittadini, giorno dopo giorno, subivano dal regime. Poi si è trasformata come strumento di propaganda e ha consentito la rapida diffusione di video e immagini degli scontri, riuscendo a convincere anche i soldati a disertare gli ordini che arrivavano dall alto. Se è vero che pochi cittadini egiziani, tunisini o libici possiedono un computer con accesso a Internet, la maggior parte ha telefonini in grado di collegarsi alla rete. Postare le immagini registrate con i telefonini sul web è un attimo. In questo modo è stato possibile che le reazioni violente di polizia e militari venissero trasmesse quasi in tempo reale sul web. Youtube è stato utilizzato dagli attivisti per postare i video promozionali: passerà alla storia il video delle proteste, abilmente montato dai giovani egiziani, cliccato in tutto il mondo due milioni di volte. Da qui l effetto emulazione negli altri paesi. Tunisia, Egitto, Algeria e Libia potrebbero essere, oltretutto, solo l inizio. Molti osservatori temono che la lotta popolare possa allargarsi a macchia d olio: Marocco, Siria, Giordania potrebbero essere i possibili prossimi obiettivi del desiderio di libertà della gente africana. Una prospettiva che potrebbe modificare in modo radicale gli equilibri mondiali e il rapporto tra Occidente e paesi arabi. Grazie alla rete si è diffuso rapidamente il sentimento di libertà e di ribellione, che ha avuto un ruolo fondamentale, più dei volantini, più dei comizi popolari. Quando i regimi si sono accorti che Internet stava diventando pericoloso, e che bombardare e reprimere serviva a ben poco, se non ad aumentare mediaticamente in rete il malcontento dei rivoltosi, i regnanti hanno pensato di spegnere le comunicazioni. Un black out totale: il 28 gennaio in Egitto e poi il 19 febbwraio in Libia. Niente telefonini, niente Internet e quindi niente immagini. E avvenuta una disconnessione della rete dai circuiti nazionali e internazionali. Lo spegnimento della rete è, però, una misura talmente drastica e pericolosa che non è possibile sostenere a lungo. I danni economici che produce sono disastrosi. Per questo i regimi africani hanno agito tentando di bloccare prima i singoli siti e poi bloccando le comunicazioni cellulari. Anche Twitter ha avuto problemi, ma i suoi tecnici, decentrando i server, hanno saputo aggirare l ostacolo della censura. Inoltre attivisti per i diritti umani e hacker locali hanno offerto agli insorti strumenti in grado di aggirare la censura e garantire la privacy senza essere scoperti. I giovani nord africani sono stati così in grado di comunicare liberamente e accedere a contenuti bloccati nascondendo l identità del proprio punto d accesso alla rete. Il tutto con una velocità che ha sorpreso tutti, a partire dalle grandi potenze economiche europee e mondiali. Anche dove la presenza delle telecamere televisive è limitata, l occhio dei nuovi media è riuscito ad arrivare, confermando sempre di più che il modo di informare e di fare giornalismo sta cambiando radicalmente. A.C.

4 A SUD DELL EUROPA, A NORD DELL AFRICA pagina 6 inchiostro n. XIV 2011 pagina 7 Napoli capitale del mare tra mito e realtà Capasso, Gambalonga e Scotto di Luzio si interrogano sul futuro della città di Marco Borrillo Una vasta letteratura ha da sempre celebrato il mito di Napoli capitale del Mediterraneo. Siamo di fronte a un mito o a una consolidata realtà? «È una questione che trovo intollerabile - tuona Adolfo Scotto di Luzio, napoletano d origine e docente di storia all Università degli Studi di Bergamo -. La favorevole posizione geografica di Napoli è una mera premessa. Vedo solo volontarismo». Il suo punto di vista è cinico e disincantato. «Ma perché si continua a inseguire questo mito del Mediterraneo? È nato alla fine dell Ottocento da un profondo senso di fede che si era diffuso nell elite cittadina. È l estetizzazione della miseria, l espressione di una classe dirigente che continua a sognare sfondi gloriosi e luccicanti come il mare che abbaglia». Solo abbagli dunque, anche in relazione agli ultimi fatti: «Napoli non ha nulla da offrire ai migranti in fuga dai propri Paesi e loro passano per Napoli in maniera molto marginale. In tutta questa storia Napoli non c è proprio. Il sogno del Mediterraneo è l esasperazione dell emarginazione economica che vive la città. Se l amministrazione non è in grado di togliere la spazzatura dalla strada come può sognare di dominare il Mediterraneo? Più la città è soffocata dai suoi problemi più sogna di trovare fortuna nelle acque del suo mare». Oggi più che mai l area del Mediterraneo è al centro del grande dibattito internazionale. «Siamo in prima linea per aiutare e far rientrare in Europa le varie comunità colpite dagli ultimi tumulti», spiega Michele Capasso, presidente della Fondazione Mediterraneo. Si tratta di un importante rete per il dialogo tra le società e le culture nell area euro-mediterranea. La sede principale della Fondazione, con la Maison de la Paix, la Casa Universale delle Culture, è a Napoli, nello storico edificio dell ex Grand Hotel de Londres. «Sono stato in Libia qualche settimana fa - racconta Gambalonga: La città ha perso la sua centralità per la cattiva politica Scotto di Luzio: La favorevole posizione geografica è una mera promessa Capasso -. Si tratta di qualcosa ancora più grande di quello che vediamo, molte più vittime di quelle finora rese note. Gheddafi è un folle. Sta pagando dei mercenari per reprimere la rivolta con o euro per ogni persona ammazzata». In Libia come negli altri Stati della fascia nord-africana la tensione resta alta. «La nostra mission - spiega Capasso - è unire i popoli del Mediterraneo nel segno della pace. Abbiamo regalato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano un piccolo Totem della Pace, il nostro simbolo, opera dello scultore torinese Mario Molinari. Rappresenta la pace nel mondo e nel Mediterraneo.Uno più grande lo installeremo a Torino il 4 maggio». Come Capasso anche Carlo Gambalonga, ex vicedirettore dell Ansa, è molto legato alla questione mediterranea. È l uomo che si è battuto per la creazione di Ansamed, il portale online dell Ansa nato nel 2004 e dedicato alle questioni del nostro mare. «Ho creduto tanto in questo progetto - dice Gambalonga - per avviare un dialogo con questi Paesi. Non a caso il progetto è nato a Napoli». Una scelta mirata vista la posizione strategica della città e non solo: «Ho visitato questi Paesi in occasione di vari eventi legati ad Ansamed e ogni volta ho riscontrato che per loro Napoli è qualcosa di importante, per la sua capacità di accoglienza e integrazione. Basta guardare una foto di fine 800 del Cairo o di Tunisi per notare quanta similitudine c è Cercola: Oggi il commercio con l Africa passa da Milano Oltremare, un legame d altri tempi di Giulia Savignano La Mostra d Oltremare Concepita per celebrare la politica coloniale del regime fascista, la Mostra d Oltremare venne realizzata a Napoli per la posizione strategica che la città occupava e per promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno. «Napoli era la porta delle colonie del Mediterraneo spiega Raffaele Cercola, ex presidente della Mostra d Oltremare e artefice del rilancio del complesso in questi anni. Il legame con quelle terre veniva riproposto perfettamente nell impianto urbanistico della mostra». Cercola ha evidenziato le quattro linee direttrici attraverso le quali si sviluppava questa relazione: politica, economica, storica e geografica. Se l anima delle prime tre, rappresentata dalla politica espansionistica dell Italia verso l Oriente e dalla relativa propaganda del regime, si è progressivamente persa nel tempo, il legame geografico è rimasto pressoché intatto. L impianto urbanistico era costituito da 36 padiglioni espositivi immersi in aree di verde, ricche di essenze importate dalle terre d origine che riproponevano ognuna le colonie d Oltremare in ogni aspetto, dalla vegetazione all architettura. Progettata come Esposizione tematica universale, venne inaugurata con la Mostra Triennale delle terre italiane d Oltremare. Caduto poi il dominio dell Italia sulle colonie, la Mostra divenne permanente perdendo l espressione delle terre italiane nella sua definizione originaria. Dallo stato di abbandono del dopoguerra alla riqualificazione che l ha trasformata in una società per azioni, la Mostra continua a ospitare manifestazioni turistiche e sportive, eventi culturali e congressi, ma il legame con le terre d oltremare è ormai solo un ricordo. «La città ha perso il suo predominio in questo pezzo di mondo. Oggi l 80% dei traffici con l Africa del Nord passa per Milano riconosce laconico Cercola. Le comunicazioni oramai avvengono via internet, le rotte commerciali seguono quelle aeree. Un tempo le grandi civiltà nascevano sul mare, come quella cinese, azteca e greco-romana. Napoli ha approfittato di quel vantaggio. Un tempo nella nostra città si formava la classe dirigente del Mediterraneo, ruolo che oggi è della Francia; oggi l unica traccia di quel legame è la Fondazione Mediterraneo». L ex presidente della Mostra candida senza indugi la città partenopea a ospitare la sede della Banca Euromediterranea, «perché solo portando le istituzioni in città Napoli potrà capitalizzare la sua posizione». Rilancia, inoltre, in occasione del Forum delle Culture, l idea di un parco archeologico temporaneo nella Mostra. «Avevo suggerito di raccogliere nella Torre delle Nazioni i reperti di paesi come la Siria o la Libia, così da permettere anche a chi non viaggia di conoscere quelle terre. Un occasione per riunire tutte le civiltà del mondo, dando priorità a quelle del Mediterraneo». con una stessa foto di Napoli all epoca». E sulle potenzialità di Napoli spiega: «Oggi purtroppo ha perso la sua centralità a causa della cattiva politica. Il Governatore Caldoro ha un profondo senso di unione col Mediterraneo e può fare qualcosa di importante per migliorare la situazione». Una passione per il Mediterraneo, quella di Gambalonga, che riconosce a Napoli quantomeno la funzione storica di capitale del Mediterraneo. L Incontro delle culture del 2013 Il Forum non decolla di Anna Elena Caputano Vico Maffei 4, centro storico di Napoli, nei pressi di San Gregorio Armeno. Terzo piano dell ex Asilo Filangieri, sede del Forum delle Culture, ore 11 di un venerdì mattina. Per poter parlare con qualcuno sugli ultimi aggiornamenti della manifestazione che si terrà dal 10 aprile al 21 luglio 2013 si deve attraversare un lungo corridoio. A rispondere alle domande c è Mario Bologna, direttore della programmazione della Fondazione del Forum delle Culture. Tra due anni si apre la quarta edizione del Forum, dopo Barcellona 2004, Monterrey 2007 e Valparaiso Al momento, però, nulla è stato definito a causa della riorganizzazione interna alla struttura. «Stiamo discutendo le fasi di preparazione del programma e siamo in attesa del nuovo comitato scientifico e del Cda - dichiara il direttore -. Le iniziative più importanti, però, sono state programmate e alcuni dei temi fondamentali sono stati definiti. Ci saranno varie mostre, tra cui quella organizzata in collaborazione con l istituto arabo di Parigi, quella archeologica sul tema della nascita della polis e quella sull arte contemporanea europea. Inoltre sono previsti dialoghi con personalità del mondo scientifico, che sono stati già definiti e contattati». Il Forum durerà 101 giorni e ospiterà simbolicamente 101 città. Il tema scelto è la memoria del futuro, perché il capoluogo partenopeo incarna una città che parte dalle sue origini greche e arriva alla multiculturalità attuale. Una sezione speciale sarà dedicata ai Paesi del Mediterraneo. «Abbiamo invitato al Forum tutti i Paesi di quell area e la fascia del Maghreb è la prima diretta interessata - conclude -. L organizzazione dell evento viene a coincidere proprio quando stanno avvenendo grandi trasformazioni nel Mediterraneo. La cultura, in questo caso, diventa lo strumento fondamentale per il dialogo». Rivolte? Prendiamoci noi i turisti Offerte competitive per attrarre i vacanzieri in fuga dall Egitto di Sergio Napolitano I primi mesi del 2011 hanno segnato e scritto la storia dell area del Mediterraneo. Secondo il presidente della Camera di Commercio di Napoli, Maurizio Maddaloni, il capoluogo campano, storicamente meta commerciale, se risulta attento a cogliere l occasione della crisi dei paesi Nordafricani ne può trarre benefici. Ancora una volta è necessario puntare alle eccellenze campane e, soprattutto, alla competitività dei prezzi per avviare una nuova stagione di sviluppo delle relazioni euro mediterranee. Presidente Maddaloni, quali sono gli attuali rapporti commerciali con l area del Mediterraneo interessata dagli scontri di questi ultimi mesi? Innanzitutto è importante sottolineare che l export delle imprese dell area metropolitana di Napoli, secondo le più recenti statistiche dell ente camerale, realizza percentuali di incremento elevate. Anche rispetto alla media nazionale. Sul totale dell Africa settentrionale, nel 2010 c è stato un incremento del 2,4 per cento. E l onda lunga della crisi, per tutto lo scorso biennio, non ha travolto le imprese con sbocchi nei mercati del Maghreb. Stesso discorso anche per l import, dove però, secondo le rilevazioni del primo periodo 2010, c è stato addirittura un aumento del 36,4 per cento, con i comparti del tessile e mezzi di trasporto nei primi posti della classifica di beni e servizi acquistati sul totale estero. Che rapporti c erano prima degli scontri? E ora come è cambiata la scena commerciale? È difficile fare una valutazione immediata dell impatto sul volume di Maddaloni: L opinione pubblica incide sulle sorti delle mete turistiche import-export, rispetto ai consolidati traffici commerciali tra le imprese del napoletano e i paesi del Nordafrica alle prese con le guerre civili e il mutamento degli assetti governativi. Secondo una prima valutazione, non ci sono particolari variazioni per quanto riguarda i rapporti con la Tunisia e l Egitto. In che modo si inserisce nei rapporti con il Mediterraneo il progetto di questi giorni di dirottare i flussi turistici dell area del Mediterraneo verso le nostre terre? È sempre il mercato che decide le sorti delle località turistiche. Ma in questo settore per, l opinione pubblica di Livio Pane «Bisogna accelerare i programmi di sviluppo del porto, per farci trovare pronti quando la crisi mondiale terminerà». Luciano Dassatti, presidente dell Autorità Portuale di Napoli rilancia le ambizioni dello scalo partenopeo dopo i risultati ottenuti negli ultimi anni. Nel 2010 il traffico commerciale è aumentato di circa 3 milioni di tonnellate, mentre i container sono risultati in più rispetto al Dati incoraggianti, confrontandoli con la media nazionale ed europea, che accendono i riflettori sulle potenzialità dello scalo campano. Il mare continua ad essere una delle risorse principali nella regione, ma la mancanza d infrastrutture e investimenti ne limita il reale potenziale. Il 2011 sarà un anno fondamentale, ha affermato il presidente Dassatti, riferendosi al rifacimento del waterfront, ai lavori per realizzare il terminal di Levante e i progetti per Castellammare. Dopo anni passati ad ammodernare e a potenziare le infrastrutture, questa volta i lavori, quando termineranno, trasformeranno in maniera decisa l assetto urbanistico della città. Un porto nuovo per competere con i grandi Una spiaggia di Sharm el Sheik deserta a causa delle rivolte globale gioca un ruolo fondamentale. Se in Egitto continuano gli attentati presso le mete turistiche, e lo stesso può valere anche per la Tunisia, allora i flussi internazionali dovranno trovare uno sbocco immediato dove c è un offerta competitiva. Come può Napoli sfruttare questo determinato momento storico a proprio vantaggio? E la Campania? L area metropolitana di Napoli e la Campania, devono saper intercettare quest occasione. Come ente pubblico siamo impegnati, proprio in questi mesi, a realizzare una serie di campagne promozionali invitando giornalisti e operatori europei direttamente nei nostri luoghi per invitare direttamente lettori e viaggiatori a trascorrere le loro vacanze da noi. Puntando sulla qualità della nostra offerta turistica e sui prezzi sicuramente competitivi anche per la stagione che va a incominciare. In rapporto alla storia che in questi giorni si sta scrivendo, a suo avviso, questo è un momento positivo o negativo per la città partenopea? La città di Napoli, per vocazione naturale, geografica e per la sua lunga storia commerciale, rappresenta il baricentro ideale per rafforzare il sistema degli scambi nel Mediterraneo. C è una lunga tradizione in questo senso, anche e soprattutto culturale che conferma questo ruolo da interpretare, con nuova linfa, anche per il futuro. Come per la crisi finanziaria globale, anche gli accadimenti di questi mesi nei paesi del Nordafrica, possono rappresentare un occasione imperdibile per avviare una nuova stagione di sviluppo delle relazioni euro mediterranee, con l apporto fondamentale di tutti gli attori economici e sociali dello sviluppo. L ammiraglio Dassatti analizza le ricadute sul trasporto via mare Effetto crisi: traffici marittimi in calo a causa delle tensioni in Nord Africa scali del Mediterraneo, è l idea del presidente Dassatti che afferma: «Chiederò la collaborazione delle Istituzioni locali, del Governo e degli imprenditori. I grandi risultati si conseguono con la collaborazione di tutti». È della stessa idea anche il presidente della Provincia Luigi Cesaro, che in occasione dell inaugurazione della 42 edizione della fiera Nauticsud ha dichiarato: «Dobbiamo collaborare insieme alla Regione L ammiraglio Dassatti e ai Comuni per il rilanciare il porto di Napoli. Solo facendo sistema e praticando politiche per il mare condivise e propositive sarà possibile innescare una crescita nel settore turistico e commerciale». La crisi politica In Nord Africa, potrebbe aprire a nuove rotte commerciali e turistiche anche per Napoli. La chiusura dei porti in Libia, e il clima incandescente che si respira in Egitto, hanno portato ad un calo nei traffici marittimi. Presto si potrebbero creare delle nuove rotte nel Mediterraneo. Napoli nel caso in cui questo avvenga, deve farsi trovare pronta. In Tanzania ad esempio sono cominciati da alcuni giorni i lavori di drenaggio al porto di Dar es-salaam, per renderlo più profondo e permettere anche a navi con un pescaggio maggiore di potervi accedere. È la dimostrazione che anche altri porti stanno attuando trasformazioni volte all ampliamento dei propri bacini. È questa la strada da seguire per rilanciare il commercio nel Mediterraneo. segue da la prima pagina La capitale inconsapevole Mentre raccontiamo l ansia dei maghrebini in città che guardano ai loro Paesi in subbuglio, tra rivolte e instabilità politica, scopriamo che la situazione sulle sponde meridionali del Mediterraneo potrebbe diventare un vantaggio per la Campania. In particolare il turismo e i traffici commerciali potrebbero spostarsi dal Nord Africa sempre più verso Napoli. E se dal punto di vista culturale, con le università che hanno corsi ad hoc sul Maghreb e la popolazione che è tra le meno razziste d Italia, il capoluogo campano potrebbe a tutti gli effetti riprendersi una centralità non solo geografica nel Mare Nostrum, ciò che manca sono le infrastrutture. Alla Mostra d Oltremare di mussoliniana memoria, costruita per far diventare Napoli la porta delle colonie del Mediterraneo, è seguito ben poco: ancora oggi aspettiamo un waterfront che unisca il porto con la città e la rilanci nell immagine e nei servizi. E alle porte il Forum delle culture 2013, che dopo l assestamento post elezioni regionali, si avvia a essere le sfida più prossima per la città. Una sfida che non è detto Napoli vincerà. Il rapporto ambivalente tra la città e il mare tutto partenopeo si rispecchia anche nelle opinioni. Carlo Gambalonga, ex vicedirettore dell Ansa di origini non campane, crede nella centralità politica ed economica di Napoli nel Mediterraneo, tanto da fondare nell azienda da lui diretta una sezione apposita, l Ansamed con sede a Napoli, per intavolare un dialogo con i paesi al di là del mare. Di contro Adolfo Scotto Di Luzio, professore universitario e napoletano doc, vede tutto come una mitologia in cui la città si rifugia per dimenticare la sua incapacità di organizzarsi anche solo per smaltire i rifiuti: un nascondersi auto-celebrativo dietro il proprio passato e nelle proprie possibilità per non vedere la miseria del presente. Mentre il neo governatore Stefano Caldoro afferma di crederci, aspettiamo il nuovo sindaco con la speranza di un proficuo dialogo tra le istituzioni che ridia centralità non solo regionale a Napoli. Allora, fra qualche anno, si capirà se diventeremo una vera capitale o continueremo a essere una mera e poco invidiabile provincia del mare che tanto nostrum non è più. R.N. Il vocabolario arabo-napoletano a cura di Emanuela Vernetti Abbezzéffe: abbondantemente. Arabo: Biz zaf Acciacco: malanno. Arabo: saqqa Ammuina: confusione. Arabo: Mahna Azzimato: persona curata. Arabo: al- azm Mammalucco: sciocco. Arabo: mamluk Cantaro: vaso. Arabo: quintar Carcioffola: carciofo. Arabo: Harsuf Carmusino: rosso. Arabo: quirmizi (tinta armena) Carato: unità di misura di materiali preziosi. Arabo: qirat (parte di un dinaro) Carrafa: caraffa. Arabo: quaraba Caruso: testa rapata. Arabo: karawwas Cafè: caffè. Arabo: qahwa Ciofeca: bevanda scadente. Arabo: safaq Chintale: quintale. Arabo: quintar Limon: limone. Arabo: laymun Mafia: millanteria. Arabo: mahjas Mesale: tovaglia. Arabo: misar Maccaturo: fazzoletto. Arabo: maqdar Matarazzo: materasso. Arabo: matrah Mazzamma: di poco pregio. Arabo: mushamma (salume di tonno) Mulignana: Melanzana. Arabo: badigan Ntufare: riempirsi di cibo. Arabo: tafa Sansano: mediatore. Arabo: simsar Tauto: bara. Arabo: tabut Tamarro: persona rozza. Arabo: tammar (venditore di datteri) Zafferanno: zafferano. Arabo: za faran

5 A SUD DELL EUROPA, A NORD DELL AFRICA pagina 8 inchiostro n.xiv 2011 pagina 9 Quando Napoli era il baricentro In pieno Rinascimento Alfonso d Aragona dà inizio a un periodo d oro per la città L Islam partenopeo è aperto al dialogo Parlano gli Imam: fede, integrazione e impegno sociale nel nome di un solo Dio di Cristiano M.G. Faranna La Sinagoga cittadina in via Cappella Vecchia La Chiesa greco-ortodossa dei santi Pietro e Paolo La Fortezza di Lucera, dimora dei saraceni di Federico II L arco di trionfo sulla facciata del Maschio Angioino, voluto da Alfonso Il Magnanimo per celebrare la conquista del Regno ( ) Martedì 22 febbraio 1443 re Alfonso d Aragona entrò per la porta del Mercato, e prima lo suo entrare fece rompere, et abbattere tante canne dalle mura della Città di Napoli trionfando come l antichi Sovrani. Gennaro Maria Monti narra così le celebrazioni volute dal sovrano catalano all atto di diventare rex utriusque Siciliae, cosi come nominato da papa Clemente IV. Il monarca magnanimo condusse per 16 anni il Mezzogiorno senza mai più metter piede in territorio Iberico, facendo di Napoli il centro dei suoi domini e la capitale del Mediterraneo. Un sogno compiuto a metà, a causa del permanente stato di guerra vigente in Europa che rallentò i traffici e i commerci nella capitale del reame, nonostante l allargamento del porto e la creazione di uno spazio dedicato solamente agli sbarchi commerciali. Eppure in quegli anni diverse etnie vennero all ombra del Vesuvio, sia per questioni economiche che per sfuggire alla guerra. Erano gli anni in cui prepotente emergeva l Impero Ottomano che, guidato da Maometto II, conquistò Costantinopoli. Nel Regno non mancavano presenze arabe. A Lucera c erano ancora i discendenti dei guerrieri mori al soldo degli Hoenstaufen. Affari e sangue si mischiano nella storia tra la città e il suo rapporto con gli arabi. Atti di pirateria erano commessi sia dalle flotte saracene che da quelle partenopee. Fiore all occhiello dell economia napoletana era il lino, tanto che i musulmani conoscevano la città sin dall Alto Medioevo per le preziose manifatture prodotte nella zona del Duomo. Cola d Alagno, padre di Lucrezia, amante preferita del re, fu ambasciatore a Tunisi presso la dinastia berbera degli Hafsidi, ottimi imprenditori capaci di sfruttare le carovane per congiungere il Maghreb con la via della seta. Gli Ottomani rimescolarono le carte in tavola, ciò nonostante il re d Aragona mantenne i rapporti con l Albania, i Balcani, l Egitto e persino l Etiopia. Le sfide più atroci furono con Genova, che Napoli riuscì a porre sotto assedio, ma la morte di Alfonso fece prevalere le richieste di pace fatte dai siciliani, preoccupati per il naufragare del commercio di grano. Alleanze altalenanti furono strette con la Serenissima Repubblica di Venezia in funzione antiturca. La caduta dell Impero d Oriente portò a Napoli una folta comunità greco-ortodossa tra cui lo stesso Demetrio Paleologo, fratello dell ultimo imperatore Costantino e despota del Peloponneso. Il nucleo maggiore giunse dall Epiro nel 1487, sotto il regno di Ferrante, figlio naturale del Magnanimo, che diede loro libertà di culto e il permesso di organizzarsi come uno stato in esilio mantenendo le leggi dell Impero. Nel XVI secolo la comunità si arricchì di persone provenienti da Patrasso e Modone. Il nucleo principale si strinse intorno alla chiesa oggi dedicata agli apostoli Pietro e Paolo, alle spalle di via Medina, proprio di fronte alla Rua Catalana. Ferrante diede accoglienza anche agli ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna unificata nel 1492, a opera di suo cugino Ferdinando II e di Isabella di Castiglia. La comunità napoletana risaliva al I secolo dopo Cristo e si era insediata nelle viscere della città, tra Forcella e la zona del convento di san Marcellino. Il Vicus Iudaeroum era un cardine del tessuto romano che fungeva da collegamento tra il decumano maggiore e Porta San Gennaro. Sotto il regno di Federico II tutti gli ebrei del Mezzogiorno godettero di particolari privilegi e furono sottratti al dominio di feudatari e clero. Nel 1473 nella città fu inaugurata la prima stamperia ebraica del mondo. La sorte mutò alla caduta di Ferrante. In epoca di viceregno con una forte imposizione tributaria gli fu chiesto praticamente di andarsene e poterono tornare solamente nel 1735, grazie a Carlo III di Borbone. Presenza significativa è anche quella dei siciliani, i fratelli del regno al di là del faro, secondo il confine naturale dello Stretto. Si insediarono nei vicoli intorno piazza Mercato, immergendosi totalmente nella vita del popolo, così come racconta Giovanni Boccaccio in Andreuccio da Perugia, nella seconda giornata del Decameron, rendendo protagonista delle disavventure del giovane borghese umbro una prostituta sicula. E soprattutto si impose a corte l intellighenzia iberica. Catalani, aragonesi e castigliani assunsero le posizioni dominanti soppiantando i francesi. Nel variegato scenario vesuviano un posto particolare meritano i fiamminghi, chiamati a corte da Roberto D Angiò, il re pittore. La colonia si protrarrà a Napoli per parecchi secoli producendo artisti come Cornelis Smet e mecenati come Gaspare Roomer, munifico benefattore del monastero di Santa Maria Maddalena dè Pazzi al Salvator Rosa. Tra Soccavo e Fuorigrotta l insediamento delle famiglie estromesse dalla Libia Gli italiani cacciati da Gheddafi di Marco Cravero Il 20 settembre 1970 circa 20mila persone ritornarono in Italia, espatriati dalla Libia di Gheddafi, appena insediatosi al potere. Il Colonnello rinsaldò la rivoluzione che gli aveva permesso di scalzare il re con le politiche anti-italiane. Molti di loro sbarcarono a Napoli, dove fu subito predisposto un centro di accoglienza per i profughi. Alcuni restarono, trovando nel capoluogo partenopeo una nuova patria: tra questi c è Antonio Corbisiero, oggi 75enne, nato a Tripoli ed espropriato, in quel lontano 1970, del suo negozio di alimentari vicino alla piazza Verde: «Era splendido, a due passi dal punto in cui sorgeva la cattedrale che noi italiani avevamo costruito. Oggi lì c è una moschea, appare sempre nelle immagini che arrivano in tv». La famiglia Corbisiero ha origini lontane: «Mio nonno era di Nola, ma aveva origini friulane. Mio padre invece partì per l America, poi andò in Libia seguendo le migliaia di italiani che scelsero la nuova colonia per cercare fortuna. Anche mio figlio, che oggi ha 50 anni, è nato a Tripoli». Secondo l Associazione italiani rimpatriati dalla Libia, a Napoli oggi sono circa 40 le persone che nel 70 furono spogliate di tutti i loro averi e cacciati dal suolo libico. «Siamo in contatto con una ventina di loro - spiega Giovanna Ortu, presidente dell associazione -. La maggior parte di loro si è stabilita a Latina, Roma, Pescara e in Sicilia». Il problema di dare una residenza ai rimpatriati di Napoli fu presto risolto: a loro furono assegnate molte abitazioni del rione Canzanella a Soccavo, appena costruite grazie al progetto Ina- Casa. E nel quartiere flegreo la famiglia Corbisiero ha riaperto il negozio di alimentari che aveva perso a causa dell esproprio, con una piccola variante: «Quello che avevamo a Tripoli si chiamava La Il cammino d Israele I secolo d.c. Primo insediamento ebraico a Napoli Federico II esenta la Comunità dai tributi a clero e nobili 1492 Re Ferrante accoglie i sefarditi cacciati dalla Spagna Napoletana, da oltre trent anni ne gestiamo uno a via Epomeo che abbiamo chiamato La Tripolina». Dietro la cassa due fotografie: «Nella prima ci siamo io e mio padre davanti al negozio, nell altra c è mio nonno a cavallo sul lungomare di Tripoli. Era un grande amante dei cavalli». Nonostante siano passati molti anni, il legame con la terra natìa è ancora forte: «Tripoli l abbiamo fatta noi italiani, era una città meravigliosa. Quel personaggio (Gheddafi) ci sequestrò tutto dicendo che eravamo fascisti. Guardo con amarezza a quello che sta succedendo in questi giorni in Libia, speriamo si risolva tutto per il meglio. Se penso che Berlusconi gli ha baciato le mani quando è venuto in Italia, che cosa indegna».corbisiero ricorda orgoglioso quello che la colonia di italiani in Libia ha fatto per il Paese: «Anche il petrolio, sa chi l ha trovato? Fu Ardito Desio, lo scalatore friulano, nel 1922, molto prima di Gheddafi e dell Eni». Da un paio d anni è stato abolito il divieto di entrata sul suolo libico per gli italiani espatriati quarant anni fa. Qualcuno è tornato nei luoghi della propria infanzia e giovinezza, non il signor Corbisiero: «Non le nascondo che tornare a Tripoli e vedere i nostri locali ormai proprietà di altri mi farebbe piangere il cuore. Chissà, magari quando si tranquillizzerà la situazione ci andrò». Lungomare di Tripoli prima dell espatrio degli italiano di Pasquale Napolitano Agostino Yasin Gentile è un musulmano campano e la sua storia è significativa. Trentaquattro anni, nativo di Boscoreale, è stato il primo italiano a laurearsi all Università islamica di Medina in Arabia Saudita. Convertitosi a 22 anni, nel 1996, oggi è l Imam della moschea di piazza del Mercato. In base a una ricerca del centro statunitense indipendente Pew Research, l Italia non è in cima alle classifiche per presenza di musulmani, che rappresentano un quarto della popolazione mondiale (ovvero 1,57 miliardi di persone). La maggioranza vive in Asia; in Europa quattro musulmani su dieci vivono in Russia che, con 16 milioni, supera Giordania e Libia. Quanto all Italia definita uno degli Stati con «la più piccola popolazione di musulmani in Europa, con meno dell 1 percento di abitanti» i ricercatori americani ammettono l esistenza di dati contrastanti e che il numero di abitanti di fede islamica oscilla tra i 30 mila e 1,5 milioni. Il venerdì, in piazza del Mercato a Napoli, pregano circa 1500 persone. Per mancanza di spazio, molti fedeli sono costretti a occupare il tratto di strada antistante l ingresso principale della moschea. di Violetta Luongo Agostino Yassin Gentile recita spesso sermoni molto duri, parlando con severità ai fedeli e condannando la violenza. L Imam si adopera quotidianamente per l integrazione e per difendere il diritto ad avere un luogo di culto dove professare liberamente il proprio credo. Il suo nome è legato soprattutto a un episodio: il 27 gennaio 2009 Agostino si è recato ad Auschwitz, con una delegazione della Provincia di Napoli, a pregare per le vittime dell Olocausto. Una scelta che ha fatto discutere, ma che ha avuto anche molti apprezzamenti. «Non ho pensato neanche un attimo di rifiutare: ho anzi accettato con gioia», si legge nella dichiarazione dell Imam, riportata due anni fa da un sito web islamico, minareti.it. «Le religioni hanno il dovere di essere vicine alle vittime - continua - e hanno il dovere di dialogare: cristiani, ebrei, musulmani. Abbiamo tutti un solo Dio». Il viaggio è avvenuto proprio mentre si consumava la guerra tra Israele e Hamas: «Condanniamo Il venerdì di piazza Mercato: la preghiera di 1500 fedeli in strada per mancanza di spazio Una storia complessa: ritorni ed esodi degli ebrei nel Sud d Italia. La comunità ebraica di Napoli è tra le più antiche d Italia: i primi insediamenti risalirebbero al I secolo d. C. e si sarebbero protratti quasi senza interruzioni fino ai giorni nostri. Giancarlo Lacerenza, docente di lingua e letteratura ebraica all Istituto Orientale di Napoli nel libro I quartieri ebraici di Napoli, ha illustrato la storia della presenza ebraica in città: i principali insediamenti cittadini erano dislocati nel Vicus Iudaeorum all Anticaglia, sull altura di Monterone o di San Marcellino, nelle zone di Forcella e di Portanova. La Giudecca di Portanova è stata la più estesa di quelle napoletane, dove gli Ebrei avevano impiantato fin dal periodo svevo varie attività connesse alla lavorazione e al commercio dei tessuti. Francesco Lucrezi, studioso dell ebraismo e professore nella cattedra di Diritti dell antico Oriente Mediterraneo nell università di Salerno racconta la situazione attuale: «In Italia ci sono 21 comunità ebraiche, quella di Napoli è l unica a sud di Roma. Sono 200 gli ebrei iscritti alla comunità partenopea». Nel medioevo era il contrario: la presenza ebraica era maggioritaria nel Sud, con una ricca presenza nella zona flegrea e vesuviana. «Gli Ebrei furono espulsi dal regno di Napoli nel 1541, durante la dominazione spagnola specifica e vi tornarono soltanto due secoli dopo, richiamati dai Borbone, per un breve periodo dal 1740 al 1747, per stabilirsi poi definitivamente nel 1831, per interessamento della famiglia di banchieri tedeschi Rothschild, di origine ebrea. Per vari anni una sala della villa Pignatelli era stata adibita ad oratorio per gli Ebrei residenti e di passaggio a Napoli, per consentire loro di poter partecipare alle funzioni religiose». questa guerra come condanniamo tutte le guerre. Condanniamo il terrorismo di Hamas, che strumentalizza la religione per uccidere i civili. Sbagliando, perché non può esistere una religione di morte. Siamo contrari a qualunque atto criminale venga perpetrato verso qualunque essere umano». Altra moschea a Napoli è quella di corso Arnaldo Lucci. E l Imam, Amar Abdallah, a proposito di conflitti e responsabilità, sicuramente non le manda a dire: «L Italia ha subito garantito il suo sostegno alla rivolta provocata in Tunisia contro la dittatura ha dichiarato l Imam, manifestando con altri a sostegno della Libia mentre per la questione libica è stato tutto diverso: ho sentito parlare di gas, di petrolio. Quando un popolo è in rivolta, gli interessi economici a me non importano». Era la comunità più numerosa, sono rimasti solo in duecento La diaspora degli ebrei del Sud Dopo il 1861 tornò a Napoli la libertà di culto, tutti i templi non cattolici furono aperti con l unità d Italia. L attuale sede della comunità ebraica, con annessa sinagoga, si trova in alcuni locali del palazzo Sessa, al numero 31 del vico Santa Maria a Cappella Vecchia, e fu inaugurata il 19 giugno del Il rabbino della Sinagoga napoletana è di origine tripolina: Scialom Bahbout è rettore dell università ebraica Touro di Roma. Nel suo libro Ebraismo e Novecento. Diritti, cittadinanza, identità Lucrezi cita alcuni dati: Nel Novecento la comunità contava un migliaio di ebrei, che si ridussero a poco più di cinquecento dopo il secondo conflitto mondiale, per attestarsi all attuale numero di duecento, piuttosto esiguo se confrontato con i circa venti mila di Roma e i dieci mila di Milano. «Quanto alle funzioni espletate dalla Comunità conclude Lucrezi esse consistono principalmente nella cura del culto, il venerdì sera e il sabato mattina (shabàt) e nelle altre festività e nell amministrazione del patrimonio della Comunità: i locali di Cappella Vecchia e i due cimiteri di Poggioreale, uno dei quali, divenuto saturo nel 1963, custodisce circa 800 sepolcri». La memoria La strage dei marinai Procida non dimentica di Ernesto Mugione È uno dei tanti misteri d Italia. Jenjen, Algeria, è la notte tra il 6 e 7 luglio del 94 quando sette marinai campani della nave Lucina vengono sgozzati. E se l ex agente della sicurezza militare algerina non avesse raccontato che a compiere l eccidio sarebbero stati gli uomini dei servizi segreti del suo stesso Paese con l obiettivo di addossare poi la colpa ai fondamentalisti islamici, il nome delle vittime sarebbe rimasto impresso soltanto nella memoria dei parenti. Ecco perchè adesso Rosanna Mazzella Di Bosco vorrebbe che il mondo la lasciasse in pace. Suo marito, Salvatore Scotto di Perta, era il comandante della Lucina. E nessuno potrà mai restituirmelo, mormora con un filo di voce. Parole che riecheggiano anche nella voce di Assunta Coppola, vedova di Antonio Schiano di Cola, primo ufficiale di macchina a bordo del mercantile maledetto. Ho ottenuto una pensione dice. Di quello che raccontano ora non m importa più di tanto perchè niente e nessuno potrà far rivivere mio marito. Domenico Schiano di Cola, fratello di Antonio, riesce invece a non farsi travolgere dalle emozioni. E spiega: Abbiamo sempre sospettato che ci fosse qualcosa d oscuro in quella strage. Basta essere stati una sola volta in Algeria per rendersene conto. All ingresso del porto c era schierato un cordone di militari e centinaia di uomini in divisa a piantonare giorno e notte le banchine. Come potevano passare inosservati i terroristi?. Ma c e di più. Mio fratello e i suoi compagni conoscevano almeno uno dei loro assassini, altrimenti non avrebbero aperto. Le porte della nave non furono forzate e se il commando fosse giunto dal mare avrebbe dovuto inscenare una specie di arrembaggio. A distanza di 17 anni la ferita è ancora aperta. I viaggi verso il Nord Africa sono continuati perché a Monte di Procida si sbarca il lunario anche con questo. Un paese che di mare vive e muore. Il terrorismo La guerra santa partiva dal Golfo di Francesca Marra Negli anni 90 Napoli è stata una delle più importanti basi logistiche per il reperimento di armi e documenti falsi; ha rifornito il Fronte Islamico per la Salvezza grazie alla complicità della malavita locale. Dal popoloso quartiere Arenaccia, eletto a suk di extracomunitari e immigrati clandestini, in quegli anni sono partiti arsenali per i gruppi algerini del Gia e dell Ais, impegnati in attività terroristiche antigovernative nel loro Paese d origine. A scoprirlo un indagine della Digos partenopea che nel giugno del 1995 ha condotto all arresto di 12 persone, tra Napoli, Milano, Torino e Bologna, tutte ritenute affiliate al Fis algerino. Le accuse rivolte dalla Procura di Napoli alla presunta cellula terroristica sono pesanti: associazione sovversiva, traffico d armi, falsificazione dei documenti e banda armata. Tra gli arrestati c è anche Lounici Djamel. Già ricercato in Francia, estradato in Italia dopo essere stato condannato a morte nel suo Paese, è considerato il numero due in Europa del Fis. «L inchiesta è partita dall attività di monitoraggio dei soggetti presenti in città, con controlli alle due moschee del centro storico, per individuare potenziali sovversivi». Commenta il responsabile della sezione antiterrorismo della Digos che all epoca dei fatti si è occupato del caso sotto la dirigenza dell attuale Questore di Napoli Luigi Merolla. «Dalle intercettazioni telefoniche - continua - si è riuscito a delineare un quadro minuzioso e dettagliato della presenza dei soggetti appartenenti al Gia». Proprio da un intercettazione spunta un ordine di Djamel, in lingua araba, per un carico di pistole richiesto ai suoi fornitori algerini di stanza nel capoluogo partenopeo. La sentenza della Corte d Appello arriva il 16 marzo 2004: i 12 rifugiati in Italia vengono condannati dagli 8 ai 3 anni di reclusione. La pena più alta è inflitta proprio all esponente del Fronte, indicato dagli investigatori come «membro del comitato direttivo del Fis e a capo di una rete di approvvigionamento di armi dirette dall Europa verso l Algeria».

6 A SUD DELL EUROPA, A NORD DELL AFRICA pagina 10 inchiostro n. XIV 2011 pagina 11 Il Cairo e Tangeri raccontate come Napoli I vicoli partenopei come quelli arabi nei romanzi di Rea e Mahfuz, Ortese e Ben Jelloun di Gennaro Di Biase Il mare bagna Napoli come bagna il Sud del mondo. Le onde mediterranee legano i popoli con le stesse meraviglie e malattie: lo dice il cliché, lo dice la grande letteratura. E del 1999 L Albergo dei Poveri dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun. «Napoli ha una sorella gemella, Tangeri, tutto il testo non parlava che di Napoli descritta pensando a Tangeri, alle sue furfanterie immaginarie. Tangeri, immagine simmetrica di Napoli senza la camorra, gli assassini nei mercati». Ispirato da un finanziamento bassoliniano, è un romanzo postmoderno di odori forti, come quelli in cui è in pericolo il destino di chi scrive e si misura l anima del luogo descritto: «Napoli non si agita mai. Sa tenere testa a qualsiasi cosa tenti di trarla fuori dalla sua follia». Senza troppo togliere alla sua qualità letteraria, L Albergo dei Poveri è ricco di cliché. Il protagonista, abbando- In alto le stradine de Il Cairo in basso Spaccanapoli nata Marrakech, ritrova la linfa narrativa perduta grazie ai colloqui con una torbida vecchia nelle decrepite segrete dell edificio di piazza Carlo III. «La vita puzza», come dice la grassa donna, emozionando lo scrittore con storie napoletane scolpite nel sangue e nell azzurro dei millenni. Napoli è anche il Cairo: gemelle di vicoli rumorosi, di folla antica dai volti giovani disposta alla fede nel divino come alla violenza, alla rivolta come alla rassegnazione: «Il bazar - scrive l egiziano Nagib Mahfuz in Il vicolo del Mortaio (1947) - era fonte di rumore per tutto il giorno. Un continuo andirivieni di impiegati e un vivaio in merci in partenza e in arrivo. Le importazioni erano cessate a causa della guerra, ma il bazar aveva mantenuto la sua fama. E se la guerra aveva fatto diminuire l attività e i guadagni, in compenso aveva indotto Sayyd Selim a mettersi a commerciare in generi che prima non trattava e ad avventurarsi nel mercato nero, realizzando forti profitti». Torna in mente la borsa nera della donna Amalia di Napoli Milionaria, in un bilico indecidibile tra spensieratezza e morte, immoralità e lotta per la sopravvivenza. E questo bilico eterno che unisce il Mediterraneo. La stessa oscillazione che Domenico Rea comunica con Spaccanapoli del 1947: «Nel nostro mite paese, la guerra era giunta per fame; e la si seguiva, dai più istruiti, attraverso radio e gazzette, come un campionato di calcio. Ci si sfregava le mani per tutti nella speranza di una prossima disfatta; la quale, se costituiva un pensiero, lo si doveva al timore che il ritorno alla pace era anche quello della legalità commerciale e delle tasse sui profitti di guerra». E la Napoli violenta e viva dell interregno (tra il 43 e il 45, anni in cui l Italia era tedesca a Nord e americana a Sud). Nella parabola di Lenuccia, invitata dalla fame a prostituirsi con soldati forestieri ma ancora innamorata del marito in guerra, risuona tutta la passione di una città sempre stuprata e sempre vergine. Anche Il mare non bagna Napoli (1953) è pieno di sporcizia e sentimenti sinceri: «Un vero formicolìo di uomini seminudi scrive Anna Maria Ortese -, grigio il dorso, grigi i calzoncini, grigia la testa e le mani con cui lavoravano a rompere le pietre. Questa strada rimaneva ridente e terribile, come appunto l espressione d intelligenza e bontà che appare talora sul viso ai defunti. Era una strada defunta». Forse Napoli, Tangeri e il Cairo sono meno anomale di quanto desideri il cliché, ma leggere la Ortes e a mezzo secolo di distanza è ancora fronteggiare la realtà, partire dalla condizione di morte apparente in cui solo rinasce la vita, in cui la speranza è privilegio esclusivo di una condizione disperata. Non dissimile è oggi la condizione del Mediterraneo. Le melodie turco-napoletane Vacalebre: Una musica mediterranea per definizione di Alessandro Di Liegro La Napoli di Walter Benjamin è porosa e soggetta ad un continuo mutamento in cui l architettura, la cultura e il tessuto sociale sono in progressivo divenire. La metafora del filosofo tedesco di origine ebrea può essere facilmente presa in prestito per parlare della musica napoletana e delle influenze continue che ha ricevuto durante la sua secolare storia di Città Nuova e di principale centro commerciale e culturale del Mediterraneo. Si può datare la nascita della canzone napoletana intorno al tredicesimo secolo, quando Federico II di Svevia fonda l Università, si diffonde la passione per la poesia e si codificano i canti corali delle massaie napoletane. Il primo genere musicale nato a Napoli è quello della villanella, una forma di canzone profana, che influenzò la più tarda forma della canzonetta e, in seguito del madrigale. La villanella divenne una delle forme musicali più popolari in Italia verso la metà del XVI secolo e il suo argomento era generalmente rustico, comico e spesso satirico: di frequente si parodiava il manierismo della musica di allora, frequente ad esempio nei madrigali. Successivi sono altri generi che hanno tipizzato la musica napoletana come la Tammorriata e la Tarantella, maggiormente diffusi nelle zone interne della Campania. Nel XVII secolo compare il mandolino, figlio della mandola e del liuto, le cui radici affondano in quegli strumenti come l Al Ud (il legno) e il Saz (strumento musicale), facenti parte della più grande famiglia di strumenti denominata Tanbur, approdati in Italia a seguito degli scambi interculturali con il mondo arabo. «La musica napoletana è mediterranea per definizione». Ad affermarlo è Federico Vacalebre, giornalista musicale e consulente dell Archivio Storico della Musica Napoletana: «Napoli ha avuto la capacità di sussumere tratti melodici e testuali di tutte le diverse culture che sono passate o hanno orbitato per la città». Canzoni che hanno fatto la storia del genere melodico napoletano portano con loro segni evidenti dell influenza araba: «il riff di Marechiaro, il motivo di Scetate, le scale armoniche, il modo di cantare». La scala tonale napoletana ha riferimenti in quella turca, il canto a distesa prolungato, acuto e melismatico ricorda quello dei muezzin, persino in alcuni lirismi è evidente il richiamo al mondo arabo. «Nel 1958 Renato Carosone incide Caravan Petrol chiedendo al suo paroliere Nisa (Nicola Salerno) di scrivere una canzone sul petrolio, in piena era Mattei. Il risultato è quello di un napoletano che cerca ingenuamente l oro nero a Napoli. Al gioco dell esotismo portato a napoli si infilano sonorità arabeggianti intepretate dalla rilettura jazzistica». Carosone sdogana così la canzone napoletana in tutto il mondo, fino ad arrivare, fino ad arrivare ai giorni nostri, dove artisti come M barka Ben Taleb traducono in arabo O Sole mio o Nun te scurdà degli Almamegretta. Dall alto in senso orario: facciata del duomo d Amalfi; piastrelle provenienti dal Maghreb, cortile di villa Rufolo; campanile del duomo di Salerno; duomo di Caserta Vecchia, mausoleo Schilizzi; dettaglio di un mosaico del duomo di Ravello; campanile del duomo di Amalfi. In basso il mantello di Ruggero II, Re d Africa Lamia Hadda, da Tunisi a Napoli per amore dell arte Alla scoperta di tracce arabe nell architettura campana di Paola Cacace Archi, tarsie, iscrizioni. Elementi classici dell architettura islamica in chiese ed edifici campani. «Non c è da stupirsi spiega Lamia Hadda, professoressa tunisina, trasferitasi a Napoli anni fa il Maghreb e la Persia con il sud d Italia hanno sempre avuto un rapporto diretto». Ma parlando di architetture si deve far attenzione a non classificare tutto con il termine arabo o islamico. «Sono molte le approssimazioni nel definire un mondo come arabo o islamico. Gli elementi architettonici presenti in Campania spesso risalgono al X secolo, al regno di Ruggero II». Il sovrano, infatti, amava definirsi anche Re d Africa come aveva fatto scrivere in arabo sul suo mantello, la cui copia è nel museo civico di Ariano Irpino. «Anche i simboli disegnativi spiega Hadda risalgono a una fiaba araba e sono molti gli elementi decorativi architettonici che ha importato nel Regno delle Due Sicilie». Ed è araba la frase Al Baraka su una piastrella incastonata nell ambone di San Giovanni del Toro a Ravello. Di provenienza egiziana o siriana, tipica Maghreb e Persia hanno sempre avuto un rapporto diretto con il Sud Italia dell architettura dei Fatimidi, dinastia maghrebina del 910, significa La benedizione di Dio. «La scrittura araba utilizzata, nei casi campani è un cufico Il duomo di Ravello è decorato con ceramiche del Nord Africa floreale, lettere stilizzate che ricordano dei fiori». E nelle acque di Ravello i marinai, provenienti dal Maghreb, sostavano prima di proseguire verso Genova: «Per questo la zona è ricca di piastrelle e ceramiche. Basta pensare a Vietri. Ce ne sono anche in un mosaico che decora il pulpito sempre a Ravello i cui frammenti sicuramente provengono dal Nord Africa». Elementi risalenti quindi alle Repubbliche Marinare e alla Campania dominata dai Normanni, che amavano mescolare più elementi architettonici insieme. Ci sono però elementi più recenti come il Mausoleo Schilizzi di via Posillipo, a Napoli, il quale costruito inizialmente a fine 800 come cappella funebre per la famiglia fu poi ultimato e utilizzato in omaggio ai caduti della prima guerra mondiale. «Se la cupola ricorda quella di una moschea, le statue egizie non lasciano dubbi». Ma in prestito dalle moschee oltre che alle cupole gli architetti campani hanno preso soprattutto archi e finestre. «La bifora tipica di molte chiese ad esempio finestra divisa in due parti uguali da una colonna è tipica dell architettura islamica. Così anche l alternanza di archi ciechi, ossia senza apertura, e finestre, usati per far filtrare la giusta quantità di luce nelle moschee». Bifore usate anche nel Campanile del Duomo di Salerno e in quello d Amalfi, che ricorda in tutto e per tutto un minareto soprattutto nella forma della punta ricoperta di maioliche. Se poi dovessero esserci dubbi basta guardare la facciata del duomo di Amalfi per riconoscerne lo stile arabeggiante. La Tarsia poi, alternanza di pietre di diverse colorazioni è la tecnica architettonica caratteristica del mondo islamico di provenienza africana più comune nella regione. «Nella chiesa di Sant Eustachio a Pontone i resti delle absidi mostrano archi intrecciati e medaglioni con motivi a stella. Tutto usando la tarsia, ossia pietre laviche e di tufo alternate tra loro. Lo stesso stile si ritrova sul campanile del duomo di Caserta Vecchia». Ma la professoressa Hadda ha un annotazione da fare: «Alcune case, decorate con la tarsia sono state trovate anche negli scavi di Pompei. Tecnica sconosciuta negli altri scavi romani. Ma all epoca il territorio non aveva influenze. Forse la tecnica è stata in qualche modo esportata dai greci che con Alessandro Magno avevano avuto contatti, se non con il mondo arabo almeno con la Persia». E se sono molte le lapidi con iscrizioni arabe trovate nelle ville di Napoli, nel salernitano ci sono edifici non ecclesiastici in stile moresco. Sempre a Ravello il chiostro moresco di Villa Rufolo non lascia dubbio sull origine delle sue decorazioni. Stesso si può dire per il Palazzo Fruscione a Salerno i cui archi acuti all entrata, spesso definiti gotici, non sono che una riproduzione degli archi cechi a incasso, ossia concentrici, tipici delle moschee. Studi islamici all Orientale: Impieghi nell editoria di Raffaele De Chiara Frequentare l università per meglio capire la diversità che ci circonda. La facoltà di studi Arabo-Islamici e del mediterraneo unica nel suo genere in Italia attiva presso L Orientale di Napoli è un corso di studi che si pone come obiettivo principale la comprensione della distinzione tra la cultura e la religione islamica. «Sono aspetti nettamente distinti, l arabo non è di certo l Islam» A dirlo è la rappresentante degli studenti Rosanna Sirignano. Con il capo perennemente fasciato dal hijab il tradizionale velo arabo, il fisico minuto e la carnagione olivastra, la Sirignano sembrerebbe una tipica studentessa medioriontale fuori sede, ma non è così. «Sono italianissima, sono nata e vivo ad Avellino anche se la mia fede è l Islam». Combattere il pregiudizio che in questa facoltà siindottrinino gli studenti attraverso la lettura dei versetti del Corano è una missione che la rappresentante persegue da tempo è con orgoglio. «Sono anni che mi batto per sfatare il mito che chi frequenta questa università sia di religione islamica, la stragrande maggioranza dei miei colleghi è di fede cattolica. Certo continua è normale che il rapporto tra religione e cultura islamica sia diverso da quello che può esserci da noi tra la cultura occidentale e il cristianesimo ma di certo uno studente di arabo non è necessariamente un fedele di Maometto». Ciò che spinge a intraprendere questi studi è ben altro «la curiosità di scoprire una cultura verso cui i media nutrono in genere una certa ritrosia» Attualmente il corso di laurea magistrale è articolato in due curricula Africa e Islam. Notevoli sono gli sbocchi occupazionali «La globalizzazione e le recenti crisi che si stanno succedendo in medioriente dimostrano come sia importante la conoscenza approfondita di questi popoli. Il settore del giornalismo ma anche quello dell editoria e perché no anche quello delle pubbliche relazioni costituiscono senz altro delle serie opportunità lavorative per chi esce da questa facoltà».

7 A SUD DELL EUROPA, A NORD DELL AFRICA pagina 12 inchiostro n. XIV 2011 Indovina chi viene a cena? In Italia crescono i matrimoni misti Kebab nel ventre di Napoli Nuovi gusti fanno concorrenza alla pizza di Annalisa Perla «Non posso dire che fanno bene a sposarsi e loro non possono pretendere che io sia contento. Una coppia del genere è fregata in partenza, in America come nel resto del mondo». Reagisce così il premio Oscar Spencer Tracy alla notizia del matrimonio della figlia con un ragazzo di colore, nel celebre film Indovina chi viene a cena. Era il 1967 quando la pellicola fu distribuita nelle sale e produsse un enorme clamore. Ormai non è che un ricordo lontano. Anche nella meno multietnica Italia i matrimoni con stranieri sono una realtà. Secondo quanto rileva uno studio dell Osservatorio sui matrimoni misti in Italia, elaborato dalla società MoneyGram su dati del dossier Caritas Migrantes 2009, le unioni tra italiani e stranieri sono triplicate negli ultimi 15 anni, crescendo al ritmo del 9,5% l anno. Nel 2009 sono state 35mila le coppie giunte all altare in cui uno dei due coniugi era straniero, il 14% del totale delle unioni. L Emilia-Romagna in testa, con il 15% di coppie miste sul totale dei matrimoni registrati, seguono la Lombardia (13,5%), la Liguria (13,1%) e la Valle d Aosta (13,1%). Al contrario, l atteggiamento ostile e di pregiudizio sembra essere ancora una realtà. Sei italiani su dieci, secondo il dossier Caritas Migrantes 2010, associano l aumento dell immigrazione con quello della criminalità. Lo conferma con la sua esperienza personale Viviana, sposata da 2 anni con Elas, immigrato di origine senegalese. «La gente ci guarda ancora con diffidenza. Siamo nel 2011, ma il meltin pot non è ancora forte in questo Paese e specialmente al Sud». La Campania, però, tra le regioni del meridione è la prima per numero di coppie miste. Lo dimostra l ultima ricerca Istat sul matrimonio in Italia, che assegna alla regione il primato per unioni tra extracomunitari e italiani. Nel 2008, secondo l Istat, in Campania ne sono stati celebrati 3.250, più del 10% del totale nazionale. I matrimoni misti più frequenti sono quelli in cui lo sposo è italiano e la sposa straniera, 18mila l anno, mentre quelli in cui la sposa è italiana sono solo 6mila. Gli uomini della Penisola sposano soprattutto donne provenienti dai Paesi dell Ue (59%) o dal Sud America. Le unioni con donne provenienti dall Africa Settentrionale rappresentano l 8% dei casi mentre le asiatiche sono protagoniste del 6% delle cerimonie. Le italiane, invece, sposano per lo più africani (40,7%) o sudamericani (17,4%), con una preferenza per Marocco, Tunisia ed Egitto. Quello che colpisce, però, è che l incidenza dei divorzi sembra essere più alta nei matrimoni misti, la cui durata media è di soli 9 anni, a fronte dei 15 di quelli in cui entrambi i coniugi sono italiani. Si conclude con un fallimento il 75% delle nozze miste, percentuale nettamente più elevata di quella relativa alle unioni tra italiani. E questa sembra essere una riprova del fatto che gli ostacoli incontrati da chi contrae questo tipo di unione sono ancora molti e sicuramente più numerosi di quelli che qualsiasi matrimonio implica. di Emanuela Vernetti Il profumo dei sapori orientali è immediatamente riconoscibile dalla strada. Aladin, il ristorante - fast food specializzato in kebab ha un nome forse poco originale ma sicuramente è uno dei più frequentati in zona. L apparecchio tv è sempre sintonizzato sul canale di Al Jazeera. Dietro al bancone ci sono solo algerini, ma la clientela è per la maggior parte italiana. È un impresa made in Algeri fondata nel 1999 da Rachid e Kamel, due algerini che dopo il diploma di maturità nel loro Paese sognano l Italia come molti fanno dall altra sponda del Mediterraneo. All attivo hanno due ristoranti arabi a Napoli e uno in Francia. Il kebab, la specialità tipica, dà vita a un attività in franchising con più di una decina di dipendenti, ognuno con la propria divisa e la propria storia. Imed Ghettas viene dall est dell Algeria, ha 35 anni, otto vissuti in Italia, si racconta con una certa esitazione e con la voglia di testimoniare un esempio di integrazione riuscito. «Mi piace Napoli e la sua gente afferma -. Sono solari, aperti, meno razzisti di altri, anche se c è più ignoranza». Di ignoranza Imed ne sa qualcosa: professore di Letteratura araba, con uno stipendio di 140 euro al mese, decide di lasciare il suo Paese d origine per cercare una vita migliore. All inizio la mia meta era l Europa - racconta -, perché per noi il vostro continente è quasi sinonimo di un Eldorado, perciò ho raggiunto prima la Francia dove lavorava mio padre e poi da Marsiglia sono giunto a Napoli in autobus. Senza aver appreso ancora la lingua, Imed si rimbocca le maniche e trova il suo attuale lavoro. «La maggior parte dei nostri clienti sono italiani, per lo più studenti, solo il 20% sono stranieri, anche se nell altro ristorante in Piazza Garibaldi la situazione è inversa». Lì infatti il take away arabo è anche un luogo di ritrovo per gli immigrati, dove si scambiano informazioni e si aggiornano sulla situazione dei propri Paesi grazie alla televisione satellitare collegata con le più importanti emittenti del mondo arabo. Imed ha un opinione precisa su quello che sta succedendo nel Maghreb, la chiama rivoluzione araba e la paragona a un sacchetto che dopo esser stato a lungo gonfiato è infine scoppiato. «Sacrifici dopo sacrifici il popolo alla fine si è ribellato aggiunge con un po di nostalgia -. Mi auguro solo che in quei Paesi la qualità di vita migliori e non peggiori». Mentre parliamo, Imed prepara un kebab e ricorda al cliente di turno che nel negozio non si vendono alcolici, nemmeno la birra. «Siamo osservanti, per quanto possiamo in un Paese straniero. Ad esempio il venerdì qui è lavorativo, così non riesco ad andare in moschea perché è troppo lontana dal negozio anche se preghiamo sempre nel ristorante». Per quanto riguarda le altre tradizioni che ha mantenuto qui in Italia, risponde un po sornione: «Tradizioni? Quali? Alla fine siamo tutti mediterranei». Inchiostro Anno XI numero 13 marzo 2011 chiuso in redazione martedi 1 marzo sandro Di Liegro, Anna Lucia Esposito, Cristiano Marco Giulio Faranna, Antonio Frascadore, Egidio Lofrano, Violetta Luongo, Lorenzo Marinelli, Jessica Mariana Masucci, Ernesto Mugione, Pasquale Napolitano, Romolo Napolitano, Sergio Napolitano, Livio Pane, Enrico Parolisi, Annalisa Perla, Francesca Romaldo, Emanuela Vernetti Vi racconto un italia diversa. Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Direttore editoriale Francesco M. De Sanctis Condirettore Lucio d Alessandro Direttore responsabile Pierluigi Camilli Coordinamento scientifico-didattico Arturo Lando Spedizioni Vincenzo Crispino Ciro Crispino Alessandra Cacace tel Editore Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Napoli via Suor Orsola 10 Partita Iva Redazione Napoli via Suor Orsola 10 tel /226/234 fax Francesco Corradini / Tam Tam Dall evento tv nasce un grande libro. feltrinelli.it Coordinamento redazionale Alfredo d Agnese Carla Mannelli Alessandra Origo Guido Pocobelli Ragosta Caporedattore Raffaele de Chiara Capi servizio Emanuele De Lucia, Gennaro Di Biase, Francesca Marra, Francesca Saccenti, Giulia Savignano In redazione Marco Borrillo, Paola Cacace, Alberto Canonico, Marco Cavero, Anna Elena Caputano, Marco Cavero, Ludovica Criscitiello, Angelo De Nicola, Ales- Registrazione Tribunale di Napoli n del 2/5/2001 Stampa Imago sas di Elisabetta Prozzillo Napoli via del Marzano 6 Partita Iva Progetto grafico Sergio Prozzillo Impaginazione Biagio Di Stefano

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