Scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperto. Italo Calvino

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2 Scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperto. Italo Calvino 4

3 UN DELITTO QUASI PERFETTO E ra una mattina d ottobre e nella scuola Pascoli regnava il caos totale, specialmente nell'aula insegnanti perché, di lì a poco, si sarebbe tenuta l importantissima gara provinciale di spelling, a cui solamente le classi terze delle scuole secondarie di primo grado potevano partecipare. Una delle classi più promettenti dell istituto era sicuramente quella di Mirko. Mirko frequentava la 3^C, non amava studiare ma riusciva lo stesso a cavarsela. La sua classe era composta, tra gli altri, da due gemelle soprannominate le ranocchie a causa dei brufoli simili a porri che sovrastavano il loro volto, dal suo compagno di banco Tom di corporatura grassottella, dal cosiddetto secchione della classe Elvin, spudoratamente odiato dal ragazzo più temuto dell istituto: Kevin. Era appena suonata la penultima campanella, mancava solamente un ora e i ragazzi della 3^C assaporavano già l aria della libertà, ma arrivò un compito a sorpresa di Matematica! L unico preparato era Elvin: il problema era che Elvin di solito non sopportava l idea che qualcuno desse un innocua sbirciatina alla sua verifica e creava intorno a sè una specie di muraglia con i libri; di solito, sì, tranne quella volta, caso più unico che raro. Ma la cosa ancora più anomala è che si fece posizionare nell'ultima fila di banchi dicendo che il sole gli disturbava gli occhi. Durante il compito Elvin alzava spesso la testa, dando occhiate distratte in giro per la stanza e, al contrario delle altre volte, consegnò il foglio alla cattedra per ultimo in simbiosi con la campanella. Tutti si precipitarono di corsa fuori dalla porta. L aula assunse allora un altra aria, quasi formale, senza persone, solamente con qualche immondizia per terra. Ma in fondo, accanto al muro, con la faccia sul banco, vi era ancora Kevin, che sembrava addormentato. L indomani Kevin venne trovato nella stessa posizione, immobile. La professoressa gli diede un leggero strattone temendo una reazione improvvisa dell alunno, il quale fu invece impassibile. Il bullo così tanto temuto sembrava dormire come un agnellino, facendo però preoccupare insegnanti e bidelli, che chiamarono un ambulanza e comunicarono questo strano fatto alla polizia. Alla vista degli investigatori i ragazzi dell istituto si allarmarono e vennero sbarrate tutte le porte, anche quelle di emergenza. Gli interrogatori iniziarono da Tom, per poi proseguire fino all ultimo alunno dell elenco e risultarono tutti innocenti; ma secondo Mirko non era così. Il ragazzo preso dalla curiosità si mise ad ipotizzare i vari fatti accaduti in quel periodo risalendo, infine, a una conclusione plausibile. La sua capacità di ragionamento e la sua astuzia lo portarono a ricostruire cosa realmente fosse accaduto. L indomani si trovò a fianco degli agenti e li supplicò di poter esporre la sua versione dei fatti: la polizia con fare scocciato accettò. Il ragazzo allora incominciò sottolineando che durante il compito di matematica il silenzio era stato interrotto da un rumore improvviso proveniente dalla finestra; tutti gli 5

4 alunni avevano distolto lo sguardo dal banco e, in quell istante, Elvin passò la brutta copia del suo test a Kevin con una penna, perché Kevin non aveva mai l astuccio. Il rumore proveniente dalla finestra era stato causato da un pezzo di carta, con dentro un sassolino, lanciato da Elvin per non essere scoperto. Nella penna era stato iniettato, insieme all inchiostro, un veleno molto potente e simile a un sonnifero, il cui odore era compatibile con gli acidi del laboratorio di chimica di cui solo Elvin possedeva le chiavi. Quindi Elvin aveva agito in modo molto accorto, ma lasciando degli indizi chiave. Tutti erano esterrefatti per questa scoperta e anche Elvin, che scoppiò in un pianto infantile e confermò la storia dell amico. La classe 3^C avrebbe avuto ottime possibilità di vincere il primo premio nella gara di spelling, ma l ignoranza di Kevin avrebbe abbassato la media, facendo infrangere il sogno di Elvin, ovvero quello di aggiudicarsi il primo premio. L animo arrogante di Elvin venne punito e squalificato dalla competizione, mentre Mirko ricevette le più sentite congratulazioni da tutto l Istituto e dalla polizia. Ilaria 6

5 ARPALICE A rpalice: ventitrè anni, 1.67 m di indecisioni e 52 kg di paure. Bionda. Con i suoi occhi verdi e indagatori osservava ogni piccolo fatto: la classica ragazza attenta e minuziosa delle serie TV. Lavorava come barista in un locale dei Parioli di Roma, dove respirava in continuazione cumuli di fumo passivo fino alle tre di notte, orario in cui doveva chiudere secondo gli ordini del proprietario, cacciando a forza di grida gli ubriachi e assidui frequentatori del bar. Ogni mattina si svegliava da sola Arpalice, in una casa vuota e risonante di solitudine, si alzava e accendeva l Iphone comprato con il suo ultimo stipendio, ma, come da rituale, non vi era nessuna notifica, nessun messaggio o nessuna chiamata persa per sbaglio mentre il sonno rapiva la sua stanchezza. Ah, quanto avrebbe gradito ricevere una di buongiorno di tanto in tanto, ma la solitudine era la sua migliore amica da sempre. Quel mattino il sole era già alto nel cielo, nonostante fosse presto; solo Arpalice poteva odiare così tanto la luce, flebile e portatrice di vita. Con le mani affusolate e screpolate afferrò un vestito color porpora che soleva indossare per indicare il suo malumore; nella borsa color cuoio infilò un beautycase e il suo quaderno rilegato in pelle, scrigno contenente tutti i suoi scritti, protettore delle sue idee: infatti la giovane si rifugiava tra le parole e, in questo mondo parallelo, fuggiva dagli sguardi della gente; era impaurita come una tenera lepre che scappa da un astuta volpe. Andò al lavoro a piedi, come era solita fare, con passo svelto e gli occhi fissi tra il cielo e l infinito, sovrappensiero. Giunta a destinazione infilò la chiave della porta d ingresso nella serratura e aprì il cupo locale, premette l interruttore e si posizionò dietro il bancone. Aprì poi il suo quaderno e sfogliò le pagine, finché non ne trovò una bianca. Improvvisamente nella sua testa venne riprodotto un rumore simile a quello di un treno che corre sulle rotaie e venne trasportata da tutt altra parte; vide, per una frazione di secondo, molti colori danzare assieme e fotografie volare dentro al tunnel che stava percorrendo. Si ritrovò su un terrazzo ricoperto da vigorose e colorate piante, guardando attraverso un vetro un anziana donna. Questa sedeva su una poltrona a stampe inglesi e toccava delicatamente, quasi accarezzandola, una collanina d oro, con un ciondolo a forma di stella. Anche Arpalice ne aveva una uguale. L anziana quasi non si muoveva, sembrava addormentata. Ad un certo puntò, di scatto, si sollevò dallo schienale della larga poltrona ed estrasse da dietro di sé un vecchio libro ingiallito: era rovinato e le pagine strappate uscivano dal margine della copertina e dalle altre non ancora consumate dall inchiostro. Prese una penna e cominciò a scrivere; inaspettatamente una voce si levò nel silenzio, era come se qualcuno stesse leggendo a tono alto ciò che veniva scritto su quell antica agenda. Adesso mi pento delle mie precedenti scelte: avrei dovuto terminare gli studi come mia mamma mi aveva consigliato invece di andare a rovinarmi i polmoni in quel bar di scorbutici e maleducati. Quante parole non dette mi affaticano il respiro e mi graffiano il cuore e mi grattano la gola, quante storie e quanti pensieri riportati tra 7

6 questi fogli. Di quanta felicità mi sono privata a causa tua, paura? Tornassi indietro, pubblicherei i miei libri che ho voluto nascondere anche a me stessa per tanto tempo, studierei e supererei le mia timidezza attraverso la conoscenza, però ora è tardi; non ho nessuno che mi telefoni per domandarmi qualcosa, qualsiasi cosa. Sono sola, e parlo a te, vita: verso che fine mi hai portata? Oggi, giorno del mio settantatreesimo compleanno, nessuno mi cerca, nessuno mi invita, nessuno mi vuole. Potessi riavere un po delle forze che possedevo da giovane cambierei ogni cosa, recitò la voce confusa e piena. Arpalice si guardò attorno e si accasciò a terra piangendo: le piastrelle color ocra erano fredde e si stavano pian piano riempiendo delle sue lacrime, come una pioggia di desolazione e incertezza: la giovane aveva capito: era lei l anziana signora, ma cosa poteva fare Arpalice se non odiare e piangere il destino che le sarebbe toccato? Dopo intensi minuti di disperazione si risvegliò nel suo bar, con la testa chinata sul suo quaderno ben tenuto sul quale aveva sputato le sue frustrazioni, e con alcuni clienti indifferenti alla scena e in attesa che la ragazza prendesse gli ordini. Arpalice li servì, ma, appena il bar si svuotò di quelle insipide persone, chiuse velocemente il locale e, sovrappensiero come al solito, si diresse verso casa, dove si cambiò d abito: ne indossò uno giallo, corto e molto femminile, allegro, simbolo di rinascita. Dopo di che tornò a lavoro e nel tragitto salutò tutti a testa alta, non voleva più perdere tempo e occasioni di conoscere altra gente, era decisa a vivere senza maschere di vergogna. Dopo un anno dallo strano accaduto, Arpalice pubblicò il suo primo libro, che dedicò a se stessa: Arpalice e la gente. Sconfisse così la paura di essere giudicata, aveva capito che è meglio una vita piena di critiche piuttosto che una vita passata a non vivere realmente. Giordana 8

7 LA MORTE DI PATROCLO D a molti giorni noi Mirmidoni stavamo nelle nostre tende poiché il grande Achille, nostro re, aveva deciso di non combattere più dopo l affronto di Agamennone. Per me era quasi umiliante vedere i miei compagni achei perire in molti sul campo, ma certo non potevo disobbedire al mio sovrano. Inoltre la mia patria mi mancava molto, non potevo certo nasconderlo. Per scacciare questi tristi pensieri la sera salivo in cima ad una piccola duna vicina alla mia tenda e mi guardavo intorno: i fuochi del nostro accampamento ballavano con le onde del mare una danza proibita, e forse per questo tanto affascinante; alle mie spalle invece troneggiavano le mura di Troia, imponenti e compatte, che ormai da quasi dieci anni esercitavano un attrazione fatale su noi Achei. A separare l immensa profondità del mare e l immensa grandezza delle mura c era un fiume, lo Xanto, che sembrava emettere gorgoglii di incoraggiamento per i Troiani, e pareva che questi fossero efficaci dato che da giorni i Teucri avanzavano vittoriosi verso di noi. Un giorno la quiete al campo venne bruscamente interrotta: una nostra nave era avvolta dalle fiamme, circondata da Troiani urlanti. Il glorioso Achille allora, rispettando la parola data, ci diede il permesso di combattere sotto la guida del giovane Patroclo, suo amico. Ci lanciammo quindi contro i nemici con grande impeto e ferocia, e presto questi cominciarono a cadere trafitti dal nostro bronzo. Uccisi un gran numero di Troiani con la mia bella lancia, e ogni corpo che facevo rotolare tra la polvere mi dava nuova energia e mi riempiva d orgoglio. Credo che anche il giovane Patroclo provò le stesse sensazioni: infatti, mosso dall entusiasmo, si spinse fin sotto le mura di Ilio, nonostante Achille glielo avesse severamente proibito. Mi preoccupai per Patroclo poiché aveva poca esperienza in battaglia e poiché stava indossando le armi del Pelide, cosa che lo rendeva una preda molto ambita dai nemici. Lo seguii di corsa e quando gli fui vicino capii però di non potergli essere d aiuto in alcun modo: il dio Apollo lo aveva colpito, facendolo cadere a terra, e certo io non potevo fronteggiare la divinità. Subito dopo giunse un secondo colpo, tra le spalle del giovane, assestato dal troiano Euforbo con la sua lancia. Questi poi riprese l arma e scappò per paura di una vendetta di Patroclo, che stava cercando di allontanarsi dalla battaglia trascinandosi a fatica. Alla vista della viltà di Euforbo il mio cuore si riempì d ira e provai a raggiungere il troiano per ucciderlo. Non riuscii però a trovarlo nella confusione furiosa del combattimento e feci per tornare sui miei passi, questa volta in cerca del povero Patroclo. Ma quando mi voltai mi si presentò dinnanzi una scena straziante: Patroclo giaceva a terra, trafitto dall arma di Ettore. E allora, rivedendo nella mente le belle membra di Patroclo muoversi con ardore mentre il viso giovane sorrideva e gli occhi gli brillavano più dell armatura colpita dal sole, qualcosa mi scosse e mi provocò un immenso dolore: mi sembrava che la superficie cristallina del mare fosse precipitata sul fondale, frantumandosi, e che gli abissi mostruosi fossero saliti fino al sole, per deriderlo. 9

8 Una lacrima, salata come le profondità marine, mi bagnò la guancia e poi cadde tra il sangue e la polvere, scomparendo. E io la seguii: in quel momento infatti una lancia mi attraversò la gola, e anche la mia anima volò via dal mio corpo e scese nell Ade, piangendo il destino avverso e la giovinezza e il vigore perduti insieme. La guerra, si sa, non ha spazio per i sentimenti. Anna 10

9 LA VITA C on sguardo spaurito il Viaggiatore portò gli occhi al taschino del suo panciotto e guardò la sua mano tremante estrarre il foglio ingiallito ripiegato in quattro. Mentre in lui la speranza combatteva per l'ennesima volta col disincanto, spiegò entrambi i lembi di carta e confrontò il disegno con l'oggetto che la sua mano destra stringeva trepidante. I suoi occhi scorsero righe di elegante inchiostro che lui stesso, undici anni prima, aveva versato: le caratteristiche del disegno e dell'oggetto sembravano coincidere. Un singolo sussulto squassò il suo corpo, le dita prontissime a stringersi sulla chiave minuscola: non l'avrebbe persa. Questo, mai! Si alzò a fatica, le gambe sprofondate nelle cianfrusaglie ferrose della vetta del Cumulo 5 e iniziò l'ardua discesa, stando attento a non provocare smottamenti sul Cumulo 4, nel caso si fosse sbagliato. Undici anni. Giunse a terra trascinando al suolo uno sciabordio tintinnante, come onde sul bagnasciuga. I Cumuli si stagliavano sopra di lui, montagne alte oltre cinquecento metri. Ci vollero tre giorni per arrivare alla Porta. In cima alla scalinata si voltò a guardare quel mondo assurdo, sperando nel profondo che quella fosse l'ultima volta. Lontano, l'orrida Macchina vomitava una cascata di metallo, facendo scintillare nell'aria una pioggia sonora di chiavi, tutte diverse. Il futuro Cumulo 16. Si girò, trattenne il respiro e provò la chiave. Entrava. Girava. La porta si aprì, liberando l'accesso ad un mondo, lontano da lì, altrove. Solo allora il Viaggiatore esplose nel pianto, figlio di anni di prostrazione, privazione e sofferenza. Il pensiero stupido che si potesse richiudere lo spinse oltre la soglia, dove cadde carponi. Solo quando riprese fiato vide davanti a sé una chiave. E sollevò lo sguardo davanti a cumuli di porte. Lisa 11

10 IL FUTURO E anche quella notte Kilian vide la donna incappucciata mentre faceva la sua solita passeggiata. Era l'ottavo giorno che la vedeva camminare lentamente da lontano, però non l'aveva mai vista in faccia e così, preso da una voglia di guardare cosa si nascondesse sotto quel mantello, la seguì. La donna era alta e snella, ma Kilian non sapeva altro, non riusciva a scorgere niente dietro quei veli neri che la coprivano e questo lo turbava, voleva vedere cosa c'era là sotto e l'avrebbe scoperto. Kilian non appena vide che la donna era vicina al lampione, si decise che era ora di sapere, quindi, preso coraggio, si diresse verso di lei; ma quando si avvicinò si accorse che non le era vicino, era ancora a quattro lampioni da lei: sembrava irraggiungibile, perché era così difficile guardarla in faccia? Kilian la seguì per quasi tutta la notte, e quando la donna si fermò era nel parco, proprio sotto ad un albero di ciliegio, vicino ai cespugli di rose spinose; era tutto illuminato dalla luce del lampione e Kilian poteva notare che quel mantello era fatto di vecchi stracci logori. Non capiva, però era deciso a vedere cosa c'era sotto: il ragazzo alzò il braccio per toglierle il cappuccio che le copriva il viso, lei era immobile, come se fosse un manichino, chissà quale espressione avrebbe avuto, quali occhi avrebbe trovato sotto; la mano che alzò tremava e quando toccò quegli stracci, sentì il timore che cresceva dentro di sé, l'aveva così tanto cercata e tutto ad un tratto non riusciva nemmeno a sbattere le palpebre. Era accecato dalla paura e scappò via prima di riuscire a guardarla. Anche le notti seguenti, Kilian si presentò sempre nello stesso luogo, alla stessa ora, rinunciava a tutto pur di guardarla, ma alla fine risultava sempre un fallimento: infatti non riuscì nemmeno una volta a toglierle quel suo mantello logoro. Quando era giorno provava a disegnarla, immaginava come potesse essere in viso, magari aveva gli occhi marroni, forse azzurri, forse il suo naso era alla francese o forse era storto. Il pensiero di quella misteriosa donna lo tormentava giorno e notte: non usciva più di casa se non di notte e non parlava più con nessuno. Trascorsero le settimane, i mesi, gli anni.. Finché un giorno Kilian vide la donna passare, però questa volta non aveva il mantello, ma era girata di spalle; non riusciva a vederla in faccia ma poteva solo vedere che i suoi capelli erano mossi e di color mogano; Kilian la seguì fino al parco, vicino all'albero di ciliegio e al cespuglio di rose con le spine, lei era girata di spalle e Kilian si avvicinò per vedere finalmente quello che aveva immaginato fino a quella notte, ma proprio in quel momento lei si girò e si mostrò in volto. Kilian la guardò stupito, senza dire una parola. Swami 12

11 CAPPUCCETTO ROSSO NELL ERA DI FACEBOOK C era una volta, non molto tempo fa, una bella bambina dai capelli castani e dagli occhi verde-azzurro, che viveva non molto lontano dalle pendici di un bosco in un adorabile casetta insieme alla sua mamma. Veniva chiamata da tutti Cappuccetto Rosso perché fina da piccolina aveva sempre indossato una mantella con cappuccio di colore rosso acceso che le aveva cucito su misura la sua nonnina e che lei amava tanto. Come ogni mattina Cappuccetto Rosso si alzava amorevolmente svegliata dalle candide parole della madre per poi Silenzio! Insomma, vuoi smettere per un attimo di parlare e continuare a blaterare questa storia ormai vecchia di secoli?! M-ma io sono il narratore Taci! Oggi le regole cambiano; oggi me la scrivo io la mia storia. Dunque, come ogni mattina dormivo placidamente nel mio letto, con un sonno così beato da fare invidia alla Bella Addormenta, quando, con un gesto violento ed energico, la porta della mia stanza fu aperta dalla grazia femminile di mia madre. Facendosi strada tra le pile di libri e CD e i vestiti sparsi sul pavimento arrivò al mio letto e, con un gesto altrettanto femminile, lo prese per un lato e lo sollevò; facendomi così cadere rovinosamente a terra. Ancora intontita per il sonno e per la caduta mi alzai e con un sorrisetto furbo dissi: Buongiorno anche a te mamma!. Lei mi squadrò con aria truce e mi rispose: Ascolta scansafatiche; solo perché è finita la scuola e sei in vacanza non significa che devi stare tutto il giorno in camera tua con quel cavolo di cellulare. Fai una cosa utile e vai da tua nonna che sta male!. E dopo aver concluso questo amorevole discorso tra madre e figlia uscì sbattendo la porta. Mi gettai sul letto e non potei fare a meno di pensare: Che palle! Ma sempre malata è mia nonna e poi l unico motivo per cui dice di stare male è perché vuole che le porti una bottiglia di vino che poi si scola in due ore. Aspetta, com è che mi diceva sempre? Ah sì: ricordati, Cappuccetto Rosso, bere aiuta a dimenticare; e io ogni volta le rispondevo: e tu ricordati che il bere porta tristezza e l alitosi. Mi alzai dal letto e cominciai a vestirmi: leggins neri strappati, scarponi rosso scuro con borchie e punta chiodata, T-shirt rosso porpora e la mia amata mantellina. Dopo aver finito la vestizione, andai in bagno e mi guardai allo specchio: E incredibile anche se sono vestita e truccata così pesantemente riesco ancora a intravedere la vecchia me, quella sciocca e innocente bambina che ero un tempo. Tirai un pugno allo specchio: Ora non sono più così. ; e me ne andai. Scesi in salotto dove mia madre sedeva con la solita sigaretta in mano; andai in cucina, presi il cestino e mi avviai, quando vidi mia madre sulla porta della cucina che mi disse: Veramente non capisco Cappuccetto Rosso una volta eri una così brava bambina. 13

12 La squadrai nei suoi occhi così pensierosi ed afflitti e dissi: Già mamma ero ero ; e chiusi la porta dietro di me. Mi avviai verso la casa di mia nonna e per far passare il tempo cominciai ad ascoltare il mio gruppo preferito: Tre Porcellini all Inferno. Mentre i miei passi andavano a tempo con la musica profonda e tonante, percepii alle mie spalle uno strano fruscio. Mi tolsi una auricolare e mi guardai intorno cercando ogni minima imperfezione all ambiente a cui ormai ero abituata e che per me era diventata una consuetudine. Mi voltai e continuai a camminare. In quel momento sentii un suono che mi fece sobbalzare e quasi prendere un infarto. Per lo spavento gettai in aria il cestino e corsi a nascondermi in un cespuglio, accorgendomi poi che il suono proveniva dal mio cellulare, che squillava perché mi stavano chiamando. Uscii dal mio nascondiglio e andai a raccogliere il cestino e il mio cellulare. Guardando il monitor bieca lessi il nome: Riccioli D Oro. Risposi alla chiamata con una voce stizzita: Sì non feci neanche in tempo a finire che Riccioli cominciò a gridare come una pazza sgretolandomi i timpani e dicendomi: Oh Red! Non puoi immaginare cosa sia successo! Ti ricordi la festa nel Paese delle Meraviglie, quella a cui non sei voluta venire? Beh, il Cappellaio Matto voleva fare le cose in grande e ha chiamato la tua band preferita Tre Porcellini al. Non la lasciai neanche finire: non avevo la minima voglia di sentire quell ochetta arrogante vantarsi in maniera così sfrontata. Continuai a camminare finché non arrivai alla casa della mia cara e dolce nonnina; bussai alla porta e quella si aprì da sola con uno scricchiolio. La osservai con aria assorta: brutto segno. Entrai e misi il cestino sul tavolo e cominciai a gridare: Nonna sono arrivata! Ti ho portato da mangiare e da bere: vieni fuori!. Una voce rauca uscì dalla sua camera e mi invitò ad entrare. Alzai gli occhi al cielo e pensai: No, non di nuovo. Entrai nella stanza e mi feci luce con il cellulare. Andai verso il letto e la guardai, feci un salto indietro e sbattei contro l armadio. Cominciai a gridare: Com è possibile! Tu non eri morto?! Non ti aveva ucciso il cacciatore? Ma che diavolo!. Il lupo si alzò e con sguardo malizioso mi osservò: Ma che bocca grande che hai nonnina è per mangiarti meglio!, e mi si gettò addosso divorandomi in un solo boccone. Che noia! Essere sempre legati alla stessa storia, allo stesso destino senza mai poter cambiare. Non potersi mai sentire vivi del tutto e sé stessi perché costretti a stare in un limbo perpetuo. Cambierà pure il tempo e anche la tua personalità, ma tu rimarrai per sempre ciò che hanno deciso che devi essere. Beh, almeno adesso ho il cellulare. Lucrezia D I. 14

13 L ELFO M i piaceva rimanere seduto in riva al mare e guardare le onde infrangersi sulle coste, perché nonostante la vita non fosse come mi aspettavo e non avessi nessuno con cui osservare il mare, quando me ne stavo lì, da solo, mi sentivo felice; ma non potevo ammaliare a lungo lo sguardo con quello spettacolo, dovevo tornare a casa, l ultimo posto sulla terra dove avrei voluto essere, con le ultime persone al mondo che volevo vedere, i miei genitori. Ho ritirato i piedi dall acqua e ho infilato i calzini, stando attento a non toccare la sabbia con i piedi bagnati, ho preso le mie Vans nere, ormai consumate, e dopo averle indossate mi sono alzato in piedi. Ho messo le cuffiette, con il volume al massimo e ho iniziato a correre, senza pensare alle cose a cui stavo andando incontro e a quelle che avevo lasciato, correvo e basta, a ritmo di musica. Sono arrivato a casa dopo circa cinquanta minuti e non avevo mai smesso di correre; la mia famiglia era felice di vedermi, io non tanto di vedere loro, ero talmente abituato ad essere solo che il minimo contatto umano mi infastidiva. Mia mamma ha urlato il mio nome un po di volte prima che io mi accorgessi che mi stava chiamando e mi togliessi le cuffiette. Mi sono seduto a tavola, i miei genitori continuavano a guardarmi, mi sentivo in imbarazzo, ma dopo qualche minuto mia mamma mi parlò: Senti, Charlie, tuo padre ha avuto una promozione e noi abbiamo deciso di trasferirci, speriamo che per te non sia un problema. Ricordo di aver annuito, lavato i piatti e di essere andato a dormire molto presto quella sera, per potermi svegliare all alba e correre verso l Oceano come ogni mattina. Mi sono svegliato molto presto, ho sistemato con le mani i capelli neri e sono corso verso la spiaggia. Ho guardato a lungo l oceano, così infinito e spettacolare persino sotto le luci violacee dell alba; i gabbiani canticchiavano tra di loro e per fortuna, a parte me, non vi era nessuno sulla riva. Dopo circa trenta minuti sorse il sole, ad est come ogni mattina, che noia, che monotonia. Mi sono tolto i jeans e la camicia e senza nemmeno pensarci mi sono tuffato in acqua: la vita è troppo breve per sprecare del tempo pensando alle conseguenze delle proprie azioni, avevo già vissuto quindici anni e non sapevo quanti me ne rimanevano, non potevo permettermi di avere rimpianti. Mentre me ne stavo tranquillo nel mare, mi travolse un onda e io ero troppo debole per reagire, mi lasciai sballottare di qua e di là tra le onde e poi persi il senso dell orientamento. Mi sono svegliato sulla riva, pensando a come ero riuscito ad uscire dall acqua. Mi sono alzato e ho sentito qualcuno parlarmi: Ti sei svegliato, finalmente. Non vedevo nessuno, credevo di essere morto, ho guardato a terra e ho visto un piccolo esserino verde che cercava di aggrapparsi alla mia caviglia. Mi disse di essere un elfo e di avermi tratto fuori dall acqua quando avevo perso conoscenza. Ero abbastanza sconvolto, non capivo, magari ero ancora addormentato e stavo sognando, non era possibile che un elfo delle dimensioni di un fagiolino mi avesse salvato. Mi sono seduto sulla sabbia bagnata e mentre ascoltavo la storia dell esserino verde, guardavo il sole tramontare piano piano e scomparire dietro il mare. 15

14 L elfo ha continuato a raccontare per molto tempo, proveniva da un paese chiamato Baia degli Orizzonti, non molto lontano da casa mia, in volo ci si metteva qualche ora, ma io non sapevo volare e non sapevo nemmeno se stavo sognando o se ero sveglio. L elfo aveva perso la famiglia in una guerra contro gli gnomi che andava avanti ormai da quindici anni a Baia degli Orizzonti e tutto ciò che gli rimaneva era sua moglie, prossima a diventare madre; l elfo mi spiegò anche di trovarsi sulla spiaggia per visitare le tombe dei genitori, sepolti lontano dalla guerra. Io e il mio nuovo e unico amico abbiamo parlato per molto tempo ed era davvero strano per me non avere nulla da raccontare della mia vita: ero figlio unico, con genitori indaffarati, non avevo amici e passavo i giorni ad osservare il mare. Non volevo tornare a casa, volevo rimanere a chiacchierare con l elfo per tutta la notte, ma lui doveva tornare da sua moglie e io dovevo tornare a casa. Io e l elfo, che mi disse di chiamarsi Fil, ci siamo incontrati anche il giorno seguente e quello dopo ancora, tutti i giorni per una settimana, e ogni giorno lui aveva qualcosa da raccontare della sua frenetica vita. Il giorno del mio compleanno, la settimana dopo, Fil mi ha detto che sarebbe sparito dalla mia vita nel giro di un mese, perché stava per diventare padre e perché secondo lui io dovevo vivere la mia vita senza sprecarla parlando con gli elfi. Per me non era uno spreco, mi sono sentito felice solo con lui, ma lui è stato irremovibile e mi ha promesso che se ne sarebbe andato. Sono stato tutti i giorni dell ultimo mese con l elfo e quando ci siamo incontrati per l ultima volta l ho abbracciato forte, non volevo che se ne andasse; mi ha rassicurato dicendo che lui mi sarebbe sempre stato accanto rimanendo invisibile. Mi ha detto che sono un amico sincero e leale e mi ha raccomandato di stare attento quando vado in mare; quindi mi ha regalato una boccetta di polvere magica per diventare elfi, in caso io mi annoiassi della mia vita di uomo, e poi si è voltato e se ne è andato. Mi sono fermato per vederlo un ultima volta, ma il mio amico elfo si era nascosto per sempre come promesso. Anastasia 16

15 PIROETTE DI RABBIA M attia entrò in palestra con la testa colma di pensieri. Strano, ma oggi non gli andava minimamente di provare e riprovare sempre la stessa coreografia, con quei cinque ballerini che danzavano con lui aiutandolo nell'esecuzione degli splendidi salti liberatori che oggi gli parevano più oppressivi che mai. Scaraventò la sacca vicino alla parete di specchi. L'insegnante fece partire la musica e Mattia eseguiva i passi meccanicamente, continuando a pensare a quelle ingiustizie che non riusciva a spiegarsi come potessero essere trascurate in un luogo come un'università. Quando la musica prese ad aumentare di intensità e cominciò quindi la parte di improvvisazione, Mattia iniziò, a passi di danza, ad allontanare da sé tutto quello che gli stava intorno, come se rappresentasse ciò che voleva scacciare dalla propria mente e dalla propria vita: allontanava i ballerini con finti calci e pugni e loro, come se le sue mosse li colpissero, cadevano ai suoi piedi; alzò le sedie e le portò alle pareti; trascinò i cuscinoni negli angoli. Faceva tutto questo per ribellarsi, era il suo modo di esprimere le emozioni. Dentro di sé lo faceva con violenza, ma fuori questa si trasformava in temperamento, carisma e determinazione. Chiara D.B. 17

16 ANCHE LE STELLE MUOIONO C 'era il silenzio. Un silenzio profondo come quello che scende improvvisamente mentre la neve cade, quello che ti avvolge completamente e in cui riesci a sentire ogni singolo battito del tuo cuore. Un uomo si stava preparando per uscire, davanti all'orologio a pendolo decorato con rifiniture dorate, che produceva un fastidioso ticchettio metallico. Uscito di casa l'uomo esitò un po', ma poi continuò ad avanzare deciso attraverso il vialetto che attraversava ogni giorno. Era un uomo giovane, forse non era ancora un vero uomo: aveva venticinque anni. Ed era fragile. Ogni giorno indossava la sua maschera che aderiva così perfettamente alla sua sfera emotiva da farlo sembrare estremamente forte. Ma lui dentro era fragile; e non era per una precisa causa, perché era rispettato da tutti ed era sempre circondato da una moltitudine di persone che gli volevano bene. Tuttavia le crepe nella sua anima si facevano sempre più profonde. Ogni giorno, quando tornava a casa, piangeva. Piangeva fino a svuotarsi di quel poco che gli rimaneva dentro, e lo faceva in silenzio. Gli mancava qualcosa? No. Possedeva tutto e tutti. Forse aveva troppo. Non riusciva a trovare e distinguere le cose che lo facevano stare bene. Una sera l'uomo era sul terrazzo, che guardava le stelle. Erano così belle, lassù, mentre circondavano la Luna. E in tutta quell'oscurità sembravano spensierate e libere. E fu a quel punto che l'uomo rientrò frettolosamente, strappò la sua giacca dall'appendiabiti e scese velocemente le scale. Nel momento in cui superò la porta della sua casa, cominciò a correre e inciampò sui ciottoli del vialetto, ma si rialzò e continuò la sua corsa. Cominciò ad urlare e aprì le braccia per accogliere l'aria fresca con tutto il suo corpo. Le maniche della sua giacca si gonfiavano e lui sorrideva e ululava, accarezzando l'aria con le dita. Molte persone uscirono di casa e lo guardarono, ma a lui non interessava, perché, con la sua forte determinazione, continuava a percorrere a grandi falcate il cemento ruvido. Attraversò il parco e, incespicando nella terra umida e fangosa, passò anche le piccole colline. Lo stava facendo per raggiungere le stelle, che erano così forti viste da laggiù, dal pianeta delle menzogne; erano così belle da poter illuminare la sua anima danneggiata. Si presentavano piccole, ma grandi allo stesso tempo. Intanto l'uomo continuava a correre, sempre più veloce, fino a non sentire più le gambe e non importandosene della gola secca, che gli faceva male. Ad un certo punto saltò. Voleva proprio raggiungerle, quelle famose stelle. Ma cadde, in un vuoto che sembrava non avere fine. Mentre precipitava e vedeva le sue amate stelle allontanarsi sempre di più, si abbandonò in un ultimo pianto. Così la sua anima si ruppe definitivamente, in mille minuscole schegge. Eppure nella sua fragilità stava la sua vera forza. Chiara D.M. 18

17 GIOVINEZZA PERDUTA D i prima mattina la signora Amy Adams, settantenne vedova, ricevette un' inaspettata telefonata dalla sua compagna di studi del college, Mary Turner, la quale la invitò a prendere il tè delle cinque nella sua dimora a Londra. Quindi prontamente si diresse verso la stazione della cittadina in cui risiedeva, Stratfield Mortimer e prese il primo treno per Londra. Il viaggio durò all'incirca una settantina di minuti, dal momento che Stratfield distava soltanto quaranta miglia dalla capitale del Regno Unito. Tuttavia le parve un tragitto eterno poiché era impaziente di incontrare la sua adorata amica, di cui aveva perso notizie pochi anni dopo il conseguimento del diploma. Nella mente della signora Adams affiorarono i ricordi dei monenti più belli del college passati con lei. Il treno arrivò puntualmente alla stazione "Chelsfield" di Londra, nella quale prese il taxi per raggiungere il prima possibile Carnaby Street. Una volta individuato il portone, senza esitazione suonò il campanello. Alla porta si presentò una ragazza, in apparenza tra i venti e i venticinque anni, che abbracciò calorosamente la signora Adams. Questa rimase attonita nel trovare Mary tale e quale a come era cinquant' anni prima : la pelle vellutata, morbida, lattea; il fisico slanciato; la chioma di capelli biondo cenere lunghi fino alla vita e le guance rosee. Mary fece subito accomodare Amy su un divanetto, posto davanti ad uno specchio appeso alla parete. Quando la signora Adams ci buttò l' occhio, rimase di stucco dato che l' immagine riflessa non era quella di una vecchia dalla pelle flaccida e secca, col volto solcato di rughe e i capelli canuti, ma di una giovane e tenera donna. Ad Amy sembrò di essere ritornata indietro nel tempo, ma con il corpo ben saldo nel presente, dunque di essersi tuffata nel passato verso gli anni della giovinezza. Le due amiche conversarono per intere ore, fino a quando Mary propose ad Amy di andare a teatro ad assistere ad una commedia, come era consueta fare. Amy accettò. Giunsero in tempo per acquistare i biglietti. Il bigliettaio disse loro che avrebbero pagato solo la metà del prezzo dell'ingresso, poiché vi era uno sconto per le persone ultrasessantenni. Amy rabbrividì nell' udire la parola "ultrasessantenne". Rivolse un'occhiata interrogativa a Mary, ma questa non riusciva a capire la ragione per la quale Amy fosse rimasta sbigottita. Amy si accorse che la loro giovinezza era una mera illusione. Cominciò lo spettacolo. Il sipario scese, calò il silenzio. Lucrezia D.N. 19

18 BIANCANEVE C 'era una volta una fanciulla bellissima, aggraziata e dalla voce simile al canto di un usignolo; si chiamava Biancaneve. Alla mattina usciva presto per passeggiare in mezzo ai boschi, ed era chiaro che quello era per lei il momento più gioioso della giornata. Nei boschi poteva essere sé stessa, cantare e giocare con tutti i suoi amici animali. E' superfluo dire che nel paese tutti le volevano un gran bene: al suo passaggio i bambini correvano a salutarla, i gentiluomini si prostravano ai suoi piedi e le vecchie signore avevano sempre qualche dolcetto da offrirle. Veniva inoltre ogni giorno nella mia bottega a comprare gli ingredienti per preparare deliziosi manicaretti per tutti i suoi cari. Ma la sua matrigna, una donna bella quanto spregevole, era invidiosa: sì, invidiosa di tutte le attenzioni che la giovane otteneva, di tutti gli sguardi d'ammirazione rivolti a quella piccola traditrice. C'era stato un tempo in cui era stata la matrigna la più bella, oh, chi non lo ricorda! Ogni giorno si rivolgeva al grande specchio rotondo che si trovava nel suo castello, tutte le volte con la stessa domanda:- Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?- e lui le rispondeva sempre che ovviamente nessuna la superava in bellezza. Un giorno però le rispose che non era più lei la più bella, ma la giovane Biancaneve. La matrigna, furiosa, incaricò così un cacciatore di ucciderla. Ero molto preoccupata: ho sempre voluto bene a quella cara ragazza! Però il cacciatore non ebbe il coraggio di spararle e la lasciò fuggire. La ragazza, spaventata, dopo lunghi giorni trascorsi fra le selve, finalmente riuscì a raggiungere una graziosa casetta, dove vivevano sette laboriosi nani che la tennero con loro per molti anni. Ma nel frattempo la malvagia matrigna aveva scoperto l'inganno e, travestitasi da anziana mendicante, bussò alla sua porta per offrirle una mela stregata. L'ingenua fanciulla l'accettò con piacere e cadde a terra, morta. Tutta la gente del posto sprofondò in un pesante e doloroso lutto, tranne ovviamente quella strega della matrigna, che era tornata ad essere la più affascinante del regno. Io disponevo di una pozione prodigiosa che dona a chi la beve ogni dodici giorni l'immortalità, e tiravo avanti così. Ogni anniversario della morte di Biancaneve mi recavo alla sua tomba per ravvivare i fiori che la adornavano. Era il centesimo anniversario della morte di Biancaneve; mi recai di buon mattino in cimitero per onorarne, come ogni anno, la memoria. Ma quando giunsi alla lapide quasi caddi a terra dallo sbigottimento: dov'era finito il corpo?! Era sparito, la tomba era vuota. Mi guardai attorno, smarrita, e qui la vidi: una fanciulla che camminava smarrita e stralunata, con un vestito blu che non potei non riconoscere. -Biancaneve!- esclamai gioiosa oltre ogni misura. La giovane donna mi corse incontro, chiedendomi spiegazioni. A quel punto era evidente che la mela da lei ingerita cent'anni prima non provocava la morte, ma il sonno di un secolo. Invitai la ragazza a venire a casa con me per sistemarsi un po' e mangiare qualcosa di caldo. 20

19 Biancaneve è quindi venuta a stare da me. Dopo cinque anni di scuola superiore (dove era la più bella e brillante dell'istituto) ha deciso di frequentare la facoltà di medicina all'università, affermandosi come cardiologa in tutta la regione e prendendo un suo stipendio ogni mese, con il quale poteva occuparsi di me con le migliori cure. Si è trovata anche un fidanzato, un giovane ingegnere di bell'aspetto e dal cuore d'oro. Alla mattina Biancaneve usciva di casa, prendeva il tram 712 per raggiungere la sua clinica in un bel viale vicino al centro: qui lavorava tutta la mattinata per curare i malati, che in lei trovavano la speranza e la guarigione. A pranzo si sedeva al tavolo di un bel ristorante dove servivano piatti semplici ma sfiziosi. Al pomeriggio usciva poi per divertirsi; solitamente andava in libreria a dare un'occhiata ai nuovi titoli, in profumeria per acquistare una cipria che le permetteva di mantenere quel suo incarnato candido, ed infine al supermercato e in farmacia per fare la spesa e comperare le mie medicine. La sera tornava a casa, cenavamo insieme parlando dei vecchi tempi e finivamo la serata tra lacrime e sospiri nostalgici. Biancaneve se ne andò dopo cinquant'anni di vita nel mondo moderno, e questa volta per davvero. Sto soffrendo molto per la sua perdita; sono undici giorni che non prendo più la mia pozione dell'immortalità. Silvia 21

20 TOM HUNTER E LA SUA CHITARRA C iao, sono Tom Hunter. Sulla terra ho trascorso una vita molto bella e spensierata: la mia gioia più grande era la mia chitarra acustica, ma avevo anche una bellissima chitarra elettrica, della quale ricordo ancora il modello, Ibanez RG 350 MZ. Imparando a suonare la chitarra, mi sono automaticamente creato un nuovo modo per avere amicizie, perché, in genere, quando nei vari gruppi si nota qualcuno che sa suonare la chitarra, si familiarizza subito e allegramente si incomincia a cantare. Purtroppo, ad un certo punto della mia vita, un banale incidente mi ha portato via e sono stato accolto in Paradiso. Dopo poco tempo, in quel luogo mi si presentò una persona misteriosa che mi disse: Posso fare qualcosa per renderti più felice? Io gli risposi: Vorrei potermi reincarnare in uno strumento musicale e precisamente in una chitarra. Rimasi per molti giorni a meditare sull'aspetto che avrebbe dovuto avere la mia chitarra. Alla fine andai dallo sconosciuto misterioso e gli dissi: Voglio essere una Gibson les paul custom shop, di color oro, argento e un rosso fiammante come base. Inoltre vorrei avere un bellissimo manico di legno di faggio e la paletta con la scritta Tom Hunter's Gibson. Questa sarebbe la cosa più soddisfacente per me". Mentre gli dicevo questo mi venne in mente se potesse far suonare quella chitarra ad un grande chitarrista: Eddie Van Halen. Ci vediamo tra una settimana in Purgatorio disse lui; io gli chiesi perché, ma non mi rispose e andò via. Arrivato il fatale giorno, lo incontrai in Purgatorio; egli mi presentò un'altra anima in cerca come me di una chitarra. Io lo riconobbi: era il mio vecchio amico Philip. Guardandolo ricordai subito quando tutti e due suonavamo la chitarra in una band. Poco dopo attraverso un tunnel trans-dimensionale, creato dall'uomo misterioso arrivammo sulla terra, dove, assunte le sembianze di due chitarre, fummo subito esposti nella vetrina di un negozio negli U.S.A. Un mese dopo, in quel negozio, passarono per caso Van Halen ed il suo secondo chitarrista. Proprio Van Halen si fermò a guardarmi con attenzione e, dopo avermi provato per un po', disse:" I'm buying this fantastic guitar, and you?" chiese al suo amico. L'altro, guardando Philip, disse: "I don't like very much the colours of this guitar, but the sound is fantastic; so I'm buying it". Allora i due amici ci comprarono: eravamo quindi entrambi nelle mani dei nostri idoli. Partiti per fare una tournée con i Van Halen, ci aspettava un lungo viaggio verso l'italia, dove ci saremmo esibiti a Milano. Arrivati a destinazione i tecnici degli impianti dell'audio e delle luci sistemarono tutto e la sera del 27/7/1997 iniziammo il concerto. 22

21 "Quello fu il concerto più bello della mia carriera" affermò in una conferenza stampa Van Halen, "con la mia musica e questa chitarra ho infuso felicità, allegria e tante emozioni al mio pubblico; ma la cosa più bella è che tramite il rock ho raccontato la mia storia". Io e il mio amico Philip eravamo molto soddisfatti ed insieme dicemmo: "Adesso possiamo tornare in Paradiso, abbiamo raggiunto la felicità massima. Detto questo ritornammo alla vita ultraterrena. Tommaso 23

22 SULLE MURA DI TROIA A ffacciato sulle mura di Troia, non riesco a muovermi, a pensare, a parlare. Tutto quello che riesco a fare è guardare quella danza mortale. Dove è finito il mio coraggio, che dicevano grande per un ragazzo giovane come me, per andare ad aiutare Ettore, anche se sono tanto inferiore a lui? Dov'è il mio onore, quell'ardore che fino ad ora mi ha spinto a compiere imprese? Ma forse il destino vuole che nessuno intervenga. Nell'aria avverto una tensione fortissima e opprimente, evidenziata ancora di più da questo silenzio irreale. Nessuno si muove. Ettore è tutto solo nella grandissima piana sotto Ilio e, per quanto grande e imponente sia la sua figura, sembra così piccolo e debole contro ciò che incombe su di lui. Ettore è immobile e fissa un uomo. È alto, ancora più alto del mio eroe, la sua spada è insanguinata. Quel pezzo di bronzo è sporco del sangue della mia gente, della gente di Ettore: è il sangue per cui Ettore combatte. Achille brilla come la stella più luminosa della notte buia, sia per la splendida armatura, sia per quel terribile lampo assassino che riflettono i suoi occhi. Di colpo mi trovo a pensare all'ultimo colloquio del figlio di Priamo con la moglie e il figlioletto, avvenuto poco tempo fa sulle stesse mura a cui sono appoggiato, e a cui ho segretamente assistito. Ettore mi aveva incontrato mentre cercava la bella Andromaca e io gli avevo indicato la strada. Ricordo come la cercava, e credo che solo agli dei si riservino tutte quelle cure e attenzioni che le dedicava. Non l'avevo mai visto piangere di gioia, mentre intanto accarezzava la moglie e stringeva forte a sé il bambino. Che ne sarà adesso di quell'uomo, così solo davanti al destino, di quella donna e del piccolo? Li cerco con lo sguardo tra gli spettatori di quel terribile e affascinante spettacolo e non riesco a fare a meno di tirare un sospiro di sollievo non vedendoli. Scorgo invece i genitori Priamo ed Ecuba, sovrani della potente Troia, stretti in un abbraccio e così deboli e vecchi da sembrare di vetro. Non sento le parole pronunciate dagli eroi, mi accarezzano solo con le loro fragili ali di emozioni. Mi scuoto solo quando Achille, con un potentissimo e agghiacciante grido lancia la sua asta contro Ettore. Vorrei riuscire a chiudere gli occhi per non vedere l'impatto. E invece Ettore viene clamorosamente mancato. Qualcuno urla qualche parola di incoraggiamento. Il volto del nostro eroe si apre in un grande sorriso mentre scaglia a sua volta la lancia. Un forte clamore riempie la piana: l'asta ha colpito lo scudo dell'avversario che però non viene minimamente scalfito, anzi, fa rimbalzare lontano l'arma dall'ombra lunga. La lancia di Achille è tornata come per magia nella mano forte del proprietario, che risplende della luce divina dei protetti di Atena. Ettore si volta per chiedere un'altra asta ma si accorge improvvisamente di essere solo in mezzo alla piana, vittima di un inganno della dea dagli occhi di civetta; senza dei o uomini ad aiutarlo. 24

23 Mi mordo le labbra cercando di ignorare il senso di colpa che mi divora: avrei potuto esserci io ad assisterlo mentre invece sono rintanato quassù, su queste altissime mura di marmo. Ma chi voglio prendere in giro? Ettore è il solo motivo per cui Troia non è già nelle grinfie degli Achei e noi Troiani avremmo dovuto difendere lui per salvare la città ma, stolti, ce ne rendiamo conto solo ora, ed assistere alla sua morte sarà come vedere in anticipo la ormai prossima caduta di Troia. Cadrai anche tu, amata Ilio, vittima di un vile inganno? Guardo giù: con le poche forze rimaste, compresa quella della disperazione, Ettore ha sguainato la sua pesante spada e si è lanciato come un aquila in picchiata su Achille, che spicca il volo a sua volta. Ora combattono avvinghiati cercando disperatamente la pelle e il sangue dell'altro. I volti che mi circondano sulle mura rispecchiano l'ansia e il terrore più puro mentre dalla pianura, un tempo fertile e ricoperta di fiori, giungono grida, clangore di armi e tonfi delle armature di bronzo. Poi di colpo è come se il tempo si fermasse e tutto andasse a rallentatore: un lampo attraversa il volto assetato di sangue di Achille che si riflette sulla spada di bronzo, così bella e terribile, mentre cala impietosa. Ettore si accascia e il suo viso è lo stesso di un qualunque uomo che muore. La morte ci rende tutti tremendamente uguali. I suoi occhi vagano sulle mura cercando di afferrare un'ultima volta l'immagine di Andromaca. Poi li rivolge al suo carnefice, che lo sovrasta. Achille, sporco e insanguinato, ha in volto un'espressione terribilmente soddisfatta che viene però tradita dai suoi occhi: due buchi neri come pozzi, da cui trabocca ancora la disperazione per la morte di Patroclo. È scosso, trema, ansima e ringhia come un cane rabbioso mentre ascolta e nega impietosamente le ultime volontà dell'uomo che ha appena ucciso. Achille se ne va. Neanche l'urlo e il pianto della madre di Ettore unito a quello delle altre donne riesce a scuotermi mentre fisso quel corpo ormai anonimo, solo e fragile in mezzo alla pianura. Sara 25

24 IL SOGNO DI GIOIA Fuori c'era una calura insopportabile e Gioia, con il palmo della mano, si asciugò la fronte sudata e, sfinita, si distese su un morbido materassino turchese. Lei era una delle ginnaste più promettenti d'italia e il suo sogno era quello di arrivare alle Olimpiadi. Per questo ogni giorno si allenava cinque ore e tornava nel suo piccolo appartamento stremata. Per migliorare nella ginnastica si richiede tanto impegno e i sacrifici a Gioia sembravano infiniti. Ormai non aveva più una vita sociale, non abitava più con la sua famiglia e era costretta a studiare da privatista. Alle volte voleva solo essere una ragazza normale e vivere un'altra vita. Ma poi ripensava al suo sogno e sapeva di non voler mollare, doveva riuscirci a tutti i costi. Mentre pensava a tutto ciò arrivò l'allenatore che, sorridendo, le disse: Ora devi andare sulle parallele, non stare qui distesa a perdere tempo. Già, le parallele, le nemiche peggiori di Gioia. L'attrezzo in cui lei non riusciva ad esprimersi pienamente. Sospirando inforcò i paracalli e cominciò a svolgere i suoi esercizi, che quel giorno risultavano stranamente perfetti. Molto bene esclamò soddisfatto l'allenatore e Gioia si sentì orgogliosa di se stessa. Ma mentre stava per cambiare staggio, proprio mentre era in volo, successe qualcosa di bizzarro: all'improvviso l'atleta si ritrovò in un immenso giardino verde che si affacciava su una lussuosa villa rosata. Gioia, estremamente confusa, si avvicinò all'edificio. La porta si aprì ed uscì una donna bellissima con un sorriso candido e gli occhi color del mare. Vieni, tesoro la invitò la sconosciuta entra pure e siediti che ti devo parlare. Gioia intimorita e incuriosita seguì la donna all'interno della villa e si accomodò su una antica poltrona in pelle. Davanti a lei c'era un tavolino imbandito di dolcetti e tè caldo e la signora la esortò ad assaggiarli. La ginnasta non aveva mai mangiato niente di più buono e meravigliata osservò la casa. I soffitti alti erano decorati da affreschi raffiguranti paesaggi lussureggianti; le tende leggere lasciavano penetrare la luce all'interno e il profumo dei ciliegi in fiore inondava le stanze sfarzose. Ad un certo punto, la donna iniziò a parlare e le disse: Gioia, io so che il tuo grande sogno è quello di andare alle Olimpiadi, ma io adesso ti metterò davanti ad una difficile scelta: puoi continuare ad allenarti e fare la tua solita e faticosa vita oppure puoi venire qui da me, in questa villa dove non ti mancherebbe niente. Anche i tuoi genitori si trasferirebbero qui e se vuoi potrai portarci anche i tuoi amici e gli altri parenti. Avresti una vita stupenda, piena di felicità ma non potresti realizzare il tuo sogno. Pensaci bene mia cara e rifletti sul fatto che la tua vita potrebbe cambiare in meglio se scegliessi di stare con me. Niente più fatiche, allenamenti, sacrifici, solitudine, stanchezza o difficoltà. Solo divertimento e pace. Gioia non aveva bisogno di meditarci sopra, sapeva già che nessuno aveva il diritto di rubarle questo sogno e che per nessun motivo avrebbe mollato. Non voleva una vita più facile, ma desiderava un'esistenza più appagante e ricca di soddisfazioni. Perciò con grande coraggio disse alla donna che non sarebbe andata a vivere con lei e che la ginnastica era semplicemente tutto. 26

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E Penelope si arrabbiò Carla Signoris E Penelope si arrabbiò Rizzoli Proprietà letteraria riservata 2014 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-07262-5 Prima edizione: maggio 2014 Seconda edizione: maggio 2014 E Penelope si

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