Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 17 maggio 2017, n (ud. 30 marzo 2017) - Presidente G. Conti, Relatore A.

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1 Corte di Cassazione, Sez. VI penale, sentenza 17 maggio 2017, n (ud. 30 marzo 2017) - Presidente G. Conti, Relatore A. Petruzzellis Depistaggio Qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato del pubblico servizio Dolo specifico - Correlazione funzionale della qualifica con l attività svolta «L art. 375 cod. pen. si configura come reato proprio dell attività del pubblico ufficiale, o dell incaricato del pubblico servizio, la cui qualifica preesista alle indagini e sia in rapporto di connessione funzionale con l accertamento che si assume inquinato, cosicché la condotta illecita deve risultare finalizzata proprio all alterazione dei dati che compongono l indagine o il processo penale, che gli è stato demandato di acquisire o dei quali sia venuto a conoscenza nell esercizio della sua funzione, e risulti quindi posto in condizione di spiegare il proprio intervento inquinante». La Corte di Cassazione ritiene fondato il primo motivo di ricorso, riguardante la mancanza di elementi indiziari del reato contestato, posti a fondamento degli arresti domiciliari e del divieto di dimora, disposti nei confronti di uno dei tre vigili urbani, per aver espresso, in sede di audizione, dei dati falsi al P.M., e annulla senza rinvio i relativi provvedimenti, disponendo la revoca delle misure cautelari applicate e la liberazione della ricorrente, se non detenuta per altra causa. I giudici rilevano, in particolare, che le dichiarazioni rese, poste a fondamento della contestazione del delitto di depistaggio, erano tese a ricostruire delle circostanze che uno dei vigili urbani aveva percepito in occasione del suo lavoro, ma non a causa della sua attività, considerato che la presenza nei locali degli uffici comunali, dove erano avvenuti gli incontri oggetto delle richieste del P.m., era giustificata dallo svolgimento dell attività lavorativa e non dallo scopo di cogliere gli interessi dei due contendenti. Ci si sofferma poi sull inquadramento dell attività, e sulla configurabilità del concorso morale in qualità di istigatore di una delle parti, nel delitto di depistaggio. Rilevate le ragioni storiche dell intervento di riforma, la Cassazione evidenzia che la nuova disciplina punisce il pubblico ufficiale o l incaricato del pubblico servizio che, mosso dal dolo di impedire, ostacolare o sviare l indagine o un processo penale, immuta lo stato dei luoghi o formula affermazioni false o reticenti. Considerata l identicità della formulazione normativa rispetto ai reati di frode processuale, false informazioni al P.m., falsa testimonianza, e rilevata la distinzione nella presenza del dolo specifico e nella considerazione della qualifica soggettiva, i giudici ritengono opportuno operare una delimitazione dell ambito di applicazione, ricercando un rigoroso discrimine tra la fattispecie di depistaggio e quelle appena citate, per scongiurare problemi di coordinamento. Il principale interrogativo attiene alla rilevanza, in via di fatto, della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, a prescindere dalla connessione tra tale qualità e le attività a cui si correla l illecito attribuito, in modo da poter essere considerato elemento tipico della fattispecie, anche in situazioni di totale accidentalità rispetto all oggetto dell indagine. La risposta fornita dai giudici è negativa, ossia nel senso della rilevanza della connessione tra qualità ed attività caratterizzante la stessa, per due diverse ragioni. Una prima ragione è individuata nell elevata previsione sanzionatoria che guida nel connettere l obbligo di dire la verità ad un dovere inerente specificamente alla funzione, il cui svolgimento implica una fisiologica convergenza di interesse tra pubblica amministrazione rappresentata e dipendente chiamato a svolgerne le funzioni. Si fa notare inoltre che la presenza del dolo specifico, incompatibile con il dolo eventuale, impone che l esclusiva, o quanto meno preminente

2 e diretta necessità di sviare le indagini non può che essere logicamente connessa a specifici compiti inerenti allo svolgimento di tale attività. La seconda ragione si desume dal mancato ampliamento delle cause di non punibilità di cui all art. 384 c.p. La scelta del legislatore, in questo senso, manifesta l indifferenza rispetto ai diritti personali o ai vincoli familiari e la contrapposta preminenza del dovere di collaborazione che discende dal rapporto professionale e del vincolo funzionale con lo Stato, con la conseguenza che tale vincolo caratterizza il dolo specifico richiesto e l elemento tipico del reato si rende palese nella violazione del dovere di fedeltà connesso alla preesistenza della qualifica rispetto al reato. Si aggiunge altresì che dalla lettura combinata dell art. 360 c.p., e dell art. 371, co. 7, c.p., emerge che, mentre il primo detta i principi generali in tema di reato contro la pubblica amministrazione, chiarendo che la cessazione della qualità di pubblico ufficiale o esercente un pubblico servizio - ove tale qualità realizzi un elemento costitutivo del reato - non esclude quest ultimo se il fatto si riferisce all ufficio o al servizio esercitato, il secondo, si limita a far riferimento all applicazione della pena, non ribadendo il riferimento all ufficio o al servizio esercitato. In altri termini, dalla nuova disposizione non è dato desumere alcuna amplificazione della fattispecie di reato, nel senso dell attribuzione della funzione di reato di posizione, consumabile al di là di ogni rapporto funzionale del fatto con il ruolo, e quindi riproponibile anche alla cessazione di esso; il solo richiamo all applicazione della pena, diversamente dalla norma generale (art. 360 c.p.), anche nell ipotesi in cui sia sopraggiunta la cessazione dal servizio, conforterebbe che tale condizione [ ]non svincola dal dovere di lealtà, e ne conferma la sopravvivenza rispetto a fatti o circostanze conosciute o a cui si è avuto accesso in correlazione con l esercizio della funzione e rispetto ai quali si conserva un obbligo accentuato di rispetto della verità. I giudici escludono la fondatezza dell interpretazione posta a base della decisione impugnata. Nel dettaglio, si fa notare che nel caso concreto l elemento tipico della fattispecie è stato individuato nella qualità di pubblico ufficiale della dichiarante, pur in mancanza di un nesso di funzionalità tra lo stesso e i fatti che era stata chiamata a riferire, e che questa condizione rifluisce sulla configurabilità del reato, caratterizzato dal dolo specifico posto che, la possibilità di sviamento delle indagini non poteva che essere percepita quale conseguenza, voluta come naturale effetto della prima finalità, non quale determinazione principale, essenziale al fine della configurazione della fattispecie. Si evidenzia inoltre che la soluzione negativa non lascia scoperti ambiti di tutela considerati essenziali in sede di novellazione, dal momento che, nell ipotesi di mancata ricorrenza del nesso di funzionalità, e di un incidenza di false dichiarazioni al P.m. sull accertamento dei gravi delitti considerati nel co. 3 della fattispecie di depistaggio, troverebbe applicazione la specifica aggravante del reato comune, previsto dall art. 384 ter c.p., richiamo che costituisce ulteriore argomento nel senso della delimitazione applicativa del delitto considerato. Una volta esclusa la presenza delle condizioni di fatto richiamate, i giudici chiariscono che potranno configurarsi fattispecie giuridiche diverse, come il delitto di false comunicazioni al P.m., i cui presupposti ed effettiva gravità risultano del tutto diversi ed esigono una autonoma analisi in ordine alla sussistenza di esigenza cautelari.

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