Poste It. Spa. Sped. in abb. post. DL 353/03 (conv. in L n 46 27/02/2004) art.1 comma1 aut.171/2008 Rm. Obama: OTTO MESI DI PROMESSE
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1 Dal nostro inviato BIRMANIA La resistenza del popolo Karen ISSN Poste It. Spa. Sped. in abb. post. DL 353/03 (conv. in L n 46 27/02/2004) art.1 comma1 aut.171/2008 Rm. Anno 2 - numero 13 - Ottobre 2009 Obama: OTTO MESI DI PROMESSE Fini: MISSIONE DI PACE. MORTI DI GUERRA Il punto sulla crisi: TRANQUILLI, LE BANCHE STANNO BENE Chavez-Ahmadinejad: L UNIONE FA IL FUTURO Pub: ADESSO CI VIETANO ANCHE IL BICCHIERE Mensile Anno 2, Numero 13 5 Direttore politico Massimo Fini Direttore responsabile Valerio Lo Monaco
2 Anno 2, numero 13, Ottobre 2009 Direttore Politico Massimo Fini Direttore Responsabile Valerio Lo Monaco Redazione: Ferdinando Menconi, Federico Zamboni Art director: Alessio Di Mauro Hanno collaborato a questo numero: Franco Nerozzi, Francesco Bertolini, Alessio Mannino, Alessia Lai, Marzio Pagani Segreteria: Sara Santolini (sarasantolini@ilribelle.com) 340/ Progetto Grafico: Antal Nagy Mauro Tancredi La Voce del Ribelle è un mensile della MaxAngelo S.r.l. Via Trionfale Roma P.Iva Redazione: Via Trionfale Roma tel. 06/ fax 06/ info@ilribelle.com Testata registrata presso il Tribunale di Roma, n 316 del 18 Settembre 2008 Prezzo di una copia: 5 euro Abbonamento annuale (11 numeri): 50 euro comprese spese postali Modalità di pagamento: vedi modulo allegato alla rivista Stampa: Grafica Animobono sas. via dell Imbrecciato, 71/a Roma Agenzia di Stampa: Adn Kronos Pubblicità di settore: adv@ilribelle.com redazione@ilribelle.com www. Tutti i materiali inviati alla redazione, senza precedente accordo, non vengono restituiti. Chiuso in redazione il 28/09/2009 Altro che sdegno di Massimo Fini 3 Non crediamogli di Valerio Lo Monaco 6 Reportage: I Karen non mollano mai di Franco Nerozzi 8 Fine della crisi. Forse, insomma, chissà di Federico Zamboni 17 Le sirene si vestono di verde di Francesco Bertolini 20 Tutte le bugie di Obama di Alessio Mannino 23 Moleskine 29 Intervista: Tony Capuozzo di Valerio Lo Monaco 37 Attenti a quei due di Alessia Lai 40 Musica: Lassù sulle montagne di Federico Zamboni 47 Last Orders for the Nonick! di Marzio Pagani 51 Film: Armenia, un viaggio negato di Ferdinando Menconi 54 Tecnologia amica 63
3 Leggo al minimo. Il Tempo divora gli occhi e il resto. Ma La Voce del Ribelle merita di vivere. Qualcuno... chissà... Guido Ceronetti
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5 Altro che sdegno di Massimo Fini e "sdegno" sono stati espressi da molti uomini politici e commentatori dopo la morte dei sei soldati italiani caduti in un'imboscata talebana a Kabul. Capisco Sgomento" lo sgomento, non lo sdegno. Noi italiani abbiamo la curiosa pretesa di fare la guerra, di avere licenza di uccidere senza però ritenere legittimo che ci sia resa la pariglia. E invece in guerra la speciale legittimità di uccidere, che non esiste in tempo di pace, deriva proprio dal fatto che si può essere, altrettanto legittimamente, uccisi. Se solo uno può colpire e l'altro solo subire siamo fuori dal campo della guerra, ma entriamo in un ambito che, come scrive il polemologo Lewis A. Coser, "non si differenzia dall'attacco dello strangolatore contro la sua vittima" (Le funzioni del conflitto sociale, Feltrinelli). In un conflitto armato i caduti, anche se in proporzione diversa, ci sono da entrambe le parti. È la legge della guerra. Che gli inglesi conoscono bene e che noi sembriamo aver dimenticato. Solo nei mesi di luglio e agosto i britannici hanno perso 31 uomini. Hanno onorato, com'è giusto, i loro caduti, come è giusto che noi onoriamo i nostri, ma nessuno ha espresso "sdegno", e per la verità nemmeno "sgomento", per quanto era accaduto. Sdegnarsi di che? Che quelli che noi colpiamo cerchino a loro volta di colpirci, con i mezzi che hanno? Noi possediamo armi tecnologicamente sofisticatissime, i Talebani quasi solo i loro corpi. Spiace, ma è doveroso dirlo: l'attacco ai Lince italiani era perfettamente legittimo perché diretto contro un obbiettivo militare. Dobbiamo piantarla di negare a chi ci combatte (a chi combatte un esercito occupante) la legittimità del combattente, conside MASSIMO FINI
6 MASSIMO FINI randolo semplicemente un criminale (criminali sono i Talebani, criminali erano gli iracheni, criminale era Milosevic) e riservando questa legittimità solo a noi. Peraltro ci sarebbe anche un'altra considerazione da fare. I guerriglieri (non solo in Afghanistan, ma in ogni guerriglia) sono stati spesso accusati di usare i civili, fra i quali si mescolano, come "scudi umani". Ma lo stesso si potrebbe dire per i mezzi corazzati occidentali che circolano nelle ore di punta per le strade principali di Kabul, affollatissime. È quello che ha osservato un giovane afgano, Siddiquat, che ha un negozietto che si affaccia sulla strada dove è avvenuto l'agguato: "Perché le truppe Isaf devono passare proprio da questa strada? Sanno di essere obbiettivo dei Talebani e dunque perché almeno per viaggiare non evitano le ore di punta? L'Isaf dimostra di non dare alcun valore alla vita degli afgani". Evidentemente le forze occidentali si comportano in questo modo perché pensano che la presenza della popolazione possa essere un deterrente per i Talebani che non hanno alcun interesse ad inimicarsela dato che il suo appoggio è per loro vitale. Quanto è accaduto a Kabul era inevitabile. Era anzi annunciato. Fino agli inizi di quest'anno ce l'eravamo cavata con poco, grazie a un accordo con i Talebani: noi controllavamo il territorio per modo di dire e loro ci lasciavano in pace. Accordi del genere li fanno anche gli altri. In alcune aree del Paese i contingenti occidentali pagano tangenti ai Talebani in cambio di protezione. Il paradosso dei paradossi che dice quale sia la reale situazione in Afghanistan e chi controlli il territorio. Ma il 2 maggio una pattuglia di soldati italiani, con i nervi evidentemente a fior di pelle, ha sparato contro una Toyota che procedeva in senso inverso, regolarmente sulla propria corsia, scambiandola per una macchina di attentatori, e ha ucciso, decapitandola, una bambina di dodici anni. L'accordo è saltato. Da quel momento dovevamo attenderci il peggio. Lo scrissi sul Quotidiano Nazionale in un articolo intitolato: "I parà in Afghanistan in mezzo a una guerra. Aspettiamoci il morto" (2/6/2009). È iniziato così uno stillicidio di attentati molto meno "dimostrativi" di quelli che c'erano stati fino ad allora. I Lince hanno cominciato a saltare in aria, pur senza causare vittime. Il 12 giugno sono stati feriti tre alpini. A metà luglio è stato ucciso Alessandro Di Lisio. Quindi è arrivato il botto terrificante di Kabul. E il peggio deve ancora venire. È ovvio che non dobbiamo lasciare l'afghanistan perché abbiamo avuto dei morti. Gli americani sono a oggi (18/09/2009) a quota 850, gli inglesi ne hanno persi 216, i canadesi 131, la Danimarca 26, più del 10% del suo piccolo contingente di 200 uomini. Ma la domanda "Che cosa ci stiamo a fare in Afghanistan?" abbiamo pure il diritto di porla e di porla alle nostre classi dirigenti. È esclu- 4 LA VOCE DEL RIBELLE
7 so che stiamo facendo la lotta al terrorismo internazionale perché il terrorismo internazionale non sta in Afghanistan, la componente di Al Quaeda, ammesso che ci sia, nella guerriglia talebana è del tutto marginale e non ha alcuna voce in capitolo. È escluso che vi si possa e che abbia un senso portarvi la democrazia, mentre è certo che vi abbiamo portato, rispetto al periodo talebano, instabilità, insicurezza, disoccupazione, disagio sociale, corruzione, droga e, diciamolo pure, il nostro marciume morale. E allora? Le ragioni ce le ha spiegate, senza vergognarsi, Sergio Romano sul Corriere della Sera (19/9): gli americani devono salvare la faccia, i Paesi alleati ritagliarsi una fetta di prestigio internazionale. È per la bella faccia delle nostre classi dirigenti che mandiamo a morire inutilmente i nostri "ragazzi" e continuiamo ad ammazzare a decine, a centinaia di migliaia, gente che non ci ha fatto nulla di male, che vive a cinquemila chilometri di distanza da noi e che non saprebbe nemmeno della nostra esistenza se non fossimo lì a rompergli i coglioni. Massimo Fini Non ce ne frega niente di...: indici di ascolto di Porta a Porta e Annozero *** Briatore *** la polemica di Brunetta con la sinistra * Miss Italia * il dossier sexy su Fini (quello sbagliato) **** Pannella und Bonino ***** 5
8 Non crediamogli Lo Monaco di Valerio Lo Monaco Afronte di quotidiani con titoli schizofrenici, per chi ha avuto lo stomaco di continuare a comperarli e leggerli anche durante il periodo estivo, e a fronte di dichiarazioni improbabili da parte di economisti e politici, è il caso evidentemente di andare giù piatti. Tali e tante sono state le storture, le mistificazioni e i tentativi di persuasione in merito alla crisi finanziaria ed economica che stiamo affrontando, che una messa a punto per grandi linee, almeno con temi in modo intuitivo ancora prima che logico e razionale, si rende necessaria per quanti vogliano epurare la mente da tante cialtronerie. Perché mantenere accesa la realtà, in un momento nel quale tutto sembra manipolato e virtualizzato, è necessario per la propria sanità mentale. Quasi tutto quello che ci arriva appare - si fa per dire - concentrato proprio per atrofizzare la nostra coscienza, oltre che per nascondere la realtà delle cose. Sentenza, per impostare subito il discorso e diradare la nebbia: se le Banche (forse) sono salve, ebbene l'economia reale non lo è per niente. Se si è salvato il sistema, lo si è fatto salvando le stanze dei bottoni e i loro manovratori. Noi altri, quaggiù, stiamo subendo - come era normale che fosse e come certamente poteva supporre sicuramente chi ci segue da tempo - tutti gli scarti.tutti i problemi.tutta la caduta del "migliore dei mondi possibili". Che senso ha sentire dire che il peggio è passato e che le Banche si stanno riprendendo, che l'economia seppure piano riparte mentre si preannunciano continue perdite di posti di lavoro? Allora innanzi tutto il fatto, evidente, matematico e visibile anche dal punto di vista logistico, che l'unico motivo per il quale l'economia mondiale non è ancora letteralmente scoppiata risiede in una operazione da Banda degli Onesti. Chi ricorda il film con Totò e Peppino de Filippo rammenterà la stampa di banconote da parte dei due falsari improvvisati. Ebbene, l'iniezione di liquidità da parte di Banca Centrale Europea e soprattutto Federal Reserve americana è quasi la stessa operazione che si narra proprio in quella pellicola. Serve liquidità? Non c'è problema. Stampiamo banconote e le mettiamo in circolazione. Quanti chili ne servono? E il gioco è fatto
9 I famosi salvataggi di Banche & company altro non sono stati che immissioni di denaro per coprire le voragini lasciate aperte da anni di frodi da parte di Banche & Company stesse. In altre parole, e in sostanza, gli Stati non hanno protetto i cittadini ma le istituzioni che li hanno derubati. Il costo, naturalmente, è sempre a carico nostro. Senza cambiare di un millimetro o quasi i dogmi che a tali danni hanno condotto, si sono semplicemente riempite le falle con i soldi dei contribuenti. In altre parole: gli Stati ci hanno indebitati tutti. Ognuno di noi ha oggi una parte di debito pubblico sulle spalle. Grande, sempre più grande. Per salvare banche e banchieri. Noi, i nostri figli e i nostri nipoti: indebitati fino al collo. Senza alcuna possibilità di poterlo ripagare, tale e tanta è la mole di debito che abbiamo. Banche & company salvate hanno tappato (temporaneamente, s'intende) le falle al proprio interno iniziando nuovamente a operare indisturbate sul mercato, tanto che già sono stati erogati nuovi dividendi ai supermanager.e hanno addirittura iniziato nuovamente a fare utili. Per loro stessi. Pagando con il nostro futuro. Logica avrebbe voluto spazzare via tali istituzioni che hanno fatto i danni mentre invece le abbiamo salvate con il nostro presente e il nostro futuro. Logica avrebbe voluto confiscare beni e super ricchezze accumulate negli anni da parte di chi ci ha portato al collasso e invece, tranne qualche caso clamoroso - clamoroso soprattutto dal punto di vista mediatico - proprio a tali persone sono ricominciati a essere elargiti emolumenti stratosferici per il buon lavoro svolto. Invece di azzerare il rischio, insomma - come logica avrebbe voluto almeno per i convinti di continuare con questo sistema - si è semplicemente spostato il rischio da una parte all'altra. Ovvero dai privati al pubblico. Ancora, tanto per continuare a essere piatti, al di là di chi ancora non si è reso conto di quello che è accaduto e di quello che rapidamente accadrà, la liquidità immessa in circolazione per salvare Banche & Company dovrà necessariamente essere riassorbita da parte delle banche centrali. Come? Semplice,per chiunque mastichi un po' di economia (quando non solo di matematica da quinta elementare): inflazione. E quindi rialzo dei tassi di interesse. Presto o tardi che sarà (presto, presto...) la percezione che "il peggio è passato" (complici i media che tale percezione vogliono veicolare a tutti i costi seguendo i diktat della politica e dell'economia) sortirà l'effetto di vedere un rincaro dei prezzi delle materie prime, e dunque anche al dettaglio. Si badi bene, non solo al dettaglio relativamente a oggetti di carattere superfluo, ma soprattutto di quelli indispensabili,come cibo,utenze e servizi.e quindi,come implicazione,le banche centrali saranno "costrette" ad alzare i tassi di interesse. Rastrellando tutto il possibile dalle nostre tasche. Con le conseguenze che tutti possono immaginare. In pratica sino a ora si è tentato di applicare un cerotto costosissimo (a spese di tutti noi) su una arteria recisa. Presto il cerotto salterà, come è nell'ordine delle cose,e dal punto di vista economico - visto che abbiamo già ipotecato tutto e per generazioni - non avremo altra alternativa che veder esplodere tutto con ancora più fragore. Chi per primo proverà a ipotizzare una tipologia di vita molto differente da quella di oggi, chi per primo si abituerà anche psicologicamente alla cosa, quando non proprio dal punto di vista pratico, sarà avvantaggiato. Ma la prima operazione da fare è scrollarsi di dosso la tossicità delle stronzate che ci raccontano e che ci vogliono far credere. Valerio Lo Monaco Lo Monaco 7
10 REPORTAGE I Karen non mollano mai Noi non ci battiamo di certo per portare la democrazia a Rangoon. La democrazia non ci interessa. I karen non hanno nessuna intenzione di invadere il territorio di uno stato sovrano, ne di intromettersi nei suoi affari; ma ci deve essere garantita l inviolabilità della nostra terra, in cui riposano i nostri Padri. Saremo sempre disposti a morire, per ottenere il rispetto della nostra identità e per tenere la droga lontana dal nostro Paese. di Franco Nerozzi Il giovane guerrigliero che mi precede ha il passo di un velocista. Sembra impossibile che con quelle vecchie infradito di gomma ai piedi riesca ad arrampicarsi sul ripido sentiero senza la minima incertezza. Sta piovendo da almeno un ora, e la terra rossa del camminamento si è trasformata in un viscido sapone che fa slittare verso valle i miei anfibi original U.S.A. impedendomi di tenere il ritmo della mia guida. Il ragazzo si gira, osserva i passi incerti dell ospite, ne sente il respiro affannoso. Senza cambiare espressione sul suo serio volto sbarbato si ferma, finge di accusare un momento di stanchezza, si toglie il basco verde e usandolo come un ventaglio si fa aria, concedendomi qualche minuto per riprendere un po di fiato. La Birmania, per un visitatore clandestino, inizia così. Interminabili salite sui fianchi di montagne ricoperte da una prepotente vegetazione che avevi visto soltanto nei film sulla guerra del Vietnam. Poi discese a valle e rovinose scivolate verso torrenti ingrossati dalle piogge monsoniche. E ancora nuove scalate, con le mani che trovano insi
11 Guerra perenne. Per mantenere la propria terra e la propria cultura da tramandare ai propri figli
12 diosi appigli su tronchi coperti di affilate spine. Alle nostre spalle il confine thailandese, attraversato guadando in tutta fretta un fiume ed eludendo i controlli delle numerose guardie di frontiera che pattugliano la regione. La colonna, formata da una quindicina di guerriglieri, è diretta ad un avamposto dell Esercito di Liberazione Karen, il gruppo armato più attivo nella guerra contro il regime birmano. Di tanto in tanto i volontari rompono il silenzio per avvisare qualche compagno della presenza di una sanguisuga sui suoi polpacci. Metti delle sigarette sbriciolate nei calzettoni mi raccomanda Ba Wah, anziano infermiere militare, specializzato nelle amputazioni degli arti inferiori Alle sanguisughe l odore del tabacco non piace. Si fermeranno alle caviglie e ti lasceranno in pace le zone più sensibili. Ripongo nello zaino l inutile repellente chimico e sfilo il pacchetto di sigarette dalla tasca. Ba Wah ha solo cinquanta anni, ma è considerato il nonno della compagnia. L aspetto è quello di un elfo dei racconti di Tolkien. Non supera il metro e sessanta, ha due occhi neri e lucidi che ti penetrano con cordiale e straordinaria vivacità. Indossa un sarong (una gonna che fa parte dell abbigliamento tradizionale delle genti di Birmania) il cui colore sgargiante ha ben poco a che vedere con i manuali di mimetizzazione militare. Per trent anni infermiere personale dell eroe della resistenza Karen, il carismatico e spietato Generale Bo Mya, ha partecipato alle più importanti battaglie attraverso le quali questa orgogliosa popolazione, insediatasi in Birmania anni fa, ha fatto fronte al tentativo di genocidio condotto contro di essa dai diversi governi che si sono succeduti a Rangoon. Ba Wah dispensa consigli e ordini, è adorato e temuto come un padre dai numerosi ragazzi che lo interrogano per ascoltare i suoi racconti di guerra. L esercito di liberazione è formato in gran parte da loro, giovanissimi soldati che hanno lasciato volontariamente i campi profughi in Thailandia per battersi e morire per la rivoluzione Karen, quella via di lotta e sacrificio indicata sessant anni fa da Saw Ba U Gy, l eroe/martire della sollevazione contro i Birmani. Nessuna resa. Mai Per noi l ipotesi di una resa è fuori discussione - ci dice il Colonnello Nerdah Mya, comandante operativo di tre battaglioni del Karen National Liberation Army (KNLA) e finchè non verrà riconosciuto pienamente il nostro stato noi resteremo a batterci in questa giungla. Nerdah ci accoglie nell avamposto, cinque capanne di bambù coperte da teli di nylon bucherellato sotto i quali una quarantina di volontari si riparano dai frequenti scrosci 10 LA VOCE DEL RIBELLE
13 di pioggia. Il campo è una installazione provvisoria. La guerriglia è in costante movimento. Si resta una, due, tre settimane, a volte un mese. Poi ci si sposta su un altra collina, invisibili al nemico, ma sempre a ridosso di esso. Lo si colpisce con un colpo di cecchino. Con una imboscata. Con delle mine fatte in casa. L intento è quello di far capire agli invasori che non hanno un vero controllo sul territorio di cui si sono impossessati. Questo avamposto è un mare di fango. I giovani dormono su delle amache, per proteggersi da melma e sanguisughe. Raccolgono l acqua piovana per bere e lavarsi. Trascorrono la giornata tra pattugliamenti e snervanti attese. L orecchio incollato ai walkye talkye per intercettare le conversazioni dei reparti birmani. La nostra visita risulta così un piacevole diversivo dopo quattro mesi di isolamento nella giungla. C è da credere alle parole di Nerdah quando dice che i Karen non si arrenderanno: il K.N.L.A. resiste infatti dal 1949 alle offensive che i birmani sferrano con regolarità ad ogni stagione secca (novembre marzo) e che tutte le volte il regime di Rangoon descrive come il colpo finale contro i terroristi. Male armati (buona parte dei fucili in uso sono reperti dei conflitti di Vietnam e Cambogia), schiacciati in una lunga ma stretta lingua di terra a ridosso del confine thailandese, colpiti da malaria, tubercolosi e infezioni gastrointestinali, incalzati dai reparti speciali birmani, i combattenti Karen non mollano. Dalla loro parte la forza della causa, la conoscenza capillare di ogni angolo di giungla, la straordinaria capacità di combattere per settimane senza quasi cibarsi, l attaccamento alla propria terra. Sono uomini della foresta, e dalla foresta e dai suoi Spiriti traggono riparo e aiuto. Di fronte a loro, uno degli eserciti più equipaggiati del Sud Est Asiatico, che riceve armamenti da Cina, India, Pakistan, Singapore e Israele, che ottiene da Tel Aviv sofisticati sistemi di rilevazione ed intercettazione delle comunicazioni radio, che manda in Australia i membri della propria polizia ad imparare le nuove tecniche antiterrorismo. Una forza armata al servizio di un regime che pur governando un paese con il reddito pro capite tra i più bassi al mondo, garantisce un tenore di vita da sultani ai suoi gerarchi, unici beneficiari di contratti miliardari con le multinazionali occidentali e di accordi criminali con i produttori e i trafficanti di stupefacenti. A noi non interessa la politica interna della Birmania prosegue Nerdah mentre col machete ci pulisce una grossa noce di cocco Noi non ci battiamo di certo per portare la democrazia a Rangoon. La democrazia non ci interessa. I karen non hanno nessuna intenzione di invadere il territorio 11
14 di uno stato sovrano, ne di intromettersi nei suoi affari; ma ci deve essere garantita l inviolabilità della nostra terra, in cui riposano i nostri Padri. Saremo sempre disposti a morire, per ottenere il rispetto della nostra identità e per tenere la droga lontana dal nostro Paese. Parla un perfetto inglese il giovane ufficiale, ultimogenito dell eroe nazionale. Per questo ragazzo dallo sguardo amichevole l anziano guerriero Bo Mya, il combattente che i generali di Rangoon non sono mai riusciti a comprare ne a sconfiggere, aveva programmato una esistenza normale, lontana da quella giungla infestata da mine antiuomo, percorsa dalle squadre della morte birmane, teatro di esecuzioni di massa, stupri sistematici, torture. Lo aveva spedito negli Stati Uniti, pensando di non rivederlo mai più. Studiavo in un college, frequentavo corsi di letteratura, pittura, recitazione dice Nerdah sorridendo, quasi vergognandosi di quel passato nella bambagia di una società occidentale - Ma nel 1995, mentre mi trovavo qui per una breve visita alla mia famiglia, una grande offensiva sgretolò il fronte, l esercito Karen fu costretto alla fuga, decine di migliaia di profughi si riversarono in Thailandia per cercare una via di salvezza. Anche molti combattenti si rifugiarono nei campi di accoglienza. Sembrava l epilogo della rivoluzione Karen. In quelle drammatiche giornate,il giovane studente di letteratura prende la sua decisione: non partirà più per tornare alla comoda vita del college americano. Rimane tra la sua gente, e affianca il padre e i fratelli nella proibitiva impresa di riorganizzare la resistenza. Sarebbe stato come tradire il mio popolo, mi sarei vergognato per tutta la vita se me ne fossi andato prosegue Riprendemmo la lotta con trenta soldati, che erano stati le guardie del corpo di mio padre. Ottenemmo clamorosi successi con operazioni temerarie e lanciammo così il segnale che i Karen erano ancora decisi a battersi come prima. Ben presto, incoraggiati da queste notizie, molti giovani si unirono a noi. Oggi possiamo contare su cinquemila combattenti, tutti volontari, tutti profondamente motivati. La questione birmana inizia con la concessione dell indipendenza da parte della Gran Bretagna al termine del secondo conflitto mondiale. Il Paese è un mosaico di antichissime etnie che parlano 12 LA VOCE DEL RIBELLE
15 lingue diverse, che si rifanno a differenti Tradizioni, che si guardano con sospetto. È logico quindi ipotizzare che la fine del dominio coloniale porterà alla formazione di un certo numero di stati, magari collegati in una forma federale, ma dotati di ampia autonomia. Il trattato di Panglong, firmato dal capo del primo governo, Aung San, (padre dell attuale icona della lotta per la democrazia in Birmania) stabilisce sensatamente che i principali gruppi etnici potranno rendersi indipendenti entro dieci anni dall entrata in vigore dell accordo. Ma poco dopo la firma, Aung San viene ucciso, il suo governo rovesciato, e i golpisti fanno carta straccia del trattato. Autonomia e bando alle droghe Da allora i Karen si battono per la propria autonomia, come almeno altri sei o sette gruppi etnici maggiori. Con un grande tratto caratteristico, che li rende unici nella vicenda: per ragioni etiche si rifiutano di farsi coinvolgere nella produzione o nel traffico di stupefacenti, carburante della giunta militare ma anche delle formazioni armate che la combattono. La droga non è soltanto un male accidentale per la società che la usa spiega il Colonnello Nerdah Mya La droga è anche una vera e propria arma utilizzata per distruggere la resistenza di un popolo e per annientare la dignità degli uomini che lo compongono. Per questo siamo costretti ad essere molto severi, quasi brutali nel punire chi la usa e chi la vende. La gerontocrazia birmana trae buona parte dei suoi guadagni dal traffico di stupefacenti, ma una voce importante del suo bilancio è legata a due colossi occidentali della produzione di carburante, la francese Total e l americana Chevron. Le due compagnie fanno parte del consorzio che ha costruito il gasdotto di Yadana, una pipeline che porta il gas birmano dai ricchi giacimenti del Mar delle Andamane fino in Thailandia, procurando al governo introiti da centinaia di milioni di dollari ogni anno. Alla costruzione del gasdotto e delle infrastrutture militari che lo proteggono hanno lavorato in condizioni di schiavitù uomini, donne e bambini di etnia Mon e Karen. I battaglioni del Tatmadaw (l esercito birmano) si sono lasciati andare a violenze gratuite sugli abitanti dei villaggi che man 13
16 mano venivano incendiati per far posto al gasdotto. Nonostante decine di migliaia di persone siano state deportate forzatamente dalle loro terre per essere rinchiuse in insediamenti modello sotto il diretto controllo delle forze armate di Rangoon, i colletti bianchi delle multinazionali coinvolte, gli esperti di marketing e di immagine, cercano di far passare agli occhi della pubblica opinione i remunerativi contratti firmati con i Generali come imprese dalle positive ricadute sulle popolazioni locali. Un portavoce della Chevron, recentemente interrogato sulla opportunità di ritirare dal consorzio di Yadana l azienda statunitense, ha risposto che di fronte all uscita di scena del suo gruppo assisteremmo all immediato arrivo di una compagnia cinese, pronta a proseguire gli investimenti nel settore energetico. Una verità, che chiarisce ancora una volta l essenza del problema birmano, copia di altre situazioni internazionali in cui il fattore economico-finanziario resta in primo piano nelle decisioni riguardanti la vita di popoli e comunità. Thailandia, Cina e Birmania, ma come abbiamo visto anche numerosi paesi occidentali, sono legati tra di essi da contratti miliardari legati allo sfruttamento delle risorse naturali della regione. I Cinesi stanno per costruire un altra diga sul fiume Salween dice Ba Wah mentre pulisce il suo AK 47 arrugginito La diga farà scomparire sotto l acqua le terre dei Karen. I Cinesi hanno un accordo con Birmani e Thailandesi per rendere sicura la zona contro eventuali attacchi da parte nostra. Così l esercito birmano ci darà la caccia, e la polizia di frontiera thailandese ci bloccherà il passaggio di cibo, medicinali e rifornimenti per compiacere i potenti partner commerciali. Ma non abbiamo scelta, dovremo impedire che si faccia quella diga Non vogliamo essere fraintesi ha dichiarato Li Ruogu, presidente della Export-Import Bank of China, principale finanziatrice delle numerose opere di costruzione di dighe sui fiumi della regione Karen Vogliamo che la gente capisca che non stiamo distruggendo l ambiente. Stiamo aiutando la nazione a progredire. Altro che progresso A pagare il prezzo più alto di questo progresso è la popolazione civile. In queste aree di confine sono almeno i profughi interni, persone che hanno dovuto abbandonare i loro villaggi per l arrivo delle truppe birmane e che ora sopravvivono in condizioni miserevoli in rifugi di fortuna sotto la precaria protezione del KNLA. Incontriamo intere famiglie, reduci da fughe da incubo, inseguite dai soldati birmani e dalle milizie di collaborazio- 14 LA VOCE DEL RIBELLE
17 nisti Karen, partigiani, o meglio banditi filo birmani, passati al nemico quindici anni fa, in cambio di una partecipazione ai lucrosi affari legati all eroina e al taglio di legname pregiato. Le storie di questi uomini scalzi, di queste donne dallo sguardo vuoto che tengono in braccio bambini febbricitanti descrivono scenari da film dell orrore. Sono arrivati all imbrunire racconta allattando al seno la sua bambina Naw Paw Leh Hanno preso il capo villaggio accusandolo di avere legami con i guerriglieri. Gli hanno versato addosso una pentola di acqua bollente per farsi dire dove erano accampati gli uomini del KNLA. Lui non sapeva nulla. Allora l ufficiale ha ordinato ai suoi soldati di violentare la figlia. Aveva undici anni.. Il mondo libero si straccia le vesti per la mancanza di democrazia a Rangoon, ma le sue aziende fanno affari con gli aguzzini, a spese delle minoranze etniche. La logica mondialista prevede che in Birmania il regime cambi, prima o poi, e che al governo vada qualche volto rassicurante, presentabile. Sarà un cambiamento curato dagli esperti di marketing politico. L importante è che gli affari non crollino. Il problema dei popoli della foresta allora non muterà volto. Chi si batte per preservare la propria specificità culturale, per difendere la sua terra dallo stupro delle grandi opere, per continuare a parlare la propria lingua e adorare le proprie divinità, lontano dalle sirene del supermarket globale, rappresenterà sempre un seccante problema per i fautori del nuovo ordine mondiale. Il selvaggio Ba Wah, l uomo che senza aver mai studiato medicina viene chiamato dottore dai suoi pazienti, il piccolo elfo che legge la Bibbia ma ascolta la voce degli Dei nel vento che scuote i bambù ha compreso più di ogni altro l essenza del problema. Sono infuriato mi dice mentre mi allunga un piatto di riso salato, unico pasto per i soldati al fronte Nei campi profughi gli americani stanno distribuendo ai giovani Karen i permessi per andare negli Stati Uniti.Ti rendi conto? Noi siamo qui a batterci per costruire una nazione, abbiamo bisogno della nostra gente, dei nostri ragazzi. Dobbiamo ripopolare la regione Karen, se vogliamo avere una speranza di sopravvivenza. Non si rendono conto che incoraggiando l emigrazione faranno scomparire il nostro popolo?. Sì, caro Ba Wah. Se ne rendono perfettamente conto. testo e fotografie di Franco Nerozzi 15
18 Popoli Solidarietà per l Identità. Nello stato Karen agiscono pochissime organizzazioni umanitarie. L ingresso nelle zone abitate dai Karen è infatti proibito dalle autorità birmane, quindi l unico intervento possibile è quello clandestino. Le grandi ONG si fermano in Thailandia, operando nei campi profughi ufficiali, che ospitano circa persone. Ma oltre confine, dove profughi interni rischiano di morire per mancanza di cibo e di medicinali, solo piccoli gruppi di volontari si avventurano rischiando l arresto da parte delle guardie di frontiera thailandesi o la cattura da parte delle truppe birmane. Una di queste organizzazioni è Popoli. ( La Comunità Solidarista Popoli è nata nel febbraio del 2001 allo scopo di portare sostegno concreto a persone in grave difficoltà a causa di guerre, epidemie, povertà, calamità naturali. L organizzazione indirizza i suoi interventi verso popolazioni che ritiene particolarmente meritevoli di aiuto sulla base di caratteristiche etiche, morali e spirituali, privilegiando quei gruppi umani costretti a lottare per difendere la propria libertà, i propri valori tradizionali, la propria identità. In contrasto con la tendenza all omologazione culturale dei popoli, incoraggiata da lusinghe o ricatti economici quando non imposta con la forza delle armi, la Comunità Solidarista si riconosce nel principio della preservazione delle diversità, condizione indispensabile al contenimento degli evidenti squilibri e delle profonde ingiustizie provocate dal nuovo ordine mondiale. Dal febbraio 2001 ad oggi grazie all intervento di Popoli sono state realizzate quattro cliniche mobili e tre scuole elementari nella regione Karen. I medici della Comunità hanno compiuto diverse rischiose missioni per curare pazienti che non vedevano un farmaco da molti anni. Le cliniche servono un bacino di utenza di circa persone. Le scuole elementari consentono ai bambini Karen di mantenere la propria lingua e di apprendere la storia del popolo a cui appartengono, contribuendo così alla preservazione della loro identità. Da qualche anno Popoli collabora con altre Onlus italiane, come L Uomo Libero e Navigare Necesse Est, grazie alle quali, con la partecipazione della Regione Trentino Alto Adige e del Comune di Roma, sono stati realizzati dei villaggi agricoli nello stato Karen, allo scopo di favorire il ripopolamento della regione e l autosufficienza alimentare dei suoi abitanti. Gli aderenti a Popoli fanno opera di volontariato puro: nessuno di loro percepisce un compenso per il lavoro che svolge. 16 LA VOCE DEL RIBELLE
19 ANALISI Fine della crisi. Forse, insomma, chissà I banchieri continuano a ragionare solo da banchieri: evitato il crac dicono che il peggio è passato. Forse per loro. Non certo per noi di Federico Zamboni Dice Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve statunitense dal 2006 e riconfermato da Obama fino al 2014 per aver allontanato l economia da una depressione : «Da un punto di vista tecnico, la recessione è molto probabilmente terminata». E aggiunge: «Ho visto un certo consenso tra i previsori riguardo il fatto che siamo in ripresa, ma il punto di vista prevalente tra loro è che il ritmo della crescita nel 2010 sarà moderato». Purtroppo, però, «si avvertirà un economia molto debole per un certo tempo in quanto molte persone sentiranno ancora che la loro sicurezza lavorativa e il loro status occupazionale non sarà quello desiderato». Incredibilmente, queste dichiarazioni di metà settembre sono state accolte come se fossero positive. Positive non soltanto per il sistema finanziario, che era destinato al tracollo e si è salvato grazie agli sterminati finanziamenti da parte dei governi, ma anche per l economia nel suo complesso. La menzogna sottintesa è proprio questa: che quello che va bene per le banche vada bene, o prima o dopo, anche per il resto della società. Imprese, lavoratori, cittadini. L altro aspetto interessante, che i grandi media si sono ben guardati dall evidenziare, è che le parole di Bernanke riescono a essere simultaneamente vaghe, ipocrite e capziose. Espressioni come da un punto di vista tecnico, un certo consenso tra i previsori, si avvertirà un economia molto debole e molte persone sentiranno ancora che la loro sicurezza lavorativa e il loro status occupazionale non sarà quello desiderato, sono in parte impressioni spacciate per analisi e in parte eufemismi. Eufemismi rivoltanti, bisogna aggiungere. I milioni di uomini e donne che hanno perso il posto di lavoro e non riescono, e non riusciranno, a trovarne un
20 altro non sono persone che sentiranno ancora eccetera eccetera. Sono individui che hanno perso la loro fonte di reddito e, insieme ad essa, l architrave della loro identità sociale e del loro avvenire come singoli e come membri di una famiglia serena, già costituita o di là da venire. Non stiamo aleggiando nel mondo delicato delle sensazioni. Annaspiamo, o sprofondiamo, nel mondo concreto e doloroso, per non dire tragico, della vita reale. Che va a rotoli. Che va a puttane. Silence, please La verità sarebbe semplicissima, solo che è un tabù: nessuno sa con certezza che cosa accadrà nei prossimi mesi e, a maggior ragione, nei prossimi anni.troppe variabili.troppe incognite.troppe esigenze contrastanti che collidono tra loro in una tensione permanente che non si può eliminare e che, per questo e per le sue potenzialità distruttive, ricorda l attrito delle faglie tettoniche. Che ci sono anche se non si vedono. Che si muovono, pericolosamente, all insaputa dei più. Quello che sta accadendo davvero, vedi anche quest ultima farsa del G20 di Pittsburgh che spaccia come massimo allarme planetario la minaccia atomica iraniana, è che i potentati economici e politici occidentali stanno cercando di capire come riformulare l equazione del loro dominio. Come farcela a restarsene tranquillamente al comando anche dopo aver dimostrato di non esserne degni e, quel che forse è ancora peggio, apprestandosi a trasformare le difficoltà sociali causate dalla crisi in un peggioramento permanente delle condizioni di vita. Il dato di fatto da cui bisognerebbe partire è che i problemi strutturali dell economia occidentale, e in particolare di quella statunitense, sono tutt altro che superati. Essendo appunto strutturali, a cominciare dalla carenza di liquidità, sono impossibili da rimuovere. Hanno portato al crollo dei mercati e lasceranno dietro di sé guasti enormi, soprattutto per quanto riguarda l occupazione. A meno che non si creino ulteriori bolle speculative e vale la pena di ricordare che nella medesima conferenza stampa citata in apertura l ineffabile Bernanke ha anche detto che il fenomeno dei derivati di Borsa «almeno nel medio termine non tornerà alle dimensioni che aveva in precedenza», dove l espressione chiave è ovviamente almeno nel medio termine e prelude a un successivo recupero di questa pratica abietta e velenosa, non appena le acque si saranno calmate e la memoria del disastro si sarà attenuata quanto basta a far sì che la cosa venga accettata pacificamente bisognerà abituarsi a vivere in una società in cui circola meno denaro. E in cui le conseguenze negative di questa diminuzione le sconta, manco a dirlo, la gente qualsiasi, non certo le oligarchie che detengono il potere finanziario. Comunque vada a finire, la preesistente illusione di una crescita continua e illimitata da una parte del Pil, dall altra dei redditi e dei consumi della generalità della popolazione dovrà essere abbandonata. Quello che gli esperti sanno benissimo è che c è un vizio d origine, una sorta di inganno a priori, che è stato utilizzato per decenni e decenni 18 LA VOCE DEL RIBELLE
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