STAMPA SOCIATARIA BPM GENNAIO 2015

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1 STAMPA SOCIATARIA BPM GENNAIO gennaio Si chiude l epoca dei piccoli soci. Le scommesse sulle fusioni: chi parte per primo? - L ipotesi Bpm con Carige, Veneto Banca con Popolare Vicenza: la Borsa fa i conti. Primo atto, la Bpm corregge la governance. Così il risiko scatta in anticipo. Modello Credit Agricole per sposare le popolari. Carige, le mosse di Bonomi e la «tentazione» per Bpm. Borsa, febbre da Popolari - Oggi il vertice dei banchieri - Padoan: la riforma può aiutare anche Mps. Banche popolari, perché la riforma non convince. Muro delle Popolari contro il Dl - Un pool di consulenti e legali avrebbe già attestato l'incostituzionalità del decreto. I vertici delle 10 banche interessate dal provvedimento che le trasformerebbe in spa lo hanno definito inaccettabile. Le banche popolari a Renzi: «A rischio 20 mila lavoratori» - La lobby del settore: la riforma cancella 80 miliardi di prestiti e 3 punti di Pil e i sindacati offrono appoggio in cambio di un'asse asse con le coop sul contratto. La riforma solo per le quotate Il grande affare delle popolari, ma al tavolo c è posto per pochi. Ubi, Bpm, Bper e Banco nel ruolo di predatori. Le prede annunciate. Si chiude l epoca dei piccoli soci Quelle assemblee con i pullman - Dalla Popolare di Milano all Ubi: che cosa cambia con la riforma. L appuntamento pare già fissato per domani alle ore 16: i vertici delle principali Popolari dovrebbero incontrarsi a Milano nella sede dell associazione di categoria per discutere del provvedimento di riforma approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Prima i tecnici parleranno della cessione dell Icbp, l Ist ituto centrale delle banche popolari. Poi dovrebbero intervenire i presidenti o i consiglieri delegati per cominciare a discutere sulla grande svolta che si profila con la trasformazione in spa. E già sarebbero stati richiesti pareri legali sulla questione dell urgenza del provvedimento, inserito nel decreto «investment compact». Difficile dire se alla fine sarà vera battaglia. Per il momento nel quadro c è un tramonto: finisce l epoca delle Grandi Banche Popolari. Locali nel cuore e nazionali nel portafoglio. Che sono diventate grandi anche grazie a una stagione di fusioni ed acquisizioni conclusa qualche anno fa. E caratterizzata anzitutto da fotografie che sembrano raccontare più la storia di squadre di calcio che di istituti di credito: file di pullman che portavano alle assemblee migliaia di piccoli soci, proprietari di poche azioni e portatori di poche deleghe. Che affollavano le 1

2 urne e gradivano i generosi buffet, necessari per rifocillarsi nel corso di ore ed ore di riunione plenaria. Sono state giornate «storiche» per le Popolari. C erano anche le tv il 10 marzo 2007 a Verona e Lodi quando oltre 10 mila soci iscritti hanno dato via al Banco Popolare. E a Milano sono affluiti soci per la sfida che il 25 aprile 2009 ha visto prevalere in Bpm Massimo Ponzellini su Roberto Mazzotta. E sempre alla Popolare di Milano erano oltre in tremila quando il 25 giugno 2011 l assemblea ha detto no a Bankitalia sull aumento delle deleghe. Un no che si è ripetuto in altre occasioni nella stessa banca e che ha reso per molto tempo tesi i rapporti con l autorità di vigilanza: schiaffi che avevano per «mandanti» i sindacati che con un nocciolo del 3,5% sono riusciti per anni a tenere in pugno le assemblee. Situazioni anomale. Che hanno però incrinato il mito della democrazia del voto capitario e dell assimilazione delle Popolari a public company. Autobus, cabine elettorali, catering, volantini dei sindacati e le liste per i consigli di amministrazione: con la fine del principio «una testa un voto», architrave della governance delle cooperative, per i dieci istituti che dovranno trasformarsi in spa si conclude la stagione delle grandi kermesse. Se il provvedimento non registrerà variazioni sostanziali, le prossime assemblee che dovranno votare in sede straordinaria il passaggio da banca popolare a società per azioni prevederanno ancora il voto capitario ma è difficile immaginare si replichi il film del passato. Perché questa volta il voto «deve» andare nella direzione della legge: un «no» potrebbe portare alla fine della banca: via la licenza, revoca dell autorizzazione, e perfino la liquidazione coatta amministrativa. Certo, con il passaggio a spa cambierà tutto. Oggi un piccolo socio «pesa» quanto un azionista di rilievo. Domani la prospettiva sarà capovolta. Alla Popolare di Milano primo azionista con pieno diritto di voto sul proprio capitale sarà Raffaele Mincione con il 5,7% attraverso il fondo Athena: in passato scalatore sconfitto potrebbe in teoria prendersi la rivincita. E in Ubi, dove i fondi internazionali detengono complessivamente una quota vicina al 40%, il primo azionista è Silchester International con quasi il 5%. Ed è primo in virtù del fatto che ha chiesto l iscrizione al libro soci, facoltà che in passato era soggetta anche a un gradimento «confessionale». Cose d altri tempi. Come le Grandi Popolari. Le scommesse sulle fusioni: chi parte per primo? - L ipotesi Bpm con Carige, Veneto Banca con Popolare Vicenza: la Borsa fa i conti. Le due big si sono chiamate fuori. A questo giro Intesa Sanpaolo e Unicredit faranno da semplici spettatrici.... Il consolidamento auspicato dal governo si concentrerà tutto sul mondo delle popolari, anche se a detta di molti osservatori il punto di caduta sarebbe su Montepaschi e Carige, che popolari non sono ma che nel risiko delle popolari potrebbero trovare la salvezza. La destinazione, a sentire le voci, ma anche guardando alla Borsa, sarebbero Ubi per Siena e la Popolare di Milano per Carige. Ieri a Piazza Affari sono proseguiti gli acquisti: Ubi ha guadagnato il 3,1%, Carige l 1,5%, Bper il 7,12% mentre Bpm è scesa dello 0,66% dopo aver guadagnato lunedì il 15%. Il numero uno di Ubi, Victor Massiah, a quanto si sa potrebbe essere interessato alle attività in Veneto di Mps, per allungare la filiera che da Bergamo e Brescia si estenderebbe verso il Veneto. Mentre per Bpm viene fatta notare la contiguità con Genova dove ora la guida è in mano a Piero Montani, arrivato in Carige proprio dopo aver risanato Bpm, e l'interesse di Andrea Bonomi, che di Piazza Meda è stato presidente. Ma se la logica è quella di aumentare l efficienza del sistema e ridurre la frammentazione, sul mercato ritengono probabile che il primo fronte posa essere una razionalizzazione in Veneto che passerebbe per la fusione tra la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, e in Lombardia mettendo insieme Popolare di Sondrio e Credito Valtellinese. Si racconta che a dicembre, terminati gli stress test, ci sia stato un tentativo di avviare un dialogo tra la vicentina e Veneto Banca, ben visto dalla Banca d Italia, che però si sarebbe risolto in un rifiuto. Con la trasformazione in spa tornerebbe sovrana l assemblea, con nuovi equilibri, e dunque un opposizione di principio sarebbe più difficile. Sullo sfondo della riforma, tuttavia, come ha fatto notare ieri l amministratore delegato di Bper, Alessandro Vandelli, esiste anche il rischio «che un gruppo di fondi di private equity esteri possa approfittare di questa situazione». Non si può certo escludere che nella girandola di scambi in Borsa di questi ultimi giorni qualcuno possa aver già preso posizione. Magari per tirare fuori le azioni una volta approvata la trasformazione in spa e giocarsele sul tavolo del risiko. Primo atto, la Bpm corregge la governance. Sulla trasformazione in società per azioni la resistenza dei soci della Banca Popolare di Milano ha fatto scuola. Nemmeno Banca d Italia è riuscita ad aprire una breccia nel granitico muro eretto dalle associazioni degli azionisti di Piazza Meda. Ma, a prescindere dall intervento del governo, alla Bpm il cantiere per la modifica della governance non è mai stato smantellato. Certo, non si è più parlato di spa ma i tentativi di dare più peso ai soci di capitale sono andati avanti, così come la ricerca di una formula per avvicinare consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione, che nel duale di Piazza Meda hanno poteri molto diversi che privilegiano soprattutto la 2

3 gestione. E ieri c è stato un passo avanti importante. Il consiglio di sorveglianza di Bpm si è riunto per nominare i comitati interni, che di fatto consentono un controllo più stringente sulla gestione. E la sorpresa è che, al termine di un lungo braccio di ferro, il presidente Dino Piero Giarda è riuscito a ottenere il posto nel comitato per il controllo interno. Era tutt altro che scontato. Giarda non ha ottenuto la presidenza, andata ad Alberto Balestrieri, ma ha comunque una poltrona che gli consente di tornare al centro dei giochi sulla Bpm, in un momento chiave per il suo futuro visto l obbligo di trasformazione in spa decretato dal governo Renzi. Bpm ha nominato anche i componenti per il comitato remunerazioni e il comitato nomine, completando così gli obblighi previsti dalla governance. E, in entrambi i casi, la presidenza è stata assegnata a Giarda. Su questo non c erano discussioni, che riguardavano a quanto sembra solo la presenza del numero uno del consiglio di sorveglianza nei controlli interni. Questa «apertura» potrebbe rappresentare un segnale di distensione tra i due board, che spesso hanno marciato in direzioni divergenti, soprattutto in passato, arrivando a volte anche a ostacolarsi. Così il risiko scatta in anticipo - Nel periodo transitorio continuerebbero a valere le difese contro le scalate dall'estero garantite dal voto capitario e dal gradimento. Ubi e Bpm, possibili poli aggreganti, corrono meno in borsa. «Il periodo di 18 mesi per trasformarsi in spa consente alle popolari di considerare opzioni di fusioni e acquisizioni all'interno del loro campo, evitando così di diventare obiettivi per offerte ostili», scrivevano ieri gli analisti di Mediobanca Securities. Il tanto atteso risiko delle popolari, che potrebbe vedere coinvolte anche Mps e Carige, innescato dal decreto Renzi-Padoan e che da lunedì sta infiammando i titoli del settore bancario, potrebbe dunque partire in anticipo. Sempre che i vertici delle banche cooperative, che oggi si riuniranno a Milano per fare il punto sul decreto, non decidano di mettersi sulle barricate (c'è chi ipotizza un ricorso alla Corte Costituzionale, considerata l'irritualità dell'utilizzo di un decreto legge per questo tipo di riforma). Ma, vista la determinazione di Renzi ad andare avanti sulla sua strada, è comunque probabile che il nuovo risiko possa essere messo in cantiere a brevissimo, per la gioia di consulenti e banche d'affari ma anche di quegli investitori, grandi e piccoli, pronti a trarre profitto dalla rivalutazione dell'intero comparto. Nonostante il boom degli ultimi giorni i titoli della banche cooperative trattano in borsa ancora con uno sconto di circa il 20% rispetto alle banche spa. In media il rapporto tra prezzo e patrimonio netto tangibile di cinque delle dieci banche coinvolte dalla riforma Renzi (Popolare di Milano, Banco Popolare, Bper, Creva val e Ubi Banca ) viaggia attorno allo 0,5 contro una media del settore finanziario di circa 1,15 volte, rendendole un boccone appetitoso per i grandi gruppi esteri desiderosi di ampliare la propria presenza nel mercato del credito italiano. Ma almeno per altri 18 mesi da quando il decreto sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale le popolari potranno godere ancora della difesa rappresentata dal voto capitario e del gradimento sui nuovi soci. Una scadenza entro la quale, anche secondo gli analisti di Ubs, potrebbero farsi gran parte dei giochi. «Rendere le popolari contendibili condurrà probabilmente a un consolidamento tra di loro», anche per sfuggire a «offerte ostili» rese possibili dalla trasformazione in spa, sostengono gli esperti della banca svizzera. Che aggiungono: «Pensiamo che la pressione sulle popolari possa condurre a un consolidamento prima dell'implementazione della nuova governance». Ma quali potrebbero essere le nozze che saranno celebrate nei prossimi mesi? È ancora presto per dirlo, ma ci si può basare comunque sulle simulazioni degli uffici studi. Sia Mediobanca sia Ubs vedono nella lombarda Ubi Banca uno dei principali poli aggraganti, grazie alla maggiore capitalizzazione (circa 5 miliardi contro i 3,5 del Banco e i circa 2,5 di Bpm e Bper) e una maggiore solidità patrimoniale. Non per niente il titolo della banca guidata da Victor Massiah pur nel rialzo generale del comparto è stato quello che ha guadagnato meno (+3,01% nella seduta di ieri e +16,5% da lunedì). Più sostenuta invece la performance del Banco Popolare (+25,7% da inizio settimana e +9,83% nella seduta di ieri), un titolo che, sempre secondo Ubs, beneficerà della riforma Renzi «anche perché in borsa tratta particolarmente a sconto». Equita Sim non esclude invece aggregazioni che possano coinvolgere più di due soggetti: Popolare di Milano più Bper più Credito Valtellinese e/o Banco Popolare, con la creazione di due superpopolari che facciano capo rispettivamente a Ubi e alla banca milanese guidata da Giuseppe Castagna. Mediobanca ipotizza anche la possibilità che le popolari coinvolte nella riforma possano valutare opzioni di M&A con quelle banche non popolari oggi in difficoltà dopo l'esito degli Aqr e degli stress testo, ovvero Mps e Banca Carige. Secondo gli analisti di Piazzetta Cuccia, in uno scenario di consolidamento Bpm è la candidata «premium» alla luce delle sinergie sul capitale e della qualità della rete. Ubi è vista come «l'aggregatore più probabile nel settore» e Bper quello tra gli istituti più piccoli. Banca Akros vede invece come razionale un matrimonio tra Banco Popolare e Ubi. «La fusione dei due leader del segmento, ovvero il Banco Popolare e Ubi Banca, creerebbe il terzo gruppo bancario italiano, fortemente radicato nelle ricche regioni settentrionali», ipotizzano gli esperti della banca d'affari. Più difficili invece operazioni tra le popolari quotate e quelle non quotate (Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari) coinvolte nella riforma. Questo tipo di operazione, sostengono gli esperti di Banca Akros, potrebbero essere più difficili a causa di differenti valutazioni implicite. Le quotate, come detto, viaggiano a un rapporto tra prezzo e tangible book value medio di 0,5, mentre quotate sono valutate hanno rapporto prezzo/patrimonio netto tangibile di 1,5 volte. 3

4 7 Modello Credit Agricole per sposare le popolari. Ammesso che in un'epoca di mercati globalizzati ha sempre meno senso la presenza in borsa di grandi banche considerate popolari solo in virtù del voto capitario e del limite al possesso azionario, e non concesso che, dopo il varo dell'unione bancaria europea, l'italianità del credito sia ancora un valore da difendere, è evidente che la riforma Renzi- Padoan indurrà le banche coinvolte a prendere qualche contromisura per evitare di essere fagocitate da qualche gruppo estero. Molte le soluzioni a disposizione: dal voto multiplo, che consentirà ai soci di lungo corso, già ora coalizzati tra loro con patti più o meno dichiarati, di pesare di più, agli attesi merger a due per rendere la massa critica più consistente. Ma c'è una strada, più volte indicata in passato da alcuni banchieri, come l'ex presidente della Bpm Roberto Mazzotta, che potrebbe consentire all'italia di non perdere altri pezzi del sistema bancario, gettando allo stesso tempo le basi per creare un'altra grande banca da affiancare a Unicredit e Intesa. Una volta questa strada era quella della superpopolare. Ora che il modello cooperativo è stato messo al bando per le banche con attivi superiori ad 8 miliardi, un modello cui guardare potrebbe essere quello del francese Credit Agricole, grande gruppo bancario universale internazionale quotato ma il cui capitale è saldamente nelle mani di 39 casse cooperative regionali, che detengono il 56,3% blindandone di fatto il controllo. Cosa che non scoraggia certo la presenza di investitori istituzionali. Chissà che ne pensano i fautori della public company. Carige, le mosse di Bonomi e la «tentazione» per Bpm. Mentre il titolo Carige segna un rialzo (ieri ha totalizzato +0,92% in Borsa, chiudendo a 0,0659 euro), la riforma delle Popolari entra in gioco, sia pure di riflesso, nel progetto di ricapitalizzazione della banca. E non potrebbe essere altrimenti, visto che l imprenditore Andrea Bonomi, uno dei soggetti maggiormente interessati, con la sua Investindustrial, all ingresso in Carige, è stato l artefice del «progetto Ovidio». Progetto che puntava a trasformare Bpm in una spa eliminando l anomalia del voto capitario, proprio come punta a fare il decreto annunciato dal governo Renzi. Un piano, quello per Bpm, che, benché non andato in porto, era condiviso dall allora consiglliere delegato della popolare, Piero Luigi Montani che, guarda caso, oggi è ad di Carige. E se il dl governativo può aprire la strada anche a un ritorno di fiamma di Bonomi per la Popolare di Milano, spiegano fonti vicine a Investindustrial, «è chiaro che la Bpm non esiste se prima non va in porto Carige». Come dire che Bonomi è concentrato su Carige e sulla trattativa con la Fondazione omonima, azionista di punta (col 19%) dell banca genovese. Solo in un secondo tempo, se l affaire Carige dovesse concludersi positivamente, il patron di Investindustrial potrebbe pensare di rivolgere nuovamente la propria attenzione a Bpm. Sempre che quest ultima decida (come non è improbabile) di preparare la trasformazione in spa giovandosi dell ingresso di un nuovo socio forte. In quel caso, Bonomi potrebbe avere buon gioco nel riproporre il piano che puntava a trasformare la popolare in una spa ibrida e che, respinto in virtù del voto capitario, ha provocato l uscita da Bpm sia di Montani che dell imprenditore. È chiaro, peraltro, che l intenzione di tenere come priorità Carige, in un ottica che può allargarsi a Bpm, porta a prefigurare una possibile futura aggregazione tra i due istituti. Aggregazione che, peraltro, si sposerebbe con la spinta di Bce a caldeggiare l unione tra banche italiane, per avere sul territorio realtà più patrimonializzate. Anche dal punto di vista di Carige, la riforma delle popolari sarebbe vista con favore. In primo luogo perché Montani, come si è visto, è stato uno dei propugnatori del cambiamento e poi perché la trasformazione è prevista nell arco di 18 mesi. Una tempistica che permetterebbe alla banca genovese di portare a termine con tranquillità l aumento di capitale (che potrebbe essere vicino a 700 milioni) impostole dalla Bce dopo l esito negativo degli stress test. Un volta terminata positivamente quell operazione e portato oltre il livello di sicurezza il Cet1, l istituto presieduto da Cesare Castelbarco potrebbe sedersi a un eventuale tavolo di trattativa con Bpm (o con un altro soggetto) con le carte in regola per avere un cospicuo peso. Ieri, peraltro, il cda della banca si è riunito e ha analizzato la citazione della Consob al tribunale civile, con la quale l ente di vigilanza della Borsa ha impugnato il bilancio 2013 dell istituto di credito genovese. Secondo quanto risulta, i vertici di Carige avrebbero ricevuto un verdetto tranquillizzante dai legali della banca. La quale, a questo punto, risponderà a Consob in tribunale, nel corso della causa. D altro canto, secondo Carige, si tratta di contestazioni di carattere meramente valutativo. In effetti, Consob obietta che parte delle svalutazioni avviate con la gestione Castelbarco-Montani, pari a ben 1,7 miliardi, doveva essere conteggiata anche nell esercizio 2012, anziché esclusivamente in quello del L organismo di controllo ha, quindi, impugnato il bilancio 2013, come derivato del precedente, in virtù anche del fatto che, a suo tempo, non aveva contestato, entro i termini previsti dalla legge, l esercizio Borsa, febbre da Popolari - Oggi il vertice dei banchieri - Padoan: la riforma può aiutare anche Mps. 4

5 Al mercato piace la riforma delle banche popolari. Anche ieri i titoli del comparto hanno preso il volo, con rialzi che vanno dal 9,8% del Banco Popolare al +3,2% di Bper, passando dal +3,6% di Bpm al +3% di Ubi. Fuori dal paniere principale da registrare la fiammata della Banca Popolare dell Etruria e del Lazio (+27,28%), ma anche i progressi di Pop Sondrio (+11,2%) e Creval (+10,8%). È in questo contesto che i banchieri dei principali istituti coinvolti nella riforma si incontreranno oggi pomeriggio a Milano. Un vertice già fissato da tempo e che si terrà nella sede di Icbpi per la riunione del comitato dei principali azionisti dell Istituto centrale. Sul tavolo il tema della scelta dell advisor a cui affidare il dossier relativa alla cessione del gruppo (per cui è giunta un offerta da 2,2 miliardi dal fondo Permira, come anticipato dal Sole 24 Ore), con Mediobanca in pole position. Ma il vero tema di confronto sarà quello della definizione delle posizioni da prendere dopo il blitz dell Esecutivo. Con un decreto legge, il cui testo ieri peraltro era soggetto alle ultime limature da parte degli uffici dell Esecutivo, il Governo Renzi obbliga le 10 banche popolari con più di 8 miliardi di attivi a trasformarsi in Società per azioni nel giro di 18 mesi e ad abbandonare lo schema il principio del voto capitario. Tecnicamente il timer dei 18 mesi inizierà a scattare dalla pubblicazione delle disposizioni tecniche da parte di Banca d Italia. Difficile che i banchieri cerchino il muro contro muro con il governo, anche perchè sia Banca d Italia che la Bce tengono alta l attenzione sulla materia. Tuttavia non è escluso che in sede di conversione del decreto in Parlamento le banche chiedano di limare il provvedimento introducendo qualche correttivo, così per ammorbidire l impatto della trasformazione. Del resto, la riforma del governo, da molti ritenuta necessaria per modernizzare il settore, è stata interpretata come uno strappo alla luce delle modalità scelte (un decreto anzichè un disegno di legge) e delle tempistiche, vista l accelerazione improvvisa degli ultimi giorni. Senza contare che in seno ad Assopopolari stava lavorando la commissione coordinata dal professor Angelo Tantazzi con Piergaetano Marchetti e Alberto Quadrio Curzio, che era stata chiamata alla formulazione di una proposta di autoriforma attesa entro la primavera. Una scelta voluta dal presidente dell Assopopolari, Ettore Caselli, che sin dal suo insediamento aveva evidenziato la necessità di un cambio di passo del settore, aumentando il peso degli investitori istituzionali nei Cda delle banche. Da qui si dovrà ripartire per proporre eventuali modifiche al provvedimento, il cui impianto, tuttavia, difficilmente potrà essere stravolto nelle sua essenza, a meno di clamorosi colpi di scena. Certo è che il mercato ha già dato il suo giudizio all ipotesi del cambio di scenario, a vedere i rialzi di borsa. Anche perchè la trasformazione in Spa delle popolari non può essere altro che il prologo a un avvio delle fusioni nel comparto. Lo stesso ministro dell Economia Pier Carlo Padoan in una intervista a Reuters a Davos ha confermato di aspettarsi «un qualche tipo di iniziativa. Mi aspetto entrambi (consolidamento e takeover) e forse anche altre combinazioni». Padoan ha negato che l accelerazione dell a riforma abbia «a che vedere con le necessità di Mps». Tuttavia «se il mercato funziona meglio in termini di accesso al capitale questo faciliterà tutte le transazioni, compreso forse Mps». Gli analisti di Equita vedono «una forte accelerazione nel consolidamento» e non escludono aggregazioni che «coinvolgano più di due soggetti (PopMilano, Bper, Creval e/o Banco Popolare), con la creazione di due superpopolari che facciano capo a Ubi e Pop Milano». L obiettivo, per tutte le banche, è evitare che la trasformazione in Spa sia occasione per diventare facilmente scalabili.... Banche popolari, perché la riforma non convince. Il voto capitario non vuole dire meno credito, né mala gestione: perché tutta questa fretta, allora? La decisione del governo di obbligare le banche popolari a trasformarsi in SpA e abolire il voto capitario suscita forti perplessità, anche a causa del carattere di urgenza che le è stato attribuito. Un pezzo fondamentale della struttura finanziaria del Paese è stato riformato, senza discussione pubblica. Le motivazioni? Affidate ad un paio di lievi cinguettii su Twitter. Quando invece le domande a cui il governo dovrebbe rispondere pesano come macigni. Chi e per quale motivo ha richiesto questo intervento? Perché era così urgente da non rendere possibile un confronto pubblico? Quali sono gli obiettivi che il governo vuole conseguire? Sono stati valutati i rischi e le conseguenze possibili della rottamazione di una storia lunga centocinquant anni, diffusa in tutta Europa e che, per usare le parole del Ministro Padoan, «ha servito bene il Paese»? Di tutte le motivazioni addotte, le più stravaganti sono quelle relative al numero dei banchieri (troppi) e il credito (poco). Ammesso e non concesso che la numerosità dei banchieri sia un problema del governo, se proprio si voleva dare una sfoltita perché limitarsi a dieci banche popolari e non attaccare tutto il sistema del credito cooperativo? Allo stesso modo, per quanto riguarda il credito è vero che in Italia abbiamo un problema ma certo non è attribuibile alle banche popolari. Anzi, stando alla Cgia di Mestre, è vero proprio l opposto. Dal 2011, inizio della stretta creditizia, al 2013 le Popolari hanno aumentato i prestiti del 15,4% mentre gli Istituti di credito sotto forma di SpA hanno diminuito i prestiti del -4,9%, le Bcc del -2,2% e le banche estere del -3,1%. Un altra motivazione che è stata usata è che la riforma delle popolari è stata fatta perché «era ferma da vent anni». Che va benissimo per la comunicazione politica ai tempi di Twitter, riuscendo ad associare in 140 caratteri il politico all alpinista - la vetta si scala perché è lì -, ma è offensiva dell intelligenza dei cittadini italiani, soprattutto se si deve offrire una giustificazione dell urgenza con cui si è provveduto a varare il provvedimento e del perché, tra le tante urgenze del Paese sia stata data massima priorità alla governance delle popolari. Anche perché, come ha sostenuto il prof. Marco Onado nell editoriale del Sole24Ore del 21 gennaio, tra riformare la governance e 5

6 «mettere al bando l assetto cooperativo, imponendo per decreto alle popolari oltre una certa soglia dimensionale la forma di società per azioni, corre un abisso». In realtà, l urgenza e il timing dell approvazione dell investment compact - il pacchetto di leggi per attrarre investimenti, nel quale è inserita anche la riforma delle banche popolari fanno sorgere il sospetto che dietro ci sia una sorta di do ut des con la Commissione Ue e la Banca Centrale Europea. L investiment compact è stato approvato martedì 20 gennaio, a pochi giorni dall annuncio del Quantitative Easing della Bce - atteso per oggi e di cui l Italia dovrebbe essere uno dei massimi beneficiari - e dopo l avvenuta apertura della Commissione Ue su una maggiore flessibilità nell esame di marzo dei conti pubblici italiani, «a patto però le riforme strutturali si facciano per davvero». A tale proposito, notiamo che, delle dieci banche popolari che sono oggetto del provvedimento, le otto più grandi ricadono nella lista delle quindici maggiori banche italiane che da inizio novembre 2014 sono passate sotto la supervisione e la vigilanza della Bce di Mario Draghi. Il fatto che Ignazio Visco, governatore della Banca d Italia - sotto la cui supervisione rimangono solo le 2 più piccole: la Popolare dell Etruria e del Lazio e la Popolare di Bari -, abbia dichiarato di non sapere nulla del provvedimento ancora la mattina del 20 gennaio, a poche ore dal Consiglio dei Ministri, indirettamente conferma che il dossier è stato studiato a Francoforte e non a Via Nazionale. D altro canto, anche presupponendo l iniziativa da parte dell esecutivo, nessun governo interverrebbe su un settore regolamentato senza prima consultarsi con l autorità preposta, soprattutto se questa è europea. La tabella è stata elaborata sui dati rilasciati dall EBA (la European Banking Authority) in occasione della pubblicazione dell esito degli stress test, terminati i quali la Bce si è sostituita alla Banca d Italia nella supervisione degli istituti creditizi maggiori. Il primo gruppo di tre colonne rappresenta la fotografia a fine 2013 della patrimonializzazione delle banche italiane in riferimento agli attivi, ponderati per il rischio. Il secondo gruppo rappresenta invece lo stress test vero e proprio, cioè la situazione in cui verrebbero a trovarsi le banche nel 2016 qualora si dovesse realizzare lo scenario avverso ipotizzato dall EBA. La tabella è illuminante sotto parecchi punti di vista. In primo luogo, spazza via l idea che siano il voto capitario e la forma cooperativa a determinare le situazioni di stress patrimoniale. Le due peggiori banche sono da questo punto di vista Monte Paschi e Carige che, come è noto, sono normali società per azioni. Tuttavia, conferma l intuizione che la Bce possa essere preoccupata per il livello di patrimonializzazione di molte banche popolari. Nel caso di scenario avverso, a parte UBI, il capitale viene eroso in maniera significativa e scende pericolosamente sotto il limite del 5,5%. E vero che molti istituti italiani (popolari e non) hanno effettuato aumenti di capitale e venduto crediti in sofferenza. Nel corso del 2014, ma questo è avvenuto sotto la gestione della Banca d Italia. La Bce ha dimostrato chiaramente di voler ripartire da zero e dotarsi di margini di sicurezza ben più elevati. Rimane incomprensibile, tuttavia, il ragionamento che deve aver portato il Governo (o la BCE) a indicare, come soluzione al problema della patrimonializzazione, l abolizione del voto capitario e l adozione della forma di SpA. Il voto capitario può essere un problema in caso di ricapitalizzazione di una banca se gli azionisti esistenti non hanno la forza di apportare mezzi freschi. Visto che un azionista forte conta come l ultimo dei dipendenti-azionisti è più difficile estrarre il premio del controllo e quindi è più difficile attrarre un certo tipo di capitali. Ma il fatto che un aumento di capitale sia più difficile non significa che sia particolarmente difficoltoso o impossibile. Le banche popolari hanno ricapitalizzato più volte negli ultimi anni, sia in periodi di Borsa favorevoli come il 2014 sia in periodi difficili come il Comunque, è vero che una banca popolare tradizionale non è vendibile ad investitori (italiani o esteri) il cui obiettivo è la massima estrazione di valore monetario. La razionalizzazione del personale, ad esempio, si scontrerebbe con l opinione contraria non solo degli azionisti-dipendenti, ma anche di tutti gli stakeholder-shareholder che non vedrebbero di buon occhio il depauperamento del capitale umano residente sul territorio. Allo stesso tempo, la revisione complessiva delle condizioni di prestito alle imprese più rischiose o alle famiglie più disagiate potrebbe risultare sgradita ad altre tipologie di stakeholder-shareholder. D altro canto, come ha teorizzato Luigi Luzzatti, economista e fondatore della Popolare di Milano, nel 1863 in "La diffusione del credito e le banche popolari", l obiettivo della banca popolare è quello di offrire credito a quelle fasce di piccole imprese e di famiglie che il linguaggio moderno definirebbe non bancabili. Rispetto a centocinquant'anni fa i tempi sono ovviamente cambiati, ma lo spirito è in parte rimasto e la tipologia di azionariato ne è una dimostrazione. Infatti, non è detto che le banche popolari non siano in grado di raggiungere autonomamente un livello di efficienza sufficiente a soddisfare investitori internazionali - come i fondi pensione o i fondi comuni - interessati ad un rendimento normale e non agli extra che solo il controllo può dare. In UBI il 40% dell azionariato è costituito da fondi comuni. È ovvio che, di fronte all opportunità di mettere le mani su un tesoro di clienti e di relazioni secolari, la reazione in Borsa sia estremamente positiva. Ma il governo dovrebbe distinguere tra ciò che è bene per gli azionisti (futuri) e ciò che è bene per il territorio (produttori e consumatori) ed avere maggiore fiducia nella capacità del mercato di selezionare le forme organizzative più adatte agli specifici ecosistemi di cui si compone un Paese complesso come l Italia. Se la forma organizzativa della banca popolare non è competitiva, allora ci penserà il mercato ad eliminarla. Tra l altro, nel caso delle popolari italiane, non dovrebbe applicarsi il principio del too big to fail e, quindi, se non si mettono barriere all entrata e se non si operano favoritismi fiscali o di altra natura, per quale ragione il pubblico 6

7 dovrebbe limitare il modo in cui i soci decidono di esprimere il loro diritto di voto? Tra l altro, a differenza dell altra decisione governativa, quella sul voto multiplo, nel caso delle Popolari le regole sono note da 150 anni. Ovviamente, se le autorità di controllo intravvedono in specifiche forme di governance un maggiore pericolo per la rischiosità posta a carico del contribuente (via assicurazione dei depositi, costi pubblici del controllo, etc etc) basta applicare coefficienti di patrimonializzazione più elevati. Ma a quel punto si applicano a tutti: alle grandi Popolari italiane, ma anche a quelle estere. Sempre rimanendo nell ambito della finanza straordinaria, con il voto capitario è (forse) più difficile aggregare diverse banche fra di loro. Ma anche in questo caso difficile non vuol dire impossibile. Ubi è il risultato dell aggregazione (o meglio, federazione ) di un gruppo di banche popolari. E la difficoltà dell aggregazione non sta nel voto capitario in sé, ma nella maggior volontà di radicamento territoriale di cui il voto capitario è espressione. Insomma, per mettere insieme due banche popolari, si devono mettere d accordo una miriade di corpi intermedi che esprimono gli interessi dei rispettivi territori. Nel caso di due società per azioni (in teoria) sarebbe necessario mettere d accordo solo una decina di azionisti di riferimento. Detto per inciso, chiunque abbia memoria del processo di aggregazione del sistema bancario italiano iniziato negli anni 90 sa che la linearità dei libri di testo non ha nulla a che vedere con la complessità della realtà. Una considerazione finale: il Governo dovrebbe fare estrema attenzione a sposare la tesi che l impostazione mercato centrica dei sistemi anglosassoni sia applicabile al sistema economico italiano. Il nostro sistema è costituito in larga parte da un tessuto di micro-imprese che possono finanziare gli investimenti e superare difficoltà temporanee solo ricorrendo al credito bancario o all auto-finanziamento (o al Tfr dei dipendenti). Pensare di sostituire il credito con i mini-bond o le banche con i credit fund è una pia illusione. Senza legami territoriali non esiste attività creditizia e senza il credito non esiste attività commerciale. Si può innovare quanto si vuole sulla tecnologia, ma l erogazione del credito richiede, oggi come centocinquant'anni fa, i piedi ben piantati per terra. Muro delle Popolari contro il Dl - Un pool di consulenti e legali avrebbe già attestato l'incostituzionalità del decreto. I vertici delle 10 banche interessate dal provvedimento che le trasformerebbe in spa lo hanno definito inaccettabile. - MF-MILANO FINANZA venerdì 23 gennaio 2015 di Claudia Cervini Il presidente della Banca popolare di Vicenza, Gianni Zonin, uscendo dal meeting milanese che ieri ha riunito i numeri uno delle banche popolari interessati dal decreto Renzi-Padoan lo aveva anticipato: «Siamo tutti molto d'accordo». E una nota ufficiale di Assopopolari, poco dopo, ha confermato il fronte comune delle dieci banche opolari contro la riforma che le obbliga a trasformarsi entro 18 mesi in spa. «Non lasceremo nulla di intentato perché il Dl venga meno». La nota non va oltre, ma le intenzioni sono chiare. Secondo quanto risulta a MF Milano Finanza è già stata redatta da un pool di legali e di consulenti una perizia che attesta l'incostituzionalità del decreto in quanto non sussisterebbe il requisito di urgenza. Per il governo, invece, è una corsa contro il tempo: il Dl va infatti convertito in legge entro 60 giorni, ma il premier Matteo Renzi non avrà vita facile. «Alle banche popolari, non mancherà il coraggio, la fantasia e la determinazione per proseguire la propria storia, anche in un contesto normativo pregiudizialmente e irragionevolmente avverso», recita sempre il comunicato emesso ieri al termine della riunione ospitata dalla sede Bper di via Gaetano Negri. E, sempre ieri, il presidente di Pop Sondrio, Francesco Venosta, ha annunciato che «verranno studiate delle iniziative» da Assopopolari. Sembra quindi non esserci spazio per la mediazione e tutto lascia intendere che le banche popolari tenteranno, se necessario, anche la strada del ricorso alla Corte Costituzionale. Le ragioni del no. La posizione delle popolari sulle conseguenze che il Dl avrebbe per il sistema è quella già espressa nei giorni scorsi, ma messa ieri nero su bianco. «L'Associazione Nazionale fra le banche popolari, ritiene il recente Dl del governo gravido di conseguenze negative su risparmio nazionale e su credito famiglie piccole medie imprese, per un paese, come il nostro, privo di investitori di lungo periodo in aziende bancarie», hanno scritto i vertici. Secondo Assopopolari non deve esserci, infatti, una politica economica finalizzata esclusivamente a trasferire la proprietà di una parte rilevante del sistema bancario italiano alle grandi banche internazionali. Il timore, insomma, è quello che l'altro ieri Matteo Renzi in un'intervista ha invece definito come un'opportunità per il sistema: l'avvento di capitali stranieri sulle popolari che, grazie alla trasformazione in spa, diventerebbero più appetibili sui mercati internazionali. Il Dl è stato concepito, a detta dello stesso premier, per accelerare il risiko in Italia facilitando le aggregazioni anche grazie a un ordinamento giuridico più favorevole a questo tipo di operazioni. Ieri, anche su questo punto, la risposta concepita dalle Popolari è stata chiara. Si continuerà a perseguire «un processo di concentrazione, che», le banche popolari, «hanno dimostrato di saper praticare in passato in misura più elevata 7

8 rispetto al resto del sistema». Molto è stato detto in questi giorni dagli osservatori circa l'obiettivo della riforma, compreso il fatto che fosse stata studiata (e accelerata) anche per salvare Mps e Carige. Un pensiero non condiviso da Piero Giarda, presidente del consiglio di sorveglianza di Bpm, che, come riportato da MF- DowJones, non ritiene che la misura sia stata concepita a questo scopo. Giarda ha anche sottolineato che alcune misure sono allo studio. Nessuno ha fatto esplicitamente riferimento a un ricorso anche se l'orientamento è molto chiaro. «Ove i nostri sforzi non andassero a buon fine, nulla sarà lasciato di intentato per proseguire comunque la missione di banca territoriale, finalizzata alla raccolta del risparmio, da destinare principalmente al credito verso le famiglie e le imprese, specie medio piccole, del medesimo territorio». L'urgenza. Il fronte comune ha negato l'urgenza del Dl. «Ci vuole tempo per fare le cose seriamente, altrimenti si fa un decreto legge», ha commentato sarcastico Venosta. Proprio per ragionare sulla riforma era stata istituita una commissione ad hoc, chiamata Commissione Tantazzi (dal nome del presidente) e fortemente voluta dal presidente di Assopopolari Ettore Caselli, con il compito di elaborare un modello di banca popolare ancor più rispondente alle mutate esigenze del mercato. Per Renzi, però, l'urgenza del provvedimento è legata al delicato momento che l'italia e la Ue stanno attraversando. Le banche spa, intanto, hanno salutato positivamente la riforma. Sia l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, sia quello di Unicredit, Federico Ghizzoni, hanno ritenuto interessante e utile la mossa del premier che, a detta degli stessi banchieri, renderà il mercato più attraente. Una opposizione opposta rispetto a quella dei colleghi cooperativi. IL GIORNALE giovedì 28 gennaio 2015 Le banche popolari a Renzi: «A rischio 20 mila lavoratori» - La lobby del settore: la riforma cancella 80 miliardi di prestiti e 3 punti di Pil e i sindacati offrono appoggio in cambio di un'asse asse con le coop sul contratto. La trasformazione in spa delle prime dieci banche popolari italiane prevista dal decreto di Matteo Renzi distruggerà altri 20 mila posti di lavoro nel settore e 80 miliardi di prestiti a famiglie e imprese. In tutto 3 punti di pil in meno. A fare i conti è Asso popolari la lobby del settore. Ma i sindacati trasformano la bomba sociale in un'arma arma di pressione, promettendo alle coop il loro aiuto a cambiare la riforma in cambio di un'alleanza alleanza nella più ampia guerra in corso con l'abi per il rinnovo del contratto dell'intera intera categoria bancaria. Un chiaro do ut des politico, di cui ieri si è fatto ambasciatore il leader della Fisac- Cgil, Agostino Megale: le cooperative «devono decidere da che parte stare. Ci attenderemmo che Asso popolari suggerisca all'abi Abi di rivedere il suo atteggiamento», ha detto il sindacalista in una conferenza congiunta con la Fabi di Lando Maria Sileoni, la Fiba di Giulio Romani, la Uilca di Massimo Ma si e le altre sigle del settore. I sindacati del credito hanno anche spedito una lettera unitaria al governo. In sostanza se i vertici delle mutue, anzichè comportarsi come colombe nei negoziati aziendali, e trasformarsi in falchi nel «nido» dell'abi Abi, faranno digerire le richieste sindacali alle intransigenti big bank, allora le forze sociali restituiranno il favore: cercheranno appoggi in Parlamento e muoveranno gli iscritti per ammorbire l'esecutivo esecutivo. Questo pomeriggio intanto Asso popolari si riunisce in conclave a Roma con i suoi tre saggi (Marchetti, Tantazzi e Quadrio Curzio), per tradurre in pratica l'opposizione opposizione al decreto sancita unitariamente la scorsa settimana: l'associazione associazione vuole più tempo prima del grande salto verso la spa (da 18 a 24 mesi), progetta di ripiegare su un governance «ibrida» che di a peso ai piccoli soci in Cds, e di porre il 5 % come limite ai diritti di voto. Le popolari hanno alcuni pareri legali che considerano anti- costituzionale il decreto perchè non sussiste il carattere di «urgenza». Lunedì o martedì la riforma dovrebbe iniziare a passare al vaglio della commissione Attività produttive presieduta da una vecchia conoscenza della Cgil, Gugliemo Epifani. Le popolari sperano poi nella commissione Finanza, dove ci sono il forzista Daniele Capezzone, che si è già espresso contro il decreto Renzi, e il veltroniano Marco Causi. Il presidente della commissione Bilancio, Francesco Boccia (Pd) ha intanto ipotizzato di imitare l'ordine ordine di dire addio al voto capitario ai soli sette istituti quotati o di prevedere appunto un tetto del 5 % al diritto di voto. Se Renzi porrà la fiducia tutto sarà però più difficile.... Il Banco Popolare di Carlo Fratta Pasini ha scritto agli addetti che farà di tutto per cambiare la riforma e altrettanto pugnace è apparsa la linea della Popolare di Bari così come quella della Vicenza di Gianni Zonin o della B per di Ettore Caselli. C'è è però chi, come Ubi o Bipemme, ha una posizione più conciliante. «Se le banche non cambiano atteggiamento» sul contratto, «sarà lotta dura, andremo avanti a oltranza chiedendo l'intervento intervento del governo e del presidente Renzi», ha tuonato Sileoni. Lo sciopero che venerdì dovrebbe portare in piazza 15 mila bancari 8

9 promette quindi di essere solo il primo: i cortei sono a Milano (dove sono attesi il capo della Cgil Susanna Camusso e lo stesso Sileoni), Roma, Palermo e Ravenna (la città del presidente dell'abi Abi, Antonio Patuelli). La riforma solo per le quotate - IL GAZZETTINO giovedì 28 gennaio 2015 Nuova levata di scudi contro la riforma della banche Popolari. A ribadire la contrarietà alla trasformazione in Spa delle più grandi banche cooperative sono i sindacati di categoria e l'associazione associazione di riferimento, Assopopolari.... Chi spezza lance in favore della riforma, invece, sono il banchiere d'affari affari, Federico mbert (Credit Suisse), che vede con favore lo scenario delle «aggregazioni» e l'ex ex presidente della Bpm e uomo d'affari affari, Andrea Bonomi. Per quest'ultimo ultimo infatti, che aveva tentato (fallendo) di far imboccare la strada della Spa in Piazza Meda, adesso è l'ora ora di evolvere mantenendo intatto però il proprio Dna. Intanto, i sindacati si stanno preparando per lo sciopero dei bancari di venerdì contro la decisione dell'abi Abi di disdettare il Ccnl. La categoria, che a livello nazionale conta circa 300 mila lavoratori, manifesterà a Milano, Ravenna, Roma e Palermo, dove sono attesi oltre lavoratori.... Il grande affare delle popolari, ma al tavolo c è posto per pochi. Ubi, Bpm, Bper e Banco nel ruolo di predatori. Le prede annunciate. Matteo Renzi lo aveva promesso. Ma nessuno si sarebbe atteso un decreto tanto incisivo, tanto capace di cambiare una realtà che pareva inscalfibile, pietrificata. Invece, martedì scorso è arrivato il Big Bang: tutte le banche con più di otto miliardi di attivi tangibili iscritti a bilancio dovranno avere forma giuridica di società per azioni. Tempo 18 mesi. Chi non volesse trasformare la forma sociale, può sempre cedere gli attivi (in qualche caso però trasfigurando l essenza stessa della banca). Altrimenti il decreto prevede lo scioglimento della società. Punto. Ripresisi dallo choc, i banchieri popolari hanno organizzato le difese e annunciato battaglia: faremo di tutto, hanno detto, per bloccare il decreto (o stravolgerlo) prima che arrivi al vaglio dell aula parlamentare. Si sono già organizzati gli schieramenti: il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha già assicurato il suo appoggio. La potentissima lobby delle popolari, che spazia dai cattolici agli ex comunisti, sta reclutando schiere di avvocati, costituzionalisti ed è pronta, quasi, a scendere in piazza. Altri pensano alla prossima mano di risiko. Le operazioni possibili sono diverse: unire le due popolari della Valtellina; la Veneto con la Vicenza; addirittura tutte e quattro in un unica superpopolare. E poi le possibili mosse della Bpm (su Vicenza); di Ubi (Bari o Etruria?); del Banco (Bari o Veneto?) e della Bper che potrebbe rispolverare il progetto di aggregazione con Bpm. Si è mossa anche la speculazione, tanto che la Consob ha acceso un faro sugli scambi. Di sicuro, il decreto Renzi ha il grande merito di aver distinto il grano dal loglio. Che sono entrambi prodotti della terra e si assomigliano anche, ma non sono assimilabili. Così certe banche popolari. Tra istituti che hanno centinaia di milioni di euro di attivi tangibili, centinaia di sportelli e migliaia di dipendenti sparsi in tutta Italia e i piccoli istituti di provincia, la differenza è enorme. Finalmente la politica ha posto termine a un anomalia. Il sistema delle popolari ha perso l occasione per l autodeterminazione delle proprie regole, tergiversando e perdendo tempo, arroccato su antiche certezze che oggi son venute meno. Lo riconosce anche uno dei suoi esponenti più in vista, Gianni Zonin, presidente della Vicenza, nell intervista a fianco. Ciò non toglie che Assopopolari, l associazione presieduta da Ettore Caselli e animata da Giuseppe De Lucia Lumeno (che da venerdì si firma «combattente popolare»), sebbene verrà forse privata di alcune delle associate più note, potrà continuare a perseguire con tutto il movimento quei valori di mutualità e vicinanza al territorio di cui, mai come in questo momento, si sente necessità. In fondo, sono toccate dal provvedimento dieci banche sulle 70 popolari oggi attive in Italia, il 14,28 per cento. Anche davanti a una riforma epocale, lo spirito mutualistico e cooperativo può quindi dirsi ampiamente tutelato e salvato. Quel che è chiaro a tutti, ora, è che il re è nudo. Finalmente per le banche conterà la dimensione e certe ipocrisie sono destinate a concludersi, se Renzi avrà la forza di trasformare questo decreto in legge, con al fianco la Banca d Italia di Ignazio Visco, che dovrà dettare le regole di comportamento. Ne beneficeranno in molti: le banche, ma soprattutto i loro azionisti, specie quelli piccoli o piccolissimi, che non dovranno più affrontare l umiliazione di lunghi mesi di attesa per vendere le proprie azioni. Un affronto non più difendibile. Ne avranno invece da perdere gli abbonati alle rendite parassitarie, i politici di piccolo cabotaggio. «La realtà prospettata dal decreto Renzi spiega Stefano Modena di Governance consulting è un buon compromesso, che tutela sia la realtà esistente che le esigenze del mercato e dell Unione bancaria europea. Resta da capire come verrà convertito in legge, sono in molti che si stanno muovendo, ma è indubbiamente una grande opportunità per giocare un ruolo da protagonisti sia in Italia che in Europa». 9

10 Il voto capitario il principio una testa un voto, a prescindere dalle quote di capitale possedute, secondo Modena «frena la presenza di investitori professionali. Questo decreto, invece, apre ai mercati. Sono state riviste norme pensate nell Ottocento e non più adeguate a un mondo che, sulla spinta del digitale e dall apertura delle frontiere, è cambiato molto, solo considerando gli ultimi dieci anni». Anche il legame con il territorio non è più quello pensato nell Ottocento, sulla spinta di Internet, della dematerializzazione e delle banche online. «La direzione del decreto conclude Modena è quella di un ammodernamento del sistema, senza togliere nulla alle popolari che restano popolari. Si scioglie un equivoco, si cancella una ipocri-maramotti sia, dando la possibilità, alle banche capaci, di giocare un ruolo più importante». Non a caso, dietro alle barricate annunciate dai presidenti, i manager più capaci e ce ne sono molti nelle dieci banche toccate dal decreto stanno pensando positivamente: la trasformazione in spa farà bene agli istituti di credito. Se poi da questa nasceranno aggregazioni che daranno vita a gruppi più forti o a banche quotate in Borsa, sarà tutta un altra partita. 21 gennaio Da banche popolari a spa cambiamento inevitabile Si chiude l epoca dei piccoli soci Quelle assemblee con i pullman - Dalla Popolare di Milano all Ubi: che cosa cambia con la riforma Le scommesse sulle fusioni: chi parte per primo? - L ipotesi Bpm con Carige, Veneto Banca con Popolare Vicenza: la Borsa fa i conti Primo atto, la Bpm corregge la governance Da banche popolari a spa cambiamento inevitabile. Il decreto legge approvato ieri impone la trasformazione delle grandi banche popolari in società per azioni. Perché un intervento così invasivo? Il modello popolare si basa sul voto capitario, nel quale ogni socio ha un voto, che abbia investito mille euro o dieci milioni; è sistema adatto a realtà locali, che non devono divenire dei califfati del credito. L'anomalia di chi «pesa» allo stesso modo investimenti così diversi era evidente, ma ogni invito alla riforma si scontrava con la chiusura del mondo popolare ad ogni mutamento, anche davanti ai reiterati inviti di Banca d'italia. Come mai ora questo nodo gordiano è tagliato con la spada di Alessandro Magno? Il motore è forse la necessità di ristrutturazione nelle banche italiane uscite male dagli esami Bce. Per Mps e Carige si parla di aumenti di capitale o fusioni, coinvolgenti banche popolari, ma operazioni essenziali per la stabilità e gradite agli investitori potrebbero soccombere al voto capitario. Saranno interessanti i riflessi della riforma sui mercati, che han visto finora salire i valori delle Popolari quotate, divenute scalabili; forse ci sarà una boccata d'ossigeno per le non quotate, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, le cui azioni, trattate a valori fissati dalla banca stessa ed irrealistici nel vecchio regime ora, in una Spa, potrebbero tornare alla ragionevolezza. Il credito popolare ha avuto meriti storici ma era ormai, per le grandi, in tutto simili alle omologhe Spa, una finzione giuridica: e l'inamovibilità dei vertici popolari ha causato bei pasticci. Il potere di lobbying delle Popolari, efficacissimo nel passato, non resterà a guardare, ma stavolta forse addolcirà solo una pillola amara: finisce, per la cecità dei suoi principali esponenti, un modello che ha fatto tanto per il Paese. Come avviene anche in altri campi, si pretendeva di bloccare l'irrompere del mondo da fuori; le Popolari possono prendersela solo con se stesse. Una saggia autoriforma avrebbe evitato l'atomica sganciata ieri dal governo. Una scelta necessaria. CORRIERE DELLA SERA mercoledì 21 gennaio 2015 Si chiude l epoca dei piccoli soci Quelle assemblee con i pullman - Dalla Popolare di Milano all Ubi: che cosa cambia con la riforma. L appuntamento pare già fissato per domani alle ore 16: i vertici delle principali Popolari dovrebbero incontrarsi a Milano nella sede dell associazione di categoria per discutere del provvedimento di riforma approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Prima i tecnici parleranno della cessione dell Icbp, l Istituto centrale delle banche popolari. Poi dovrebbero intervenire i presidenti o i consiglieri delegati per cominciare a discutere sulla grande svolta che si profila con la trasformazione in spa. E già sarebbero stati richiesti pareri legali sulla questione dell urgenza del provvedimento, inserito nel decreto «investment compact». 10

11 Difficile dire se alla fine sarà vera battaglia. Per il momento nel quadro c è un tramonto: finisce l epoca delle Grandi Banche Popolari. Locali nel cuore e nazionali nel portafoglio. Che sono diventate grandi anche grazie a una stagione di fusioni ed acquisizioni conclusa qualche anno fa. E caratterizzata anzitutto da fotografie che sembrano raccontare più la storia di squadre di calcio che di istituti di credito: file di pullman che portavano alle assemblee migliaia di piccoli soci, proprietari di poche azioni e portatori di poche deleghe. Che affollavano le urne e gradivano i generosi buffet, necessari per rifocillarsi nel corso di ore ed ore di riunione plenaria. Sono state giornate «storiche» per le Popolari. C erano anche le tv il 10 marzo 2007 a Verona e Lodi quando oltre 10 mila soci iscritti hanno dato via al Banco Popolare. E a Milano sono affluiti soci per la sfida che il 25 aprile 2009 ha visto prevalere in Bpm Massimo Ponzellini su Roberto Mazzotta. E sempre alla Popolare di Milano erano oltre in tremila quando il 25 giugno 2011 l assemblea ha detto no a Bankitalia sull aumento delle deleghe. Un no che si è ripetuto in altre occasioni nella stessa banca e che ha reso per molto tempo tesi i rapporti con l autorità di vigilanza: schiaffi che avevano per «mandanti» i sindacati che con un nocciolo del 3,5% sono riusciti per anni a tenere in pugno le assemblee. Situazioni anomale. Che hanno però incrinato il mito della democrazia del voto capitario e dell assimilazione delle Popolari a public company. Autobus, cabine elettorali, catering, volantini dei sindacati e le liste per i consigli di amministrazione: con la fine del principio «una testa un voto», architrave della governance delle cooperative, per i dieci istituti che dovranno trasformarsi in spa si conclude la stagione delle grandi kermesse. Se il provvedimento non registrerà variazioni sostanziali, le prossime assemblee che dovranno votare in sede straordinaria il passaggio da banca popolare a società per azioni prevederanno ancora il voto capitario ma è difficile immaginare si replichi il film del passato. Perché questa volta il voto «deve» andare nella direzione della legge: un «no» potrebbe portare alla fine della banca: via la licenza, revoca dell autorizzazione, e perfino la liquidazione coatta amministrativa. Certo, con il passaggio a spa cambierà tutto. Oggi un piccolo socio «pesa» quanto un azionista di rilievo. Domani la prospettiva sarà capovolta. Alla Popolare di Milano primo azionista con pieno diritto di voto sul proprio capitale sarà Raffaele Mincione con il 5,7% attraverso il fondo Athena: in passato scalatore sconfitto potrebbe in teoria prendersi la rivincita. E in Ubi, dove i fondi internazionali detengono complessivamente una quota vicina al 40%, il primo azionista è Silchester International con quasi il 5%. Ed è primo in virtù del fatto che ha chiesto l iscrizione al libro soci, facoltà che in passato era soggetta anche a un gradimento «confessionale». Cose d altri tempi. Come le Grandi Popolari. CORRIERE DELLA SERA mercoledì 21 gennaio 2015 Le scommesse sulle fusioni: chi parte per primo? - L ipotesi Bpm con Carige, Veneto Banca con Popolare Vicenza: la Borsa fa i conti. Le due big si sono chiamate fuori. A questo giro Intesa Sanpaolo e Unicredit faranno da semplici spettatrici.... Il consolidamento auspicato dal governo si concentrerà tutto sul mondo delle popolari, anche se a detta di molti osservatori il punto di caduta sarebbe su Montepaschi e Carige, che popolari non sono ma che nel risiko delle popolari potrebbero trovare la salvezza. La destinazione, a sentire le voci, ma anche guardando alla Borsa, sarebbero Ubi per Siena e la Popolare di Milano per Carige. Ieri a Piazza Affari sono proseguiti gli acquisti: Ubi ha guadagnato il 3,1%, Carige l 1,5%, Bper il 7,12% mentre Bpm è scesa dello 0,66% dopo aver guadagnato lunedì il 15%. Il numero uno di Ubi, Victor Massiah, a quanto si sa potrebbe essere interessato alle attività in Veneto di Mps, per allungare la filiera che da Bergamo e Brescia si estenderebbe verso il Veneto. Mentre per Bpm viene fatta notare la contiguità con Genova dove ora la guida è in mano a Piero Montani, arrivato in Carige proprio dopo aver risanato Bpm, e l'interesse di Andrea Bonomi, che di Piazza Meda è stato presidente. Ma se la logica è quella di aumentare l efficienza del sistema e ridurre la frammentazione, sul mercato ritengono probabile che il primo fronte posa essere una razionalizzazione in Veneto che passerebbe per la fusione tra la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, e in Lombardia mettendo insieme Popolare di Sondrio e Credito Valtellinese. Si racconta che a dicembre, terminati gli stress test, ci sia stato un tentativo di avviare un dialogo tra la vicentina e Veneto Banca, ben visto dalla Banca d Italia, che però si sarebbe risolto in un rifiuto. Con la trasformazione in spa tornerebbe sovrana l assemblea, con nuovi equilibri, e dunque un opposizione di principio sarebbe più difficile. Sullo sfondo della riforma, tuttavia, come ha fatto notare ieri l amministratore delegato di Bper, Alessandro Vandelli, esiste anche il rischio «che un gruppo di fondi di private equity esteri possa approfittare di questa 11

12 situazione». Non si può certo escludere che nella girandola di scambi in Borsa di questi ultimi giorni qualcuno possa aver già preso posizione. Magari per tirare fuori le azioni una volta approvata la trasformazione in spa e giocarsele sul tavolo del risiko. CORRIERE DELLA SERA mercoledì 21 gennaio 2015 Primo atto, la Bpm corregge la governante. Sulla trasformazione in società per azioni la resistenza dei soci della Banca Popolare di Milano ha fatto scuola. Nemmeno Banca d Italia è riuscita ad aprire una breccia nel granitico muro eretto dalle associazioni degli azionisti di Piazza Meda. Ma, a prescindere dall intervento del governo, alla Bpm il cantiere per la modifica della governance non è mai stato smantellato. Certo, non si è più parlato di spa ma i tentativi di dare più peso ai soci di capitale sono andati avanti, così come la ricerca di una formula per avvicinare consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione, che nel duale di Piazza Meda hanno poteri molto diversi che privilegiano soprattutto la gestione. E ieri c è stato un passo avanti importante. Il consiglio di sorveglianza di Bpm si è riunto per nominare i comitati interni, che di fatto consentono un controllo più stringente sulla gestione. E la sorpresa è che, al termine di un lungo braccio di ferro, il presidente Dino Piero Giarda è riuscito a ottenere il posto nel comitato per il controllo interno. Era tutt altro che scontato. Giarda non ha ottenuto la presidenza, andata ad Alberto Balestrieri, ma ha comunque una poltrona che gli consente di tornare al centro dei giochi sulla Bpm, in un momento chiave per il suo futuro visto l obbligo di trasformazione in spa decretato dal governo Renzi. Bpm ha nominato anche i componenti per il comitato remunerazioni e il comitato nomine, completando così gli obblighi previsti dalla governance. E, in entrambi i casi, la presidenza è stata assegnata a Giarda. Su questo non c erano discussioni, che riguardavano a quanto sembra solo la presenza del numero uno del consiglio di sorveglianza nei controlli interni. Questa «apertura» potrebbe rappresentare un segnale di distensione tra i due board, che spesso hanno marciato in direzioni divergenti, soprattutto in passato, arrivando a volte anche a ostacolarsi. CORRIERE DELLA SERA mercoledì 21 gennaio gennaio Schiarita nella Bpm Giarda ai controlli Riforma banche, la Borsa punta sulle aggregazioni - Più forte l'ipotesi ipotesi di fusioni tra " popolari " e Mps Carige Per gli istituti è il giorno della riforma - Verso l addio al principio del voto «capitario» - Focus sulla portabilità dei fondi e trasferimento dei c/c Dietro il riassetto il futuro di Mps e Carige Popolari, Veneto contro la riforma «Il decreto è anticostituzionale» Levata di scudi contro il piano del governo di cancellare gli istituti cooperativi Le popolari volano a piazza affari, ma i broker non credono alla riforma Renzi - Analisti cauti, ma in borsa è festa - Secondo le principali case d'affari la lobby delle banche cooperative riuscirà a fermare l'abolizione del voto capitario. Intanto il mercato specula su una ripresa dell'm&a che coinvolga Mps e Carige Renzi, 10 banche popolari saranno spa, tempo 18 mesi Popolari, via alla riforma: 10 banche diventano Spa - Adeguamenti entro 18 mesi - Bcc escluse dalla svolta Punto per punto la riforma delle banche popolari. Il testo del decreto varato dal Consiglio dei ministri Le Popolari pagano l incapacità di riformarsi Dopo vent anni il cambio: ora partono le aggregazioni Le Popolari saranno spa in 18 mesi - Entro un anno e mezzo gli istituti che superano la soglia di 8 miliardi di attivi dovranno cambiare i propri statuti. Nel decreto investimenti anche la migrazione dei c/c in 15 giorni. Sace farà la banca 12

13 Il blitz può favorire gli stranieri - La mossa del governo punta a stimolare le concentrazioni tra istituti italiani, ma ai valori di borsa attuali eventuali offerte dall'estero potrebbero essere più allettanti per i soci delle ex cooperative Schiarita nella Bpm Giarda ai controlli. Schiarita in Bpm a poche ore dal CdS che oggi procederà alla nomina dei tre comitati: Controllo, Nomine e Remunerazioni, anche se il primo è quello più in vista. Un faccia a faccia, ieri a Roma, all'ora ora di colazione, tra Lando Sileoni, leader Fabi e Piero Giarda, avrebbe allentato la tensione. Sileoni aveva mostrato dubbi sull'ingresso del presidente del CdS nell'organo organo di controllo che, riunendosi assieme al CdG, di fatto apre le porte della gestione a Giarda. Per fargli posto farà un passo indietro il vicepresidente Mauro Paoloni, docente a Roma 3, in quota Fabi che, in dissenso su alcune iniziative di Giarda, in un primo tempo voleva sbarrargli la strada. Nel Comitato controllo dovrebbe entrare anche Piero Lonardi, leader dei soci non dipendenti. Conferme per Alberto Balestreri, Carlo Frascarolo, Cesare Piovene. E conferme degli altri due comitati. IL MESSAGGERO martedì 20 gennaio 2015 Riforma banche, la Borsa punta sulle aggregazioni - Più forte l'ipotesi ipotesi di fusioni tra " popolari " e Mps Carige. BANCHE POPOLARI trasformate in spa o quasi, con l'abolizione abolizione del " voto capitario ", cioè del principio per cui «ogni socio ha un voto». E ancora: via il tetto dell' 1 % alle partecipazioni dei singoli soci, che potrebbe essere innalzato al 3 % o anche oltre per gli investitori istituzionali. Forse nuove regole anche per le Banche di credito cooperativo (Bcc) ma non è certo. Non basta. Novità in arrivo anche per la chiusura e il trasferimento dei conti correnti con l'obbligo obbligo per le banche di chiudere l'operazione operazione entro 15 giorni, altrimenti il cliente dovrà essere risarcito. Previsto anche l'obbligo obbligo di rendere più trasparenti i costi sostenuti dai correnti, comparandoli con quelli delle altre banche. In arrivo ma non è certo anche una norma che prevede la portabilità dei fondi pensione, ad esclusione di quelli di categoria. È un decreto che già fa discutere quello che approderà oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri. Intanto ieri ha messo le ali ai titoli bancari dopo che, negli ultimi dieci anni qualsiasi progetto di riforma della governance del "credito popolare " è fallito. I fari sono puntati soprattutto su alcuni, come Bpm, che ieri ha fatto un balzo a due cifre (+ 14,89 89 % a 0, euro) e che in passato indiscrezioni hanno dato interessata a un'operazione operazione con Carige, complice il fatto che l'attuale attuale ad dell'istituto istituto ligure, Piero Montani, arriva proprio da Bpm. Il gruppo di Piazza Meda, fino a poco tempo fa sorvegliato speciale di Bankitalia, grazie all'aumento aumento di capitale da 500 milioni, è uscito a testa alta dagli esami della Bce. E ancora. Andrea Bonomi, già socio della Popolare di Milano poi uscito, è tra i soggetti più interessati a entrare nel capitale di Carige acquistando, se ci saranno le condizioni, buona parte del 19 % messo in vendita dalla Fondazione. In passato si è scritto che Bonomi potrebbe entrare in Carige e in un secondo momento l'istituto istituto guidato da Montani potrebbe aggregarsi con Bpm. Secondo l'ufficio ufficio studio di Imi, la Popolare di Milano è tra le banche che maggiormente beneficerebbero della riforma. «Si tenga però presente fa notare una fonte vicina al dossier - che di solito una fusione tra banche avviene perché due banche hanno un socio in comune». Ieri tutte le banche hanno brillato in Borsa. Ubi (+ 9,68 68 %), B per (+ 8,51 51 %) e Banco Popolare (+ 8,33 33 %), ma anche Mediobanca (+ 4,54 54 %) e Mps (+ 4,25 25 %). Più cauta Carige (+ 2,23 23 % a 0, euro), bene Etruria (+ 8,2 2 %), Bps (+ 8,06 06 %) e Creval (+ 9,63 63 %). Nato come «investment compact», un provvedimento per favorire gli investimenti e il credito alle imprese, il provvedimento sarà usato anche per rivoluzionare il sistema del credito cooperativo con una norma, che mette fine al " voto capitario " e rimuove il limite al possesso di azioni dei singoli soci. Il testo contiene misure a sostegno delle imprese innovative con personale altamente qualificato, che otterranno gli stessi benefici fiscali delle start up. Rinvio per le partite Iva. Si profila ancora un rinvio, invece, per i " minimi " delle partite Iva (il nuovo regime fiscale per commercianti, professionisti e imprese individuali fino a 40 mila euro di reddito), che il premier si è impegnato a stoppare: si parla di prorogare per tutto il 2015 la possibilità di optare per il vecchio regime fiscale più semplice e soprattutto più favorevole nel caso di giovani professionisti free lance. In discussione anche l'aumento aumento dal 27 al 30 per cento dei 13

14 contributi previdenziali versati all'inps Inps. Ma una decisione sarà presa probabilmente la prossima settimana per evitare di "appesantire " ulteriormente il menù di provvedimenti previsto per oggi. Svolta per le Popolari. Potrebbe essere la fine di un'epoca epoca per le banche popolari, che sono praticamente non scalabili. Anticipando la riforma all'esame esame del Parlamento, il decreto dovrebbe cancellare il "voto capitario ", la regola - madre su cui si fonda il credito cooperativo in quanto prevede che ogni socio ha un voto a prescindere dal numero delle azioni di cui è titolare. Un passo decisivo verso la trasformazione delle banche popolari in spa, quindi contendibili sul mercato. Un cambio di marcia sollecitato di recente anche dal Fondo monetario internazionale. La bozza, ancora ieri sera in fase di elaborazione, prevede anche la rimozione del limite dell' 1 % al possesso di azioni da parte di ogni singolo socio così come salterebbe la soglia minima prevista per il numero dei soci oggi fissata a 200. Non è chiaro se saranno introdotte regole più severe per i manager nel caso di cattiva gestione ma queste e altre nome potrebbe rientrare nella riforma parlamentare, che dovrebbe completare le misure anticipate oggi dal governo. Una scelta, quella del decreto, che fa discutere. A dare il colpo di acceleratore è stato dato dal premier Matteo con qualche perplessità da parte del Tesoro, che stava lavorando a un testo più completo e articolato. Una scelta contestata da Fi, Lega e Fabi, il sindacato dei bancari. Investimenti esteri. Si chiama tax ruling e serve ad attrarre gli investitori esteri, spaventati dal continuo cambio di regole fiscali: la norma punta a garantire regole certe e stabili ai grandi investitori (imprese, holding, fondi sovrani e via dicendo) che investono almeno 50 milioni di euro in Italia. Il Tesoro e l'agenzia Agenzia delle Entrate prenderanno l'impegno impegno a non introdurre norme fiscali più sfavorevoli e retroattive durante il piano pluriennale d'investimenti. IL SECOLO XIX martedì 20 gennaio 2015 Per gli istituti è il giorno della riforma - Verso l addio al principio del voto «capitario» - Focus sulla portabilità dei fondi e trasferimento dei c/c. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi lo ha confermato ieri ai senatori del Pd: la riunione di governo convocata per oggi alle 13 si occuperà anche di un intervento sul mondo del credito. Dunque, le norme di riforma delle banche popolari verranno discusse contestualmente al decreto-legge «Investment compact». Non è detto, però, che assumano la veste dei due commi secchi che prevedano sic et simpliciter l abrogazione dell intero articolo 30 del Testo Unico bancario, quello che disciplina i soci delle banche popolari e che stabilisce il voto capitario (ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute) il tetto dell 1 % per le partecipazioni dei singoli soci, il numero minimo di soci (200). Dubbi e perplessità sull opportunità di procedere in modo tranchant in questo campo si sono levati tanto da parte dei diretti interessati ( le Popolari, le Bcc) quanto da parte del mondo politico. E a tarda sera i lavori erano ancora in corso a via XX settembre e a Palazzo Chigi, per dare una veste più articolata alla normativa.... Sul fatto che una riforma sia necessaria e resa urgente anche dalla velocità impressa dalla crisi alle trasformazioni del mondo bancario, peraltro, non ci sono dubbi. A più riprese, del resto, il Governatore Ignazio Visco aveva sollecitato un provvedimento... E un analogo auspicio era venuto anche dal Fondo monetario internazionale nonché dalla Commissione europea. Per chiarire la portata del provvedimento di modifica il portavoce del premier Filippo Sensi ha poi rilanciato, ieri sera, via twitter, un analisi di Reuters secondo la quale, cambiando la norma che assegna uguali diritti di voto agli azionisti delle banche del settore cooperativo in Italia il presidente del consiglio Renzi riuscirebbe ad accrescere la concorrenza e anche ad affrontare la questione del futuro della banca Monte dei Paschi, perché togliere la norma «una testa un voto», almeno per le popolari quotate in Borsa, potrebbe aprire la strada per una fusione tra Mps e una delle maggiori popolari, come Ubi. Sennonché dal mondo politico, proprio ieri, è partito un fuoco di fila. Il più netto è stato il segretario della Lega Matteo Salvini, che si è detto «pronto a salire sulle barricate a difesa dei territori. Intanto, fermiamo questo tizio». Il Carroccio si è anche detto pronto a un esposto, sospettando una misura che favorisca il salvataggio di Mps.Il presidente di Assopopolari, Ettore Caselli, che è anche presidente della Bper, si è invece detto «perplesso» sulle ipotesi circolate e ha ricordato come l'associazione avesse nominato una Commissione composta da accademici di chiara fama, composta dal Presidente,Prof. Angelo Tantazzi, dal Prof. Piergaetano Marchetti e dal Prof. Alberto Quadrio Curzio«con il compito di elaborare un modello di banca popolare ancor più rispondente alle mutate esigenze del mercato». Già lo scorso venerdì, peraltro, erano scattate le prime voci critiche, a partire dai sindacati del 14

15 settore, preoccupati per possibili tagli del personale a seguito delle aggregazioni, ma anche nello stesso Pd... Ieri, il fronte si è allargato anche al centrodestra e in particolare a Forza Italia... Anche il segretario generale del sindacato Fiba Cisl si è pronunciato contro il ricorso al decreto, ricordando come le popolari siano le più generose verso le Pmi e attaccando «l effetto annuncio» che ha permesso «enormi rialzi» sui mercati finanziari. IL SOLE 24 ORE martedì 20 gennaio 2015 Dietro il riassetto il futuro di Mps e Carige. A vedere la reazione euforica dei listini, appare chiaro quanto il mercato giudichi positivamente l ipotesi della trasformazione delle popolari in Spa. I rialzi hanno interessato tutti i principali istituti popolari, da Bpm a Banco Popolare, da Ubi a Bper, da Creval a Pop Sondrio, con guadagni fino al 14 per cento. Il ragionamento è semplice. Gli investitori vedono di buon occhio la cancellazione del voto capitario perché aprirebbe la porta all ingresso dei fondi di investimento nei capitali degli istituti. Verrebbero così incentivate operazioni straordinarie come gli aumenti di capitale e le fusioni, che i piccoli soci fanno molta più fatica a digerire. Il mercato sta insomma pregustando un consolidamento tra banche che, secondo gli analisti di Equita, potrebbe portare a un rialzo superiore al 20%, fino a ieri non incorporato nei multipli. Senza contare, come segnalava Barclays ieri, che le banche italiane trattano a sconto del 50% sul proprio valore di libro, e quindi appaiono a buon mercato. Difficile dire se alla fine la riforma si farà. Anche perché il mercato delle popolari è da anni in attesa di una riforma della governance che è sempre stata affossata in parlamento. Non è un caso che Banca d Italia e Bce spingano, più o meno formalmente per un consolidamento del settore, che rimane il secondo più frammentato d Europa dopo quello tedesco.... Questa volta peraltro c è un elemento in più che potrebbe spingere in porto la riforma, e spiegare forse l accelerazione improvvisa del governo sul tema della cancellazione del voto capitario. Ed è l urgenza di trovare una soluzione al problema della grande malata italiana, ovvero Mps, uscita con un deficit di capitale da 2,1 miliardi dagli esami della Bce e oggi alla ricerca di un partner. È da qua guarda caso una banca Spa - che potrebbe scattare l ipotetico risiko bancario. I predatori, invece, potrebbero uscire proprio dalla cerchia del mondo delle popolari, al contrario uscito con buoni voti dal Comprehensive Assessment. Il nome che circola per l acquisto di Siena è Ubi, una delle banche più patrimonializzate in Europa. Non è impossibile che una Spa entri in una popolare (del resto la stessa Ubi nasce dall incorporazione di una Spa come Banca Lombarda nella popolare Bpu). Ma la trasformazione in Spa agevolerebbe l istituto bergamasco nella ricerca di capitale fresco da investire nella ricapitalizzazione di Siena. Il cambio di governance di Ubi aiuterebbe un matrimonio anche qualora avvenisse con scambio di carta contro carta, a cui potrebbe seguire successivamente un aumento di capitale. Discorso analogo si potrebbe fare per Carige, altra banca Spa che potrebbe essere oggetto di un salvataggio da parte di un altra popolare solida come Bpm. In questo caso i rapporti di forza sono diversi, visto che la milanese capitalizza quasi cinque volte l istituto ligure. Ma analogamente, il cambio di governance renderebbe più facile il deal. Non è escluso che la banca lombarda provi di nuovo la strada dell aggregazione con Bper, altro istituto premiato dagli esami della Bce. Così come resta in pole position anche il Banco Popolare, che potrebbe acquisire Veneto Banca (anche se in questo caso ci sarebbe il problema dei prezzi, visto che i veneti non sono quotati). Più piccolo, ma comunque, urgente è anche il caso di Banca Etruria, il cui capitale è oramai al di sotto dei minimi regolamentari. In questo caso la banca è da tempo alla disperata ricerca di un partner e ha già dato mandato al Cda per trasformarsi in Spa. - I contatti in corso - Ieri è stata una lotta contro il tempo, con incontri frenetici a livello istituzionali e un vertice anche tra Assopopolari e Banca d Italia. Oggi il governatore Visco parlerà al comitato esecutivo Abi a Roma, in un incontro fissato da tempo. Inevitabile che il tema della riforma della governance finisca sul tavolo. Difficile d altra parte prevedere l esito delle mosse del governo, anche se da più parti nel mondo delle popolari si auspica che il governo scelga la strada del disegno di legge, e non quello, più tranchant, del decreto legge. In quel caso, forse, potrebbero essere esplorate strade alternative, che favorirebbero il cambiamento pur mantenendo il principio del voto capitario. Un ipotesi è quella dell innalzamento al 3% delle quote detenute dai fondi, o l inserimento dell obbligo di due o più posti nei Cda riservandoli ai fondi. È il modello della popolare ibrida, modalità già sperimentata negli statuti di Bpm e Ubi. Un altra controproposta delle popolari potrebbe essere quella di 15

16 azzerare la richiesta di una maggioranza qualificata per operazioni straordinarie come i progetti di fusione. Così da agevolare il via al risiko. IL SOLE 24 ORE martedì 20 gennaio 2015 Popolari, Veneto contro la riforma «Il decreto è anticostituzionale» Levata di scudi contro il piano del governo di cancellare gli istituti cooperativi. Il decreto legge che cancellerà le popolari? «Non risanerà le banche. E temo che sia incostituzionale». Arriva subito al punto, Massimo Malvestio, avvocato d'affari e conoscitore delle banche venete, in particolare di popolari e Bcc, di cui ha raccontato in un libro la storia e il ruolo nella crescita economica del Nordest. Il punto è il blitz con cui il governo, oggi, dovrebbe approvare la drastica riforma sulle banche popolari, tirando una riga per decreto sull'articolo articolo 30 del Testo unico bancario, quello del voto capitario e del tetto dell' 1% al possesso azionario. Un terremoto che tradurrebbe in legge la spinta delle autorità di controllo, da Bankitalia alla Bce, insofferenti verso le cooperative e la loro capacità di ricapitalizzare, con l'accusa accusa collegata di un'autoreferenzialità degli organi di governo. Un terremoto anche per il Veneto, per le tre grandi popolari (Banco Popolare, Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca), perni fondamentali per il credito in regione. La cancellazione del principio «una testa un voto» avrebbe come conseguenza di aprire (anche in termini di peso nel governo) le popolari agli investitori capaci di portare capitali freschi, se non di renderle scalabili, e di avviare le fusioni. Non a caso le indiscrezioni sulla riforma, hanno spinto ieri le popolari quotate: il Banco è cresciuto dell' 8,33 33%, a 10,40 40 euro. E la riforma cambierebbe radicalmente il ruolo dei soci e la stabilità della governance, cancellando anche alcuni «riti», come la assemblee- fiume.... Dalle tre banche non arrivano prese di posizione. Ma torna buono ricordare le dure prese di posizione del recente passato CORRIERE DEL VENETO martedì 20 gennaio 2015 Le popolari volano a piazza affari, ma i broker non credono alla riforma renzi - Analisti cauti, ma in borsa è festa - Secondo le principali case d'affari la lobby delle banche cooperative riuscirà a fermare l'abolizione del voto capitario. Intanto il mercato specula su una ripresa dell'm&a che coinvolga Mps e Carige. Gli analisti lo ritengono uno scenario che difficilmente potrà concretizzarsi, ma gli investitori, almeno a giudicare dall'andamento borsistico di ieri dei titoli coinvolti, di sicuro ci sperano. Secondo gli uffici studi delle principali società di intermediazione e banche d'affari, la tanto attesa riforma delle banche popolari, con l'abolizione del voto capitario almeno per le quotate, potrebbe infatti rimanere lettera morta, considerato che, ogniqualvolta il tema è stato sollevato nel dibattito parlamentare, la potente lobby delle banche cooperative è sempre intervenuta con successo riuscendo a mantenere lo status quo. La determinazione del presidente del Consiglio Matteo Renzi ad andare avanti nonostante la levata di scudi delle popolari e dei sindacati del credito, ribadita dal premier nell'incontro di ieri con i senatori Pd, giustificherebbe tuttavia l'euforia con cui il mercato ha accolto l'ipotesi di riforma. Nella seduta di ieri i titoli delle banche popolari hanno infatti messo a segno importanti guadagni, tra forti scambi e ripetuti stop per eccesso di rialzo. A guidare la corsa è stata la Popolare di Milano (+14,89%), seguita da Ubi (+9,68%), Bper (+8,51%) e Banco Popolare (+8,33%), mentre tra le popolari più piccole si sono messe in evidenza Banca Etruria (+8,2%), Popolare di Sondrio (+8,06%) e Creval (+9,63%). Il ragionamento speculativo che ha portato gli investitori a puntare forte sui titoli della popolari è ben riassunto dagli analisti di Banca Akros. «Se l'ipotesi di riforma fosse vera», osservano gli esperti della banca d'affari, «sarebbe una rivoluzione per le banche popolari che si trasformerebbero in società per azioni. La principale conseguenza è che diventerebbero oggetto di offerte speculative, anche non amichevoli». Pertanto «le banche popolari diventerebbero il bersaglio ideale per qualsiasi acquirente estero interessato a entrare nel settore bancario italiano attraverso le reti di sportelli radicate nelle regioni più ricche del Paese. La reazione principale da parte delle stesse banche sarebbe probabilmente un'ondata di operazioni M&A difensive». Renzi, almeno a giudicare dalle sue dichiarazioni, punterebbe dunque a rendere più efficiente il sistema bancario italiano, sia in termini di ripresa dei prestiti alle Pmi sia in termini di riduzione del costo dei servizi finanziari per i clienti, attraverso un nuovo round di consolidamento da scatenare attraverso l'abolizione del voto capitario. Secondo gli esperti di Kepler Cheuvreux, tuttavia, un intervento politico nella governance delle 16

17 popolari sarebbe preoccupante se fosse teso a convincere le banche a concedere più prestiti, considerato che l'ammontare dei crediti deteriorati deriva da eccessivi prestiti passati selezionati in modo insufficiente. Invece, a loro dire, un'inversione del trend macroeconomico e una stabilizzazione delle regole sul capitale sarebbero la chiave per un recupero dei crediti. «L'ingerenza politica in eventuali M&A è anche una minaccia per la remunerazione degli azionisti, che sono già sotto pressione a causa della crescente regolamentazione», sostengono sempre gli esperti di Kepler Cheuvreux, convinti che le banche popolari possano sia accelerare l'attività di M&A per evitare di diventare facili prede di acquisizione sia provare una fusione trasformazionale di salvataggio con Monte dei Paschi Siena e Carige. Processo di consolidamento che, stando a sentire gli analisti di Mediobanca Securities, è auspicabile ma non così scontato. In primo luogo gli azionisti potrebbero non essere disposti a vendere a multipli bassi. «A nostro avviso», scrivono gli analisti di Piazzetta Cuccia, «la banca target potrebbe non voler aggregarsi a una valutazione ben al di sotto del suo capitale, se i suoi coefficienti patrimoniali e il suo profilo di liquidità sono sani». Oggi pomeriggio, quando il consiglio dei ministri darà il via libera decreto Investment Compact, il quadro sarà più chiaro. IL SOLE 24 ORE martedì 20 gennaio 2015 Renzi, 10 banche popolari saranno spa, tempo 18 mesi. Lo annuncia Renzi in conferenza stampa a Palazzo Chigi: 'Abbiamo troppi banchieri e facciamo poco credito' Via libera al decreto su banche e investimenti, a quanto si apprende, da parte del Consiglio dei ministri. "Abbiamo troppi banchieri e facciamo poco credito". Così il premier Matteo Renzi, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, motiva le misure sulle banche approvate in Consiglio dei ministri. "Non si tratta di danneggiare la storia dei piccoli istituti ma far sì che le banche sul territorio siano all'altezza delle sfide europee e mondiali", ha aggiunto il premier spiegando il provvedimento sulle banche approvato in Cdm. "Attraverso l'art.1 interveniamo sulle banche popolari, non su tutte ma sulle banche popolari con un patrimonio superiore agli 8 miliardi, sono 10 in Italia che in 18 mesi dovranno superare il voto capitario e diventare spa. E' un momento storico". "Aiutateci a far passare il messaggio vero: non sono finite le banche territoriali, le banche popolari restano tali, quelle molto grandi hanno 18 mesi per fare quello che chiede il mercato, cioè diventare società per azioni. Dopo 20 anni è una riforma storica": così il premier illustrando al termine del consiglio dei ministri il decreto approvato. Con il dl su banche e investimenti "introduciamo una norma sulla portabilità dei conti correnti: essenzialmente vuol dire che il costo di chiusura è a carico della banca e va fatto in tempi relativamente rapidi, è qualcosa che va a beneficio dei consumatori". Così il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan al termine del Cdm. "Nessuno tocca le Bcc". Lo scrive su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in risposta alla parlamentare di Forza Italia Gabriella Giammanco che gli chiedeva di non fare una legge contro le Banche di credito cooperativo. "La lista delle 10 banche è di dominio pubblico". Così il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan risponde, al termine del consiglio dei ministri, a chi gli chiede qual'é la lista delle 10 grandi banche che dovranno in 18 mesi trasformarsi in spa. Ansa 20/1/2015 h. 18:57 Popolari, via alla riforma: 10 banche diventano Spa - Adeguamenti entro 18 mesi - Bcc escluse dalla svolta. Via libera del consiglio dei ministri alla riforma delle Banche popolari. Non tutte, solo i 10 istituti con attivi superiori a 8 miliardi, diventeranno Spa; sarà abolito il voto capitario. Le banche interessate avranno 18 mesi per adeguarsi alle nuove regole. Il provvedimento varato dal Governo non toccherà, oltre alle Popolari di dimensioni minori, le Banche di credito cooperativo. «È un momento storico - ha commentato il premier Matteo Renzi - perché dopo 20 anni interveniamo sulle Popolari». «È una giornata storica, perchè dopo venti anni interveniamo sulle popolari: non su tutte ma sulle banche popolari con un patrimonio superiore agli 8 miliardi: sono 10 in Italia che in 18 mesi dovranno superare il voto capitario e diventare spa.» Così il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sintetizzato il cuore dell importante riforma varata ieri attrverso l articolo 1 del decreto-legge su banche e investimenti. «Qualcuno ha detto che la decisione è stata sorprendente» ha aggiunto Renzi in serata da Davos. «Ma costringeremo le 10 banche popolari più grandi a trasformarsi in società per azioni in un arco limitato di tempo». La riforma non tocca né le banche di credito cooperative né le popolari di minori dimensioni, contrariamente a quanto si era pensato inizialmente. Ma che, in totale sintonia con quanto a più riprese chiesto in passato dalla Banca d Italia, stabilisce (e con 17

18 urgenza, perché la clessidra comincia a lavorare dalla data di pubblicazione delle disposizioni attuative che verranno prontamente emanate dalla Banca d Italia) un tempo ragionevole, ovvero un anno e mezzo che probabilmente si concluderà entro luglio 2016, entro il quale le banche di dimensioni maggiori, con una proiezione internazionale, dovranno abbandonare il principio del voto capitario per trasformarsi in Spa. E in questo modo potrà fare un salto verso il consolidamento patrimoniale e la modernizzazione sotto il profilo della governance una parte importante del sistema creditizio italiano. Come ha chiarito il ministro dell economia, Piercarlo Padoan «la scelta quantitativa» con l'applicazione del decreto a dieci grandi banche popolari «concilia la necessità di dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese». Diciotto mesi, ha specificato «sono un periodo sufficiente per completare un processo che potrebbe essere completato in molto meno». Padoan ha aggiunto che si è scelta la via del decreto «per dare un segnale di urgenza». Nel testo del decreto, per evitare la trasformazione in Spa, l attivo della banca popolare non può superare 8 miliardi di euro e se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato; in caso di superamento del limite l organo di amministrazione convoca l assemblea per le determinazioni del caso e se entro un anno l attivo non è stato ridotto Bankitalia potrà o vietare d intraprendere nuove operazioni o proporre alla Bce la revoca dell autorizzazione dell'attività bancaria e al Mef la liquidazione coatta amministrativa. Altre disposizioni del decreto dettagliano le disposizioni per deliberare trasformazioni e fusioni nonchè i necessari raccordi e modifiche alle disposizioni vigenti del codice civile. Concretamente, le banche nteressate dalla trasformazione in spa sono, in ordine di dimensione dell attivo:banco Popolare, Ubi Banca, Popolare Emilia Romagna, Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Sondrio; ci sono inoltre tra le non quotate il Credito valtellinese, la Popolare di Bari e la Popolare dell Etruria e del Lazio. Nella mattinata era stato il Governatore della Banca d Italia, durante le due ore di conversazione con i banchieri dell esecutivo Abi a spiegare ai rappresentanti delle categorie il perché del varo di un provvedimento d urgenza. Ignazio Visco aveva infatti affermato che in questo momento così com è avvenuto in passato in altri ambiti della politica economica per l Italia è necessario dare all Europa un segnale concreto della volontà di cambiare del nostro paese. La decisione di avviarsi sulla strada indicata in passato tanto dal Fondo monetario quanto dalla Commissione europea viene ritenuta un segnale molto importante anche dalla nuova vigilanza unica europea, che vede in queste trasformazioni la conferma delle potenzialità del sistema bancario italiano anche in quelle componenti che possono aver mostrato sintomi critici durante gli stress test. Nel colloquio del governatore con i banchieri,visco si è volutamente astenuto dal parlare dell imminente decisione del governing council della Bce a proposito del quantitative easing ma è evidente che anche le scelte monetarie europee che possono avere conseguenze positive importanti per il nostro paese dipendono anche dai comportamenti che si adottano in patria sul versante della politica del credito. La conversazione del mattino come ha poi spiegato il presidente dell Abi Antonio Patuelli, è servita anche a diradare i timori delle aziende di credito sulla possibilità di ulteriori aggravi della normativa prudenziale sul capitale e a registrare una totale sintonia sull esigenza di arrivare a un single rule book a livello europeo tanto sul fronte delle regole per il credito quanto su quello delle regole per la finanza. Punto per punto la riforma delle banche popolari. Il testo del decreto varato dal Consiglio dei ministri. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera all investment compact che obbliga le prime dieci banche popolari per attivi a trasformarsi entro 18 mesi in società per azioni e abbandonare il sistema del voto capitario che finora ha consentito ai soci delle popolari di contare tutti allo stesso modo. L obbligo di trasformazione in «spa» vale per Ubi, Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell Emilia Romagna, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare dell Etruria e Popolare di Bari. Ecco il testo del decreto. Articolo 1 (Banche popolari) 1. Al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all articolo 28, dopo il comma 2-bis, è inserito il seguente: «2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio 18

19 è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.»; b) all articolo 29: 1)dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: «2-bis. L attivo della banca popolare non può superare 8 miliardi di euro. Se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato. 2-ter. In caso di superamento del limite di cui al comma 2-bis, l organo di amministrazione convoca l assemblea per le determinazioni del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l attivo non è stato ridotto al di sotto della soglia né è stata deliberata la trasformazione in società per azioni ai sensi dell articolo 31 o la liquidazione, la Banca d Italia, tenuto conto delle circostanze e dell entità del superamento, può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell articolo 78, o i provvedimenti previsti nel titolo IV, capo I, sezione I, o proporre alla Banca Centrale Europea la revoca dell autorizzazione all attività bancaria e al Ministro dell economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d Italia dal presente decreto legislativo. 2-quater. La Banca d Italia detta disposizioni di attuazione del presente articolo.»; 2) il comma 3 è abrogato; c) l articolo 31 è sostituito dal seguente: «Articolo 31 Trasformazioni e fusioni 1. Le trasformazioni di anche popolari in società per azioni o le fusioni a cui prendano parte banche popolari e da cui risultino società per azioni sono deliberate: a)in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché all assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; b)in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all assemblea. 2. In caso di recesso resta fermo quanto previsto dall articolo 28, comma 2-ter. 3. Si applicano gli articoli 56 e 57.»; d) all articolo 150-bis: 1)al comma 1, le parole banche popolari e alle sono soppresse; 2)il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Alle banche popolari non si applicano le seguenti disposizioni del codice civile: 2349, secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519, secondo comma, 2522, 2525, primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo e terzo comma, 2528, terzo e quarto comma, 2530, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e quarto comma, 2540, secondo comma, 2542, secondo e quarto comma, 2543, primo e secondo comma, 2545-bis, 2545-quater, 2545-quinquies, 2545-octies, 2545-decies, 2545-undecies, terzo comma, 2545-terdecies, 2545-quinquiesdecies, 2545-sexiesdecies, septiesdecies e 2545-octiesdecies.»; 3)il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «2-bis. In deroga a quanto previsto dall articolo 2539, primo comma, del codice civile, gli statuti delle banche popolari determinano il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, questo numero non è inferiore a 10 e non è superiore a 20.»; 2. In sede di prima applicazione del presente decreto legge, le banche popolari autorizzate al momento dell entrata in vigore del presente decreto legge si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dall entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d Italia ai sensi del medesimo articolo 29. Articolo 2 (Portabilità conti correnti)... Le Popolari pagano l incapacità di riformarsi. È un fatto che le banche popolari abbiano seri problemi di governance grazie all uso disinvolto che molti istituti (ma non tutti) fanno del voto capitario. È un fatto che la categoria si sia dimostrata incapace di un adeguato processo di autoriforma, visto che i problemi si trascinano fin dai tempi del Testo Unico, quando le proposte della Commissione Draghi vennero stralciate in attesa di una riforma ( ça va sans dire ) «più complessiva», il classico termine politichese per calende greche. E così infatti è stato. A confronto Penelope sembra un operaio tessile cinese. Diamo atto al Governo di aver finalmente affrontato il problema della governance nelle banche Popolari. Ma da qui a mettere al bando l assetto cooperativo imponendo per decreto alle popolari oltre una certa soglia dimensionale la forma di società per azioni, 19

20 corre un abisso. Non solo, in linea di principio, per la soluzione scelta, ma anche perché le motivazioni indicate prestano il fianco a qualche perplessità. La prima riguarda il divieto della forma cooperativa per l esercizio dell attività bancaria per le popolari più grandi. Lasciando ad altri la valutazione sulla legittimità di un intervento a gamba tesa sulla libertà statutaria, va ricordato che in quasi tutti i paesi le cooperative di credito sono una componente importante dei sistema bancario e in particolare di quello più vicino alle esigenze del territorio. Ci sono ovviamente molti esempi negativi, non solo in Italia, in cui il voto capitario serve a costruire roccaforti inattaccabili per il management o i loro danti causa, ma anche casi come il Regno Unito in cui si è dovuto costatare che le grandi building societies che a partire dagli anni Ottanta abbandonarono la forma cooperativa si sono lanciate nelle operazioni più spericolate, fino a crollare miseramente al primo stormire della crisi. Northern Rock è solo l esempio più clamoroso ma non l unico. Il punto debole della corporate governance delle banche popolari è l uso eccessivo e disinvolto del voto capitario, non il voto capitario in sé. Banche che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli e che hanno nell azionariato investitori istituzionali anche internazionali non possono limitare le deleghe a numeri micragnosi e soprattutto devono raccoglierle in forma trasparente. Senza dimenticare le popolari non quotate (ma con azioni scambiate sistematicamente) che alimentano mercati assai poco trasparenti delle azioni proprie. Sono questi i nodi fondamentali che la categoria ha eluso per troppo tempo e che a questo punto possono giustificare un intervento dall alto. Ma perché tanta fretta da scegliere una soluzione così radicale, per di più con lo strumento del decreto? Stando alle dichiarazioni ufficiali, perché in questo modo si favorirebbero aggregazioni che appaiono indispensabili e perché si creerebbero le condizioni per riaprire i rubinetti del credito, che continua a scarseggiare, soprattutto per le piccole e medie imprese. Al mercato naturalmente le aggregazioni piacciono, perché provocano aumenti nel breve periodo dei prezzi azionari e infatti la borsa ha reagito positivamente, ma non diversamente da quanto ha fatto di fronte ad ogni operazione di fusione, comprese quelle che hanno dato frutti velenosi: se non vogliamo scomodare l Antonveneta, basta pensare all acquisizione di Abn Amro da parte di Royal Bank of Scotland, salvata solo grazie al pesante salasso del contribuente britannico. La storia delle fusioni insegna che nell attività bancaria le economie di scala sono assai difficili da conseguire e che al crescere delle dimensioni i costi unitari non scendono necessariamente. Ogni fusione nasce con il suo corredo di promesse di sinergie, certificate da ponderosi studi di banchieri di investimento e consulenti vari, tutti profumatamente remunerati, ma il numero delle delusioni è vicino a quello dei successi. E ancora: abbiamo troppi banchieri come dice il Presidente del consiglio? A parte che pare difficile credere che l eccesso stia tutto nei vertici delle grandi popolari, il problema in Europa più che in Italia - è quasi l opposto. Come ha certificato un recente studio della massima autorità di vigilanza (European Systemic Risk Board) il sistema bancario europeo è troppo grande rispetto all economia reale (334 per cento del pil, cioè il doppio degli Stati Uniti), soprattutto perché sono cresciute a dismisura le maggiori banche, che si sono alla fine dimostrate troppo grandi non solo per fallire, ma anche per essere gestite correttamente. Insomma: prima di lanciare la grande corsa alle fusioni nelle fasce dimensionali medio-grandi, bisogna almeno pensarci due volte. Infine, non è detto che le dimensioni siano la soluzione al nodo del credit crunch. La paralisi del credito ha infatti origini strutturali, tanto che assume particolare gravità in tutti i paesi della periferia d Europa. E comunque, in Italia, proprio la categoria delle popolari è quella che negli ultimi anni ha ampliato il credito in essere. La Banca d Italia ha invitato più volte le banche popolari (a cominciare dalle grandi quotate) a risolvere i problemi derivanti dalla rigida applicazione del modello cooperativo, puntando su due criteri fondamentali: l autodisciplina e i meccanismi di mercato. La riottosità della categoria giustifica l abbandono del primo criterio, ma il secondo, cioè il rispetto del mercato, rimane sacrosanto. Dopo vent anni il cambio: ora partono le aggregazioni. A meno di (sempre possibili) colpi di scena in sede di conversione in Parlamento, il decreto legge annunciato ieri rappresenta la più grande novità per il settore bancario dagli anni 90, ovvero i tempi della riforma Amato. Entro 18 mesi, e quindi presumibilmente luglio decisiva in questo senso sarà l introduzione dei regolamenti da parte di Banca d Italia - le principali 10 banche popolari italiane dovranno cambiare faccia e trasformarsi in società per azioni. «È un autentico big bang confida uno dei principali banchieri italiani - perché da quel momento si accenderà un timer e difficilmente si tornerà indietro».... Il 20

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