- I - I MATERIALI COMPOSITI

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1 - I - I MATERIALI COMPOSITI 1.1 Generalità Nel corso della progettazione al progettista si presenta oggi un campo di possibilità sempre più ampio e crescente in cui le scelte dei materiali e dei processi di trasformazione possono combinarsi dando luogo a quella che è stata definita iperscelta : per un dato prodotto non c'è più un solo materiale che si impone come scelta quasi obbligata; esistono invece diversi materiali in concorrenza tra di loro. Solo un'analisi approfondita e allargata all'intero processo produttivo, ed eventualmente anche alla vita successiva del prodotto, può portare a individuare la soluzione più soddisfacente. La moltiplicazione dei materiali disponibili è, dunque, causa ed effetto di moltiplicazioni più profonde nella loro stessa natura per cui diviene sempre più necessaria la specializzazione dell ingegnere in campi settoriali e specifici al fine di garantire che la produzione soddisfi il complesso di prestazioni richieste. Il punto di arrivo di questa ricerca è la filosofia del materiale su misura e, quindi, della progettazione ad hoc. Alla luce di queste considerazioni si può asserire che i materiali compositi rappresentano proprio l'archetipo di questa nuova ed concetto di progettazione. La scoperta dei materiali compositi ha origini molto antiche, infatti, è noto che già gli antichi egizi erano soliti miscelare la paglia con il fango al fine di ottenere mattoni da costruzione più resistenti e meno fragili di quelli costituiti dal solo fango. Più in generale per materiale composito si intende una combinazione di due o più componenti che contribuiscono mutuamente a fornire proprietà meccaniche e fisiche complessivamente superiori, o comunque più idonee all'uso che ci si prefigge, a quelle dei suoi singoli costituenti. Un materiale composito è costituito da: 1. la matrice che, bloccando le fibre, trasferisce loro il carico esterno e le protegge dai fattori ambientali, dall usura e da eventuali azioni meccaniche di taglio; 2. il materiale di rinforzo (o carica) che viene aggiunto sotto forma di fibre lunghe, fibre corte o particelle (Figura 1.1); 3. l'interfaccia tra il materiale di rinforzo e la matrice (Figura 1.2). 1

2 Figura diverse tipologie di rinforzo per materiali compositi. Figura schema dell'interfaccia tra fibra e matrice. Nel caso che le fibre siano disposte parallelamente tra loro nella matrice, si parla di compositi unidirezionali e si ottengono proprietà meccaniche del materiale spiccatamente anisotrope: questa è la caratteristica peculiare dei compositi in quanto offre la possibilità di progettare e costruire un materiale in funzione delle esigenze strutturali. Materiali con desiderate proprietà meccaniche possono essere infatti costruiti formando strati ognuno costituito da fibre parallele tra loro e sovrapponendo gli strati stessi con le relative fibre disposte secondo orientazioni diverse. In tal caso i singoli strati si definiscono lamine e l'insieme delle lamine è detto laminato (Figura 1.3). 2

3 Figura laminato costituito da più lamine. Le proprietà dei materiali compositi sono strettamente legate alle proprietà dei singoli materiali componenti, dalla loro forma, dimensione, concentrazione, distribuzione, o- rientamento, nonché dalla loro mutua interazione. La resistenza e la rigidezza del materiale composito dipendono in gran parte dal materiale di rinforzo e, in particolare nel caso di fibre lunghe o corte, dall'orientazione delle fibre rispetto ai carichi applicati. Tuttavia si ribadisce che il comportamento meccanico non dipende esclusivamente dal materiale di rinforzo, ma anche dalla sinergia tra il rinforzo e la matrice. Ad esempio, quando un fascio di fibre senza matrice è sottoposto a sollecitazione, la rottura di una di esse comporta che lo sforzo venga trasferito alle fibre rimanenti, con conseguente diminuzione della resistenza globale del fascio. Se, invece, le fibre sono immerse in una matrice, la rottura di una fibra non compromette la sua resistenza meccanica in virtù della presenza dell interfaccia e della deformabilità della matrice che assicurano il fenomeno del trasferimento di carico. Quando, infatti, le estremità della fibra nel punto di frattura si allontanano, la deformazione elastica o lo scorrimento plastico della matrice esercitano, tramite l interfaccia, delle forze di taglio che ripartiscono gradualmente la sollecitazione anche sulla fibra fratturata. 1.2 Classificazione dei compositi Tra le possibili classificazioni dei materiali compositi si preferiscono riportare per semplicità le due più comuni presenti in letteratura in cui il composito è caratterizzato in funzione di: Meccanismo di resistenza, strettamente legato alla forma ed all orientamento del rinforzo. Si distingueranno così i compositi rinforzati con fibre dai compositi rinforzati con particelle. Tipo di matrice: si distingueranno, pertanto, compositi plastici, metallici o ceramici in relazione alla natura della matrice (plastica, metallica o ceramica) ed indipendentemente dal tipo delle fibre adoperate come rinforzo; 3

4 1.3 Classificazione basata sul meccanismo di resistenza I rinforzi, sia nel caso di fibre che di particelle, potranno essere orientati in modo casuale oppure secondo una direzione preferenziale. Le fibre, che possono essere lunghe o corte, potranno essere disposte in modo da costituire una lamina singola oppure un laminato (sovrapposizione di più lamine, Figura 1.3). In aggiunta se la fibra è lunga si parlerà di lamina a fibra continua, altrimenti di lamina a fibra discontinua (Figura 1.4). Figura a) fibre discontinue disposte casualmente, b) fibre discontinue ordinate, c) fibre continue. Compositi con particelle In questi compositi le particelle hanno in genere lo scopo di migliorare la resistenza all'usura, la durezza superficiale, la lavorabilità, la resistenza alle elevate temperature e le dilatazioni termiche. Tuttavia la presenza di particelle, anche se molto resistenti, non contribuisce, in genere, a migliorare significativamente le caratteristiche meccaniche del composito, a differenza di quanto si verifica, invece, nei compositi fibrosi in cui la quasi totalità del carico esterno è sopportato dalle fibre. Infatti, la presenza di particelle dure in una matrice fragile può generare fenomeni locali di concentrazione delle tensioni, compromettendo la resistenza meccanica del composito. Si è anche rilevato che, nel caso di frattura, la presenza di particelle dure e resistenti non ostacola efficacemente la propagazione di eventuali cricche e difetti. Esempi di compositi con particelle sono quelli ottenuti combinando diversi materiali metallici: per esempio particelle di piombo sono usate in una matrice di leghe di rame o acciaio al fine di migliorarne la lavorabilità o la lubrificazione in leghe antifrizione. Nei materiali ottenuti rinforzando una matrice polimerica o con sostanze inorganiche, per esempio silice, o con metalli, per esempio argento, si sono registrati significativi miglioramenti nella resistenza termica e all abrasione. 4

5 Compositi fibrosi Questi compositi sono di gran lunga quelli più utilizzati nelle costruzioni meccaniche. Il loro successo è strettamente legato all'elevato rapporto resistenza/peso (resistenza specifica) ed all'elevato rapporto rigidezza/peso (modulo specifico) unito alla possibilità di variare a piacimento il grado di anisotropia intervenendo, per esempio, sulla concentrazione e sull orientamento del rinforzo. L'elevata resistenza specifica dei compositi fibrosi è essenzialmente legata alla elevata resistenza delle fibre ed al basso peso di fibre e matrice. Sperimentalmente si osserva che la resistenza di un dato materiale aumenta significativamente se esso viene prodotto in fibre sottili. Inoltre, la resistenza della fibra aumenta al diminuire delle dimensioni della sezione trasversale. A titolo di esempio sono riportate nella Tabella 1.1 le principali caratteristiche meccaniche, modulo di Young (rigidezza) e resistenza a trazione, delle principali fibre utilizzate nei compositi insieme a quelle di alcuni materiali convenzionali al fine di poter effettuare un rapido confronto. Tabella Caratteristiche meccaniche di compositi fibrosi e materiali convenzionali. Si confermano più elevati i valori di resistenza specifica relativi ai compositi, inoltre, si osserva che la deformabilità flessionale dei compositi sia superiore a quella dei materiali convenzionali. E necessario che questa ultima sia elevata affinché la piegatura delle fibre, necessaria alla formazione di componenti di forma complessa, non dia luogo a significative tensioni iniziali. La deformabilità flessionale aumenta al diminuire del diametro della sezione trasversale. Considerando, infatti, una fibra inflessa, si dimostra facilmente che: d ε = 2ρ Pertanto, a parità di deformazione il raggio di curvatura ρ ammissibile decresce al diminuire del diametro d della fibra stessa. 5

6 1.4 Classificazione basata sulla natura delle matrici Compositi plastici I compositi plastici, quelli la cui matrice è costituita da una materia plastica, sono senza dubbio i più noti e diffusi sia per le loro modalità di applicazione alla portata anche di coloro che non dispongono di tecnologie sofisticate che dei costi in continua diminuzione. Hanno oggi soppiantato altri materiali in una vasta gamma di applicazioni, anche se non sempre si tratta di utilizzazione in elementi strutturali veri e propri; spesso ne vengono quindi limitate le possibilità di impiego e non viene ottenuto il massimo rendimento delle loro proprietà meccaniche. Si possono classificare le matrici di possibile uso nei compositi plastici in tre tipi fondamentali di resine: - resine termoindurenti; - resine termoplastiche. Matrici polimeriche termoindurenti Con il nome di termoindurenti si indicano una vasta schiera di materiali plastici che hanno in comune la proprietà di divenire infusibili ed insolubili dopo essere stati portati a fusione e successivamente raffreddati. Tale caratteristica deriva dalla formazione a livello molecolare, dopo la prima fusione, di un reticolo tridimensionale tenuto insieme da forti legami covalenti i quali rendono irreversibile il processo. Una classificazione di tali resine può essere fatta in base al campo di temperature alle quali le matrici dovranno lavorare. Per temperature minori di 250 C si utilizzano le resine epossidiche che sono le più importanti dato che risultano avere proprietà meccaniche migliori di altri polimeri, ottima adesione alle fibre, buona resistenza chimica, basso ritiro e quindi bassi valori di sollecitazioni residue, associate ad una notevole stabilita termica. Per temperature intermedie, cioè tra i 150 ed i 250 C, si trovano le resine epossidiche, come la Novolac, le epossidiche standard e le ciclolinfatiche. Queste ultime risultano le migliori per l'impiego con le fibre di carbonio poiché possiedono buone proprietà meccaniche oltre ad una buona resistenza a temperature elevate. In generale le resine epossidiche sono maggiormente usate in applicazioni aeronautiche e aerospaziali. Seguono le resine poliestere che trovano un'ottima applicazione in unione alle fibre di vetro (vetroresina); le poliestere sono caratterizzate da un basso costo, da un breve tempo di polimerizzazione e da buone caratteristiche meccaniche. Esse sono utilizzate in applicazioni ferroviarie, marine, chimiche ed elettriche. Per temperature oltre i 250 o C si utilizzano le resine fenoliche che assicurano le stesse proprietà delle resine epossidiche anche ad alte temperature. Gli svantaggi principali, di queste ultime, sono legati alla elevata pressione necessaria durante la polimerizzazio- 6

7 ne, all'alto contenuto di vuoti ed al caratteristico colore nero. Le resine fenoliche trovano impiego in mezzi di trasporto dove è richiesta una certa resistenza al fuoco. Si ricordano le resine viniliche, che presentano le stesse peculiarità delle resine poliestere ma con un legame fibra-matrice più forte; ed i polimeri poliammidici, che mantengono buone proprietà meccaniche nonostante le alte temperature di esercizio. Il processo di reticolazione Le matrici sono reticolate tramite un processo chiamato curing mediante il quale la resina allo stato fluido subisce una serie di trasformazioni passando per uno stato gelificato o gommoso sino a passare allo stato vetroso. La Figura 1.5 mostra il diagramma di stato generalizzato TTT (Time-Temperature-Transformation) ottenuto da esperimenti isotermici di un tipico processo che non coinvolge separazioni di fase. Si vedano i quattro distinti stati del materiale (liquido,elastomero, vetro non gelificato e gelificato) che si incontrano durante il "curing". Si possono riscontrare tre temperature critiche. Esse sono: T g la temperatura massima di transizione vetrosa per sistemi completamente vulcanizzati; gel T g la temperatura isotermica alla quale la gelificazione e la vetrificazione avvengono simultaneamente; e la T g r, la temperatura di transizione vetrosa dei reagenti. Se un materiale è vulcanizzato isotermicamente sopra la T g, il liquido gelifica per formare un elastomero ma non vetrifica in assenza di degradazione. Una cottura isotermica ad una temperatura intermedia tra la gel T g e la T g causa invece, prima la gelificazione e poi la vetrificazione. Se le reazioni chimiche sono smorzate dalla vetrificazione ne segue che la resina non sarà completamente polimerizzata. Alla temperatura di gel T g, si ha vetrificazione appena il materiale gelifica. A temperatura al disotto della gel T g ma sopra la T g r il liquido viscoso può vetrificare semplicemente tramite un aumento del peso molecolare e se le reazioni chimiche sono congelate dalla vetrificazione il materiale non gelifica. Nella Figura 1.5 si nota che il tempo che occorre per passare allo stato vetroso fra la T gr e la T g passa attraverso un massimo. Questo comportamento riflette la competizione nella dipendenza dalla viscosità, dalla temperatura e dal tempo del sistema. Se la temperatura di immagazzinamento è sotto la gel T g, il fluido si converte in un solido vetrificato di basso peso molecolare stabile ma che può essere ancora liquefatto tramite calore e, quindi, vulcanizzato. Sopra la gel T g il materiale immagazzinato avrà invece una vita finita per i susseguenti processi. In generale, se la T curing < T g il materiale vetrifica e non è possibile una conversione chimica completa. Di solito il materiale viene post-cured sopra la T g per sviluppare l optimum delle proprietà. Per alcuni materiali polimerici la T g può essere sopra i limiti di stabilità termica, nel qual caso non è ottenibile la completa conversione chimica. 7

8 Figura Il diagramma TTT nel processo di curing Matrici polimeriche termoplastiche Si definiscono termoplastiche le resine a struttura molecolare lineare che durante lo stampaggio a caldo non subiscono alcuna modificazione chimica. Il calore provoca la fusione e la solidificazione avviene durante il raffreddamento. È possibile ripetere il ciclo per un numero limitato di volte poiché troppi riscaldamenti possono degradare le resine. Ci sono due classi di polimeri: quelli totalmente amorfi ed i semicristallini. I polimeri amorfi sono composti da catene disposte casualmente e si caratterizzano per una transizione (temperature di transizione vetrose) durante la quale passano dallo stato fragile, tipico dei vetri a quello simile alle gomme. In tali polimeri la fusione del materiale non avviene ad una determinata temperatura; pertanto non esiste un preciso punto di fusione ma invece il materiale passa gradatamente dallo stato solido, attraverso quello viscoso, allo stato fluido. È durante questo intervallo che i materiali vengono lavorati e trasformati: il ritiro di stampaggio è contenuto fra lo 0,3% e 0,6%. I polimeri semicristallini sotto la temperatura di fusione T m, sono formati da regioni amorfe e cristalline. L'intervallo utile per la lavorazione è limitato a pochi gradi centigradi poiché al di sotto del punto di fusione il materiale è ancora solido mentre non è prudente superare di molto la temperatura di fusione dato che si possono innescare fenomeni di degradazione termica. Questi polimeri presentano ritiri molto più alti di quelli relativi ai materiali amorfi e si aggirano intorno all' 1% ed il 5%. Inoltre, rispetto ai termoplastici amorfi, sono materiali più resistenti all attacco chimico( sostanze acide, basiche, solventi ecc...). Le regioni amorfe si compattano come i polimeri amorfi, mentre le regioni cristalline, sono aggregati di cristallite, catene piegate, usualmente sotto forma di sferuliti. Le dimensioni degli sferuliti influenzano le proprietà meccaniche e di diffusione dei polimeri. La percentuale di cristallinità, il numero e dimensione degli sferuliti ed il gradiente di cristallizzazione dipendono molto dalla temperatura di cristallizzazione e dalla orientazione 8

9 macromolecolare durante la cristallizzazione. La Figura 1.6 mostra il volume specifico al variare della temperatura per polimeri amorfi e semicristallini. Figura Variazione del volume specifico in f (T) per amorfi e semicristallini I valori di T g, e T m in relazione alla temperatura ambientale permettono la seguente classificazione: 1. Elastomeri, cioè polimeri reticolati o regioni microcristalline, la cui T g è tale che soddisfa la relazione: T g + 75 C T ambiente 2. Polimeri vetrosi ovvero sostanze amorfe la cui T- risulta: T g T ambiente + 75 C 3. Polimeri semicristallini sono i polimeri con cristallinità fra il 50% ed il 90% la cui T g è molto sotto la T m e molto più alta della T ambiente. 4. Le fibre sono polimeri fortemente cristallini, facilmente orientabili con una T m > T ambiente C. Importanti sono infine le proprietà reologiche dei polimeri termoplastici; la viscosità di un polimero termoplastico allo stato fuso è una caratteristica legata al suo peso molecolare; nella Figura 1.7 è riportata la variazione della viscosità con il tempo. Nella stessa famiglia dei termoplastici, materiali a basso peso molecolare presentano bassa viscosità mentre quelli con alto peso molecolare mostrano un'alta viscosità. Inoltre la viscosità diminuisce all'aumentare della temperatura ma anche all'aumentare della velocità di scorrimento e dello sforzo di taglio (Figura 1.8). 9

10 Figura Viscosità di un polimero termoplastico al variare del tempo Figura Variazione della viscosità in funzione dello sforzo di taglio Nella Tabella 1.2 sono riportate alcune caratteristiche di matrici polimeriche. Tabella Caratteristiche di alcune matrici polimeriche a temperatura ambiente 10

11 Matrici metalliche Questo tipo è poco utilizzato per motivi insiti nell introduzione delle fibre nella matrice, che naturalmente, deve essere allo stato liquido, ma anche ad una temperatura tale da non danneggiare le fibre stesse. Altro problema è ottenere un uniforme distribuzione delle fibre nella matrice, oltre ad un perfetto allineamento delle stesse. La bagnabilità è uno dei requisiti più difficili da rispettare; spesso la matrice metallica non bagna completamente le fibre per cui si ha l'impossibilità a formare un composito. Per migliorare la bagnabilità, ad esempio di fibre di carbonio, bisogna che i materiali metallici che formano la matrice, come il titanio, lo zirconio, il niobio, il tungsteno, ecc., concorrano alla formazione di carburi; tali carburi, in strato sottile, migliorano la bagnabilità ma possono danneggiare la superficie della fibra in modo notevole. Il pericolo principale, comunque, risiede nella temperatura con cui la matrice arriva a bagnare la fibra; temperatura che in questo caso è elevata, creando così la possibilità di formare depositi intermedi che possano danneggiare le fibre stesse. Nonostante queste difficoltà, l industria aerospaziale ha interesse nello sviluppo di compositi a matrice metallica perché questi legano bene le caratteristiche di basso spessore specifico ed alta resistenza (matrici di alluminio, magnesio e titanio). Proprio in alcune parti della fusoliera dello Space Shuttle si trovano applicazioni dei compositi a matrice metallica: nella fattispecie uno di particolare interesse storico risulta il composito Al-B. Questo materiale, uno dei primi MMC in assoluto, è costituito da una matrice in lega d alluminio rinforzata con fibre di boro. In particolare, le fibre sono ottenute depositando vapori di boro su un filo di tungsteno; poi per pressatura a caldo si uniscono le fibre tra dei fogli di alluminio. Matrici ceramiche Lo scopo principale del rinforzo in questi materiali è quello di aumentare la tenacità e resistenza tipicamente ridotte della matrice ceramica. Come nei MMC, il rinforzo può essere sotto forma di fibre continue, fibre discontinue o particelle. In tutti i casi l incremento di resistenza avviene grazie all effetto di interruzione della propagazione delle cricche, arrivando a raddoppiare la resistenza del materiale a trazione. Nel caso dei compositi a matrice polimerica si cerca di massimizzare i rapporti tra resistenza meccanica e densità e tra modulo elastico e densità. Nei compositi a matrice metallica si cerca di incrementare il modulo elastico. Nel caso dei compositi ceramici si vuol ottenere essenzialmente un aumento della tenacità della matrice. I ceramici, infatti, hanno delle caratteristiche molto interessanti. I legami covalenti o ionici parzialmente covalenti che legano assieme gli atomi di questi materiali sono estremamente forti, di conseguenza essi generalmente hanno un alta refrattarietà ed inerzia chimica, un alto modulo elastico ed una notevole durezza, proprietà queste ultime che mantengono anche a temperature superiori ai 1000 C. Però gli stessi legami chimici che impartiscono le interessanti caratteristiche che abbiamo visto sono responsabili anche della loro fragilità. Essi non permettono ai piani cristallini di scorrere gli uni rispetto agli altri e dunque non permettono al materiale di deformarsi plasticamente. Di conseguenza i ceramici si rompono con un meccanismo tipico dei materiali fragili: improvvisamente, senza alcun preavviso, con la frattura che si 11

12 propaga ad alta velocità nel manufatto. Si desume quindi che per rendere un materiale ceramico affidabile bisogna o incrementare il valore del suo fattore critico di intensificazione dello sforzo o diminuire le dimensioni dei difetti in esso contenuti. Nella prima ipotesi bisognerà modificare la microstruttura mediante l inserimento di nuove fasi nella matrice, nella seconda bisognerà ottimizzare il processing del composito e curare la finitura superficiale. Si ammetta di aver scelto una matrice ed una fase capace di tenacizzarla: mettere assieme questi componenti e costruire un composito con difetti di piccole dimensioni non è semplice. Per i compositi a matrice polimerica e metallica il problema non è banale ma affrontabile: la matrice può essere portata allo stato liquido o fluido, di conseguenza durante la reticolazione o il raffreddamento la quantità e le dimensioni dei vuoti sono piuttosto piccole. Differente è il caso dei compositi ceramici: la matrice non può essere portata allo stato fuso perché o si decompone prima o le sue temperature di fusione sono tanto alte da farla reagire con la fase tenacizzante (tralasciamo il discorso delle difficoltà tecnologiche legate alla manipolazioni di fasi liquide con temperature superiori ai 2000 C). L unico mezzo per densificare la matrice è dunque il processo di sinterizzazione. Questo implica che si deve partire da delle polveri alle quali va aggiunta una seconda fase che molto spesso è costituita da particelle con dimensioni di diversi micron e con forme allungate. Il tutto poi deve essere portato ad alta temperatura per far partire il processo di sinterizzazione e la presenza di particelle di una fase estranea con dimensioni discrete circondata da particelle più piccole (matrice) che devono densificare dà luogo ad un sistema difficilmente sinterizzabile. Le particelle più grandi si oppongono al processo funzionando da rigid inclusion, di conseguenza il materiale che si ottiene dopo cottura è a bassa densità e con una grande quantità di pori, quindi possiede scadenti proprietà meccaniche. Si sottolinea che si è parlato di fase tenacizzante e non di rinforzo, diversamente da quanto fatto per i compositi a matrice polimerica e metallica. Infatti, per avere un discreto trasferimento degli sforzi dalla matrice al rinforzo il rapporto tra il modulo elastico di quest ultimo e quello della matrice deve essere superiore a quattro. Ora tra i materiali ceramici non ci sono grosse differenze di modulo elastico e questo rapporto non è quasi mai raggiunto. Inoltre in alcuni casi vengono utilizzate anche inclusioni metalliche che hanno un modulo elastico inferiore a quello della matrice. Tuttavia è pratica comune utilizzare anche in questo caso il termine rinforzo. Per non fuorviare dal percorso che si intende seguire in questa trattazione, si è preferito non approfondire ulteriormente le complesse problematiche, benché interessanti, relative al problema della composizione delle fibre con la matrice. Concludendo, infine, si può asserire che, dal punto di vista scientifico, i compositi ceramici hanno stimolato gli studi della meccanica della frattura dei materiali fragili che ha fatto negli ultimi anni degli enormi passi in avanti; dal punto di vista tecnologico, invece, utilissime sono le applicazioni nel settore aerospaziale: dischi di freni, barriere termiche, camere di combustione di motori a razzo o parti di post-bruciatori. Non molto ben conosciute sono le applicazioni in campo militare, soprattutto nel settore delle corazze composite e dei proiettili perforanti. Pur non avendo la stessa diffusione dei compositi a matrice polimerica, essi si sono ritagliati alcune importanti nicchie di mercato. È ragionevole pensare ad una loro ulteriore diffusione nel settore dei dispositivi di conversione dell energia. 12

13 1.5 Le fibre Le fibre, naturali ed artificiali, oltre ad essere prodotte per scopi essenzialmente tessili, sono anche prodotte per scopi di tipo ingegneristico come le fibre vetrose, metalliche, sintetiche (es. nylon). Alle fibre è affidato, nella maggior parte dei casi, il compito di fornire al composito le proprietà desiderate di resistenza e rigidezza. Le fibre, invece di essere trattate singolarmente, vengono concentrate in un fascio (roving) che ne contiene varie centinaia arrotolate con o senza twist su un cilindro; oppure vengono attorcigliate a trefolo ed avvolte (yarn). Successivamente possono essere intessute o usate per altri procedimenti di lavorazione. Le fibre sono utilizzate anche sotto forma di wiskers che sono singoli filamenti metallici con diametro di un micron e lunghezza di circa un millimetro, ognuno dei quali è realizzato da un singolo cristallo metallico; essi sono usati nei materiali compositi più leggeri ad alta resistenza e alta temperatura per scopi aerospaziali. LE FIBRE DI VETRO Il vetro è uno dei materiali rinforzanti più noti; è prodotto nella forma standard come vetro E. Una fibra più resistente è il vetro S, circa un terzo più forte del vetro E. Un altro tipo di fibra di vetro è ottenuta con vetro con alto contenuto di alcali e una buona resistenza chimica, ma presenta proprietà elettriche modeste. Altri tipi di vetro sono il vetro C resistente agli attacchi chimici, il vetro M ad alto modulo elastico, il vetro D con ottime caratteristiche elettriche e quello L che, per il suo contenuto di piombo, realizza una buona protezione alle radiazioni e può essere usato come traccia per il controllo ai raggi x dell'allineamento delle fibre. Tutti i vetri hanno un rapporto resistenza su peso molto alto sebbene le fibre di vetro siano, fra le fibre inorganiche sintetiche, a densità più alta. Il vetro mantiene le sue proprietà meccaniche fino al 50% della sua capacità di resistenza ad una temperatura di 375 C e fino al 25% a 538 C. È possibile trafilare molti tipi di vetro di varie composizioni in filamenti continui. Il filamento è una fibra individuale ed ha lunghezza indefinita; si producono anche fibre più corte con una lunghezza che va da 203 a 381 mm. Per la trafilatura di solito si usano biglie di vetro di 3/4 di pollice di diametro che vengono fuse elettricamente e fatte passare ad un setaccio con 204 o più orifizi. La quantità di vetro sopra gli orifizi, la viscosità del fuso, il numero e la grandezza degli orifizi e la velocità con cui i fili vengono trafilati influiscono sul diametro dei filamenti prodotti. Appena tolto il setaccio viene applicato un composto chimico sizing ad ogni filamento. Il sizing ha tre funzioni: agisce come lubrificante, protegge il filamento dall'abrasione e provvede a migliorare l interfaccia fra vetro inorganico e resina organica. Dopo questa operazione i filamenti vengono uniti in un fascio detto strand che a sua volta viene fatto passare in un avvolgitore formandone una bobina. Al termine di questa operazione viene posto in un forno per rimuovere il solvente o l'acqua associata con l'applicazione del sizing. Il primo tipo di vetro prodotto è il vetro E, noto essenzialmente per applicazioni elettriche; la composizione è data in Tabella

14 Tabella Composizione del vetro E Il vetro S è un vetro ad alta resistenza a trazione. La sua resistenza è, infatti, circa 33% più grande di quella del vetro E ed il suo modulo risulta essere circa il 20% più alto di quello del vetro E. Questo vetro viene largamente usato per applicazioni aerospaziali dove sono richiesti alti rapporti resistenza su peso e buone caratteristiche a temperature elevate insieme ad un alto limite di fatica, tutte qualità, queste, presenti nel vetro di tipo S. La composizione di questo vetro è: 65% di SiO2, 25% di Al2O3 e 10% di MgO. Un ultimo tipo è il vetro D particolarmente adatto per applicazioni elettroniche i virtù della sua più bassa costante dielettrica e la più bassa densità, sebbene le sue proprietà meccaniche siano inferiori a quelle dei tipi E e S. Le forme più comuni in cui si possono trovare i filamenti di vetro sono i rovings ed i yarns. Il Roving è praticamente un gruppo di strand paralleli di vetro uniti in un gomitolo o avvolti su un tubo cilindrico. I Rovings sono usati per prodotti a filamento avvolto come gli involucri motore di razzi e serbatoi. Altra forma in cui si può trovare il vetro è lo Yarn. Esso consiste in un insieme di fibre o strand (fascio di fibre non ritorte). Il più semplice yarn è un unico strand di fibre di vetro, chiamato comunemente single yarn. Yarns più pesanti sono formati da più strands torti ed uniti a trefolo. Vi sono yarns torti ad S e yarns torti a Z. L'operazione di costruzione del trefolo permette di evitare la formazione di attorcigliamento degli yarns poiché singoli yarns a S vengono uniti con yarns a Z per formare uno yarn bilanciato. Le operazioni di costruzioni di yarns e di trefoli variano la resistenza, il diametro, e la flessibilità degli yarns e sono tappe importanti nella produzione e diversificazione di una varietà notevole di prodotti. Altre forme in cui si può trovare il vetro sono: tessuti di rovings ovvero tessuti a maglie larghe che presentano ovviamente basse caratteristiche meccaniche; paglie e lane realizzate tramite disposizione casuale di trefoli continui o discontinui; tessuti con intrecci diversi a seconda delle necessità di flessibilità e consistenza richieste; altri tessuti realizzati sovrapponendo e unendo insieme due strati di fibre u- nidirezionali con disposizione a 0 e 90 ( cross ply) oppure a ±45 (bias ply); nastri realizzati secondo le operazioni di tessitura. 14

15 LE FIBRE DI BORO La fibra di boro è il risultato di un programma di ricerca, il cui obiettivo iniziale era quello di esaminare tutto il campo di elementi che avessero le caratteristiche per la creazione di un rinforzo effettivo, in base a criteri di alto punto di fusione e bassa densità. Questo processo è costoso, sia per il prezzo del filo di Tungsteno che per lo scarso rendimento della deposizione. Si è quindi pensato di usare come substrato il meno costoso filo di carbonio; durante la deposizione, però, il boro subisce un notevole allungamento che porta a rottura il filamento di carbonio. Per ovviare a questo inconveniente si provvede a ricoprire il filo di carbonio con un sottile strato di grafite pirolitica in grado di posticipare la rottura e di proteggere dai danneggiamenti la ricopertura di boro. LE FIBRE DI GRAFITE Per lungo tempo le fibre più usate in applicazioni di compositi strutturali sono state quelle di vetro. Sebbene abbiano buone caratteristiche di resistenza e bassa densità, presentano un modulo di elasticità relativamente basso. Per questo motivo, circa 25 anni fa, si i- niziò a sperimentare e convertire compositi organici in fibre e tessuti di carbonio e grafite. Le elevate proprietà meccaniche delle fibre di carbonio derivano dalla particolare struttura cristallina della grafite. Quanto più si riesce ad ottenere una valida struttura cristallina, tanto più si ottiene un materiale dalle caratteristiche notevoli. Un cristallo di grafite, Figura 1.9, ha una struttura composta da strati sovrapposti di piani costituiti da atomi di carbonio. I legami fra gli stessi atomi dello stesso piano sono forti (legami covalenti) mentre quelli fra atomi di piani differenti sono relativamente deboli (legami Van der Waals): è evidente come i cristalli siano strutture fortemente anisotrope e sarà compito del processo di fabbricazione disporre la struttura cristallina nella direzione voluta. Naturalmente ciò non è facile e praticamente non si riesce mai ad ottenere cristalli perfetti e precisione di o- rientamento per cui le caratteristiche meccaniche risultanti saranno più basse di quelle teoriche. Per la produzione sia delle fibre di carbonio che di grafite si parte da precursori e la scelta dell'uno o dell'altro dipende dal costo di produzione, dalla complessità del processo, dalla rapidità di lavorazione e così via. Figura Rappresentazione di un cristallo di grafite La tecnica di base è la pirolisi di materiali organici. La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto mediante l applicazione di calo- 15

16 re, a temperature comprese tra 400 e 800 C, in completa assenza di un agente ossidante, oppure con una ridottissima quantità di ossigeno. I prodotti della pirolisi sono sia gassosi, sia liquidi, sia solidi, in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi (pirolisi veloce, lenta, o convenzionale) e dai parametri di reazione. Attualmente poliacrilonitrile (PAN), rayon e bitume sono le materie prime più impiegate. La Figura 1.10 mostra, a titolo di esempio, come per tre differenti tipi di fibre di carbonio sia possibile evidenziare l andamento tendenziale della resistenza delle fibre di carbonio al variare del loro diametro: Figura Resistenza della fibra di carbonio al variare del diametro Il poliacrilonitrile (PAN) Il processo di conversione consta di cinque passi: trafilatura del precursore e riduzione in fibre; stiramento del precursore; stabilizzazione a 220 C in aria, sottoponendo contemporaneamente le fibre a trazione; carbonizzazione a 1500 C in atmosfera inerte; grafitizzazione a 3000 C; Il poliacrilonitrile è un polimero lineare che possiede gruppi di carbonioazoto(nitrile), Figura 1.11, la cui polarità influenza notevolmente le proprietà fisiche e previene la decomposizione durante il riscaldamento ad alte temperature. 16

17 Figura Struttura del poliacrilonitrile Le fibre vengono realizzate con un procedimento di trafilatura da una soluzione di polimero contenente un opportuno solvente. Dopo la fase di coagulazione le fibre vengono lavate, stirate ed asciugate. Lo stiramento è necessario in quanto, per causare il successivo allineamento dei cristalli, è indispensabile un pre-orientamento. La stabilizzazione viene effettuata allo scopo di limitare i fenomeni di rilassamento e di scissione delle catene molecolari. Dopo questa fase si ottiene la formazione di una catena polimerica, Figura 1.12, composta da cicli ripetitivi in cui è presente un legame carbonio-carbonio molto forte. Con la carbonizzazione le fibre polimeriche stabilizzate sono trasformate in fibre di carbonio: durante tale processo si verifica l eliminazione d'acqua, azoto e acido cianidrico con la formazione di una struttura di atomi di carbonio disposti ad anello, somigliante alla struttura della grafite. Il processo di carbonizzazione viene eseguito in atmosfera inerte e ad una temperatura tra i 1000 C e 1500 C. La grafitizzazione viene condotta sempre in atmosfera inerte ma ad una temperatura più elevata (oltre i 2000 C); si procede con il riscaldamento sino ad ottenere le proprietà richieste. Nelle varie fasi del processo viene sempre applicata una trazione sulle fibre allo scopo di ottenere caratteristiche migliori, caratteristiche che vengono essenzialmente fornite dalla diversa orientazione dei cristalli di grafite. Figura Struttura polimerica con legami carbonio-carbonio Il Rayon Il rayon è un materiale cellulosico prodotto tramite filatura. La sua struttura contiene molti atomi di ossigeno e di idrogeno. 17

18 Le fasi per la conversione delle fibre di rayon in carbonio sono: 1) riduzione in fibre; 2) stabilizzazione; 3) carbonizzazione; 4) grafitizzazione sotto stiramento. La stabilizzazione avviene a bassa temperatura (400 C) e converte la cellulosa in un materiale carbonioso. La carbonizzazione viene effettuata a temperature fra i 1000 e 1500 C in atmosfera inerte. La grafitizzazione richiede temperature superiori a 2000 C, tempi contenuti e lo stiramento fino al 100% del filamento causando così un notevole o- rientamento dei cristalli e conseguente miglioramento delle proprietà meccaniche. Il Bitume Vi sono due processi per la produzione di fibre di carbonio usando come materia prima il bitume. Il primo metodo consiste in: fusione del bitume e riduzione in fibre; termoindurimento a temperatura relativamente bassa, con un lungo intervallo di tempo; carbonizzazione in atmosfera inerte; grafitizzazione, sotto tensione, a temperature molto alte. Vi è un secondo metodo che richiede più basse temperature e costi contenuti; il metodo fa uso di bitume allo stato mesofase e consiste in : trattamento a 400 C in atmosfera inerte per portare il bitume allo stato mesofase; riduzione in fibre; termoindurimento per prevenire il comportamento termoplastico del bitume allo stato mesofase (300 C in 2,5 ore); carbonizzazione; grafitizzazione (3000 C ). LE FIBRE ARAMIDICHE La fibra aramidica è costituita da catene poliammidiche sintetiche, nelle quali il 25% dei legami ammidici è attaccato a due cicli aromatici. Il polimero di base si realizza partendo da una soluzione amminica mantenuto tra 5 e 10 C con aggiunta di acido cloridrico seguito da un rinvenimento delle catene polimeriche. Con l aggiunta di acido solforico si procede, in fine, alla trafilatura attraverso una filiera tenuta ad alta temperatura. I fili appena trafilati vengono investiti da getti di aria a cui fa seguito un bagno raffreddante in liquido coagulante tra 0 e 4 C. 18

19 La fibra aramidica, grazie alla combinazione di ottimo peso specifico e di alta resistenza a trazione, ha la più alta resistenza specifica di tutte le altre fibre e dei materiali da costruzione omogenei. Inoltre, è superiore ad altre fibre sia dal punto di vista della resistenza all'impatto, quanto per quello che riguarda la propagazione delle cricche, nonché per lo smorzamento delle vibrazioni. Le prime fibre aramidiche sono state prodotte negli anni 60 e sono quelle commercializzate dalla ditta Du Pont sotto il nome di Nomex, successivamente nel 1972, sempre la stessa ditta, ha commercializzato quella che diventerà la fibra aramidica più diffusa e adottata nei più svariati contesti applicativi. Il Nomex È disponibile in diverse forme: fiocco, filati, strutture laminari e cartoni. In tutte queste varianti presenta una resistenza stupefacente al calore e alla fiamma ed eccellenti caratteristiche di isolamento elettrico. Questa combinazione di proprietà la rende adatta a una vasta gamma di applicazioni. Sotto forma di fibra (fiocco e filati) viene impiegata principalmente per indumenti protettivi e come feltro o tessuto per la filtrazione di gas caldi; sotto forma di carta o cartone viene utilizzata per isolamento elettrico e come struttura a nido d'ape a basso peso per materiali compositi. In seguito, sono state sviluppate nuove generazioni di fibre con marchio NOMEX, caratterizzate, inoltre, da proprietà antistatiche e da una maggiore resistenza all'usura e alla lacerazione: NOMEX Delta A ( antistatico ) riduce il rischio di esplosioni dovute a scariche di elettricità statica in ambienti particolari quali l'industria chimica e petrolifera. NOMEX Delta T ( prestazioni termiche ) e NOMEX Delta C ( comfort ), forniscono una maggiore protezione personale a categorie particolari, quali i vigili del fuoco, esposti a fiamme libere e ad altre fonti di intenso calore. NOMEX Delta K (materiale composito contenente anche fibra KEVLAR), un nuovo mezzo filtrante per l'eliminazione di agenti atmosferici inquinanti; NOMEX Delta FF ( fibre fini ), concepito per azzerare le emissioni durante la filtrazione di gas caldi. Esempi di applicazioni: I treni ad alta velocità ICE in Germania e TGV in Francia utilizzano motori elettrici e trasformatori isolati con strutture piane non tessute in NOMEX, che conferiscono caratteristiche di grande affidabilità e maggiore leggerezza. Trasformatori isolati con NOMEX forniscono maggiore sicurezza e migliore resistenza alla fiamma in edifici importanti quali la National Westminster Bank Tower (Londra) e il Grande Arche de la Défense (Parigi). I piloti automobilistici indossano tute in NOMEX III (materiale composito contenente KEVLAR) per le sue proprietà ignifughe. Sui circuiti di Formula 1, Niki Lauda e 19

20 Gerhard Berger, tra i piloti più famosi, sono sopravvissuti agli incendi delle loro monoposto grazie alle tute in NOMEX. Indumenti protettivi in NOMEX Delta A con caratteristiche antistatiche di resistenza alla fiamma, sono stati adottati, ad esempio, dalla Chevron UK Ltd per gli operatori delle piattaforme petrolifere in mare aperto, in seguito a severi test di collaudo effettuati su una piattaforma di perforazione nel Mare del Nord. Il Kevlar Dopo la scoperta del Nylon, la fibra inventata da Du Pont e successivamente commercializzata, sempre da Du Pont, con il marchio KEVLAR, Figura 1.13, ha rappresentato probabilmente lo sviluppo più importante a livello mondiale nel campo delle fibre sintetiche. La sua combinazione unica di caratteristiche (resistenza e rigidità sorprendenti, resistenza all'urto, elevato assorbimento delle vibrazioni e resistenza al calore e alla fiamma) ha permesso a progettisti e ingegneri di trovare soluzioni a problemi fino ad allora considerati oltre gli ambiti delle fibre organiche. Scoperta nel 1965 e disponibile sul mercato dal 1972, la fibra con marchio KE- VLAR viene commercializzata in forma di filamento, fiocco e polpa. Numerose industrie e prodotti hanno tratto beneficio dalla sua interessantissima combinazione di proprietà. Viene utilizzata, ad esempio, per rivestire e rinforzare i pneumatici di automobili e di altri veicoli e sostituisce l amianto presente nella frizione, nel materiale di rivestimento dei freni e nelle guarnizioni. I filati intrecciati in fibra KEVLAR nei tubi del sottocofano, resistono alle temperature e alle pressioni elevate delle moderne autovetture a basso consumo, aumentandone l'affidabilità e la durata. Figura Struttura chimica del Kevlar È utilizzata in materiali a struttura composita per aerei, imbarcazioni, automobili ad alte prestazioni ed equipaggiamento sportivo. È inoltre impiegata in applicazioni di protezione balistica per forze di pubblica sicurezza, forze armate, diplomatici e altre figure pubbliche ad alto rischio. In aria, la fibra KEVLAR è cinque volte più resistente dell'acciaio, a parità di peso; in acqua, il rapporto di convenienza sale a oltre venti volte. Per questa ragione viene spes- 20

21 so impiegata per il rinforzo di cavi di profondità e per collegamenti ombelicali sottomarini utilizzati per esplorazioni petrolifere offshore e impianti di produzione. Quello delle telecomunicazioni è un altro settore a rapido sviluppo in cui la fibra con marchio KEVLAR è utilizzata come componente di grande affidabilità e robustezza per cavi a fibre ottiche. Le fibre di DuPont sono inoltre considerate all'avanguardia nel campo delle applicazioni per protezioni balistiche, ad esempio per giubbotti anti-proiettile che impediscono il passaggio di pallottole, schegge metalliche e oggetti taglienti. Grazie alle caratteristiche di leggerezza e somiglianza con il normale tessuto, la fibra KEVLAR è impiegata per indumenti protettivi confortevoli e occultabili sotto gli abiti. Le nuove applicazioni comprendono KEVLAR EE e KEVLAR ER in cui sono state migliorate ulteriormente caratteristiche come, per esempio, la colorazione, la tenacità, il modulo o l'allungamento aggiuntivo. Esempi di applicazioni: Case automobilistiche come Audi, BMW e Daimler Benz hanno scelto prodotti rinforzati con fibra KEVLAR per componenti del motore, come i manicotti, ottenendo superiori prestazioni di resistenza al calore e durabilità. La fibra KEVLAR è il materiale preferito per sostituire l'amianto nei rivestimenti di freni e frizioni. Il processo di sostituzione è stato praticamente completato in tutte le automobili provenienti da linee produttive europee. In ambito sportivo, la fibra con marchio KEVLAR ha contribuito a numerosi successi, inclusi quelli ai campionati mondiali di vela, sci e tennis. I piloti di Formula 1 e di molti rally utilizzano autovetture con telai e pneumatici rinforzati in fibra KEVLAR. Oltre 2000 poliziotti in tutto il mondo si sono salvati dalla morte o da gravi ferite provocate da armi da fuoco o altre armi grazie ai giubbotti anti-proiettile in KEVLAR. Le protezioni di tipo avanzato sono realizzate in fibra KEVLAR HT, dotata di una resistenza superiore del 15-20% rispetto alla prima generazione KEVLAR 29, e KE- VLAR Comfort con caratteristiche di maggiore leggerezza. Inoltre, utilizzano modernissime soluzioni tecnologiche, come quella per la riduzione dei traumi CONFRONTO FRA LE DIFFERENTI FIBRE ANALIZZATE La Figura 1.14 confronta i tipici grafici sforzo-deformazione per le fibre di carbonio, aramidiche e di vetro. Le fibre di carbonio forniscono la migliore combinazione tra e- levata resistenza meccanica, elevata rigidezza (elevato modulo) e bassa densità, ma presentano una bassa capacità di allungamento. La fibra aramidica Kevlar 49 ha una buona combinazione tra elevata resistenza a trazione, modulo elevato (ma minore di quello delle fibre di carbonio), bassa densità ed elevato allungamento (resistenza all urto). Le fibre di vetro, che presentano valori di densità più elevati, hanno resistenza a trazione e modulo elastico più bassi delle altre fibre. In pratica, però, le fibre di vetro sono molto più economiche delle altre per cui risulta anche le più impiegate. 21

22 Figura Curva sforzo-deformazione dei vari tipi di fibre La Figura 1.15 confronta la resistenza a trazione sulla densità con il modulo elastico (rigidezza) sulla densità di diversi tipi di fibre di rinforzo. Questo confronto mostra gli eccezionali rapporti resistenza meccanica-peso e rigidezza-peso delle fibre di carbonio e a- ramidiche (Kevlar 49) rispetto alle stesse proprietà dell acciaio e dell alluminio. Grazie a queste proprietà favorevoli, i compositi rinforzati con fibre di carbonio e con fibre aramidiche hanno sostituito i metalli in molte applicazioni aerospaziali. Figura Resistenza a trazione specifica in funzione del modulo a trazione specifico 22

23 - II - LA MECCANICA DEI MATERIALI COMPOSITI I materiali compositi, come già detto, hanno caratteristiche peculiari che li distinguono in modo netto dai tradizionali materiali per l ingegneria, pertanto necessitano nuovi modelli analitici di descrizione del comportamento strutturale e appropriate procedure di analisi sperimentale. La maggior parte dei materiali tradizionali possono essere descritti come materiali omogenei (con proprietà uniformi, non funzione della posizione), ed isotropi (con proprietà costanti in ogni direzione e in ogni punto, non funzione dell orientazione). I materiali compositi sono, invece, spesso eterogenei ed anisotropi, ed il loro studio può essere intrapreso attraverso due punti di vista: la micromeccanica e la macromeccanica. La micromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito che si interessa di determinare i moduli elastici partendo da quelli dei singoli costituenti. Oggetto complementare dell analisi micromeccanica è la valutazione delle capacità di resistenza in termini di sollecitazione di rottura. Purtroppo l analisi micromeccanica ha delle limitazioni; infatti, si fonda sull ipotesi, non sempre soddisfatta, di considerare perfettamente unite tra loro la fibra e la matrice. Una unione imperfetta comporta che al materiale competano delle proprietà degradate rispetto a quelle teorizzate dall analisi micromeccanica. Questo tipo di analisi può essere, quindi, applicata alla progettazione del materiale sotto forma di una sola lamina isolata (Figura 2.16), ovvero di un singolo strato o elemento di materiale composito in cui tutte le fibre siano tra loro parallele. Figura Schema semplificato di una lamina L uso di semplici lamine con rinforzo unidirezionale risulta, però, insoddisfacente nella maggior parte delle applicazioni ingegneristiche a causa della bassissima resistenza e rigidezza in direzione trasversale. Questo inconveniente è superato ricorrendo ai laminati compositi (Figura 17) costituiti dalla unione di n lamine con rinforzo unidirezionale orientate in modo da soddisfare le varie esigenze di progetto quali, in particolare, resistenza e rigidezza. 23

24 Figura Schema semplificato di un laminato La macromeccanica è proprio lo studio del comportamento del laminato, valutato come composizione del comportamento macroscopico delle singole lamine costituenti. Sotto alcune ipotesi semplificative, tramite la teoria della laminazione possiamo, partendo dai valori delle costanti elastiche di ogni singola lamina, calcolare le proprietà meccaniche dell intero laminato costituito da lamine comunque disposte. 2.1 LA MICROMECCANICA Una lamina composita fibra-matrice può essere schematizzata come un insieme costituito da fibre a sezione circolare parallele ed equispaziate, disposte all interno di una matrice (Figura 2.18). Figura Schema semplificato di lamina con rinforzo unidirezionale Evidentemente questa è una semplificazione del caso reale rappresentato da una lamina in cui le fibre, pressoché parallele, sono distribuite in modo casuale e si toccano in alcuni punti (Figura 2.19). 24

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