"La fatica di integrarsi" Il Centro di Ascolto e il fenomeno migratorio

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1 ATTI DEL CORSO DI FORMAZIONE PER OPERATORI DEI CENTRI DI ASCOLTO CARITAS "La fatica di integrarsi" Il Centro di Ascolto e il fenomeno migratorio Ottobre giugno 2002 A cura della Segreteria Centri di Ascolto 1

2 Primo incontro 20 ottobre 2001 La fatica di integrarsi Intervento di Maurizio Ambrosini Immigrazione, lavoro e solidarietà. Riflessioni sul caso italiano 1. Lo scenario della riflessione Secondo Michael Walzer, filosofo della politica americano, nelle società occidentali è oggi possibile distinguere due categorie di persone: cittadini a pieno titolo e altri che non sono riconosciuti come tali pur lavorando più o meno regolarmente (Walzer, 1987). Egli ricorda come nell antica Atene convivessero due tipi di residenti: gli ateniesi, cittadini a pieno titolo, e i meteci, stranieri tollerati in quanto utili ma sprovvisti di cittadinanza. Al governo della città erano ammessi solo i cittadini e non gli stranieri. È questa probabilmente la forma di tirannia più comune nella storia dell umanità: la negazione dell appartenenza, che diviene il primo anello di una lunga catena di abusi. La questione dei lavoratori migranti richiama allora non delle categorie specifiche di persone da tutelare e proteggere, ma tocca un punto fondamentale di una società che si mostra incapace di invertire quella tendenza perniciosa che colloca nel cuore della democrazia la divaricazione tra cittadini a pieno titolo e non cittadini, forse tollerati in quanto utili, ma sempre relativamente e in maniera condizionata. Nello stesso tempo, credo abbia ragione Bastenier (1991) nel sottolineare come il tema dell immigrazione sia uno di quelli più suscettibili di creare stereotipi, perché mette in moto tutta una serie di fantasmi, di paure, di vissuti problematici da parte delle popolazioni residenti che, a torto o a ragione, si sentono in qualche modo minacciate o comunque indotte ad identificare nell immigrato il capro espiatorio delle tensioni sociali. 2. I processi migratori Generalmente per giustificare un atteggiamento di accoglienza nei confronti degli immigrati si suole sottolineare le ragioni che portano le persone a uscire dal loro paese e a cercare rifugio in altri. La miseria, senza troppe specificazioni, viene assunta come la spiegazione auto-evidente dei processi migratori. Come si dice tecnicamente, sarebbero largamente prevalenti i fattori di spinta. Certamente ci sono migranti di tanti tipi: ci sono persone che arrivano perché spinte dalla guerra, o dalle persecuzioni; altre sono sollecitate dalle distanze economiche; altre volte sono le condizioni istituzionali e anche strutturali che orientano i flussi migratori verso una nazione o un altra. (cfr. tabella n.1) 2

3 Tab.1 Uno schema per l'analisi dei processi migratori Livello macro (relazioni internazionali) Livello intermedio (network migratori, reti e agenzie autoctone) Livello micro (individui e famiglie) Dimensioni formali Dimensioni informali Leggi sull'immigrazione: sistemi delle quote, disposizioni per l'accoglienza di rifugiati, ecc. Accordi formali tra Stati Disposizioni relative all accesso alla cittadinanza Diritti e politiche sociali per gli immigrati Norme sui ricongiungimenti familiari Forme di sponsorship Formazione di minoranze organizzate e dotate di istituzioni riconosciute Servizi formali per gli immigrati Attivazione di procedure legali per l'emigrazione Rimesse inviate mediante canali istituzionali Permeabilità di fatto di alcune frontiere Domanda non esplicita di lavoro immigrato Differenziali di reddito tra paesi d origine e di approdo Influenza della comunicazione di massa Formazione di reti informali di mutuo aiuto Specializzazioni etniche Catene migratorie Istituzioni facilitatrici Reti di sostegno autoctone Decisioni (individuali e familiari) di emigrazione Rimesse inviate attraverso canali informali Attivazione di meccanismi di richiamo Un altro elemento è il fatto che esistano dei settori economici che, in un modo o nell altro, attirano e danno lavoro agli stranieri. In Italia la vasta economia sommersa e il dinamico mondo delle piccole imprese si sono rivelati terreno fertile per attirare regolarmente o irregolarmente mano d opera straniera. Ma tutto questo non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Bisogna constatare, infatti, che gli immigrati non arrivano in genere dai paesi più poveri, dalle zone del mondo dove maggiore è la morsa della fame e della miseria, ma dai paesi in cui si comincia a scorgere la possibilità di una vita migliore, dove si comincia ad aprire lo sguardo e a comprendere che la sopravvivenza non è l unico destino possibile; e dal momento che in patria le condizioni non offrono un lavoro adeguato, benessere, speranza di futuro, scatta la molla per partire. Pensiamo al ruolo esercitato dalla televisione e dai mass-media in questo ambito. C è un secondo aspetto che dobbiamo valutare attentamente. Gli immigrati non arrivano casualmente, ma nella maggior parte dei casi scelgono determinate destinazioni perché qualcuno li ha preceduti, soprattutto quando i flussi migratori cominciano a consolidarsi: hanno degli avamposti, dei punti di riferimento. È un fenomeno d altronde sperimentato anche da noi italiani. Le migrazioni si compiono attraverso legami e reti di persone, per cui i primi arrivati chiamano parenti, amici e compaesani. Si formano dei ponti tra terra di origine e terre di destinazione che spiegano perché, a parità di condizioni socioeconomiche, alcuni partano e altri no, e perché approdino in certi paesi e non in altri. 3

4 Da ultimo non bisogna trascurare l influenza delle motivazioni individuali. Tra l'altro, occorre ricordare che le migrazioni attuali sono anche migrazioni di personale qualificato. I grandi paesi ancora aperti all immigrazione, Stati Uniti, Canada, Australia, oggi, reclutano personale qualificato e istruito, lavoratori autonomi, imprenditori, permettendo ai loro talenti di esprimersi meglio che in patria. Alla luce di queste diverse valenze, il fenomeno dell immigrazione non può essere connotato solo in termini di miseria. Esiste certamente una spinta derivata dalla povertà, dalle diversità di reddito tra le aree del mondo, ma occorre considerare anche le sollecitazioni derivanti dal funzionamento dei sistemi economici sviluppati, dalle reti etniche, dal rapporto che si intesse fra migranti e non migranti, senza dimenticare infine la forza delle motivazioni individuali, dell'istruzione e della mobilità professionale. Non si può, quindi, leggere l immigrazione come un comportamento casuale e disperato degli immigrati. L immigrazione non è solo un problema degli immigrati, ma è profondamente legata alle istituzioni, ai comportamenti e agli atteggiamenti delle società ospitanti. In altri termini ogni società plasma, definisce e costruisce il suo tipo di immigrazione. 3. Modelli di migrazione Sul piano internazionale è possibile identificare diversi modelli di migrazione, in base a come essa è stata recepita, vissuta, e costruita nei paesi riceventi (cfr. tabella n. 2) Il primo modello è quello dell immigrazione temporanea, illustrata dal modello tedesco fino alla riforma del 1999, per cui l immigrazione, è stata vista come un fatto temporaneo, di lavoratori ospiti che venivano chiamati in quanto necessari per rispondere a certe esigenze del mercato del lavoro, ma che non dovevano mettere le radici: ci si attendeva che tornassero in patria dopo un certo periodo. Un modello di questo genere risponde ad una concezione strumentale del lavoro, che utilizza delle persone in modo temporaneo per rispondere a determinate esigenze economiche. Il secondo modello, detto assimilativo, può essere esemplificato dal caso francese. Qui la spinta è verso una rapida assimilazione anche culturale dei nuovi arrivati. È un modello che punta all integrazione degli individui, sprovvisti di radici. La convinzione della superiorità del proprio modello civile e nazionale ha informato l ottimismo francese sulla capacità di assimilare gli stranieri in quanto individui, mentre la formazione di comunità minoritarie è stata lungamente scoraggiata, in quanto foriera di appartenenze parziali, tendenzialmente contrapposte all'identità nazionale. Il terzo modello è quello della società multiculturale. E più recente ed è forse il meno attuato storicamente, ma è certamente influente dal punto di vista culturale negli Stati Uniti, in Olanda, in Svezia e in parte in Inghilterra. Questo modello è ravvisabile nelle società in cui esiste un idea più pluralistica di tolleranza dei confronti degli immigrati e delle loro culture. Si cerca di dotarsi di un organizzazione sociale di tipo multietnico, valorizzando e sostenendo la formazione di comunità e di associazioni di immigrati. Sono queste i soggetti deputati all'erogazione di vari interventi sociali, che raggiungono gli individui per il tramite della comunità di appartenenza. Il quarto modello, che definisco implicito, si identifica con il caso italiano e in parte almeno con gli altri paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo, che soltanto in anni recenti sono passati da società di emigrazione a società di immigrazione. Buona parte dei nostri problemi derivano dal fatto che l immigrazione non è stata esplicitamente costruita, voluta, accettata e riconosciuta, ma è stata utilizzata economicamente e nel mercato del lavoro. Si finisce per regolarizzare chi, in un modo o nell altro, è riuscito ad entrare, anziché prevedere un modello di regolazione e di promozione più disciplinata ed esplicita di 4

5 migrazione. Certamente non è una politica da paese civile quella di tenere le frontiere formalmente chiuse, utilizzare largamente il lavoro irregolare degli immigrati, e poi regolarizzare quelli che in qualche modo sono riusciti ad eludere i controlli, spesso con modalità illegali, utilizzando vari stratagemmi che sono fra l altro sempre più spesso gestiti da organizzazioni criminali. Tab.2. Modelli di integrazione degli immigrati Concezione dell'immigrazion e Politiche lavoro allo di del Politiche sociali Temporaneo assimilativo Multiculturale Implicito forza lavoro utile Individui minoranze Ufficialmente per colmare destinati a discriminate da non necessaria; esigenze diventare tutelare in realtà temporanee cittadini della utilizzata sia in società forme regolari, ospitante sia in forme sommerse Difficile e Relativamente relativamente Difficile e incerto parziale facile indifferente Isolamento Accesso status cittadino Rapporto autoctoniimmigrati Reclutamento attivo; legame permesso di soggiornopermesso di lavoro; parità salariale Garanzia dell'alloggio per i lavoratori; difficoltà di ricongiungiment o familiare e naturalizzazione Discriminazione/ indifferenza Selezione dei flussi: popolazioni "assimilabili", lavoratori qualificati Non specifiche; tendenti a facilitare l'inserimento individuale ed eventualmente la naturalizzazione ; dispersione territoriale Tolleranza Tendenziale separazione azioni positive: sistema delle quote; incoraggiamento dell'imprenditori a tendenti a rafforzare le comunità etniche, anche come soggetti erogatori di servizi ai membri Ambivalenza tra accoglienza umanitaria e insofferenza Parità salariale nel lavoro regolare; diffusa tolleranza verso il lavoro irregolare; attività promozionali frammentarie, a livello locale Poco sviluppate, a carattere volontaristico, in gran parte devolute ad enti locali e terzo settore In questa configurazione del modello migratorio italiano, incide la diversa epoca storica in cui sono avvenuti gli spostamenti migratori e le mutate caratteristiche del contesto economico di accoglienza. La tab.3 sintetizza queste differenze, opponendo le migrazioni della fase aurea dello sviluppo industriale post-bellico alle migrazioni che si inseriscono nell economia instabile e frammentata del periodo contemporaneo, quando l Italia ha cominciato a diventare un punto d approdo per gli emigranti del Sud e dell Est del mondo. 5

6 Tab.3. Le migrazioni in Europa: confronto tra le migrazioni della fase dello sviluppo industriale classico ( ) e le migrazioni contemporanee (economia postfordista ) Paesi di provenienza Aree di destinazione Caratteristiche demografiche dei migranti Settori di inserimento RAPPORTO CON IL SISTEMA ECONOMICO Migrazioni delle società industriali classiche Europa meridionale, excolonie Migrazioni delle società post-fordiste Europa orientale, extra- Europa Europa centro-settentrionale Allargate, con l emergere dell Europa meridionale Inizialmente maschi, giovani, Giovani, con rilevanti quote a bassa istruzione. Donne al di popolazione istruita. seguito Anche donne primo-migranti Prevalentemente, attività centrali del modello di sviluppo: industrie, costruzioni, miniere Richiesta esplicita, accordi tra Stati per la fornitura di manodopera Nicchie secondarie, con un ruolo eminente delle piccole imprese, del basso terziario, dell economia informale Assenza di domanda esplicita, ma ampio utilizzo formale e informale Cittadinanza sociale Diritti connessi al lavoro regolare in ambiti sindacalmente organizzati Accesso problematico ai diritti sociali: diffusione di lavoro irregolare, assenza di politiche esplicite di reclutamento In questo modello italiano, possiamo poi distinguere, aiutati da un contributo di Salvatore Palidda (1996), tre contesti diversi. Il primo è quello delle grandi città, che in sociologia si definiscono post-fordiste, ossia soprattutto le metropoli del Nord - Milano, Torino, Genova - caratterizzate dal declino dell industria tradizionale, da una frammentazione del tessuto produttivo e da problemi di integrazione della società. In questo contesto gli immigrati si inseriscono, come avviene anche a New York e a Londra, in modo particolare nei servizi, con alte percentuali di irregolarità, spesso con grandi problemi dal punto di vista abitativo. Il secondo tipo di contesto è quello delle città della crescita diffusa e del buon governo locale. Sono le piccole e medie città del Centro Nord, dove è più riscontrabile l inserimento regolare degli immigrati nella vita economica, la partecipazione al mondo della piccola e media impresa e anche una loro discreta integrazione sociale; anche se in molti casi (penso a Brescia dove ho insegnato per dieci anni) la cittadinanza sociale resta inadeguata rispetto a quella che potremmo definire come "cittadinanza economica". Il terzo contesto è quello delle grandi città del Centro-Sud, con radicate economie sommerse, dove gli immigrati sono, paradossalmente, meno inseriti regolarmente nel mercato del lavoro, ma più tollerati. Stanno male come altre fasce di lavoratori e di cittadini, per cui la loro possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro regolare è bassa, ma anche la loro criminalizzazione è abbastanza contenuta. 4. Gli immigrati nei mercati del lavoro italiani È evidente che in Italia esistono diversi mercati del lavoro; due sono i principali sui quali disponiamo di dati. C è il mercato del lavoro industriale che è molto concentrato in un'area 6

7 abbastanza ristretta del nostro paese, anche se negli ultimi due anni si registrano segni di allargamento. Il grosso degli immigrati inseriti regolarmente nelle imprese sta al Nord, (80%) e oltre il 70% in una area che è formata da Triveneto, Lombardia e Emilia. Si registrano negli ultimi anni crescite percentuali molto elevate anche in Toscana, nelle Marche e quindi verso il Centro del paese. L altro grande mercato del lavoro regolare è quello del lavoro domestico, che ha una caratteristica territoriale molto diversa, segnata due aspetti: è un mercato molto metropolitano, per cui le due province di Milano e Roma totalizzano oggi più del 40% del lavoro domestico regolare; in secondo luogo, è un mercato molto sparpagliato nel paese, con una prevalenza del Centro Sud. Occorre poi ricordare due mercati minori, con caratteristiche di maggiore stagionalità e precarietà del inserimento: quello del Sud, imperniato sul lavoro agricolo, che mantiene nonostante alcuni miglioramenti verso una maggiore continuità e specializzazione delle attività- diffusi caratteri di irregolarità e sotto-salario, e quello del lavoro temporaneeo nel Centro-Nord, che spazia dall agricoltura (caso Trentino) all industria turistica (ancora Trentino, ma anche zone costiere venete e romagnole), dove il lavoro è stagionale ma con maggiori opportunità di fruire di condizioni di lavoro regolari. La tab.4 sintetizza le differenze riscontrabili. Tab.4.Modelli di impiego del lavoro immigrato in Italia Modello Modello delle Modello delle dell industria economie attività stagionali diffusa metropolitane (Centro-Nord) Aree Terza Italia, Grandi città Aree turistiche, in territoriali Lombardia (specie Roma e parte agricoltura orientale Milano) Datori di Piccole e medie Basso terziario, Ristoranti, alberghi, lavoro imprese industriali edilizia, servizi alle imprese agricole, persone, famiglie edilizia Attività Lavoro operaio Collaboratrici Manodopera per le svolte stabile domestiche; stagioni turistiche, addetti ai servizi campagne di raccolta Immigrati coinvolti Incidenza del lavoro irregolare Punti di attenzione Maschi, a bassa qualificazione Scarsa nell industria; più elevata in edilizia Richiesta manodopera qualificata di Anche una quota rilevante di donne Significativa (lavoro domestico, assistenza, edilizia ) Difficoltà di miglioramento, specie per le donne; emergere di attività indipendenti Mista, con prevalenza maschile, spesso stagionale Modesta, anche in agricoltura; abusivismo nel commercio ambulante Consolidamento dello status occupazionale; possibile sviluppo di attività indipendenti Modello delle attività stagionali (Mezzogiorno) Aree agricole, in parte turistiche Imprese agricole; (ristoranti, alberghi) Campagne di raccolta; (manodopera per le stagioni turistiche) In prevalenza maschi, giornalieri, stagionali Molto elevata nell agricoltura mediterranea Emersione del lavoro sommerso, accesso ai diritti sociali 7

8 Consideriamo ora alcuni dati statistici, basati sulle iscrizioni all INPS. tab.5. Immigrati dipendenti da imprese: dati complessivi, Regioni % 1999 su totale Italia Abruzzo ,9 Basilicata ,0 Calabria ,1 Campania ,7 Emilia ,0 Romagna Friuli-Venezia ,1 Giulia Lazio ,8 Liguria ,6 Lombardia ,7 Marche ,0 Molise ,0 Piemonte ,1 Puglia ,7 Sardegna ,1 Sicilia ,7 Toscana ,6 Trentino-Alto ,6 Adige Umbria ,6 Val d'aosta ,2 Veneto ,4 Totale ,0 Fonte: elaborazioni ISMU su dati INPS e Caritas di Roma tab.6. Collaboratori domestici immigrati registrati all Inps, anno Le maggiori province (più di colf) Province Maschi Femmine Totale Roma Milano Torino Firenze Napoli Bologna Genova Brescia Bari Verona Perugia Padova Messina Como

9 Modena Totale Italia Totale colf (It.+ imm) Fonte: per gentile concessione della Caritas di Roma: elaborazioni di dati INPS La scoperta fatta da alcuni economisti (Venturini, Villosio, 1998) è che questi dati sono notevolmente sotto dimensionati, in quanto il numero degli immigrati regolarmente inseriti viene calcolato sulla base di una ritenuta che il datore di lavoro paga per consentire il rientro in patria dell immigrato in caso di necessità. A parte il fatto che questi fondi non vengono mai utilizzati a tale scopo e finiscono nel calderone dell INPS, dal punto di vista statistico si è scoperto che molti datori di lavoro non pagano questa ritenuta e forse neppure sanno che esista. Secondo le stime di Venturini e Villosio, risulta quindi che siano almeno il doppio gli immigrati regolarmente inseriti e il dato riportato risulterebbe così nettamente sotto stimato. Un altro dato si riferisce agli avviamenti al lavoro, ossia agli ingressi nell occupazione dipendente. Anche questo dato contiene dei limiti, perché include solo parzialmente le collaboratrici domestiche e perché non distingue né le uscite, né i ri-avviamenti delle stesse persone, frequenti soprattutto nel settore agricolo. E comunque un indicatore di dinamismo del mercato del lavoro, e ci consente di scendere al livello provinciale. Tab.7. Le 20 province italiane con il maggior numero di avviamenti di lavoratori immigrati. Anno 1999 Province Agricoltura Industria Servizi Totale Modello di Occupazion e Milano T (+I) Brescia I +T Vicenza I Trento A (+T) Treviso I Bergamo T/I Modena I Verona I/A/T Bologna T/I Perugia A Venezia T Torino I+T Roma T Ragusa A Reggio E I Firenze I Cuneo A+I Padova I Arezzo I/T/A Ravenna A+T+I Totale Italia Legenda: A= agricoltura; I= Industria; T= Terziario 9

10 Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero del lavoro Approfondiamo ora più da vicino il caso milanese. Detto in sintesi, il simbolo del lavoro degli immigrati a Milano è la collaboratrice domestica, che sintetizza il fabbisogno di immigrati nel tessuto della grande città, e potremmo aggiungere in maniera crescente le figure dedite all'assistenza agli anziani, le baby sitter, gli addetti alle pulizie, una serie di attività e di lavori che sono richiesti, non solo dal sistema economico ma soprattutto dalle famiglie. Possiamo notare che qui troviamo una caratteristica strutturale delle grandi città globalizzate contemporanee, città dove, come ci raccontava Bonomi nel suo primo intervento, si concentra lavoro professionale qualificato, ma dove nello stesso tempo il lavoro ricco genera lavoro povero. In America è lavoro da piccole imprese, sono le gastronomie, lavanderie, i taxi, i ristoranti, quelle attività che producono una serie di servizi che non sono più prodotti all'interno delle famiglie, soprattutto per le fasce benestanti. In Italia, molti servizi necessari per la vita quotidiana e la buona vita delle persone sono ancora generati all'interno delle famiglie, ma sono famiglie in cui ormai entrambi i coniugi lavorano, lavorano molte ore al giorno, lavorano spesso lontano da casa e hanno carichi assistenziali in aumento, basti pensare agli anziani. E' qui che s'inserisce una notevole domanda di lavoro a cui rispondono in modo particolare gli immigrati. Dei collaboratori domestici stranieri regolari iscritti all'inps, la metà, circa , sono concentrati nelle sole provincie di Roma e di Milano; Milano ne conta , quindi 1 / 5 dei collaboratori domestici immigrati presenti in Italia. In provincia di Milano, 3 collaboratori domestici su 4 sono stranieri, quindi si tratta di una nicchia di mercato del lavoro (e non parlo degli irregolari) che è sempre più legata alla presenza straniera. Se guardiamo invece alle imprese, comunque Milano è la prima provincia d Italia, la seconda è Brescia per avviamenti di lavoratori immigrati nel '99. Le rappresentazioni che associano questo fenomeno al Nord-Est sono vere ma non del tutto, fanno torto a questo primato della Lombardia che vedete qui nel lucido; più di un lavoratore immigrato su 4 che lavora nelle imprese sta nella nostra regione. Milano ha la caratteristica di associare una cospicua domanda di lavoro industriale con una domanda di lavoro terziario, che la rende pilota anche in questo come in altri fenomeni sociali. Se noi guardiamo ora più da vicino ai lavori svolti dagli immigrati (prendo qualche dato dal monitoraggio Ismu ultimo, diretto dal prof. Blangiardo) scopriamo che è una galleria dei lavori poveri e umili della metropoli. Si può osservare per esempio per le donne (tab.8) la centralità di pochissimi lavori; delle donne che lavorano il 35,8% sono domestiche, con punte del 47% per le donne che vengono dall'asia, per effetto soprattutto dell incidenza delle filippine. Un'altra notevole componente è quella dell'assistenza agli anziani, circa il 10%; pulizie 7%; nel complesso, pochissime occupazioni concentrano grandi numeri di lavoratrici. Potremmo dire che, quale che sia il titolo d'istruzione e la storia professionale delle donne immigrate, il loro destino pressoché obbligato è quello di trovare lavoro come domestiche o assistenti agli anziani, e ben scarse sono, ancora oggi, le possibilità di miglioramento. 10

11 Per gli uomini (tab.9) il dato è un po' più diversificato ma sempre all'interno di questa galleria del lavoro più umile e povero che supporta la vita quotidiana delle nostre città. Tab.8 Tipo di lavoro svolto dalle donne straniere presenti a Milano nel 1999 e classificate per nazionalità (valori percentuali). Est Europa Nord Africa Altri Africa America Latina Asia Total e Nessuno 21,1 62,5 15,9 7,3 11,5 18, 2 Impiegata - - 1,6 3,1 1,4 1,6 amministrativa Operaia meccan. 5, ,0-0,5 Qualif. Operaia generica 5,3-4,8 3,1 1,4 2,4 Muratore 5, ,0-0,5 Comm./ristoratore - - 3,2-0,7 0,8 Altro commercio - 2,1 3,2 1,0 0,7 1,3 Ambulante ,1 2,0 1,3 Cuoca - - 1,6-3,4 1,6 Cameriera/barista - 2,1 3,2 4,2 5,4 4,0 Portinaio/posteggiat ,2 2,1-1,1 Domestica 31,6 18,8 33,3 29,2 47,3 35, 8 Pulizie/disinfestazion - 4,2 6,3 12,5 5,4 7,0 e Prostituzione 5,3-1,6 1,0-0,8 Lavori artistici/creativi 5, ,2-1,3 Professionali 10,5-1, ,8 Artigiani/Servizi ,0-0,3 Altro artigiano ,5 5,3 Baby sitting 5,3 8,3 6,3 5,2 1,4 4,3 Assistenza agli 5,3 2,1 12,7 21,9 4,1 9,9 anziani Servizi sanitari - - 1, ,3 Servizi ,0 0,8 sociali/culturali Totale Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.MU. - Provincia di Milano. Tab.9 Tipo di lavoro svolto dagli stranieri maschi presenti a Milano nel 1999 classificati secondo la provenienza (valori percentuali). Est Nord Altri America Asia Totale Europa Africa Africa Latina Nessuno 30,6 12,8 22,8 15,6 7,8 14,4 Lavori occasionali - 0, ,2 Imprenditore/Direttor - 2, ,0 1,2 e Impiegato 2,0 3,1 3,3 2,2 4,9 3,6 amministrativo Operaio mecc. 4,1 1,0-6,7 2,0 1,9 11

12 Qualificato Operaio manufatt. 2, ,2 qualific. Operaio generico 10,2 11,3 12,0 17,8 11,8 12,0 Muratore 14,3 7,7 2,2 4,4 2,0 5,1 Manovale edile 2,0 0,5-2,2 0,5 0,7 Commerciante/ristor - 7,2 4,3-4,9 4,8 atore Altro commercio 2,0 5,1 1,1-4,4 3,6 Ambulante 2,0 5,6 18,5 11,1 10,8 9,6 Cuoco 2,0 12,8 2,2 4,4 3,9 6,5 Cameriere/barista 6,1 2,6 3,3 2,2 9,3 5,3 Guardiano/custode 2,0 6,2 3,3 4,4 5,9 5,1 Facchino e simili 4,1 1,5 6,5 4,4 1,0 2,6 Autista 2,0 1,5 5,4 2,2 2,9 2,7 Domestico - - 2,2 6,7 7,4 3,4 Spazzino/disinfestat 4,1 7,2 4,3 6,7 8,3 6,8 ore Lavoro - - 1,1 4,4 1,0 0,9 artistico/creativo Professionali 6,1 4,6 2,2-3,9 3,8 Artigiani/servizi 4,1 5,1 4,3 2,2 2,0 3,6 Altro artigiano ,5 0,9 Assistenza agli - - 1,1 2,2 1,5 0,9 anziani Servizi sanitari - 0, ,5 0,3 Servizi - 0, ,2 sociali/culturali Totale Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.MU. - Provincia di Milano. Alcune novità si segnalano però sul fronte del lavoro autonomo. Abbiamo circa ditte individuali ormai di proprietà o il cui titolare è uno straniero, di queste la maggioranza, circa 5.000, sono di immigrati provenienti dai cosiddetti paesi extracomunitari; alcuni gruppi però monopolizzano questo settore (cinesi, egiziani). Negli ultimi anni stanno emergendo altri soggetti come i marocchini, ma molti altri gruppi restano indietro. I filippini, inseriti molto bene nel lavoro dipendente, hanno appena 55 iscritti alla Camera di Commercio di Milano come titolari di ditte individuali. Ci si può domandare a questo punto come si verifica lo strano fenomeno del lavoro immigrato che si inserisce in un paese con tanti disoccupati; anche nella realtà milanese, non mancano le fasce sociali che faticano a inserirsi nel mercato del lavoro. Il discorso è molto complesso e mi limito ad accennare qualche passaggio. In realtà proprio questa contraddizione dimostra la complessità di un mercato del lavoro come quello italiano. In una società sviluppata il mercato del lavoro è segmentato; possono coesistere settori e aree in cui c è il lavoro e non ci sono le persone disponibili a farlo, e altre aree in cui invece le persone che cercano lavoro superano la disponibilità di posti. Naturalmente in Italia tutto è reso più complicato dalle differenze regionali. Abbiamo regioni che hanno tassi di disoccupazione fra i più alti d Europa e altre che tendono verso i 12

13 valori più bassi. Da alcuni anni è ricominciato il fenomeno dell immigrazione interna, che però non è più sufficiente a rispondere ai bisogni delle imprese. Non bisogna dimenticare, inoltre, che l offerta di lavoro italiana è diventata più autonoma: con l istruzione cresce la capacità di cercare lavoro, ma aumenta anche la selettività, cioè il rifiuto di determinati lavori. Se si è istruiti si cerca lavoro in certi ambiti e si tende a rifiutare il lavoro manuale. Un altro elemento da considerare riguarda il fatto che la mobilità sociale in Italia è difficile a livello intragenerazionale; vale a dire che, nel corso della vita di una persona, è difficile passare da operaio ad impiegato, da impiegato a dirigente (Cobalti, Schizzerotto, 1994). Pertanto, cominciare da operaio significa rischiare un passo falso, caricarsi di uno stigma che può condizionare tutta la carriera successiva, rendendo più incerti e difficili i successivi cambiamenti. Nello stesso tempo il lavoro immigrato è un lavoro flessibile e adattabile, e può risultare più appetibile del lavoro autoctono. Poiché l immigrato è sprovvisto, almeno nei primi anni, di relazioni familiari e sociali ed ha bisogno di guadagnare, è spesso più disponibile a fare orari che magari la mano d opera italiana non accetta. 5. L incontro tra domanda di lavoro e offerta immigrata Un fenomeno da approfondire è quello che riguarda l incontro tra domanda e offerta di lavoro. (cfr. tabella n. 10) Ci sono anzitutto delle disposizioni normative per cui, per un certo periodo, nel mercato del lavoro italiano, riuscivano a entrare regolarmente solo lavoratori domestici. Questo spiega perché i primi arrivi siano caratterizzati in senso femminile, almeno nel lavoro regolare. Successivamente domanda e offerta di lavoro si incontrano soprattutto in due modi. Anzitutto, per via delle reti etniche, delle reti di relazione fra gli immigrati; quelle reti per cui un immigrato ne invita un altro, lo presenta al datore di lavoro, rafforza la sua candidatura, lo sostiene, gli trova il posto per dormire. Si formano così quei fenomeni tipici che sono le concentrazioni etniche in determinate nicchie occupazionali. Questi fenomeni di reti che si collegano, candidano i propri connazionali e li aiutano ad inserirsi nel mercato del lavoro sono più forti dove ci sono mercati del lavoro più grandi, aperti, poco regolati, come quello americano. Tab.10. Il funzionamento del mercato del lavoro immigrato DISPOSIZIONI NORMATIVE E RICEZIONE SOCIETALE DOMANDA DI LAVORO RETI ETNICHE (processi di discriminazione INFORMALI statistica) RETI SOCIALI AUTOCTONE ISTITUZIONI FACILITATRICI/ SERVIZI SPECIALIZZATI OFFERTA DI LAVORO IMMIGRATA (solidarietà interna e autoorganizzazione dei gruppi nazionali) Simili processi favoriscono alcuni gruppi più organizzati e internamente più coesi rispetto agli altri e spiegano, più che le presunte affinità culturali, come mai alcuni gruppi nazionali 13

14 siano più capaci di altri di inserirsi nel mercato del lavoro, ad esempio i Filippini, gli Egiziani, i Senegalesi... Scandagliando le ragioni che differenziano le traiettorie delle popolazioni immigrate, i fattori esplicativi chiamati in causa dalla letteratura e dalle ricerche empiriche possono essere così richiamati: - la numerosità: gruppi troppo piccoli, o viceversa troppo numerosi, sembrano incontrare maggiori difficoltà nel formare reti etniche funzionanti. I primi rischiano di trovarsi dispersi e di dover affrontare in modo sostanzialmente individuale le sfide della ricerca del lavoro e dell integrazione; i secondi di non riuscire a conoscere e a filtrare i connazionali immigrati e di dover far fronte ad una moltiplicazione di domande di aiuto; in tal caso, le minoranze meglio inserite, all interno dei diversi gruppi etnico-nazionali, possono preferire prendere le distanze e attuare forme di secessione dalla turba dei più poveri; - il tempo: i gruppi arrivati prima tendono ad occupare gli spazi disponibili nel mercato del lavoro e ad attivare catene di richiamo a vantaggio dei connazionali, attuando strategie di chiusura nei confronti di altri gruppi di immigrati. Nel caso italiano, l arrivo più recente degli albanesi, rispetto a gruppi già insediati a partire dagli anni 80, sembra aver influito non poco sulle opportunità d'inserimento nel mercato del lavoro - la distanza geografica: chi arriva da più lontano è più selezionato alla partenza, dispone mediamente di maggiori risorse, sa di dover investire in progetti migratori più a lungo termine, acquista consapevolezza dell importanza della coesione di gruppo per trovare appoggio e reggere Chi arriva da più vicino affronta costi minori, può arrivare più facilmente anche senza l appoggio di solide teste di ponte, può coltivare progetti migratori meno definiti, attuando forme di pendolarismo con la madrepatria. Roberts (1995) parla di durate socialmente attese delle migrazioni, e spiega in tal modo il minor successo professionale dei migranti messicani negli Stati Uniti, rispetto ad altri gruppi, come i giapponesi. Anche nel caso italiano, gruppi arrivati da più lontano (filippini, sri-lankesi, peruviani, senegalesi ) appaiono in generale più capaci di attivare forme di solidarietà interna e di promuovere l inserimento occupazionale dei connazionali, rispetto a gruppi più vicini a noi dal punto di vista geografico (maghrebini, albanesi, ex-jugoslavi), anche se a livello locale le situazioni sono alquanto eterogenee - la composizione socio-professionale del gruppo: gruppi con predominanza di soggetti poco istruiti, provenienti da zone rurali o dal proletariato urbano incontrano maggiori difficoltà sia nella costruzione di reti in grado di sponsorizzare i connazionali, sia più in generale nei processi di integrazione. Gruppi con significative quote di soggetti provenienti dalle classi medie, dotati di competenze professionali almeno in parte spendibili o riconvertibili, con buoni livelli di istruzione, appaiono avvantaggiati. Portes e Jensen (1989) spiegano il successo dell immigrazione cubana in Florida, capace di costituire a Miami un enclave etnica rigogliosa, con l espatrio della borghesia professionale e commerciale all epoca dell avvento di Castro. Nel caso italiano, la migliore integrazione degli egiziani, rispetto per esempio ai marocchini, si spiega probabilmente anche in funzione della diversa composizione dei gruppi alla partenza, oltre che in ragione del fattore tempo. Il livello d istruzione sembra avere tuttavia nel nostro paese un impatto ambivalente: dato che il mercato del lavoro offre agli stranieri soprattutto lavori poveri, gli immigrati istruiti sono spesso meno soddisfatti di ciò che trovano, rispetto ai connazionali meno scolarizzati, cosicché per una sorta di paradosso, appare più agevole l integrazione degli immigrati meno qualificati (Zanfrini, 2000). - la ricezione societale e l appoggio di agenzie e reti autoctone: essendo l integrazione un processo interattivo (Colasanto, Ambrosini, 1993), non può essere trascurato il ruolo della società ricevente nei confronti delle popolazioni immigrate. Trattando 14

15 dell immigrazione messicana, Portes ha recentemente sottolineato le discriminazioni che questa componente ha costantemente subito nel Nord-America, in quanto considerata largamente irregolare, culturalmente inferiore e concorrente sul mercato del lavoro rispetto ai lavoratori americani: tutto ciò, oltre a condizionarne i destini occupazionali, ne ha ridotto le stesse aspettative rispetto alle opportunità di inserimento nella società ricevente (2000: 10). Questi rilievi correggono e integrano l interpretazione di Roberts prima richiamata, basata sostanzialmente sulla portata dei progetti migratori e quindi sugli atteggiamenti propri degli immigrati. Nel caso italiano, non si tratta genericamente del diverso grado di accettazione degli immigrati provenienti da paesi diversi, ma più specificamente dell aiuto concreto fornito da varie agenzie sociali. I migranti provenienti da paesi cattolici e con predominanza di popolazione femminile sembrano aver trovato, per esempio, più facilmente accettazione e appoggio da parte di varie istituzioni cattoliche. Per comprendere i processi di inserimento, oltre al ruolo delle reti etniche, che da sole non spiegano tutto il fenomeno, occorre dunque rammentare il contributo delle agenzie sociali e delle risorse informali grazie alle quali gli immigrati vengono aiutati ad inserirsi. Queste risorse, fornite dalla società civile, possono essere in parte comprese sotto il termine di reti sociali autoctone, che scambi di informazioni, generano un passa parola tra conoscenti, favoriscono in vario modo l inserimento di immigrati stranieri in una società estranea, superando barriere e pregiudizi. Ad esempio una famiglia di Milano che abbia una domestica che viene dal Perù e di cui sia soddisfatta, è probabile che, quando una famiglia di amici si trovi nella necessità di avere un qualche servizio domestico, la indirizzi e la consigli nella scelta verso qualche parente o connazionale della propria collaboratrice familiare. Si producono così inavvertitamente anche nuovi stereotipi e pregiudizi favorevoli ad alcuni gruppi di immigrati, rispetto ad altri. Le istituzioni del volontariato, dell associazionismo, della società civile, che offrono punti di riferimento per gli immigrati, facendo circolare informazioni e consigli, costituiscono, molto spesso, un altra risorsa rilevante per il loro inserimento lavorativo. Ho introdotto a questo riguardo il concetto di "istituzioni facilitatrici", che fanno da ponte tra gli immigrati e le reti sociali autoctone. Credo infatti che non sarebbe spiegabile l inserimento di decine di migliaia di immigrati nel sistema produttivo italiano, in assenza di politiche pubbliche adeguate, senza chiamare in causa il silenzioso bricolage di gruppi, associazioni, sindacati, istituzioni ecclesiali, enti locali: nelle regioni del Centro-Nord più interessate al fenomeno, la domanda del mercato del lavoro e l attivismo delle reti etniche hanno trovato una sponda preziosa in queste istituzioni. 6. Il lavoro irregolare Non dobbiamo lasciarci avviluppare dalla polemica per cui il lavoro irregolare sia quasi tutto manovalanza criminale. Certamente questa esiste, ma non può assorbire molte altre dimensioni di un fenomeno per sua natura pervasivo e sfuggente. C è il lavoro dei braccianti nell agricoltura, c è il lavoro nelle imprese etniche dei cinesi e di altri, ma c è anche un fenomeno molto più normale, che è il numero enorme di collaboratrici domestiche non regolari che lavorano nelle famiglie italiane. Si verifica, infatti, il paradosso che il lavoro domestico regolare di una donna italiana o straniera costa più di 2 milioni al mese, vale a dire una cifra molto vicina allo stipendio medio che la lavoratrice italiana guadagna andando a lavorare fuori casa. Nello stesso tempo molte famiglie, anche di classe media, hanno la necessità di avere un aiuto domestico per via dei bambini o degli anziani da assistere. Viene così a formarsi un enorme bacino di 15

16 domanda di lavoro che recluta domestiche irregolari per le quali un salario di lire o un milione al mese è considerato sufficiente, almeno in una prima fase di insediamento: si riapre così informalmente quella forbice economica, oltre che di status sociale, che consente di assorbire migliaia di donne nei servizi privati, con qualche analogia con il mercato del lavoro nordamericano. Quindi pensare che il lavoro irregolare sia un fenomeno sempre patologico, dal punto di vista degli interessi della società ospitante, significa coltivare una versione molto rigida del funzionamento del mercato del lavoro, perché il lavoro nero degli immigrati può essere, invece, assai funzionale alle esigenze dell economia e della società. Un altro esempio di silenzioso utilizzo del lavoro irregolare degli stranieri è collegato con quelle funzioni che vengono esternalizzate dalle imprese con l obiettivo di risparmiare sui costi per essere più competitive. Decentrando, esternalizzando, terziarizzando, a costi sempre più bassi e con pochi controlli, si finisce non di rado con l utilizzare lavoro irregolare, italiano e straniero. Per esempio, le imprese di pulizia sono risultate in testa alla classifica degli utilizzatori di immigrati irregolari, sulla base delle ispezioni INPS. Un corollario paradossale consiste nel fatto che anche le istituzioni pubbliche per risanare i loro conti hanno esternalizzato parecchi servizi dandoli in appalto al prezzo più basso possibile. Non ho riscontri obiettivi, ma ritengo probabile che in questo sistema lavorino in nero molti immigrati. Credo che l efficienza delle imprese impegnate in una competizione internazionale sempre più serrata e lo stesso risanamento dei conti pubblici che ci ha fatto entrare in Europa, per una piccola parte, derivino anche dal lavoro in nero degli stranieri. 7. Frammenti di accoglienza: associazionismo volontario e solidarietà verso gli immigrati Come si è visto, per comprendere le dinamiche dell'inserimento degli immigrati nelle società locali e nel mercato del lavoro non è possibile prescindere dal ruolo di associazioni, gruppi, istituzioni sociali attive nelle società locali: quelle che ho in precedenza definito "istituzioni facilitatrici". Giustamente è stata posta in rilievo la portata delle forme di "integrazione dal basso" realizzate in questi anni in Italia (de Bernart, 1998: 363): "il valore ed il potenziale innovativo, sociale, civile ed umano, di questo associarsi (in quanto processo prima ed oltre che prodotto) non è legato solo a ciò che passa tra i singoli tra i singoli o al loro scopo comune (l'uno e l'altro necessariamente regolati anche secondo criteri di legalità) quanto alla capacità di affrontare e risolvere i problemi che effettivamente si presentano senza rinunciare ad 'associarsi per amore' anche in situazioni difficili, tra i direttamente coinvolti e con altri, raccordandosi con le istituzioni e la vita della città nel suo complesso senza perdere di vista l'orizzonte del più vasto mondo" (ibid.: ). Quantificare le dimensioni di questa mobilitazione è impresa ardua, sia per la labilità di molti gruppi e iniziative, sia per le forme fluide e spesso parziali di partecipazione cui danno luogo, sia per i limiti intrinseci ai tentativi di rilevazione. Con le cautele del caso, si può ricordare che una rilevazione Ismu-Fondazione italiana per il volontariato ha censito nel organismi impegnati in questo campo, con il coinvolgimento di oltre persone. Ho già accennato nell'introduzione alle diverse attività, spesso informali e debolmente strutturate, svolte da questi attori e capaci di influire, direttamente o indirettamente, sull'insediamento sul territorio e sull'inserimento lavorativo degli immigrati. Sulla base della modesta letteratura disponibile credo si possano evidenziare alcuni filoni di intervento: sensibilizzazione della società locale, iniziative interculturali attività di assistenza immediata: pasti, abiti, assistenza medica accoglienza abitativa pratiche di regolarizzazione, facilitazione nell'accesso ai servizi pubblici 16

17 corsi di lingua e cultura italiana altre attività formative raccordo tra offerta e domanda di lavoro offerta di luoghi di aggregazione, sostegno all'associazionismo etnico. Allo scopo di approfondire l attività svolta dal terzo settore a sostegno degli immigrati, mi sembra far riferimento alle tre classi di organizzazioni nonprofit identificate da Douglas: le organizzazioni propriamente caritative, o di cura nei confronti di determinate categorie di beneficiari; i gruppi di pressione; le organizzazioni di mutuo aiuto. Ponendo a confronto la tipologia con il nostro oggetto di studio, possiamo agevolmente identificare i gruppi di mutuo aiuto con le reti e l associazionismo etnico, di cui tratteremo tra poco. L attività di cura può invece essere distinta in due categorie: quella prestata su base propriamente volontaria, con un utilizzo esclusivo o quasi esclusivo di personale non retribuito e in genere non specializzato; e quella invece svolta da organizzazioni strutturate che utilizzano personale salariato e solitamente qualificato. L'attività dell'associazionismo italiano può essere quindi distinta in almeno tre idealtipi, in molti casi come sempre mescolati e intrecciati nelle esperienze concrete (lo stesso Douglas avverte che la classificazione proposta è in qualche misura artificiale e arbitraria, giacché le attività concretamente svolte sovente si intersecano o sconfinano da una categoria all altra): un primo tipo è quello del tradizionale associazionismo caritativo, caratterizzato dall'aiuto diretto alle persone in difficoltà ; il secondo è invece definibile come associazionismo rivendicativo, o di tutela dei diritti, attivo soprattutto sul fronte dell'iniziativa politica e culturale, come la lotta al razzismo o la richiesta di cambiamenti legislativi; infine va sottolineato l'emergere di quello che può essere definito "associazionismo imprenditivo ", che tende a fornire servizi agli immigrati sulla base di finanziamenti pubblici, normalmente erogati dalle istituzioni locali. Il primo tipo è quello probabilmente più diffuso, anche se ricomprende al suo interno esperienze diverse, più o meno organizzate: si va dalle parrocchie che offrono spazi alle comunità straniere per le loro attività di incontro e aggregazione, organizzano corsi di italiano con l'aiuto di insegnanti volontari, offrono cibo, abiti, pasti caldi, alle associazioni locali che hanno realizzato, appoggiandosi ad istituzioni pubbliche o private, piccoli centri di accoglienza, a iniziative come i "centri d'ascolto" delle Caritas parrocchiali o le mense dei poveri che, sorte per venire incontro ai bisogni dei poveri italiani, sono sempre più frequentate da un'utenza straniera in condizioni difficili. Nella gamma piuttosto ampia di servizi offerti e di bisogni che cercano risposta, si possono distinguere attività di prima assistenza, fruite dai nuovi arrivati e dagli immigrati che non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro, da attività che hanno direttamente o indirettamente effetti promozionali, nel senso del sostegno e dell'accompagnamento dell'inserimento lavorativo: sono di questa natura, per esempio, i servizi di collegamento tra domanda e offerta di lavoro forniti a livello del tutto informale da parrocchie e istituti religiosi che in città rappresentano i punti d'appoggio per le comunità straniere di religione cattolica; oppure i centri che, soprattutto in provincia, hanno offerto possibilità di alloggio ad immigrati che altrimenti non avrebbero potuto accedere al lavoro. Nel secondo tipo rientrano le iniziative anti-razziste e di rivendicazione politica. Spesso collegate od ispirate ai partiti della sinistra e alle organizzazioni sindacali, hanno svolto un ruolo attivo soprattutto nella spinta all'innovazione legislativa, culminata nelle tre leggi di regolarizzazione. Rispetto all'inserimento lavorativo, se restano alla forma pura di organismi di advocacy, il loro contributo è soprattutto quello rivolto alla difesa degli immigrati che subiscono trattamenti ingiusti e discriminatori, e più in generale di tutela della reputazione degli immigrati rispettosi delle leggi e desiderosi di integrarsi, quando 17

18 episodi anche clamorosi di devianza suscitano nella popolazione nativa sentimenti xenofobi, facilmente alimentati e sfruttati da forze politiche che se ne fanno interpreti. Iniziative sorte dal primo e dal secondo filone tendono con il tempo a trasformarsi in un associazionismo del terzo tipo: quello che fornisce servizi con una logica più professionale, di "impresa sociale", che assume solitamente la figura giuridica della cooperativa. Rientrano in questa categoria i soggetti che gestiscono molti dei centri di accoglienza tuttora aperti, e sempre più anche iniziative che possono essere ricondotte alla "seconda accoglienza" (servizi informativi, sostegno all'inserimento scolastico dei figli di immigrati, iniziative interculturali, formazione degli operatori, ecc.) o alla risposta alle esigenze di segmenti particolari della popolazione immigrata: rifugiati, donne con bambini, vittime di abusi, ecc. Determinante diventa in questi casi il rapporto tra iniziativa privata e finanziamenti pubblici, accordati peraltro in una logica volontaristica: iniziative promettenti e bene impostate possono essere compromesse da un cambiamento di maggioranza, o da una stretta finanziaria che provoca la sospensione dei finanziamenti. Pur se all'interno di questi vincoli, va sottolineato che i servizi agli immigrati producono un certo numero di posti di lavoro per operatori italiani. Esistono naturalmente istituzioni facilitatrici più complesse, che presentano elementi di tutti e tre i tipi evidenziati, combinando servizi diretti e azione politica. Un caso tipico è la Caritas. A Milano, e probabilmente questo vale anche in molte altre realtà, l'organismo di promozione e coordinamento delle attività caritative cattoliche è anzitutto propulsore di forme di associazionismo caritativo, come i centri di ascolto parrocchiali. Assume in secondo luogo compiti di advocacy, in collegamento con altre associazioni e forze sociali, nei confronti soprattutto delle istituzioni locali. Infine, attraverso associazioni e cooperative collegate, promuove esperienze di associazionismo imprenditivo che gestiscono diversi servizi per gli immigrati, che vanno dall'accoglienza dei rifugiati, alla protezione delle vittime della prostituzione coatta, alla consulenza educativa per l'inserimento scolastico delle seconde generazioni Un punto debole dell'esperienza italiana sembra invece tuttora quello della partecipazione degli stranieri. Quasi sempre si tratta di servizi per gli immigrati, in cui i diretti interessati non svolgono in genere ruoli attivi di qualche importanza. Fanno parzialmente eccezione le esperienze di associazionismo rivendicativo, in cui alcune élites straniere istruite si sono inserite (per es., ex-studenti in Italia, rifugiati da regimi oppressivi dell'america latina), anche grazie a legami politici preesistenti. Nella quarta colonna dello schema viene pertanto richiamato il fenomeno dell'associazionismo immigrato, che può essere considerato un tipico esempio di mutuo aiuto. Nella letteratura internazionale, da tempo le associazioni a base etnica vengono viste come un importante componente dell offerta di servizi sociali agli immigrati: si tratta di un tipo particolare di associazioni volontarie, basate sue legami affettivi, e insieme di un tipo speciale di gruppi di auto-aiuto, in ragione dei degli interessi comuni che li caratterizzano (Jenkins, 1998: 9-10, con riferimento alla definizione di etnicità secondo Bell, 1975: un concetto che combina un interesse con un legame affettivo). Occorre però rilevare un forte scarto tra associazionismo formale e reti informali a base etnico-nazionale. L'associazionismo formale rappresenta un fenomeno diffuso, ma molto fragile e soggetto ad un elevato turn-over. Nelle nostre ricerche è capitato spesso di scoprire che molte associazioni che comparivano in elenchi e indirizzari erano chiuse o di fatto inoperanti. La carenza di risorse, che difficilmente consente di disporre di personale dedicato, insieme alla giovane età e alla difficile integrazione sociale dell'immigrazione italiana (basti pensare alla questione abitativa) non offre le condizioni favorevoli alla formazione di un tessuto associativo straniero sufficientemente stabile e organizzato, e tanto meno forme di convenzionamento con le istituzioni pubbliche per la fornitura di servizi alla popolazione immigrata. 18

19 Le reti etniche sono invece indubbiamente molto vitali, anche se alquanto differenziate a seconda dei gruppi nazionali, e spesso capaci, come abbiamo rilevato, di sostenere in vari modi l'inserimento sociale e lavorativo dei loro membri. La loro attività si svolge però in larga parte nell'informalità, è sovente condizionata da problemi di scala (gruppi troppo piccoli e a volte anche quelli troppo grandi non riescono a dar vita a reti consistenti) e dai cleavages etnico-nazionali o religiosi; risente non di rado della defezione degli immigrati che raggiungono un certo successo e non intendono farsi carico dei connazionali che versano in condizioni difficili; non riesce a sostenere le fasce più deboli e marginali; manifesta sovente tendenze particolaristiche: le azioni di sostegno o la trasmissione di informazioni "utili" possono essere indirizzate non ai connazionali in generale, ma ai membri del clan familiare o derivante dalla comune provenienza da una determinata città, quartiere, villaggio, raggruppamento etnico. Ovviamente la leadership e le gerarchie interne non sono sottoposte a procedimenti democratici e a verifiche trasparenti. I leader di comunità si legittimano soprattutto per le attitudini personali di relazione con agenzie e istituzioni autoctone, più che per un'effettiva capacità di rappresentare le istanze dei connazionali, né tanto meno per un qualche tipo di investitura minimamente formalizzata. Come osserva Zanfrini (1997: 152) sintetizzando i risultati delle indagini disponibili, "sembra comunque trattarsi di tipologie di leadership associate ad aggregazioni di tipo informale, finalizzate al perseguimento di bisogni primari e che si attivano in base a necessità personali, sfruttando la capacità relazionale individuale più che il fatto di essere portavoce del gruppo di appartenenza, e che agiscono senza aspettative di miglioramento dell'offerta istituzionale". Tutto questo rende le reti etniche informali poco adatte a rientrare nei canoni richiesti per partecipare a istanze concertative a livello locale, o a essere individuate come attori semiistituzionali a cui affidare compiti di raccordo ed erogazione di servizi nei confronti degli immigrati. Si verifica pertanto, nell'esperienza italiana attuale, un visibile scollamento tra vitalità semi-sommersa di molte reti etniche e fragilità dell'associazionismo visibile e riconosciuto. TAB.11 L'ASSOCIAZIONISMO VOLONTARIO PER GLI IMMIGRATI ATTIVITÀ PREVALENTE TARGET DEI DESTINATARI Associazionism o caritativo Interventi immediati per le necessità primarie (cibo, vestiario, posto-letto) Immigrati in situazione di grave emarginazione associazionism o rivendicativo (di advocacy) Pressione politica, sensibilizzazione della popolazione italiana immigrati in generale; vittime di razzismo e discriminazione associazionism o imprenditivo Gestione di centri di accoglienza o servizi su finanziamenti pubblici immigrati regolari, lavoratori, categorie specifiche (es., rifugiati, madri con bambini) reti etniche Diffusione informazioni; orientamento; sponsorhip per l'accesso al lavoro; Sostegno in caso di difficoltà connazionali o membri di reti più ristrette (clan) 19

20 ATTORI IN CONTATTO COINVOLGIMENTO DEGLI IMMIGRATI Singoli volontari, altre istituzioni benefiche Solitamente molto modesto forze politiche, sindacati, associazioni di immigrati attivo da parte di élites istruite e politicizzate istituzioni locali, altri centri di servizi limitato a compiti operativi, con eccezioni istituzioni facilitatrici italiane; datori di lavoro; uffici stranieri nella forma dell'auto-aiuto, con l'emergere di mediatori e leaders informali Un'altra serie di riflessioni riguarda la capacità delle esperienze associative di costruire o partecipare a reti allargate di sostegno all'integrazione sociale e lavorativa degli immigrati. Non sembra si possa affermare a priori che esiste un tipo di associazionismo più orientato al networking di altri. La capacità di costruire reti appare pertanto un fattore trasversale alle diverse forme di associazionismo, che andrebbe eventualmente approfondito con indagini specifiche. Piccole esperienze locali di volontariato possono avere un'elevata propensione a coinvolgere una serie di istituzioni pubbliche e private, mentre forme di associazionismo imprenditivo che si assicurano la fornitura di servizi di cospicuo valore economico possono gestirli in maniera puntuale ma isolata da un contesto più ampio di iniziative per l'integrazione degli immigrati. Si può però ipotizzare che l'associazionismo caritativo tenda a collegarsi soprattutto con altre istituzioni, pubbliche e private, che possano fornire risposte puntuali a bisogni specifici. L'associazionismo rivendicativo appare orientato soprattutto a stabilire legami con forze politiche e sociali in grado di sostenere battaglie istituzionali o di opinione per la cittadinanza degli immigrati, il riconoscimento di diritti negati, la lotta a forme di intolleranza, xenofobia, razzismo. L'associazionismo imprenditivo si presenta come il caso più variegato e controverso. Si può, infatti, andare dalla gestione di servizi in una logica quasi-aziendale, senza particolare impegno a stabilire legami con altri soggetti operanti nel settore, ad una partecipazione semi-istituzionalizzata a consulte, coordinamenti, reti di vario genere, favorita dalla dotazione di personale dedicato e professionalizzato. Ancora diverso è il caso delle reti etniche, per le quali non è facile operare generalizzazioni, data la varietà delle forme in cui si presentano e il diverso grado di strutturazione, ampiezza ed efficacia che manifestano. Il loro orientamento all'auto-aiuto tende a produrre un'enfasi sulla solidarietà interna, eventualmente in contrapposizione all'ostilità della società esterna, e spesso in competizione con altri gruppi etnico-nazionali. Le modalità di costruzione e radicamento delle reti etniche nell'esperienza italiana induce però a sottolineare il ruolo di sostegno, per esempio logistico, svolto in parecchi casi da varie istituzioni facilitatrici italiane; e anche le attività informali di sponsorizzazione e aiuto all'inserimento che le reti assicurano sono favorite dai rapporti con elementi della società autoctona, secondo le modalità che abbiamo già avuto modo di illustrare. Non essendosi prodotte nell'esperienza italiana, tranne forse e comunque parzialmente per alcuni insediamenti cinesi, quelle enclaves etniche che hanno raggiunto un'elevata "completezza istituzionale" e forniscono al loro interno una vasta gamma di servizi ai membri, la comunicazione e lo scambio con la società ospitante sono risorse strategiche per agevolare l'inserimento dei connazionali. Anche i "mediatori" e i catalizzatori di informazioni che in molte esperienze locali sono emersi e hanno a volte acquisito un ruolo riconosciuto anche dal punto di vista professionale, sono tali proprio per la loro capacità di raccordo con la società autoctona. Una recente ricerca sull associazionismo etnico a Milano (Boccacin, 1998), stima in le organizzazioni effettivamente promosse da stranieri, a fronte di un centinaio che si occupano di immigrati ma sono promosse e sostenute da italiani, e conferma la difficoltà di 20

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