La proprietà collettiva e l Imposta municipale propria sugli immobili. Argomenti per un esenzione utile e necessaria.

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1 La proprietà collettiva e l Imposta municipale propria sugli immobili. Argomenti per un esenzione utile e necessaria. 1. Introduzione. Inconciliabilità tra la proprietà collettiva e l imposta patrimoniale. Le proprietà collettive sono una tipica realtà della storia d Italia. Esse costituiscono un modello originale di produzione e distribuzione sociale di ricchezza, oltre che un mezzo efficacissimo di tutela ambientale. Una realtà complessa e delicata, la cui esistenza può essere oggi messa a rischio da un imposta come l IMU. Come in ogni imposta patrimoniale, il presupposto dell IMU è nel possesso del bene astrattamente capace di produrre reddito e, quindi, nella sua alienabilità: ad essere oggetto di imposizione è il valore capitalizzato che il proprietario può realizzare con la vendita; l alienazione del bene è poi l unico modo per il proprietario di liberarsi dal peso fiscale di una proprietà che in ipotesi non produca per lui un reddito. Da qui la radicale incompatibilità di un imposta patrimoniale con le situazioni di proprietà collettiva, tutte caratterizzate dalla assoluta inalienabilità e indivisibilità dei beni che ne costituiscono oggetto. 2. La proprietà collettiva: un nome per diverse realtà. Per proprietà collettiva si intende una situazione in cui una data estensione di terra è di proprietà di una collettività determinata, per modo che solo chi fa parte di quella collettività può trarre utilità da quel bene, indipendentemente dal fatto che lo stesso possa essere sfruttato individualmente da ogni partecipante o congiuntamente tra tutti gli aventi diritto. La proprietà collettiva è una situazione giuridica antitetica rispetto a quella della proprietà privata individuale e non è riducibile allo schema della comproprietà. La proprietà privata individuale implica nel titolare il diritto di godere e disporre del bene in modo pieno e assoluto. Quando uno stesso bene si trova nella comproprietà

2 di più soggetti, si produce per il nostro ordinamento una situazione fragile, poiché ciascun comproprietario ha il diritto unilaterale e potestativo di chiederne lo scioglimento, ottenendo di essere proprietario esclusivo di una frazione del bene, o del suo equivalente. La proprietà collettiva implica al contrario nel singolo partecipante solo il diritto di usare della cosa, secondo i termini consuetudinari che caratterizzano quella singola situazione. Al contrario della comproprietà, essa è una situazione permanente e duratura: i partecipanti non possono, neanche per accordo unanime, vendere a terzi i beni che costituiscono l'oggetto del loro diritto, né dividerli tra loro. La bonifica di un territorio paludoso poteva essere intrapresa in epoca medievale solo da molte persone e nel corso di più generazioni: solo coloro i quali rendevano coltivabili quei terreni col proprio lavoro potevano dirsene proprietari e sfruttarli ad esclusione di qualsiasi altro, ma non potevano dividere tra loro il compendio così ottenuto, che fuori dal lavoro comune sarebbe ritornato presto preda delle acque. Nella civiltà pre moderna, lo stesso fenomeno riguardava normalmente altri tipi di beni, come i pascoli, che appartenevano ad una determinata comunità di villaggio e potevano essere sfruttati solo dai membri di quella comunità, o i boschi, anch'essi nella proprietà collettiva delle comunità circostanti, onerate per questo della loro manutenzione. 3. La proprietà collettiva oggi. Taluni esempi. Una classificazione esatta delle proprietà collettive è impossibile, mentre molti esempi sono ben noti anche al grande pubblico, come le Regole ampezzane, la proprietà collettiva dei discendenti degli antichi originari su una notevole estensione di boschi e di pascoli presenti nell'attuale territorio comunale di Cortina d'ampezzo. Queste sono oggetto della disciplina della l. 1102/71 (Nuove norme per lo sviluppo della montagna) che all art. 10 prevede che : Per il godimento, l'amministrazione

3 e l'organizzazione dei beni agro-silvo-pastorali appresi per laudo, le comunioni familiari montane (anche associate tra loro e con altri enti) sono disciplinate dai rispettivi statuti e consuetudini. Rientrano tra le comunioni familiari, che non sono quindi soggette alla disciplina degli usi civici, le regole ampezzane di Cortina d'ampezzo, quelle del Comelico, le societa' di antichi originari della Lombardia, le servitu' della Val Canale.. Il favore dell ordinamento verso queste forme proprietarie si esprime anche sul versante fiscale, assoggettando alla sola tassa fissa gli atti relativi all acquisto e alla perdita dello stato di membro della comunione. Altro noto esempio è quello delle Partecipanze emiliane, proprietà collettive in cui lo sfruttamento dei suoli viene effettuato turnariamente, mediante la concessione ai membri della collettività di un fondo agricolo per un dato tempo (in molti casi 19 anni), al termine del quale avverrà un nuovo sorteggio, che attribuirà quel fondo ad un altro concessionario. 4. I principi costituzionali in materia di proprietà collettive e la legislazione in vigore. La proprietà collettiva preesiste al nostro ordinamento, il quale non contiene norme che la definiscano o che la disciplinino organicamente, ma non per questo può dirsi estinta. Quando la si è voluta eliminare, in regimi passati, si è fatto ricorso alla sua liquidazione, mediante procedure finalizzate a sostituire artificialmente una nuova relazione di proprietà privata all antica situazione di proprietà collettiva. È quanto è accaduto con la legge n del 1927, ancora in vigore in molte sue parti. Ritenuta una delle "leggi fascistissime", e parte del più ampio complesso normativo sulla bonifica agraria voluta dal regime, la legge disponeva che le terre di proprietà collettiva venissero affrancate in proprietà privata. Le terre collettive capaci di coltura sarebbero state divise tra le famiglie povere del luogo, mentre quelle capaci solo di essere bosco o pascolo sarebbero passate in proprietà del Comune. Tutto il processo veniva gestito da un organo particolare, il Commissario

4 per la liquidazione degli usi civici, il quale assommava tanto poteri giudiziari quanto poteri amministrativi, dovendo essere lui a pronunciare l'affrancamento dei terreni dalle proprietà collettive e provvedere poi alla loro divisione in quote. L ordinamento repubblicano è informato a principi di rango costituzionale spesso incompatibili con quelli della legge del Si consideri solo l art. 43 della Costituzione che dispone che: "ai fini di utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale". La possibilità per la legge di riservare a titolo originario a "comunità di lavoratori o di utenti la proprietà di imprese (quindi di beni produttivi) comprende necessariamente anche il caso di beni produttivi che sono nella titolarità originaria di comunità di cittadini da prima dell entrata in vigore della Costituzione e che a questi non possono essere tolti. La legislazione statale non deve disciplinare la proprietà collettiva: essa è un ordinamento primario (P. Grossi), che come tale preesiste all ordinamento attuale e che deve essere da questo salvaguardato perché persegue finalità tutelate dalla stessa Costituzione, come la custodia del paesaggio e la tutela del lavoro. A questi principi si è finora uniformata la legislazione repubblicana, fin dalla l. n. 991 del 1952 (la prima legge sulla montagna), che disponeva all art. 34 per la completa autonomia delle comunioni familiari vigenti nei territori montani nell'esercizio dell'attivita' agro-silvo-pastorale stabilendo che esse avrebbero continuato a godere e ad amministrare i loro beni in conformita' dei rispettivi statuti e consuetudini riconosciuti dal diritto anteriore. L'intervento legislativo più recente, quello del d.lgs n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) che all'articolo 142 primo comma, lettera h) inserisce

5 tra i beni paesistici tutelati per legge quelle assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici, ove per università agraria si intende il nome imposto dalla l. del 1894 sugli ex domini pontifici ad un altro tipo di proprietà collettiva, cui appartengono anche le partecipanze emiliane. 5. Gli interessi costituzionalmente tutelati dalla proprietà collettiva: tutela del paesaggio e coesione sociale. Ancora una volta soccorrono gli esempi concreti. Uno tra i più esaustivi è sicuramente il caso del Consorzio uomini di Massenzatica, che gestisce oltre 300 ettari in proprietà collettiva dei discendenti delle antiche famiglie di questa frazione dell'odierno Comune di Mesola, in provincia di Ferrara. Si tratta di terreni sottratti con il lavoro manuale di generazioni al Po attraverso una complessa opera di bonifica idraulica e oggi destinati a coltivazioni agricole di pregio. Un territorio fragile, che sparirebbe nuovamente nelle acque del fiume ove l'agricoltura venisse abbandonata: solo l'attività di coltivazione è difatti in grado di garantire la manutenzione costante della fitta rete di canali che servono tanto a irrigare quanto a drenare i terreni. Il consorzio fu costituito ai sensi della legge del 1894 sugli ex domini pontifici; con la legge del 1927 il commissario agli usi civici dell epoca destinò parte dei terreni alla divisione fra le famiglie del luogo. La divisione non fu però mai effettuata perché i diretti interessati, più saggi del loro legislatore, colsero subito che nessuna ricchezza sarebbe potuta loro derivare dalla parcellizzazione di un bene che, gestito in forma comunitaria, avrebbe prodotto utili maggiori. È quanto accade ancora oggi: una parte dei terreni viene affittata ad una impresa vivaistica a un canone inferiore a quello corrente sul mercato, cui corrisponde l impegno contrattuale della ditta ad impiegare prioritariamente manodopera locale; l'altra parte viene invece affittata a residenti della frazione per un canone pari alla metà di quello di mercato corrente. Il primo affitto consente al consorzio di

6 avere dei mezzi propri per la gestione del compendio e produce al contempo un primo reddito per le famiglie (si parla di circa giornate contributive all'anno). I contratti ai residenti garantiscono un secondo reddito per le famiglie e, allo stesso tempo, il miglioramento delle colture. Un circolo virtuoso in termini di bilancio sociale, che ha impedito validamente lo spopolamento del territorio e la sua tutela ambientale, risparmiando allo Stato oneri notevoli. 6. L applicazione dell IMU alle proprietà collettive. Contraddittorietà con altri regimi previsti dalla legge. La disciplina dell'imu, per come chiarita da ultimo dalla circolare 3/DF del 18 maggio 2012, pone in grave pericolo il delicato equilibrio sul quale si fonda ogni situazione di proprietà collettiva, e corre così il rischio di distruggere per sempre quelle dinamiche virtuose di produzione e distribuzione di reddito loro peculiari, le quali non possono riproporsi in nessuna comune forma associativa. Il rischio concreto è che l'applicazione dell'imposta patrimoniale distrugga più ricchezza di quanta intenda attrarne allo Stato, il quale sarebbe costretto a dover supplire con propri mezzi a quelle finalità pubbliche che la proprietà collettiva svolge originariamente sul proprio territorio di riferimento. La precedente disciplina dell ICI non presentava in concreto gli stessi problemi, poiché si calcolava su una base imponibile assai diversa; il regime di agevolazione in favore del coltivatore diretto consentiva poi alle proprietà collettive di trasferire il peso dell imposta sugli assegnatari, tutti per definizione detentori del titolo di agevolazione. La disciplina dell IMU mantiene questa agevolazione, ma il diverso computo della base imponibile, limitando l utile per gli assegnatari, rende meno conveniente l affitto e la coltivazione. Il tutto con gli immaginabili danni dal punto di vista ambientale e, sopratutto, con la perdita irreversibile di capitale sociale.

7 Il tutto in un quadro di forte contraddittorietà con la scelta di escludere dalla base imponibile dell'imu i beni funzionali alle attività no-profit e con la scelta di ridurre del 50% l'aliquota per i beni artistici notificati. Le recenti modifiche al regime originario dell'imu, operate dal d.l. 16/2012 hanno portato alla sostanziale esenzione dall'imposta per gli enti non-profit, creando così un primo regime speciale di proprietà a fini fiscali in cui il vincolo della stessa al perseguimento di finalità sociali si traduce nel non assoggettamento all'imposta. Il presupposto è che quei beni servono a delle finalità di cui sarebbe altrimenti gravato lo Stato, che vi dovrebbe provvedere con propri mezzi. Il principio di sussidiarietà comporta che il bene tornerà a essere base imponibile per l'imu se e quando esso verrà sottratto al perseguimento di quelle finalità. Lo stesso d.l. 16/2012 (art. 4 comma 5) ha apportato la riduzione al 50% della base imponibile dell IMU sugli edifici di carattere storico-artistico di cui all art. 10 d. lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), in ciò mantenendo un regime speciale alla proprietà di simili beni, il cui titolare è onerato della custodia e vincolato nella possibilità di modificarli. Il minore carico fiscale del bene storicoartistico corrisponde alla sua minore utilizzabilità, che si riflette anche sulla sua commerciabilità. Appare dunque fortemente contraddittorio non prevedere un regime conseguente per la proprietà collettiva, che onera i titolari di vincoli di custodia anche maggiori e che è del tutto indisponibile. Deve essere poi ricordato al proposito che mentre all'art. 10 il Codice dei beni culturali e del paesaggio tutela il bene storico artistico in proprietà privata solo dopo che questo è stato notificato, all'articolo 142 lettera h) tutela i beni di uso civico e le università agrarie per legge, senza bisogno di alcuna notifica. 7. Le ragioni dell esenzione.

8 1. L'esenzione totale delle proprietà collettive dall'applicazione dell'imu consegue quindi innanzitutto dalla loro totale indisponibilità e inalienabilità, che rende i soggetti esponenziali di dette proprietà privi di una capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione. Il valore soggetto a imposta non può per definizione mai capitalizzarsi al titolare, che resterà sempre comunque vincolato al bene e obbligato al suo mantenimento. 2. A questo devono aggiungersi le considerazioni già fatte sulla disparità di trattamento che si creerebbe fra queste situazioni e quelle dei beni destinati al non profit da un lato, e a quelli storico-artistici dall altro. I beni delle proprietà collettive non possono per definizione essere distolti dalle loro finalità, che dal momento stesso della loro costituzione (che risale a tempi immemorabili, in molti casi prossimi se non superiori a 1000 anni) sono finalità di sviluppo di una comunità e di distribuzione sociale dei redditi di cui quel territorio è capace. 3. Altre considerazioni devono qui aggiungersi a sostegno di una scelta di totale esenzione dall'imposta patrimoniale: 1. le proprietà collettive costituiscono un insieme chiuso e non estendibile di situazioni; nessuno può oggi un proprio atto di volontà costituire una proprietà collettiva o trasferire ad essa degli immobili: le proprietà collettive sono nate in un mondo diverso e inconciliabile col nostro e quelle che oggi residuano sono solo quelle che, per i motivi detti, sono riuscite a sopravvivere; un regime di esenzione per queste situazioni proprietarie sarebbe quindi circoscritto per definizione e non potrebbe dare mai luogo ad abusi; 2. molte proprietà collettive, dopo le modifiche importate dal decreto semplificazione sono già in una situazione di pratica esenzione dall'imposta, per essere nella titolarità di beni montani, quindi già esentati dall art. 7 1 co del d.lgs. 504/92; l'unico gettito cui si rinuncerebbe è quindi solo quello

9 relativo alle proprietà collettive di beni agricoli in zone non montane, sanando in tal modo un ulteriore contraddizione della legge. 8. Il gettito ICI e quello IMU per le proprietà collettive agricole. Un confronto. Presentiamo di seguito una tabella di raffronto tra carico ICI e IMU limitato alle Partecipane emiliane, alle Università agrarie laziali, al Consorzio Uomini di Massenzatica e alla Comuna di Grignano Polesine, tutte proprietà collettive agricole che assegnano turnariamente o affittano i fondi ai partecipanti. Le cifre dell IMU sono al netto delle addizionali comunali; il bilancio definitivo è destinato pertanto a essere maggiore. ENTE IMPORTO ICI 2011 imu 2012 % AUMENTO PARTECIPANZA VILLAFONTANA PARTECIPANZA SAN GIOVANNI PARTECIPANZA SANT'AGATA PARTECIPANZA NONANTOLA PARTECIPANZA PIEVE PARTECIPANZA CENTO CONSORZIO UOMINI MASSENZATICA COMUNA GRIGNANO UNIVERSITA' AGRARIE laziali totale In tutti i casi l esborso per le proprietà collettive e di riflesso per i partecipanti è doppio rispetto a quanto sostenuto con l ICI. In un panorama che vede l abbattimento costante dei margini in agricoltura e a fronte dell inalienabilità del bene, un simile carico costituisce un problema insolubile per le proprietà collettive, tale da comprometterne la sopravvivenza, per le ragioni già illustrate.

10 Allo stesso tempo si tratta di un gettito totale di importo limitato, a fronte del quale occorre considerare il capitale sociale creato dalle proprietà collettive agricole, sia per il territorio sul quale insistono, per il quale producono reddito distribuito, sia per lo Stato, cui fanno risparmiare cifre assai più importanti, custodendo un equilibrio ambientale antichissimo.

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