ENOGASTRONOMIA NELLE MARCHE. Dott.ssa Vitali Veronica

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1 ENOGASTRONOMIA NELLE MARCHE Dott.ssa Vitali Veronica

2 GEOGRAFIA Le Marche confinano con l'emiliaromagna, la Repubblica di San Marino, la Toscana, l'umbria, il Lazio e l'abruzzo. Misurano km quadrati per circa un milione e quattrocentocinquantamila abitanti. La regione ha forma di un quadrato allungato ed è montuosa per circa un terzo della sua superficie; il territorio restante è occupato dalla fascia collinare preappenninica, con solo poche e piccole pianure localizzate lungo le basse valli alluvionali dei principali corsi d'acqua e la fascia costiera. Sono individuabili tre fasce.

3 Le principali vette sono il Nerone (1525 m), il Fema (1575 m), il Cavallo (1500 m), il Catria (1701 m), il Priore (2332 m), il Porche (2235 m), il Vettore (2476 m)e il Carpegna (1415 m).fra i valichi Appenninici si ricordano: il Bocca Trabaria (1049 m), il Bocca Serriola (730 m) e il Passo della Scheggia (575 m).

4 Le catene appennininiche sono seguite da una fascia collinare subappenninica incisa da declivi vallivi perpendicolari che degradano fino alla costa. La quasi totalità dei corsi d'acqua marchigiani è tributaria dell'adriatico; solo le sorgenti del Nera, ubicate presso i Monti Sibellini, confluiscono nel Tevere e, quindi, nel TirrenoL'unico lago naturale è il Pilato.

5 Fra le acque minerali, la più nota è quella di Acquasanta, a carattere solfureo-salso-bromo-iodico. Il clima è spiccatamente continentale, con carattere temperato marittimo lungo il litorale. La media estiva è gradi; quella invernale 3-8 gradi. Le precipitazioni sono irregolari: si oscilla fra i 600 mm/anno costieri ai circa 1400 mm/anno delle aree Appenniniche. La regione è sismicamente attiva, soprattutto lungo il sovrascorrimento fra le successioni carbonatiche e le sequenze terrigene dell'avanfossa, localizzate lungo il limite tra Appennino e SubAppennino..

6 Le Marche sono state interessate negli ultimi decenni da radicali cambiamenti economici. Ancora agli inizi degli anni Sessanta del Novecento il 75% del reddito prodotto derivava dalle attività agricole, con un agricoltura e un allevamento misti destinati perlopiù all autoconsumo (frumento, vite; bovini, suini), che occupavano due terzi della popolazione e avevano basse redditività. Dominava, inoltre, la mezzadria. Nelle zone di montagna, per dare maggiori possibilità di sostentamento alla popolazione, era ancora diffusa la pratica della comunanza del legnatico, cioè la possibilità di sfruttare i boschi in comune. Le produzioni agricole a loro volta alimentavano molini e piccole industrie alimentari. La presenza di un argilla particolare forniva inoltre la materia prima per la produzione di ceramiche di alta qualità; dai boschi si ricavava legname, dal bestiame pelli per calzature. Ancona aveva un cantiere navale, mentre Castelfidardo (in provincia di Ancona) era la piccola capitale delle fisarmoniche.

7 Il turismo era pressoché inesistente. Insomma, in termini complessivi, le Marche costituivano, agricoltura a parte, un area depressa. Nel giro di pochi decenni si sono verificate trasformazioni profonde nei modi di vivere e di produrre. Il reddito medio annuo pro capite ( euro) si distacca nettamente dal resto dell Italia peninsulare, Lazio a parte. L agricoltura marchigiana, che in vaste aree ha conosciuto estesi processi di razionalizzazione produttiva, ha ancora un ruolo importante. Ma è soprattutto l industria, caratterizzata da una molteplicità di piccole e piccolissime aziende, spesso anche dal lavoro part-time (gli addetti uniscono l attività in fabbrica a quella dei campi), a fornire oggi, insieme con il turismo, quasi unicamente balneare, la principale fonte di reddito della popolazione e a condizionare i modi di vita. Nel 2004 il prodotto interno lordo marchigiano fu di milioni di euro.

8 Come in altre regioni dell Italia centrale, e soprattutto in Toscana, anche nelle Marche la conduzione dei fondi agrari si è basata per secoli sulla mezzadria, organizzazione di origine medievale imposta dai proprietari borghesi nelle campagne: il mezzadro, coadiuvato nel lavoro dei campi dall intera famiglia, cedeva al proprietario terriero metà del raccolto, e ne otteneva in cambio il diritto a vivere nella casa colonica e a essere rifornito di sementi e attrezzi. La scomparsa della mezzadria, a partire dalla metà degli anni Sessanta, ha innescato una serie di grandi mutamenti.

9 Le Marche sono un punto d incontro delle grandi culture e tradizioni gastronomiche del Nord e del Sud Italia, completamente diverse tra loro, e di conseguenza la cucina marchigiana ha caratteristiche particolari e di notevole interesse. L enogastronomia nasce dal territorio, e il paesaggio marchigiano è estremamente vario, costituito da pianure intensamente coltivate e abitate, una linea costiera in alcuni tratti di grande interesse naturalistico, montagne spesso selvagge, ma soprattutto da una ampia area collinare costituita da un mosaico di campi coltivati. La regione Marche può offrire dunque una molteplicità di prodotti tipici locali con caratteristiche diverse, che si possono apprezzare al meglio anche divertendosi visitando le numerose sagre enogastronomiche organizzate ovunque nella regione e durante tutto l anno.

10 In questi ultimi anni, le Marche hanno impostato la promozione della propria immagine sul fatto di essere l unica regione italiana al plurale. Al plurale per la grande diversità che caratterizza il territorio come la popolazione, la cultura come le attività economiche, il folklore come le tradizioni. Il patrimonio enogastronomico regionale è senza dubbio l emblema delle Marche al plurale e in particolare lo sono i 150 prodotti tradizionali presenti in questa regione. Si tratta di prodotti diversissimi tra loro sia come storia che come dimensione produttiva. Tutti i cittadini delle Marche devono infatti sentirsi eredi di una grande ricchezza e allo stesso tempo custodi di quella che possiamo definire l identità marchigiana.

11 La storia delle tradizioni marchigiane è la storia di un territorio incredibilmente vario nella sua pur limitata estensione. Contaminazioni di ogni tipo si sono intrecciate nei secoli senza elidersi, ma generando dalla loro commistione nuove tradizioni e nuovi modelli di vita. Come l aggettivo marchigiano può essere utilizzato solo con una connotazione territoriale, così, nell agricoltura, nell allevamento, nella cucina, in genere in ogni attività umana, assistiamo ad una esplosione di differenti modelli che prima di marchigiani sono feltreschi, piceni, esinati, etc; o ancora meglio, urbinati, fanesi, maceratesi, moglianesi, vissani, etc. Il risultato è una irripetibile densità di tradizioni, difficilmente catalogabili e tutte estremamente vive; tradizioni che rendono le Marche il più moderno esempio di come diversità e tolleranza generino benessere e alta qualità del vivere.

12 Durante tutta la sua storia questo territorio è stato considerato un granaio per la coltura dei cereali, e ancora oggi moltissime aziende agricole tramandano antiche tradizioni cerealicole grazie anche a tecniche di coltivazione biologica.

13 I MARCHI DI TUTELA

14 I Marchi di tutela hanno la funzione di tutelare una serie di prodotti agroalimentari, favorendo la diversificazione della produzione agricola e lo sviluppo dell economia rurale. Nei confronti del consumatore sono utili ad assecondarne la domanda di prodotti di qualità fornendogli un informazione più completa e tutelandolo da contraffazioni; nei confronti dei produttori assicurano, nell ambito delle produzioni comunitarie, legate alle origini geografiche, le medesime condizioni di concorrenza. Il regolamento UE n. 510/2006 ed il relativo regolamento applicativo n.1898 /2006 ha consentito la registrazione, in sede comunitaria, di numerose denominazioni di origine ed indicazioni di provenienza geografica nazionali per diversi prodotti agroalimentari assicurando a loro favore una tutela completa, sotto il profilo giuridico, all'interno di tutti i Paesi della Comunità europea.

15 I marchi di tutela attualmente riconosciuti sono:

16 DOP Denominazione di origine protetta

17 La Denominazione di origine protetta (DOP) è un marchio di qualità che serve a tutelare il legame imprescindibile che alcuni prodotti alimentari hanno con il loro territorio di produzione. Questo legame riguarda sia fattori naturali (clima e caratteristiche ambientali) sia fattori umani (tradizioni e tecniche di lavorazione) capaci di attribuire agli alimenti delle peculiari caratteristiche qualitative che non avrebbero se venissero prodotti in altre aree. Oltre al legame con l area geografica, per ottenere il marchio Dop, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono seguire rigide regole stabilite nel disciplinare di produzione, il cui rispetto è garantito dall'organismo di controllo.

18 IGP Indicazione geografica protetta

19 L Indicazione geografica protetta (IGP) è il marchio di qualità che viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità o altre caratteristiche specifiche dipendono dall'origine geografica dell alimento e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avviene in un'area geografica determinata. Il processo produttivo degli alimenti Igp deve seguire, per legge, le rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, il cui rispetto è assicurato dall'organismo di controllo.

20 DOP E IGP Quali sono le differenze tra due marchi di tutela dei prodotti tipici del territorio italiano: il DOP e l IGP. Potrebbero avere delle caratteristiche comuni e quindi confondere le due tipologie di questi due marchi di qualità. Penso che sia utile chiarire che D.O.P. e I.G.P. sono marchi di qualità rilasciati dall Unione Europea su proposta del Ministero delle politiche agricole e forestali, a seguito di una istruttoria preliminare molto accurata che esamina la domanda di riconoscimento presentata da una associazione di produttori. D.O.P. e I.G.P. sono marchi europei che identificano dei prodotti che possiedono caretteristiche peculiari legate da comprovate origini storiche al determinato territorio indicato nella denominazione, e dalla accurata e precisa applicazione di un disciplinare di produzione, I produttori hanno l impegno di sottoporsi al costante controllo di un ente terzo di certificazione.

21 Ecco la differenza tra il marchio DOP e l IGP Nel caso della D.O.P., tutto il processo produttivo e la commercializzazione del prodotto, hanno origine nel territorio dichiarato. Nel caso della I.G.P., non tutti i fattori che concorrono all ottenimento del prodotto provengono dal territorio indicato. Il territorio dichiarato nella denominazione conferisce al prodotto, le sue caratteristiche peculiari, attraverso alcune fasi o componenti della produzione o elaborazione o trasformazione. Per chiarire ulteriormente un esempio di D.O.P. è il formaggio parmigiano reggiano che viene prodotto da latte vaccino nel rispetto di un rigido disciplinare solo nelle province di: Parma; Reggio Emilia; Modena; Bologna (a ovest del Reno); Mantova (a sud del Po). Il latte proviene da allevamenti ubicati in queste province e tutte le fasi di trasformazione e elaborazione di questo formaggio si svolgono in questo ambito territoriale.il basilico genovese DOP identifica un basilico che viene prodotto nella fascia costiera della Liguria e che presenta un tenore di transalfabergamottene, responsabile del gusto mentolato del basilico, inferiore all 1%.

22 Un esempio di IGP è la Breasola della valtellina le cui caratteristiche peculiari derivano dalla elaborazione che è svolta nella tradizionale zona di produzione, che comprende l intero territorio della provincia di Sondrio. La Breasola della valtellina è prodotta esclusivamente con carne ricavata dalle cosce di bovino dell età compresa fra i due e i quattro anni. Queste carni possono provenire da animali allevati in altre zone al di fuori della provincia di Sondrio. Per esempio la bresaola valtellinese IGP è ottenuta da bovini brasiliani/argentini lavorati in Valtellina. IGP è il lardo di Colonnata oppure la mortadella di Bologna. Tutti i provvedimenti relativi al conferimento o all esclusione dal marchio di tutela sono presi con decreto ministeriale.

23 STG Specialità Tradizionale Garantita

24 La Specialità Tradizionale Garantita (STG) è il marchio di qualità che viene attribuito a prodotti agricoli e alimentari per i quali vengono utilizzate le definizioni di specifico e tradizionale. Specificità: è l elemento o l insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi, appartenenti alla stessa categoria. Tradizionale:corrisponde all'uso di un prodotto, sul mercato comunitario, attestato da un periodo di tempo che denoti un passaggio generazionale; questo periodo dovrebbe essere all'incirca corrispondente a quello di una generazione umana, cioè di almeno 25 anni. Un esempio é la pizza napoletana.

25 Curiosità: l'italia attualmente vanta il primato europeo tra i prodotti DOP, IGP e STG.

26 DOC Denominazione di origine controllata

27 La Denominazione di origine controllata o DOC è un marchio di origine italiano che viene assegnato ai vini di qualità per certificare la particolare zona di origine dell uva con cui il vino è prodotto.

28 DOCG Denominazione di origine controllata e garantita

29 La Denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) è il marchio assegnato ai vini Doc di "particolare pregio qualitativo" che rivestono un prestigio nazionale ed internazionale. I vini Docg sottostanno a controlli ancora più rigorosi, devono essere venduti in contenitori inferiori a 5 litri e recano un contrassegno che indica lo Stato che attribuisce la garanzia dell'origine, la qualità e che consente di numerare le bottiglie.

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31 IGT INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA

32 L'Indicazione geografica tipica (IGT) viene assegnata ai vini posizionati ad un livello inferiore rispetto ai vini Docg e Doc e corrisponde a vini prodotti in aree geografiche generalmente ampie. Il marchio Igt può essere accompagnato o meno da menzioni (ad esempio del vitigno) e prevede dei requisiti di produzione meno restrittivi di quelli richiesti per i vini Doc e Docg.

33 Marchio Biologico Agricoltura Biologica

34 Il Marchio Biologico contraddistingue quegli alimenti per i quali, il processo di lavorazione non prevede l'utilizzo di pesticidi e fertilizzanti ed avviene con tecniche di coltivazione e allevamento rispettose dell'ambiente. La fertilizzazione del terreno viene praticata mediante la rotazione delle colture e l'utilizzo di concimi organici e minerali naturali mentre, per difendere i raccolti dai parassiti si adoperano prodotti non nocivi all'ambiente. I prodotti provenienti dall agricoltura biologica sono disciplinati dal regolamento Cee 2092/91 e sono sottoposti a un rigido sistema di controlli, stabilito per legge, che ne verifica la conformità a specifiche regole produttive. Sull'etichetta, insieme alla dicitura Da agricoltura biologica, compare il nome dell organismo di controllo, l autorizzazione ministeriale e una serie di lettere e cifre che sono la carta d identità del prodotto e del produttore.

35 I PRODOTTI TIPICI DEL NOSTRO TERRITORIO

36 BOVINI DI RAZZA MARCHIGIANA

37 Origine e zona di diffusione E' stata riconosciuta come entità etnica soltanto in epoca relativamente recente. E' derivata dall'incrocio di bovini Marchigiani di ceppo Podolico non migliorati (un tempo impiegati per i lavori agricoli) con soggetti di razza Chianina e, successivamente, dall'unione delle bovine meticce Chianine-Marchigiane) con tori di razza Romagnola. Solo nel 1932 ha avuto inizio un'accurata selezione che ha portato la razza Marchigiana al "tipo" attuale. E' la terza razza da carne in Italia. Allevata soprattutto nelle Marche e nelle regioni limitrofe (Abruzzo, Molise, Campania). Allevata soprattutto al pascolo. Ottima adattabilità al pascolo in diverse condizioni perché ottima utilizzatrice dei foraggi e resistente alle malattie ed agli ectoparassiti. L'Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani Carne A.N.A.B.I.C. gestisce, dal 1966, i libri genealogici delle razze bianche italiane (Chianina, Romagnola, Marchigiana, Maremmana, Podolica).

38 Caratteristiche morfologiche Colore mantello grigio quasi bianco in entrambi i sessi. Nei maschi presenza di peli grigi nel treno anteriore e attorno agli occhi (occhialatura). I vitelli dalla nascita a 4-6 mesi sono fromentini. Mucose e cute pigmentate nere. Corna medio-corte e grossolane, nere in punta. Buona conformazione per la produzione di carne. Razza più piccola della Chianina ma con pesi analoghi (arti più corti e maggiore sviluppo masse muscolari). Arti e unghioni molto forti (caratteristiche importanti per il lavoro).

39 RAZZA MARCHIGIANA RAZZA CHIANINA RAZZA ROMAGNOLA

40 LAVORAZIONE DEL MAIALE

41 PORCHETTA

42 La porchetta è un piatto tipico dell'italia centrale. Consiste in un maiale intero, svuotato disossato e condito all'interno con sale, pepe, erbe aromatiche e arrostito in forno. La porchetta si consuma tagliata a fette come secondo piatto oppure fuori pasto in panini imbottiti. É d'obbligo nelle cosiddette merende in cantina tipiche delle zone di produzione vinicola. Il suo consumo è favorito dai venditori ambulanti che si recano dov'è previsto un notevole flusso di persone (feste paesane, sagre, fiere, mercati, concerti, raduni).

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45 PROSCIUTTO DI CARPEGNA

46 Cenni storici Le prime testimonianze documentali relative alla produzione di prosciutti nel comune di Carpegna in provincia di Pesaro-Urbino risalgono al 1400 ed attestano l importanza che tale produzione aveva per l economia locale. Il territorio di Carpegna è caratterizzato da una totale assenza di insediamenti industriali inquinanti e da un assoluta dominanza di pascoli naturali, distese di boschi di conifere e latifoglie ad alto fusto, presenza di specie floreali ed arbustive rarissime che vegetano proprio nei climi sani e carenti di umidità. Proprio grazie a questa sua particolarità, il territorio di Carpegna ha costituito per secoli l ambiente ideale per l allevamento di suini allo stato brado, e questo unico ed irripetibile microclima, unito all alimentazione degli animali basata su ghiande ed altri prodotti selvatici, ha da sempre conferito alle carni di questi maiali un sapore dolce e profumato, favorendo la nascita di una tradizione di salatura delle carni.

47 Preparazione Le cosce devono pesare almeno 12 kg. dapprima vengono rifilate e pressate per eliminare il sangue residuo, vengono poi cosparse di sale grosso e lasciate sgrondare su delle tavole inclinate, per un periodo di circa tre settimane. Si procede quindi alla pulitura e lavatura con vino bianco, poi all'asciugatura e all'aromatizzazione con pepe. Nella parte non protetta dalla cotenna si applica la sugnatura, con strutto mescolato a farina e pepe. La stagionatura successiva ha la durata di un anno. Il prosciutto si deve presentare compatto, dal sapore delicato, non molto pronunciato e dall'aroma fragrante.

48 Il prosciutto di Carpegna è tutelato dal marchio DOP quindi deve sottostare a un disciplinare di produzione. Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del "Prosciutto di Carpegna" debbono essere situati nel territorio delle regioni Lombardia, Emilia Romagna e Marche. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti di Parma e S. Daniele. I suini debbono essere di peso non inferiore ai 160 kg, di età non inferiore ai dieci mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano. Le cosce fresche non devono essere inferiori a 12 Kg e devono essere consegnate entro 96 ore dalla macellazione. L'elaborazione del "Prosciutto di Carpegna" deve avvenire nella zona tradizionalmente vocata del Comune di Carpegna (provincia di Pesaro-Urbino, regione Marche). Il regime climatico dell'area di elaborazione del "Prosciutto di Carpegna" è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente collegato all'andamento meteorologico caratteristico ed alle particolari condizioni ambientali.

49 Salame di Fabriano

50 È un salame pregiato, tradizionalmente confezionato con carni magre suine finemente tritate, con l'aggiunta di lardelli cubettati. La concia usata è leggera, non eccessivamente aromatica. Insaccato in un budello di manzo o suino, ha forma allungata e sottile, di dimensioni e peso non costanti. Durante la prolungata stagionatura sul budello si sviluppano muffe. Di gusto pepato, viene servito tagliato a fette piuttosto spesse. Il salame di Fabriano è un prodotto tipico della tradizione Marchigiana con particolare riferimento alla zona di produzione geograficamente individuata dai seguenti comuni: Fabriano, Arcevia Cerreto D esi, Genga, Serra San Quirico, Sassoferrato (AN), Matelica, Esanatoglia, (MC), Serra S Abbondio, Frontone, Pergola (PU), Pioraco e Fiuminata.

51 UN PO' DI STORIA Nel 1877 il prodotto tipico Fabrianese approda all interno della tradizione popolare della città marchigiana per opera di Oreste Marcoaldi, autore di Usanze e pregiudizi, I vocaboli più genuini del vernacolo, Canti e proverbi del popolo Fabrianese ; in un suo dizionarietto, all unica voce salsiccione, salame, si afferma che il salame è una specialità Fabrianese, come di Bologna è la mortadella, di Modena lo zampone. A conferma di ciò e della fama raggiunta dal salame di Fabriano si legge, in una lettera di ringraziamento di G. Garibaldi all amico Fabrianese Benigno Bignonzetti datata 1881, che il generale ringrazia per i tanto buoni salami ricevuti, facendo riferimento a salami confezionati con carne suina interamente magra, tolto cioè grasso e nervi, pesta sottilissimamente, aggiuntovi centoventi lardelli, ventiquattro a forma di dadi, condita con sale e pepe nero.

52 Età di macellazione del suino mesi. Utilizzo di parti pregiate e di prima qualità derivati dalla spalla e dalla coscia. Il grasso rappresenta una percentuale di circa 8-12%. L'impasto è condito con 26-29g di sale per chilo di prodotto pepe nero in polvere e in grani e vino bianco. I salumi confezionati nel budello vengono appesi senza contatti e lasciati riposare per un periodo di 2-3 giorni in appositi locali riscaldati a fuoco lento per l'asciugatura delle parti acquose che il budello può aver assunto nella fase di lavaggio. Infine il salame passa nei locali di maturazione dove resta per circa tre mesi a una temperatura di 14 C e umidità di circa 80%.

53 CIAUSCOLO

54 PECULIARITA' DISTINTIVE Il Ciauscolo è conosciuto per la propria caratteristica di spalmabilità che lo contraddistingue con decisione dagli altri insaccati. Infatti, rispetto a tutti gli altri salumi, il Ciauscolo non viene affettato ma viene spalmato sul pane o altri prodotti simili e tale pregiata caratteristica è strettamente correlata alla particolare composizione dell impasto di carne che possiede una significativa presenza di grasso, alla macinatura di tipo fine, alle specifiche tecniche di lavorazione. Altra caratteristica che rende il Ciasuscolo facilmente distinguibile agli occhi del consumatore, è la consistenza morbida che lo fa risultare cedevole al tatto. Al taglio la fetta si presenta di colore roseo, uniforme ed omogenea, esente da frazioni rancide. Il profumo è delicato, aromatico, tipico, deciso e speziato e al gusto risulta sapido e delicato mai acido.

55 CENNI STORICI Le consolidate tecniche di lavorazione, conservazione e stagionatura del Ciauscolo sono direttamente riconducibili alla sapiente tradizione delle popolazioni contadine e rurali del territorio Piceno. La macellazione e la lavorazione tecnica del maiale, infatti, sono sempre stati momenti di socializzazione tra le famiglie ed i vicini, nonché un motivo di scambio tra gli stessi e di regalie da parte del mezzadro al proprietario del fondo. La stessa mattazione domestica del maiale e la successiva lavorazione hanno da sempre rappresentato un tradizionale evento stagionale invernale.

56 Secondo la definizione etimologica del nome ciaùscolo, ciavuscolo deriverebbe da ciabusculum ossia piccolo cibo o piccolo pasto, spuntino consumato a piccole dosi, fedelmente con la tradizione contadina, negli intervalli tra la colazione ed il pranzo e tra il pranzo e la cena. Lo stesso dizionario Zingarelli della lingua italiana fa risalire l etimologia del nome al 1939 e lega il prodotto alle tradizioni della regione Marche. Vari documenti storici dimostrano l uso tradizionale della denominazione Ciauscolo e testimoniano la presenza da più secoli di questo prodotto nel territorio delimitato. In un estratto dei Prezzi dei generi dell ottobre del 1851 contenuto nell Archivio Notarile del comune di Camerino tra i vari prodotti elencati si cita anche il Ciauscolo con il relativo prezzo. La delimitazione della zona di produzione della IGP coglie la tradizionalità del ciauscolo e la sua diffusione nelle famiglie contadine. Nell azienda agricola i coloni, sempre residenti nell azienda stessa, allevavano i suini per le necessità della famiglia e della proprietà. La particolarietà climatica del territorio che ha una preminenza continentale specialmente nei territori alto collinari e montani; infatti i freddi inverni influenzano positivamente la stagionatura e quindi la serbevolezza della qualità del prodotto.

57 DISCIPLINARE DI PRODUZIONE Proteine minimo 14% Grasso compreso tra 30 e 45% I tagli di carne suina costituenti l'impasto sono la pancetta, la spalla e rifilature di prosciutto e di lonza. Sono aggiunti i seguenti ingredienti: sale, pepe nero macinato, vino, aglio pestato. È consentita, nei limiti massimi previsti dalla legge, l aggiunta di lattosio, destrosio, fruttosio, saccarosio. Tra gli additivi aventi funzione conservante ed antiossidante è ammesso l utilizzo, nelle dosi di impiego consentite dalla legge, di acido Lascorbico (E300), ascorbato di sodio (E301), nitrato di potassio (E252). È espressamente vietato l uso di farine lattee, caseinati e altre sostanze coloranti. Le parti di suino destinate alla produzione del CIAUSCOLO I.G.P., conservate in celle frigorifere igienicamente protette e conformi alle vigenti normative igienico sanitarie, potranno essere utilizzate non prima che siano trascorsi due giorni dalla loro macellazione e comunque non oltre il decimo giorno dalla macellazione, al fine di ottenere il giusto grado di frollatura.

58 -La lavorazione dell impasto di carne e di tutti gli ingredienti, aromi e spezie consentiti può essere effettuata sia a mano sia a macchina. -Prima dell operazione di insaccatura è ammesso far riposare l impasto, in ambiente refrigerato, per periodo non superiore alle 24 ore. Il prodotto deve essere insaccato in budello naturale di maiale o di bovino. -Nel corso della fase di asciugatura, il prodotto, appeso a mezz aria su apposite strutture, è sottoposto ad una preliminare fase di asciugatura che varia dai 4 ai 7 giorni al fine di consentire una rapida disidratazione delle frazioni superficiali. -Al termine di tale fase è ammesso un trattamento di affumicatura, nel rispetto delle normative igienico-sanitarie vigenti. -Durante la successiva fase di stagionatura, il prodotto dovrà sostare, per un periodo minimo di 15 giorni, in appositi locali con temperatura variabile fra 8 e 18 C e con un tasso di umidità compreso fra il 60% e 85%.

59 FESTA DEL NINO SANT'ANDREA DI SUASA

60 Casciotta di Urbino

61 Un po' di storia Per tutta la vita com è noto, Michelangelo ebbe a che fare con gente di Casteldurante. In particolare i legami affettivi più profondi li strinse con Francesco Amatori (detto l Urbino) e con la consorte di lui Cornelia Colonnelli. Alla morte dell Amatori la moglie Cornelia con i suoi figli (figliocci di Michelangelo), ritornò a Casteldurante. A questo punto tra Cornelia e Michelangelo iniziò una corrispondenza costante. Quasi sempre poi le missive erano accompagnate dall invio, all illustre artista, di casciotte di guaimo. E presumibile pertanto che il formaggio venisse molto apprezzato da Michelangelo e in particolare quello poco stagionato. Francesco Amatori fu uno dei più stretti collaboratori di Michelangelo: per i lavori effettuati nell affresco del Giudizio Universale della Cappella Sistina, la tesoreria pontificia versava quattro scudi al mese.

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63 La preparazione della casciotta avviene nelle campagne del pesarese oggi come ieri, secondo l usanza che affida alla donna il compito della preparazione del formaggio, come all uomo viene da sempre affidato il compito di macinare il grano. Sulla base di una immemorabile tradizione il latte appena munto, veniva posto in recipienti di terracotta e poi filtrato su di un setaccio di cotone a maglia rada. Nel contempo veniva preparato il caglio stemperando in acqua tiepida una piccola parte del latte.

64 Era la persona femminile più anziana, la nonna, che prendeva l intestino di un agnello (10-20 kg), e, dopo opportuno e accurato lavaggio, a mo di salame, lo riempiva con del latte e posto a maturazione per mesi. A tale periodo il quaio assumeva la consistenza tipica del formaggio. Per assicurare una buona omogeinizzazione del latte nell intestino dell agnello e in virtù della qualità della preparazione del formaggio, venivano utilizzati due piccoli ramoscelli senza foglia della palma benedetta. La buona maturazione del quaio era infatti una garanzia di sana riuscita del processo di caseificazione. Questo felice connubio tra la produzione del latte qualitativamente eccellente e la paziente e scrupolosa semplicità della caseificazione si tramutava, pertanto, in uno squisito alimento a cui, molto verosimilmente, Michelangelo non doveva resistere.

65 Disciplinare di produzione La vera Casciotta d Urbino è prodotta esclusivamente nel territorio della provincia di Pesaro-Urbino, secondo tecniche casearie di radici antiche, consolidate nei secoli, rigidamente regolamentate. La D.O.P. sancisce che la Casciotta d Urbino è un prodotto le cui caratteristiche organolettiche e merceologiche derivano prevalentemente dalle condizioni ambientali e dalle consuetudini di fabbricazione esistenti nella zona di produzione.

66 La Casciotta d Urbino è formaggio grasso a pasta semicotta, ottenuto con latte di pecora intero in misura variabile da un minimo del 70 ad un massimo dell 80%, e di latte di vacca intero per il restante 20-30% proveniente da due mungiture giornaliere. Il latte è coagulato ad una temperatura di 35 C circa con caglio liquido e/o in polvere. Il formaggio viene sottoposto ad una pressatura manuale con tecnica caratteristica, in stampi idonei. La salatura viene effettuata a secco, ovvero alternando la salamoia alla salatura a secco. Il periodo di maturazione previsto è di giorni in ambienti a temperatura di C e con umidità di 80-90%.

67 Formaggio di fossa

68 Un po' di storia Secondo una leggenda la speciale lavorazione del formaggio di fossa sarebbe nata puramente per caso. Pare infatti che nel 1486 Alfonso d'aragona, sconfitto dai Francesi, avesse ottenuto l'ospitalità di Girolamo Riario, signore di Forlì. Ma le risorse del forlivese non consentirono a lungo il sostentamento delle truppe, che presto cominciarono a depredare i contadini dei dintorni. Questi, per difendersi, presero l'abitudine di nascondere le provviste nelle fosse. A novembre, una volta partiti gli eserciti e finite le scorrerie, le dissotterrarono e scoprirono che il formaggio aveva cambiato le proprie caratteristiche organolettiche.

69 Il processo necessario per ottenerlo è lungo e laborioso. In osservanza al rigido Disciplinare di produzione, il formaggio di partenza, già parzialmente stagionato, deve provenire esclusivamente da latte ovino, vaccino o misto di alta qualità, proveniente da allevamenti dei territori collinari e montani delle Marche e della Romagna. Le forme vengono deposte in antiche fosse a forma di fiasco, scavate nella roccia arenaria per una profondità di circa tre metri.

70 Si distinguono quattro fasi di produzione: preparazione, infossatura, stagionatura e sfossatura. La preparazione della fossa consiste nel bruciarvi paglia all'interno, per togliere l'umidità accumulata; in tal modo si ha una sorta di sterilizzazione contro germi che potrebbero nuocere ad una normale fermentazione. Si passa poi al rivestimento delle pareti per isolare il tufo, con uno strato di circa dieci centimetri di paglia sostenuta da un'impalcatura di canne verticali, legate orizzontalmente da cerchi di legno; sul fondo vengono sistemate tavole di legno.

71 Segue l'infossatura del formaggio, chiuso in sacchetti di panno (preferibilmente bianco) sui quali i proprietari delle fosse avevano precedentemente apposto due numeri: il primo corrispondente al proprietario, il secondo al peso. I sacchetti vengono accatastati fino all'imboccatura della fossa, che viene poi riempita e coperta con teli atti ad evitare al massimo la traspirazione; viene chiusa tramite l'apposizione di un coperchio di legno sigillato con gesso. Normalmente si effettuano due infossature all'anno, una primaverile ed una estiva.

72 Una volta sigillato il coperchio, comincia la stagionatura, che avviene in particolari condizioni di temperatura ed umidità. La stagionatura dona al formaggio un gusto forte ed un aroma intenso, gli conferisce una maggiore digeribilità e migliori caratteristiche nutritive. Causa inoltre una perdita di siero e di grasso, e mediante la compressione dovuta al peso fa perdere a gran parte dei formaggi la loro forma rotonda. Ha una durata di circa 90 giorni.

73 Si procede alla sfossatura, che consiste nel rimuovere i materiali posti a copertura della fossa e nel prelevare dall'interno i sacchetti di formaggio. Una volta concluse le operazioni di sfossatura, le fosse devono osservare un periodo di riposo della durata di tre mesi. L'apertura tradizionale delle fosse si svolge il 25 novembre, giorno di S. Caterina d'alessandria, martirizzata all'inizio del IV secolo.

74 Anticamente era questa una ricorrenza molto sentita dalla popolazione soglianese, appartenente in prevalenza al ceto contadino. Terminata la raccolta dei frutti autunnali e la semina, conclusi i riti della vinificazione e della spremitura delle olive, gli agricoltori si preparavano alla sospensione invernale del lavoro campestre. Nel giorno di S. Caterina i contadini venivano in paese a ritirare il poco formaggio affidato alle fosse durante l'estate ed in tal modo potevano far fronte alle ristrettezze dell'inverno. In questo periodo, nelle ultime due domeniche di novembre e nella prima domenica di dicembre, ha luogo la caratteristica Fiera del Formaggio di Fossa, che attira ogni anno migliaia di visitatori.

75 La fossa trasforma le caratteristiche organolettiche del formaggio, sino ad ottenere un prodotto finale dall'aroma e dal gusto straordinari ed inconfondibili. Oltre ad avere un ottimo sapore, il fossa risulta inoltre facilmente digeribile per l'assenza di lattosio e perché le componenti proteiche e lipidiche risultano scisse in forme più semplici. Il gusto deciso del formaggio di fossa, ricco di sentori erbacei, ben si accompagna con quello dolce del miele, del savor, dei fichi caramellati o delle marmellate; gradevole è anche l'abbinamento con l'aceto balsamico tradizionale di Modena. Si utilizza nella preparazione di primi piatti, ad esempio cappelletti, passatelli e gnocchi; grattugiato o a scaglie diventa un ottimo condimento per pietanze, quali il carpaccio e la costata di manzo. I vini più adatti ad accompagnarlo sono i rossi pregiati corposi, come un buon Sangiovese, o i vini passiti. Si conserva in frigorifero anche per diverse settimane, avvolto in un panno, a sua volta chiuso in un sacchetto di carta.

76 OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA DI CARTOCETO

77 Quest olio, oggi prodotto Dop, è poco conosciuto al di fuori della zona di produzione; ha un ottima qualità grazie al microclima del posto, particolarmente favorevole a questa coltura, mitigato dalla presenza del mare e protetto dai venti freddi grazie ai rilievi appenninici. In virtù di tali caratteristiche ambientali, cui si aggiungono quelle specifiche delle cultivar utilizzate, si ottiene un olio gentile, tendente al dolce, senza spunti piccanti e perfetto per accompagnare una cucina garbata e costituita da sapori delicati. Le varietà coltivate sono principalmente il leccino, il frantoio, la ragiola, il pensolino e il moraiolo, utilizzate separatamente o attraverso una sapiente miscelatura nella preparazione dell olio.

78 Le olive sono raccolte rigorosamente a mano o attraverso la pettinatura meccanica, mentre è bandita la bacchiatura, ovvero lo scuotimento dei rami con bastoni, tecnica che può danneggiare la struttura dell oliva. Il suo colore è verde intenso, con odore fruttato e gusto armonico. L olio di Cartoceto, detto anche l oro delle Marche, è particolarmente adatto su crostini di pane, come condimento di piatti a base di pesce o verdure, ma anche per condire le carni, meglio se cotte in modo semplice e prive di intingoli o rosolature.

79 Annualmente a novembre Cartoceto dedica al suo prodotto una frequentatissima Mostra mercato dell Olio Dop che attira moltissimi visitatori anche da lontano e dove, oltre all olio, trovano i numerosissimi prodotti tipici del Montefeltro e delle Marche.

80 IL TARTUFO Nelle Marche la provincia di Pesaro Urbino è forse la provincia tartufigena con la migliore vocazione in Italia. Qui si trovano tutte le specie di tartufo commercialmente più importanti.

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85 I tartufi appartengono alla famiglia delle tuberacae, hanno il corpo fruttifero ipogeo, ovvero sotterraneo e crescono spontaneamente nel terreno accanto alle radici di alcuni alberi o arbusti, in particolare querce e lecci con i quali stabiliscono un rapporto simbiotico. Per tartufo si intende solo il corpo fruttifero ipogeo, che viene individuato con l'aiuto di cani. Il tartufo è un alimento estremamente pregiato, ricercato e molto costoso. Il tipico profumo permanente e persistente si sviluppa solo a maturazione avvenuta e ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (cinghiali, tassi, volpi) per spargere le spore contenute e perpetuare la specie.

86 Tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum) Ottobre-Dicembre

87 Tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum) Gennaio-Marzo

88 Tartufo nero estivo (scorzone) (Tuber aestivum) Aprile - Giugno

89 Tartufo bianchetto (tuber borchii) Luglio - Settembre

90 Miele del Montefeltro

91 Il Montefeltro è un territorio dove l'attività dell uomo e dell ape si sono fuse egregiamente nel corso della storia per dare origine ad un prodotto universalmente riconosciuto di grande qualità: il «Miele del Montefeltro», conosciuto ed apprezzato in molti paesi del mondo.

92 Il millefiori del Montefeltro Questo miele è complesso per la presenza di pollini provenienti da numerose specie nettarifere e non nettarifere: ombrellifere, leguminose, crucifere, composite, oltre a girasole, medica, erba strega, rovo, scotano, asparago, timo, papavero, trifoglio, querce, ecc. L elemento caratterizzante è quello di essere prettamente estivo (giugnoagosto). Al di fuori da questi mesi difficilmente si trova una produzione consistente in quanto nel periodo marzo-maggio si preferisce preparare le famiglie alla produzione di acacia, mentre a settembre le esigenze sanitarie delle famiglie e la diffusa presenza della problematica edera fanno in modo che non ci sia produzione di miele. Generalmente all analisi sensoriale il miele del Montefeltro presenta caratteristiche olfattive di intensità medio-debole di tipo vegetale-fruttato e mentolato. Al gusto si presenta di intensità medio-breve di fruttato, caldo-caramellato, aromatico.

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94 PESCHE DI MONTELABBATE

95 La Pesca di Montelabbate è conosciuta ed apprezzata da decenni sia a livello locale che nazionale per aver trovato nelle campagne del territorio condizioni di coltura favorevoli che le conferiscono caratteristiche di frutto particolarmente gustoso e zuccherino.

96 Dalla volontà di certificare l'appartenenza al territorio e valorizzare il prodotto tipico della zona, l'associazione Pesca di Montelabbate (PesaroUrbino, Regione Marche) ha presentato il bollino che verrà posto sui frutti a garanzia di qualità. La "Pesca di Montelabbate" nasce nel territorio della vallata del fiume Foglia e viene coltivata in terreni presenti nei comuni di Montelabbate, Colbordolo, Sant'Angelo in Lizzola, Tavullia, Monteciccardo e Pesaro. La qualità del prodotto è favorita dal microclima e dalla tessitura dei terreni presenti nelle colline e nella vallata e il prodotto si differenzia da altri presenti sul mercato per la sua freschezza e per il suo gusto altamente fruttato. Il clima ed il territorio consentono la coltivazione di svariate cultivar di pesco.

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98 PERA ANGELICA

99 Gialla e rossa, dalle forme accattivanti, dolce e succosa. È la deliziosa Pera Angelica, frutto raro e pregiato, salvato dall'oblio grazie alla passione e alla cura degli agricoltori di Serrungarina che sono riusciti a conservare piante di oltre 70 anni.

100 La Pera Angelica è un frutto di origine imprecisata, documentata per la prima volta da Giorgio Gallesio nel 1800 che la descrive come "una delle varietà più preziose del suolo Italiano" nella sua Pomona Italiana". Prosegue Gallesio "La [ ] buccia è giallognola [ ] ma sfumata di un rosso vinoso [ ]. La polpa è bianca, gentile, butirrosa insieme e croccante, e piena d un sugo abbondante e saporito, che la rende graziosa, e la fa gareggiare colle pere più squisite".

101 A Serrungarina e dintorni la coltivazione è comprovata dagli inizi del Novecento, oggi alcuni produttori raccolgono tra la fine di agosto e gli inizi di settembre una produzione selezionata, unica a livello nazionale, utilizzata per gustose preparazioni gastronomiche - antipasti, dolci, piatti salati - oppure destinata alla produzione di marmellate, pere sciroppate e grappe. Non manca anche un'acquavite di Pera Angelica. Nel maggio 2001 un Decreto Ministeriale ha riconosciuto la Pera angelica : Prodotto agroalimentare tradizionale.

102 Agli inizi di Settembre, Serrungarina festeggia il suo frutto con la Festa della Pera Angelica che anima il centro storico con botteghe e locande, fra degustazioni, spettacoli e tanta convivialità

103 FAVE DI FRATTE ROSA

104 La fava di Fratte Rosa detta anche di lubaco è una leguminosa, il cui nome botanico è vicia faba maior. Si caratterizza per il baccello corto e un po' tozzo con 3-4 semi grandi e rotondeggianti, particolarmente dolci e teneri. Essendo ricca di, polifenoli, proteine, fibre, vitamine, sali minerali, ha proprietà salutistiche. Si semina in terreni argillosi e calcarei detti lubachi, nella prima decade di ottobre, in buche poste ad una distanza di circa 70 cm l'una dall'altra. La maturazione del seme ceroso avviene nella prima decade di maggio, mentre, quella del seme secco avviene nella prima decade di giugno.

105 La fava di Fratte Rosa, è uno dei prodotti quasi dimenticati che per molti anni, dal dopoguerra e fino agli anni '90, presente solo negli orti di chi la coltivava spinto dalla voglia di continuare una tradizione. Il progetto di recupero e valorizzazione dell'ecotipo della fava, nasce nel 2000 da una ricerca storica e dalla constatazione che nel territorio di Fratte Rosa era presente questa varietà che rischiava l'estinzione. Dopo diversi anni di studio e programmi coordinati dal comune in collaborazione con il G:A:L., la Comunità Montana, il CRA l'assam, l'università Politecnica delle Marche e non da ultimo il lavoro di agricoltori locali, si è recuperato il seme in purezza.

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107 I TACCONI CON LA FAVA Piatto tipico

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109 IL PESCE DELL'ADRIATICO

110 IL BRODETTO

111 IL BRODETTO

112 A Fano festival internazionale del brodetto e delle zuppe di pesce. I migliori chef si sfidano per il titolo miglior zuppa di pesce straniera

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115 Altri prodotti del nostro territorio

116 AMARENE DI CANTIANO

117 La visciola è una specie di ciliegia selvatica utilizzata nelle preparazioni artigianali di tradizione "casalinga". Lungo l'antica via Flaminia, intorno a Cantiano, si utilizza per produrre marmellate, frutta sciroppata e visciolato. Si utilizza solo frutta e zucchero, per mantenere inalterata la ricetta e assicurare la qualita' finale dei prodotti.

118 Nella zona di Cantiano, il visciolo (Prunus cerasus, varietà austera) cresce spontaneo. All'inizio del novecento, due imprenditori misero in produzione l'amarena di Cantiano, composta appunto di visciole conservate in sciroppo zuccherino, che ebbe così tanto successo da farsi conoscere in tutta l'italia e diventare simbolo di raffinatezza gastronomica. Uno di questi produttori fu per anni fornitore ufficiale della Real Casa Savoia.

119 Studi prodotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno rilevato che la visciola possiede enormi proprietà antinfiammatorie superiori a quelle derivate dall'assunzione di aspirina. La visciola di Cantiano è iscritta nell'elenco ufficiale dei prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Marche, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

120 VINO DI VISCIOLE

121 Il vino di visciole è una bevanda aromatizzata alcolica (14-15 gradi di alcool) a base di visciole, una varietà di amarene ( spesso selvatiche ) molto diffuso in tutte la regione Marche. Il vino aromatizzato alle visciole può essere prodotto in due modi: 1) Tramite la preparazione di uno sciroppo a base di amarene e zucchero, poi fatte fermentare nel mosto. 2) Tramite macerazione di amarene nel vino, con aggiunta di zucchero. Si tratta di un prodotto tipicamente marchigiano, soprattutto delle provincie di Ancona ( vallesina ) e di Pesaro Urbino ( Montefeltro ) : è un vino non troppo dolce, con un retrogusto piacevolmente amarognolo, vino da degustazione e da dessert, indicato l'abbinamento con pasticceria secca ( cantucci e vino di visciole sono un'accoppiata formidabile ), ciambelloni (dolce tipico marchigiano ) e gelato, da assaporare e gustare in compagnia, ritrovando così quei sapori che con il tempo si erano persi.

122 OLIVE ASCOLANE

123 Già nell antichità le olive in salamoia (verdi e nere) rappresentavano un pasto ritenuto nutriente, tanto che i legionari romani se ne nutrivano e portavano sempre nelle loro bisacce un pugno di olive per i momenti più brutti. Insieme alle focacce e al farro, le olive in salamoia rappresentavano il pasto dei soldati. I ricchi cercavano però qualcosa di meglio e quindi si rivolgevano alle olive picene che Ascoli (capitale del Piceno) esportava a Roma. La qualità fu apprezzata anche dai monaci BenedettiniOlivetani, il Papa Sisto V che se le faceva mandare in Vaticano, Rossini, Garibaldi, Puccini e tanti altri che, buone forchette, tra una nota di musica, un colpo di sciabola e una paterna benedizione, avevano presente che l uomo non vive per mangiare, ma che il buon mangiare aiuta l uomo a vivere.

124 Ad ogni buon conto, fare l oliva ripiena e fritta non è tanto facile. Bisogna curarla con una serie di accorgimenti che vanno dall acqua seduta, cioè di pozzo e non di tubo; si deve cuocere nell acqua forte che adesso viene realizzata con la soda ma un tempo veniva preparata in casa facendo passare, goccia a goccia, l acqua attraverso strati di cenere (sali) e carboni (depurativo). Quando poi l oliva era arrivata, veniva posta in vasi di terracotta con acqua salata e finocchio bastardo. A questo punto la metà del lavoro era fatto, ma mancava il meglio giacché le olive dovevano essere ancora farcite e fritte. Non è databile in maniera precisa la comparsa delle olive ripiene all ascolana anche se la tradizione vuole che esse risalgano all Ottocento. Nel 2005 ha ottenuto il marchio DOP.

125 Di questo piatto si è molto scritto e parlato, nell'intento di scoprirne l'origine autentica. Secondo la tradizione il nome deriverebbe dal fatto che un cuoco maceratese la preparò in onore di un generale austriaco di nome Windisch Graetz nel 1799 che combatté contro Napoleone cingendo d'assedio Ancona. In realtà il piatto era già presente nella tradizione culinaria marchigiana e nel 1781 appariva già nel libro di cucina del cuoco maceratese Antonio Nebbia. I VINCISGRASSI

126 La pasticciata ricorda, ai più grandi, i pranzi delle grandi feste invernali classico quello di S.Stefano o le occasioni di prestigio come i matrimoni quando i banchetti si facevano in casa. Immancabile, la pasticciata era obbligatoria nel pranzo che suggellava il fidanzamento ufficiale della coppia. Era il primo pranzo di lui in casa di lei e, dopo il brodo e prima degli arrosti, con le erbe, si portava in tavola la pasticciata. E un piatto nato e cresciuto fra il Conca e il Metauro si chiama infatti pasticciata pesarese e non andava oltre le colline sulla linea fra Fossombrone Tavullia San Giovanni in Marignano. Questa preparazione non compare mai nei ricettari dei libri pubblicati fino a inizio 900 infatti, per la prima volta, nel 1931, viene citata nella Guida gastronomica d Italia del Touring Club Italiano. In realtà è una creazione delle massaie che, se vedevano in casa la carne grossa, era quella dei bovini vecchi, giunti a fine carriera dopo anni di lavoro. Era carne dura, stopacciosa, difficile da trattare, destinata a fare il brodo. Solo la maestria di quelle donne poteva inventare un piatto che avrebbe fatto dimenticare la monotonia del lesso. LA PASTICCIATA PESARESE

127 CRESCIA COI CICCIOLI

128 SARDONCINI SCOTTADITO

129 CICERCHIATA Dolce tipico italiano, riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale per Abruzzo Marche e Molise, conosciuto anche in Umbria. In Abruzzo e nelle Marche è spesso legato alla ricorrenza del carnevale.

130 LONZA DI FICO

131 LA LONZA DI FICO Per quanta cura si possa avere nell allevare il maiale, nel procurargli la ghianda migliore, nel lavorarne sapientemente le carni, non si potrà mai ottenere una lonza paragonabile alla lonza di fico. È proprio questa, infatti, la lonza marchigiana più conosciuta ed apprezzata al di fuori dei confini regionali. La produzione è concentrata essenzialmente in provincia di Ancona ma esiste, in piccole quantità, anche in alcuni comuni del maceratese. È un dolce dalla caratteristica forma cilindrica, di centimetri di lunghezza e circa 6 di diametro che si presenta avvolto da foglie di fico legate con fili proprio come una lonza. L ingrediente principale è costituito dai fichi essiccati che vengono aromatizzati con mistrà, rum, o con la tradizionale sapa, che ogni tanto vediamo rispuntare negli abbinamenti più vari. Il tutto viene poi macinato aggiungendo noci e mandorle triturate a parte. L impasto così ottenuto viene modellato finché non assume la forma di una lonza e viene poi avvolto nelle foglie. La lonza di fico si prepara ad ottobre e si mantiene fragrante fino a marzo - aprile.

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