Paolo Mattina. M. 01 MURATURA DEL PRIMO LIVELLO (presunta fase originaria) Descrizione Muratura in blocchetti squadrati e sottili giunti di malta.

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1 Quadro critico delle conoscenze Schede Paolo Mattina M. 01 MURATURA DEL PRIMO LIVELLO (presunta fase originaria) Descrizione Muratura in blocchetti squadrati e sottili giunti di malta. Materiale lapideo Prevalente arenaria a granulometria media medio fine, colore variabile da grigio a grigio verdastro a grigio ceruleo, talora anche grigio beige. Composta presumibilmente da quarzo e feldspati con abbondante mica chiara tendente a concentrarsi in piccoli livelli. Tendenza a tessitura laminare evidenziata da degradazione differenziale. Subordinata bio-calcarenite giallastra, a volte passante a granulometria più grossolana (bio-calciruditi). Dimensioni dei blocchi Lunghezza variabile da 32 a 45 cm. Altezza cm Finitura superficiale Non apprezzabile a causa del deterioramento della superficie. Forme di alterazione Arenaria grigio verde cerulea: i blocchi sono interessati da esfoliazione, scagliature, disgregazione, polverizzazione, degradazione superficiale, patine biologiche da licheni epilitici prevalenti sul fronte a nord-est. La maggior parte dei blocchi ha avuto una notevole perdita volumetrica e risulta sottosquadro rispetto al livello originario. Il degrado è più evidente sul lato nord-est e all angolo nord-est - nord-ovest. Bio-calcarenite giallastra: quasi tutti i blocchi sono interessati dalle seguenti forme di alterazione sovente sovrapposte: scagliature, disgregazione, polverizzazione, patine biologiche da licheni epilitici prevalenti sulla 70

2 facciata a nord-est. Su alcuni blocchi si è rilevata una perdita volumetrica. Malte di allettamento Hanno colore bianco, con inerte medio grossolano. Mostrano tenacità e durezza relativamente elevate e spesso sono in rilievo rispetto alla superficie degradata dei conci. Osservazioni Si è rilevato un diverso impiego dei due litotipi rispetto agli elementi architettonici archi e muratura. I conci degli archi sono notevolmente più degradati di quelli della muratura. M. 02 MURATURA IRREGOLARE DEL PRIMO LIVELLO (lato sud-ovest) Descrizione Muratura in elementi lapidei di forma irregolare appena sbozzati da angolosi a subrotondi. Spessi giunti di malta. Tessitura molto irregolare. Materiali lapidei Simili a quelli della scheda M.01. Prevale la bio-calcarenite bio-calcirudite. È presente anche qualche elemento di calcarenite a granulometria fine e colore rosato. Si riscontrano frammenti di laterizio probabilmente usati in qualche ripristino successivo. Forma di alterazione Si riscontrano le stesse alterazioni di cui alla scheda precedente, ma meno sviluppate. Malta strutturale Alquanto discontinua, ma di buona tenacità e durezza. Aggregato sabbioso di granulometria grossolana e rari frammenti laterizi. Malta di allettamento tamponamento Nella zona basale si riscontra una malta più recente utilizzata per tamponare i giunti più scarni. Ha colore bianco, scarsa tenacità e durezza, forse anche a componente gessosa. Scarso l aggregato inerte di granulometria sabbiosa medio fine. M. 03 MURATURA DEL SECONDO LIVELLO Descrizione Muratura in blocchetti squadrati e sottili giunti di malta. Materiali lapidei Bio-calcarenite di colore giallo-beige passante anche a bio-calcirudite o brecciola calcarea ad elementi arrotondati. Struttura laminare della roccia, spesso interrotta da vene di calcite spastica di origine secondaria con spessore da centimetrico a millimetrico. Dimensione dei blocchi Lunghezza variabile da 20 a 37 cm. Altezza da 20 a 25 cm circa. Finitura superficiale Non più apprezzabile a causa del deterioramento subito da tutti i conci. In alcuni casi sembrerebbe rifinita a gradina o simile. Forme di alterazione Quasi tutti i blocchi con prevalenza di quelli posti in alto sono interessati da alterazioni spesso sovrapposte: esfoliazione, scagliatura, disgregazione, polverizzazione, degradazione differenziale in conseguenza alle discontinuità della roccia, patine biologiche da licheni epilitici specie nel lato nord-est ed endolitici solo nel lato sud-est. Alcuni blocchi presentano significative perdite di volume. Malta strutturale Di colore beige, tenacità e durezza medio alte. Sembra realizzata con calce e sabbia di granulometria media. All interno dei giunti si notato a volte frammenti di laterizio. Osservazioni Si osservano alcuni blocchi di biocalcirudite giallastra con toni arancio rifinita a gradina caratterizzati da scarso sviluppo di alterazioni. Potrebbe trattarsi di blocchi sostituiti in una qualche manutenzione. 71

3 1L CAMPIONE DI MALTA DEL PRIMO LIVELLO Zona di prelievo Prospetto NW del primo livello presso l angolo con il lato NE. Tipo di campione esaminato Frammento centimetrico di due scagli edi arenaria grigio ceruleo già distaccata e malta di allettamento interposta. (MACROFOTO) Indagini eseguite Analisi mineralogico-petrografica su sezione sottile stratigrafica per la caratterizzazione del materiale lapideo. Analisi mineralogica mediante diffrattometria dei raggi X (XRD) delle fasi cristalline che compongono la frazione fine (matrice cemento) con particolare riferimento alla componente argillosa. Risultati Caratteristiche dei granuli da limosa a grossolana a sabbia medio fine; dimensioni comprese tra 0,03 mm 0,9 mm. Prevalgono nettamente le classi sabbiose. Grado di uniformità dimensionale dei granuli buono Tipologia: vedi tabella a destra Caratteristiche della matrice (cemento primario) Stima percentuale rispetto al volume totale della roccia: 15-20% Tipologia: - cloritico, talora arrossato per ossidazione (+++) - a base di ossidi idrossidi di ferro (+) - sericitico, talora arrossato per ossidazione (+) Tipo: intergranulare per scarsa cementazione e compattazione Classificazione Denominazione comune Arenaria Classificazione petrografica de visu Arenaria quarzoso - feldspatico - micacea di colore variabile dal grigio ceruleo al grigio verdastro Classificazione petrografica (Folk, 1974 modificata) Grovacca feldspatica immatura derivante in buona parte da disgregazione di rocce metamorfiche (inserire campione arenaria costoloni e e malta muratura irregolare) Ambiente di deposizione Di scarpata piana tidale Età presunta Oligo miocenica Denominazione storica tradizionale commerciale Ignote Unità lito-stratigrafica e/o formazione geologica di riferimento Flysch Numidico o Unità Sicilidi Sezione sottile microscopio polarizzatore, nicols incrociati, ingrandimento di 50x a sx e 100x a dx Le immagini descrivono la struttura della roccia costituita da quarzo (Q) feldspati, miche (M) e cloriti (Cl). La sezione evidenzia anche la matrice del cemento C. Caratteristiche del cemento secondario Stima percentuale rispetto al volume totale della roccia: < 5% Tipologia: carbonatica a base di calcite spastica (prevalente) o micro-sparitica, localizzate a chiazza irregolari Porosità Porosità totale: 10% 72

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6 inserire didascalie 75

7 76 26.

8 Progetto e cantiere Paolo Mattina Il progetto di restauro è lo strumento della conservazione che specifica le modalità di intervento sull architettura storica. Un programma di provvedimenti di simile natura dipende dall analisi critica eseguita sin qui, ma non coincide con essa. Il progetto di restauro, perseguendo il fine della conservazione e dell avanzamento della soglia della permanenza, è impostato su criteri ispirati al minimo intervento che escludono i temi dell aggiunta e del completamento. Non è una progettazione di pura creatività, nel senso che non è una progettazione libera e non tende a soddisfare le normali esigenze della vita contemporanea così come una nuova progettazione. Al contrario della nuova progettazione, è in continuo divenire e soggetta ad evoluzione e modifiche per adattarla alle realtà che i ritrovamenti di cantiere impongono. Quest attività progettuale non prevede la possibilità di manipolare l immagine dell esistente o di addirittura sostituirla di con un altra. Non propugna la modificazione dell effettivo nella consapevolezza che una scelta non sufficientemente meditata può comportare un danno irreversibile al bene che si voleva conservare. Il re- stauro tende invece a mantenere lo stato di consistenza raggiunto nel tempo dal manufatto architettonico come rispetto delle stratificazioni e dei segni del tempo 1. Nemmeno la destinazione d uso può essere considerata un vincolo imprescindibile o un dato di progetto, ma può essere solo un esito verso cui avviarsi. Sotto quest ottica è evidente che il progetto non può rifarsi, come in altri casi dell architettura, a idee e interpretazioni personali di tendenza o di gusto, ma pratica opzioni critiche e fondate su giudizi di merito il cui fare è sempre condizionato dal riconoscimento dei valori. A partire da questi presupposti teorici e nella consapevolezza che il restauro è un attività estremamente complessa e in continuo divenire che deve trovare soluzione caso per caso, in questa specifica occasione di studio, si è posta l attenzione sui problemi più eminenti. Il monumento mostrava tutti i segni del deterioramento materiale che sono stati sufficientemente rappresentati nei precedenti paragrafi, ma anche le conseguenze di interventi recenti che ne avevano incomprensibilmente annientato alcuni caratteri specie 77

9 nelle sue parti interne. Lo svuotamento dell edificio ai vari livelli, la demolizione delle originare strutture orizzontali verosimilmente volte in pietra e delle scale di collegamento, per essere sostituite con solai in laterocemento e scalette in ferro di fattura approssimativa, (fig. 27) assolutamente estranei alla logica costruttiva originaria, avevano sensibilmente depauperato il patrimonio testimoniale dell edificio. In più i rifacimenti con materiali e tecnologie incoerenti avevano conferito alla torre un immagine incongruente. Si leggeva, infatti la volontà di reintegrare la configurazione esteriore del monumento con la riproposizione (e la proposizione fantasiosa) delle finestre mancanti, (fig. 29) ma lavorando su una sequenza di immagini piane bidimensionali, come per conferirgli una sorta di compiutezza piana in sè, senza tenere conto di quelli che sono gli effettivi punti di vista che riproducono al visitatore prospettive solo di scorcio e sempre dal basso con l introspezione verso le parti più interne comprese quelle moderne e più grossolane contemporaneamente architettate. E mentre gli scarsi disegni del progetto mai realizzato interamente dal Valenti riportavano una volontà di ricostruzione filologica ad imitazione dell esistente perlomeno limitatamente alle bifore delle aperture quell ultimo intervento degli anni sessanta fu condotto ricostruendo con forme semplificate le colonnine, le modanature e gli stemmi delle bifore del primo livello e con forme di assoluta invenzione le finestre del livello superiore. L intervento eseguito all interno, letto alla luce delle osservazioni teoriche fin qui richiamate, non fu invece congruente. La distruzione del testo antico si realizzò con l ablazione di ogni elemento architettonico interno e le nuove opere furono della qualità che si conviene solo agli edifici più modesti. Banali solai in laterocemento in luogo delle volte in pietra, scalette in ferro come per salire in un qualsiasi sottotetto al posto delle scale originarie. I sedili medievali in pietra, allestiti all epoca nello spessore murario dei vani delle aperture, furono fagocitati da una muratura di mattoni rossi posti a davanzale, (fig. 28) una copertura anch essa cementizia chiuse come un coperchio piatto la sommità dell ultimo livello settecentesco, 78

10 negando ancora di più la verticalità della torre già ridimensionata a suo tempo dalla figura sopraelevata della chiesa retrostante. Mentre nessun dubbio poteva impedire oggi la sostituzione dei solai cementizi con altri orizzontamenti più congruenti e rispettosi, si è comunque deciso di mantenere i rifacimenti delle decorazioni delle bifore mancanti e rifatte nel sessantanove, nonché di quelle contemporaneamente inserite nelle aperture del secondo livello proprio per non alterare quello stato di consistenza raggiunto dal manufatto anche nell immaginario collettivo col rischio che la sola rimozione, anche se teoricamente giustificabile, poteva essere percepita come sottrazione ad un immagine, per quanto arbitraria, ma ormai stratificata nella memoria comune. Un altra scelta progettuale ha previsto che le decorazioni in disfacimento venissero consolidate e riprese nelle modanature mancanti per restituire e conservare un immagine unitaria altrimenti destinata a perdersi definitivamente. Si è scelto anche di liberare i sedili occultati dalle murature di mattoni rossi e, se mancanti, di ricostruirli nelle forme più essenziali per ridare la plasticità scultorea negata e i rapporti dimensionali originari tra i singoli elementi, oltre che per documentarne l idea primigenia. (figg ) pagina precedente 27. Esempio del pregresso collegamento verticale tra i diversi livelli con piccola scala in accaio 28. Occlusione con muarture di mattoni dei vani destinati alle sedute in pietra 29. Decorazione posticcia di una monfora al secondo livello del prospetto ovest dall alto in basso H. pianta del porticato (progetto) pianta del primo livello (progetto) pianta del secondo livello (progetto) pianta del terzo livello scoperto (progetto) H. 79

11 30. Liberazione dei sedili in pietra dalla muratura posticcia 31. Restauro e integrazione dei sedili rinvenuti 32. L ultimo livello della torre liberato dal solaio cementizio

12 81 32.

13 Progetto e cantiere Opere strutturali I Non avendo reperito nessuna documentazione sufficiente a poter supportare un ipotesi di ricostruzione delle originarie volte di interpiano né tanto meno delle scale di collegamento, si è stabilito di rifare al loro posto un solaio piano nel solo materiale compatibile per la necessità. I solai esistenti in c.a. sono stati sostituiti con altri con un orditura di robuste travi in legno lamellare in grado di sopportare un carico compatibile con quello proprio dei luoghi pubblici suscettibili di affollamento, stante anche la difficoltà purtroppo ormai endemica di reperire travi in legno naturale autoctono (p.es. castagno) di adeguate luce e sezione di caratteristiche meccaniche certificate; il tavolato ligneo sovrastante, inchiodato alle travi principali, è stato realizzato con due distinte orditure sovrapposte di tavole incrociate per i due assi principali con lo scopo di apportare maggiore rigidezza al piano e contrastare le sollecitazioni orizzontali quali vento o sisma; allo stesso scopo il tavolato è stato collegato ai muri d ambito con delle chiavarde in ferro zincato a V (figg. I-33) inchiodate al tavolato e murate con l inserimento di un capochiave a paletto annegato nella muratura stessa (figura). Nel collocare le travi lignee di solaio si è cercato di utilizzare per quanto possibile i fori praticati in precedenza nelle murature per alloggiarvi i preesistenti travetti in c.a., evitando di sottrarre altro materiale originario. Le pavimentazioni sono state eseguite con getto di cocciopesto assestato in opera, in grandi quadri. (fig. 35) Le stesse sono state staccate dai muri con cabalette in profilato d acciaio. Tra il solaio e la pavimentazione è stata interposta una lamina di rame per consentire l isolamento in caso di infiltrazioni, data l assenza di chiusura delle aperture. (fig. 34) Il collegamento tra i piani è stato realizzato con scale in ferro che, per prescrizione della Soprintendenza dei Beni Culturali, dovevano avere andamento elicoidale con lo scopo di contenerne più possibile le dimensioni e risultare infine rispettose nei confronti degli elementi originali. In realtà la prima rampa, che doveva superare un maggiore dislivello, ha un andamento inizialmente 82

14 35. 83

15 Getto e lisciatura della pavimentazione in cocciopesto 36. Interno del secondo livello a lavori finiti L. Sezione di progetto che poi diventa rettilineo in alto con la pietubolare portante verticale sul quale si ingradini, per evitare sia l effetto sgradevole di mento nel ruotare attorno all asse della scadi una volta percorrendola, sia conseguenti oni di carattere strutturale ed estetico nella ione del solaio ligneo di arrivo. Alla simulaca tridimensionale anche la sintassi formale complessiva è risultata più soddisfacente rispetto a quella della scala elicoidale alternativa. (fig. 36) I gradini, a struttura metallica, sono stati rivestiti in legno di iroko. 84

16 L.

17 Progetto e cantiere Opere di restauro lapideo Ogni intervento di restauro è un insieme di attività coordinate che hanno lo scopo di garantire soprattutto la conservazione del manufatto storico nella sua consistenza materiale e superficiale. I materiali dell architettura storica sono prevalentemente materiali naturali come le pietre utilizzate per la costruzione della Torre Ventimiglia, che cavate da luoghi vicini e plasmate da mani sapienti davano certezza di solidità e persistenza, oltre che assumere valenze simboliche e decorative. Ma, anche se lentamente, la tenacità di questi materiali è destinata a piegarsi di fronte all aggressività dell ambiente e al rigore del tempo che passa. Fino all epoca della rivoluzione industriale, escludendo le distruzioni per mano umana, il degrado era imputabile sostanzialmente all esposizione agli elementi naturali e alla loro azione chimica e fisica sui materiali. Tuttavia il deterioramento era molto più lento e molto meno distruttivo. Oggi l esposizione agli agenti inquinanti specie nelle città industriali è devastante ed ha incrementato esponenzialmente le possibilità di degrado dei materiali e delle superfici storiche. La consistenza materica delle architetture storiche viene a trovarsi in uno stato di alterazione e disfacimento per via di cause diverse, molte delle quali, nel caso specifico, sono state ampiamente esaminate nei capitoli dedicati all analisi. Tali cause di alterazione possono essere di origine chimica, fisica o antropica anche se ogni aspetto spesso include l altro: degradi che si manifestano come alterazione della struttura chimica dei materiali possono avere origine antropica (inquinamento atmosferico, p.es.), alcuni agenti vegetali si impiantano sulla superficie della pietra nutrendosi dei suoi minerali che dissolvono producendo potenti acidi, ma contemporaneamente con le loro terminazioni disgregano il materiale, grandezze fisiche quali l umidità relativa o l esposizione rispetto ai punti cardinali contribuiscono al proliferare di funghi e licheni, e così via. Ciò implica che patologie apparentemente analoghe possono avere derivazioni sostanzialmente diverse e soluzioni altrettanto differenti. La mappatura delle alterazioni e dei degradi (vedi fig. G, pag. 77 al Quadro critico delle conoscenze, Diagnostica) ha realizzato il necessario supporto alla campagna di campionamento ai fini delle analisi di laboratorio. Incrociando i risultati ottenuti dalla diagnostica con il più generale quadro delle conoscenze interdisciplinari, si perviene al piano di interventi di restauro più idoneo a conseguire la finalità della conservazione delle superfici storiche. In conseguenza, nella fase progettuale, sono state redatte le tavole degli interventi conservativi sui paramenti murari con indicazione delle lavorazioni da eseguire, come quella riportata (fig. F), anch essa relativa al prospetto settentrionale della torre. In realtà per l interazione inevitabile tra progetto e cantiere di restauro ogni previsione progettuale va comunque testata e calibrata nella fase operativa di cantiere così come è stato anche in questo caso con l esecuzione di prove a campione per le singole lavorazioni. Per via degli interventi successivi più o meno organici che nel corso dei secoli hanno interessato le murature della torre, i suoi paramenti lapidei interni ed esterni sono stati riparati e integrati con materiali e malte di varia natura, origine e composizione. Gli interventi studiati in progetto hanno comportato in prima analisi un piano di rimozione e demolizione degli elementi estranei ed incompatibili con il manufatto: solai in c.a. murature con mattoni, malte sovrammesse, elementi in ferro, etc.; alcune integrazioni coerenti come quelli realizzati al primo livello con una pietra (biocalcirudite) grigiastra sia nelle architetture che nelle murature, o nel basamento calcarenitico grigio-verde degli anni 50 sono state conservate per quanto già illustrato. Questa categoria di lavori non può essere affrontata senza particolari accorgimenti specie quando si lavora su manufatti di pregio: le azioni meccaniche trasmesse dagli strumenti di lavoro potrebbero indurre sollecitazioni tali da provocare danno. In particolare, i solai sono stati accuratamente demoliti a mano e con l ausilio di speciali seghe a dischi diamantati rotanti, e 86

18 le murature di mattoni e le malte di riparazione sono state rimosse con molta cura con l ausilio di piccoli scalpelli. In genere gli interventi di conservazione del materiale lapideo, secondo i protocolli più avanzati, si possono ricondurre a tre gruppi fondamentali: la pulitura, il consolidamento, la protezione finale. La pulitura è quell attività conservativa necessaria a liberare la superficie lapidea da depositi estranei, prodotti di alterazione, incrostazioni, agenti biodeteriogeni, macchie, pigmenti soprammessi, ecc... per recuperarla alle migliori qualità plastica ed espressiva. Diciamo migliori perché in genere, tranne casi eccezionali, le superfici lapidee di monumenti, specie quelli esposti all azione atmosferica e dell inquinamento dell aria e dell acqua, si rinvengono in condizioni tali che le qualità significative originarie delle superfici sono irrecuperabili. Quella che una volta poteva ancora distinguersi come patina del tempo secondo l accezione di Brandi 2, e pertanto oggetto di conservazione, è ormai difficilmente ritrovabile specie nelle superfici lapidee e litoidi degli edifici di città. Quando l inquinamento era pressoché inesistente le superfici lapidee architettoniche o scultoree si degeneravano molto più lentamente e secondo processi del tutto identici a quelli di alterazione del materiale in cava. Perciò il formarsi di certe patine - magari come alterazione anche di altre artificiali stese dal costruttore e che ne impreziosivano in origine i manufatti finiti - che denotavano il trascorrere del tempo sulle cose e, per questo, preziose perché espressione materica e consistente di quel fascino sensazionale generato dalla permanenza e dall uso attraverso i secoli. Oggi, per effetto di solfati, uoruri, cloruri, nitrati, e tutti i composti chimici disciolti nell atmosfera dall inquinamento urbano e/o industriale, di agenti biodeteriogeni, ma anche a causa della trascuratezza protratta nel tempo se non di interventi sbagliati, è diventato veramente raro cimentarsi nella conservazione di patine sulle superfici di monumenti cittadini. È più sovente imbattersi con le formazioni di materiale solfatato delle croste nere, sempre ricoperte da depositi carboniosi o da particellato di varia na- 37. Pulitura con micro-sabbiatura

19 INTERVENTI rimozione meccanica di depositi superficiali con spazzola di saggina impregnazione con preconsolidante per mezzo di pennelli e pipette applicazione fino a rifiuto di consolidante applicazione prodotti disinfestanti e rimozione manuale della vegetazione applicazione prodotti per la disinfezione e rimozione meccanica della vegetazione rimozione manuale dei depositi applicazione di vernice antiossidante riadesione di scaglie, frammenti e parti distaccate ricostituzione di parti mancanti stucchatura protezione finale OPERAZIONI PRELIMINARI PRECONSOLIDAMENTO OPERAZIONE DI DISINFEZIONE E DISINFESTAZIONE OPERAZIONE DI PULITURA OPERAZIONI DI RICONFIGURAZIONE OPERAZIONE DI STUCCATURA microsostituzione e ricostruzione OPERAZIONI DI CONSOLIDAMENTO E PROTEZIONE FINALE H. 88

20 H. Tavola degli interventi sul prospetto settentrionale 38. Paramento murario dopo la pulitura 39. Preparazione del consolidante 89

21 Fasi della ricostruzione parziale di un arco già riparato approssimativamente 40. L arco dell apertura sinistra della parete orientale, occluso dalla chiesa, con la riparazione pregressa in mattoni 41. Centinatura e rimozione dei mattoni 42. Inserimento dei conci d arco in pietra 43. Reintegrazione delle cornici mancanti con malta speciale a base di calce naturale e barette in vetroresina: inserimento delle barette in VTR 44. La cornice dopo la fase di integrazione con la malta

22 tura, più o meno coerente 3 che vanno rimosse con un opportuna pulitura. Le tecniche di pulitura sono per loro natura procedimenti irreversibili che agiscono sulla facies del materiale lapideo e determinano la percezione finale della superficie restaurata. Dipendono dalla materia da rimuovere, oltre che dalla natura del materiale da pulire e dalla qualità e dallo stato di conservazione generale del manufatto. La pulitura può interessare materie incoerenti quali depositi di pulviscolo atmosferico, di terriccio, di guano, piuttosto che materie coerenti quali le croste nere, o le concrezioni insolubili piuttosto che macchie di ossidi o pellicole di resine sintetiche di vernici o trattamenti pregressi. I procedimenti di pulitura possono distinguere in meccanici: spolveratura, con spazzole o spugne, sabbiatura o microsabbiatura, con miscroscalpelli, con vibroincisori, ad ultrasuoni, al laser; fisico-chimici: con acqua demineralizzata nebulizzata a bassa pressione, con impacchi di polpa di carta e acqua deionizzata; chimici: con impacchi di acqua e carbonato o bicarbonato d ammonio, con resine scambiatrici di ioni, con acido uoridrico. In genere i monumenti sono interessati, come nel caso che trattiamo, da specie vegetali infestanti le quali, dopo opportuni trattamenti inibitori, devono essere rimosse. In cantiere è stato, quindi, applicato preliminarmente un biocida a largo spettro, data la varietà di specie licheniche ritrovate e successivamente se ne è effettuata la rimozione con tecniche di pulitura a secco in particolare con microsabbiatura. Su tutte le superfici, interne ed esterne, è stato impiegato il sistema di pulitura a secco con microsabbiatura a bassissima pressione con l impiego di polvere abrasiva fine. (fig. 37) È stato evitato l impiego di acqua per via della porosità del materiale calcarenitico nel quale possono essere facilmente veicolati sali solubili provenienti per esempio dalle malte già presenti. La rimozione della ora lichenica è stata accuratissima e non ha lasciato residui; alla fine è stato effettuato anche un ulteriore trattamento biocida di carattere preventivo. Il livello di pulitura è stato quello compatibile con le condizioni del manufatto che comunque si trovava in condizioni di avanzato deterioramento e tali da non consentire la conservazione generalizzata delle superfici originarie, stante che in gran parte erano già andate definitivamente perdute. Successivamente alla pulitura si è provveduto alla ricostruzione degli archi e delle cornici dei finestroni. Per i conci d arco mancanti sono stati utilizzati i conci derivanti dalla liberazione di alcuni tompagni dai finestroni del primo livello, (fig. 42) mentre sono state ritrovate e ricollocate alcune cornici originali. Le altre sono state ricostruite in pietra o in malta. Le decorazioni delle bifore, specie di quelle del prospetto settentrionale che si trovavano in stato di di

23 sfacimento, sono state reintegrate nelle forme ricostruendone le forme ricalcando quelle esistenti, con l impiego di malte a base di calce e inerti selezionati e pigmento naturale, su un armatura in barrette di vetroresina. Ciò è stato necessario specie per la prima bifora a sinistra dello stesso lato, la cui decorazione fu eseguita con l arenaria più tenera, e che si trovava in gravissimo stato di deterioramento. (figg ) Sono stati inoltre ricostituiti i giunti delle malte di allettamento con malta di calce idraulica opportunamente pigmentata. Il consolidamento delle superfici lapidee è il trattamento che in generale segue la pulitura. La superficie lapidea degradata, oltre i depositi superficiali, può presentarsi erosa, decoesa se non addirittura polverizzata, scomposta, cioè, in particelle minutissime e poco aderenti, a volte con aspetto zuccherino come nei marmi di Carrara. Ciò dipende dalla tipologia del degrado, ma anche dalla natura del materiale. Le azioni deteriori tendono a far aumentare la porosità superficiale dei materiali per l aumento dei vuoti tra i singoli granuli che si distanziano tra di loro e tendono a perdere i legami fisici e chimici. Dopo la pulitura la superficie si trova in uno stato di particolare vulnerabilità per la conseguenziale esposizione della materiale privo di difese all aggressione degli agenti esterni. L impiego dei prodotti consolidanti tende al ristabilimento dei legami tra i grani ed alla riduzione dei vuoti tra le particelle stesse. Si possono classificare in due grandi categorie: i consolidanti inorganici e quelli organici, rispetto alla loro natura chimica. I consolidanti inorganici sono composti chimici semplici con molecole di piccole dimensioni (etilsilicati, idrossido di bario, etc.), sono elastici ma sono soggetti ad alterazioni; quelli organici ( alchil-alcossisilani, polisilossani, resine scambiatrici etcc...) sono in genere prodotti polimerici macromolecolari più stabili, ma poco elastici di complessa utilizzazione. I composti organi, infatti, presentano difficoltà di penetrazione nei materiali a causa delle loro dimensioni molecolari e devono essere utilizzati con l impiego di veicolanti quali con polpa di carta ad impacchi o di carta giapponese che in genere devono essere applicati per lungo tempo e protetti con film plastici per evitare l evaporazione, o applicati sottovuoto con l impiego di tecnologie particolari. I prodotti inorganici hanno in genere una maggiore capacità di penetrazione che consente possibilmente un applicazione più rapida a spruzzo o a pennello. Il trattamento con silicato di etile, per la sua affinità chimica, ha tradizionalmente dato buoni risultati sulle arenarie e calcareniti nostrane. L azione di questo composto si può semplicemente riassumere nella formazione di granuli microscopici di silice, conseguente all applicazione, che si depositano nei vuoti superficiali del materiale con riduzione conseguente del volume dei vuoti e formazione di legami elettrochimici con le molecole del materiale originario che rinsaldano il materiale nello spessore degradato. Dopo un indagine mineralogica specifica per la ricerca di argille espandenti, si è ritenuto di utilizzarlo nel caso specifico quale consolidamento corticale e in particolare si è determinato di impiegare l etilsilicato dal nome commerciale di Wacker OH, per analogia con casi analoghi ritrovati in letteratura nei quali ha prodotto buoni risultati 4. I minerali argillosi riscontrati nelle arenarie della Torre Ventimiglia sono riconducibili a gruppi per fortuna non particolarmente espandenti, mentre è stata esclusa la presenza delle pericolose smectiti. Quest ultime, infatti sono responsabili della contrazione del materiale durante il trattamento con questo rimedio, con formazione di fratture e scaglie. Il trattamento effettuato ha dato buoni risultati già visibili dopo un mese dal trattamento, anche se è necessario un periodo più lungo per apprezzarne la riuscita. In alcuni casi è stato necessario riapplicare il prodotto con impacchi protetti da film plastico. (figg ) Si è detto che la pulitura è in generale il primo trattamento che si effettua su una superficie da restaurare, ma ci sono casi in cui il pessimo stato di conservazione costringe ad effettuare delle operazioni di consolidamento preliminari alla pulitura, dette pertanto di pre-consolidamento. Nel nostro caso per evitare la eccessiva perdita di materiale già decoeso o distaccato durante il trattamento di pulitura, è stato previsto un trattamento preconsolidante nelle zone particolar- 92

24 45. 93

25 46. mente deteriorate con l impiego di silicato d etile anche ad impacchi. Ad esso è seguita la pulitura. Contemporaneamente è stato necessario un consolidamento in profondità per la presenza diffusa di scagliature del materiale, specie delle arenarie del primo livello. Ciò ha comportato il fissaggio delle scaglie al materiale sano del substrato con una prima stuccatura con malta di calce idraulica pigmentata dello stesso colore della pietra e il seguente riempimento dei vuoti tra scaglia e substrato con iniezioni di una specifica miscela a base di calce. In questo caso e per analogia è stata impiegata la miscela Albaria Iniezione 100 della MAC. (fig. 48) Si è provveduto inoltre alla stuccatura delle discontinuità macroscopiche con malta a base di calce pigmentata con polveri naturali. (fig. 49) È seguito il consolidamento corticale con impacco di etilsilicato. Il fissaggio delle scaglie ha avuto un buon esito ed è stato verificato a distanza di parecchi mesi dall intervento. Lo stesso si può affermare per la sigillatura delle fratture e dei bordi, eseguita con molta cura, anche nella pigmentazione delle malte rispetto al substrato, variabile da zona a zona. Nei casi di zone particolarmente erose sono state messe in opera stuccature appropriate per il riempimento di alveoli nei quali avrebbe potuto ristagnare l acqua meteorica. Il trattamento consolidante effettuato con l impiego di etilsilicato, non assicura l idrorepellenza della superficie lapidea, che rimarrebbe così esposta alle infiltrazioni di soluzioni dannose con l immediata ripresa di quei processi di deterioramento che si era cercato di contrastare con i trattamenti appena ultimati. Per rallentare l azione negativa degli agenti degradanti è necessario applicare sulle superfici a vista dei manufatti un ulteriore trattamento. Mentre le superfici intonacate sono concepite come superfici di protezione o di sacrificio, sede delle interazioni con l esterno a contatto, i manufatti lapidei lasciati a vista necessitano di un accorgimento ulteriore che è in genere dovuto all applicazione di una sostanza chimica idrorepellente, ma capace di permettere lo scambio di vapore acqueo e consentire l evaporazione di eventuale umidità, proveniente da altre zone, che altrimenti ristagnerebbe con ulteriori danni. Tali sostanze vengono dette a comportamento osmotico. 94

26 pagina precedente 45. Le diverse fasi murarie dopo il restauro dei paramenti Consolidamento corticale delle zone piu critiche con impacco di polpa di carta impregnata con materiale consolidante 47. Protezione dell impacco con film plastico per favorire la penetrazione del consolidante e imperdirne l evaporazione 48. Consolidamento in profondità del materiale distaccato con iniezioni di miscela a base di calce 49. Restauro dei giunti tra i conci 95

27 Un buon idrorepellente deve essere trasparente, non deve cioè interferire con la cromìa del materiale e con le proprietà ottiche, (figg ) non modificare la rifrazione delle superfici e non alterarsi nel tempo con l esposizione luminosa; deve avere buona stabilità, non dar luogo a sottoprodotti dannosi e soprattutto non deve reagire con i minerali del materiale originario. Un idrorepellente è in genere un prodotto di sintesi e nel caso della Torre Ventimiglia riferendosi a casi analoghi la scelta si è indirizzata sul Wacker 290L e sull RC80 della Rhone Poulenc. Sono state effettuate alcune prove con i due prodotti differenti e si è deciso infine di applicare l RC80 che interferiva in misura minima con le proprietà ottiche della pietra. L applicazione di un prodotto idrorepellente è particolarmente importate in questo caso perché i diversi litotipi sono particolarmente porosi e nell arenaria, in particolare, è presente la palygorskite, un minerale argilloso nastriforme capace di trattenere l acqua all interno della struttura cristallina. Non sono stati riscontrati apprezzabili quantità di sali solubili: quelli più abbondati erano i solfati 5 ma non 50. Trattamento protettivo delle superfici lapidee 51. Test empirico dell efficacia del prodotto idrorepellente sono state riscontrate ef orescenze. Pertanto non si è ritenuto necessario prevedere trattamenti di estrazione dei sali solubili. Qualsiasi intervento conservativo, anche se effettuato nelle migliori condizioni possibili e con il conforto del necessario quadro di conoscenze, ha una durata limitata nel tempo. La sua tenuta dipende dalle caratteristiche intrinseche dei materiali, dallo stato di conservazione prima del restauro, ma anche dall aggressività dello spazio-ambiente. Per non vanificare gli effetti del restauro è sempre necessario predisporre opportuni monitoraggi delle condizioni generali dei manufatti funzionali alla redazione di piani di manutenzione periodica che preservino la conservazione dei monumenti, senza dover ricorrere ad altri interventi massicci ed eccezionali. 96

28 Note 1. Marco Dezzi Bardeschi. Restauro: Punto e da capo. Milano Cesare Brandi. Teoria del restauro. Roma Le croste nere sono un alterazione della superficie lapidea dovuta alla reazione di composti inquinanti, contenenti prevalentemente solfati, con i minerali calcarei delle superfici dei manufatti, che vengono trasformati in gesso per spessori anche notevoli (a volte di alcuni centimetri, mentre la patina è di qualche decimo di millimetro) che assume consistenza di crosta sul materiale sano. Anche se non mancano altri composti, le croste nere sono costituite prevalentemente da gesso che è un sale che può solubilizzarsi, per poi penetrare con la soluzione nei pori della pietra e ricristallizzare disgregandola ulteriormente. 4. Restauri dei prospetti della Chiesa della Croce a Lecce e della Torre Campanaria del Duomo di Agrigento. 5. In particolare gesso probabilmente proveniente dalle malte impiegate nelle varie fasi costruttive e di manutenzione. 97

29 I.

30 Conclusioni Paolo Mattina Il restauro di un edificio allontana dalla memoria l idea annerita dal tempo, sempre avvilita dall azione demolitrice degli elementi naturali, e spesso contaminata dalla parzialità umana. Ma non si tratta tanto di ricapitolare una combinazione ideale tra utilitas e venustas o disseppellire una freschezza materica conveniente, quanto della necessità di riaffermare il legame di una comunità e della sua storia con il luogo e con quel luogo in particolare, riappropriandosene. Un legame che si ripropone oggi che la singolarità del locus si fa evidente in maggior misura, rimarcando i caratteri più intimi dei legami atavici con quell architettura e l idea che rappresenta. Il rapporto di certe architetture con il luogo ha dimensioni ancestralmente imperscrutabili, a volte enigmaticamente affascinanti, forse solo presupposte, ma non meno autentiche. Capita spesso che le architetture si idealizzino per diventare le più significative in tal senso al di là delle dimensioni e anche al di là delle intenzioni. Quel segno, quell oggetto e le sue pietre una sull altra a disegnare quelle linee ora rette ora curve, a dare forma a quei maschi murari, a lasciare spazio a quelle bifore, a quei varchi, hanno fissato un avvenimento o forse un sogno, una chimera che trova l orma nella memoria collettiva degli eredi degli uomini e delle donne di quel borgo medievale. È il sogno di una gente che si fa materia: una vecchia torre difensiva monolitica e muta, come tante, si trasfigura, si apre alla comunità e diventa immagine del nuovo corso della storia. Non tutti lo sanno, ma lo colgono nel profondo. Riemerge dall inconscio risalendo l ostica gradinata di Palazzo Bongiorno, o discendendo il corso, oppure attraversando l ombra dell ampia crociera mentre ci si perde con lo sguardo a mezzogiorno. Potrebbe essere solo leggenda. Il desiderio di quel restauro, è un altro significativo sintomo di una memoria genetica e collettiva, di pulsioni che vincolano alla ricerca della propria identità e, al contempo, di una ragion d essere e di sentire comune. La torre è il segno, un luogo da vivere nello spazio e nel tempo e non il mezzo per una comunicazione istantanea da consumare 99

31

32 sull onnipresente altare mediatico. È la traccia della cultura comune, della memoria, del sogno. Il rapporto della memoria collettiva e il luogo e l idea del luogo stesso costituisce la genesi e il fondamento del segno urbano e la sua dinamica individuale. Quando l architettura si fa anche parte della città e vi si identifica, ispira a riconoscersi nel segno. Il centro urbano di Gangi è ricco di monumenti, forse più considerevoli, ma noi crediamo che se ce n è uno che lo racconti più di tutti nessuno è più convincente della torre dei Ventimiglia. pagina precedente I. restituzione grafica del prospetto settentrionale 52. scorcio della torre dal corso 101

33 55. interno al primo livello a restauri ultimati 55.

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35

36 dettaglio della tessitura muraria 54. interno al secondo livello a restauri ultimati 105

37 106

38 107 APPENDICE

39 108

40 Un territorio, un potere signorile. I Ventimiglia nelle Madonie nel tardo medioevo Pietro Corrao La secolare continuità del dominio della famiglia Ventimiglia sulle terre madonite, che affonda le sue radici nell età sveva radica in maniera profonda la famiglia di origine ligure al territorio comprendente il massiccio delle Madonie, che fin dall età normanna aveva conosciuto dominazioni unitarie, cui si ricollegarono direttamente, anche a livello genealogico, i conti di Geraci e di Collesano. Tale vastissima area comprende nel tardo medioevo, accanto al dominio dei Ventimiglia, territori soggetti ad altri poteri - primo fra tutti il vescovo di Cefalù - e grossi centri del demanio regio; la storia madonita del XIV secolo si identifica tuttavia in gran parte con le vicende del gruppo familiare ventimiliano. Questo, pur disponendo di possessi feudali e beni allodiali in altre parti dell isola, e pur sviluppando la sua azione politica nei confronti dell intero regno, nelle contee di Geraci e di Collesano ha il cuore del suo patrimonio e su queste fonda la sua potenza economica e politica. La continuità del dominio nel XIV secolo conosce Scorcio panoramico solo una frattura, fra 1338 e 1354, quando il conte di Geraci, Francesco, a seguito di un oscura manovra di Corte, veniva accusato di intese col nemico angioino, dichiarato ribelle e spossessato dei suoi domini. Rifugiati alla Corte napoletana, alcuni esponenti della famiglia non disperavano di tornare nell isola e nei loro patrimoni con l appoggio angioino: nel 1338, Aldoino Ventimiglia partecipava alla spedizione dell angioino Carlo di Artois contro il regno; dopo aver espugnato Collesano, si portava a Gratteri, della quale era stato signore, e vi entrava senza alcun ostacolo, dal momento che, narrano le cronache, gli abitanti «veneravano il detto Aldoino come loro signore». Gli episodi citati, peraltro, si collocano anteriormente a un lungo periodo di consolidamento ed espansione del potere della famiglia nell area madonita, durante il quale l accrescimento dei domini territoriali si svolge parallelamente all acquisizione del ruolo di protagonisti nella storia dell intero regno. Il dominio madonita dei Ventimiglia nel XIV secolo appare caratterizzato al tempo stesso da una forte omogeneità geografica e da una notevole varietà nel- 109

41 le caratteristiche produttive: un massiccio montuoso tagliato da numerose valli maggiori e minori, digradante a Ovest e a Sud su zone alto-medio collinari, consente la compresenza di redditizie colture granarie estensive, di pascoli, di risorse boschive. Gli abitati, tutti in posizione eminente, eccetto il casale di Roccella, sulla costa, appaiono arretrati rispetto al litorale, che risulta relativamente povero di approdi; funzionano come tali le «marine» di Roccella, Tusa e Caronia, mentre l assenza di un - un porto per l esportazione del frumento - facilmente accessibile, orienta le esportazioni granarie dei domini dei Ventimiglia verso Termini; qui i conti di Geraci possedevano magazzini portuali e la città era destinata a divenire, insieme a Roccella, il referente costiero più importante per la produzione cerealicola dell entroterra madonita, nonostante la sua posizione decentrata. Il controllo delle vie di accesso al massiccio madonita era assicurato da abitati fortificati quali Pollina, Tusa, Caronia, su alte rupi a guardia della costa, mentre una catena di abitati più interni, anch essi dotati di castelli in posizione fortissima, Collesano, Gratteri, Isnello, Castelbuono, S. Mauro, Castelluzzo, Pettineo, dominava le valli con i territori boschivi e granari dell immediato entroterra. Ai centri più interni, Caltavuturo, Geraci, le Petralie, Gangi, Sperlinga facevano capo vastissimi territori digradanti verso Sud, i feudi granari di Resuttano, Regiovanni, Casalgiordano, Bordonaro, Garbintauli (Verbumcaudo), Raulica, Artesina, Bilici, Raxafica, Rachilebbi, destinati, nel corso del 300 a entrare a far parte del dominio ventimiliano. Difficile, in assenza di dati quantitativi adeguati, valutare le risorse di tale area. Ma possono essere considerati alcuni indicatori: nella richiesta di contributi proporzionali alle risorse in popolazione, produzione e ricchezza fatta da Pietro III nel 1283 ai centri abitati del regno in previsione della guerra con gli angioini, le città demaniali - sotto il dominio diretto del re - appaiono i centri più popolosi: Termini con 560 fuochi, Cefalù con 800, Polizzi con sovrastano di gran lunga gli abitati feudali di Collesano (300 fuochi), le Petralie (300 e 155), Geraci e S. Mauro (100), Isnello (205), Pollina (150), Gratteri e Ypsicro (75); a grande distanza Montemaggiore (30) mentre per Gangi manca ogni dato. Complessivamente, la popolazione raggiunge la ragguardevole percentuale del 6%, sul totale del regno. Quanto alle risorse produttive, i dati rivelano un enorme patrimonio di capi di bestiame (il 16,5% sul totale del regno), concentrato soprattutto nelle aree di Polizzi, Collesano, Caltavuturo e Gangi. La presenza accanto al pascolo, di vastissime aree di seminativi è testimoniata dalla ragguardevole percentuale di cereali (l 8% sul totale del regno) richiesta ai centri madoniti. La sola Cefalù infine, fornisce all armata regia 1000 salme di vino, indice questo del grande sviluppo che le colture specializzate avevano avuto sui terreni collinari già nel XIII secolo. Una notazione a parte merita poi l enorme patrimonio forestale che in questa fonte non viene considerato, l immensa foresta di Caronia, i boschi fra Petralia, Collesano e Castelbuono, fanno 110

42 dell area madonita una grande riserva di legname per le costruzioni navali e civili. Un altro e più adeguato punto di riferimento sono i conti, del 1322, del procuratore della contea di Geraci. Riassumendo il complesso quadro economico offerto da questo documento, si rileva una rendita in cereali di circa salme fra frumento e orzo, concentrata soprattutto nei territori delle Petralie, di Geraci, S. Mauro, Gratteri, Gangi e nel feudo Bilici; una rendita in denaro di circa onze, I esistenza di un enorme patrimonio di capi di bestiame - 13 mandrie fra bovini, ovini, suini - e di estesissime vigne a Gangi, Gratteri, Fisaula, Caronia, Bilici, Ypsicro (Castelbuono). Una schiera di curatoli e procuratori del conte amministra le masserie, le vigne, le coltivazioni di lino e mirto, le mandrie e l allevamento di giumente; camerari locali e procuratori gestiscono le entrate delle varie attività economiche e l impianto di nuove attrezzature (castelli - a Castelbuono - mulini, fosse frumentarie). Un potere signorile saldo, compatto, esteso su un area vastissima dà dunque il suo volto al territorio, disseminandolo di castelli, organizzandone l economia, reclutando manodopera, ma anche fondando e dotando chiese (S. Maria del Porto e S. Maria della Misericordia a Castelbuono, S. Maria di Pedale a Collesano, S. Maria della Casa a Geraci), e creando nella società madonita una rete di solidarietà con la famiglia dominante e di dipendenza estesi a nobili minori, clero locale, notai, reclutati nella Corte giudiziale e nella comitiva del conte. La preminenza economica dei centri demaniali che emerge dai dati del 1283 è senz altro veritiera. Polizzi, Termini, Cefalù, sono abitati ricchi e socialmente articolati. Si è già visto come Termini si collochi fra i maggiori porti granari dell isola; Cefalù, grazie alla presenza di un prestigioso potere vescovile, è sede di una nobiltà minore intraprendente e agiata; Polizzi, dotata di un castello strategicamente centrale nella difesa del regno, è centro economico di grande importanza per le colture granarie e per l allevamento, e mostra un dinamico ceto dominante cittadino dotato di patrimoni considerevoli e di notevoli capacità imprenditoriali. Nella seconda metà del 300, in concomitanza con la crisi del potere regio, i Ventimiglia di Geraci e di Collesano sviluppano una serrata offensiva per assicurarsi il controllo di tali centri demaniali e per integrarli nel complesso economico e istituzionale del loro dominio signorile. Gli interessi dei Ventimiglia a Polizzi, Cefalù, Termini, sono d altronde precocemente e costantemente documentati: già alla fine del sec. XIII a Cefalù i conti di Geraci hanno un hospicium, mentre nel 1322 a Termini dispongono di magazzini granari. Alla morte del conte Francesco, nel 1388, sono due i palazzi dei Ventimiglia a Cefalù - uno dei quali, dotato di torre, è posto sulle mura - ed è nella cattedrale cittadina che il conte chiede di essere sepolto; la famiglia dispone inoltre in città di giardini e di una cappella. Il controllo dei centri demaniali si concretizza di preferenza attraverso l assunzione delle massime cariche del governo locale. Nel 1356 il conte Francesco figura come Capitano regio di Polizzi; una forma di signoria dato il conte operava come vera autorità sovrana, ma confermava agli uomini della terra dei capitoli stilati «de consciencia et voluntate nostre magnificencie». Analoga sorte era toccata nel 1358 a Cefalù, data dal re in rettoria al conte di Collesano, mentre in altri casi, la concessione in feudo di terre demaniali era avvenuta apertamente, come nel caso di Termini nel Capitanie e castellanie, con annessi redditi cospicui (500 onze l anno nel caso di Polizzi nel 1371), specie se ottenute a vita o in perpetuo conuivano in un unica gestione insieme alle terre tenute in dominio feudale: esplicito il riferimento all integrazione del dominio in un documento del 1396, ove si parla di «terri ki ipsi [i conti di Geraci e Collesano] regginu» e si fa riferimento al complesso dei domini del conte come a lu sou paysi. Tale erosione e usurpazione del demanio, nella Sicilia del XIV secolo, è un fatto generalizzato: ad un sempre più accentuato declino della forza del potere regio corrisponde un prepotente dilatarsi delle sfere di in uenze dei maggiori casati nobiliari che si accompagna a un complesso processo di ridistribuzione e di concentramento della ricchezza fondiaria; a danno principalmente del demanio regio, in una situazione 111

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