Era il 1977, più precisamente un caldissimo mese di luglio del 1977, quando traslocai con i miei genitori in via Rosellini.
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- Lucio Orsini
- 8 anni fa
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1 A Milano il gallo canta ancora Era il 1977, più precisamente un caldissimo mese di luglio del 1977, quando traslocai con i miei genitori in via Rosellini. Via Rosellini, per chi non la conoscesse, è una strada che si trova in mezzo tra via Melchiorre Gioia e viale Zara ed è perpendicolare a via Pola, nella zona nord della città. Insieme alle vie Pola, Taramelli ed Abbadesse, via Rosellini forma un quadrilatero all interno del quale vi è un complesso immobiliare molto esteso tutto destinato ad uffici, una volta occupato da società del gruppo Montedison ed ora da alcuni dipartimenti della Regione Lombardia (che alcune volte mi sembra avere più uffici sparsi sul territorio che territorio stesso) e dalla società che gestisce la borsa telematica. Dal lato opposto di questo quadrilatero, verso via Melchiorre Gioia, via Rosellini guarda su quello che fu un borgo antico: case basse, due piani non di più, ringhiere ed una chiesetta piccola piccola denominata alla Abbadesse (per esteso Santissimi Carlo e Vitale alle Abbadesse), ubicata al margine dei giardini di via Restelli. La situazione che si viene a creare in questo contesto ambientale è che, da lunedì a venerdì, quando gli uffici che circondano la via Rosellini sono aperti, le strade sono molto frequentate dalla gente che lavora e non trovi spazio per posteggiare nemmeno un monopattino; di sabato ed ancor di più di domenica, quando la stagione lo consente, senti il chiacchiericcio dei passerotti e se disponessi di un autoarticolato avresti solo l imbarazzo di dove lasciarlo fermo. Ancora oggi, a distanza di molti anni, vivo questa strada in modo contraddittorio, come contraddittoria è la situazione stessa, un poco come svegliarsi campioni di pallacanestro (tutto nervi, tensione e velocità) ed andare a dormire giocatore di scacchi (tutto riflessione e posatezza). Ma, si sa, Milano è bella anche per questo. Sta di fatto che nel 1977 ero studente universitario il che significava pochi soldi in tasca e tanti sogni. Il mese di agosto, sia per prepararmi agli esami autunnali, sia perché il trasloco aveva stravolto i miei ritmi di studio, decisi che sarei rimasto a Milano. Della via Rosellini di domenica vi ho detto, a voi lascio pensare cosa potesse essere nel caldo estivo degli anni settanta, quando fu coniato il termine saracinesca selvaggia a descrivere la situazione di coloro che, rimasti in città, non trovavano neppure un negozio aperto perché tutti gli esercenti erano andati in vacanza. Con quei pochi umani che incontravi per strada ti scambiavi informazioni preziose del tipo: guardi, alla via tale, ho visto aperto un droghiere (oggi non ci si ricorda neppure più che è esistito), oppure, per il pane io vado a Porta Ticinese. A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 1
2 E tu, come un sopravvissuto alla guerra dei mondi di più fantasiosa memoria, ti avviavi là dove ti era stato detto, per procurati cibo e acqua. D altra parte pochi allora erano i supermercati che facevano il turno ad agosto e, comunque, ce n erano molti meno di adesso. Comunque sia, io nell agosto del 1977 in via Rosellini avrei potuto mettere il letto al centro della strada ed essere sicuro che sino alla fine del mese nessuno si sarebbe accorto di me. In queste condizioni ambientali, di giorno studiavo e studiavo molto vi assicuro ed alla sera, sfinito, dalla fatica e dal caldo, mi addormentavo. Fu così che una mattina in un orario che avevo stimato intorno alle 5,30, sentii cantare il gallo. Poiché, come ho detto, alla sera quando mi addormentavo ero veramente sfinito, non ci feci più di tanto caso, ritenendo trattarsi di frutto della mia fantasia. Al terzo canto del gallo ritenni che la mia fantasia non avrebbe potuto spingersi a tanto e, quindi, combattuto tra la voglia di continuare a dormire e quella di scoprire di cosa si trattasse, stavo con l orecchio teso, con l unico effetto di non riuscire più a dormire, pur avendone voglia. Alle 6,30 mi alzai e cominciai a studiare, anche perché il gallo aveva smesso di cantare. L episodio si ripropose la mattina successiva e quella dopo. A questo punto compresi di avere un problema: se dovevo studiare, dovevo poter dormire; se non riuscivo ad alzarmi alle 5,30 del mattino dovevo potermi svegliare almeno alle 7,30. Fu così che la quarta mattina, pronto come un pompiere di turno, al primo canto del gallo mi vestii ed in pochi minuti fui in strada alla caccia del gallo. Milano, ancora una volta, mi riservò una sorpresa. Senza alcun rumore di fondo (vi ricordo che erano le 5,45 di una mattina di mezzo agosto) l eco dei miei stessi passi rimbalzava tra le facciate delle case e giocava a rimpiattino con la voce stridula dell animale pennuto, come un sovrapporsi di ombre notturne. Io andavo a destra e mi sembrava di sentire il gallo a sinistra, tornavo indietro e nuovamente cambiavo direzione. Il sole si alzava inesorabilmente ed io temevo di perdere la traccia perché se il gallo smetteva di cantare io come lo trovavo? Fu così che per disperazione o forse per intuizione, mi diressi verso il borgo antico, camminando guardingo con l orecchio teso come la miglior filmografia ci ha trasmesso l immagine del ladro inseguito dalla polizia: fermo al primo rumore, sguardo a destra, poi a sinistra, e via felino per qualche altro passo, poi di nuovo fermo in ascolto. Così facendo mi ritrovai di fronte ad un vecchio portone di altezza inferiore a quella della mia (pur normale) statura. Cardini che apparivano divelti, assi di legno dipinte di scuro, quasi nero. Un interruttore bianco a bottone appeso ad un filo, tipo quelli presenti nelle abatjour sui comodini dei A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 2
3 nostri genitori, con sotto un etichetta bianca, come quella che abitualmente si vede sulle copertine dei libri della scuola media inferiore. Lì per lì pensai trattarsi di casa abbandonata e l aspetto era quello, faccio per allontanarmi, ma, d un tratto, ecco il suono, inconfondibile, che entra nel cervello e te lo scuote, come capitava a scuola quando la maestra tirava il gessetto bianco sulla lavagna: il canto del gallo. Il nemico era lì, non poteva che essere lì dietro quella porta sgangerata, ma come accedervi? Come verificare la situazione? La tensione ormai era elevata, la fatica scomparsa di fronte alla vicinanza dell obiettivo. La voglia di completare la scoperta pari all attesa di un bambino per il Natale. Che fare? Mi avvicinai al portone, lessi quel poco che rimaneva sull etichetta bianca della scritta in stampatello con un inchiostro all origine azzurro ed intravidi un cognome che, per la mancanza di alcune lettere (oltretutto consonanti che, si sa, sono di più delle vocali), si prestava a diverse interpretazioni. Non suonai, non osai, chi poteva esserci dietro quella porta insieme al gallo? Un nerboruto contadino lombardo intento alla coltivazione del suo campo, irritabile alla mia venuta? Un agreste coppia di anziani che, spalla a spalla, curvati a terra, accudivano al loro orto per avere sempre fresche le verdure? Che dire? Che pensare? Nel dubbio meglio lasciare e me ne andai. La mia missione, peraltro, non era ultimata; dovevo pur scoprire il padrone del gallo. Idea: la guida del telefono. Ma subito la scartai: com era possibile che una persona che viveva in una casa che appariva almeno all esterno diroccata insieme ad un gallo potesse avere un telefono? In ogni caso era ancora mattina presto, voglia di studiare meno di zero ed allora prendo la guida del telefono, ma non quella che oggi siamo abituati ad utilizzare, con il nome degli abbonati in ordine alfabetico ma l altra, quella con la copertina rosso mattone, che ora non c è più, che elenca gli abbonati suddivisi per strada e, all interno di ciascuna strada, per numero civico. Il portone del gallo, il numero civico, manco a dirlo, non l aveva; ma la strada c era. Ed allora, con pazienza, passai tutti i nomi in elenco verificando quelli che per composizione con le lettere del cognome delle quali disponevo potesse coincidere con il mio "ricercato", ed alla fine lo trovai. A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 3
4 Era come aver risolto una sciarada, riguardi il percorso che hai fatto, verifichi l esattezza delle coincidenze, le ricontrolli per essere certo di non aver sbagliato nulla e poi ti compiaci con te stesso e guardi il risultato. E lui, è questo il nome, non può esser diverso. Ed ora l ultimo atto: la telefonata. Sono le 6,30 della mattina, il gallo non canta più da un pezzo, è l ora del confronto: io da un parte (studente stanco e affaticato che deve conquistare le sue ore di sonno futuro) lui dall altra (il padrone del gallo, il disturbatore, l autore di una sottile guerra psicologica di infiacchimento del vicinato). Chiamai, mi rispose una voce femminile, non più giovane, non me l aspettavo; perché dall altra parte del filo non c era un uomo? Impreparato balbettai qualcosa e chiesi se, per caso, la gentil signora convivesse con un gallo. Lei mi risponse che sì, possedeva un gallo che le serviva per le sue galline. Io sono stordito: siamo al centro di quella che in allora era chiamata la City di Milano ed io scopro un pollaio, non è possibile. Chiedo conferma, la ottengo. Non ho più parole solo riesco a dire: Sa, signora, il suo gallo di mattina si sveglia presto e sveglia anche me. E lei, rimando: Si ha ragione, il gallo fa il suo mestiere. Ed io, proseguendo in un discorso che non mi pareva di stare a fare: Capisco ma dobbiamo conciliare le nostre opposte esigenze, il canto del suo gallo e la mia necessità di non esser svegliato tutte le mattine alle 5,30 E lei, a chiudere: Allora ammazzo il gallo. Ed io, quando ormai non mi sentiva più: Ma non c è una soluzione diversa? Non può portarlo in campagna? Sta di fatto che la mattina dopo il gallo non cantò più e a me mancò un poco: mi sentii come il mandante di un omicidio (non che abbia esperienza in materia, sia ben inteso). Non ci pensai più, conclusi i miei studi in giurisprudenza, superai l esame di procuratore legale (figura professionale ora soppressa da una riforma della professione forense), divenni avvocato e, passati oltre vent anni, mi trovai all inizio del Inverno, sono in studio, piazzetta Guastalla, a fianco del Tribunale di Milano, la segretaria viene nella mia stanza e mi dice che c è una persona per me, chiedo chi sia, nessuna indicazione più precisa di questa: una signora anziana mandata dall Ordine degli Avvocati. Perplesso essendomi noto che l Ordine degli Avvocati non indirizza nessuno ai propri iscritti, mettendo al più a disposizione di chi lo richiede l Albo con l indicazione alfabetica di tutti gli avvocati del distretto di Milano vado in sala riunioni e vedo su una sedia un fagotto umano, con il gomito che spunta da un cappotto di lana grezza appoggiato al tavolo ed una mano, secca secca, che regge una testa avvolta in un foulard. A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 4
5 Mi avvicino e l anziana signora si alza, la invito a stare seduta, ma lei insiste e mi si presenta davanti: curva sulla schiena non supera il metro e sessanta, non mi arriva neppure alla spalla. Mi porge la mano, ho paura a stringerla, le dita nodose e sottili, forse rompo qualcosa. Ci pensa lei, prende la mia mano e mi dà una stretta che mi procura dolore. Ma chi è questa donna? Lo sguardo vivo, penetrante, espressione determinata, sembra Madre Teresa di Calcutta. Mi spiega che ha un problema, che l Ordine degli Avvocati gli ha dato l elenco degli iscritti e che tra i circa in allora presenti a Milano ha scelto me, per il cognome e per la vicinanza a Palazzo di Giustizia. Mi vien da pensare quanti giorni abbia trascorso negli uffici dell Ordine di Milano per compiere la sua scelta ma mi riprendo subito, la signora ha cominciato a narrare la sua storia. Mi racconta che vive in una casa di ringhiera alla periferia di Milano, che era stata sposata ad un uomo vedovo che aveva tre figli, a loro voglia sposati con figli, che il marito mutilato era morto da un paio d anni e che i figli di lui volevano mandarla via da casa sua. La descrizione del fatto è stata troppo succinta per capire il profilo giuridico della situazione ed allora spiego alla signora che deve essere un po più ricca di particolari e, soprattutto, fornirmi la documentazione necessaria per operare ogni più opportuna valutazione. Mi lascia dicendomi che avrebbe provveduto e sarebbe tornata da lì a qualche giorno. L accompagno alla porta, la saluto dando maggiore energia alla mia stretta di mano per poter resistere alla sua, la seguo con lo sguardo, è curva ma l incedere è sicuro. Provo subito simpatia. Dopo una settimana mi telefona, ci diamo appuntamento, non vuole che vada io da lei, torna da me in studio, mi riempie la scrivania di carte e mi spiega. Anni addietro, mentre era convalescente da un ictus che aveva subito, erano scadute della cambiali che aveva avallato per dei debiti del marito, nessuno le aveva pagate ed il creditore aveva pignorato la casa dove abitava, non sapeva com era finita ma mi fa vedere un contratto di comodato ove i figli del marito, poco dopo la morte del padre, le concedono, a vita, l uso della casa, purché se ne serva per proprie esigenze abitative. La signora gode del minimo di pensione sociale, non possiede beni, neppure la casa che considera sua, vive con un cane, ha la stufa a legna e tutti i giorni va in cortile a spaccare dei ceppi che brucia nella stufa per riscaldare la casa; essendo, come detto, anziana, occasionalmente ha concesso alloggio, in una stanza che ha libera, a degli studenti che, per contraccambiare, gli hanno imbiancato i locali, piuttosto che fatto la spesa. A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 5
6 Un vicino di casa, irritato dall attività di boscaiola della signora e dall ingombro che assume procurare al cortile con i pezzi di legno, segnala la cosa ai figli del di lei marito i quali, con un tempismo degno di miglior causa, gli notificano la cessazione del comodato sulla casa, per violazione del patto di uso abitativo proprio. La situazione, così succintamente esposta, pur nella sua incompletezza giuridica, lascia scoperto un punto: come fosse stato possibile che la signora da proprietaria di casa fosse diventata mera ospite nella stessa. Mi disturba, poi, dal punto di vista emotivo, il fatto che la donna che aveva accudito un mutilato sino al momento del suo decesso venisse mandata via di casa dai figli che, evidentemente, vedevano in una casa libera, un valore di realizzo maggiore che non quello di un immobile occupato. Vado in Tribunale, cerco in archivio il fascicolo dell esecuzione immobiliare subita dalla signora e accerto che l appartamento in questione è stato venduto all asta ai figli del marito. La chiamo, le spiego la situazione e lei mi racconta che le cambiali le aveva pagate tutte e che aveva dato i soldi al marito che le aveva riferito di averli dati al creditore e che tutto era a posto. Purtroppo la cosa a posto non era affatto e la situazione era immutabile, la casa non era più sua ma dei figli. L unica cosa che posso fare è oppormi alla richiesta di risoluzione del comodato e conseguente domanda di rilascio dell immobile e cercare di dimostrare che l anziana signora non aveva violato l obbligo di uso abitativo proprio e che, quindi, poteva continuare ad occupare la casa a vita. D altra parte non ha eredi propri alla quale lasciarla anche se fosse rimasta in sua proprietà. La causa non si presenta facile per ragioni che non è il caso in questa sede di spiegare. Sta di fatto che io la pratica me la prendo a cuore e ogni volta che l anziana signora viene inaspettatamente da me in studio a portarmi documenti nuovi, quasi sempre inutili, io la ricevo con piacere ed ascoltavo pezzi di storia della sua vita, che mi portavano in un mondo che non c è più. Arriva il giorno dell udienza di discussione della causa. Vengono sentiti i testimoni, c è tensione, la signora, sottovoce, mi confida che se incontra il teste che assume fasullo indotto dalla parte avversaria, lo apre a colpi d accetta. La calmo spiegandole che la causa non è finita e non è il caso di disperarsi prima di conoscerne l esito. Si giunge alla discussione finale. Sentite le difese orali conclusive, il giudice invita le parti ad uscire dall aula onde poter redigere la sentenza e dar quindi corso alla lettura del dispositivo. Dopo qualche tempo veniamo richiamati nell aula una di quelle con i soffitti altissimi sotto i quali l uomo comune si sente piccolo piccolo ed il Giudice legge. In quei momenti il cuore cambia il suo ritmo, le palpitazioni lasciano il posto all apatia, tu pensi a quello che hai fatto e verifichi di non aver tralasciato nulla, rivivi in pochi secondi tutta la causa e aspetti: Repubblica Italiana, in nome del Popolo Italiano.. A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 6
7 Ho vinto. L anziana signora rimane nella casa che era stata sua. Usciamo, io sono contento, ed allora la signora che mi segue alla mia destra, mi racconta che anni prima aveva abitato in una vecchia casa tra le stazioni Garibaldi e Centrale, vicino alla chiesetta di un antico borgo milanese, che d estate prendeva un gallo che teneva insieme alle sue galline, che una mattina ricevette una telefonata che la informava che il suo gallo disturbava e dovette sopprimerlo. Mi si ferma il cuore. La guardo, non le dico nulla, le sorrido e la immagino, oltre vent anni prima, al telefono con me. La lascio sulla soglia del Tribunale augurandole ogni bene. Mi stringe, come d abitudine, forte la mano, mi abbraccia, la seguo con lo sguardo e, mentre s allontana, io, ancora una volta, sento cantare il gallo, il suo gallo. Milano aprile 2006 Maurizio Sala A Milano il gallo canta ancora di Maurizio Sala 7
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