Don LUIGI PALAZZOLO E MEMORIE STORICHE

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1 Sac. CARLO CASTELLEITI VITA DEL SERVO DI DIO Don LUIGI PALAZZOLO E MEMORIE STORICHE INTORNO AGLI ISTITUTI DI CARITÀ DA LUI FONDATI BERGAMO Tipografia e Legatoria Umberto Tavecchi

2 RISTAMPA INTEGRALE PAPERGRAF PIAZZOLA S.B. PADOVA APRILE

3 AL LETTORE Quando or sono quasi otto anni moriva il benemerito Sacerdote D. Luigi Palazzolo, nell universale compianto che accompagnò quella perdita, uno era il desiderio manifestato da tutti, che si avesse a perpetuare la memoria di quell uomo di Dio, scrivendone la vita, e a me si volle affidare il non leggero incarico. Cedendo al desiderio dei superiori e degli amici, mosso anche dall amore vivissimo verso quel santo sacerdote e dai moltissimi obblighi di riconoscenza che ho verso di lui, accettai l impegno. Ma le molte occupazioni e varie vicende di questi anni mi impedirono di assecondare alle insistenti domande che mi venivano fatte e il mio stesso vivo desiderio di condurre a termine questo lavoro. Ora poi la circostanza opportuna del venticinquesimo anniversario, che si compie quest anno, dal principio delle opere fondate dal Palazzolo, mi costrinse a rompere decisamente ogni indugio e pubblicare tale e quale è questa vita. Essa esce al pubblico lungamente aspettata, ma figlia ancora della fretta e dettata ad intervalli e in qualche ritaglio di tempo. Nessuno perciò ne aspetti un lavoro compito e perfetto. Prego anzi fin d ora il lettore a perdonare i molti difetti che vi riscontrerà di stile e di lingua ed anche forse di ordine e di disposizione. Scopo della pubblicazione non è se non di far conoscere la vita di uomo tanto più virtuoso, quanto più umile, e che sparse intorno a sé tesori di opere sante e benefiche; - e ciò a suo onore ed a comune edificazione. Io sarò ben contento a riguardo di questo lavoro, se chi conobbe bene il Palazzolo potrà dire che il ritratto ch io vado delineandone è riuscito somigliante e fedele, e se gli altri impareranno a conoscere, e un poco ad imitare le egregie virtù di questo Uomo di Dio e ad aiutare e promuovere le opere da lui con tanti sacrifici iniziate. E tutto sia alla maggior gloria di Dio. Bergamo, il Venerdì Santo Sac. CARLO CASTELLETTI Vicario Titolare di S. Alessandro in Colonna 3

4 Prefazione alla seconda Edizione Anno 1920 Esaurita completamente la prima edizione di questa «Vita del Servo di Dio Don Luigi Palazzolo» nel procedere alla ristampa, sarebbe stato desiderabile che, terminati come sono i Processi diocesani per la causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio, coll introduzione della causa a Roma, si potessero attingere dagli atti quelle numerose deposizioni e testimonianze che avrebbero servito a completarla, ad arrichirla, ed a far sempre più risplendere alla maggior gloria di Dio ed alla comune edificazione la santità della vita del Venerato Palazzolo. Ma la considerazione che non breve sarà ancora il tempo richiesto prima che sia possibile tale consultazione, e che continue ed insistenti sono le richieste che da tante parti pervengono, ha determinato a procedere subito alla ristampa di questa vita, conservandola tale e quale fu scritta dal compianto Mons. Castelletti, salvo lievi modifiche ed aggiunte nelle note, rese queste necessarie dalle varie vicende dell Istituto da quell epoca ad oggi. *** L autore di questa vita, Mons. Carlo Castelletti, Cappellano, Vicario titolato, indi Prevosto di S. Alessandro in Colonna, fu allievo ed alto estimatore del Servo di Dio, Sac. Luigi Palazzolo, il quale alla sua volta lo aveva in grande stima. Vivente ancora il Palazzolo, questi si faceva da lui sostituire durante le sue assenze affidandogli le sue opere. Dopo la morte del Servo di Dio, penetrato com era del suo spirito, ne scrisse la vita, scolpendone i lineamenti con ammirabile verosimiglianza. Fu consigliere fidato, amico sicuro del Can. Guglielmo Valsecchi, successore del Palazzolo nella direzione dei suoi Istituti e con lui scrisse le brevi Norme per le Suore che furono aggiunte alle Regole scritte dal Palazzolo. Partecipava alle gioie ed ai dolori dell Istituto, lo visitava di frequente, ne promuoveva lo sviluppo e generosamente lo aiutava nelle opere; favorì la scuola festiva di studio e di lavoro per le giovani operaie, fondò nel 1893 presso l Istituto la Pia Scuola S. Gerolamo Miani per i figli poveri della Parrocchia e nel 1898 gettò i primi fondamenti del Ricovero delle vecchie, curandone lo sviluppo e procurando i mezzi di sussistenza. Frequentemente predicava Esercizi alle Suore, alle orfane e alle giovani dell Oratorio: presiedeva alle feste dell Istituto, delle quali era l anima, partecipandovi e godendone con vero trasporto. L ultima volta che uscì di casa fu per una visita all Istituto e accomiattandosi dal Sup. Can. Valsecchi, si raccomandava alle preghiere della Comunità per poter riposare la notte, essendo da diverso tempo tormentato dall insonnia. Purtroppo invece quella notte stessa, 30 Novembre 1908 fu colpito mortalmente da apoplessia ed il 3 dicembre santamente spirava. Ben giustamente quindi il nome di Mons. Castelletti è e sarà sempre in benedizione presso l Istituto accanto a quello dei suoi Fondatori e del Sup. Canonico Valsecchi, avendo efficacemente con loro cooperato al suo incremento, ed essendone, per molti titoli, uno dei benefattori più generosi. Sac. LUIGI BUGADA Bergamo

5 PRESENTAZIONE alla RISTAMPA INTEGRALE della "VITA" del BEATO LUIGI MARIA PALAZZOLO scritta da Mons. Carlo Castelletti La Vita del Servo di Dio don Luigi Palazzolo e memorie storiche intorno agli Istituti di carità da lui fondati fu scritta dal Rev.do Mons. Carlo CASTELLETTI, pubblicata nella primavera del 1894 e ristampata (esaurita la prima edizione) a cura di Mons. Bugada nel La Vita fu voluta da Madre Teresa Gabrieli che, subito dopo la morte del beato Fondatore, ricevette molte pressioni, perché ne facesse raccogliere la storia, le memorie, gli esempi. Essa ne affidò l incarico a Mons. Castelletti, allora Vicario della parrocchia di S. Alessandro in Colonna in Bergamo, profondo conoscitore, estimatore e collaboratore del Palazzolo. Il Castelletti, nativo della parrocchia di S. Alessandro come il Palazzolo, fu ordinato sacerdote nell Agosto del 1872 e, fin dall ordinazione, fu coadiutore nella parrocchia di S. Alessandro, poi vicario e infine nel 1895 parroco nella medesima parrocchia, in cui morì il 30 Novembre del Egli quindi collaborò a lungo con il Palazzolo, ne conobbe la vita, la spiritualità, le opere; ne condivise e sostenne l attività con impegno e devozione piena, con viva passione per il Regno e per il servizio ai poveri. Nel 25 di fondazione dell Istituto ( ), a soli otto anni dalla morte del beato Palazzolo, nella settimana santa del 1894, riuscì a pubblicarne la biografia, che ben presto fu esaurita. L opera fu voluta e riveduta nelle bozze da Madre Teresa Gabrieli, di cui il Castelletti parla con ammirata discrezione (cfr. nota a pag. 71 del testo). Con il Castelletti, Madre Teresa Gabrieli collaborò per le più svariate opere di carità: apertura del ricovero per le anziane, continuazione delle scuole serali e festive volute dal Palazzolo e, nel 1893, all apertura della Pia Scuola elementare S. Gerolamo Miani (ora scuola Palazzolo) per i bimbi poveri delle periferie e della campagna, per i figli degli operai a cui era impossibile la frequenza nelle scuole private o pubbliche del tempo. Mons. Castelletti quindi era una persona informata e competente, sensibile e capace di penetrare, descrivere, trasmettere la vita e lo spirito di fede, di carità che aveva guidato il beato Luigi Palazzolo. Nel Madre Generosa Bruttomesso, per rispondere a domande e sollecitazioni, si sentì in dovere di fare una ristampa della suddetta biografia e ne affidò la cura a Mons. Bugada che, con sollecitudine, fece ricerche approdate nella pubblicazione del 1920, perfettamente fedele all originale del Il linguaggio di fine ottocento che questa attuale ristampa ha voluto rispettare, nulla toglie alla profondità e chiarezza della testimonianza dell autore. Perciò oggi ristampando la Vita del Beato Luigi Maria Palazzolo si vuole offrire alle Sorelle, alle giovani in formazione, ai tanti amici della nostra Famiglia, una vera miniera, una documentazione storica di prima mano e così la possibilità di attingere alle sorgenti della nostra Congregazione di Suore delle Poverelle. Bergamo - Marzo 1996 CENTRO STUDI Suore delle Poverelle 5

6 CAPITOLO I. Nascita e parenti del Palazzolo. Il Servo di Dio, del quale imprendiamo a narrare la storia, ebbe i suoi natali il dì 10 Dicembre dell anno 1827 in Bergamo nella vasta e popolosa parrocchia di S. Alessandro in Colonna, e precisamente in Via Prato (ora chiamata Via XX Settembre), nella casa che si incontra a destra da chi parte da P. Pontida, dove la via poco al di là dello sbocco del Vicolo delle Macellerie, volta un poco verso tramontana. Al bambino furono imposti nel Battesimo i nomi di Luigi Maria, nei quali ben potrebbesi ora riscontrare quasi un pronostico della vita da lui condotta, nella quale, quasi un nuovo S. Luigi, accoppiò in sé stesso miram innocentiam pari cum poenitentia, una innocenza ed una penitenza egualmente ammirabili congiunte con una tenera e filiale devozione alla Vergine che a lui pure, come a tanti Santi, fu ispiratrice di grandi imprese a gloria di Dio ed a bene dell umanità. Genitori del nostro Luigi furono il sig. Ottavio Palazzolo e la sig. Teresa Antoine. La famiglia Palazzolo ebbe sua culla nella terra di S. Pellegrino nella Valle Brembana (Provincia di Bergamo), terra notissima in tutta Italia e fuori per le sue celebratissime acque minerali. A S. Pellegrino vivono ancora molti lontani parenti del Palazzolo, che portano il suo stesso cognome, e parecchi di essi vanno fra i più distinti del paese. Da un ramo poi di questa famiglia stabilitosi a Bergamo era nato il signor Ottavio padre del nostro sacerdote. La famiglia Antoine poi, sebbene di origine straniera, era però conosciutissima a Bergamo, dove esercitò con onore per lungo tempo l arte tipografica e libraria nell antica tipografia Locatelli. Né solo all arte libraria, ma anco agli studii si dedicarono con amore gli Antoine e uno di essi, proavo di D. Luigi, pubblicò un pregiato dizionario di geografia antica. L avo suo poi si distinse, come dilettante nella pittura e nel disegno. Suo padre fu paziente raccoglitore di memorie de suoi tempi, e specialmente di aneddoti e sentenze riguardanti uomini celebri. Ambedue le famiglie erano abbastanza provvedute di beni di fortuna e possedevano terre e case e a Bergamo e a S. Pellegrino, oltre al negozio di libri ben provveduto e ben avviato, che tenevano nella casa di loro proprietà e da essi abitata. Come per condizione sociale, così per costumatezza e pietà andavano distinti i genitori del Palazzolo. Negoziante di proverbiale onestà, il sig. Ottavio lasciò di sé memoria come di uomo istruito e colto, così di vero cristiano. Pur troppo fu colto da morte nella età ancor robusta di 54 anni il dì 8 Agosto del La signora Teresa Antoine era una donna di gran senno e di soda pietà. Avuta nella sua fanciullezza una squisita educazione, la dimostrava nella saggezza dei discorsi e nella gentilezza del tratto da vera matrona cristiana. Visse in tempo per essere testimonio delle virtù del suo Luigi e dei primordi delle sue imprese caritatevoli, che tennero bene spesso inquieto il di lei cuore materno per le grandi spese nelle quali vedeva ingolfarsi il figlio, e che prevedeva avrebbero finito col consumare tutto il suo patrimonio. Lo aiutò però sovente in tali imprese essa medesima da quella caritatevole donna e amorevole madre che ella era. Morì da veramente cristiana quale era vissuta al 10 Settembre del 1862 nella grave età d anni 79, e D. Luigi nella chiesetta da lui poi edificata, le pose questo ricordo: Il Sacerdote Luigi Palazzolo - pose questo segno - a cara memoria della madre sua - TERESA ANTOINE - che ancora vivente fece grandi sacrifici - a pro della gioventù. Come indizio della rettitudine d animo e della generosità veramente cristiana di sua madre, D. Luigi ricordava sempre il fatto che, proprio quando egli stava per ascendere all ordine del Suddiaconato, essendole morto in età di 31 anno il figlio Aquilino, né rimanendole alcun altro della numerosa figliuolanza, la pia Signora incontrò con magnanima rassegnazione il duplice sacrificio, rinunciando del tutto alla speranza di veder continuata la sua posterità. Se la gloria dei genitori ridonda anche sui figli e se, ciò che più monta, la buona riuscita dei figli stessi dipende in gran parte dalla retta educazione e dai buoni esempli avuti in famiglia, l aver qui accennate le virtù dei genitori del Palazzolo, gioverà certo e a suo onore ed a comune edificazione, affinché si ricordi una volta di più il merito grande che ponno procacciarsi innanzi a 6

7 Dio e l onore che ponno guadagnarsi anche innanzi agli uomini i genitori, educando cristianamente i loro figliuoli, e la colpa e il danno grandissimo che incorrono trascurando questo loro dovere. CAPITOLO II. Indole del Palazzolo. Sua prima educazione e virtù della sua fanciullezza. Il Palazzolo nascea ultimo d una numerosa figliuolanza, che andò a poco a poco spegnendosi per consunzione. E gracile fu egli pure di complessione e malaticcio, massime nella sua fanciullezza, ed ebbe anche per più anni una piaga ad un piede, sintomo di sangue corrotto. Coll avanzare degli anni migliorò assai anche in salute, malgrado le fatiche, gli strapazzi e le penitenze, colle quali maltrattò il suo corpo. Non cessò però mai di sentire gli effetti d una natura salsosa e guasta, onde quasi ogni anno, era costretto a ricorrere alla cura dei bagni di mare; e probabilmente portò dalla nascita mal celato e mal curato il germe di quella malattia, che lo trasse poi al sepolcro. La cagionevolezza della salute suole bene spesso esercitare maligna influenza anche sull indole e sulla educazione dei fanciulli, massime di famiglie agiate; poiché da una parte quel continuo malessere li rende facilmente tristi, inerti ed anche egoisti e pretenziosi; mentre d altra parte i genitori, sempre trepidanti sulla loro salute e sulla lor vita istessa, circondandoli di cure troppo minute e contentandoli in tutto, finiscono col rovinarne affatto il carattere. Non fu così del Palazzolo. La gracilità della sua complessione (massime nella sua prima età) non lasciò altro vestigio nel suo carattere fuori di una certa apprensione e malinconia che lo assalivano a quando a quando, allorché vedevasi preso da qualche malore, ancorché leggiero; apprensione però ch egli tosto cacciava da sé ridendone e seco stesso e cogli altri. Del resto l indole sua era oltre modo gaia e soave, il suo cuore sensibile ed affettuoso, la sua conversazione piacevolissima, e tutto concorreva a renderlo caro ed amabile a tutti. Erano poi caratteristiche in lui, e lo furono per tutta la sua vita, una singolare ingenuità ed una semplicità quasi infantile; per la quale pareva che nessuno avesse soggezione di lui e molti anche negli ultimi anni della sua vita lo chiamavano ancora volgarmente il Palazzolino. E anche questo fu causa in parte, che, massime nella sua città, le sue opere, lui vivente, non fossero da tutti conosciute ed apprezzate come si meritavano; e solo dopo la sua morte si potè rilevare quale animo generoso e intraprendente si nascondesse sotto quelle apparenze così umili e, quasi direbbesi, puerili; sicché molti ne rimasero stupefatti quasi di cosa al tutto nuova ed inaspettata. Come buona era l indole del Palazzolo, così buona fu pure l educazione. Rimasto orfano del padre in età di nove anni, trovò nella madre una saggia ed amorosa educatrice, che tenerissimamente sollecita anche della sua salute corporale, volse però le sue cure principali a formarlo a soda pietà. Né paga delle sue esortazioni ed ammonimenti, pensò di affidare l educazione e la coltura spirituale del suo Luigino ad un ben esperimentato confessore, che gli fosse come vero padre, e lo trovò nella persona di D. Pietro Sironi, sacerdote della stessa Parrocchia di S. Alessandro in Colonna. Era il Sironi uno di quei Sacerdoti che non destano fama rumorosa di sé per isplendore di eloquenza e di dottrina, né per opere straordinarie, né per alte dignità occupate, ma la vita dei quali scorre tranquillamente benefica e feconda, gittando e coltivando nel silenzio e nel nascondimento un seme prezioso, che reca poi santissimi frutti. Dedicatosi tutto alla cura della chiesetta di S. Giuseppe, allora appunto riaperta al culto dopo le tristi vicende della rivoluzione del secolo scorso, vi passò tutta la sua vita ascoltando confessioni, dirigendo anime nella via della cristiana perfezione, promuovendo una pietà soda e ben intesa. Uomo di sani principii, di grande esperienza, e più che tutto di vita esemplare, i suoi consigli erano grandemente apprezzati dalle persone di mondo non meno che dal clero e dai claustrali. Incredibile fu il bene che operò; 7

8 moltissime le opere buone, alle quali, senza far rumore, diede principio o porse aiuto. A lui affidò pertanto la signora Palazzolo il suo figliuolo, e Luigi ben volentieri abbandonossi tutto alla direzione del Sironi e l ebbe poi a suo confessore per oltre venti anni, cioè fino al 1858, anno in cui il Sironi passò di questa vita. Quel santo sacerdote poi non tardò a fare grande stima di quel fanciullo e l ebbe in tutto il tempo della sua vita carissimo e lo trattava con grande intimità e confidenza come vero figliuolo, e negli ultimi anni della sua vita divenuto infermiccio e acciaccoso, vedeasi spesso passare da casa sua alla chiesa di S. Giuseppe, od anche recarsi a qualche breve passeggio, appoggiato al braccio del Palazzolo, allora già sacerdote, che godeasi grandemente di prestare questo ufficio a chi amava e venerava come padre. Ben presto imparò ancora a conoscere quell impareggiabile educatore della gioventù che fu Mons. Alessandro Valsecchi, semplice sacerdote allora della Parr. di S. Alessandro in Colonna e rettore del Collegio che da lui prese il nome, e più tardi creato Vescovo titolare di Tiberiade e coadiutore del Vescovo di Bergamo Mons. Speranza di santa e imperitura memoria. Se il Sironi fu al Palazzolo esperto maestro della vita interiore, il Valsecchi, uomo di non minor pietà, ma di maggiore slancio, gli fu consigliere e guida nelle opere grandiose intraprese a bene delle anime, come vedrassi nel seguito di questa istoria. Basti dire, per ora, che fin da fanciulletto cominciò il nostro Luigi a mostrare verso i suoi confessori e direttori quella piena confidenza, quella obbedienza perfetta e quella totale dipendenza, che formarono poi sempre una massima indeclinabile ed una regola impreteribile della sua vita. Con tali guide e con quella intera docilità, colla quale egli in loro si abbandonava, custodito gelosamente lontano da ogni pericolo in famiglia, e con tali presidii avviato alla virtù, il fanciulletto Luigi formava pel candore dei costumi e per il fervore della pietà l edificazione dei suoi compagni. Il compianto sacerdote Don Rinaldo Rossi Prevosto di Romano di Lombardia, uomo di grande virtù e di grande esperienza nella direzione delle anime, condiscepolo e intimo amico del Palazzolo e depositario di tutti i suoi secreti, non dubitò di dichiarare «essere sua ferma opinione non aver lui macchiato mai con colpa grave la sua battesimale innocenza». Fino d allora poi diede non dubbii indizii sovratutto di quella virtù, che dovea fare di lui più tardi il padre degli orfani e dei poveri, vogliam dire la carità. Per mostrare quanto viva e generosa fosse nel Palazzolo, ancora fanciullo, questa virtù e come ben poteasi dire di lui, come del santo Giobbe, che fu in lui quasi innata la compassione dei poveri 1, ci piace qui registrare un fatto della sua fanciullezza. Solea la madre sua regalargli frequenti volte delle piccole somme di danaro, perché se ne servisse pe suoi bisogni o piaceri e specialmente per comperarsi qualche cosa per merenda a scuola, massime che la scuola alla quale doveva recarsi era distante dalla sua casa e doveva fare ogni dì un viaggio di quasi due chilometri. Un dì egli fu sorpreso per istrada da improvviso malore e svenuto fu dovuto portare dai compagni in un caffè vicino dove gli fu data qualche spiritosa bevanda per farlo rinvenire. Ma egli non aveva in tasca un centesimo, e i compagni dovettero pagare per lui. La madre sua, da quella onorata gentildonna ch ella era, si dolse di questo fatto, quasi sembrasse ch ella non avesse abbastanza cura del figliuolo e gli lasciasse mancare il denaro necessario; e pagato il piccolo debito, ordinò al suo Luigi che d allora in poi si tenesse presso di sé sempre almeno mezza zvanzica (circa 42 centesimi) pe suoi bisogni. Luigi domandò scusa alla madre del caso accaduto, mostrando abbastanza, con mezze parole e più ancora col suo rossore, che i denari avuti erano andati in elemosina. Ma nell osservare il nuovo precetto fattogli e che pure da obbedientissimo come era, non voleva punto trasgredire, trovossi in non piccolo imbarazzo; poiché, sebbene la madre, che lo conosceva e sapeva di potersene fidare e non vedeva di mal occhio la sua liberalità, largheggiasse con lui di danaro, pure egli quasi sempre, quando faceva il piccol conto, trovava che l aver suo non arrivava alla somma prescritta ed era costretto rivolgersi alla madre di nuovo in cerca di danaro, ed essa ne lo garriva a quando a quando amorosamente e diceva spesso con senso profetico: Questo mio figliuolo vuol morire spiantato. 1 Giobbe, CXXXI, v

9 Un altra opera piissima di misericordia prese egli ancor giovanetto ad esercitare. Col consenso della madre, accompagnato da una persona di servizio attempata e prudente, recavasi tutte le settimane all ospedale ed anche nelle case private a visitare i poveri infermi, recando loro, più o meno di soppiatto, il meglio del suo pranzo e della sua cena e quanto potea lecitamente pigliarsi di vivande in casa sua, insieme a qualche soccorso in denaro; ed allora particolarmente avveniva, che tutti i suoi risparmi se ne andavano e la madre era costretta a rifornirlo di nuovo. Così, ancora fanciullo, lasciava presagire il Palazzolo a quale santità di vita e a quali opere egregie di carità il chiamasse il Signore, e come egli avrebbe ben meritato un giorno l elogio registrato nei Salmi: A piene mani ha dato ai poveri: la giustizia di lui dura in perpetuo, la sua grande virtù sarà esaltata nella gloria 2. CAPITOLO III. Primi studi del Palazzolo. - Suo amore alla letteratura. Da natura aveva ricevuto il Palazzolo un ingegno aperto e vivace, non fatto forse per le profonde investigazioni filosofiche, ma facile e versatile, e fino dai più teneri anni mostrò propensione ed amore allo studio. Di buon grado perciò la madre, col consiglio del suo Direttore, permisegli, percorse con onore le scuole elementari, di passare a quelle del pubblico ginnasio della città. Impensierita però dei pericoli che il figliuol suo avrebbe potuto incontrare per istrada, essendo la scuola, come si accennò più sopra, distante dalla casa sua quasi un due chilometri, si volse al Valsecchi perché le suggerisse un buon compagno, al quale affidarlo nell andata e nel ritorno dalla scuola perché gli tenesse compagnia e se ne pigliasse cura, sia quanto alla delicata salute del corpo, sia riguardo ai costumi. E le fu suggerito un giovanetto condiscepolo e pressapoco coetaneo di Luigi, serio più che non portasse l età e costumato, al quale essa raccomandò il figliuol suo, imponendo a questi di obbedirgli come a sé stessa. Quel compagno era il giovane Giuseppe Milesi che, fatto sacerdote e Arciprete Plebano Vicario Foraneo dell importante Parrocchia di Telgate, ricordava sempre il candore e l umiltà del Palazzolo, e l obbedienza che gli prestava quasi come a Superiore e la dolce compagnia che gli teneva. Fu nel Novembre del 1839 che il Palazzolo, non ancor compiuti i dodici anni, entrò nel patrio ginnasio. Le scuole pubbliche d allora in quanto a disciplina ed istruzione ed educazione religiosa non lasciavano punto a desiderare. In tutte le classi, anche ginnasiali e liceali, il catechismo, considerato come prima di tutte le materie obbligatorie, era insegnato da un sacerdote; un sacerdote fungeva pure da direttore spirituale e celebrava tutti i giorni la S. Messa, alla quale maestri ed alunni erano obbligati ad intervenire. Tutte le feste si compivano dagli alunni le pratiche della Congregazione mariana, e il Direttore, oltre la messa, teneva un discorso; tutti gli anni si davano gli esercizi spirituali, sicché moltissimi giovani della città, anche inclinati alla carriera ecclesiastica, percorrevano nelle scuole pubbliche le prime classi ginnasiali e vi trovavano una educazione che poteasi quasi dire una preparazione allo stesso Seminario. Il Palazzolo si distinse tra suoi compagni in ginnasio non solo per la bontà de suoi costumi e per la sua pietà, ma ben anco per il suo profitto negli studii. L ingegno facile e brillante fecegli amare assai la letteratura, e massime l italiana, alla quale si dedicò con vero trasporto. Non contento perciò di porre un grande impegno nella letteratura e nello studio dei nostri classici e nel fare i componimenti prescrittegli nella scuola, si unì con altri due suoi compagni, al pari di lui innamorati delle lettere italiane (uno era quello al quale l avea affidato la madre, l altro fecesi esso pure sacerdote ed occupò cariche importanti nella pubblica istruzione), onde dedicarsi più di proposito e con maggior profitto a questo studio. Ogni quindici giorni convenivano fra di loro. Impostisi un tema comune da trattare, ciascheduno portava il suo componimento e se lo leggevano e 2 Salmo CXI, 8. 9

10 correggevano a vicenda; poscia si leggeva e si commentava insieme qualche brano di classici autori. Chiudeva il piccolo convegno letterario una modesta refezioncella, alla quale pure il Palazzolo prendeva parte con tutta quella sua caratteristica piacevolezza che lo rendeva carissimo in ogni lieta brigata. Di questo modo egli profittava assai nello studio della nostra lingua, meritandosi la stima e l amore de suoi professori massime del Fumeo, che allora insegnava con gran plauso letteratura italiana in quella scuola, e riportando sempre le più belle classificazioni tanto che nelle classi quarta, quinta e sesta ginnasiale (secondo l ordinamento d allora il ginnasio abbracciava sei classi) ottenne sempre eminenza in tutte le materie, ed era considerato fra i primi della sua scuola nel comporre italiano tanto in prosa come in poesia. Passato a studii più serii e dopo fatto sacerdote dedicatosi del tutto ad una vita di azione, non ebbe più tempo da dedicare alla letteratura. Ma di quei primi studii gli rimase poi sempre un buon gusto in fatto di lingua ed una grande facilità nello scriver semplice sì, ma corretto e proprio, come potea scorgersi e dai suoi ragionamenti e dalle sue prediche e dalle sue lettere ed ancora da qualche suo piccolo componimento poetico; dove se sovratutto ammirasi la sua devozione e pietà, vedonsi però ancora le vestigia di una buona scuola letteraria. Certo per l attitudine sua e per l amore che mostrava a questo genere di studi avrebbe potuto cogliere non piccioli onori e nello scrivere e nell insegnare; ma a ben altro lo chiamava il Signore. Quella sua felice riuscita negli studii letterari non ebbe nella sua vita quasi altro scopo, che di provare una volta di più che lo studio non è nemico della pietà, e di farci ammirare in lui un nuovo sacrificio, vedendolo abbandonare i fioriti sentieri delle muse e della letteratura, ai quali lo invitavano e la naturale sua inclinazione e le tradizioni della famiglia, per lavorare esclusivamente nel campo faticoso delle opere di carità. Dedicossi ancora fin da giovinetto allo studio della musica, e vi profittò così che non solo riuscì abile suonatore di organo, ma fu pure autore di molti lavori, alcuni dei quali abbastanza pregevoli; ed anche di questo studio si valse a far del bene grande alle anime, come vedrassi in seguito. CAPITOLO IV. Vita chiericale del Palazzolo. - Suoi studii ecclesiastici. Già fin da fanciullo il Palazzolo aveva mostrato inclinazione alla milizia clericale e la sua singolare pietà e costumatezza, l amor suo alle cose di chiesa confermavano chiaramente la sua vocazione allo stato ecclesiastico. Compiti pertanto gli studii ginnasiali, passò nel 1844 a studiare filosofia nel patrio Seminario in qualità di alunno esterno e senza vestire l abito chiericale. Il Rossi, del quale fu parlato più sopra, rende della condotta del Palazzolo in Seminario questa bella testimonianza: «Era gioviale, faceto, ma gli si leggeva sul volto un aria di schiettezza ed innocenza che dava a divedere il candore virginale del suo cuore e la intemeratezza de suoi costumi. Mostrava fin d allora grande pietà e divozione. Era affabilissimo con tutti e tutti gli volevano bene. Sentiva bassamente di sé. Lo vidi sempre uguale a sé stesso, non mai dominato da passioni né da passioncelle». E in altro luogo: «Per tutto il tempo degli studii nel Seminario si distinse nella pietà, nella illibatezza de suoi costumi, per ischiettezza e ilarità di carattere e per un certo non so che di dolce e soave che aveva nel suo contegno, sicché tutti lo amavano e stimavano. Io aveva di lui stima grandissima». Nel tempo che il Palazzolo frequentava le scuole del Seminario avvennero alcuni fatti, che misero a prova e in bella mostra il suo criterio e l aggiustatezza del suo giudizio. Insegnava allora filosofia nel Seminario di Bergamo il sacerdote Don Angelo Bersi, uomo notissimo per il suo ingegno, ma sgraziatamente molto più per le sue dottrine strane e nebulose, colle quali pretendeva aprire una nuova strada a conoscere l esistenza, gli attributi, e le operazioni di Dio e l altissimo 10

11 mistero della SS. Trinità, tutto con argomentazioni a priori e per mezzo della nozione dell essere e delle analogie coll uomo e colla natura. Queste dottrine infette, come si vede, degli errori dell ontologismo gli procacciarono più tardi biasimo e condanna dalla Santa Sede. Ma allora nessun giudizio era stato pronunziato, e il Bersi insegnava nel nostro Seminario e più tardi in quello di Brescia con grande plauso, affascinando la scolaresca colle sue sottili argomentazioni e colla sua eloquenza, alla quale poi aggiungeva nuovo credito la grande stima che si aveva di lui, quasi come d un santo, sicché moltissimi dei chierici, anche più distinti per ingegno e pietà, ne rimanevano quasi affascinati. Il Palazzolo udiva quelle lezioni, vi attendeva col maggior impegno possibile, scriveva, studiava. Vedeva i suoi condiscepoli ammirati e pieni di entusiasmo, quasi fanatici per le dottrine e per il maestro, ma non sapeva capacitarsi di nulla e taceva. Un bel di però accostossi al Rossi e in grande confidenza gli domandò, cosa pensasse di quella filosofia. Il Rossi era anch egli fra gli ammiratori del Bersi 3, e rispose che quanto a lui ne era imbalsamato. Il Palazzolo allora scosse il capo e sorridendo rispose: «Vedo proprio che io sono un ignorante, perché per quanto cerchi di stare attento nella scuola e di studiare, non vi capisco un acca e non vi trovo che delle astruserie». E difatti, studiando quasi materialmente di quella filosofia quanto era necessario per sostenere l esame, non se ne occupo mai più per nulla ed anche in seguito, parlando del Bersi, solea dire: «Sarà stato un grande ingegno, forse anche un santo, ma andava troppo nelle nubi ed io non ne ho mai capito nulla». In verità però non ne capivano di più nemmeno i suoi ammiratori, che si contentavano di ripetere con entusiasmo quelle nuove teorie e quelle astruse dimostrazioni. Quanto al Palazzolo, ciò che egli attribuiva ad ignoranza, non era altro che frutto del suo buon senso pratico, che si ribellava ad una filosofia lussureggiante di forme ampollose e seducenti, ma priva di solido fondamento. Vestito l abito chiericale e ricevuta la sacra tonsura, passò il Palazzolo nel 1846 allo studio della teologia ed ivi cominciò ad intendere di non essere poi quell ignorante, che quasi con suo avvilimento si credeva alla scuola del Bersi. Insegnava teologia dommatica il Prof. Consoli, e se la forma dell insegnamento non era prettamente scolastica, la dottrina era però sana, solida e chiara, di quella chiarezza che accompagna sempre la verità, anche quando di sua natura è astrusa e difficile da comprendersi. Il Palazzolo si dedicò allora con nuovo amore allo studio ed il Consoli lo ebbe carissimo per la sua docilità, per la sua applicazione, come pure per serio profitto che andava facendo. Nello studio poi della teologia morale, alla quale lo portava di preferenza l indole sua eminentemente pratica, si distinse assai e ne diede prova anche in seguito. Poiché anche in mezzo alle fatiche continue della sua vita sacerdotale non lasciò mai di occuparsi degli studii ecclesiastici, dedicandovi, quando non potea altrimenti, le ore della notte. L umiltà sua facevagli creder sempre d essere un ignorante e tale chiamavasi e godeva di sembrare in faccia agli altri. Di fatto però nelle sue prediche e nei suoi discorsi, anche improvvisati, anche quando doveva toccare i punti più difficili della teologia riguardanti la SS. Trinità, l Incarnazione, la predestinazione, la grazia, non era mai che gli uscisse dal labbro una espressione meno che esatta. Nei casi di morale poi che si proponevano o in privati discorsi o nelle congregazioni che si tenevano ogni anno e si tengono tuttavia tutte le sere d inverno dal numeroso clero della sua Parrocchia, egli, interrogato, rispondeva sempre con grande semplicità bensì e senza nessun apparato di dottrina e di erudizione, da povero ignorante, ma raro avveniva che non cogliesse nel segno. E poiché ci accade qui di accennare agli studii e alla scienza ecclesiastica del Palazzolo, non sarà fuor di luogo notare, come li intendesse egli questi studii nei sacerdoti, massime in quelle che debbonsi dedicare alla vita attiva ed alla cura delle anime. Amava certo lo studio e la scienza, ma voleva che il fine ne fosse sempre il bene delle anime. Odiava perciò il disputare per il piacere di disputare e veniva sempre al pratico e voleva che le dispute avessero sempre per conclusione lo stabilir chiaro «cosa si dovesse dire in predica, cosa consigliare in confessionale e come regolarsi 3 Si ricredette però ben tosto, tantoché nel 1856 fu chiamato da Monsignor Speranza ad insegnare appunto filosofia in Seminario, dove ebbe certo questo merito d aver richiamato in onore le sane dottrine della filosofia tomistica. 11

12 nella direzione delle coscienze. Tutto il resto, soggiungeva, è buono pei dotti ed io non vi capisco nulla». Quando si disputava tra preti o chierici intorno a quistioni di filosofia o di teologia, egli ascoltava in silenzio e in fine domandava: «E così, cosa ne conchiudiamo di buono? Dite un poco anche a me cosa debbo impararne?». Che se i disputanti, massime se chierici o preti giovani, coi quali aveva confidenza, si accaloravano troppo, egli sapeva cogliere opportunamente il caso di troncare la disputa con qualche facezia. I quistionanti se ne indispettivano talvolta, ed egli rideva saporitamente del loro dispetto, sicché tutto finiva poi col ridere, ed allora entrava lui di mezzo con una parola edificante ed opportuna condita essa pure per lo più di qualche lepidezza, e si doveva conchiudere che quella in verità valeva più di tutte le dispute. Insomma, gli piaceva la scienza che edifica, non quella che gonfia. Mentre il Palazzolo studiava teologia, venne l epoca disgraziata del 1848 e 49. Lo spirito dei tempi anche a Bergamo, come pur troppo quasi dappertutto, penetrò pure in Seminario. I chierici, in parte infatuati delle idee giobertiane, si scaldavano nelle novità liberali che si facevano allora comparire anche come benedette dalla religione; molti non volevano più obbedire alla campanella e si ribellavano alla disciplina, pretendevano dettar legge e reggersi anch essi a forma costituzionale; da molti si pensava più all Italia e a Carlo Alberto, che alla dommatica e alla morale ed alcuni presero anche le armi per l indipendenza. Anche al Palazzolo non mancarono inviti a prender parte alle cosidette dimostrazioni patriottiche, che si convertivano spesso in atti di manifesta insubordinazione ai superiori. Alcuni anche dei suoi amici più cari e distinti anche per pietà, ingannati dalle false apparenze di rispetto alla religione, colle quali si cercava allora di promuovere i moti rivoluzionari, si lasciavano trasportare dalla corrente dei tempi. Ma il Palazzolo, fedele alle istruzioni ed ai consigli de suoi direttori e massime del suo Parroco, Don Giovanni Serughetti, uomo assai illuminato e che fu tra i pochi che vedessero chiaro fin d allora dove si mirasse da coloro che avevano pur sul labbro il grido di Viva Pio IX, tenne fermo e non dubitò di mostrarsi francamente contrario a quelle dimostrazioni. Come la sua freddezza a riguardo della filosofia del Bersi aveagli acquistato presso taluno fama d ignorante, così questo suo contegno in tempi di tanto cosidetto patriottismo gli meritò l epiteto di austriacante e di nemico della patria. Ma né allora, né poi lasciossi ingannare mai dalle arti seducenti del liberalismo, né dalle novità dei tempi, e lasciando che tutti dicessero a suo carico quanto volevano, egli anche in questi anni burrascosi, continuò tranquillo la sua vita e i suoi studii e le usate sue pratiche divote, pregando anzi tanto più, quanto maggiori erano i mali della Chiesa e il traviamento di molti. Della sua fermezza nei sani principii, della sua salda e costante fedeltà alla Chiesa ed al Papa e delle persecuzioni che n ebbe a patire si dirà ancora nel corso di questa istoria; basti intanto l aver accennato a questi fatti, dai quali si può argomentare la saggezza e la rettitudine del Palazzolo. Poiché ben pochi in quel tempo disgraziato furono quelli, anche tra i buoni, che più o meno non si lasciassero ingannare. E se non poca saggezza richiedevasi nello scorgere gli empii fini ai quali miravano la rivoluzione e le sétte con quel movimento suscitato in nome della religione e del Papa non meno che in quello della patria, voleasi pure non picciola dose di fermezza nel resistere alla corrente della pubblica opinione ed incontrarne il biasimo pericolosissimo in tempi di tanto fanatismo. Così fino da chierico il Palazzolo ritemprava l animo suo a quella fortezza ignara e nemica d ogni umano rispetto, che formò poi una delle più belle glorie della sua vita; mentre nello studio, nella obbedienza e nelle pratiche della pietà, modello dei chierici, veniasi preparando a diventare una gemma preziosa del clero della sua diocesi. 12

13 CAPITOLO V. Vita sacerdotale del Palazzolo. Suo amore e sue prime cure per la gioventù. Compita con onore la carriera degli studii, il Palazzolo, con dispensa pontificia per l età (poiché non contava che 23 anni), venne nelle tempora d Avvento del ordinato sacerdote da Mons. Carlo Gritti Morlacchi, già suo parroco ed allora Vescovo di Bergamo. Grande fu la gioia della madre sua nel vedere fatto sacerdote l unico suo carissimo figlio; grande la festa che gli fece in casa, godendosi essa, religiosissima come era, non meno che agiata e generosa, di festeggiare per più giorni, anche con inviti, banchetti e regali quel così lieto e solenne avvenimento. Fatto sacerdote Don Luigi non ebbe né allora né poi beneficii ecclesiastici, e neppure impegni di cura d anime o altro; poiché abbondando allora il clero, la massima parte dei sacerdoti appartenenti a famiglie agiate se ne rimanevano a casa loro, e molti ve ne avevano in tale condizione anche nella sua Parrocchia, ed inestimabile era il bene che facevano dedicandosi, secondo l opportunità e la propria inclinazione, a questo od a quell officio del sacerdotale ministero, agli Istituti di beneficenza, alla direzione delle religiose ecc. e quelle pie tradizioni non sono ancora perdute del tutto; e, malgrado la scarsità del clero, che pur troppo si fa sentire anche a Bergamo, vi hanno ancora di tali Sacerdoti, che, vivendo a casa propria e senza impegni particolari, con grande zelo si adoperano in una od in un altra guisa per il bene 5. Il Palazzolo dedicossi a quello, al quale più lo portava il suo cuore, o meglio la vocazione divina, che voleva fare di lui l apostolo della carità prima nella sua parrocchia, poi nella sua diocesi ed anche fuori. Gli Oratorii per la gioventù maschile, furono il primo campo dove esercitossi la carità del Palazzolo. Nessuno ignora l utilità grande di questa istituzione del grande apostolo di Roma S. Filippo Neri. Supplendo a quello che non può farsi di bene, e riparando all uopo a quello che si può trovare di male nelle famiglie, nelle scuole, nelle officine; raccogliendo i ragazzi e i giovanetti nei tempi liberi e perciò di maggiore pericolo, e provvedendo ad essi un onesto sollievo e insieme con opportune pratiche religiose avvezzandoli all esercizio della pietà e della vita cristiana, gli Oratorii sono un elemento importantissimo e quasi indispensabile per la educazione della gioventù, massime ai nostri tempi. 4 La data è imprecisa: il Palazzolo fu ordinato sacerdote il 23 giugno Ci piace qui nominare almeno alcuno di tali Sacerdoti, che al tempo del Palazzolo si distinsero per zelo, scienza e pietà nella sua Parrocchia, e vi operarono, in una vita quasi al tutto privata, del gran bene; tanto più che quasi tutti furono amici del Palazzolo e lo aiutarono e lo favorirono in una o in un altra maniera nelle sue sante imprese. Non parleremo che dei defunti, tacendo dei vivi, per non offendere la loro modestia. Don Guglielmo Filippini, Canonico onorario della cattedrale ed esaminatore prosinodale, uomo di grande coltura e di non minore pietà, forbito oratore, fu Superiore in diocesi e benefattore delle Suore di Carità dell Istituto di Lovere e saggio ed illuminato direttore di anime. Malgrado la sua dottrina era uomo affabilissimo, frequentava l Oratorio del Palazzolo e prendeva parte volentieri ai giuochi ed ai divertimenti; amava grandemente i chierici e ne aveva una cura speciale. Morì al 25 di Ottobre 1875 in età d anni 74. Don Giacomo Morlani, Canonico onorario esso pure della Cattedrale, di nobile e ricca famiglia, uomo infaticabile dedicossi fin dai primi anni del suo sacerdozio, e sempre finché visse, alla coltura della gioventù. Fu pure amministratore dei pii Istituti Botta e morì nell età di 67 anni il 12 Agosto Don Giovanni Salvi, anch esso di ricca e distinta famiglia, ma di una semplicità di vita veramente patriarcale, sostenne per alcun tempo l ufficio di Vicario nella sua Parrocchia: ma poi lo dimise, dedicandosi del tutto alle missioni, raccogliendone gran frutto, massime nelle campagne. Predicava fino a cinque sei volte al giorno, né mai si rifiutava quando veniva richiesto. Morì nel 1877 a 77 anni. Don Luigi Brignoli, sacerdote di gran senno e prudenza, anch egli Canonico onorario della Cattedrale, puossi dire che consumò la sua vita nel tribunale della penitenza. Vi passava le intiere giornate confessando sacerdoti, monache, secolari. Spiccio e sciolto e insieme prudente meritossi nell amministrazione di questo Sacramento tanto concetto, che Mons. Speranza insistette lungamente per nominarlo Canonico Penitenziere. Formava poi l edificazione del Clero nella sua Parrocchia colla sua gravità, colla sua vita intemerata e specialmente colla sua assiduità alle sacre funzioni. Morì il 22 luglio Don Alessandro Pesenti-Magazzeni, dottore in ambe le leggi e Canonico onorario ed esaminatore prosinodale, nipote di Don Pietro Sironi, lo coadiuvò vivente, e dopo la sua morte gli successe nella cura della chiesa di S. Giuseppe, che con grandi sacrificii riscattò dagli artigli del fisco dopo le soppressioni del 1866 e Fu zelante amministratore della Chiesa prepositurale, ed occupò anche cospicue cariche cittadine. Era l amico dei preti della Parrocchia, che tutte le feste d inverno si raccoglievano ad amichevole ritrovo nella sua casa. Morì improvvisamente in confessionale il dì 3 Gennaio del 1888, lasciando anche parecchi lavori di pregio pubblicati per le stampe. 13

14 Nella Parrocchia di S. Alessandro in Colonna, fin dal principio di questo secolo, il sacerdote Carlo Botta 6 aveva aperto un oratorio per la gioventù maschile nel locale del soppresso convento di S. Antonio delle RR. Terziarie Francescane. Quell Oratorio vive tuttora e prospera grandemente per opera specialmente del signor Giuseppe Greppi; il quale emulo del Botta e del Palazzolo, da cinquant anni vi sacrifica tutto il suo denaro e la sua vita 7. L Oratorio è anche attualmente frequentato da ben settecento ragazzi e giovanetti, tra i quali non pochi anche di famiglie agiate e civili. Un altro ve ne aveva aperto il Valsecchi destinato esclusivamente per gli studenti. Ma sembrando che per quella vasta Parrocchia di quasi quattordicimila anime tutto ciò fosse ancor poco, il molto R. Sac. D. Pietro Donati, coadiuvato da altri, pensò di aprirne uno proprio nel centro più popoloso e più povero della Parrocchia nella viuzza detta della Foppa per la vicinia di S. Bernardino, che da sola conta quattromila abitanti, quasi tutti poverissimi. Il Palazzolo, che da giovanetto aveva lui pure avuto educazione nell Oratorio del Valsecchi, cominciò fino dal tempo del suo chiericato a dedicarsi a tutt uomo a questo nuovo della Foppa, anche per quel suo particolare e superiore istinto, che lo portava sempre a prediligere i poveri. Il suo carattere schietto, vivace, allegro; il suo fare sciolto e attraente; la sua conversazione amena sempre e brillante lo resero ben tosto l amore dei fanciulli e dei giovanetti. Egli prendeva parte a tutti i giuochi, a tutti i divertimenti, a tutti i ritrovi e passeggiate, e ne era l anima. Sfidava i giovani alla corsa e trattava con essi con una confidenza da fratello, mentre col suo portamento sempre riservatissimo e colla sua vita veramente e in tutto esemplare, imponeva rispetto. Gli anni della sua vita da chierico, e molti di quelli del suo sacerdozio, puossi dire che il Palazzolo li dedicò totalmente all Oratorio; dove passava le ore del pomeriggio nei dì feriali e pressoché tutta la festa, rubando poi al sonno buona parte della notte, per dedicarla allo studio. Chierico istruiva, preparava i fanciulli con grande zelo ed unzione ai SS. Sacramenti; sacerdote ne ascoltava con assiduità le confessioni. Componeva egli stesso e metteva in musica delle Canzoncine divote, che egli poi insegnava ai fanciulli e accompagnava al pianoforte o all organo nelle funzioni dell Oratorio ed anche sovente nelle varie chiese della Parrocchia. Non pochi di questi canti, più tardi insegnati da lui nelle molte missioni che diede nei paesi della Diocesi, vi divennero popolari e vi si odono anche oggidì. - Ogni sera teneva ai ragazzi un breve sermoncino intorno alla vita di qualche santo od ai misteri della religione che si celebrano nel corso dell anno. E quei discorsini, detti nel modo il più famigliare, in dialetto, conditi bene spesso da lepidezze, sempre adattati ai bisogni non meno che alla capacità dei fanciulli, sovratutto accompagnati da quella unzione che viene da un cuore veramente pio, virtuoso e zelante, facevano un gran bene a quei ragazzi, che, lungi dall annoiarsene, come avviene molte volte in quella età, vi accorrevano con grande trasporto; ed era uno stimolo potente per essi a non mancare nemmeno una sera all Oratorio, la brama di udirvi il discorsino di Don Luigi. Finito l Oratorio, i ragazzi, massime i più provetti, lo accompagnavano a casa e spesso ad una breve passeggiata, specialmente nel tempo d estate, e gli serravano attorno, come agnelli intorno al pastore, avidi di stargli vicini e di ascoltarlo; ed egli li tratteneva con piacevoli discorsi, inframmettendovi sempre qualche opportuna parola, che facesse loro un po di bene, quasi senza che se ne accorgessero. 6 Sacerdote insigne per zelo e carità introdusse dapprima nella sua Parrocchia le scuole gratuite, poi le serali per gli operai; fondò nella Parrocchia stessa, oltre all Oratorio accennato, un Istituto pei discoli, un altro per le ragazze pericolanti, una casa di ricovero per sacerdoti vecchi od infermi ed un asilo per l infanzia, il primo che si aprisse in Bergamo, ma che egli volle governato con sistema tutto affatto diverso dal così detto fröebelliano, e con una sola mira di custodire i bambini e di insegnar loro i primi rudimenti del Catechismo e della lettura. Il Botta godette grande favore presso la Corte imperiale. Gli imperatori Francesco I e Ferdinando I, l imperatrice, il Vice-Re Ranieri e molti Arciduchi d Austria visitarono parecchie volte ed altamente encomiarono i suoi Istituti. Il dì 18 Gennaio 1829 venne solennemente conferita al Botta la grande medaglia d onore in oro con catena pure d oro; medaglia, della quale egli non si servì, se non per avere più facile accesso alle aule, quando aveva bisogno di qualche soccorso, e per darla in pegno nei momenti di maggiori strettezze. Morì santamente il 20 Dicembre Nel 1903 questo Oratorio da Via S. Antonino veniva trasferito in Via Foppa, in quell occasione allargata ed abbellita, nei nuovi e splendidi locali che la generosità del Greppi aveva fatto erigere e fu chiamato, per desiderio del benefattore, Oratorio deli Immacolata, a commemorare l imminente cinquantenario della dogmatica definizione. Il Greppi morì da giusto come era sempre vissuto il 1 Giugno

15 Sovente poi li conduceva a qualche più lunga passeggiata nei dintorni della città, non di rado anche alla campagna, massime di primavera e d autunno, pigliando sempre come mèta del passeggio qualcheduno dei tanti Santuari, che formano la gloria della Diocesi di Bergamo. In queste circostanze il Palazzolo provvedeva alla colazione, alla merenda, talora anche al pranzo, spendendo quasi sempre tutto del suo, dedicando egli a questo scopo quanto percepiva di elemosine di Messe e di predicazione, come pure quanto veniagli dato dalla madre sua, non ispendendo mai nemmeno un centesimo pei suoi piaceri o diporti 8. Tali furono gli inizii della vita sacerdotale del Palazzolo: e quei primi slanci di carità e sacrificii, che fin d allora generosamente si impose a pro della gioventù, non furono che l aurora della splendida vita tutta dedicata a questo scopo santissimo. Intanto la sua influenza e la sua autorità nell Oratorio andavano continuamente crescendo, fino a che per varie vicende egli ne diventò non solo direttore, ma nuovo fondatore, come vedremo nel seguente capitolo. Insieme alla carità, che fu come il carattere principale della sua vita, spiccavano però nel sacerdote Palazzolo altre virtù, che sogliono a quella andare compagne e servirle d aiuto e di nutrimento; vogliam dire un ardente pietà da lui mostrata nella divozione e fervore con cui celebrava la S. Messa e assisteva alle sacre funzioni; nella fedeltà al suo metodo di vita sacerdotale; nel lungo tempo che dava ogni giorno alla preghiera ed alla meditazione delle celesti verità; - una castità illibata, da lui custodita colle più scrupolose cautele, sicché per molti anni non volle occuparsi affatto di donne, e quasi nemmeno ascoltarne le confessioni; - uno spirito di grande penitenza, cominciando egli fin d allora a fare di sé quell aspro governo, che continuò per tutta la vita. Fin da quei tempi costumava sovente vegliare l intera notte o nello studio o nella preghiera. Altre volte dormiva sul nudo terreno, eludendo la vigilanza della madre collo smuovere le coltri e premere qua e là il letto, tanto che sembrasse avervi egli dormito. - In tutto poi e nelle sue pratiche spirituali e nelle sue opere di carità regolavasi coll obbedienza; e si può dire, che non muoveva un dito, senza aver prima domandato licenza a suoi direttori. Queste sue virtù ci piacque qui accennare, perché chi ammira le opere di carità del Palazzolo (e le ha ammirate e le ammira anche il mondo) vegga in qual maniera e con quali presidii egli siasi reso capace di tanti sacrificii a beneficio del suo prossimo. Lo ricordi il mondo, lo ricordino anche molti che, pur vantandosi cristiani, sono più o meno imbevuti dello spirito del mondo. I prodigi che sola la carità cristiana è capace di operare non sono possibili senza quello spirito fervente di orazione e di pietà, senza quello studio continuo di mortificazione e di abnegazione, che il mondo e quelli, che più o meno ne seguono le massime, condannano come bigotteria e fanatismo. 8 Non possiamo qui lasciare di fare un cenno almeno di un uomo grandemente benemerito della educazione della gioventù e che fu al Palazzolo, nell Oratorio della Foppa, non saprei dir meglio se fido e rispettato consigliero, od operosissimo coadiutore. Fu questi un tal Giovanni Benicchio, uomo di pochi studii, ma di gran senno e prudenza, che visse nel secolo una vita come da religioso. Nell anno 1820 il Botta, essendo stato incaricato dalla locale Congregazione di Carità di riformare l Orfanotrofio Maschile che, fondato in Bergamo da S. Girolamo Emiliani, era allora caduto in grande dissoluzione, vi pose il Benicchio in qualità di capo-sorvegliante e di economo, ossia, come allora dicevasi, di commesso. Pieno di zelo si dedicò con grande sacrificio al bene di quell Istituto, e nei trent anni di vita che vi condusse adoperossi in ogni maniera al bene degli orfanelli, sorvegliandoli ed educandoli ad una vita veramente cristiana. Pensionato nel 1850, e trovandosi affatto libero, continuò a dedicarsi al bene della gioventù, istruendo i discoli dell Istituto Botta, ma sopratutto esercitando il suo zelo a bene dei giovanetti dell Oratorio della Foppa, del quale fu tosto nominato direttore. Espertissimo nel maneggio della gioventù, di carattere fermo insieme e dolce, sapeva cattivarsi la stima e l amore dei fanciulli e dei giovanetti dell Oratorio. Il Palazzolo, ancora chierico, frequentando quell Oratorio, dipendeva in tutto e per tutto da lui, ed anche ne suoi primi anni di sacerdozio continuò in questa stessa dipendenza. Più tardi fatto direttore, si consigliava sempre col Benicchio, il quale continuò tutto il tempo della sua vita con grande zelo ad istruire i ragazzi nella dottrina cristiana, a prepararli ai SS. Sacramenti, a custodirli nell Oratorio. Morì compianto da tutti in età d anni 71 al 19 di Luglio dei Ci piace ricordare qui la cara memoria di quest uomo, nella speranza che trovi molti imitatori, massime tra quei tanti, che oggi, con zelo veramente ammirabile, si dedicano alle associazioni cattoliche: affinché, in mezzo a tanto moltiplicarsi di opere buone, abbiano però specialmente di mira l educazione della gioventù, ed imparino a congiungere insieme (cosa assolutamente necessaria ai dì nostri) e lo slancio nel promuovere le grandi manifestazioni di fede e di religione e lo spirito di sacrificio necessario per dedicarsi alle cure minute, diligenti, quotidiane, richieste per educare la gioventò nelle scuole, nella dottrina cristiana, nelle Congregazioni, negli Oratori alla pietà cristiana ed alla costumatezza. 15

16 CAPITOLO VI. Il Palazzolo direttore dell Oratorio. Di mano in mano che il Palazzolo andava estendendo la sua attività a bene della gioventù che frequentava l Oratorio di Via Foppa, gli altri che l aveano fondato andavano ritirandosi (continuandogli però il loro favore e il loro concorso pecuniario), e in breve il Palazzolo ne diventò il Direttore 9. Male saprebbesi precisare l epoca nella quale egli assunse definitivamente una tal carica, essendo egli diventato direttore più per le condizioni di fatto e per necessità che per una nomina regolare avvenuta; cosa del resto affatto conforme all indole sua ed al suo sistema, che era quello di far tutto il bene che si poteva, senza punto curarsi di formalità esterne. Avuto di fatto nelle sue mani l Oratorio, cominciò il Palazzolo ad allargare la mano alle spese, onde attirarvi meglio la gioventù e sempre più giovarle. Annessa all Oratorio e appartenente alla stessa proprietà, vi era una Chiesuola pubblica dedicata alla Beata Vergine ed all Apostolo S. Pietro, di buon disegno, ma piccolissima, capace neppure di un centinaio di persone. Essendo impossibile ingrandirla, e perché non lo tollerava il disegno e soprattutto perché adiacente alla strada, il Palazzolo vi aggiunse di fianco un ampio stanzone, nel quale potessero raccogliersi per le pratiche religiose i giovanetti dell Oratorio. Fece pure nella Chiesa stessa il pulpito e la cantoria, e provvide convenienti arredi sacri; e ottenne che vi si potesse celebrare la S. Messa, ciò che era stato proibito dall autorità diocesana, per essere la Chiesa collocata in luogo allora troppo deserto e malsicuro. Prese in affitto (come solo in affitto avevasi il locale che già serviva per l Oratorio) un altro pezzo di terreno, onde allargare l area del cortile. Provvide inoltre nuovi e svariati giuochi pei ragazzi e pei giovanetti, che giovassero a tenerli più affezionati all Oratorio. Né tutto ciò bastandogli, pensò di comperare un altra casa vicina alla Chiesa. Le sue entrate ordinarie, scarse in se stesse e che per di più ben presto sfumavano nelle sue mani, erano affatto insufficienti alla forte spesa che dovea incontrare per quella per quella compera; ma Don Luigi non esitò a vendere una casa che possedeva a S. Pellegrino, e che gli apparteneva per eredità paterna; e col denaro ricavatone comperata la casa progettata 10, pose mano tosto con nuove e forti spese a riattarla e ridurla, per farne sale abbastanza capaci da raccogliervi i giovinetti nei giorni piovosi dell inverno, con una più ampia per i divertimenti del Carnevale. Fra questi divertimenti prediligeva il Palazzolo quello dei fantocci, ossia burattini: e puossi seriamente affermare essere stata anche questa un opera buona, nella quale il Palazzolo esercitò virtù singolari, e recò alla gioventù un bene grandissimo; e, giacché qui ce ne cade l opportunità, ci si permetta di dire in proposito una parola. Non risparmiando spese e impiegandovi parecchie migliaia di lire, provvide la sua baracca di un gran numero di teste, tra le quali parecchie di lavoro veramente artistico, con vestiti ricchi e svariatissimi; fece dipingere dai migliori pittori scenari di bellissimo effetto. Compose una quantità di commediole quali serie, quali buffe, quali sacre, quali profane, nel rappresentare le quali prendeva sempre parte egli stesso col suo Gioppino (noto bergamasco mimo), e lo sapeva maneggiare con tanta arte, e gli fioccavano dal labbro tante e sì saporite ed opportune lepidezze (cogliendo egli dalla bocca del volgo, a somiglianza del Goldoni, le frasi più caratteristiche del dialetto) da farne sbellicar dalle risa quanti lo ascoltavano. E non erano solamente i ragazzi che si dilettassero di quel divertimento. Persone serie, negozianti, signori, 9 Essendosi il Valsecchi, allora semplice prete, recato con Mons. Speranza a Vienna per la conferenza dei Vescovi dell Impero Austriaco intorno al Concordato del 1855, vi condusse anche il suo carissimo Palazzolo. In quel tempo sorsero nell Oratorio delle quistioni, per le quali molti lo abbandonarono. Fu allora specialmente che si scorse ancor meglio l utilità grande dell opera che vi prestava il Palazzolo, il quale, al suo ritorno, ricomposte quelle disserzioni, restituì l Oratorio nello stato fiorente di prima. 10 Comperò la casa ad insaputa della madre, poiché da una parte vedeva la necessità di quell acquisto, dall altra temeva d averne opposizioni; tanto più che essa non cessava mai di rimproverare al figlio le sue soverchie liberalità. Conchiuso il contratto, alcuni degni ed autorevoli sacerdoti, tra i quali il Valsecchi, si incaricarono di dar notizia della cosa alla madre. Un dì nei quali si celebrava nell Oratorio una bella festa, anch essa vi fu invitata e le si fece grande onore con recita di poesie e altri complimenti. E mentre essa, tutta commossa, encomiava quella bella festa e il bene che si faceva nell Oratorio, le fu data la notizia che le riuscì così meno amara. 16

17 professionisti, parroci e canonici vi assistevano con grandissimo piacere; Mons. Valsecchi lo volea spesso a dare delle rappresentazioni ai giovani del suo Collegio, e Mons. Speranza lo chiamò talvolta anche in Seminario. Ed egli era sempre pronto, sempre dello stesso umore. Talvolta lo opprimeva la malinconia, tal altra aveva l animo angustiato da crucciosi pensieri, talvolta partiva dalla sua cameretta dopo una lunga preghiera ed una ben aspra disciplina col cilicio ai fianchi; ma dissimulando tutto entrava nella baracca; ed era sempre lui, sempre colle solite facezie, che non sentiano punto dello stentato, ma pareano uscire dal cuor più lieto e pacifico del mondo, né egli dava segno al di fuori dello sforzo che dovea fare in queste circostanze. Uso del resto a indirizzar tutto alla gloria di Dio, passava senza sforzo dalla preghiera allo scherzo ed alle facezie, e da questo di nuovo alla preghiera, poiché in tutto non aveva mai altro fine nel suo operare, che quello di fare un po di bene alle anime. E diffatti, a ben osservare, anche nelle commediole e farse più brillanti e facete, egli sapeva insinuare opportunamente massime sante, flagellare, pure ridendo, i vizii del secolo e quelli più proprii dei fanciulli; insomma mirava eminentemente a quel fine, al quale il teatro dovrebbe sempre essere indirizzato: Ridendo docet. Onde quel dottissimo e piissimo predicatore che fu D. Angelo Moroni Prevosto di Cenate S. Martino e prima professore nel Collegio di S. Alessandro, dietro invito del Palazzolo, avendo un dì tenuto un discorso ai suoi ragazzi, che impazienti nell aspettare il divertimento, l avevano per verità ascoltato con poca attenzione, rivolto al Palazzolo, che stava per cominciare una commediola: Cominciate voi, diceva, un altra predica col vostro Gioppino, che forse farà anche più frutto. Che se anche nei divertimenti brillava lo zelo del Palazzolo e la sua accortezza sapeva trovar modo, anche ridendo, di gettare nei cuori semi buoni e fecondi, immagini il lettore l impegno che egli poneva nell educare ad una virtù sincera e robusta i suoi giovani. A quanto fu detto in proposito nel precedente capitolo aggiungeremo che, divenuto direttore dell Oratorio, allo scopo di legare meglio i ragazzi ed i giovani alle pratiche divote, istituì tra di essi due Congregazioni, l una detta della Madre amabile sotto l invocazione di Maria SS. e dei Santi Innocenti pei ragazzi più piccoli, e l altra dell Immacolata e di S. Luigi per i giovanetti al di sopra dei sedici anni. Per l una e per l altra Congregazione dettò regole apposite; teneva per ciascheduna ogni mese apposite riunioni nelle quali con quei suoi semplici ma fervidi discorsini incitava, innamorava i suoi cari giovanetti alla pratica della virtù. Per la Congregazione di Maria Immacolata, come quella alla quale appartenevano i più provetti di età, aveva una cura tutta speciale. Usava grande precauzione, molto pensava e molto pregava prima di accettare un giovane nella Congregazione, e non accettava se non quelli che avessero dato prova di soda pietà, di mortificazione, di amore alla virtù e di zelo per il bene. Vegliava attentamente, perché i confratelli adempissero a tutte le pratiche imposte, e sovratutto tenessero una condotta esemplare. Era prescritto dalla regola, che ciaschedun confratello avesse il suo correttore, che lo avvisasse de suoi difetti, ed egli stesso ne sceglieva uno perché lo ammonisse dei difetti che in quel giorno avesse scorti in lui, e accettando con grande umiltà l avviso chiedeva perdono dei falli in ginocchioni a Dio e al correttore medesimo. «Ogni anno poi» narra un sacerdote discepolo fedele ed amico del Palazzolo e che per molti anni appartenne a quella Congregazione «ogni anno nella circostanza di qualche festa della Compagnia, segnatamente nel dì anniversario della Consacrazione, che era la festa dell Immacolata, nel mezzo della Chiesa, innanzi all altare, alla presenza di tutti i congregati si inginocchiava sul nudo terreno e col capo chino, colle braccia allargate in forma di croce, chiedeva scusa a tutti dei mancamenti e degli scandali che diceva d aver dato, chiedendone una grave penitenza; il che faceva egli con tanto spirito di mortificazione, con tanta umiltà, con tanta commozione, che noi tutti al vederlo in quell atteggiamento, al sentirlo in quelle sue umilissime parole, sapendolo noi così buono e santo, ci sentivamo venire le lagrime agli occhi, e desideravamo che finisse presto, perché ci faceva pena». Una cura specialissima aveva poi il Palazzolo di quelli, fra i suoi cari giovanetti, che mostravano vocazione allo stato ecclesiastico. Li coltivava con amore tutto speciale, se li teneva vicini, conversava con loro colla più grande famigliarità, e fatti chierici, voleva che si esercitassero per tempo nel predicare, e li faceva predicare continuamente nel suo Oratorio, compatendoli ed 17

18 incoraggiandoli con benevoli parole, affinché pigliassero amore al ministero della divina parola e superassero quelle difficoltà che naturalmente incontra chi per le prime volte si espone al pubblico. Non si saprebbe abbastanza commendare questo impegno del Palazzolo di iniziare i chierici alla predicazione. Chi scrive queste pagine gliene deve un pubblico attestato di riconoscenza, e con lui quanti frequentarono il suo Oratorio. Non erano certo capolavori di letteratura e di eloquenza quei discorsini che da noi chierici si recitavano all Oratorio. Talora erano preparati, tal altra conveniva, per ordine suo, improvvisarli dopo la lettura di qualche libro divoto, o con qualche pensiero da lui stesso suggerito. Non di rado si balbettava, si incespicava, talvolta anche conveniva troncare. E lui rideva delle male riuscite e incoraggiava a ritentare la prova; se talvolta scorgeva qualche po di compiacenza per qualche piccolo trionfo riportato, non mancava di notarla e di smorzarla, senza offendere, con qualcheduna delle sue facezie; le poche correzioni che faceva, le faceva sempre secondo il suo solito, da povero ignorante; ma voleva che tutti si provassero: e credo che nessuno forse vi sia fra i chierici educati al suo Oratorio e poi fatti sacerdoti, che non siasi dato più o meno alla sacra predicazione. Oh! quanto maggiore sarebbe il numero dei sacri oratori, se per tempo i sacerdoti, e colle debite cautele anche i chierici si addestrassero a questo sacro ministero! E quanto maggiore sarebbe anche il numero di oratori sacri che predicano (con maggiore o minore eloquenza poco importa) con sodezza, con unzione, con vero spirito evangelico, e colla sola mira di istruire e convertire, se si seguisse lo spirito del Palazzolo e quella massima intorno alla sacra predicazione, ch egli inculcava con quelle sue espressioni: «Non discorsi in quinci e quindi (voleva dire con fronzoli oratorii), ma chiari, che capiscano tutti, anche gli ignoranti e che mirino solo a fare un po di bene». Tornando all amore singolare del Palazzolo pei chierici, devesi aggiungere, che oltre ai consigli ed alle esortazioni era largo ancora, quando si presentava il bisogno, di soccorsi pecuniari, onde aiutare quei giovanetti che, mostrando buono spirito ed inclinazione allo stato ecclesiastico, mancavano di mezzi onde intraprendere o proseguire la carriera degli studii. Ad uno di essi (per citare qualche esempio) assegnò per molti anni un sussidio settimanale di quattro lire. Un chierico poverissimo cadde in grave malattia, ed egli lo accolse in casa sua. Degenerata la malattia in una consunzione, se lo tenne presso di sé finché visse, per molti mesi, assistendolo in tutto, provvedendo a sue spese medico, medicine, nutrimento e non volendo che gli lasciasse mancare cosa alcuna. Anche ad altri provvide libri per la scuola, altri aiutò con danaro. Quando poi alcuno dei suoi chierici veniva ordinato sacerdote, era nel suo Oratorio gran festa. Addobbi, luminarie e canti in Chiesa, poi rinfreschi e regali; insomma erano giorni per lui di grande esultanza e voleva che gli altri pure ne partecipassero, perché intendessero sempre meglio la dignità del sacerdozio, e perché quelli che sentivano vocazione allo stato sacerdotale ne avessero uno stimolo a vincere i rispetti umani e le altre difficoltà che in questi tempi soffocano tante vocazioni ecclesiastiche, e sono una delle cause del lamentato scarseggiare del clero. Del resto di tutti i ragazzi e i giovanetti dell Oratorio teneva cura veramente da padre. Sorvegliava la loro condotta, li avvicinava ad uno ad uno per iscoprire il carattere e i difetti, apriva il loro cuore alla confidenza, sicché la maggior parte gli si gettavano tra le braccia con quella espansione quasi istintiva, che è propria del fanciullo verso quelli dai quali capisce di essere veramente amato. Coltivava i buoni sentimenti e le buone inclinazioni, che in essi scorgeva, e studiavasi con bella maniera dì emendarne i difetti. Dolce sempre ed amorevole, sapeva però all uopo alternare colla dolcezza la necessaria severità nel correggere quelli che mancavano. Se poi qualcheduno dei giovanetti che frequentavano l Oratorio, o per capriccio, o per maligna influenza di qualche compagno, lo abbandonava, se ne rammaricava grandemente, fino a patirne in salute e a dimagrare, e non si dava pace fino a tanto che non l avesse richiamato sulla buona strada. Ciò che non poteva ottenere con la parola, studiavasi di ottenerlo collo scritto; e con lettere insinuanti, patetiche, efficacissime e tali da commuovere fino alle lagrime, procurava di toccar loro il cuore e indurli a migliori propositi. E le sue pie industrie rafforzate dalle ferventi preghiere e spesso dalle aspre penitenze, con cui le accompagnava, ottenevano non di rado il loro effetto. Dopo alcun tempo di malessere e di tristezza, vedeasi ad un tratto il suo volto aperto e allegro, ripigliava appetito, e 18

19 lena, pareva ringiovanire; e subito se ne scorgeva la ragione. Il tale, che da qualche tempo mancava all Oratorio, vi era tornato; quell altro, del quale cominciavasi a parlar poco bene, vedevasi riprendere le buone pratiche; ecco la ragione dell allegria e del nuovo benessere del Palazzolo. Che se non sempre otteneva il suo intento, se alcuni sviati da cattivi compagni o da male abitudini prese, abbandonavansi ad una vita di dissipazione, non li abbandonava però ancora del tutto il buon Direttore; non li abbandonava nemmeno quando, incontrandolo, abbassavano gli occhi o voltavano strada per non essere costretti a salutarlo, non li abbandonava nemmeno quando giungevano fino a mettere in ridicolo lui, il suo Oratorio, le sue opere sante; ma se non poteva far altro, li compiangeva e continuava a pregare per loro; e o tosto o tardi avea spesso la consolazione di stringersi al seno que figli traviati; e molti di essi o in qualche circostanza straordinaria quando si sentivano tocco il cuore a conversione, o in punto di morte, sentendo il bisogno di tornare a Dio, ricorrevano a Don Luigi, e chiestogli perdono della ingratitudine usatagli e ricordando con lagrime i bei giorni passati all Oratorio e le premure da lui loro usate, a lui confessavano i loro peccati; e quelli erano giorni di gran festa per il Palazzolo, quelle erano le vere soddisfazioni, che in mezzo a tante fatiche e a tanti sacrificii confortavano il suo cuore. Né contento di provvedere alla cristiana educazione degli allievi dell Oratorio, il Palazzolo era largo con essi al bisogno anche di soccorsi materiali. Al solo guardarli in faccia ravvisava tosto quelli fra i suoi giovanetti che pativano privazioni e li chiamava a parte e conducendoli con sé in cucina dava loro da mangiare; poi aperto il loro cuore a confidenza (ché molte volte i fanciulli, massime se buoni, sono vergognosi più degli adulti e schivi del cercare) facevasi narrare il loro stato e i loro bisogni, ed allora studiavasi di provvedervi nella miglior maniera possibile, mandando loro a casa soccorsi o in danaro o in roba, e sorvegliando bene perché per vergogna non avessero a patire. Abbiamo voluto compendiare in questo capitolo quello che ci parve più degno di nota nel Palazzolo come direttore dell Oratorio, anche anticipando l ordine del tempo; poiché avendo egli durato in questo ufficio fino alla morte, sempre pure e fino alla morte continuò senza stancarsi in queste opere di carità a pro dei suoi cari giovanetti. Diremo in altro luogo, secondo l ordine storico dei fatti, di altri grandi sacrifici fatti da lui a pro di questa istituzione; intanto chiuderemo questo capitolo, accennando almeno in breve il sistema del Palazzolo tenuto costantemente nella direzione del suo Oratorio. Teneva aperto l Oratorio tutti i giorni anche feriali dell anno. Avrebbe voluto poter tenerlo aperto tutte le ore. Era facile ad accettare i ragazzi, difficilissimo a licenziarli. Quando non recassero grave danno o scandalo agli altri, amava meglio dissimulare e compatire. Raccogliendo egli preferibilmente i figli di famiglie povere e dell infimo volgo, non badava tanto ai modi sguaiati, alla mala creanza, agli sgarbi; non gli faceva orrore che il peccato, e gli bastava impedire questo. Chiudeva un occhio anche se taluno non frequentava assiduamente l Oratorio, o abbandonatolo per qualche tempo, vi tornava. Dopo una piccola ed amorosa riprensione lo riaccettava. Diceva: «Meglio che sieno qui, che non in istrada. Intanto che son qui, non fanno del male. Non è questa una bella cosa?». Non teneva i ragazzi lungamente in Chiesa. Brevi le orazioni, brevi i discorsi, brevi le funzioni, non lunghe nemmeno le preparazioni ai SS. Sacramenti. Studiavasi di render loro amabile la pietà, sicché non la prendessero come un peso che spaventa, ma come l adempimento di un dovere necessario, anzi meglio ancora, come il soddisfacimento di un bisogno dell anima. Abbondava invece nei divertimenti. Permetteva tutti i giuochi, purché non vi fosse peccato. Di carnevale procurava quanti divertimenti poteva; merende, cene, fantocci, recite, anche balli (s intende di ragazzi e giovanetti fra di loro); d autunno passeggiate. Amava, come S. Filippo Neri, l allegria e andava egli stesso a scuotere e rimproverare quelli che nel tempo della ricreazione e dei divertimenti si stavano soli e taciturni. Anche nelle feste stesse religiose studiavasi di scegliere tutto quello che più poteva allettare i giovanetti, processioni, musiche, apparati, illuminazioni, getti d acqua, fuochi artificiali; sicché queste solennità erano avidamente desiderate e sospirate da tutti come un giorno di sollievo e di divertimento; e per più giorni occupandosi nei preparativi e 19

20 lavorandovi di gran lena tutti insieme, ingegnavasi ciascheduno di inventare qualche novità, che rendesse più attraente la festa. E il Palazzolo li assecondava anzi li incoraggiava, contentandoli più che poteva anche con suo dispendio e sacrificio, e tutto questo giovava mirabilmente a lasciare in quei giovanetti dolce e caro ricordo delle feste religiose celebrate ed ottenere lo scopo sempre da lui inteso di render cari gli esercizii religiosi e di educare i suoi fanciulli ad amare e gustare non meno che a praticare la pietà. Questo sistema tenuto dal Palazzolo nella direzione del suo Oratorio ebbe dei censori, ai quali pareva troppa quella larghezza e che avrebbero amato maggior ordine e disciplina, e forse non sempre a torto. Fatto sta però, che ottenne degli splendidi risultati. Quanti peccati abbia con questo suo sistema impediti, massime in quella classe di giovanetti che è la più esposta ai pericoli della strada ed alla quale particolarmente dedicava il Palazzolo le sue cure, Dio solo lo sa. Quello però che tutti poterono e ponno vedere ed attestare si è che fra quelli che frequentavano il suo Oratorio, si veggono ora ottimi padri di famiglia, cristiani esemplari, assidui alle pratiche religiose e (impronta speciale e di suprema opportunità pei tempi nostri che il Palazzolo studiavasi di dare ai suoi allievi) nemici dei rispetti umani, franchi nel professare la fede, devotissimi alla Chiesa ed al Papa. Molti dei membri più attivi delle associazioni cattoliche uscirono dall Oratorio del Palazzolo. La sua gloria maggiore però si è l avere allevato ed educato nel suo Oratorio ben quaranta sacerdoti, alcuni dei quali pur troppo passati già di questa vita, altri ancora viventi e che occupano anche posti distinti in Diocesi, tutti, nessuno eccettuato, per grazia di Dio, fedelissimi ai sani principii, e alla devozione al Romano Pontefice. Né tralasceremo di notare come anche in quelli, che, cresciuti negli anni ed abbandonato l Oratorio, pur troppo conducono una vita poco corretta, non sono ancora cancellate le tracce dell educazione del Palazzolo. Qualche volta all anno, o almeno alla Pasqua, vanno ai Sacramenti, spesso domandano di esservi preparati ancora là all Oratorio del Palazzolo; per lo meno, anche nei più sviati, la fede non è smarrita del tutto e con essa un resto di timor di Dio, che alla fine poi suol trionfare e a tempo opportuno produce i suoi benefici effetti. Il Palazzolo amò l Oratorio d un amore di predilezione sempre, anche quando più tardi gli si moltiplicarono nelle mani le opere di carità da lui stesso fondate. Nel seguito di questa storia ci accadrà di parlare di altri sacrificii fatti per questa Istituzione. Anche pochi mesi prima di morire, già colto e tormentato dalla sua ultima dolorosa malattia, entrò ancora nella baracca a giocare col suo Gioppino. Attese fino all ultimo alla cura dei giovanetti, e una delle sue ultime parole fu il raccomandare alla Superiora delle Suore delle Poverelle e a sua erede il suo caro Oratorio 11. CAPITOLO VII. Scuole serali fondate dal Palazzolo. Le scuole serali in Bergamo sono istituzione tutta del Clero. Il celebre P. Mozzi, già Arciprete della Cattedrale, le istituì per primo per la città alta. Per la parrocchia di S. Alessandro in Colonna le fondò il Botta in principio di questo secolo. Cadute queste, le risuscitò colla sua mirabile carità il Palazzolo. Fra i giovani che frequentavano l Oratorio di Via della Foppa, il Palazzolo ne trovava talvolta di quelli che ignoravano financo i primi rudimenti del Catechismo. Trascurati dai loro genitori, o non avevano frequentato le scuole, o le avevano frequentate male e senza profitto, o aveano tosto dimenticato quel poco che vi avevano appreso. Gli capitava ancora spesse volte di trovare uomini già inoltrati nell età ignoranti del tutto delle cose della religione e privi affatto anche 11 In seguito all apertura dell Oratorio dell Immacolata nella via Foppa attigua all Istituto, per evitare il pericolo d un dualismo che avrebbe nociuto ad entrambi, anche per consiglio di autorevoli persone l Oratorio del Palazzolo che era stato uno dei campi più fecondi del suo zelo per la gioventù, si fuse con quello, e l Istituto ebbe così campo e modo di dare maggior incremento alle opere proprie per la parte femminile. 20

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