A zione di disturbo del presidente di Nuova

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1 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLV. N SABATO 22 AGOSTO 2015 OGGI CON ALIAS A EURO 2,50 A zione di disturbo del presidente di Nuova Democrazia che accetta l incarico per formare un impossibile governo conservatore in Grecia dopo le dimissioni di Alexis Tsipras. Il tentativo è quello di prendere tempo per far slittare le elezioni previste il 20 settembre. Nasce la nuova formazione di sinistra Unità popolare guidata da Lafazanis, ma l ex ministro Varoufakis non ne farà parte. E da Parigi dice: «Lavorerò a una sinistra anti Memorandum». Intanto Tsipras si rivolge ai suoi: «Essere rivoluzionari non significa ignorare o negare la realtà». SYNGHELLAKIS PAGINA 6 SINISTRE EUROPEE Da Linke e Podemos sostegno ad Alexis «Scelta coraggiosa». Ma non tutti approvano ROSATELLI PAGINA 7 LA SCELTA DI SYRIZA Tsipras: aprire strade che non esistono Grecia verso un governo elettorale SINISTRA ITALIANA Fassina: «Voto inutile, solo un esercizio ginnico. Così il Memorandum affonda paese e partito» FABOZZI PAGINA 7 TURCHIA Alle urne il 1 novembre con i kurdi nel mirino Alla fine, il «sultano» Erdogan ha fissato la data delle elezioni anticipate per la Turchia senza governo da giugno. E prosegue nella strategia anti-kurdi: l offensiva militare (schermata dalle operazioni contro l Isis) ha prodotto oltre 700 morti cui si sommano 55 poliziotti e soldati turchi. ACCONCIA PAGINA 8 PALESTINA Il presidente Abu Mazen si prepara alle dimissioni Da settembre a novembre, per l 80enne leader palestinese si profilano due passaggi di testimone. Prima nel parlamento, poi nel congresso del partito Fata. A vent anni dagli accordi di Oslo, urge una svolta. Anche per la concorrenza di Hamas che intanto conferma i negoziati per una vera tregua con Tel Aviv. GIORGIO PAGINA 9 AVVOCATO ALGERINO Rachid Mesli arrestato al traforo San Bernardo FOTO ASSOCIATED PRESS In Macedonia polizia ed esercito caricano i migranti che a migliaia premono sulla frontiera: dieci feriti. Dopo aver chiuso il confine con la Grecia, Skopje accusa Atene: «Trasporta illegalmente i profughi fino a noi». L Ue tace e stanzia nuovi fondi per i rimpatri. A Kos, solo i volontari garantiscono assistenza ai rifugiati PAGINE 2,3 Ricercato dall Interpol, l avvocato algerino Rachid Mesli è stato arrestato dalla polizia italiana al traforo del Gran San Bernardo, in Valle d Aosta. Per il suo paese d origine, in contatto con cellule terroristiche. Ma un attivista per i diritti umani dei popoli arabi, che da tempo vive con la famiglia in Svizzera come rifugiato. SERVIZIO PAGINA 8 LA POSTA IN GIOCO Lo scomodo terreno di un sindaco di sinistra Marco Doria C onsidero importante che si apra e si sviluppi una discussione vivace sulla sinistra oggi. E che si apra sulle colonne del manifesto, che svolge un ruolo positivo di stimolo e di pungolo critico. Ho seguito il confronto con attenzione, mi rendo conto di quanto le mie parole e le mie osservazioni siano legate all'esperienza di sindaco di Genova, di una grande città, e quindi costantemente alle prese con i tanti problemi del governo e più in generale della res publica. La prospettiva in cui mi pongo è dunque quella di chi, essendo di sinistra, governa o amministra. CONTINUA PAGINA 15 RIPARTE LA SERIE A Un calcio alla miseria e alle partite truccate Oggi gli anticipi della 1a giornata, Verona-Roma e Lazio-Bologna. Dopo un'estate di figuracce internazionali e di spese folli (uscite per mezzo miliardo di euro per i club italiani) neanche fossimo nella ricca Premier League. E con lo spettro del «calcioscommesse» che la giustizia sportiva proprio non riesce a domare. La Juve smette di essere l eterna favorita, l Inter può sperare in Kondogbia e il Milan in Bacca, Ma è la Roma di Dzeko a partire favorita SELLITTI PAGINA 16 INTERVISTA PAGINA 5 Sabella: «Casamonica, Roma si scopre mafiosa faremo come a Palermo» L assessore alla Legalità di Roma, Alfonso Sabella, ex pm antimafia. «Grave smacco ma anche vaccino» BIANI

2 pagina 2 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 TUNNEL SENZA USCITA Macedonia Ordigni assordanti per disperdere la folla di disperati che ieri mattina premeva contro la frontiera per entrare nel Paese Gas e granate contro i pro Polizia ed esercito macedone attaccano i migranti rimasti bloccati dopo la decisione di Skopje di chiudere la frontiera con la Grecia. Dieci i feriti. L Ue non condanna ma stanzia nuovi fondi per i rimpatri 22mila RICHIESTE DI ASILO presentate nella sola Serbia nei primi cinque mesi del 2015 secondo l Unhcr. Sei volte in più rispetto allo stesso periodo del anno scorso Leo Lancari «N on so perché ce l hanno con noi. Io non ho un passaporto, non posso tornare indietro e da ieri non posso neanche andare avanti. Non so cosa fare, resterò qui fino alla fine». Disperato, Mohammad Wahid non sa spiegarsi perché la polizia macedone lo tratti come il peggiore dei criminali. Lui e altri tremila profughi che come lui vorrebbero raggiungere l Europa e che invece da giovedì sono bloccati nella terra di nessuno tra Macedonia e Grecia dopo che il governo di Skopje ha deciso di chiudere la frontiera per mettere fine al grosso flusso di profughi in arrivo dalla Grecia. E ieri polizia e esercito macedone, spedito in fretta e furia al confine neanche dovesse fronteggiare chissà quale nemico, hanno mostrato il loro volto peggiore attaccando uomini e donne che insieme a vecchi e bambini premevano lungo la frontiera per poter passare. Durato pochi minuti, l assalto è stato violentissimo. Gli agenti hanno lanciato gas lacrimogeni e granate assordanti contro una moltitudine di disperati che non ha potuto fare altro che darsi alla fuga. Bambini di pochi mesi, a volte di pochi giorni, presi in braccio e trascinati via da genitori contro i quali si sono accaniti gli agenti. Una decina i migranti rimasti feriti, molti colpiti dalle schegge delle granate assordanti lanciate dagli agenti in tenuta antisommossa. «Io voglio solo andare in Germania per cercare di rifarmi una vita, perché in Siria ormai è tutto distrutto», ha spiegato alla France Press Amina Asmani mentre stringeva la mano del marito tenendo in braccio il loro bambino di appena dieci giorni. Amina e suo marito alla fine ce l hanno fatta. Impietositi dal piccolo che la donna aveva tra le braccia gli agenti macedoni hanno permesso loro di salire sul treno che dalla stazione di Gevgelija li porterà al nord, fino in Serbia. Per una famiglia che ce la fa, però, altre centinaia restano ferme in questo pezzo di terra diventato un limbo per disperati sorvegliato da poliziotti e militari. La situazione al confine meridionale della Macedonia è precipitata giovedì, quando il governo ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza inviando sul posto i militari. La Macedonia è proprio in mezzo alla rotta balcanica che da mesi profughi e migranti percorrono nel tentativo, spesso inutile, di arrivare in Europa. Una rotta battuta da un numero sempre maggiore di disperati e che solo a luglio ha fatto registrare 39 mila passaggi, il doppio rispetto al mese precedente. Si tratta soprattutto di siriani e afghani che dopo essere arrivati nelle isole greche dalla Turchia ripartono diretti verso al Macedonia. Per mesi la tutti la meta è stata Gevgelija, prima località che si incontra una volta oltrepassato il confine con la Macedonia e punto di partenza dei treni diretti a nord. Gli arrivi sono stati talmente tanti che a giugno Skopje ha deciso di modificare le sue leggi permettendo il passaggio ai migranti senza documenti a patto che lasciassero il Paese entro tre giorni. Decisione che ha avuto come conseguenza un vero assalto ai treni e messo in crisi le ferrovie macedoni spingendole a rivolgersi ai Paesi vicini chiedendo vagoni e treni. Senza però ricevere neanche una risposta. Poche ore dopo il confine era chiuso e per temila disperati, tra i quali tantissimi bambini, è cominciato l inferno. Appoggiati ai muri della stazione, stesi lungo le banchine o nei campi circostanti hanno passato la notte all aperto in mezzo a cumuli di immondizia, senza acqua né cibo. Al risveglio, ieri mattina, hanno cominciato a premere lungo la frontiera chiedendo di poter entrare in macedonia. Lacrimogeni e granate assordanti è stata la risposta. Secondo Anthonis Rijas, coordinatore locale di Medici senza frontiere, la polizia macedone avrebbe «usato pallottole do gomma e disperso i migranti a colpi di bastone». L associazione riferisce di dieci feriti, tra le quali una donna incinta con dolori e un emorragia, un bambino siriano di un anno che pochi mesi fa aveva subito un intervento chirurgico e necessitava di cure ospedaliere e un migrante picchiato. «In questo momento alla frontiera ci sono tremila perone - ha proseguito Msf - Di fronte la blocco di ieri tra rifugiati e migranti si è diffuso un forte sentimento di frustrazione e rabbia». Come sempre avviene in questi casi, tra Atene e Skopje è cominciato il solito rimpallo di responsabilità. «Purtroppo la Grecia non solo non controlla la sua frontiera, ma organizza delle trasferte illegali di migranti fino al nostro confine», ha accusato Ivo Kotevski, portavoce del ministro degli Interni macedone. da patrte dell Unione europea ci si sarebbero aspettate parole di condanna per quanto accaduto, che invece non sono arrivate. «Abbiamo visto quanto sta accadendo in Macedonia e stiamo ricostruendo i fatti», si è limitata a dire una portavoce dell Alto rappresentante Ue federica Mogherini. La Commissione europea ha invece già stanziato 90 mila euro alla Macedonia per la gestioen dell immigrazione, mentre a settembre prender avvio un programma di interventi anche con la Turchia che prevede uno stanziamento di otto milioni di euro per l identificazione dei migranti, lo scambio di informazioni e i rimpatri. Come al solito più repressione che aiuti concreti. nel frattempo la chiusura della frontiera macedone incrementerà ulteriormente gli affari dei trafficanti di uomini. ROTTA DEI BALCANI Riccardo Nuri, portavoce di Amnesty International Italia «Viaggiano in condizioni disperate» Carlo Lania È la Western Balkan Route, la rotta dei Balcani occidentali, quella hanno percorso le migliaia di uomini e donne bloccati da giovedì alla frontiera macedone. Partendo dalla Grecia attraversa Macedonia e Serbia fino ad arrivare in Ungheria, ultimo checkpoint per chi sogna l'europa. Da molti mesi ormai sempre più migranti e rifugiati principalmente siriani, afghani, iracheni, eritrei e somali - scelgono di intraprendere questo percorso in alternativa alla traversata del canale di Sicilia. Entrambe le rotte, quella di terra e quella di mare, hanno in comune una cosa: sono estremamente pericolose per chi è costretto a seguirle. Nonostante i rischi, però, sono sempre di più i profughi che scelgono di fuggire attraverso i Balcani. «Abbiamo registrato un picco enorme nella prima parte dell'anno, quando abbiamo avuto praticamente gli stessi numeri di flussi sia via Mediterraneo che lungo la rotta balcanica», spiega Riccardo Nuri, portavoce di Amnesty International Italia. «Nel periodo luglio 2014-marzo 2015 sul confine tra Serbia e Ungheria sono arrivati migranti con un aumento di oltre il 2.500% rispetto al 2010». In che condizioni sono costretti a viaggiare i profughi lungo la rotta balcanica? In condizioni disperate. Non basta avere i piedi in terra anziché essere a bordo di un gommone per essere più sicuri perché sia lungo strade che lungo la linea ferroviaria e soprattutto quando si attraversano confini l'illegalità è diffusa. Amnesty ha denunciato la presenza di corruzione nella polizia macedone. Sì, ma in generale anche in Serbia abbiano riscontrato episodi di corruzione. Sicuramente in questo meccanismo di gioco dell'oca in cui i migranti vengono rispedito indietro, un passaggio fondamentale è quello di Skopje dove i migranti vengono detenuti per mesi e mesi nel centro di Gazi Baba dove vengono riuniti tutti quelli rispediti indietro dalla Serbia e quelli bloccati all'interno della Mecedonia. Ma come abbiamo verificato nelle nostre missioni la corruzione, con poliziotti che chiedono soldi per far passare i migranti e poi magari neanche mantengono la promessa, è diffusa. Così come abbiamo accertato la presenza di bande criminali che lungo il percorso, specie nel tratto serbo, assaltano i migranti rapinandoli. C'è un problema di legislazione sul diritto di asilo per quanto riguarda i Paesi balcanici? Certo, ed è l'aspetto che come Amnesty abbiamo messo più in evidenza. Nel 2014 solo dieci persone hanno ottenuto lo status di rifugiato in Macedonia, in Serbia una, in Ungheria 240, percentuali irrisorie perché sommate sono in tutto 251 persone a fronte di decine di migliaia di richieste di asilo. Quindi c'è un problema intanto di non obbligo, per quanto riguarda Serbia e Macedonia, di rispettare la

3 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 3 TUNNEL SENZA USCITA Grecia L «emergenza» nelle isole del Dodecanneso non riguarda solo i siriani: già trasferiti via nave ad Atene. Ma gli afghani e gli iracheni sbarcati restano soli fughi SPAGNA Lite governo-città sui servizi sanitari negati ai migranti normativa dell'unione europea. Qualunque cosa si decida a Bruxelles o a Strasburgo non interessa a Belgrado o a Skopje. L'Ungheria, che dovrebbe essere quella vincolata alla Ue, abbiamo visto che ha eretto un muro e introdotto una legislazione che elenca una serie di oltre venti Paesi cosiddetti sicuri, tra cui la Serbia, nei quali rimandare chi chiede asilo se prima è transitato in uno dei Paesi della lista. Essendo la Serbia al confine, vengono tutti rimandati lì. Cosa chiede Amnesty? Intanto abbiamo chiesto alla corte costituzionale ungherese di pronunciarsi sulla incostituzionalità di tutte queste misure e in particolare sulla normativa relativa ai Paesi terzi sicuri. E ai Paesi che non sono vincolati dalle norme europee ricordiamo che esiste un diritto internazionale dei rifugiati che stabilisce garanzie, come la possibilità per ogni persona che abbia titolo di vedere la sua domanda di asilo esaminata con una procedura equa e trasparente, che la detenzione sia considerata solo come ultima risorsa, che ci sia particolare tutela per i minori non accompagnati. Questo per quanto i Paesi interessati dalla rotta. L'Ue ha il suo tornaconto nel vedere che c'è una rotta parallela a quella del canale di Sicilia in cui vanno a finire come dentro un imbuto persone che così l'europa non la raggiungeranno mai. La decisione della Macedonia di chiudere la frontiera aumenterà gli affari dei trafficanti di uomini? Ogni provvedimento di chiusura, in Macedonia come a Calais o in qualunque altra parte del mondo provoca un meccanismo di ricerca di nuove strade. Fino a quando le persone non avranno che l'illegalità come modo per poter entrare in Europa e cercare riparo il risultato è che si metteranno nelle mani dei criminali. E purtroppo questo aumenterà il numero delle vittime. IL RACCONTO Al Captain Elias da mesi gli attivisti ospitano centinaia di rifugiati L «hotel» di Kos Solidarity Francesca Coin KOS A ppena ti avvicini all'ingresso, consigliano di non entrare. Poco importa che poco lontano ci siano volontari e attivisti a distribuire abiti e cibo: «non entrare», ripetono, «e se entri, resta vicino all'uscita». Il luogo è il Captain Elias Hotel, albergo dismesso appena fuori dalla città dove da mesi sono ammassati centinaia di migranti. Si tratta di una struttura fatiscente, priva di elettricità divenuta proprietà dalle banche dopo il fallimento dell'ultima gestione. Negli ultimi mesi Captain Elias è diventato una specie di casa di fortuna - qualcuno dice di sfortuna - per i migranti che, arrivati a Kos, non hanno nessun altro luogo in cui andare, documenti per proseguire il viaggio, denaro per fuggire né una tenda per dormire all'esterno. E così centinaia sono stipati in questo piccolo albergo isolato, ricacciati nei sottoscala come ratti nello sterco. Kos, isoletta di 30 mila abitanti che da qualche mese è diventata il principale porto di ingresso di migranti in Grecia, insieme alle isole di Kalymnos, Leros e Lesbos. Giusto ieri la nave «Eleftherios Venizelos» nella quale erano alloggiati circa rifugiati siriani è partita verso il porto del Pireo, spostando così un po' della cosiddetta «emergenza profughi» dalle isole alla capitale. Ma trasportava solo rifugiati siriani. Tutti gli altri sono bloccati nelle isole, a tempo indeterminato. «Qui gli sbarchi sono cominciati pochi mesi fa», racconta Corinna mentre infila le fette di formaggio e prosciutto nei panini e me li passa per chiuderli nella carta d'alluminio. «Fino a poco tempo fa di migrazione sentivamo parlare solo al telegiornale quando la stampa raccontava di Lampedusa». Quest'anno, complice l'esacerbarsi della guerra in Medi Oriente e la crescente pericolosità dell'attraversamento del Mediterraneo centrale, hanno cominciato a sbarcare nelle piccole isole del Mar Egeo. Ha fatto il giro del mondo l'immagine di Laith Majid, l'uomo siriano fotografato da Daniel Etter in lacrime di gioia per aver raggiunto Kos ancora vivo insieme alla famiglia, dopo tutta la sofferenza in Siria. Ma qui non tutti sbarcano vivi, come i due bimbi trovati senza vita giovedì mattina a tre miglia dalla costa turca di Foça, quando il gommone che trasportava 39 siriani si è schiantato. E per molti arrivare nell'isola non significa essere salvi. Corinna è parte di Kos Solidarity, uno dei pochi gruppi di solidarietà ai rifugiati auto-organizzati nell'isola. «Lavoriamo insieme da maggio» spiega, «da quando ci siamo accorti che se non avessimo fatto qualcosa noi, non avrebbe fatto nulla nessuno». Corinna è un avvocato trentenne tornata a vivere a Kos lo scorso anno dopo esser stata a lungo ad Atene. Con lei, in un piccolo appartamento che dista tre chilometri dal centro, ci sono una decina di persone (insegnanti in ferie, fiorai o disoccupati locali) che da maggio si danno il turno per preparare panini, raccogliere donazioni e garantire assistenza ai rifugiati. L'iniziativa è nata da George Chertofilis, insegnante di fisica. «All'inizio venivamo qui intorno alle 14, appena terminato il lavoro» ricorda, «E ci mettevamo a cucinare pasti». «Un amico cuoco l'ha fatto da solo per due settimane» aggiunge Sebastian. Il punto è che le autorità locali non mettono a disposizione nulla: né un bagno, né un posto letto, né un pasto. Allora questo piccolo gruppo di attivisti locali ha adibito un appartamento nella periferia a centro di raccolta e smistamento di abiti e medicinali, e ogni giorno cucina. «Quando abbiamo iniziato a maggio c era uno sporadico supporto dagli albergatori. Alcuni gestori offrivano pasti e ci chiedevano di aiutarli nella distribuzione. Quando poi il governo a luglio ha introdotto i controlli sui capitali, quell aiuto è venuto a mancare» spiega Sebastian. Così d'un tratto questo piccolo gruppo di attivisti auto-organizzati si è trovato dentro una specie di guerra. Da un lato c era l'imprenditoria locale (quella parte dell'oligarchia isolana che è proprietaria degli alberghi e che il sindaco del Pasok George Kyritsis ben rappresenta) che si è schierata contro ogni tipo di assistenza ai «L'atteggiamento del sindaco è stato di non fare né dare niente». Loro hanno cominciato con panini e pasti caldi 500 GLI OSPITI DELL EX HOTEL Insegnanti, volontari e ragazzi hanno «autogestito» l accoglienza fin dall inizio dell estate. All inizio anche con il sostegno di alcuni imprenditori del settore turistico. migranti, adducendo come motivazione che ogni azione di solidarietà sarebbe stato un attentato all'economia dell'isola, che vive di turismo. Dall'altra, c'è la situazione disastrosa dei rifugiati in Grecia e il fatto che non sarà certo rendendo la loro vita impossibile che si risolverà il problema a Kos. «L'atteggiamento del sindaco è stato lo stesso fin dall'inizio» continuano, «non fare niente e non dargli niente, neanche un bicchier d'acqua», perché accoglierli male è l'unica strategia capace di fungere da deterrente contro gli sbarchi. «Secondo lui i migranti dovrebbero scomparire», continua Corinna, «non è ben chiaro dove», chiede amara. Posizione molto simile a quella di Alba Dorata, che ha accusato il governo Syriza di scelte di politica migratoria che non porteranno che illegalità, risse, violenza e malattie. «Per quale ragione dovremmo continuare a lasciare che queste persone invadano le nostre coste?» concludeva un recente articolo di simpatizzanti di Alba Dorata sulla situazione a Kos. «Così ai primi di agosto abbiamo dichiarato che avremmo smesso di fare alcunché», dice Corinna. «La nostra era una presa di posizione politica: non volevamo che le istituzioni scaricassero su di noi le conseguenze della loro negligenza». In quel momento, però, tutti i nodi sono venuti al pettine. Quando la scorsa settimana il sindaco ha dato disposizione di stipare circa migranti nello stadio Antagoras, non è stata solo la polizia a minacciare e caricare i migranti. C'erano anche alcuni uomini locali. È diventato chiaro come l'emergenza rifugiati si stesse pericolosamente innestando nella crisi economica, minacciando di incendiare le tensioni sociali che gli scorsi mesi hanno tenuto compresse. «Così ora il timore è che venga sgomberato il Captain Elias» afferma Corinna. «Ieri mattina la polizia è entrata nell'albergo con le ruspe per abbattere le tende e le casette di palma e cartone che si trovavano all'esterno». Ora si dice che vogliano sgomberare l'albergo. «Non si rendono conto che la situazione sarà peggiore, perché tutti finiranno in strada». Fatto sta che la tensione continua ad aumentare, in città. Da settimane oramai i migranti che arrivano da Pakistan, Afghanistan o Iraq sono abbandonati nel Captain Elias. Le procedure di identificazione e registrazione sono lente e poi lasciare l'isola è per nulla semplice durante la stagione estiva. A Captain Elias l'esasperazione talvolta sfocia in vere e proprie «guerre» di tutti contro tutti. «Nessuno viene a dare assistenza al Captain Elias», dice Sebastian, «a parte noi e Medici Senza Frontiere. Ci sono giorni in cui i bimbi ti corrono incontro con gioia, ma altri in cui ci sono solo minacce e tensione». «La verità è che qui non c'è niente: né l'elettricità né cibo. Ci sono 500 uomini dal Pakistan, Iraq, Nigeria e Afghanistan che vivono stipati uno contro all'altro in un luogo chiuso che sa di urina e sudore. Ci sono giorni in cui anche non riusciamo a smettere di piangere quando lasciamo l'albergo», aggiunge una volontaria, «tanto sa di violenza e disperazione». Per ora il governo greco ha risposto inviando a Kos la «Eleftherios Venizelos» per far defluire parte dell'emergenza verso la capitale e poi verso la Macedonia. «Di fatto la nave era l'unico compromesso possibile, visto che così i rifugiati non mettono piede dentro Kos e per il sindaco sembra che non esistano». In questa situazione di tensione diffusa la politica del governo greco sembra quella di accelerare le procedure di riconoscimento per consentire ai rifugiati di spostarsi in fretta verso l'europa del Nord, prima che si inneschino le altre tensioni che camminano carsiche in Grecia. Soluzione precaria: forse non è possibile sia altrimenti, ora in Grecia. L'altro giorno il portavoce dell'alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), William Spindler, ha intimato al governo greco di trovare una soluzione e di «assumersi la piena responsabilità di quanto avviene sul suo territorio». Verrebbe da ricordare che se Tsipras avesse potuto assumersi quella responsabilità, probabilmente a Kos sarebbe diverso. Luca Tancredi Barone MADRID L e granitiche decisioni del Partito popolare iniziano poco a poco a sgretolarsi, a pochi mesi dalle elezioni che certamente sottrarranno loro il governo. Se nel 2012 erano convinti che modificare il principio della copertura sanitaria universale, in particolare per escludere i migranti irregolari, non sarebbe costato molto in termini elettorali, nel 2015 con un nuovo ministro della Salute (la precedente dovette dimettersi per un caso di corruzione in famiglia), con i governi di sette comunità autonome precedentemente in mano ai Popolari che hanno cambiato colore dopo le elezioni di maggio, e con cinque ricorsi di incostituzionalità di altrettante comunità autonome ancora da risolvere, lo scenario diventa molto più complicato. Appena entrata in vigore la polemica norma il Real decreto 16/2012 cinque comunità autonome (quelle non in mano al Pp) avevano impugnato la legge davanti al Tribunale costituzionale. Con la proverbiale lentezza di questo organo, specchio fedele degli equilibri partitici del momento, ancora non c è stata una decisione, e non si sa se ce ne sarà una in tempi brevi. Nel frattempo queste cinque comunità hanno già previsto meccanismi per aggirare la legge: dopotutto la sanità è una competenza delle autonomie regionali. Ma a queste cinque dal maggio scorso si stanno aggiungendo altre comunità, che nelle scorse settimane hanno apportato modifiche che stanno restituendo il diritto di accesso alla sanità anche alle persone non dotate di permesso di soggiorno. L ultima a sommarsi a questo previsto cambio di tendenza è però la comunità di Madrid, una delle poche roccaforti rimaste in mano al Pp, anche se una delle più simboliche, per bocca della sua presidente: Cristina Cifuentes. Che ieri ha annunciato la creazione di una tessera sanitaria diversa da quella di tutti gli altri cittadini ma che comunque permetterebbe l accesso al medico di base e ai medici specialisti agli immigrati all interno della comunità. Si tratta di un annuncio sorprendente: due giorni fa il segretario generale del ministero della Salute aveva addirittura minacciato con multe milionarie le comunità autonome che stavano restituendo il diritto alla salute a tutti i loro cittadini. Davanti a una situazione così difforme fra le varie comunità e in aperto contrasto con lo spirito e la lettera della legge approvata con entusiasmo dal Pp solo tre anni fa, Cifuentes ha chiesto che le diverse comunità autonome trovino il modo di armonizzarsi tra loro. Lo stesso ministro della Salute, Alfonso Alonso, a capo del ministero dal marzo scorso, aveva annunciato appena preso possesso dell incarico che avrebbe rivisto la norma. Dopo cinque mesi dal ministero non si è mossa una foglia, ma sono le stesse comunità a riportare la sensatezza (e la giustizia) a una legge che ha avuto l unico effetto di peggiorare le condizioni dei pronti soccorsi (a cui l accesso non può essere negato), peggiorare le condizioni di salute di tutte quelle persone che non possono curarsi (ci sono anche stati alcuni casi di decessi molto polemici) e, in ultima analisi, di peggiorare le condizioni di salute di tutta la popolazione basti pensare al caso di persone con qualsiasi tipo di malattia virale che non possono più accedere ai farmaci che li aiutano a guarire o a ridurre la carica virale.

4 pagina 4 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 ITALIA NAPOLI Roma stronca le voci di una ricandidatura dell ex sindaco nel 2016: «Si volti pagina» Pd, un Bassolino nella scarpa Adriana Pollice NAPOLI È in vacanza in Cilento, intanto a Napoli per tutto agosto si è discusso di lui, Antonio Bassolino. A cominciare è stato lo stesso ex sindaco di Napoli ed ex governatore che ha utilizzato i social network per commentare i post dell attuale primo cittadino, Luigi de Magistris, ma anche per dettare temi al suo partito, suggerire strategie. Voci dal Pd raccontano di un Bassolino che sonda il terreno per un eventuale discesa in campo per le comunali partenopee Un ipotesi che naturalmente ha provocato immediate fibrillazioni. Il presidente Eav (società regionale di trasporto) Umberto De Gregorio, uomo di fiducia del governatore Vincenzo De Luca, ha lanciato una proposta che è suonata come un imboscata: un comitato di tre saggi per individuare il candidato sindaco del Pd, i tre proposti sono proprio aspiranti competitor (lo stesso Bassolino, Umberto Ranieri e Graziella Pagano). L iniziativa ha innescato polemiche aspre più la replica seccata di Bassolino: «Basta strumentalizzazioni. Da cinque anni sono fuori dalle istituzioni». Una marcia indietro a cui sono seguite due dichiarazioni da Roma. La prima sul Mattino di Francesco Nicodemo, napoletano nello staff comunicazione di Palazzo Chigi: «Antonio fuoriclasse, ma si volti pagina». Quindi dal suo blog Claudio Velardi, spin CONTRATTO Le imprese però chiedono deroghe A Fiom e Confindustria piace «nazionale» I l governo intende procedere sulla riforma della rappresentanza e della contrattazione - incluse nuove regole sugli scioperi - ma le proposte in ballo continuano a suscitare polemiche. Ieri in una intervista al manifesto il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo ha spiegato di essere contro l azzeramento del contratto nazionale e la limitazione del diritto di sciopero, specie nel settore privato, e ugualmente contrari al superamento del primo livello di contrattazione si sono detti sia il vicepresidente di Confindustria Stefano Dolcetta che il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. «Gli imprenditori sono contrari ad abolire il contratto nazionale», ha spiegato Dolcetta a Repubblica, definendo la proposta Ichino su questo tema «un po hard»: «Molta parte delle 154 mila imprese a noi associate - ha detto il numero due di Confindustria - non hanno la dimensione per reggere una contrattazione aziendale. Semmai pensiamo sia meglio rendere i contratti nazionali derogabili a livello aziendale». Va detto, o meglio, andrebbe ricordato, che la possibilità di derogare i contratti nazionali (e perfino le leggi) esiste già, grazie al (famigerato, almeno a sinistra) articolo 8 varato dall allora ministro del Lavoro Sacconi, nel Articolo 8 che, contrariamente alle posizioni espresse da Confindustria, ieri il Pd Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, ha invece detto che bisognerebbe abolire: No unanime alla proposta Ichino. Damiano (Pd): abolire l articolo 8 «made in Sacconi» «L equilibrio a vantaggio dei contratti decentrati - sostiene - va compensato cancellando la derogabilità del contratto nazionale introdotta dal centrodestra: correzione necessaria per impedire pratiche di dumping sociale nelle singole aziende, fonte di gravi diseguaglianze e di concorrenza sleale tra le imprese». Quanto alla rappresentanza, per il vicepresidente di Confidustria Dolcetta «sarebbe meglio trovare un accordo tra le parti», ma in mancanza di questo, «è auspicabile che il governo traduca in legge l accordo che avevamo già firmato con Cgil, Cisl e Uil». Accordo, il Testo unico sulla rappresentanza siglato nel gennaio 2014, citato come punto di partenza anche da Damiano, come anche, ovviamente, dai firmatari Cgil, Cisl e Uil. Maurizio Landini e la Fiom, contrari agli esiti del Testo Unico, al contrario vorrebbero una legge: che disponesse che su piattaforme e accordi «siano chiamati a votare, con un referendum, tutti i lavoratori, precari inclusi». Landini si dice contrario al superamento del contratto nazionale, e cita l esempio Fiat, dove in forza del contratto aziendale (che ha sostituito quello nazionale, come da proposta Ichino), «i minimi contrattuali sono 76 euro al mese più bassi del nazionale». Ed è favorevole alla semplificazione: «Gli attuali 400 contratti possono essere ridotti a una decina. No, infine, alla limitazione del diritto di sciopero: «È un diritto individuale garantito». an. sci. doctor e ex assessore regionale bassoliniano (andò via prima che la nave affondasse del tutto): «Intere paginate delle gazzette cittadine sono zeppe di attestati di stima nei confronti di Bassolino, rilasciate dalle stesse persone che l avevano messo in croce sette anni fa. Io penso che la sola ipotesi di una sua candidatura sia sbagliata, che non sia altro che la fotografia seppiata del declino della città. Ora, nel distacco del ritiro agostano, prevale in me il disgusto morale. Abbiano almeno il buon gusto di tacere». Due «grazie, ma grazie no» che raccontano come a Roma un Bassolino ter sia per ora sgradito, troppo legato al passato. In casa Pd tutti temono le primarie. Molti pensano che la via di uscita sia il metodo Ercolano, l investitura da parte di Renzi di un candidato giovane radicato nel territorio. Per ora non si espone, ma De Luca starebbe lavorando a una sua proposta: il nome che si fa è quello del deputato quarantenne Leonardo Impegno, figlio di Berardo, il segretario Pds che Bassolino venne chiamato a commissariare durante Tangentopoli, prendendo in mano il partito da lì in avanti per 17 anni. Ma sarebbe un processo tutto da costruire: il governatore a Napoli è privo di truppe. Silvio Messinetti F atta la festa gabbatu lu santu. Un anno fa di questi tempi il governo prometteva mari e monti per il porto di Gioia Tauro, uno degli hub commerciali più grandi del Mediterraneo. In ballo c era la grana dell arsenale chimico siriano che Nato e Usa avevano affidato all Italia. Nonostante le proteste della popolazione il transhipment fu effettuato dai lavoratori senza danni all ecosistema. Da allora il governo è scomparso. «E chi li ha visti più?» esclama Carmelo Cozza tra i leader dei portuali gioiesi, esponente del Sul, il sindacato autonomo più rappresentativo a Gioia e in tutti gli altri porti calabresi. La situazione nell hub è drammatica. Il più importante polo produttivo calabrese, e snodo essenziale nella logistica del Mediterraneo, è lasciato marcire da proprietà e istituzioni. «Quel che sta accadendo nelle ultime settimane ha davvero del paradossale. Da una parte le istituzioni e il terminalista promettono sviluppo e progresso, dall altra i numeri raccontano un altra storia: il lavoro diminuisce, i servizi di contenitori vengono eliminati e la cassa integrazione aumenta con il serio rischio di un ridimensionamento Nicodemo e poi Pina Picierno sono tornati sull idea della Fonderia 2.0, una seconda edizione della Leopolda in salsa napoletana. E di nuovo la polemica è esplosa su Fb. I due, tra i promotori dell iniziativa, rivendicano i numeri (tavoli, partecipazione) e il metodo per evitare le primarie «strumento per la resa dei conti interna». I detrattori hanno gioco facile nel ricordare che alla fine non uscì nessuna candidatura alle regionali. «L anno scorso la Fonderia - commenta Luciano Crolla, responsabile Comunicazione Pd, anche lui tra gli organizzatori - ha provato ad aprire un canale con la società civile ma non con il partito. Renzi ha organizzato la Leopolda ma ha anche lavorato sul partito, accettando di perdere al primo giro. A noi è mancato questo coraggio così tutti poi sono ritornati alle rispettive correnti. Se oggi si esprime la necessità di individuare figure di prestigio si afferma, implicitamente, che il Pd napoletano non è nelle condizioni di svolgere la propria funzione. Se questo è il problema, sarebbe più lineare chiedere un congresso straordinario. Magari caratterizzato sui temi della città». Il congresso sarebbe anche l occasione per legare Tutti temono le primarie, c è chi chiede il congresso. Nervosismo di Sel e Prc su de Magistris la campagna elettorale al carro del Master plan per il Sud promesso da Renzi per metà settembre. I 5Stelle potrebbero però sparigliare le carte forti del 24,85% conquistato in città a maggio ma anche loro sono a caccia del candidato, magari superando il metodo delle primarie on line. Il sindaco de Magistris intanto ha incassato l appoggio di Stefano Fassina, ieri però sono arrivati segnali di nervosismo da Sel e Prc, che lo sostengono in consiglio: «L intuizione vincente della sua candidatura - commenta Arturo Scotto, capogruppo alla camera di Sel - mi sembra si sia piuttosto indebolita. De Magistris deve investire di nuovo le sue energie per ricucire il legame società-partiti-cittadini. La formula dell uomo solo al comando non ci convince e non basta per vincere». complessivo dell occupazione al termine dell utilizzo degli ammortizzatori sociali». Qui a Gioia Tauro la regola è il monopolio: ci si è consegnati a un solo cliente, la Msc di Aponte, da qualche giorno anche proprietaria della metà del terminalista, visto che Maersk ha venduto tutte le quote azionarie in suo possesso. Il porto di Gioia si sta spegnendo come una candela. Cassa integrazione a oltranza, traffici dirottati, perdite di linee di navigazione, numero di container ridotti ai minimi storici, esuberi, licenziamenti. Un declino inesorabile di un porto di Gianmario Leone L e campagne pugliesi hanno mietuto la quarta vittima di quest estate infernale. Si tratta di Maria Lemma, 39enne e madre di cinque figli: originaria di Massafra, si è sentita male il 31 luglio mentre lavorava nelle campagne di Ginosa, due paesi del versante orientale della provincia di Taranto. Ricoverata presso l ospedale Moscati, il suo cuore ha smesso di battere dopo dieci giorni. Maria, a differenza delle altre vittime, era assunta regolarmente e inoltre era affetta da diverse patologie che potrebbero averne causato il decesso: per questi motivi il marito Nicola Maggio - invalido civile con una piccola pensione - e i figli, hanno deciso di non sporgere denuncia. La loro prima preoccupazione adesso sarà quella di vivere l immenso dolore, oltre alle difficoltà economiche, visto che i 40 euro giornalieri che Maria guadagnava servivano a portare avanti l intera famiglia. Verrà invece riesumato martedì il corpo di Paola Clemente, la bracciante 49enne di San Giorgio Jonico (Taranto) morta nelle campagne di Andria il 13 luglio mentre lavorava sotto un tendone all acinellatura dell uva. Sempre martedì sarà GIOIA TAURO Oggi lo sciopero: «Il governo ci ha abbandonati» Contro il declino, il porto si ferma PUGLIA Lascia il marito invalido e 5 figli Un altra bracciante muore dopo un malore GIOIA TAURO: OGGI I LAVORATORI INCROCIANO LE BRACCIA /LAPRESSE preminente interesse mondiale. E così i lavoratori oggi invaderanno le banchine per uno sciopero che si preannuncia di massa. Oggi il porto si ferma. Nonostante il boicottaggio di Cgil, Cisl e Uil che peraltro non hanno mai avuto tanto seguito nello scalo calabrese. «Se i lavoratori non verranno ascoltati, sarà l inizio di una lunga serie di azioni di mobilitazione», conclude Cozza. Appuntamento alle 11 per difendere il diritto al lavoro. Perché si comprenda che dallo sviluppo del porto di Gioia Tauro passa lo sviluppo dell intera Calabria. BRACCIANTI AL LAVORO: IN PUGLIA SI INDAGA SULLE MORTI LAPRESSE Martina: «Il 27 vertice a Roma sul caporalato con i sindacati e le imprese agricole» effettuata l autopsia disposta dal pm di Trani Alessandro Pesce. L autopsia dovrà accertare le cause e concause del decesso e l eventuale inalazione di sostanze tossiche. Nell indagine in corso per omicidio colposo e omissione di soccorso, sono indagati Ciro Grassi, autista del mezzo che ha portato i braccianti nelle campagne di Andria e che organizza le squadre che ogni giorno vanno a lavorare nelle campagne del nord barese, e Luigi Terrone, uno dei responsabili dell azienda agricola Ortofrutta Meridionale di Corato (Bari), in cui lavorava la donna quando è stata colta da malore. La famiglia di Paola Clemente si è costituita formalmente nel procedimento e ha nominato un proprio consulente per l autopsia. Stessa cosa ha deciso di fare l azienda. Le indagini tenteranno di chiarire anche la posizione contrattuale di Paola: assunta da un agenzia interinale di Bari, ora gli inquirenti vogliono chiarire i rapporti tra questa agenzia e la ditta di Corato. E si tenterà di fare luce anche sulla situazione medica della bracciante: ovvero se ci fossero tutti i certificati previsti in caso di assunzione. La Procura di Matera ha invece aperto un indagine conoscitiva per accertare le cause del malore che il 5 agosto ha colpito il bracciante tarantino di 42 anni Arcangelo De Marco, ricoverato in coma nell ospedale di Potenza. Dalle indagini è infatti emerso che De Marco ha accusato il malore mentre lavorava nelle campagne del Metapontino e non in quelle di Andria come trapelato in un primo momento. «Il 27 agosto, con il ministro Poletti, terremo un vertice nazionale proprio sui temi del caporalato» ha annunciato ieri al Meeting di Comunione e liberazione il ministro dell Agricoltura Maurizio Martina: invitati i sindacati, le associazioni delle imprese agricole, l ispettorato, l Inps. Mentre Flai Cgil e Sel hanno chiesto l istituzione di una commissione d inchiesta parlamentare sul caporalato. Che fa parte di quel lavoro sommerso, che ogni anno coinvolge circa 2 milioni di invisibili che producono, sostiene la Fondazione studi del Consulenti del lavoro sull attività ispettiva di Ministero del Lavoro-Inps-Inail del 2014 e dei primi 6 mesi 2015, un economia di «41 miliardi e 837 milioni e una evasione di 25 miliardi di imposte e contributi».

5 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 5 ITALIA CASAMONICA «Il 3 settembre occupiamo la piazza» Orfini sfida i clan MAFIA CAPITALE Parla l assessore alla Legalità, Alfonso Sabella, già pm del pool antimafia «I funerali del boss dei Casamonica sono l oltraggio e il vaccino. Ora tutto cambierà» Eleonora Martini «C erto che il funerale di Vittorio Casamonica è stato un grave smacco alla città e al Paese, certo che l inequivocabile utilizzo dei rituali tipici delle organizzazioni mafiose, l ostentazione di prepotenza e arroganza, dimostrano il potere di un clan che controlla di sicuro una parte della Capitale. Però paradossalmente sono contento che si sia verificato questo episodio, è stato una sorta di vaccino al negazionismo contro il quale noi operatori di giustizia combattiamo da anni. Adesso sono certo che un episodio del genere non potrà mai più accadere a Roma, perché d ora in poi scatteranno tutti i campanelli d allarme che non sono scattati in questa occasione. E le istituzioni faranno il loro lavoro e il loro dovere». Malgrado le notizie che arrivano da Roma stiano funestando la sua vacanza all estero, l assessore alla legalità Alfonso Sabella, già magistrato del pool antimafia di Palermo, prova a lanciare un «messaggio di speranza». Assessore, dunque Roma può essere attraversata da un corteo funebre di migliaia di persone e centinaia di auto, può essere sorvolata illegalmente con lancio di oggetti (proprio mentre si discutono le nuove norme sui droni, ipotizzandone l uso criminale e terroristico) e si possono appendere mega manifesti sulle facciate delle chiese senza che nessuno se ne accorga. Oppure Vittorio Casamonica era davvero uno dei Re di Roma? Beh, almeno adesso nessuno potrà più dire che a Roma la mafia non esiste. Il clan dei Casamonica, come quello dei Fasciani o degli Spada a Ostia, sono organizzazioni mafiose di vecchio stampo, che controllano il territorio. Con questo funerale sono stati mandati messaggi chiarissimi: la carrozza coi cavalli, tipica dei capi mafia siciliani degli anni 70, la Rolls Royce che non manca mai, la musica del Padrino che era pure la colonna sonora del video nel matrimonio di Leoluca Bagarella, il rapporto strano e anomalo con la Chiesa... Strano e anomalo? Basterebbe ricordare che il boss della banda della Magliana, Renatino De Pedis, era sepolto nella cripta della basilica di Sant'Apollinare. Non ho mai visto una camera della morte, cioè quei posti dove venivano uccise e sciolte nell acido le persone, che non avesse immagini sacre appese alle pareti. E quando ho arrestato Pietro Aglieri, detto u signurino, allora numero due di Cosa Nostra, l ho fatto seguendo un frate. Insomma, i Luca Kocci N el 1990, nella stessa parrocchia di San Giovanni Bosco a Cinecittà che l altro ieri ha ospitato il funerale di Vittorio Casamonica, furono celebrate le esequie di Renatino De Pedis, uno dei boss della banda della Magliana, il cui corpo venne poi tumulato con l autorizzazione del Vicariato nella cripta della basilica di San Apollinare (dove è restato fino al 2012, quando poi fu cremato). Corsi e ricorsi storici che, al di là delle coincidenze, mostrano quanto le relazioni fra Chiesa e mafie siano state e siano ancora intrecciate. Una storia che comincia da lontano, e lontano da Roma, già nell 800, quando i livelli erano contigui. Fino al 1963, quando a Ciaculli c è la prima grande strage di mafia, e la Chiesa comincia a porsi il problema, anche perché a Palermo il pastore valdese Panascia aveva preso una posizione pubblica netta, mentre il cardinale Ruffini minimizzava. Per arrivare alla prima svolta bisogna aspettare il 1993, con l anatema di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi e l omicidio di don Puglisi (e, l anno successivo, di don Diana, a Casal di Principe). Da allora la riflessione si sviluppa e le iniziative antimafia si moltiplicano, fino alla «scomunica» ai mafiosi pronunciata da Papa Francesco. Ma la consapevolezza non è unanime in tutta la Chiesa, così come l impegno è a macchia di leopardo: accanto a preti e gruppi in prima linea, continuano ad esserci silenzi, omissioni, collusioni, feste patronali e processioni religiose guidate dai boss che in questo modo consolidano potere e prestigio, con la benedizione ecclesiastica (a giorni la Conferenza episcopale calabra pubblicherà le proprie linee guida sulle processioni proprio per evitare infiltrazioni). Il funerale del proprio familiare organizzato dai Casamonica benché Roma sia una realtà sociale diversa si colloca in questo contesto. «Tra i messaggi più persuasivi che le organizzazioni mafiose lanciano per raccogliere consensi c è l ostentazione dell impunità e da questo punto è stato un capolavoro di promozione dell immagine pubblica IL CARRO FUNEBRE DEL FUNERALE DI VITTORIO CASAMONICA FOTO LAPRESSE «Roma si scopre mafiosa faremo come a Palermo» La sociologa Alessandra Dino: «Non si può dire "non sapevo". C è una dimensione pubblica delle cerimonie che non si può ignorare» rapporti della mafia con la Chiesa non sono nuovi. Anche se questo caso credo sia diverso, certo però quel cartellone appeso all ingresso della basilica di Cinecittà andava almeno rimosso. Comunque faccio l assessore alla legalità, non al Vaticano. E come si riporta la legalità in una città così degradata, al di là delle poche violazioni di norme che si sono compiute durante questi funerali? In ogni caso, per quanto riguarda la competenza comunale, quando tornerò mi voglio togliere una piccolissima soddisfazione: andare a verificare se si possono applicare sanzioni per aver insozzato Roma con lancio di oggetti dall elicottero. Però mi faccia dire che questo evento è servito a far maturare gli anticorpi che eviteranno il ripetersi di tali situazioni. Mi spiego: al funerale di Luciano Liggio, capo clan assoluto di Cosa Nostra, sono andate al massimo venti persone e non c è stato alcuno sfarzo. Perché in quel momento lo Stato era attento, aveva le antenne drizzate e messo in moto tutte le misure affinché quelle esequie si potessero svolgere nel modo più sobrio possibile. Dunque, in questo momento a Roma lo Stato è «distratto»? Non è così: a Roma ancora non c era una presa d atto dell esistenza della mafia. Non siamo a Palermo, a Platì oppure a Reggio Calabria. Qui dovevano funzionare diverse cose, tutte insieme, ma ne è saltata una e il meccanismo di allerta si è sfaldato. Così nessuno ha fatto niente per impedire una tale spettacolarizzazione nella capitale. Si sarebbe potuto intervenire con piccoli accorgimenti, come abbiamo fatto a Palermo, riuscendo a frenare questi fenomeni ancora prima di assestare colpi mortali alla mafia. È importante, perché si deve dimostrare a tutti che lo Stato è più forte dei clan. E soprattutto si sarebbe dovuto andare a monitorare chi c era e chi non c era, a questi funerali. Spero proprio che sia stato fatto: i vecchi brogliacci dei carabinieri, dove si prendeva nota delle presenze e delle assenze nelle cerimonie dei clan, erano materiale preziosissimo per capire gli equilibri interni alle mafie. Non dico che non ci sia la responsabilità un po di tutti: le istituzioni hanno commesso dei peccati, ma veniali: c è stata una sottovalutazione, con l attenuante di essere impreparati. Sta dicendo che malgrado il vaso di Pandora sia stato scoperchiato dall inchiesta Mafia Capitale, finora nulla è cambiato nel sistema di allerta istituzionale? Distinguiamo i fenomeni. Mafia Capitale è diversa dalle mafie più tradizionali: la sua forza non sta nel controllo del territorio, quanto delle amministrazioni. Buzzi e Carminati potevano avere rapporti con i clan, ma in sostanza Roma è una città più corrotta che mafiosa, anche se vede la presenza di associazioni mafiose. Però fino a qualche tempo fa ciò veniva radicalmente negato. D ora in poi, sono sicuro, tutto cambierà. Adesso la capitale ha preso atto della propria fragilità. E paradossalmente credo che da questo momento in poi Roma diventerà più sicura. ROMA, FUNERALI DI VITTORIO CASAMONICA FOTO LAPRESSE ROMA U n carro funebre trainato da sei cavalli, nove furgoni con corone di fiori e almeno 250 auto al seguito; milioni di petali lanciati da un elicottero sul quartiere Tuscolano, a sud-est di Roma, che, secondo il comandante della polizia locale, Raffaele Clemente, «potevano mettere a repentaglio l incolumità dei cittadini, specie di quanti si muovono sulle due ruote»; i vigili intevenuti «per impedire che il blocco del traffico si estendesse anche al raccordo». Tre persone agli arresti domiciliari autorizzate a partecipare alle esequie. Cinquanta euro offerti per celebrare i funerali dai familiari del defunto al parroco della chiesa di San Giovanni Bosco, don Manieri, che ieri ha ribadito: «Che altro potevo fare? Lo rifarei». Eppure, durante le sfarzose esequie del capo clan mafioso Vittorio Casamonica, celebrate giovedì mattina a Roma, l unica irregolarità è stata commessa dal pilota che guidava l elicottero, un ex dipendente dell Alitalia la cui licenza è stata sospesa ieri dall Enac «in via cautelativa», in attesa di accertamenti. Nel frattempo le autorità di assistenza volo (Enav) hanno appurato che il velivolo partito da Terzigno, in provincia di Napoli, con destinazione l elisuperficie Romanina, ha in realtà poi effettuato «una deviazione non prevista né comunicata» sorvolando una zona che sarebbe vietata agli elicotteri monomotore. Inoltre avrebbe volato a una quota inferiore ai 330 metri che è il minimo legale, lanciando peraltro materiale senza autorizzazione. Ora tutti si dicono indignati da quella messainscena del potere mafioso. Il prefetto Franco Gabrielli ammette «mancanze» anche «dell apparato di sicurezza», ma la bufera politica copre la vera ricerca dei responsabili di una lunga serie di errori e omissioni. Spiega Gabrielli che «solo il Questore poteva dare prescrizioni sulla cerimonia», ma sul suo tavolo «non è arrivata alcuna segnalazione in tempo utile». Però Lega e M5S chiedono le dimissioni del sindaco Marino, e i sindacati parlano di «sistema omertoso e connivente». Mentre il commissario del Pd romano, Matteo Orfini, chiama i cittadini a una manifestazione contro le mafie per «occupare», il 3 settembre prossimo, quella piazza profanata. VATICANO Impegno intermittente, malgrado la scomunica pronunciata da papa Francesco Corsi e ricorsi dei rapporti tra clan e chiesa del defunto e dei suoi eredi immediati», spiega Augusto Cavadi, autore fra l altro del saggio Il Dio dei mafiosi (Ed. San Paolo). «In una società ancora imperfettamente secolarizzata, l impunità terrestre, per quanto rilevante, non è esaustiva. Allora con gli elicotteri e la carovana dei fuoristrada sbatto in faccia la mia superiorità rispetto ai poteri civili, ma con la ritualità religiosa tolgo ogni eventuale dubbio sulla mia impunità post mortem. La volontà del padrino è legge incontrastata in cielo come in terra». «Credo di aver fatto solo il mio dovere. Sono un prete, non un poliziotto e nemmeno un giudice», scrive sul sito internet della parrocchia don Manieri, che ha celebrato il funerale. «Se un signore mi chiede di celebrare il funerale di un suo congiunto lo celebro, non è scritto da nessuna parte che debba indagare su chi è, personalmente non conoscevo il nome del boss dei Casamonica per me poteva essere il più lontano dei parenti». Il vescovo del settore est di Roma (dove si trova la parrocchia), mons. Marciante, dichiara a Radio Vaticana di non essere stato informato del resto anche il parroco ha ammesso di non aver informato nessuno, spiega che «il funerale non si poteva proibire», ma aggiunge che «se avessimo saputo che dietro questo funerale c era questo spettacolo avremmo suggerito di celebrare le esequie in un modo più discreto». Ed è quello che è già avvenuto in altre situazioni e in contesti più difficili rispetto a Roma, perlomeno sotto l aspetto del controllo del territorio da parte delle organizzazioni mafiose. Nel 2007, per esempio, l allora vescovo di Piazza Armerina, mons. Pennisi, non vietò il funerale al boss gelese Emmanuello, ma negò l uso della chiesa principale e celebrò le esequie in forma strettamente privata nella cappella del cimitero. Il vescovo di Acireale, mons. Raspanti, invece nel 2013, ha emanato un decreto che proibisce in tutta la diocesi i funerali religiosi ai condannati per mafia. Un passaggio decisivo secondo Alessandra Dino, sociologa palermitana, autrice di numerosi saggi sul rapporto fra Chiesa e mafia, fra cui La mafia devota (Laterza): «Non si può più dire non sapevo o non avevo capito, c è una dimensione pubblica che la Chiesa non può ignorare».

6 pagina 6 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 PROVACI ANCORA Atene La prossima settimana sarà insediato, come prevede la procedura costituzionale, il governo elettorale: viene affidato alla presidente della Corte di Cassazione Tsipras: «Realisti e rivoluzionari» Nuova Democrazia tenta un azione di disturbo per allungare i tempi. Anche Lafazanis sfrutterà la consultazione per ritardare la data delle elezioni. Per ora resta quella del 20 settembre Teodoro Andreadis Synghellakis L e consultazioni del presidente della repubblica, Prokopis Pavlopoulos, sono già iniziate. Alexis Tsipras ha rinunciato. Ovviamente, a provare a formare un nuovo governo, per far iniziare, invece, il prima possibile, la campagna elettorale. Il presidente di Nuova Democrazia, tuttavia, Vanghelis Meimarakis, ha scelto di fare l esatto contrario e di tenere l incarico per tutti e tre giorni previsti, sino anche a domenica. Meimarakis sta provando, per quanto gli possa riuscire, a mettere Tsipras in difficoltà, conscio del fatto che la compagine dei conservatori non ha nessuna reale possibilità di vincere le elezioni. Ha incontrato, quindi, Zoì Konsantopoulou, (la presidente del parlamento che ha espresso la sua ferma contrarietà all accordo con i creditori), «per esplorare eventuali vie che portino alla formazione di un nuovo governo, senza dover tornare alle urne». Ha parlato anche con il responsabile del nuovo partito centrista, Il Fiume, Stavros Theodorakis, e domani si incontrerà con i socialisti e il leader della nuova formazione di sinistra, Unità Popolare, di Panajotis Lafazanis. Un azione di disturbo, quindi, priva di reali possibilità i successo, ma finalizzata al tentativo di far guadagnare un po di visibilità a Nuova Democrazia, priva di una leadership carismatica e collegata, nell immaginario collettivo, ad una gestione fallimentare della crisi economica. «Inviterò Tsipras nel mio ufficio e gli chiederò perché, alla fine, non ha seguito la via del voto di fiducia, e cosa intenda fare dopo le eventuali elezioni anticipate», così Meimarakis ai giornalisti. È evidente che anche Lafazanis, sfrutterà l occasione e accetterà l incarico che, secondo quanto prevede la costituzione, gli dovrà essere conferito dal presidente greco. Unità Popolare, infatti, conta venticinque deputati, è il terzo gruppo parlamentare e ha diritto a ricevere l incarico, dal momento che la costituzione greca prevede che possano provare a formare un nuovo governo i leader delle tre principali forze politiche del paese. Con la nascita di Laikì Enotita- Unità Popolare, rimangono fuori dai giochi sia Il Fiume, sia i neonazisti di Alba Dorata, che contano, entrambi, diciassette deputati. Fonti vicine al primo ministro greco, ritengono comunque ancora possibile andare al voto il 20 settembre, con la creazione, entro la prossima settimana, di un governo elettorale, presieduto dalla presidente della Corte di Cassazione. Per quel che riguarda la strategia di Syriza, Alexis Tsipras ha preso parte, ieri, alla riunione della segreteria politica del partito, nel corso della quale ha sottolineato che si deve puntare ad un nuovo, profondo rapporto con la società, basato sulla forza dell ideologia della sinistra radicale, ma senza coltivare volutamente delle illusioni. «Essere rivoluzionari non significa ignorare o negare la realtà, ma aprire nuove strade quando non esistono», ha detto Tsipras. Insiste, cioè, nel voler coniugare realismo ed azione politica di sinistra, per cercare di cambiare gli equilibri in Europa, "dall interno", senza rinunciare alla responsabilità ed alla sfida di governo. E Syriza mantiene i suoi strettissimi legami con Podemos. Il numero due della formazione della sinistra spagnola, Íñigo Errejón, in una conferenza stampa convocata per commentare la decisione del premier greco di andare ad elezioni anticipate, ha ribadito che «Alexis Tsipras ha dato una lezione di coraggio, responsabilità e fiducia al suo popolo», anche se ha definito una «cattiva notizia», Grecia/ L EX MINISTRO DELLE FINANZE CON I RIBELLI DEL PARTITO SOCIALISTA FRANCESE Varoufakis: «Non starò con Syriza, lavoro a una sinistra europea anti-memorandum» Angelo Mastrandrea N el giorno in cui da una costola di Syriza nasce la terza forza parlamentare della Grecia, Yanis Varoufakis se ne va a tessere la sua tela politica in Francia, alla tradizionale festa estiva del Partito socialista a Frangy-en-Bresse. A invitarlo è la sinistra anti-austerità capeggiata dall ex ministro dell Economia Arnauld Montebourg, che vuole fare la guerra all ala liberal del premier Manuel Valls. Una dichiarazione d intenti, forse, che parla a Valls perché Tsipras intenda, ma forse pure alla neonata Unione popolare di Panagiotis Lafazanis, più apertamente antieuropeista. La domanda del giorno è infatti con chi staranno Varoufakis e un altra protagonista dei mesi di governo Syriza: la presidente del Parlamento Zoe Konstantopoulou. Nella lista dei 25 deputati finiti nel nuovo gruppo messo in piedi dalla Piattaforma di sinistra spiccano infatti le loro assenze. Vuol dire che rimarranno dentro Syriza, pur su posizioni contrarie ad Alexis Tsipras? Non proprio. Konstantopoulou è bloccata dal suo ruolo istituzionale, ma difficilmente rimarrà al seguito del premier, con il quale è entrata più volte in rotta di collisione. Diverso il discorso per Varoufakis: l ex ministro delle Finanze non è mai stato vicino alle posizioni degli anti-europeisti e non ha fatto mistero di voler lavorare alla costruzione di una sinistra europea anti-austerità (e non nazionale), come dimostra la la scissione all interno della Coalizione della sinistra radicale ellenica. D altronde, già Pablo Iglesias, nei giorni scorsi, aveva ribadito l appoggio ad Alexis Tsipras, dopo che parte della stampa greca aveva scritto che il trentaseienne politico spagnolo, dopo il compromesso della Grecia con i creditori, avrebbe deciso di togliere dal suo profilo Twitter, una sua foto con il primo ministro greco. La comunanza di intenti ed il forte rapporto con Podemos, sta a confermare la volontà di Syriza di non perdere le caratteristiche di una forza radicale, che continuerà a fare tutto il possibile per combattere il predominio della finanza e l Europa a predominio tedesco. La questione, tuttavia, come fanno notare stretti collaboratori del leader greco è essere capaci di creare- giorno per giorno- le condizioni perché questo possa avvenire realmente, e non voler giocare il ruolo della vittima sacrificale, solo per difendere la propria purezza ideologica. partecipazione al meeting francese. Anche se alla fine le posizioni potrebbero anche convergere, visto quanto Varoufakis ha detto ieri in un intervista pubblicata ieri dal Nouvel Observateur (ma probabilmente rilasciata quando il governo Tsipras era ancora in sella). «Abbiamo tradito la grande maggioranza del popolo greco. Non potrei far parte di un governo e di un partito che chiedono un mandato popolare per applicare l accordo del 13 luglio», ha detto con la consueta chiarezza. Per quel che riguarda il suo impegno politico, invece, l economista greco ha spiegato: «Rimarrò attivo politicamente perché le questioni del debito e dell austerità devono essere pensate al livello europeo. Se non c è un movimento europeo per democratizzare la zona euro, nessun popolo europeo vedrà giorni migliori. Ci rimane da combattere una battaglia fondamentale». Una prospettiva diversa da quella enunciata da Lafazanis. L ex ministro dell Energia, annunciando ieri la scissione da Syriza e la nascita di Unità popolare, ha annunciato esplicitamente che «per sbarazzarci del Memorandum siamo pronti anche ad uscire dall'euro in maniera controllata» e che per loro «non c'è l'inferno fuori dall'eurozona». Poi ha fatto appello al popolo del no («non sarà orfano in queste elezioni») e alle altre forze politiche anti-memorandum, dai comunisti del Kke alla piccola formazione della sinistra antagonista Antarsya, per entrare a far parte del fronte anti-memorandum in costruzione. Un appello già respinto al mittente dai primi e che con ogni probabilità sarà raccolto dai secondi. La Coalizione della sinistra radicale è in subbuglio. Oltre ai 25 deputati finiti in Unità popolare e ai dubbi su Konstantopoulou e Varoufakis, altri quattro parlamentari ieri si sono dichiarati indipendenti (tra questi l ex viceministro Nadia Valavani), mentre l emorragia si diffonde ora agli organi dirigenti del partito e inevitabilmente si allargherà alla base: già ieri si sono dimessi tre esponenti del Comitato centrale in quota Piattaforma di sinistra. I mal di pancia, anche in quella che era la maggioranza di Syriza, sono molti: si imputa a Tsipras il fatto di non aver voluto incontrare gli organi dirigenti di Syriza dopo l accordo di luglio e di aver deciso in autonomia, con un ristretto staff, la strada da seguire. E la decisione di andare alle urne azzera pure il previsto congresso, che però difficilmente sarebbe riuscito a portare indietro le lancette degli orologi. Del resto, era stato lo stesso premier alla fine di luglio a dichiarare esaurito il progetto della Coalizione della sinistra radicale, «pluralista e polifonico», in un intervista a 25 deputati con Unità popolare di Lafazanis: pronti anche a uscire dall euro. Sono la terza forza in Parlamento radio Kokkino, nella quale aveva sostenuto che «Syriza non è fatta per governare» e anticipando così la sua evoluzione in forza di governo. Comunque vada a finire, il risultato che ci consegna questo showdown agostano è la probabile fine del "modello Syriza" come l abbiamo conosciuto finora, un esempio vincente di ricostruzione di una sinistra dal basso (le lotte sociali, le esperienze di mutuo soccorso, il radicamento territoriale) e che riesce a farsi forza delle diversità. Un esperimento costruito negli anni della crisi e guardato con interesse nel resto d Europa, ma che si è sciolto come neve al sole in pochi mesi di governo. Debutta un altra stagione, e siamo solo agli inizi.

7 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 7 PROVACI ANCORA Europa Il documento ufficiale del partito tedesco appoggia «con tutte le forze» i compagni greci. A Madrid si reagisce alle difficoltà con la fiducia ALEXIS TSIPRAS CON IL PRESIDENTE PROKOPIS PAVLOPOULOS MENTRE RASSEGNA LE DIMISSIONI LAPRESSE SINISTRE Ma sia in Germania che in Spagna non mancano voci critiche Linke e Podemos approvano «Alexis ha avuto coraggio» Jacopo Rosatelli «L a Linke in Germania appoggia con tutte le forze Alexis Tsipras nel suo tentativo di ottenere nuovamente la maggioranza per un governo di sinistra». È il passaggio-chiave del comunicato diffuso ieri dai vertici del principale partito di opposizione tedesco. Nessun dubbio: la Linke è al fianco del leader di Syriza. «Solo con un forte governo di sinistra c è la garanzia che si utilizzino gli spazi di manovra all interno del pacchetto del ricatto europeo per far pagare finalmente i ricchi», continua la nota firmata da Bernd Riexinger e Katja Kipping (segretari), e da Gregor Gysi (capogruppo al Bundestag). In cui si evidenzia anche la chance di «lottare contro corruzione ed evasione fiscale, e aprire ulteriori possibilità di sviluppo sociale ed economico del Paese all interno dell Eurozona». Ma non tutto il partito è davvero su questa linea. La mossa di Tsipras ha rianimato un dibattito mai veramente sopito all interno della sinistra tedesca: quello sul futuro dell euro e dell Unione europea. La corrente più radicale è tornata a mettere in discussione la moneta unica: «L euro non funziona, genera sempre maggiori squilibri economici, come mostra in modo drammatico la Grecia», ha dichiarato ieri Sahra Wagenknecht al quotidiano Die Welt. La carismatica Wagenknecht ha dietro di sé un considerevole seguito e da ottobre sostituirà Gysi al vertice del gruppo parlamentare. Non da sola, ma insieme al «moderato» Dietmar Bartsch: una diarchia che si preannuncia non priva di turbolenze. «A sinistra dobbiamo cominciare Andrea Fabozzi S tefano Fassina, tra Tsipras che riporta la Grecia alle elezioni e Lafazanis che lo contesta guidando la scissione da Syriza, lei con chi sta? Non ha senso scegliere, hanno perso entrambi. La decisione di tornare alle urne è un aggravamento della sconfitta del 13 luglio, quando Tsipras ha dovuto sottoscrivere il nuovo memorandum «sotto ricatto», come ha detto lui stesso. Le elezioni possono portargli qualche vantaggio in termini di normalizzazione del gruppo parlamentare di Syriza, ma il risultato finale sarà un indebolimento del partito e quindi della sua leadership. Credo lo sappia anche Tsipras, la scelta di anticipare le urne in fondo testimonia la consapevolezza delle conseguenze negative del memorandum. Non crede che con un nuovo mandato potrà guadagnare margini di interpretazione di quell accordo? Magari strapperà la rinegoziazione del debito che adesso chiede anche il Fmi? Il debito sarà ristrutturato comunque perché non è sostenibile, ma nel breve e medio periodo non avrà effetti. L ulteriore deregolazione del mercato del lavoro, le privatizzazioni - cioè la svendita degli asset più profittevoli alle imprese pubbliche tedesche - sono già stati definiti, le condizioni del paese possono solo peggiorare. Promettere un interpretazione «sociale» del memorandum è propaganda. Quando ti sei impegnato a fare un avanzo primario di 3,5 punti percentuali e tagli pesanti già da quest anno puoi dire addio al sostegno al reddito. Ma che alternativa aveva Tsipras? Poteva almeno evitare di aggravare la rottura nel partito e provare a ricomporre Syriza attraverso un riconoscimento delle ragioni reciproche. Avrà visto che Varoufakis non segue la minoranza. Sì, ma queste sono due squadre che si dividono e si mettono a gareggiare quando hanno già perso entrambe. Per quello che possiamo, bisognerebbe aiutarli a trovare una ricomposizione. Altrimenti andrà disperso il patrimonio sociale faticosamente costruito da Syriza in questi anni. Un partito che nove mesi fa pareva un esempio per la sinistra europea e che adesso si frantuma. Hanno combattuto una battaglia disperata e sono stati lasciati da soli. La famiglia socialista europea si è allineata alle forze più conservatrici, la sconfitta era inevitabile. un confronto vero su quali spazi per una politica antiliberista esistano realmente nell ambito dell euro», incalza la leader dei «radicali» della Linke. La sua conclusione è implicita ma evidente: non esiste nessuno spazio. Ed è quello che a chiare lettere scrive, in un intervento apparso ieri sul sito del giornale del partito (Neues Deutschland), Ralf Krämer, portavoce della corrente che fa riferimento a Wagenknecht (Sozialistische Linke). Tesi analoghe a quelle sostenute dall economista Martin Höppner, fautore del ritorno allo Sme (il sistema monetario europeo vigente fino all introduzione dell euro), ma soprattutto dal «padre nobile» Oskar Lafontaine. Il portavoce della Sozialistische Linke, in realtà, si spinge oltre: «Bisogna cominciare a delegittimare l Ue in quanto tale». Senza paura di essere confusi con la destra, perché «le nostre critiche hanno orientamenti valoriali e obiettivi politici radicalmente differenti». Fassina/ «CON IL MEMORANDUM PUÒ SOLO ANDARE PEGGIO. ANCHE PER L ITALIA» «A questo punto elezioni inutili, una gara tra due parti sconfitte» È un colpo per tutta la sinistra, europea e anche italiana che già si divide sulla scelta di Tsipras. Podemos in Spagna e Sel in Italia per esempio la approvano. Non sono d accordo. Potrei esserlo solo se pensassi che con il memorandum la Grecia potrà riprendersi un po, invece sono convinto del contrario. A breve si troverà a fare i conti con un economia più depressa. E Syriza uscirà dalle urne più debole. Riconoscerà però il valore democratico del richiamo agli elettori. In Italia abbiamo attraversato una crisi non troppo diversa tra governi tecnici e larghe intese, invocando invano le elezioni. Lì in nove mesi due elezioni politiche e un referendum. Ma né il programma con il quale Tsipras ha vinto a gennaio né il risultato del referendum sono stati rispettati. Adesso le elezioni sono inutili, un esercizio virtuale, una ginnastica senza scopo. Chiunque vinca, il programma del prossimo governo è scritto fino alle virgole nel memorandum. I margini di manovra sono ridottissimi. A breve, con o senza ristrutturazione del debito, il paese si troverà con più disoccupazione e con i pochi pezzi di apparato produttivo che restano ceduti alla Germania. Finale triste che aggrava le responsabilità storiche dei socialisti europei, e tra questi del nostro governo. Sarà almeno servito a qualcosa? Renzi otterrà da Berlino quei margini di flessibilità di cui ha bisogno per chiudere la legge di stabilità? Renzi dopo aver dimostrato piena subalternità andrà a chiedere lo sconto per l Italia, e forse uno sconticino in termini di qualche punto percentuale di deficit lo otterrà. Ma i nodi di fondo restano tutti, con queste politiche l Italia assieme alle altre periferie dell eurozona è condannata alla stagnazione e alla disoccupazione. Prima o poi il presidente del Consiglio pagherà un prezzo politico per questo. PABLO IGLESIAS LAPRESSE «Ci sono spazi per una politica antiliberista nell ambito dell euro?», si chiede la carismatica Sahra Wagenknecht Sicuramente la discussione si intensificherà. Alle parole degli esponenti della sinistra interna hanno risposto già ieri a stretto giro sia Gysi («No a un ritorno ai vecchi stati-nazione»), sia il co-segretario Riexinger, che pure è vicino alla Sozialistische Linke: «È vero che in questo momento l euro danneggia i Paesi più deboli, ma noi lottiamo per una politica diversa, non per la fine della moneta unica». Se in Germania aumentassero salari e investimenti, e diminuisse l export, verrebbero meno gli effetti negativi dell euro: questo il ragionamento di Riexinger. La vicenda greca è ovviamente seguita con attenzione in Spagna, il paese che può davvero diventare il granello di sabbia nell ingranaggio dell austerità europea. Nella penisola iberica sanno che colpire Tsipras serviva ad Angela Merkel per mandare un messaggio in vista del voto di autunno: «Rassegnatevi, non c è alternativa all austerità». Non a caso, ora il Partido popular del premier Mariano Rajoy prova ad approfittare delle difficoltà della sinistra greca: «Il fallimento di Tsipras è il modello di Podemos», attaccava ieri il vicesegretario Pablo Casado. La formazione di Pablo Iglesias non si fa mettere all angolo e reagisce senza rinnegare il legame con Syriza: «Restituendo la parola agli elettori Tsipras ha dato una lezione di coraggio, responsabilità e di fiducia nel suo popolo» ha dichiarato ieri in un attesa conferenza stampa il numero due Íñigo Errejón. Il gruppo dirigente di Podemos sostiene dunque la scelta del leader ellenico, evidenziando «la crescente fiducia» di cui gode in patria, e sottolineando che le inevitabili difficoltà nel fare fronte ai potenti d Europa non devono far perdere di vista il dato principale: «Lo scontro in atto è fra l élite finanziaria e la Grecia, e noi stiamo con la Grecia». Come nella Linke, anche in Podemos ci sono però voci discordanti. Oltre al co-fondatore e «coscienza critica» del partito, Juan Carlos Monedero, a mostrare poca comprensione verso il leader greco è la segretaria andalusa Teresa Rodríguez, punto di riferimento dell opposizione interna (di sinistra): «Mi terrorizza l idea che a Podemos possano tremare le gambe com è accaduto a Tsipras». Affermazioni poi rettificate sul suo profilo facebook: «Quel che mi terrorizza è che la Troika diventi un sicario al soldo delle banche». BRUXELLES Commissione ed Eurogruppo senza sorprese BRUXELLES L a Commissione Europea «non si preoccupa» delle conseguenze che le elezioni anticipate in Grecia possano avere nei confronti del terzo bailout e del pacchetto di «riforme» contenuto nel terzo Memorandum. A Bruxelles la portavoce della Commissione Ue, Annika Breidthardt, fa il punto così: «Le riforme sono state decise dal governo greco e votate dal parlamento. Vanno realizzate a prescindere dalle elezioni. La prossima ondata di importanti riforme è prevista ad ottobre e ovviamente ne monitoreremo da vicino la realizzazione». Tutto sotto controllo, insomma. Tanto più che arriva anche la conferma ufficiale della serie di contatti telefonici del premier e del presidente greco, Alexis Tsipras e Prokopis Pavlopoulos, al presidente della commissione europea Jean Claude Juncker. Comunicazioni in tempo reale, dunque, fra Atene e Bruxelles nelle ore che hanno prodotto le dimissioni del leader di Syriza che spianano la strada alle elezioni anticipate, fissate al 20 settembre. Si gioca in prospettiva sul piano di salvataggio da 86 miliardi di euro in tre anni: «La Commissione rispetta la decisione del premier per le elezioni anticipate. Non ci sorprende: ce lo aspettavamo» afferma la portavoce. Il presidente dell'eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, alla televisione olandese Nos ha dichiarato: «È cruciale che la Grecia rispetti gli impegni presi verso l'eurozona. Ricordo che c'era ampio sostegno nel parlamento greco per il nuovo programma e il pacchetto di riforme. Quindi spero che le elezioni porteranno a ulteriore sostegno». Del resto, Dijsselbloem quand era intervenuto al dibattito del parlamento olandese sugli aiuti ad Atene aveva sottolineato: «Sebbene i governi europei siano opposti a qualsiasi taglio del debito greco, mentre l Fmi ritiene che senza questo passo il debito greco non sia sostenibile, nondimeno sarà possibile trovare un accordo sottoforma o di minori tassi di interesse o di tempi più lunghi per ripagare i prestiti. L'Eurogruppo è convinto che il debito greco sarà sostenibile per molti anni dopo il bailout, almeno fino al L'Fmi è più pessimista di noi: il loro scenario peggiore è più negativo del nostro, ma dobbiamo trovare un accordo circa l'approccio da adottare». Conciliante, infine, la posizione dal presidente dell'euroworking Group, Thomas Wieser. Il numero uno del gruppo di lavoro, che prepara le riunioni dell'eurogruppo con il delicato compito di sbrogliare le questioni tecniche, in un'intervista alla tv austriaca Orf ritiene che le elezioni anticipate in Grecia siano «un passo atteso e per molti auspicato per avere una struttura più chiara nel governo greco». A ottobre, conferma quindi, ci sarà un summit «su un possibile alleggerimento del debito» e dopo le elezioni greche «speriamo in ulteriori progressi del programma». Dunque, nessuno a Bruxelles molla la presa sui conti di Atene come sui provvedimenti contenuti nei Memorandum.

8 pagina 8 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 INTERNAZIONALE La strategia del «sultano» Erdogan fa strage di kurdi con il pretesto delle operazioni contro il Califfato. Ma l Hdp punta a superare il 13% Geraldina Colotti U n raccapricciante fatto di cronaca sta movimentando le acque già abbastanza agitate della politica venezuelana. Il 7 agosto, a Caracas, è stato trovato il cadavere fatto a pezzi di una donna di 53 anni, Liana Hergueta. Un attivista di opposizione, che aveva partecipato alle proteste contro il governo Maduro, scoppiate l anno scorso. La donna aveva denunciato in twitter di essere stata truffata da un «dirigente studentesco», risultato essere Carlos Trejo. All origine, una forte transazione di dollari al mercato nero: per un milione e bolivar, Hergueta avrebbe dovuto riscuotere dollari; ma l uomo era scomparso col denaro senza lasciare tracce. Qualche giorno dopo l omicidio, la polizia arresta gli esecutori materiali del delitto: José Pérez Venta e Samuel Angulo. Confessano di aver agito su commissione, per conto di Trejo. Un delitto maturato nelle cerchie dell opposizione oltranzista, a cui Venta e soci erano vicini ai più alti livelli, come risulta da immagini pubbliche e interviste. In un video diffuso dal governo, Pérez (che ha militato anche nell organizzazione nazista Javu) conferma i finanziamenti illeciti alle attività cospirative dell estrema destra e la presenza di paramilitari e di un ex generale nell organizzazione delle proteste violente del 2014 e nei piani destabilizzanti ancora in corso. Da Miami, i media di opposizione suggeriscono che gli assassini fossero infiltrati, o mitomani, ma quel che è certo - oltre al barbaro omicidio della donna - è che, per famiglia e contesto, tutti risultano ben inseriti nel lato opposto del chavismo. L episodio rende ancor più incandescente il clima politico in vista delle legislative del 6 dicembre. Un appuntamento a cui il Venezuela sta arrivando stremato dal sabotaggio dei grandi gruppi privati che complica le disfunzioni interne e aumenta la corruzione. In questi giorni, il chavismo discute un intervista concessa al Newsweek dal TURCHIA Nelle operazioni anti-pkk 771 morti cui si aggiungono i 55 tra polizia e militari Il 1 novembre urne riaperte Giuseppe Acconcia I n Turchia è strage di kurdi. Secondo la stampa locale, in meno di un mese di operazioni ufficialmente anti-isis e Pkk, ma soprattutto rivolte ad azzerare il partito di Ocalan, sarebbero morti 771 tra civili e militanti del partito dei lavoratori kurdi. E 55 sono invece i morti tra le forze di sicurezza turche. Le operazioni anti-pkk sono iniziate il 24 luglio in seguito all annuncio di un accordo tra Ankara e Washington per l uso delle basi nel Kurdistan turco contro lo Stato islamico in Siria e la formazione di safe-zone turche in territorio siriano. Pochi giorni prima un attentato a Suruç, al confine tra Turchia e Siria, aveva causato la morte di 33 giovani socialisti che avrebbero dovuto portare aiuti per la ricostruzione di Kobane (Rojava). L ultima vittima degli scontri è Ali Akpinar, 19 anni, attaccato da uomini mascherati nella sua abitazione di Mardin. Akpinar era già rimasto ferito in un esplosione nel quartiere di Artuklu. Prima di lui, a Nusaybin (altro quartiere dell antica città del Kurdistan turco) tre civili sono rimasti feriti per una bomba collocata su un ponte dai miliziani del Pkk. A Istanbul, dopo gli attacchi al consolato Usa e al palazzo Dolmabahce, due uomini armati hanno attaccato le stazioni di polizia di Esenyurt. A Sirnak un uomo ha aperto il fuoco contro la polizia di Uludere. Mentre a Karacali i poliziotti hanno rinvenuto due ordigni inesplosi. Nella provincia di Hakkari, cinque membri del Pkk sono stati uccisi dalla polizia nel quartiere di Yuksekova. Secondo le autorità turche, sono 854 i militanti Pkk ad essersi consegnati alla polizia, rinunciando alla lotta armata, da marzo. Il popolo kurdo continua la sua resistenza organizzandosi in comitati popolari e bloccando le strade. Da Amed a Sirnak, da Gazi a Silopi, da Hakkari a Cizre fino a Nusaybin, assemblee popolari locali hanno annunciato di non riconoscere più le istituzioni statali, dichiarando che si autogestiranno e si auto-difenderanno. Da sei giorni sono in sciopero della fame i prigionieri politici di Pkk e del partito kurdo iraniano Pjak, nelle carceri turche. Il premier in pectore Ahmet Davutoglu ha ripetuto che non è in corso un operazione contro i kurdi, ma contro il partito di Ocalan. Ovviamente popolo kurdo e Pkk Venezuela / I DUE ESECUTORI CONNESSI CON L OPPOSIZIONE OLTRANZISTA Donna truffata e fatta a pezzi Un delitto nel cerchio di destra I DUE GIOVANI INCRIMINATI DELLA MORTE DI LIANA HERGUETA ERDOGAN HA DECISO: ELEZIONI ANTICIPATE PER LA TURCHIA SENZA GOVERNO /LAPRESSE colonnello dell esercito José Martín Raga, di stanza nel Tachira, ai confini della Colombia. Raga, che ribadisce la sua «fede nel socialismo come unico progetto di emancipazione dei popoli», denuncia sì la«evidente guerra economica», ma anche complicità e inadempienze nel contrabbando e nella crisi del paese. Intanto, Maduro ha annunciato una nuova chiusura di 72 ore della frontiera con la Colombia, dove prospera il miliardario traffico di prodotti e dollari. La decisione è intervenuta dopo un grave attacco di paramilitari colombiani a una pattuglia che inseguiva bande di bachaqueros, trafficanti che svuotano negozi e catene sussidiate dal governo per rivendere i prodotti a prezzi stellari, dentro e fuori il paese: così chiamati dal nome di una formica famelica dal grosso didietro. Per beffare i controlli, i trafficanti scavano veri e propri depositi nel sottosuolo in cui custodiscono benzina e prodotti destinati al mercato nero. Molti vengono scoperti grazie alla popolazione (consigli operai o di quartiere) cui il governo fa ripetutamente appello. L azione delle destre, però, interviene sia dall alto che dal basso. Mentre le grandi imprese inquinano e manovrano il mercato e la distribuzione dei prodotti, provocandone ad arte la scarsità, agitatori e paramilitari cercano di provocare saccheggi, anticipati (spesso a sproposito) dai grandi media privati. L opposizione evoca una situazione simile alla rivolta del Caracazo. Seppur messa a dura prova, la popolazione è però in maggioranza consapevole delle cause che producono code e caos. I meno giovani ricordano la situazione che determinò, nel 1989, la rivolta del Caracazo. Allora, a fronte delle misure economiche neoliberiste insopportabili per i ceti popolari, vennero presi d assalto i negozi. Il governo di Carlos Andrés Pèrez (di centrosinistra) dette ordine all esercito di sparare sulla folla provocando morti, poi in gran parte sepolti nelle fosse comuni. Oggi, dopo 15 anni di governo socialista, la situazione è incomparabile. Nel 1989, il 47,5% della popolazione viveva sotto la soglia di sussistenza ed era obbligata a mangiare scatolette per cani per sopravvivere, come raccontava la stampa dell epoca. Oggi, dopo aumenti decisi due volte all anno (per un totale di 29 dal 1999), il salario minimo (sommando i sussidi), arriva a bolivar, il più alto dell America Latina. La povertà estrema oggi interessa il 5% della popolazione. A maggio 2015, si è registrato un tasso di disoccupazione del 6,6%, il più basso dal Progressi ottenuti con una decisa ridistribuzione della rendita petrolifera e con un maggior controllo dello stato sull economia. Una «rivoluzione» socialista sui generis, che ha puntato sull inclusione e la dialettica democratica e non sull espulsione o la messa fuorilegge delle classi dominanti: anche in Venezuela sono ben decise a riprendersi la torta. In questa occasione, i vertici di Fedecamara (la Confindustria locale) sono infatti tornati a proporsi come «salvatori della patria», a condizione che il governo accetti di rimettere indietro l orologio della storia: con un pacchetto di misure economiche simili a quello imposto da Andrés Pérez ai tempi del Caracazo. non sono sovrapponibili ed è nell interesse del partito di Erdogan motivare i nazionalisti kurdi ad abbandonare il partito democratico del Popolo (Hdp) in vista delle elezioni anticipate. Il voto deve tenersi entro il 22 novembre, quando scade il termine prefissato dalla Costituzione in seguito alla remissione del mandato di Davutoglu nelle mani del presidente. E così la data stabilita per le elezioni è il 1 novembre. Tutti i colloqui per la formazione di governi di minoranza, di scopo o di coalizione sono falliti per la completa indisponibilità di Akp (che nelle urne del 7 giugno ha ottenuto il 40%) di raggiungere un compromesso con il secondo partito: i kemalisti di Kilicdaroglu. Si andrà al voto con il governo ad interim di Davutoglu (in cui potrebbero anche esserci ministri di Hdp). Questo ricorso ad elezioni anticipate suona come strategia consolidata. Continui ritorni alle urne servono per marginalizzare e disattivare i movimenti. Questa è la strategia di Erdogan nei confronti della sinistra filo-kurda di Demirtas. Ma Hdp non si fa intimidire e punta a fare man bassa di voti. Dal quartier generale del partito si spera che nel voto di novembre Hdp possa superare il 13% (e addirittura puntare al 20% dei consensi). In attesa del voto, il governo ha chiesto al parlamento l estensione della campagna in Siria e in Iraq, prima che si formi il nuovo governo che potrebbe ostacolare il provvedimento. Mauro Ravarino R icercato dall Interpol, l avvocato algerino Rachid Mesli è stato arrestato dalla polizia italiana al traforo del Gran San Bernardo, in Valle d Aosta. Terrorista per il suo Paese d origine è, invece, un attivista per i diritti umani dei popoli arabi. Su di lui pende un mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità di Algeri. Nel 1996 Mesli fu incarcerato YEMEN RAID SAUDITI SU TAIZ ALMENO 50 MORTI La città di Taiz, roccaforte a nord delle milizie sciite Houthi, rischia di essere rasa al suolo dai continui raid aerei dell Arabia Saudita, iniziati a marzo sullo Yemen e che in queste ore hanno provocato almeno una cinquantina di morti. La conquista di Taiz è strategica per i lealisti del presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi, mandato in esilio in Arabia Saudita dai combattenti Houthi, sponsorizzati dall Iran e combattuti da Ryad. Ma sacche di resistenza Houthi continuano a combattere nei sobborghi orientali della città ormai senza luce elettrica. A Sud, la città portuale di Aden è già caduta in mano ai lealisti di Hadi il mese scorso. Gli Houthi però hanno ancora in mano la capitale Sanaa. COREE PYONGYANG MOBILITA LE TRUPPE Dopo lo scambio di colpi di artiglieria tra Nord e Sud, il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha schierato sul piede di guerra le sue truppe alla frontiera con Seul. La Corea del Sud ha replicato intimando a Pyongyang di astenersi da ogni «azione avventata» e avvertendo che come è già successo due giorni fa i soldati sudcoreani sono pronti a rispondere militarmente. LIBIA NUOVI VIDEO DI TORTURE IN CARCERE DI SAADI GHEDDAFI Nuovi video mostrano funzionari della sicurezza di Tripoli che minacciano di torturare Saadi Gheddafi, terzo figlio dell'ex Colonnello, detenuto in un carcere della capitale libica, se si rifiuta di fornire informazioni durante un interrogatorio. Le nuove immagini sono state pubblicate dal network panarabo al Arabiya. SIRIA DISTRUTTO MONASTERO IL CALIFFATO RIVENDICA La propaganda dello Stato islamico rivendica la distruzione con bulldozer del monastero cattolico di Sant Elia nei pressi del villaggio di Qaryatayn, una settantina di chilometri dalla città di Homs. Le foto propagandistiche mostrano ruspe in azione e l edificio medievale, dove fino al maggio scorso padre Jack Murad era priore, distrutto. Ma negli ultimi giorni il villaggio e l intera zona è stata bersagliata da decine di bombardamenti aerei turchi. Padre Murad, che in passato ospitava sfollati nel monastero, è stato rapito insieme al diacono Botros Hanna e di lui, come del suo amico padre Paolo Dall Oglio, non si ha più traccia. Fonti siriane all estero sostengono che l Is ha deportato da lì a Raqqa un centinaio di civili, tra cui decine di cristiani. AOSTA Doganieri ligi all Interpol, Amnesty protesta Legale algerino arrestato L attivista Rachid Mesli, ricercato per terrorismo da Algeri, vive rifugiato in Svizzera da anni per tre anni con l accusa di aver «supportato il terrorismo» e nel 2000 è fuggito con la moglie e i tre figli, ottenendo asilo politico in Svizzera. Vive, infatti, a Ginevra, dove oltre che membro della sezione elvetica di Amnesty International, che si è subito mossa per la sua scarcerazione, nel 2004 è stato tra i co-fondatori di Alkarama, che combatte le violazione dei diritti umani nel mondo arabo. In Valle d Aosta Mesli avrebbe dovuto trascorrere un periodo di vacanza con moglie e figlio quattordicenne. Il suo arresto risale al primo pomeriggio di mercoledì 19 agosto. La polizia di frontiera, a seguito di un normale controllo dei documenti ha dato esecuzione al mandato d arresto Interpol. L attivista è detenuto nella casa circondariale di Brissogne, ad Aosta. Ora toccherà alla Corte d Appello di Torino pronunciarsi sulla richiesta di estradizione. Deve decidere se liberarlo o disporre una misura cautelare nell attesa di una eventuale estradizione. Come avvocato Mesli ha difeso in Algeria i capi storici del Fronte islamico di salvezza. Il mandato di cattura internazionale riguarda una condanna del 6 aprile del 2002 a 20 anni di prigione per «appartenenza a un gruppo terroristico». Sarebbe ritenuto colpevole di essere stato in contatto con «terroristi in Algeria» e di aver fatto parte di un «gruppo terroristico che operava al di fuori» del Paese nordafricano. «Le accuse contro Rachid sono ridicole», dichiara Mourad Dhina, direttore esecutivo di Alkarama. «Rachid Mesli è un difensore dei diritti umani, rifugiato politico in Svizzera e cittadino con passaporto francese. Abbiamo fiducia che la Corte d Appello di Torino valuterà con estrema attenzione la situazione», ha concluso Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

9 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 9 PALESTINA SOLIDARIETÀ Tonnellate di aiuti da mezza Europa per Music for peace Michele Giorgio RAMALLAH T ra tentazioni autoritarie e un presunto desiderio di farsi da parte, l 80enne presidente Abu Mazen intenderebbe confermare dopo l estate due appuntamenti che fino a qualche anno fa rappresentavano scadenze fondamentali per la politica interna palestinese: a settembre il Consiglio Nazionale Palestinese (Cnp) - il parlamento dei palestinesi, nei Territori occupati e in esilio - e a novembre il settimo Congresso del suo partito, Fatah. L idea sarebbe di far scorrere sangue fresco nelle arterie indurite dell Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), del suo Comitato esecutivo e anche in quelle di Fatah, per avviare nuove politiche dopo quelle fallimentari degli ultimi 20 anni segnate da negoziati inutili e intermittenti con Israele. Ma anche per contrastare meglio la crescita del movimento islamico Hamas che già controlla Gaza e che, secondo un opinione diffusa, sarebbe il partito di maggioranza anche in Cisgiordania diversamente da ciò che indicano i sondaggi. Abu Mazen negli ultimi anni, di pari passo all impossibilità di trovare qualche tipo di intesa con il premier israeliano Netanyahu, ha irrigidito la sua politica interna, finendo per assumere un atteggiamento autoritario verso avversari dissidenti. Dopo il conflitto con l ex uomo forte di Fatah a Gaza, Mohammed Dahlan, espulso da Fatah ma mai definitivamente sconfitto (resta influente in Cisgiordania e a Gaza), Abu Mazen è andato allo scontro aperto con l ex premier e un tempo suo alleato Salam Fayad accusato di progettare un «golpe» e più di recente ha rotto con Yasser Abed Rabbo, portavoce dell Olp durante la prima Intifada e uno degli esponenti più noti negli anni successivi alla firma degli Accordi di Oslo del Abed Rabbo, accusato di essersi avvicinato a Mohammed Dahlan, prima si è scoperto «dimissionato» dall incarico di segretario Vent anni dopo gli accordi di Oslo occorre una svolta. E non basta l autoritarismo ABU MAZEN, 80 ANNI, MEDITA DI RINNOVARE L OLP E IL PARTITO IN ALTO, IL MURO DI ISRAELE LA PRESSE DOPPIA SCADENZA A settembre il consiglio nazionale e due mesi dopo il congresso di Fatah Abu Mazen si prepara a lasciare campo libero del Comitato esecutivo Olp e poi si è visto sequestrare i fondi della sua ong, Palestinian Peace Coalition, fondata nel 2003 con l appoggio dell allora presidente Yasser Arafat. Due mesi fa furono confiscati i fondi (10 milioni di dollari) di «Future of Palestine», ong guidata da Salam Fayyad. Da un lato l atteggiamento di Abu Mazen gode dell appoggio della maggioranza di Fatah e di un numero significativo di palestinesi, che non hanno mai avuto particolare stima e simpatia per Abed Rabbo, Dahlan, Fayyad. Dall altro, serve a mascherare la crisi della «linea» che per anni ha creduto di realizzare i diritti dei palestinesi dando fiducia alla mediazione Usa che non sono e mai saranno arbitri neutrali nella questione israelo-palestinese. Ed è utile anche per rimuovere i riflettori puntati sulla cooperazione di sicurezza tra l intelligence palestinese e quella israeliana, largamente contestata nei Territori occupati. Senza dimenticare il fallimento di Abu Mazen nella vicenda di Gaza. La riconciliazione con Hamas non è mai avvenuta, anche per le gravi responsabilità del presidente palestinese. La Striscia resta sotto il pieno controllo del movimento islamico, deciso a tenersi stretta la minuscola Gaza, che cerca ora di trovare un accordo separato con il «nemico israeliano», a svantaggio dell unità territoriale palestinese. Stando a quanto riferiva un paio di giorni fa Hani al Masri sul quotidiano palestinese al Ayyam, Abu Mazen starebbe pensando di dimettersi e potrebbe annunciare una decisione definitiva durante la riunione allargata di 300 rappresentanti politici che si terrà dopo la sessione del Consiglio nazionale palestinese. «È diritto del presidente pensare di passare il suo mandato» ha scritto Masri, «perché conservarlo significa sostenere la farsa del cosiddetto processo di pace e la situazione attuale che sta ulteriormente emarginando la causa palestinese e approfondendo l occupazione e gli insediamenti colonici. Il suo ritiro dalla carica dopo aver rinnovato la legittimità palestinese, attraverso il Cnp e il congresso di Fatah, può essere la soluzione più appropriata». Tuttavia è legittimo domandarsi, come fa un altro politologo palestinese molto noto, Talal Akwal, che senso ha parlare di rinnovamento delle istituzioni e di un nuovo presidente, quando forze politiche di massa come Hamas sono fuori dall Olp e non è FRA SIRIA E IRAN Lo scenario e l ipotesi di una tregua Hamas conferma i negoziati E Tel Aviv nutre la «sindrome» Chiara Cruciati I eri Khaled Meshaal, leader del politburo di Hamas, ha confermato i negoziati in corso con Israele per una tregua di lungo periodo. Una dichiarazione che smentisce quanto ribadito pochi giorni fa dal primo ministro israeliano: Tel Aviv «non tiene alcun meeting con Hamas né direttamente né tramite intermediari». Se Hamas dovesse finire fuori dai giochi dell aperto conflitto con Israele, con l Iran che gode di nuova legittimazione internazionale in seguito all accordo di Vienna, Tel Aviv rischia di restare senza nemici contro i quali intessere le fitte trame della propaganda di «Stato sotto assedio». Ed ecco che a tornare in auge è la Siria. Non certo da sola: negli ultimi due giorni il fuoco incrociato al confine israelo-siriano ha rimesso a ribollire nel gran calderone tutti gli storici avversari di Tel Aviv, da Bashar al-assad ai gruppi armati palestinesi fino a, com è ovvio, Teheran. Giovedì missili lanciati dal sud della Siria sono caduti in Galilea. Immediata la risposta: l esercito israeliano giovedì sera e di nuovo ieri ha aperto il fuoco almeno 15 volte con artiglieria pesante e droni contro la zona di Quneitra, valico tra i due paesi. Diverse le versioni dei fatti: secondo la tv di stato siriana, un raid ha colpito un auto civile vicino ad un mercato nel villaggio di Kom, uccidendo 5 persone. L Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione anti-assad, ha invece identificato le vittime come membri delle Forze di difesa nazionale, vicine a Damasco. E secondo Tel Aviv? Il raid ha avuto come target «la cellula terroristica responsabile del lancio di razzi», ovvero 5 palestinesi della Jihad Islamica guidata e finanziata (secondo Israele) dall Iran: l attacco sarebbe stato orchestrato da Saed Izzadhi, capo dell unità palestinese delle Guardie Rivoluzionarie di prevista una iniziativa democratica in cui i diritti di tutte le parti siano riconosciuti. Manca un «contratto sociale» fondato sui principi che mettono insieme tutti i palestinesi. Il timore di tanti è che la convocazione frettolosa del Cnp serva in realtà solo ad aprire la strada al successore di Abu Mazen, gradito a Usa e Europa ma non riconosciuto da tutti i palestinesi, laici e islamisti. Come Majed Faraj, il capo dell intelligence dell Anp indicato da più parti come colui che prenderà il posto di Abu Mazen. Teheran. La Jihad Islamica si è affrettata a negare: «Resistiamo solo su terra palestinese», ha detto Muhammad al-hind, tra i leader a Gaza, seguito a ruota dal portavoce Shihab che accusa Israele di «rimescolare le carte» per giustificare una nuova offensiva. Da parte israeliana il vortice di accuse diverse ha generato non poca confusione. Alla fine, per Tel Aviv la colpa è di tutto il fronte anti-israele. Perché, ribadisce il governo israeliano, anche «la Siria è responsabile e ne pagherà il prezzo». A poco servono le dichiarazioni «pacifiche» del bellicoso Netanyahu («Non abbiamo alcuna intenzione di avviare un escalation»): non è la prima volta che Israele prende parte direttamente e indirettamente alla guerra civile siriana, o con attacchi mirati a combattenti di Hezbollah schierati al fianco di Assad o sostenendo i ribelli a sud, curandoli nei propri ospedali e fornendo supporto logistico. La possibilità di un maggiore coinvolgimento in Siria troverebbe conferma nella visita di pochi giorni fa del premier Netanyahu e del ministro della Difesa Ya alon alla frontiera nord e nelle voci che girano negli ambienti governativi sull esistenza di un piano militare per un operazione in Siria nel caso di escalation. Israele non può restare scoperto. Non può restare senza nemici. E vista la totale assenza di minacce da parte di gruppi islamisti come Isis e al-nusra, il timore che si apra un fronte al confine nord non è campato in aria. Soprattutto in vista del voto del Congresso Usa, il prossimo mese, sull accordo tra 5+1 e Repubblica degli ayatollah: il sempre spendibile fantasma della minaccia iraniana potrebbe favorire la lobby israeliana tra i parlamentari Usa, divisi sul sì e il no al negoziato fortemente voluto dal presidente Barack Obama. Music for Peace ha rifatto ingresso all interno della Striscia di Gaza. Il 22 luglio Stefano Rebora e Claudia d Intino hanno lasciato Genova per raggiungere quella striscia di terra, quella prigione a cielo aperto. Perifrasi utilizzata e tritata e ritritata «prigione a cielo aperto», ma purtroppo non vi sono altre descrizione per questa parte di Palestina. Ancora Music for Peace non si ferma alle varie difficoltà per l ingresso, dello staff e soprattutto dei materiali. Dal 2009 inesorabile ogni giugno o luglio il convoglio arriva puntuale. Le tonnellate consegnate in questi anni sono circa 800. Il modus operandi è semplice, diretto e concreto. Durante l anno si raccolgono i beni di cui c è bisogno: a rispondere all emergenza è tutta Italia, e poi Germania, Inghilterra, Spagna, Francia. La solidarietà non ha timore della distanza. Quando si parla del popolo palestinese la sensibilità delle persone è ancor maggiore, non si comprende per l appunto l assenza dei Governi. Music for Peace ha conosciuto Gaza in varie fasi, post devastazioni, brevi attimi di ricostruzioni e poi ancora distruzione, odio e guerra. L attaccamento a questo Paese è ben saldo. La conoscenza del territorio approfondita. Anche quest anno le distribuzioni sono avvenute da Nord a Sud. Nessuna zona è tralasciata: Rafah, Al Shoka, Khan Younis, Dair Ballah, Gaza City, Shijaia, Jabalya, Betanun Campi profughi, macerie, povertà, ma, nonostante tutto, anche sorrisi e voglia di pace. «Durante le missioni in Gaza con un mano ho dato, ma con l altra ho ricevuto. Mai sono andato via senza un aver messo nel cuore e nella mente un insegnamento e un valore aggiunto. Il popolo martoriato ha sempre sete di pace e di libertà». Queste le parole di Stefano Rebora al termine ormai della missione. Sono stati consegnati pacchi alimentari a famiglie dar dar, cioè casa per casa, o nella maggior parte dei casi che cosa ne è rimasto dopo il lungo viaggio; i kit didattici donati, e poi 30 tonnellate di medicinali e svariate attrezzature mediche consegnate all Al Awda, struttura sanitaria pubblica. Il lungo viaggio nella terra degli ulivi non sancisce però la fine dell attività umanitaria di Music for Peace. Il 14 agosto i primi due volontari hanno raggiunto Valentina Gallo e Simone Parodi in Turchia. Da qui è iniziato il secondo viaggio. L importanza anche di questo intervento è molto profonda. La popolazione kurda attendeva da settimane il convoglio. Anche questo viaggio non è stato semplice, la situazione politica non lascia presagire nulla di buono, ma il messaggio di pace non deve fermarsi. Le centinaia di migliaia di cittadini che hanno contribuito donando i materiali tendono le mani alle popolazioni che ormai da anni subiscono abusi e ingiustizie. Genocidio e persecuzione. E di questo che si tratta. I volontari di Music for Peace conoscono bene queste situazioni. Per questo 5 container carichi di alimenti e medicinali, 120 le tonnellate per 1 milione di euro di valore, ma soprattutto di solidarietà cittadina, sono stati consegnati come da copione: dalle mani dei volontari dell organizzazione. E sempre necessario dare alla gente la possibilità di aiutare altra gente. Questo è l ingrediente della ricetta Music for Peace. Tentare di cambiare qualcosa è possibile, basta iniziare a farlo. Mi. Gio.

10 pagina 10 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 CULTURE VITE D AZZARDO Seduto o in piedi, ognuno puntava il suo numero. E con lo sguardo da ubriaco attendeva che la pallina si posasse da qualche parte. E quando qualcuno ritirava la vincita, la nenia dei croupiers rinnovava l invito a giocare nuovamente Luigi Pirandello L ei sola, là dentro, quella pallottola d avorio, correndo graziosa nella roulette, in senso inverso al quadrante, pareva giocasse: «Tac tac tac». Lei sola: non certo quelli che la guardavano, sospesi nel supplizio che cagionava loro il capriccio di essa, a cui ecco sotto, su i quadrati gialli del tavoliere, tante mani avevano recato, come in offerta votiva, oro, oro e oro, tante mani che tremavano adesso nell attesa angosciosa, palpando inconsciamente altro oro, quello della prossima posta, mentre gli occhi supplici pareva dicessero: «Dove a te piaccia, dove a te piaccia di cadere, graziosa pallottola d avorio, nostra dea crudele!». Ero capitato là, a Montecarlo, per caso. Dopo una delle solite scene con mia suocera e mia moglie, che ora, oppresso e fiaccato com ero dalla doppia recente sciagura, mi cagionavano un disgusto intollerabile; non sapendo più resistere alla noia, anzi allo schifo di vivere a quel modo; miserabile, senza né probabilità né speranza di miglioramento, senza più il conforto che mi veniva dalla mia dolce bambina, senza alcun compenso, anche minimo, all amarezza, allo squallore, all orribile desolazione in cui ero piombato; per una risoluzione quasi improvvisa, ero fuggito dal paese, a piedi, con le cinquecento lire di Berto in tasca. Avevo pensato, via facendo, di recarmi a Marsiglia, dalla stazione ferroviaria del paese vicino, a cui m ero diretto: giunto a Marsiglia, mi sarei imbarcato, magari con un biglietto di terza classe, per l America, così alla ventura. Che avrebbe potuto capitarmi di peggio, alla fin fine, di ciò che avevo sofferto e soffrivo a casa mia?(...) Ora, sceso a Nizza, non ben risoluto ancora di ritornare a casa, girando per la città, m era avvenuto di fermarmi innanzi a una grande bottega su l Avenue de la Gare, che recava questa insegna a grosse lettere dorate: Depot de roulettes de precision. Ve n erano esposte d ogni dimensione, con altri attrezzi del giuoco e varii opuscoli che avevano sulla copertina il disegno della roulette. * * * S i sa che gl infelici facilmente diventano superstiziosi, per quanto poi deridano l altrui credulità e le speranze che a loro stessi la superstizione certe volte fa d improvviso concepire e che non vengono mai a effetto, s intende. Ricordo che io, dopo aver letto il titolo d uno di quegli opuscoli: Méthode pour gagner à la roulette, mi allontanai dalla bottega con un sorriso sdegnoso e di commiserazione. Ma, fatti pochi passi, tornai indietro, e (per curiosità, via, non per altro!) con quello stesso sorriso sdegnoso e di commiserazione su le labbra, entrai nella bottega e comprai quell opuscolo. Non sapevo affatto di che si trattasse, in che consistesse il giuoco e come fosse congegnato. Mi misi a leggere; ma ne compresi ben poco. «Forse dipende - pensai - perché non ne so molto, io, di francese». Nessuno me l aveva insegnato; avevo imparato da me qualche cosa, così, leggiucchiando nella biblioteca; non ero poi per nulla sicuro della pronunzia e temevo di far ridere, parlando. Questo timore appunto mi rese dapprima perplesso se andare o no; ma poi pensai che m ero partito per avventurarmi fino in America, sprovvisto di tutto e senza conoscere neppur di vista l inglese e lo spagnuolo; dunque via, con quel po di francese di cui potevo disporre e con la guida di quell opuscolo, fino a Montecarlo, li a due passi, avrei potuto bene avventurarmi. «Né mia suocera né mia moglie - dicevo fra me, in treno - sanno di questo po di denaro, che mi resta in portafogli. Andrò a buttarlo lì, per togliermi ogni tentazione. Spero che potrò conservare tanto da pagarmi il ritorno a casa. E se no...» Avevo sentito dire che non difettavano alberi solidi nel giardino attorno alla bisca. In fin de conti, magari mi sarei appeso economicamente a qualcuno di essi, con la cintola dei calzoni, e ci avrei fatto anche una bella figura. Avrebbero detto: «Chi sa quanto avrà perduto questo povero uomo!» Mi aspettavo di meglio, dico la verità. L ingresso, sì, non c è male; si vede che hanno avuto quasi l intenzione d innalzare un tempio alla Fortuna, con quelle otto colonne di marmo. Un portone e due porte laterali. Su queste era scritto Tirez: e fin qui ci arrivavo; arrivai anche al Poussez del portone, che evidentemente voleva dire il contrario; spinsi ed entrai. Pessimo gusto! E fa dispetto. Potrebbero almeno offrire a tutti coloro che vanno a lasciar lì tanto denaro la soddisfazione di vedersi scorticati in un luogo men sontuoso e più bello. Il vile spleen della roulette Puntavo dapprima poco; poi di più, di più, senza contare. Quella specie di ebbrezza cresceva in me, non svaniva per qualche colpo fallito, perché mi pareva d averlo preveduto * * * T utte le grandi città si compiacciono adesso di avere un bel mattatojo per le povere bestie, le quali pure, prive come sono d ogni educazione, non possono goderne. È vero tuttavia che la maggior parte della gente che va lì ha ben altra voglia che quella di badare al gusto della decorazione di quelle cinque sale, come coloro che seggono su quei divani, giro giro, non sono spesso in condizione di accorgersi della dubbia eleganza dell imbottitura. Vi seggono, di solito, certi disgraziati, cui la passione del giuoco ha sconvolto il cervello nel modo più singolare: stanno li a studiare il così detto equilibrio delle probabilità, e meditano seriamente i colpi da tentare, tutta un architettura di giuoco, consultando appunti su le vicende de numeri: vogliono insomma estrarre la logica dal caso, come dire il sangue dalle pietre; e son sicurissimi che, oggi o domani, vi riusciranno. Ma non bisogna meravigliarsi di nulla. Ah, il 12! il 12! mi diceva un signore di Lugano, pezzo d omone, la cui vista avrebbe suggerito le più consolanti riflessioni su le resistenti energie della razza umana. Il 12 è il re dei numeri; ed è il mio numero! Non mi tradisce mai! Si diverte, sì, a farmi dispetti, magari spesso; ma poi, alla fine, mi compensa, mi compensa sempre della mia fedeltà. Era innamorato del numero 12, quell omone lì, e non sapeva più parlare d altro. Mi raccontò che il giorno precedente quel suo numero non aveva voluto sortire neppure una volta; ma lui non s era dato per vinto: volta per volta, ostinato, la sua posta sul 12; era rimasto su la breccia fino all ultimo, fino all ora in cui i croupiers annunziano: Messieurs, aux trois dernier! Ebbene, al primo di quei tre ultimi colpi, niente; niente neanche al secondo; al terzo e ultimo, pàffete: il 12. M ha parlato! concluse, con gli occhi brillanti di gioja M ha parlato! È vero che, avendo perduto tutta la giornata, non gli eran restati per quell ultima posta che pochi scudi; dimodoché, alla fine, non aveva potuto rifarsi di nulla. Ma che gl importava? Il numero 12 gli aveva parlato! ( ) Prima di tentare la sorte benché senz alcuna illusione volli stare un pezzo a osservare, per rendermi conto del modo con cui procedeva il giuoco. Non mi parve affatto complicato, come il mio opuscolo m aveva lasciato immaginare. In mezzo al tavoliere, sul tappeto verde numerato, era incassata la roulette. Tutt intorno, i giocatori, uomini e donne, vecchi e giovani, d ogni paese e d ogni condizione, parte seduti, parte in piedi, s affrettavano nervosamente a disporre mucchi e mucchietti di luigi e di scudi e biglietti di banca, su i numeri gialli dei quadrati; quelli che non riuscivano ad accostarsi, o non volevano, dicevano al croupier i numeri e i colori su cui intendevano di giocare, e il croupier, subito, col rastrello disponeva le loro poste secondo l indicazione, con meravigliosa destrezza; si faceva silenzio, un silenzio strano, angoscioso, quasi vibrante di frenate violenze, rotto di tratto in tratto dalla voce monotona sonnolenta dei croupiers: Messieurs, faites vos jeux Mentre di là, presso altri tavolieri, altre voci ugualmente monotone dicevano: Le jeu est fait! Rien ne va plus! * * * A lla fine, il croupier lanciava la pallottola sulla roulette Tac tac tac... E tutti gli occhi si volgevano a lei con varia espressione: d ansia, di sfida, d angoscia, di terrore. Qualcuno fra quelli rimasti in piedi, dietro coloro che avevano avuto la fortuna di trovare una seggiola, si sospingeva per intravedere ancora la propria posta, prima che i rastrelli dei croupiers si allungassero ad arraffarla. La boule, alla fine, cadeva sul quadrante, e il croupier ripeteva con la solita voce la formula d uso e annunziava il numero sortito e il colore. Arrischiai la prima posta di pochi scudi sul tavoliere di sinistra nella prima sala, così, a casaccio, sul venticinque; e stetti anch io a guardare la perfida pallottola, ma sorridendo, per una specie di vellicazione interna, curiosa, al ventre. Cade la boule sul quadrante, e: Vingtcinq! annunzia il croupier. Rouge, impair et passe! Avevo vinto! Allungavo la mano sul mio mucchietto moltiplicato, quanto un signore, altissimo di statura, da le spalle poderose troppo in sù, che reggevano una piccola testa con gli occhiali d oro sul naso rincagnato, la fronte sfuggente, i capelli lunghi e lisci su la nuca, tra biondi e grigi, come il pizzo e i baffi, me la scostò senza tante cerimonie e si prese lui il mio denaro. Nel mio povero e timidissimo francese, volli fargli notare che aveva sbagliato oh, certo involontariamente! Era un tedesco, e parlava il francese peggio di me, ma con un coraggio da leone: mi si scagliò addosso, sostenendo che lo sbaglio invece era mio, e che il denaro era suo. Mi guardai attorno, stupito: nessuno fiatava, neppure il mio vicino che pur mi aveva veduto posare quei pochi scudi sul venticinque. Guardai i croupiers: immobili, impassibili, come statue. «Ah sì?» dissi tra me e, quietamente, mi tirai su la mano gli altri scudi che avevo posato sul tavolino innanzi a me, e me la filai. «Ecco un metodo, pour gagner à la roulette», pensai, «che non è contemplato nel mio opuscolo. E chi sa che non sia l unico, in fondo!» ( ) A poco a poco, guardando, la febbre del giuoco prese anche me. I primi colpi mi andarono male. Poi cominciai a sentirmi come in uno stato d ebbrezza estrosa curiosissima: agivo quasi automaticamente, per improvvise, incoscienti ispirazioni; puntavo, ogni volta, dopo gli altri, all ultimo, là! e subito acquistavo la coscienza, la certezza che avrei vinto; e vincevo. Puntavo dapprima poco; poi, man mano, di più, di più, senza contare. Quella specie di lucida ebbrezza cresceva intanto in me, né s intorbidava per qualche colpo fallito, perché mi pareva d averlo quasi preveduto; anzi, qualche volta, dicevo tra me: «Ecco, questo lo perderò; debbo perderlo». Ero come elettrizzato. A un certo punto, ebbi l ispirazione di arrischiar tutto, là e addio; e vinsi. Gli orecchi mi ronzavano; ero tutto in sudore, e gelato. Mi parve che uno dei croupiers come sorpreso di quella mia tenace fortuna, mi osservasse. * * * N ell esagitazione in cui mi trovavo, sentii nello sguardo di quell uomo come una sfida, e arrischiai tutto di nuovo, quel che avevo di mio e quel che avevo vinto, senza pensarci due volte: la mano mi andò su lo stesso numero di prima, il 35; fui per ritrarla; ma no, lì, lì di nuovo, come se qualcuno me l avesse comandato. Chiusi gli occhi, dovevo essere pallidissimo. Si fece un gran silenzio, e mi parve che si facesse per me solo, come se tutti fossero sospesi nell ansia mia terribile. La boule girò, girò un eternità, con una lentezza che esasperava di punto in punto l insostenibile tortura. Alfine cadde. M aspettavo che il croupier, con la solita voce (mi parve lontanissima), dovesse annunziare: Trentecinq, noir, impair et passe! Presi il denaro e dovetti allontanarmi, come un ubriaco. Caddi a sedere sul divano, sfinito; appoggiai il capo alla spalliera, per un bisogno improvviso, irresistibile, di dormire, di ristorarmi con un po di sonno. E già quasi vi cedevo, quando mi sentii addosso un peso, un peso materiale, che subito mi fece riscuotere. Quanto avevo vinto? Aprii gli occhi, ma dovetti richiuderli immediatamente: mi girava la testa. Il caldo, là dentro, era soffocante. Come! Era già sera? Avevo intraveduto i lumi accesi. E

11 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 11 CULTURE Testo tratto da «Il fu Mattia Pascal» di Luigi Pirandello quanto tempo avevo dunque giocato? Mi alzai pian piano; uscii. Fuori, nell atrio, era ancora giorno. La freschezza dell aria mi rinfrancò. Parecchia gente passeggiava lì: alcuni meditabondi, solitarii; altri, a due, a tre, chiacchierando e fumando. Io osservavo tutti. ( ) Non so per quante volte passò il rosso, su cui mi ostinavo a puntare: puntavo su lo zero, e sortiva lo zero. Finanche quel giovinetto, che tirava i luigi dalla tasca dei calzoni, s era scosso e infervorato; quel grosso signore bruno arrangolava più che mai. L agitazione cresceva di momento in momento attorno al tavoliere; eran fremiti d impazienza, scatti di brevi gesti nervosi, un furor contenuto a stento, angoscioso e terribile. Gli stessi croupiers avevano perduto la loro rigida impassibilità. A un tratto, di fronte a una puntata formidabile, ebbi come una vertigine. Sentii gravarmi addosso una responsabilità tremenda. Ero poco men che digiuno dalla mattina, e vibravo tutto, tremavo dalla lunga violenta emozione. Non potei più resistervi e, dopo quel colpo, mi ritrassi, vacillante. ( ) Ero come un generale che avesse vinto un asprissima e disperata battaglia, ma per caso, senza saper come. ( ) * * * R accolsi il denaro; lo buttai nel cassetto del comodino, e mi coricai. Ma non potei prender sonno. Che dovevo fare, insomma? Ritornare a Montecarlo, a restituir quella vincita straordinaria? o contentarmi di essa e godermela modestamente? ma come? avevo forse più animo e modo di godere, con quella famiglia che mi ero formata? Avrei vestito un po meno poveramente mia moglie, che non solo non si curava più di piacermi, ma pareva facesse anzi di tutto per riuscirmi incresciosa, rimanendo spettinata tutto il giorno, senza busto, in ciabatte, e con le vesti che le cascavano da tutte le parti. Riteneva forse che, per un marito come me, non valesse più la pena di farsi bella? Del resto, dopo il grave rischio corso nel parto, non s era più ben rimessa in salute. Quanto all animo, di giorno in giorno s era fatta più aspra, non solo contro me, ma contro tutti. E questo rancore e la mancanza d un affetto vivo e vero s eran messi come a nutrire in lei un accidiosa pigrizia. Non s era neppure affezionata alla bambina, la cui nascita insieme con quell altra, morta di pochi giorni, era stata per lei una sconfitta di fronte al bel figlio maschio d Oliva, nato circa un mese dopo, florido e senza stento, dopo una gravidanza felice. Tutti quei disgusti poi e quegli attriti che sorgono, quando il bisogno, come un gattaccio ispido e nero s accovaccia su la cenere d un focolare spento, avevano reso ormai odiosa a entrambi la convivenza. Con undicimila lire avrei potuto rimetter la pace in casa e far rinascere l amore ( ) Che cosa erano mai undicimila lire? Così il giorno dopo tornai a Montecarlo. Ci tornai per dodici giorni di fila. Non ebbi più né modo né tempo di stupirmi allora del favore, più favoloso che straordinario, della fortuna: ero fuori di me, matto addirittura; non ne provo stupore neanche adesso, sapendo pur troppo che tiro essa m apparecchiava, favorendomi in quella maniera e in quella misura. In nove giorni arrivai a metter su una somma veramente enorme giocando alla disperata: dopo il nono giorno cominciai a perdere, e fu un precipizio. L estro prodigioso, come se non avesse più trovato alimento nella mia già esausta energia nervosa, venne a mancarmi. Non seppi, o meglio, non potei arrestarmi a tempo. Mi arrestai, mi riscossi, non per mia virtù, ma per la violenza d uno spettacolo orrendo, non infrequente, pare, in quel luogo. Entravo nelle sale da giuoco, la mattina del dodicesimo giorno, quando quel signore di Lugano, innamorato del numero 12, mi raggiunse, sconvolto e ansante, per annunziarmi, più col cenno che con le parole, che uno s era poc anzi ucciso là, nel giardino. ( ) * * * V i trovai quel giovinetto pallido che affettava un aria di sonnolenta indifferenza, tirando fuori i luigi dalla tasca dei calzoni per puntarli senza nemmeno guardare. Pareva più piccolo, lì in mezzo al viale: stava composto, coi piedi uniti, come se si fosse messo a giacere prima, per non farsi male, cadendo; un braccio era aderente al corpo; l altro, un po sospeso, con la mano raggrinchiata e un dito, l indice, ancora nell atto di tirare. Era presso a questa mano la rivoltella; più là, il cappello. Mi parve dapprima che la palla gli fosse uscita dall occhio sinistro, donde tanto sangue, ora rappreso, gli era colato su la faccia. Ma no: quel sangue era schizzato di lì, come un po dalle narici e dagli orecchi; altro, in gran copia, n era poi sgorgato dal forellino alla tempia destra, su la rena gialla del viale, tutto raggrumato. Una dozzina di vespe vi ronzavano attorno; qualcuna andava a posarsi anche lì, vorace, su l occhio. Fra tanti che guardavano, nessuno aveva pensato a cacciarle via. Trassi dalla tasca un fazzoletto e lo stesi su quel misero volto orribilmente sfigurato. Nessuno me ne seppe grado: avevo tolto il meglio dello spettacolo. Scappai via; ritornai a Nizza per partirne quel giorno stesso. Avevo con me circa ottantaduemila lire. Tutto potevo immaginare, tranne che, nella sera di quello stesso giorno, dovesse accadere anche a me qualcosa di simile. SAGGI «Per un antropologia inattuale» di Francesco Remotti per elèuthera Il fallimento di un sapere appiattito su un triste presente Mauro Trotta S e si pensa all influenza che nel recente passato una disciplina come l antropologia culturale ha avuto nei confronti di tutti i campi del sapere, può sembrare quanto meno improbabile che oggi tale materia sia alla ricerca di un proprio spazio, si interroghi radicalmente sulle proprie finalità e sui propri obiettivi, arrivi a rimettere in discussione i propri presupposti. Eppure è proprio questo che emerge leggendo l ultimo lavoro di Francesco Remotti, intitolato Per un antropologia inattuale e pubblicato da elèuthera (pp. 136, euro 13). L autore è stato professore di Antropologia culturale all Università di Torino e raccoglie in questo agile libretto alcuni articoli, già pubblicati in precedenza, che hanno il merito di comunicare con limpidezza anche al lettore non specialista lo stato attuale della materia e, soprattutto, di indicare con chiarezza e precisione alcune soluzioni volte a modificare la situazione restituendo alla disciplina autonomia, dignità, importanza all interno del mondo del sapere. Del resto come si può evincere già dal titolo, secco e nettamente schierato a favore di una determinata ipotesi il libro di Remotti sembra avere tutte le caratteristiche di un vero e proprio pamphlet: espone senza infingimenti i problemi, propone con forza le soluzioni, non si nasconde dietro alcuna patina «accademica», andando subito al cuore delle questioni. Insomma, è una battaglia culturale quella che l autore vuole portare avanti, volta a un rinnovamento profondo dello stato delle cose. Inoltrandosi nella lettura appare ben presto chiaro che siamo lontani dai tempi in cui Levi-Strauss, con i suoi Tristi tropici, dava il via allo strutturalismo. Anzi, proprio il fallimento, in campo antropologico, dell ipotesi strutturalista ha portato probabilmente alla situazione attuale. Una situazione in cui, in pratica, gli antropologi hanno rinunciato a costruire grandi teorie, limitandosi a esporre i risultati delle proprie ricerche sul campo. Questo, secondo Remotti, ha portato a una sorta di polverizzazione dell antropologia, che si presena da Dopo lo strutturalismo, il possibile rilancio della disciplina sta nella definizione di una rete di affinità culturali Saggi 2/ «SURROGATI DI PRESENZA» DI FRANCO LA CECLA Vanni Codeluppi F ranco La Cecla ha dato alle stampe nel 2006 il volume Surrogati di presenza. Media e vita quotidiana. I contenuti del volume sarebbero stati importanti per fare avanzare gli studi sui media in Italia, ma pochi se ne sono accorti, forse perché provenienti da un antropologo, che normalmente è considerato uno studioso lontano dal mondo dei media. Bene ha fatto dunque La Cecla a riproporre ora questo volume con Bébert Edizioni (pp. 175, euro 15) lasciandolo sostanzialmente invariato, ma aggiungendovi un utile capitolo su alcuni fenomeni presentatisi recentemente nel campo dei media, come ad esempio i social network o il selfie. Il volume tratta di numerosi argomenti (televisione, telefoni portatili, pubblicità, ecc.), ma porta continuamente avanti una tesi centrale e cioè l idea che tutti i media si caratterizzino per la capacità di produrre imitazioni della realtà o, meglio, quelli che La Cecla chiama «surrogati di presenza». Ciò deriva dalla loro possibilità di funzionare come strumenti attraverso i quali è possibile trasmettere la propria presenza, ma soprattutto è possibile sperimentare la presenza degli altri. Dunque, l impressione che le persone hanno è che i media consentano loro di poter sperimentare la realtà, mentre, come sostiene La Cecla, possono soltanto fruire di surrogati della realtà. E i surrogati sono caratterizzati dalla capacità di sostituire la realtà, ma anche di allontanare inevitabilmente da essa. La realtà, a ben vedere, è stata surrogata da tutte le pratiche espressive create dagli esseri umani nel corso della loro storia. Anche la letteratura e la pittura, ad esempio, hanno dato vita a dei surrogati di presenza. Sono stati però i media moderni a fare di questa possibilità di surrogare la realtà la loro principale capacità. Già i quotidiani popolari dell Ottocento si presentavano come delle «finestre sul mondo», ma il cinema ha ulteriormente potenziato tale capacità, grazie alla notevole Come i social network e le tecnologie della comunicazione mutano le relazioni sociali e l identità dei singoli forza espressiva che contraddistingue le sue immagini. Oggi naturalmente molti altri strumenti si offrono a noi come mezzi capaci di surrogare la realtà. La televisione, ad esempio, grazie alla particolare natura delle immagini che trasmette, le quali sono in grado di suscitare l impressione di vivere una realtà molto simile alla vita vera, ma spesso vissuta come migliore. E si pensi agli smartphone, nei quali la presenza altrui non è soltanto evocata attraverso i flussi delle comunicazioni, ma è anche fisicamente presente, attraverso forme simboliche che rimandano a determinate relazioni sociali, come i nominativi di persone con i relativi numeri, gli sms che sono stati scambiati, le fotografie di persone e di eventi vissuti, ecc. Insomma, con questo strumento ci si porta in tasca il mondo degli affetti e delle relazioni che contano. Non è un caso che un lato sempre più frammentata, senza collanti teorici che tengano insieme i dati e i risultati dei vari lavori etnografici, dall altro, conseguentemente, con sempre minor peso sia a livello accademico rendendola in qualche modo «campo di conquista» da parte di altre discipline contigue sia dal punto di vista del sapere in generale, dove appare quasi «ancella» rispetto ad altri settori. Le soluzioni proposte da Remotti per ribaltare la situazione vertono, innanzi tutto, su di un presupposto estrapolato dalle Considerazioni inattuali di Nietzsche. Occorre, appunto, mettere in campo una vera e propria antropologia inattuale. Citando il filosofo tedesco, Francesco Remotti definisce tale aggettivo come «l atteggiamento di colui che si muove in modo inattuale ossia contro il tempo, e in tal modo sul tempo e, speriamolo, a favore di un tempo venturo». In sostanza, si tratta «di frequentare epoche e culture per meglio mettere a fuoco le peculiarità del nostro tempo». Perché, quanto più gli antropologi saranno in grado di accumulare «un sapere inattuale, tanto più esso potrà sviluppare una critica radicale e autenticamente antropologica della contemporaneità». Da questo discende naturalmente da una parte il rifiuto per una ricerca antropologica totalmente appiattita sul presente, sull immediatezza, e il conseguente recupero e riutilizzo costruttivo di studi, dati, informazioni sulle varie civiltà studiate anche nel passato. Dall altra il coraggio di costruire teorie specificatamente antropologiche a partire proprio dal sapere accumulato, senza assolutamente tralasciare il lavoro sul campo. Tali teorie dovrebbero strutturarsi come reti di connessione, che abbiano «la forza non di dominare l intera gamma delle diversità culturali, ma di inoltrarsi in varie direzioni e persino di spingersi in territori presidiati normalmente da altre scienze». Soltanto così, infatti, «perseguendo e attraversando l inattualità culturale» gli antropologi saranno in grado «di dimostrare la particolare e insostituibile attualità politica» del loro sapere. Nel vortice mediatico della realtà simulata La Cecla racconti di aver visto qualche tempo fa ad Hong Kong una ragazza che baciava lo schermo del suo telefono poco dopo aver parlato con il suo ragazzo. Lo smartphone funziona cioè come una simulazione di intimità. Naturalmente tutto ciò viene praticato anche attraverso i social network. La Cecla afferma che Facebook tende a realizzare una vera e propria azione di espropriazione di un territorio importante della vita sociale e cioè quello dove si trovano le relazioni di conoscenza e amicizia. Il che però non fa che assecondare una più generale tendenza perseguita dal capitalismo contemporaneo e tesa ad occupare e sfruttare economicamente l intero spazio dei legami sociali. Ma tutti i social media, a suo avviso, vanno considerati come «simulazioni di un campo sociale, ma in realtà surrogati riduttivi di esso» Ma va anche considerato che i social media operano principalmente attraverso le immagini degli individui e proprio da qui, secondo La Cecla, deriva una contraddizione insanabile. Quella dipendente dalla natura dell immagine digitale, che gli esseri umani, nonostante il loro notevole impegno, non riescono a stabilizzare, perché in essa «ogni presa è negata dalla possibilità di una migliore presa tra un secondo». Ogni scatto, cioè, può essere migliorato dallo scatto che verrà dopo. Dunque, gli esseri umani sono impossibilitati a catturare la loro apparenza e a fissarla. E, pertanto, non riescono a riconoscersi in un immagine. Né a ottenere un vero riconoscimento da parte degli altri. Quel riconoscimento di cui comunque non possono fare a meno se vogliono consolidare e rafforzare la propria identità.

12 pagina 12 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 Cinema VISIONI La Fox festeggia un secolo. Storia della major che all origine è specializzata in cinegiornali, e che poi avrà star come Carmen Miranda, Betty Grable, Shirley Temple ALCUNI CAPOLAVORI DELLA FOX: DA «EVA CONTRO EVA» A «EDWARD MANI DI FORBICE» E «COME SPOSARE UN MILIONARIO» Antonello Catacchio A l Comicon di San Diego la 20th Century Fox ha impazzato. Gli X men e I fantastici 4 di prossima uscita hanno fatto delirare i fan e grande entusiasmo ha suscitato Deadpool affidato all interpretazione di Ryan Reynolds. Un altro momento clou della manifestazione che sposa fantasy e cinema è stata la promozione del nuovo episodio di Guerre Stellari. Purtroppo per la Fox però la saga che originariamente era sua è stata ceduta alla Disney. E gli eroi, anzi, i supereroi del fumetto targati Fox via Marvel sono stati oggetto di una mostra a Milano presso Wow spazio fumetto in cui sono state proposte un esposizione dedicata agli X-Men, l anteprima di alcuni contenuti di X-Men giorni di un futuro passato: The Rogue Cut e diverse immagini fotografiche volte a ripercorrere i cento anni Fox. In realtà la Fox come la conosciamo non festeggia 100 anni, bensì 80, ma la forzatura compiuta dagli organizzatori della mostra milanese fornisce l occasione per una rivisitazione storica di una delle grandi major hollywoodiane. La 20th Century Fox è effettivamente fondata nel 1935 grazie alla fusione tra due società preesistenti: la Twentieth Century Pictures che appartiene a Darryl F. Zanuck, ex capo delle produzioni Warner Bros e a Joseph Schenk, già presidente della United Artistas, con la Fox Film Corporation presieduta da Sidney Kent che aveva estromesso dalla leadership il fondatore della compagnia William Fox, che come spesso succedeva agli immigrati aveva cambiato il proprio nome che originariamente era Vilmos Fried. Proprio all ungherese Vilmos divenuto William (ma qualcuno, essendo lui nato sotto l impero austroungarico lo chiama Wilhelm Fuchs) si deve il pretesto centenario. Mentre la società di Zanuck e Schenk è relativamente recente (è stata fondata nel 1933), la Fox Film Corporation viene fondata da Fox-Fuchs il primo febbraio Lui però non è tanto interessato alla produzione cinematografica, che comunque fa parte dell attività e per questo verrà creato un teatro di posa, quanto all acquisizione di sale di proiezione e relativi palazzi. Una delle caratteristiche peculiari della Fox delle origini consiste nel realizzare cinegiornali muti. Un attività praticata dal 1919 quando però i concorrenti già operano da tempo in questo settore. Una mano arriva alla compagnia dal presidente Wilson che ha parole d elogio per le Fox News (quello tra la presidenza degli Stati Uniti e la major è un rapporto iniziato quindi molti anni fa e culminato con la proclamazione farlocca e scandalosa di George W. Bush presidente nel 2000 proprio per una forzatura politica dell attuale canale Fox News). I cinegiornali Fox guadagnano Cent anni di immagini, una storia americana Fondata da William Fox, inizia la sua corsa cinematografica solo nel 35 grazie all arrivo di Schenk e Zanuck, a cui si deve l invenzione dello Studio John Ford e Peck, l epocale «Eva contro Eva», Bacall e Marilyn. Fino alla crisi causata dalla tv ulteriore prestigio grazie a servizi esclusivi su grandi eventi. Tra questi spiccano un reportage su Pancho Villa e un altro sul Ku Klux Klan, e non mancano digressioni rivolte al nostro paese rappresentate dal racconto del dirigibile Roma, che l esercito statunitense compera dal governo italiano nel 1921 e un reportage sull attività del Vesuvio nel Nel 1926 la società costituisce la Fox Movieton Corporation proprio per produrre cinegiornali che siano in grado di fornire il sonoro, tecnologia che la Fox ha appena acquisito. Il volo è un po l ultima frontiera del momento e l attenzione nei suoi confronti è notevole. Così, la partenza di Lindbergh per il primo volo transoceanico tra America e Europa diventa occasione per il primo servizio sonoro nella storia dei newsreel. Il 1929 è un anno nero per Fox, e non solo per lui. Prima cerca di mettere le mani sulla MGM il cui capo Mark Low è morto da poco, ma viene stoppato per questioni legali e antitrust. Nel frattempo William è vittima di un grave incidente stradale e per completare il quadro c è il crollo di Wall Street. Tutti fatti che congiurano per fargli perdere la leadership dell azienda a favore di Sidney Kent. Al momento della fusione del 1935 Zanuck e Schenk non trovano però granché nel patrimonio Fox. C è una catena di sale, uno studio a Los Angeles ma la situazione produttiva è relativamente problematica. La star dello studio, Will Rogers è morto in un incidente aereo poco dopo l accordo, l attrice di punta Janet Gaynor sta perdendo smalto e popolarità e le giovani promesse James Dunn e Spencer Tracy sono state allontanate perché alcolisti. Resta però il precoce talento di Shirley Temple. Comunque, nonostante sia di dimensioni più modeste, è proprio la 20th Century Pictures a ricoprire i ruoli operativi più importanti nella nuova società. Kent rimane presidente, ma Schenk è il capo del consiglio d amministrazione e Zanuck diventa responsabile delle produzioni. Anche il logo dei titoli di testa è un eredità 20th Century. Il monumentale 20th con i fari che solcano il cielo muovendo la propria luce, creato da Emil Kosa jr, rimane quasi inalterato, solo la scritta Pictures viene sostituita da Fox, il tutto sulla inconfondibile fanfara che Alfred Newman aveva composto nel Praticamente sinile a quella che vediamo ancora oggi. Zanuck è geniale e inarrestabile, in poco tempo recluta molti giovani attori: Tyrone Power, Linda Darnell, Carmen Miranda, Don Il trionfo di «Star Wars» e gli anni 80 di Murdoch. Poi i grandi incassi di James Cameron Ameche, Henry Fonda, Gene Tierney, Betty Grable e ovviamente prosegue nello sfruttamento del pulcino dalle uova d oro: Shirley Temple. I primi dollari arrivano grazie alla bimba «mostruosa», ma anche per L incendio di Chicago e Alba di gloria sul giovane Lincoln. All arrivo della Seconda guerra mondiale lo studio, grazie a musical e biografie popolari, ha ottenuto notevoli profitti, e si è piazzato sul podio degli studi più redditizi. Quando Zanuck è al fronte il management sfrutta il fascino di Betty Grable, il talento di John Ford (Com era verde la mia valle), i bellissimi Rita Hayworth, Linda Darnell e Tyrone Power, Sangue e arena. Zanuck torna dopo un paio d anni e decide di dare nuova linfa alla società proponendo produzioni più raffinate e intriganti rivolte a un pubblico più maturo. Nascono così Femmina folle con Gene Tierney, presente anche accanto a Power in Il filo del rasoio, Barriera invisibile di Kazan con Gregory Peck Dorothy McGuire e John Garfield infine l epocale Eva contro Eva. Sono gli anni in cui le audizioni della caccia alle streghe del senatore McCarthy vengono diffuse in diretta dalla tv. Il boom del piccolo schermo è inarrestabile. Hollywood cerca di reagire: Cinerama, 3D e altre diavolerie che possano far prevalere il cinema su grande schermo rispetto a quello piccolo in salotto e in bianco e nero. La Fox da parte sua è impegnatissima, nel 1953 lancia il Cinema- Scope con La tunica e l intraprendente e lungimirante Zanuck offre agli esercenti appositi finanziamenti per le spese necessarie agli adattamenti tecnici. Il successo è clamoroso, bissato da Come sposare un milionario con il trio Betty Grable, Lauren Bacall e Marilyn Monroe che diventa la star per eccellenza dello studio (e lo è ancora oggi). Le major si convertono al CinemaScope ma la tv continua la sua marcia inarrestabile. Zanuck lascia per puntare sull Europa e il management è in crisi. Si fanno scelte sbagliate, il kolossal Cleopatra con Elizabeth Taylor e Richard Burton costa una cifra esagerata, destinata a non rientrare, e ci si mette anche la sfortuna quando Marilyn muore e Something Got to Give rimane incompiuto. Nonostante Il pianeta delle scimmie sia un trionfo la compagnia è in crisi. Come e più di tutte le major. Occorre cambiare rotta. Lo ha insegnato Easy Rider. 360mila dollari per produrlo, decine di milioni di dollari di incasso. Alla Fox qualcosa di simile succede nel Un successo di proporzioni clamorose e totalmente inaspettato esalta la major. si tratta di MASH di Robert Altman. La Fox quell anno ha in produzione tre film di guerra: MASH costato 3milioni e mezzo, ne porta a casa 81 milioni, mentre i giganteschi investimenti di Patton generale d acciaio e Tora! Tora! Tora! ottengono incassi più modesti, il primo 65 e il secondo 29. Hollywood non è più la stessa. Gli anni successivi sono connotati da Star Wars (filone d oro per la Fox, che come detto ha poi ceduto i diritti alla Walt Disney). Il trionfo della saga è davvero spaziale, anche da un punto di vista strettamente economico. Guerre stellari registra l incasso record (per l epoca) di 300 milioni di dollari, cosicché le azioni Fox quotate in borsa a sei dollari l una, dopo i risultati del film schizzano a ventisette. Negli anni 80 arriva l australiano Rupert Murdoch che prende in mano tutto, compresa la tv (ancora oggi è tutta roba sua). James Cameron con Abyss e la serie Die Hard, La guerra dei Roses, Edward mani di forbice, A letto col nemico, Point Break, Hot Shots! Mamma ho perso l aereo, Mrs. Doubtfire, Speed, True Lies, Independence Day, Tutti pazzi per Mary! portano incassi clamorosi ma è ancora Cameron a chiudere il cerchio con Titanic. Il resto è storia nuova e recente, con Cameron che spopola con Avatar, diversi film d animazione al top e l irruzione dei fumetti su grande schermo

13 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 13 VISIONI HUGH JACKMAN La star più nota per il suo Wolverine potrebbe essere protagonista di una versione blockbuster per Lionsgate dell «Odissea». L attore australiano sarebbe stato contattato per il ruolo di Ulisse, il mitologico eroe di Omero che dopo la caduta di Troia è «condannato» a un viaggio che rimanda all infinito il suo ritorno a casa. Alla regia è stato chiamato Francis Lawrence, già regista dei sequel di «Hunger Games», script di Mockingjay sceneggiatura Peter Craig. Jackman aveva già annunciato di voler chiudere con Wolverine e che il prossimo sarebbe stato l ultimo. a Natale lo vedremo nel ruolo di Captain Hook nel Peter Pan di Wright. Inoltre lo vedremo in un biopic sportivo, «Eddie the Eagle» sul campione di sci britannico, Michael Thomas Edwards, e in un film ispirato agli apostoli Golden Globe nel 2013 per il ruolo di Jean Valjean ne «Les Miserables», ha ottenenuto la candidatura all'oscar al miglior attore, al Premio BAFTA e agli Screen Actors Guild. INTERVISTA Enrico Pau racconta il suo nuovo film nella Sardegna in guerra La mia «Accabadora», donna sospesa nel tempo UN IMMAGINE DA «L ACCABADORA», SOTTO IL REGISTA SUL SET FOTO NICOLA CASAMASSIMA, ELABORAZIONE GRAFICA GIORGIO DETTORI Giona A. Nazzaro L Accabadora è un progetto covato a lungo da Enrico Pau. Un progetto che ha assorbito ben sei anni della vita del regista cagliaritano e che è diventato realtà grazie a una coproduzione fra l italiana Film Kairós e l irlandese Mammoth Films. Un progetto che ha allontanato Pau dalle ambientazioni urbane e di periferia di Pesi leggeri e Jimmy della collina per avvicinarlo a un mondo magico, ancorato profondamente in quel sud lontano e mitico raccontato da Ernesto De Martino. «Ho cominciato a pensare a questo film dopo avere letto, anni fa, un saggio dell anatomo-patologo Alessandro Bucarelli che raccontava con la chiarezza del saggio scientifico il ruolo sociale dell Accabadora, della donna delegata nei villaggi della Sardegna a dare la «buona morte»». In questo senso, osserva il regista, «la Sardegna degli anni Quaranta non è lontana dalla Lucania Con Donatella Finocchiaro, si ispira agli «angeli della buona morte» della tradizione studiata da De Martino dieci anni dopo. Sono luoghi che io immagino vicini, facenti parte di un sud immaginario che non esiste geograficamente, ma i cui confini una volta varcati mostrano forme di esistenza simili: vita agropastorale, riti di un mondo in cui si alternano il lavoro e le tante forme di una religione, di riti di passaggio, minacciati continuamente dalla superstizione, da quel mondo magico che De Martino studiò in uno dei suoi libri più importanti, Sud e magia». Interpretato da Donatella Finocchiaro, dolente e intensa, probabilmente nel ruolo più complesso della sua carriera sinora, da Barry Ward (apprezzato in Jimmy s Hall di Ken Loach) e da Carolina Crescentini e Sara Serraiocco (scoperta in Cloro), il film, sceneggiato in collaborazione con Antonia Iaccarino a partire da un soggetto elaborato con Igort, rappresenta un nuovo tipo di sfida per Enrico Pau. Un film in costume, d ambientazione storica, rievocante uno dei momenti più drammatici di Cagliari durante la Seconda guerra mondiale: i bombardamenti che hanno sventrato la città e i cui segni sono in parte visibili ancora oggi. «Era importante per raccontare questo passaggio nella vita di una donna come Annetta, la protagonista di L Accabadora, rifarsi alla storia, quella collettiva della nostra terra che negli anni quaranta visse un momento tragico, quello della guerra. Un momento che segna un passaggio che ha qualcosa di paradossale, perché è stato il modo traumatico, tragico, nel quale la modernità arrivò in alcune zone della nostra isola, soprattutto a Cagliari, ma anche in piccoli remoti paesini del Campidano, la vasta e assolata pianura che circonda Cagliari. Le bombe, moderna tecnologia di distruzione, piombarono sulla vita della gente, e in molti morirono; eppure fu anche un momento di passaggio, perché tutta quella distruzione portò un cambiamento profondo, segnò una accelerazione della percezione del tempo e dello spazio. Annetta si trova esattamente in questa condizione: smarrita in mezzo alla città ferita, una città che pagò un prezzo altissimo alla guerra, un prezzo di vite umane e di distruzione architettonica elevatissimo». Narratore di storie maschili, «Ho pensato a un sud immaginario, i cui confini se varcati mostrano universi simili» Pau, attraverso la triangolazione delle sue tre protagoniste, tratteggia un ritratto particolare dell Accabadora, figura mitica e insieme leggendaria della cultura tradizionale sarda. «La protagonista del film, Annetta, è nata e cresciuta in un mondo arcaico, ma lontana anni luce dallo stereotipo dell Accabadora così come la tradizione, le tante voci del popolo e i pochi studi esistenti, ma nessuno di antropologia ufficiale, ce l hanno consegnata: una donna anziana, esperta di medicina naturale, isolata dalla comunità, capace di dare la buona morte ai malati terminali, in quel mondo arcaico nel quale non esistevano farmaci ma esisteva, forse, una forma di pietas, istintiva, che richiedeva però una certa competenza delle forme possibili, di tecniche, con le quali aiutare il malato, di ogni età, ma anche i bambini, alla fine delle sofferenze e dell agonia». Pau afferma, invece, di avere voluto immaginare la sua protagonista, pur proveniente da un mondo ancestrale, come l emblema della donna moderna, pronta al cambiamento, «pronta a immaginare una vita nuova». «L unica verità che ci ha guidato nel corso della nostra narrazione», continua Pau, «è quella del personaggio, sinceramente non avevamo nessuna intenzione di recuperare una verità storica o antropologica della figura dell Accabadora. Annetta è colta in un momento di passaggio importante da una condizione a un altra, da un mondo sospesonelle sue forme immutabili, all incertezza, all indeterminatezza di una nuova condizione della quale la guerra è il segno più drammatico e violento». Da angelo della pietas e della buona morte, Annetta «che ha sempre vissuto vicina alla morte, al dolore, ritrova se stessa, paradossalmente, in mezzo alla distruzione della guerra». «Il nostro è un omaggio a coloro che anche durante i bombardamenti continuarono a vivere dentro le città», prosegue Pau, «un omaggio a coloro che continuarono a conservare umanità in mezzo all assurdità della guerra. Questo è Annetta, il bozzolo, che sta per prendere forma, di una donna moderna, una donna che ha nascosto il suo corpo, ancora bello, i suoi affetti, i suoi desideri, la sua capacità di amare gli altri e che è costretta dalla Storia, quella con la s maiuscola, a prendere atto che per vivere bisogna scegliere, decidere. Come diceva Tolstoj, per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttar via tutto, e di nuovo ricominciare a lottare e perdere eternamente. La calma è una vigliaccheria dell anima». RASSEGNE Il Folk arriva a Ariano con i Mau Mau, Lord Sassafras, Hollie Cook Vent'anni di festival tra i più importanti in Italia che ha seguito la strada dell'innovazione e del radicamento, e che intende rilanciarsi festeggiando il compleanno nel modo migliore. Questo è l'ariano Folk Festival (in provincia di Avellino) che si è aperto ieri, con i suoi concerti nel nuovo scenario del centro storico (Piazzale Calvario) con due palchi che dialogano tra di loro con band italiane e gruppi internazionali provenienti da ogni dove. A inaugurare giovedì ci saranno gli italiani Forrò Mirror, la Cesaria Evora Orchestra da Capo Verde, i Mau Mau dal Piemonte e Lord Sassafras dalla Spagna. Venerdì c'è la tropical-inglese Hollie Cook regina del pop che sarà seguita dal reggae di El V Gardenhouse fest Sergent Garcia, e dal portoghese Pedro Coquenao e Barry Myers. Sabato è la volta della Piccola Orchestra di Luca Bassanese, attore, scrittore, musicista e cantastorie, vero esponente nuovo del pop italiano. Seguirà lo «strong» dei siciliani Tintura capeggiati da Lello Analfino, e l'incrocio Francia-Italia dei Mascarimiri feat NuxVomica. Gran chiusura domenica 23 agosto con i portoghesi Dead Combo intreccio tra fado e spaghetti western. A seguire dall'arizona, l'orchestra Mendoza. Gran botto poi con i Calexico nella loro unica data italiana. Michele Fumagallo FESTIVAL Pomigliano Jazz, 20 anni di suoni La musica esplode intorno al Vesuvio Adriana Pollice NAPOLI M usica e gastronomia alla scoperta del parco del Vesuvio è la proposta della ventesima edizione del Pomigliano Jazz diretto da Onofrio Piccolo ( 29 agosto-13 settembre Inaugurazione affidata al pianista svedese Bobo Stenson in trio con Anders Jormin al contrabbasso e Jon Fält alla batteria. Location il Palazzo Mediceo di Ottaviano: ristrutturato in stile rinascimentale dalla nobile famiglia toscana, in origine era un castello di età longobarda, la prima menzione in atti ufficiali è legata alla fuga di Papa Gregorio VII dall'imperatore Enrico IV. Il palazzo nel '500 entrò nelle proprietà Medici e, dal 1894, dei loro eredi. Nel 1980 Maria Capece Minutolo cedette il palazzo per soli 270 milioni a una società del boss della camorra Raffaele Cutolo, che ne fece il simbolo del suo potere. Nel 91 il castello fu confiscato e affidato al comune di Ottaviano. Il 30 agosto il festival sale fino al cono del Vesuvio per il concerto al tramonto: l'appuntamento è alle 16 a Ercolano, quota mille metri sul livello del mare, e da lì si risale a piedi il Gran Cono lungo una serie di tornanti con le guide vulcanologiche. Al concerto acustico si assiste seduti a terra: Maria Pia De Vito con la tromba di Enrico Rava e della chitarra di Roberto Taufic si esibirà in Sarau sul Vesuvio, un repertorio basato sui motivi della tradizione napoletana e brasiliana miscelati nelle improvvisazioni. La rassegna si sposta poi nel Santuario della Madonna dell Arco a Sant Anastasia, meta a pasquetta del pellegrinaggio dei fujenti che, lungo il cammino, si accompagnano con una melodia vocale risalente al quattrocento. I fujenti, vestiti con i colori della Madonna, spesso fanno l'ultimo tratto all'altare in ginocchio; mentre i «battenti» il venerdì santo si percuotono il corpo con l'ausilio di flagelli e formelle di sughero chiodate. Il primo settembre il chiostro del santuario ospiterà la nuova versione del progetto Ex Voto di Marco Zurzolo, nel luogo che lo ha ispirato. Il sassofonista partenopeo sarà accompagnato da Archie Shepp in un quintetto inedito che comprende anche Reggie Washington, Francesco Nastro e Giuseppe Lapusata. Tra il Santuario e il vulcano con Rava, de Vito, Steve Coleman e De Piscopo Il giorno successivo, unica data italiana di Steve Coleman con i Five Elements: Jonathan Finlayson tromba, Maria Grand Tenor sax tenore, David Briant piano, Anthony Tidd basso e Sean Rickman batteria. Coleman suonerà nell'area delle Basiliche paleocristiane di Cimitile: il luogo ospitava il tempio di Ercole, come si legge nel Cippus Abellanus, il più importante documento della lingua osca. In epoca romana il territorio fu occupato da una necropoli e poi fu luogo di sepoltura di San Felice in Pincis: sulla sua tomba fu realizzato un mausoleo quadrato. La basilica di San Felice era insufficiente per raccogliere l'immensa folla di fedeli così nei primi anni del V secolo venne eretta una nuova basilica. La tradizione vuole che qui sia stato costruito il primo campanile della cristianità, voluto da San Paolino per le campane che egli stesso aveva inventato. Il 6 settembre concerto al tramonto del norvegese Eivind Aarset (unica data italiana) che porta il suo Sonic Codex 4et in scena tra i conetti vulcanici del Carcavone: si tratta di bocche vulcaniche situate sul versante settentrionale del Monte Somma, cioè il cratere gemello del Vesuvio, nel comune di Pollena Trocchia, a 300 metri sul livello del mare. Al Parco della Arti di Casoria ci saranno i quattro sassofoni di Arundo Donax (Pasquale Laino, Pietro Tonolo, Maria Raja, Rossano Emili) con i ballerini della compagnia Movimento Danza Squad, in Place is the Space. Ad accompagnare gli artisti il cuoco Don Pasta con il progetto Coockin dj set: gastronomo, poeta e filosofo, uno dei suoi motti è: «Se hai un problema, aggiungi olio» (8 settembre). Il 10 settembre il duo Enrico Pieranunzi e Gabriele Mirabassi presenta l inedito Canto Antico ispirato alla location che li ospita, la Villa di Augusto a Somma Vesuviana: si tratta della dimora dove presumibilmente l imperatore morì, il luogo «apud urbem Nolam» dove, secondo il racconto di Tacito negli Annales, Tiberio si recò per rendere omaggio alla salma. Quindi si torna a Pomigliano d'arco dove l'11i si esibirà Omar Sosa con il suo Quarteto AfroCubano. Festa (il 12 settembre) per i cinquant anni di carriera del batterista partenopeo Tullio De Piscopo con il Napoli Jazz Project e l Orchestra Napoletana di Jazz, diretta da Mario Raja

14 pagina 14 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 NUOVA FINANZA PUBBLICA Il motore del debito Marco Bertorello G li ultimi dati Istat sul rallentamento della crescita economica italiana chiudono il cerchio sul panorama asfittico in cui stiamo vivendo. I dati del secondo trimestre 2015 indicano un +0.2% del Pil, che rischia di essere lontano dall obiettivo governativo di una crescita annuale dello 0.7%. I dati al di sotto delle attese riguardano anche le due principali potenze continentali e danno il senso del quadro generale: la Germania aumenta il prodotto interno per un modesto 0.4%, la Francia è tornata a una crescita zero. In Europa continuano a non vedersi vere e proprie locomotive, se non nelle scelte di politica economica basate su rigore finanziario e austerità, e buona parte dei vagoni continua ad arrangiarsi in un contesto di sostanziale stagnazione intorno allo zerovirgolaqualcosa. Eppure non sono solo le rigidità di bilancio a non produrre gli effetti attesi, ma neppure alcuni fattori ritenuti particolarmente vantaggiosi per le economie europee, quali il calo dei prezzi delle materie prime e la diminuzione del valore dell euro, conseguenza della moneta facile immessa con il cosiddetto quantitative easing. Secondo la logica mercantilista a guida tedesca proprio queste dovrebbero essere le ricette per la ripresa, invece sempre nuovi fattori destabilizzanti costringono a rimandare un inversione di tendenza compiuta. Ieri la crisi greca, oggi gli affanni delle economie emergenti. Raramente si mette in evidenza come il contesto generale resti così fragile da soffrire qualsiasi elemento negativo e come i problemi di ordine strutturale non siano stati ancora risolti. È sufficiente riflettere sui dati che inchiodano l Italia. Non si tratta di mettere o meno in evidenza lo zerovirgolaqualcosa in più, ma di comprendere come tale modesto rimbalzo avvenga dopo una contrazione durata sostanzialmente sette lunghi anni, con un crollo del Pil superiore a 10 punti percentuali e che Confindustria ha paragonato ai danni provocati da una guerra. Per recuperare i livelli precedenti si ipotizza tassi di crescita straordinari e al contempo inverosimili per il prossimo decennio. Il ritorno all attuale modestissima crescita appare in concomitanza con un progressivo aumento del debito pubblico, che dall inizio del 2014 alla metà del 2015 è passato in termini assoluti da a miliardi di euro, cioè dal 128 al 135% circa del Pil. Un dato corrispondente alle tendenze globali descritte dalla società Mc Kinsley che indica nel travaso dai debiti privati a quelli pubblici una delle operazioni finanziarie in corso. Un travaso nato per salvare i debiti privati, ma anche il risultato di una trasformazione nelle proporzioni tra debito privato e pubblico causata, perlomeno nei paesi occidentali, proprio dalla crisi. Il contesto di incertezza, infatti, ha ridotto consumi e indebitamento. Una recente ricerca della Cgia di Mestre racconta di come in Italia vi siano stati «meno acquisti, meno investimenti e più risparmi» a partire dal Tale tendenza è stata il frutto di un processo per rientrare dai debiti, contrarne di meno e risparmiare in maniera più consistente. Quest ultimo aspetto va sottolineato, poiché a fronte di anni di riduzione dei redditi complessivi i risparmi sono aumentati del 15.8%, con i depositi bancari che sono passati da 756 a 875 miliardi di euro. Le cause della riduzione dei debiti sono molteplici, dalla stretta creditizia alla diffusione dell insicurezza sociale, ma gli effetti sembrano ricadere tutti sull economia interna piuttosto che sulla finanza creativa. Il debito, poi, incide percentualmente di più sui nuclei più poveri, ma la contrazione in termini assoluti si registra nelle aree più ricche del paese, a conferma di una crisi che colpisce ovunque. Il debito resta così il principale motore dell attuale economia, ma resta un motore ingolfato. Con buona pace delle sirene governative. le lettere INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: LETTERE@ILMANIFESTO.IT Lettera mafiosa immaginaria Signori miei carissimi, è la nostra potenza a darvi fastidio, oppure l ostentazione della nostra potenza? L ostentazione della nostra ricchezza, o la nostra ricchezza? E cambia forse il nostro potere se non facciamo funerali in pompa magna? Cambia la nostra ricchezza? Alla dinamite abbiamo sostituito petali di rose, al rumore delle armi, suoni di tromba, e voi lamentate? Va bene, va bene, vuol dire che la prossima volta cercheremo d essere più sobri, magari un paio di cavalli in meno... È vero, sì, avete ragione, c è la crisi e tanto sfarzo può dare un po fastidio, ma sapete quanta gente ha guadagnato sul funerale del nostro caro Vittorio? Quanti soldini abbiamo dispensato a destra e a manca? Solo al prete abbiamo donato (per i poveri, non a lui ovviamente), una sommetta non indifferente... Del resto, non facciamo funerali tutti i giorni, grazie a Dio e a san Padre Pio. Che male c è nel salutare con una bella carrozza e sei cavalli neri, un nostro caro che ci ha lasciato per sempre per volare dritto in paradiso? Non vi preoccupate, signori miei carissimi, vedrete che tra qualche giorno del nostro bel funerale nessuno parlerà più. La gente dimentica presto, cercate di dimenticare anche voi. Basta con i funerali in pompa magna, promesso. Magari, potremmo pensare a un matrimonio... Dall elicottero pioveranno profumati fiori di zagara, e la banda suonerà l Ave Maria. Francesca Ribeiro Il pianeta in pericolo Nel 2015 nel mondo circolano 1 COMMUNITY Caro manifesto, sono un tuo affezionato lettore fin dal primo numero. Oggi trovo in prima pagina un pezzo a firma Arianna di Genova dal titolo «Il direttore affittacamere» che critica la decisione sulla nomina dei direttori dei musei con argomenti, sarcasmi e stile degni dei più squallidi "post" di Facebook. Vi si parla di «piatti di lenticchie», si definiscono gli Uffizi «la più gettonata pinacoteca italiana» e si aggiungono piacevolezze sull uso incauto degli introiti. Va ben che tanti saranno in Gentile lettore, il tono del corsivo in prima pagina era volutamente sarcastico. Se si usa il nostro patrimonio per fare cassa, unicamente, allora gli Uffizi possono diventare «la più gettonata pinacoteca». Sono contenta che Lei si sia accorto del linguaggio, che rifaceva il verso alla "considerazione" riscossa dai nostri beni culturali. Se questi devono essere un miliardo e 200 milioni di veicoli a motore a scoppio. A Milano e provincia, quarta zona più trafficata al mondo rispetto agli spazi, statistiche ufficiali avvertono che solo le polveri sottili 2.5 ammazzano direttamente quasi 5000 persone all'anno, e chi vive a Milano perde 14 mesi di vita media. Ovunque sulla Terra, costruzioni di strade e autostrade, nuovi tunnel a perforare montagne già a "groviera", in atto aumenti di traffico aereo e di enormi navi da crociera, raddoppiati il canale Posta&Risposta Uffizi reclami ferie ma dove l avete pescata? Sulla prima pagina del "mio manifesto" mi sarei aspettato un articolo approfondito e chiarificatore, che fustigasse le querimonie estemporanee di due miei miti, Daverio e Sgarbi. Dai due saggi seniores della divulgazione culturale mi sarei aspettato l impegno alla vigile attenzione sulle prossime vicende del luoghi dell arte italiano e alla diffusione della loro conoscenza, tenendo conto che il nostro Paese spicca, purtroppo, nella graduatoria mondiale dell analfabetismo di ritorno e ciò si nota anche nel paesaggio e nello stato di conservazione e fruizione dei beni comuni. Avrei preferito, sul tema dei musei, un pezzo paragonabile, per sapienza e delicatezza, a quello che Thanopulos dedica a un altra vicenda complessa e contraddittoria: quella del bimbo conteso alla mamma Martina Levato. Vi suggerisco di cercare di rimediare a questo scivolone, da lettore e da compagno Antonio Bonomi, Calderara di Reno (BO) parco a tema, allora bisogna adeguarsi e attrezzarsi criticamente. E, per finire, una curiosità per rispondere alla sua domanda: i colleghi mi hanno "pescata" direttamente in redazione, dove lavoro da circa 25 anni, sfruttando pure qualche competenza da storica dell'arte. Cordiali saluti Arianna Di Genova di Suez e di Panama, in preparazione canale Atlantico-Pacifico in Nicaragua. Dura competizione alle perforazioni petrolifere e minerarie in ciò che resta dell'artico, i ghiacciai alpini ridotti della metà negli ultimi 40 anni. Dunque è sempre più dura la guerra della Tecnosfera, le attività umane, contro la Biosfera, l'ambiente naturale. Il clima è già cambiato e forse senza ritorno, record di durate di calore si verificano in diverse parti del globo come in Italia o a Cuba, altro esempio, con il record assoluto di temperatura massima dell'avana (37,1 gradi) raggiunto in primavera lo scorso 26 aprile. Dati scientifici danno metà delle specie animali estinte o invia d'estinzione e la Terra è percorsa sempre più da conflitti e numerose guerre regionali con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Come sarà governabile, con l'attuale sistema politico-economico dominante, un mondo non lontano da otto o nove miliardi di abitanti e in prevalenza inurbati? Senza forti cambi di rotta sarà un gigantesco infarto globale, scrisse sin dal 1976 il Mit di Boston nello studio «I limiti dello sviluppo». (...) Marzio Castagnedi Flash mob antirazzista Il flash mob al pontile di Pietrasanta in Versilia rappresenta non la classica iniziativa di contrasto ma un iniziativa con nuove modalità. Una sorta di presidio che comunque contesta l'intolleranza, l'odio e la discriminazione per promuovere la solidarietà. Bene hanno fatto gli organizzatori ad individuare tale evento in un luogo non casuale come Tonfano. Pontile circondato con una rete per gabbie, adesso pure presidiato da guardie giurate. Il sindaco pietrasantino Massimo Mallegni di Forza Italia dice di aver preso tale decisione per rispettare la legalità, mentre il segretario della Cgil Massimiliano Bindocci ricorda che l'utilizzo di guardie private per beni pubblici è illegittimo. Due anni fa l'arcipelago dei partiti e delle associazioni di sinistra (Cgil, Arci, Prc, Idv, Sel, Comunisti Italiani, Libera, Emergency, Berretti Bianchi, ecc.) provarono a chiedere al sindaco fortemarmino del Pd Umberto Buratti almeno l'utilizzo del buon senso: bagni chimici, aree attrezzate, mercatini etnici. Risposta: reti metalliche. Adesso un "copia e incolla" continuo e reciproco dei due sindaci versiliesi. Speriamo che con l'iniziativa di sabato (oggi, ndr) le adesioni siano maggiori e che, per esempio, vedano coinvolte le comunità cattoliche locali, espressione di quel mondo cristiano che in questi giorni sta conducendo una battaglia antirazzista contro i rappresentanti politici che vogliono lucrare elettoralmente sui migranti. Infine, alle minacce risponderemo con la musica dei Pedrasamba, anche perché come diceva Emma Goldman «se non posso ballare non è la mia rivoluzione». Mario Navari Associazione Sinistra Lavoro Zanzariere Anche la Macedonia si appresta ad erigere un muro per fermare i migranti che transitano dalla Grecia sperando di raggiungere una possibilità di vita nella "ricca" Europa. Se la cosa non fosse tragica potrebbe risultare comica, davanti a un fenomeno dalle dimensioni inaudite si cerca di fermarne gli effetti senza far niente per risolvere le cause. Si rassegnino i vari fautori delle barriere, il mare non lo argini con una zanzariera, ci si dovrebbe rendere conto che quello che sta succedendo non è che la punta di un iceberg immenso. Il continuo impoverimento di una fetta sempre maggiore di popolazione a vantaggio di pochi privilegiati porta, inevitabilmente, a fenomeni incontrollabili. Non si può sperare che intere popolazioni accettino di morire di guerra o di fame senza "infastidire" la vita di chi dalle loro disgrazie ha tratto, e trae ancora, la linfa della sua prosperità. La tragedia si potrà evitare solo con una più equa distribuzione della ricchezza. Mauro Chiostri Il nostro presidente del Consiglio è la rappresentazione vivente, assai preoccupante, di un governare indipendente dalle (poche) cose che si fa e dalle (molte) cose che si devono fare. La fiducia dei cittadini è sostituita dalla curiosa percezione psicologica, non esattamente una convinzione, che non esista altra soluzione. Sul piano delle qualità personali il presidente Renzi ha, per dirla in gergo universitario, tutte le «mediane»: né bello né brutto, né simpatico né antipatico, né colto né incolto, intelligente piuttosto che stupido, esperto di tutto e di niente. Partecipasse a un concorso, un idoneità accademica, in qualsiasi materia, sarebbe sua di diritto. La difficoltà enorme che devono affrontare i suoi critici è la loro convinzione che lui esista. Ben inteso una persona reale chiamata Matteo Renzi è presente tra di noi e fa la sua vita. Respira, mangia e beve, si gode i panorami, ha le sue preoccupazioni e le sue intuizioni, sogna e fantastica, ama i suoi figli e sua moglie e ne prende cura. Non è peggio di tanti ed è meglio di molti. Le qualità che più gli hanno permesso di fare strada nella vita pubblica sono la fede assoluta in sé e la spregiudicatezza. La sua faccia da bravo ragazzo fa stare tranquilli i suoi concorrenti, quando dovrebbero essere molto irrequieti. Tuttavia nulla di VERITÀ NASCOSTE Il «Segno dei Tempi» Sarantis Thanopulos questo gli avrebbe permesso di andare molto al di là della pur importante carica di sindaco di Firenze, se le circostanze della vita sociale e politica non avessero fatto di lui «Il Segno dei Tempi». Come segno dei tempi nel campo politico, si intende abitualmente la fortuna di certi movimenti o uomini i quali seguono le correnti che le circostanze socioeconomiche e culturali creano in un dato momento. Lavorando in superficie e evitando di affrontare ciò che si agita in profondità, con un approccio che esalta la tattica e rifugge la strategia, vanno a gonfie vele finché la corrente a cui si adattano va per il suo verso. Contraddirli pone i coraggiosi che vi si avventurano nella posizione sgradevole di chi «rema contro». Remare contro, per quanto faticoso possa essere, non è un impresa impossibile ed è la premessa, a volte dall esito felice a volte no, di ogni vera trasformazione. Se tutti remassero secondo la corrente del momento la vita sarebbe un agitazione ingannevole, un incresparsi dell acqua in superficie. L opportunismo che parassita ogni epoca, sguazzando nelle sue contraddizioni, è un nemico del cambiamento da non sottovalutare ma non imbattibile. È rappresentativo del quieto vivere, prospettiva pericolosamente illusoria, ma non merita veramente l appellativo sinistro di «Segno di Tempi». Quest ultimo ha un significato diverso dall adagiarsi alle circostanze, sfruttando i vantaggi a breve termine che ciò comporta. Indica una situazione, che annuncia catastrofi, in cui l inerzia di un epoca, il nucleo oscuro di immobilità che resiste alle trasformazioni, si impadronisce degli uomini (delle loro emozioni e pensieri) e li paralizza. Si vive incantati, pensando di muoversi, ma il tempo non scorre. Matteo Renzi è incastrato nello sfondo melmoso della storia è più si agita, più si impiglia. Prendersela con lui o difenderlo non ha molto senso. Si rischia di restare impigliati insieme a lui. I tempi di oggi vivono nella sospensione dello scambio reale con l altro. Costui o è demonizzato e fatto fuori nel modo più radicale possibile (in silenzio o con clamore) o è esorcizzato nella sua diversità, assimilato nella nostra immagine e correttamente posizionato in un mondo di cloni. Svegliarsi è possibile e necessario perché questa "nuttata" non è fatta per passare.

15 SABATO 22 AGOSTO 2015 il manifesto pagina 15 C È VITA A SINISTRA Alleanze sociali bussola di quelle di governo UNA FASE COSTITUENTE Ci vuole un soggetto che marchi il campo DALLA PRIMA Marco Doria Ovvero di chi ritiene che compito imprescindibile della sinistra sia anche, se non soprattutto, quello di affrontare le questioni del governo e dunque di proporsi come credibile forza di governo. Alcune questioni sono ineludibili. Le affronto con la sintesi obbligata dallo spazio assegnatomi. Primo punto: i conti pubblici e il loro equilibrio. Credo che il livello della spesa pubblica non vada aumentato. La pressione fiscale complessiva è già alta (su questo la percezione e il pensiero dei cittadini sono largamente concordi) e non credo che aumentare l'indebitamento sia saggio. Subiamo oggi le conseguenze delle politiche finanziarie degli anni Ottanta, quelle dei governi del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani), che fecero esplodere il nostro debito pubblico. Tenerlo sotto controllo è un dovere nei confronti delle giovani generazioni che già stanno pagando gli effetti delle politiche del passato. Dunque invarianza o tendenziale riduzione della pressione fiscale; certo si tratta di essere efficaci nel contrasto all'evasione e nell'impostare delle patrimoniali capaci di colpire le diverse forme della ricchezza, ma dobbiamo sapere che le imposte dovranno essere pagate da una vastissima platea di cittadini, compresi coloro che possono ricondursi al variegato ceto medio e alle classi popolari. Che dire a questo riguardo delle imposte sulla casa? Mi preoccupa il silenzio della sinistra al riguardo. Eppure è una questione cui tutti sono sensibili. Che ne pensiamo dell'imu e della Tasi? Credo che siano essenziali per tenere in piedi le finanze dei Comuni. Possiamo certo discutere delle proposte, ancora meglio quando saranno definite, del governo in materia di Local Tax, ma dobbiamo farlo senza giocare solo di rimessa. Tutto ciò avendo chiare le destinazioni prioritarie della spesa che deve essere volta innanzi tutto al soddisfacimento di bisogni essenziali e a sostenere, con criteri di equità, le parti più deboli della popolazione (da non confondersi Lavorare per la ricostruzione di quei pezzi di società con cui si vuole costruire il cambiamento. Il centrosinistra nei comuni e nelle regioni sono la scelta obbligata come l emergenza immigrati dimostra con gruppi che godono di garanzie e di posizioni di, per quanto relativo, privilegio). La questione fiscale si lega a quella della riqualificazione della spesa pubblica. È doveroso fare la battaglia per ridurre le spese militari, così come è giusto, al netto dell'abbondante demagogia che accompagna il tema, porsi l'obiettivo della riduzione dei costi, non di rado indecenti, della politica. Ma questo non può bastare. La spesa pubblica è caratterizzata nella sua composizione da un notevole grado di rigidità. Riallocare le risorse, senza compromettere gli equilibri dei conti, non è semplice e richiede determinazione e gradualità (e volontà-capacità politica di superare le resistenze diffuse che si incontrano ogni volta che si procede in tale direzione). Il diverso impiego delle risorse (quelle date, ripeto, e non quelle che nel mondo dei sogni si vorrebbero avere) ci rimanda a un percorso che porti a una maggiore efficienza della amministrazione pubblica. Il tema della riforma della pubblica amministrazione, di cui da decenni si parla, è fondamentale e deve essere affrontato assumendo quale obiettivo prioritario cui tendere la migliore qualità dei servizi che si offrono ai cittadini utenti e contribuenti. Anche in questo caso le resistenze diffuse che si devono affrontare qualora ci si accinga a tale impresa sono grandi. Sono consapevole che il tema non consente semplificazioni, di ogni taglio, e che debba essere affrontato puntualmente. Anche su questo terreno le forze di sinistra devono misurarsi. Le questioni che ho sollevato e la capacità di proporre per esse soluzioni adeguate determinano il sistema di alleanze (sociali) che si vogliono costruire andando a intercettare persone e gruppi in una società sempre più frantumata. Penso sia inevitabile prendere atto di un processo di scomposizione (peraltro già avanzato) e favorire una ricomposizione di pezzi di società (un tempo si sarebbe parlato di "blocco sociale", anche se oggi il termine dal grande valore interpretativo mi appare un poco datato) con cui si vuole costruire il cambiamento. Alleanze, o consenso, sociali non possono essere disgiunti dalla prospettiva di alleanze politiche. Guardando all'italia del 2015 vedo situazioni differenti. A livello nazionale il centro sinistra è spaccato. Governa invece in numerose realtà locali, nei comuni e nelle regioni. Non vedo praticabili alternative a governi di centrodestra o di 5Stelle che non siano in generale di centro sinistra. E considerando quello che centrodestra e 5Stelle esprimono non ho dubbi in proposito. Con una battuta, io sto in modo convinto con Zingaretti ed Emiliano e mi contrappongo a Polverini e Fitto e ai 5Stelle. Anche questi percorsi sono da costruire e non possono certo essere dati per acquisiti. Ma che siano percorsi obbligati me lo dimostrano, ad esempio, le vicende (estive e strutturali al tempo stesso) della drammatica emergenza emigranti che stiamo affrontando, faticosamente, come amministratori locali col governo e le sue articolazioni, con l'ostilità delle destre e l'ambiguità o il silenzio dei 5Stelle. Molto altro ci sarebbe da dire rispetto al ruolo della sinistra nella nostra società e nel nostro mondo, ricordando sempre che siamo parte di quel Nord del mondo al quale guardano e verso il quale si dirigono tanti "dannati della terra", come li definì Frantz Fanon. Ho voluto soffermarmi su alcuni temi che una sinistra che voglia governare, come è giusto che sia, deve inevitabilmente affrontare. Le recenti vicende della Grecia, le difficoltà affrontate e le scelte compiute dal governo Tsipras, ci fanno capire quanto tali compiti siano difficili e non siano praticabili facili scorciatoie. Fabio Vander N ell importante editoriale di monaci, folli, bucanieri, anarchici, avvio di questa discussione teatranti». Ho l impressione che Norma Rangeri invita a riconoscere con questi schemi e questo modo «l urgenza di trovare for- me, obiettivi, unitari» per una sinistra capace di «alternativa politica oggi e di governo domani». Dunque alternativa e governo le parole chiave. Dichiaro subito la mia posizione: occorre costruire un nuovo partito della sinistra italiana. Un partito del lavoro e dei saperi, dei diritti sociali e civili, della giustizia, della libertà. Pacifista e internazionalista, europeista ma critico dell Europa del neoliberismo e della Troika. Un partito del socialismo (bene ha fatto Vittorio Melandri a ricordare l attualità del termine), nel senso proprio di critica del capitalismo e di processo di liberazione. Naturalmente un partito non si improvvisa, dunque occorrerà lanciare in autunno una fase costituente, in cui dovranno farsi scelte, dare il senso di una prospettiva, stabilire scadenze (politiche possibilmente, prima che elettorali), elaborare un programma fondamentale. Ma dovrà iniziarsi anche la «costruzione di un nuovo gruppo dirigente», come saggiamente ricorda Alfonso Gianni (ma ne aveva già parlato giorni fa Michele Prospero, sempre sul manifesto). Ai partitini ancora esistenti deve chiedersi qualcosa di più della semplice "generosità". Intanto l autocritica per gli errori di questi anni, che tanto hanno contribuito alla scomparsa della sinistra italiana, per poi mettersi discretamente a disposizione del processo costituente del nuovo partito. Al quale però, resto dell idea si dovrà aderire a titolo personale, individuale e non per sommatoria di pezzi di ciò che di ragionare non andiamo da nessuna parte. Limiti evidenziati anche dall intervento di Bertinotti, fermo ad una retorica dell "evento" di scuola francese (stavolta il citato è Badiou), che ha uno schietto taglio nichilista-spontaneista-antipolitico; una subcultura che è tanta parte della scomparsa proprio della Rifondazione di Bertinotti. Notevole invece l intervento di Franco Monaco, assai opportunamente ospitato dal giornale. Il fatto che, un ulivista classico, che ha condiviso tutta l avventura di Romano Prodi, riconosca che forse è meglio reintrodurre il trattino fra centro e sinistra, che affermi altresì la necessità di ricostruire un partito (usa precisamente questo termine) «dichiaratamente di sinistra, con cultura di governo e informata ad un riformismo forte», è cosa che dovrebbe far riflettere tutti noi. Dovrebbe essere uno stimolo a fare e a fare presto e bene. Forse è anzi il segno che un ciclo si sta chiudendo e che un altro se ne può aprire. Ci vuole però un soggetto che marchi il campo, che imponga al dibattito politico un altra idea di politica e di democrazia (conflittuale, dell alternativa, della netta separazione fra destra e sinistra), ma anche di Italia e di Europa. Ha ragione Guido Liguori a dire che non dobbiamo semplicemente copiare Syriza (o Podemos). Sarebbe un modo provinciale di impostare il discorso. Piuttosto si tratta di trovare una vita italiana alla rinascita della sinistra. Per tutto questo è però importante resta di gruppi dirigenti. partire subito, stabilire Discutibile mi è parso invece il contributo di Pasquale Voza che da una parte richiama Dardot e Laval, che però alla «gabbia d acciaio europea» oppongono una anarchica (e impolitica) «auto-istituzione della società», dall altra rivendica la necessità di «inventare politicamente il popolo», petizione che ricorda però il vecchio demiurgismo e dirigismo della dottrina delle élite (senza voler scomodare Lenin). Comunque il contrario di una corretta concezione della democrazia e della dialettica alto-basso. Anche Gianandrea Piccioli rifiuta la forma-partito ma per invocare «piccoli gruppi -minoranze intellettuali, un agenda, assumersi responsabilità, evitare iniziative sfilacciate (per esempio presentare i referendum o le posizioni "no euro", senza dibattito e senza condivisione). Se qualcuno parlasse, facesse proposte, si consultasse prima di muoversi per suo conto, saremmo già sulla buona strada per la formazione di una nuova comunità politica. In conclusione il futuro della sinistra italiana dipenderà dai programmi che si darà e dal ruolo che saprà disimpegnare. Ciò che si è dipende da ciò che ci si mostra in grado di fare. La funzione crea l organo. A ben vedere: niente ideologia, né politicismo. il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, Roma via A. Bargoni 8 FAX , TEL REDAZIONE redazione@ilmanifesto.it AMMINISTRAZIONE amministrazione@ilmanifesto.it SITO WEB: IBAN: IT 30 P COPIE ARRETRATE 06/ arretrati@redscoop.it STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via Aldo Moro 4, Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl poster@poster-pr.it SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. Bargoni 8, Roma tel , fax TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 e a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450e a modulo finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore e, b/n e posizione di rigore più 15% pagina intera: mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660 x 455 iscritto al n del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge n.250 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. 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16 pagina 16 il manifesto SABATO 22 AGOSTO 2015 L ULTIMA Serie A, oggi si riparte. Con la Juve che la smette di essere l eterna favorita. Dopo un'estate di figuracce e di acquisti ipervalutati che ha fatto registrare uscite per mezzo miliardo di euro dalle casse dei club italiani, neanche fossimo nella ricca Premier League, l Inter può sperare in Kondogbia, il Milan in Bacca e la Roma in Dzeko Nicola Sellitti S erie A, poche ore e si parte. Ecco gli anticipi Verona-Roma e Lazio-Bologna dopo un'estate di acquisti ipervalutati, di un mercato che ha fatto segnare uscite per mezzo miliardo di euro, sulla scia della ricca Premier League. In mezzo, l'arrivo ancora non certo, perché carta o in questo caso un assegno coperto, canta della proprietà cinese al Milan, l'ormai Godot-Mr. Bee, la rivoluzione all'inter di Erick Thohir, la Juventus che perde Pirlo, Tevez, Vidal. E l'immancabile presenza del calcioscommesse che per poco non ha imposto una nuova riscrittura (e una partenza rinviata) del torneo. Tutti allo stadio o davanti a tv, pc, ipad senza dimenticare le batoste rimediate dai club italiani nelle amichevoli in giro per il mondo, dall'australia agli Stati Uniti sino alla Cina. Figuracce che forse ridisegnano la griglia delle favorite per lo scudetto e la zona Champions League. E già che ci siamo, la scatola nera non ha cancellato la terribile figura della Lega Calcio per la finale di Supercoppa italiana a Shanghai tra Juventus e Lazio, giocata su un campo di quinta serie con la tv cinese presa in giro sul web per la pessima qualità delle riprese. In attesa del fischio d'inizio delle partite, a poco più di dieci giorni dal fischio finale del mercato, che potrebbe riservare qualche arrivo di livello, soprattutto alla Juventus, gli stessi bianconeri non sono EDIN DZEKO, NUOVO CENTRAVANTI DELLA ROMA. SOTTO, KONDOGBIA (INTER) E BACCA (MILAN). A DESTRA IL PRESIDENTE DEL CATANIA PULVIRENTI. IN BASSO STEFANO CUSIN Michele Giorgio HEBRON S ono giorni di gloria per il mister italiano Stefano Cusin. Già allenatore vincente in Africa e in vari Paesi del Medio Oriente, Cusin ha aggiunto alla lista dei suoi successi anche la Supercoppa palestinese. Alla guida dell Ahly al Khalil, team della città cisgiordana di Hebron, battendo 2 a 1 lo Shujayea di Gaza, ha conquistato il trofeo più prestigioso del calcio palestinese. Un traguardo che è coinciso con la prima finale disputata in 15 anni da un team della Cisgiordania e uno di Gaza. Le autorità di occupazione israeliane dopo il 2000 non avevano più consentito lo svolgimento del match palestinese. Lo abbiamo intervistato in una pausa degli allenamenti. Non è la Serie A però ti abbiamo visto entusiasta per la vittoria del campionato di calcio palestinese al primo colpo. Mi era già capitato in Libia nel quando ho vinto subito il campionato, la coppa nazionale e la Supercoppa. Però era un altro contesto, quello era un team forte da sempre e attrezzato per vincere. Ne fui felice ma furono sensazioni diverse. Invece in questo caso (qui in Palestina, ndr) prendere una squadra in corsa, che non aveva mai conquistato nulla nei suoi 42 anni di storia e riuscendo a vincere proprio Palla AL CENTRO più i favoriti per lo scudetto, sarebbe il quinto in fila. Sono arrivati calciatori di livello europeo come Khedira (spesso, troppo spesso infortunato), Mandzukic, Alex Sandro, forse il futuro terzino sinistro più forte in Europa, poi Dybala che per metà stagione a Palermo ha fatto voltare le teste dei top club europei, Rugani e Zaza. E la società bianconera, dopo un ciclo vincente con la finale di Champions League persa contro il Barcellona ha saputo cambiare, rinnovarsi, diversamente dall'inter del Triplete Ma il peso specifico degli assi che hanno lasciato Torino, nonostante la presenza dello zoccolo duro, Buffon, Chiellini, Bonucci, Barzagli, Marchisio, rischia di pesare nel breve periodo. Solo l'acquisto di un top player in fase offensiva, un 10 classico oppure un'ala in grado di rovesciare il tavolo può rimettere la Juve davanti a tutte, mettendo un attimo da parte l'emergenza infortuni che ha messo per ora out Khedira, Marchisio, Morata. La vera favorita per il titolo è la Roma. E non perché, forse per la prima volta, nei campetti virtuali dei vari quotidiani non c'è Totti tra i titolari. Anzi, il capitano giallorosso, con minuti di qualità nelle gambe a 39 anni potrebbe davvero essere il valore aggiunto, concentrato in pillole di carisma e talento in un attacco stellare. E' arrivato Edin Dzeko, un piacere da vedere per i puristi del gioco, gol, assist, tecnica, forza fisica. Assieme a Kondogbia, la merce migliore arrivata in A. Ed è sbarcato a Roma dopo una sceneggiata che non ha portato dividendi proprio a nessuno, anche Salah. La Roma è riuscita anche ad autofinanziarsi, perdendo Romagnoli e Bertolacci, carte sicure per un futuro di qualità, ma il presente vale il prezzo del biglietto all'olimpico. Solo Rudi Garcia e il rapporto divenuto complesso con la proprietà possono rovinare il piano romanista. Dietro alla Roma, sullo stesso piano della Juve il Napoli di Maurizio Sarri. L'uomo della rivoluzione proletaria applicata al pallone: corrono tutti, soprattutto chi guadagna di più. Sarri che legge gialli e sa di cinema, spiega il presidente De Laurentiis. Il figlio della Bagnoli operaia al posto dell'aristocratico Benitez, che tra pregi ed errori era riuscito, soprattutto nel suo primo anno napoletano, a dare un gioco e una prospettiva internazionale al club azzurro. De Laurentiis finalmente ha centrato il mercato, riportando a casa un portiere vero (Reina), un centrale difensivo solido (Chiriches), centrocampisti di spessore, Valdifiori e Allan, con Hamsik di nuovo mezzala e Insigne provato dietro alle punte. Poi toccherà a Higuain mostrare di essere il più forte calciatore del campionato. Lo era anche l'anno passato, con un finale rovinoso che è costato l'europa e tanti soldi al Napoli. Se quest'anno l'argentino ingrana la marcia (la passata stagione 30 reti senza mai mettere la quarta) e Sarri è in connessione sentimentale con De Laurentiis, gli azzurri sono almeno da podio. Sulle milanesi invece giudici ancora riuniti. Sulla carta l'inter sarebbe da zona Champions League, riscritta più volte da Mancini come un copione mai davvero convincente. Kondogbia un giovane Yaya Touré -, Murillo, Miranda, Jovetic. Forse anche Perisic. Pezzi di qualità ma Mancini appare ancora lontano dall'assetto definitivo, perennemente alla ricerca di acquisti poi rinnegati come Shaqiri, INTERVISTA L allenatore dell Ahly al Khalil racconta i suoi giorni di gloria in una terra difficile La Palestina vincente di Cusin Scudetto, coppa e supercoppa al primo colpo con la squadra di Hebron: «Anche in piccole realtà se fai un lavoro serio alla fine ottieni dei risultati» calcio spedito in Inghilterra dopo appena sei mesi di convivenza. Mentre a Milanello, dopo la corte fallita ad Ancelotti si ci aggrappa alla grinta di Mihajlovic per ridare anima ai rossoneri. Bacca, Luiz Adriano, Bertolacci, Romagnoli, quartetto di valore ma manca ancora spessore, difensori e un regista da Milan. Aspettando Ibrahimovic, che da Parigi manda segnali e manda in azione Mino Raiola, che non da tempo non vive l'estate senza una commissione a vari zeri. Ibra racchiude speranze, per alcuni certezze di ritorno ai piani alti. A 34 anni sarebbe di nuovo la zattera cui appigliarsi. Forse troppo, anche se è ancora un top player. Tra le altre un passo dietro la Lazio, che ha dato un senso alla grande cavalcata della passata stagione vincendo la gara d'andata (1-0) all'olimpico contro il Bayer Leverkusen, preliminari di Champions League. Se a Lotito riesce il balzo ai gironi, servirà investire, parecchio. Ai laziali mancano alternative per le due competizioni, qualità e quantità per non ripetere l'exploit negativo dei cugini romanisti in Coppa, insidiati nelle loro certezze dall'1-7 contro il Bayern Monaco, poi eliminati, primo atto della discesa da gennaio a maggio, nonostante il secondo posto finale alle spalle della Juventus. A Firenze c'è invece il nuovo corso Paulo Sousa, con il tiki taka in panchina, ritmi alti, verticalizzazioni e fiducia nei giovani Babacar e Bernardeschi. Poi c'è Giuseppe Rossi, uno di quelli da ammirare davanti alla tv o sugli spalti, come Cassano, di nuovo alla Samp nella stramba sceneggiatura di Ferrero per convincere il ct Conte a riservargli una casacca agli Europei francesi. all inizio la coppa di lega e poi in successione la coppa nazionale a maggio e la supercoppa adesso, ha generato in me un crescendo di emozioni. Questa è una terra difficile, contorta, con contrapposizioni di ogni genere e ho avuto la netta sensazione che queste vittorie abbiamo contributo a rinsaldare l unità tra i giocatori e tra la gente di Hebron. Tutti erano dietro la squadra. Perciò questa vittoria ha un sapore molto forte, incredibile. Qual è stato il segreto di questo successo? Qualcuno dice che un successo nasce dall incontro di una idea con una opportunità. Noi allenatori italiani siamo in possesso di una solida cultura calcistica, molto avanzata, e il fatto di aver potuto impiegare metodologie di lavoro all avanguardia grazie a un preparatore atletico italiano e di aver integrato lo staff con altri professionisti, ha permesso di dare alta qualità agli allenamenti. Più di tutto abbiamo avuto giocatori palestinesi che si sono messi completamente a nostra disposizione e una società che aveva fame di vittorie. Prima hai accennato alla complessità di questa terra. Che sensazione ti ha fatto essere ricevuto dai leader di due entità politiche contrapposte in Cisgiordania e a Gaza. Mi sono sentito un privilegiato. Prima sono stato invitato a cena dal capo (Ismail Haniyeh di Hamas, ndr) di un partito importante a Gaza e subito dopo dal presidente dell Anp Abu Mazen. Questi due leader, che hanno idee contrapposte, durante gli incontri non hanno parlato mai di politica. Abbiamo discusso solo di calcio, di sport, del futuro dei giovani, di sviluppo. Mi hanno fatto delle domande riguardanti la tattica e la tecnica del calcio, è stato bellissimo. Questo conferma ciò in cui credo, ossia che lo sport riesce ad andare oltre tante cose, la politica, la religione, il colore della pelle. Perché un allenatore bravo come te, che potrebbe ottenere contratti importanti con club prestigiosi, sceglie Hebron con un ingaggio modesto. È la passione per il calcio e lo sport. La passione va oltre l aspetto economico. Ho letto con piacere qualche giorno fa la dichiarazione dell allenatore del Napoli Sarri che diceva «sono retribuito per svolgere un lavoro che farei gratis». Ecco, la passione è fondamentale. Io trovo gli stimoli giusti nella sfida, nel superare le difficoltà. Il mese scorso ho provato un orgoglio immenso quando abbiamo disputato delle partite amichevoli in Italia giocandocela alla pari e perdendo di misura con team come Bologna e Atalanta. Certo gli avversari erano all inizio della preparazione ma in quei giorni i miei giocatori di Hebron osservavano il Ramadan, quindi digiunavano (dall alba al tramonto, ndr). Abbiamo dimostrato che anche in piccole realtà della Palestina se fai un lavoro serio e importante alla fine ottiene dei risultati. Dopo questo successo qualcuno sussurra che Stefano Cusin diventerà allenatore della nazionale della Palestina. (Pausa)... Ho incontrato più volte il presidente della Federazione calcio palestinese (Jibril Rajoub, ndr), so che mi stima e che ha molta considerazione per i miei collaboratori. Non escludo niente. La mia vita è fatta di sfide. Perché no? Portare la Palestina a giocare da protagonista la Coppa d Asia o arrivare addirittura al Mondiale non è impossibile. Con un lavoro fatto seriamente nel calcio tutto è possibile. DIRTY SOCCER Partite truccate, chiunque può farla franca L' ultimo grido del calcioscommesse è il pentimento. Si confessa, si collabora, in cambio gli sconti di pena. Il Catania che è rimasto in Serie B grazie alle partite acquistate dal presidente Pulvirenti cinque, 100 mila euro per ogni tre punti per volere della Procura della Figc non è finito in serie D, come altri club coinvolti, Teramo e Savona per esempio, ma in Lega Pro con 12 punti di penalizzazione nella maxinchiesta, operazione Dirty Soccer, messa assieme dagli inquirenti di Catanzaro. E lo stesso Pulvirenti deve scontare cinque anni di squalifica, con un'ammenda record da 300 mila euro. Il presidente del Catania ha fatto nomi, vuotato il sacco: tra non molto si saprà qualcosa sui nuovi scenari, con indagini in corso e atti secretati dalla Procura catanese. La sentenza arrivata dal Tribunale della Figc è poco più pesante e decisamente più equa - rispetto alle incredibili richieste del superprocuratore Stefano Palazzi, che voleva cinque punti di penalità per il Catania, retrocesso in Lega Pro. Quindi, per Palazzi il Catania con appena cinque punti di penalizzazione avrebbe pagato il conto, con tutte le chance di risalire subito nella categoria superiore, dopo aver coperto di ridicolo e fango il calcio italiano, mentre per il Teramo neopromosso in B, Savona e Torres, con i dirigenti che non hanno voluto collaborare, ora c'è la serie D. Alla faccia della coerenza. Non è facile comprendere cosa dovesse fare in più Pulvirenti per essere radiato. Per finire a ere geologiche di distanza dal calcio giocato. E dalle parti della Figc dovrebbe partire una lettera ai milioni di tifosi disgustati che stanno per mollare il pallone provando a spiegare perché la giustizia sportiva alimenti un senso così radicato di impunità. Chiunque può farla franca, anche truffatori sotto forma di presidenti, dirigenti, calciatori - che comprano partite, truccando i campionati, prendendo in giro chi paga il biglietto allo stadio oppure davanti a un divano. E la stessa sensazione di impunità si prova nel caso Lazio con Stefano Mauri, nel filone che fa capo alla Procura di Cremona, per riagganciarci alla Serie A che davvero ha rischiato di vedere rinviato l'inizio, con le posizioni a lungo pendenti dei biancocelesti e dell'atalanta. Sempre la Procura della Federcalcio non attiverà un processo bis nei confronti della Lazio e del suo ex capitano, subito tornato alla corte di Lotito che l'aveva piazzato in naftalina, in attesa delle decisioni della Procura cremonese. Mentre è stata disposta l'apertura di nuovo procedimento anche per Milanetto, Ferrario, Benassi e Rosati, finiti nei guai come Mauri per le nuove rivelazioni del capo degli zingari Ilievski. Solo l'ennesima prova che la giustizia sportiva italiana non funziona. Non può più andare avanti. E non basterà la cacciata di Palazzi già stabilita dal numero uno della Figc Carlo Tavecchio e del Coni Giovanni Malagò (in pole c'è l'ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro) per sanare incongruenze e ingiustizie degli ultimi anni. n. s.

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