Stereotipi e Pregiudizi. Donne: dalla crisi al cambiamento. Care amiche e cari amici,

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1 8 marzo 2012 Stereotipi e Pregiudizi Donne: dalla crisi al cambiamento Care amiche e cari amici, abbiamo sentito dalle nostre relatrici e dalla bella relazione di Maria Grazia quanto impegno occorra ancora per liberare la nostra cultura da pregiudizi e stereotipi. Ci è chiaro quanto sia inaccettabile interpretare gli stereotipi e i pregiudizi solo come un problema legato all'individuo, ma che ne vadano invece valutate le dimensioni storiche, culturali e collettive. L'incontro tra culture differenti, infatti, diventa critico nel momento in cui si afferma la certezza di ognuno di appartenere a un mondo di valori più giusto, migliore. Il nostro è un Paese prigioniero di questo pensiero che trae spunto dalle tradizioni peggiori, quelle legate alla paura delle differenze. Confermare e mantenere i ruoli di potere così come la storia li ha ordinati è una priorità maschile e a ciò corrisponde una forte sottovalutazione del ruolo sociale delle donne Abbiamo ribadito qui stamattina quanto il linguaggio, i mezzi di comunicazione, l insegnamento scolastico, l educazione, le abitudini, ecc. veicolino ancora molte distorsioni, ma anche quanto queste siano spesso lontano dalla realtà e dai desideri delle persone, in particolare in relazione alle differenze di genere. I pregiudizi e gli stereotipi che tendono a penalizzare e discriminare le donne rispetto agli uomini, sono tuttora molto attivi, lo sappiamo, nonostante le tante battaglie per l'uguaglianza e per una reale parità fra i sessi. Le battaglie delle donne vengono da lontano e ancora sono in corso. Ma mi piacerebbe pensare che questa oggi non sia una guerra, o una gara, dove tutte le donne si mettono in concorrenza con gli uomini oppure sgomitando tra loro per un posto di rilievo o di potere..magari lasciato libero da un uomo, o peggio ancora, promesso da un uomo. Vorrei fosse una battaglia alla luce del sole, una pacifica battaglia per rivendicare un posto nel mondo che sia rispettato e considerato. Sia esso nella famiglia, negli affetti, nelle relazioni, nel lavoro.

2 Rivendicare il proprio posto nel mondo parte dal principio universale di diritto alla vita e di riconoscimento sociale. Le donne in questo percorso di lotte per i diritti di uguaglianza lungo e difficile hanno conquistato il pieno diritto di cittadinanza sul piano legislativo: dal diritto al voto, a quello di essere elette, alla parità sul lavoro e nella società, dalla maternità alla riforma del diritto di famiglia, sino alla più recente legge sulla presenza di genere nei Consigli di Amministrazione. Le donne italiane sono ancora però il fanalino di coda rispetto alle donne europee che hanno raggiunto molti di questi diritti prima delle donne italiane. Nella società occidentale moderna, la discriminazione delle donne non è ammessa ed è anche ufficialmente combattuta, tuttavia ancora la nostra è da considerarsi una società a predominanza maschile, nella quale le regole della convivenza sono costruite a vantaggio e a misura dell'uomo. Basta osservare la struttura dell'occupazione per rendersene conto. Sappiamo che la percentuale di donne occupate è più bassa di quella degli uomini, così come le retribuzioni; che la presenza femminile è ancora marginale nella vita pubblica e nelle posizioni di alta responsabilità. E sappiamo che su di esse continua a gravare la maggior parte del peso dell'allevamento dei figli, dell'assistenza agli anziani, e in genere della conduzione della famiglia. Tuttavia qualcosa sta cambiando. Il percorso legislativo ha fatto e sta ancora facendo la sua parte. Ora siamo nella fase del riconoscimento di quei diritti. E un passaggio fondamentale, dalla conquista del diritto ora dobbiamo passare al riconoscimento sociale di quei diritti. E allora non possiamo ignorare quanto è accaduto alla politica. La caduta di un Governo che dell immagine femminile ne ha fatto un orpello estetico del potere, tentando di cancellare la storia delle conquiste femminili di questo Paese, facendoci attraversare dall idea che bastava essere tra le favorite del capo per fare carriera e contare.. Un passo di raro errore politico, tipico di uomini senza scrupoli che hanno perso la ragione e con quella anche la capacità di rappresentare il Paese e le sue cittadine e cittadini, che hanno risposto riempiendo le piazze italiane al grido di un altra storia è possibile. Ricordiamo le manifestazioni di piazza, a partire da Milano il 29 gennaio 2011 in piazza della Scala e poi quella del 13 febbraio, contro questo pesantissimo stereotipo rimesso in campo da una politica degenerata. Oggi il quadro politico è cambiato. La presenza di donne autorevoli nell attuale compagine di governo, ci dice che qualcosa di importante sta succedendo.

3 Tre donne si giocano ruoli di primo piano per il futuro del nostro Paese e a queste si affiancano la Segretaria Nazionale della CGIL Susanna Camusso e una donna alla guida di Confindustria, così come anche molte amministrazioni si sono impegnate a garantire la democrazia paritaria nelle giunte e non solo, così come è alle porte un progetto di legge bipartisan che prevede per le elezioni amministrative un meccanismo a garanzia di eleggibilità dei due generi non inferiore al 30 %. Succede quindi sotto questo cielo che qualcosa sta cambiando. Il mondo intero ha riconosciuto un fallimento storico, della politica da una parte e del sistema economico e finanziario dall altra. Oggi vediamo tutti i Governi di quella parte di mondo industrializzato teso in una corsa affannosa per tentare di riparare i danni prodotti dai decenni di malsano uso della finanza e di un impresa lasciata allo sbando di un mercato sempre meno regolamentato che oggi non tiene più il ritmo della concorrenza globale. Il Paese è cresciuto con l illusione che tutto fosse lecito pur di accumulare ricchezza: dal consumo irresponsabile del suolo, all inquinamento, all evasione fiscale e contributiva, all utilizzo delle persone come accessori precarizzati per far funzionare la propria impresa con i costi più bassi. Un Paese dove tutto veniva rappresentato come il paese delle meraviglie Quello dove ci si arricchisce più con la mancanza di rispetto delle regole che con l osservanza delle stesse. Ma qualcosa non ha funzionato, il meccanismo si è inceppato improvvisamente tutto è precipitato e ci siamo risvegliati. Ecco quindi che la crisi finanziaria ha funzionato da cassa di risonanza di tutte le distorsioni della società industriale, che, pur avendo contribuito negli anni ad alzare i livelli di benessere, oggi si sveglia con qualche bernoccolo in più in testa e molte certezze in meno. Possiamo definire questa crisi economica una opportunità?? In questo contesto abbiamo ancora una speranza?? Obiettivi, Sogni, Progetti?? Io penso proprio di si, ma solo se siamo coscienti che dobbiamo modificare molto di ciò in cui noi abbiamo creduto e agito sinora. Serve una vera rivoluzione delle tradizioni e della cultura generale. E in questa rivoluzione la parità sostanziale fra i generi è quanto mai necessaria. Servono interventi coraggiosi, a partire dal mercato del lavoro. Oggi la discussione in campo è importante, non possiamo sbagliare. Occorre intervenire concretamente sulla conciliazione fatta di più servizi e di adeguamento degli stessi e dei tempi alle necessità derivanti dalle attività lavorative.

4 Servono politiche organiche che consentano concretamente che la maternità non si tramuti in un evento che interdice la permanenza al lavoro, occupandosi di attività che accompagnino il rientro della lavoratrice madre con aggiornamento e formazione, che non ne impedisca la stabilizzazione, o la crescita professionale. Pari opportunità deve e può voler dire anche una qualità della vita e delle policy territoriali migliori, con veri e propri interventi che guardino ai contesti urbani, all organizzazione dei sistemi di servizi educativi, sociali, sanitari, culturali, che tengano in considerazione gli aspetti di genere. Puo voler dire rimettere in campo la legge 188, la legge contro le dimissioni in bianco. Può voler dire, rifinanziare la legge 125 e così pure la legge 53, rendendo obbligatorio e applicabile nella sostanza il congedo del padre, e infine può voler dire non mettere in discussione ciclicamente la conquista di alcuni diritti civili e del lavoro conquistati a favore della donna e della sua piena cittadinanza di donna madre e lavoratrice. Ribadiamo la necessità di un progetto per il Paese, che ridisegni non solo una missione produttiva dei territori e dei settori, ma che ricostruisca sul terreno della coesione sociale un profilo socioeconomico di sostenibilità anche ambientale che valorizzi il lavoro e la funzione sociale delle donne nella società. Penso al diritto alla maternità consapevole, alla democrazia paritaria, alla partecipazione delle donne al governo dei processi economico e sociali, alle norme sulla parità nei consigli d amministrazione. Conta anche quante donne vi sono, ma soprattutto quanto potere hanno effettivamente di essere agenti di trasformazione e cambiamento. E ora di ricostruire un pensiero condiviso, che metta in relazione analisi e proposte di intervento, ma soprattutto che renda manifesta l esigenza di approcciare ai temi di genere ed alle politiche di parità come concrete dimensioni di sviluppo e non come propaganda etica su cui riversare fiumi di parole in un contesto politico, sociale e produttivo che non risponde con atti concreti. Come sindacaliste e come donne pensiamo che si debba ripartire dal Lavoro per riunificare generazioni, nazionalità, saperi e movimenti di donne, per rilanciare sul terreno della rappresentanza, della partecipazione una cultura differente della cittadinanza a partire dall affermazione paritaria tra i sessi che cancelli discriminazioni, differenziali, segregazioni e separazioni, anche a partire dalla riduzione della precarietà del mercato del lavoro che vede donne e giovani maggiormente penalizzati.

5 CGIL CISL UIL saranno sempre in campo per riaffermare i diritti delle Donne, perché dalla crisi bisogna uscire con una prospettiva che parli di un futuro migliore, basato sull uguaglianza e sull equità. Il futuro non può che aprire orizzonti di novità e con queste di rispetto della dignità delle persone e dell ambiente che abitano, a partire quindi da un idea di impresa sostenibile. Cito un esempio di come le donne sono sensibili ai nuovi temi proposti anche dalle nuove generazioni. I temi della sostenibilità ambientale che coinvolgono tutte le nostre azioni quotidiane: Come cgil cisl e uil donne di Milano siamo presenti al tavolo del Comitato Imprenditoria femminile della camera di commercio, con Confartigianato, Adiconsum, Coldiretti e Moica abbiamo promosso un progetto che nel giro di un anno ha intervistato circa mille donne su questi temi e dalla nostra indagine è emerso un bisogno importante delle donne di favorire al massimo la cura della persona e dell ambiente. E emerso che dalla scelta dei mezzi di trasporto, alla scelta energetica, all acquisto consapevole, alla scelta del cibo ecc. può significare un nuovo mondo, una nuova storia. E allora questo Paese favorisca le imprese giovani, favorisca le donne, le risorse di cui siamo ricchi, favorisca il talento di chi si mette in gioco per sollevare il nostro Paese dal circolo vizioso delle irregolarità e della corruzione dentro il quale si è infilato. Parliamo alle donne giovani e meno giovani per incoraggiarle ad essere in prima linea nella ricostruzione di questa società che ha bisogno del loro talento e della loro forza creatrice. Le donne motori in campi differenti, dal lavoro alla casa, dall imprenditoria al consumo, dall educazione alla cura, possono svolgere un ruolo determinante in questo processo di cambiamento e di trasformazione culturale, impostando stili di vita e modelli di consumo dove la qualità della vita diventa bene comune. Le donne, generatrici di vita per natura e per istinto, possono essere il volano di un risveglio sociale ed economico necessario allo sviluppo di un mondo in grado di investire sulla centralità dell essere umano e delle sue radici. Le donne potenziali protagoniste di sostenibilità e di un rinnovato umanesimo, perché per noi UN ALTRA STORIA E POSSIBILE. Conclusioni Tiziana Scalco Segretaria cgil Milano

6 Monica Santoro, Università degli Studi di Milano Pregiudizi e stereotipi: donne: dalla crisi economica al cambiamento CGIL CISL e UIL Milano, 8 marzo 2012 STEREOTIPI ED EDUCAZIONE FAMILIARE Monica Santoro Università degli Studi di Milano Secondo la definizione di Lippmann, il concetto di stereotipo si riferisce a credenze, conoscenze e aspettative proprie del gruppo sociale di riferimento. Lo stereotipo quindi può essere considerato come una rappresentazione mentale di un gruppo sociale in contrasto con la rappresentazione esterna reale. Lo stereotipo di genere in particolare riguarda precise aspettative culturali rispetto alle donne e agli uomini in termini di personalità, apparenza, occupazione, competenze, abilità, interessi. Potremmo dire che, una volta interiorizzato, lo stereotipo è una lente deformante attraverso la quale la realtà sui generi viene interpretata e quindi distorta. Fatta questa premessa mi concentrerò sul ruolo della famiglia nel processo di socializzazione agli stereotipi di genere. Fin da piccolissimi apprendiamo le differenze tra come si devono comportare le bambine e i bambini. La differenza di genere viene evidenziata a livello simbolico fin dalla nascita con i diversi colori nell abbigliamento del neonato e della neonata, nell arredamento della cameretta e così via. Diversi studi in ambito sociologico e psicologico evidenziano come già a 2 anni e mezzo i bambini e le bambine mostrino una conoscenza anche rudimentale delle attività e degli oggetti legati all appartenenza di genere. La famiglia svolge in questo processo di apprendimento degli stereotipi un ruolo fondamentale per vari motivi. Innanzi tutto, è la prima istituzione o, in termini sociologici, la prima agenzia di socializzazione con cui un individuo viene a contatto. Questo fa sì che per un periodo, seppure limitato ai primissimi anni di vita, il bambino o la bambina considerino il mondo familiare come 1

7 Monica Santoro, Università degli Studi di Milano l unico mondo possibile, escludendo dal loro orizzonte cognitivo realtà differenti. Il mondo familiare poi è un ambito affettivo, carico di una dimensione emotiva difficilmente riproducile nelle esperienze relazionali future. Infine, nella famiglia il riconoscimento che l umanità ha due sessi diviene principio organizzativo sociale complessivo e struttura simbolica che ordina i rapporti sociali e i destini individuali. Luogo in cui i due sessi si incontrano e convivono, la famiglia è infatti anche lo spazio storico e simbolico nel quale, e a partire dal quale, si dispiega la divisione del lavoro, degli spazi, delle competenze, dei valori, dei destini personali di uomini e donne [ ]. È innanzitutto a livello della famiglia che l appartenenza sessuale diviene un destino sociale, implicitamente o esplicitamente normato, e che viene collocata entro una gerarchia di valori, potere, responsabilità (Saraceno C., Sociologia della famiglia, 1996). Come avviene il processo di socializzazione agli stereotipi di genere? Come si è affermato in precedenza, la teoria sociologica considera la famiglia come il più importante agente di trasmissione di valori e norme legate al genere, a cui corrispondono specifici atteggiamenti e aspettative comportamentali. La famiglia perciò promuove particolari modelli che il bambino e la bambina interiorizzano anche grazie all adozione da parte dei genitori di un sistema premi-punizioni, che, nel caso della socializzazione ai ruoli di genere, si esplicita attraverso la comunicazione verbale. Si elogiano perciò determinati atteggiamenti e comportamenti adottati dai figli o dalle figlie a seconda che siano conformi alle aspettative di genere. All opposto, si condannano comportamenti non conformi a questi modelli. Un esempio tipico è intimare ad una bambina di non fare il maschiaccio quando adotta comportamenti aggressivi. Questo tipo di appellativo nasconde in realtà l adesione allo stereotipo legato alla tradizionale dicotomia qualità maschili/qualità femminili. Seguendo tale stereotipo ci sono differenze naturali tra uomini e donne, in base alle quali gli uomini sono per natura aggressivi, indipendenti, capaci di imporsi; le donne, all opposto, emotive, sensibili, empatiche e docili. Come conseguenza, la maggiore attitudine degli uomini all autonomia e al comando li renderebbe portati a svolgere 2

8 Monica Santoro, Università degli Studi di Milano professioni direttive, mentre la maggiore sensibilità delle donne consentirebbe loro di essere particolarmente adatte a svolgere lavori di cura. Tratti di personalità culturalmente e socialmente trasmessi acquisiscono perciò carattere naturale, venendo percepiti come qualità date in natura e non acquisite fin dalla nascita attraverso i processi di socializzazione familiare. In seguito, queste caratteristiche, ormai cristallizzate in diversa misura a livello individuale, verranno ulteriormente rafforzate e confermate negli ambiti istituzionali con cui verrà a contatto il soggetto nell arco della propria esistenza, come la scuola e l ambito lavorativo. Non esistono tuttavia prove scientifiche certe rispetto a predisposizioni particolari dei due generi. Ad esempio, gli studi che hanno testato la presenza di diverse attitudini tra i generi a livello scolastico hanno smentito la maggiore predisposizione dei ragazzi verso le materie scientifiche e delle ragazze verso quelle umanistiche. Oltre al ruolo svolto dalla comunicazione verbale, il modello adottato dai genitori nella gestione dei compiti familiari costituisce un importante fattore di trasmissione degli stereotipi di genere. Vivere in una famiglia dove la divisione dei ruoli familiari tra i partner è tradizionale rappresenta un modello che i figli e le figlie tenderanno a riprodurre nella loro famiglia di elezione. Va precisato tuttavia che la famiglia non è l unica agenzia di socializzazione che influisce sulla costruzione degli stereotipi di genere. Lo sono anche i mass media, con i quali i/le bambini/e oggi vengono a contatto in età precocissima, e la scuola. Queste due agenzie rafforzano le rappresentazioni stereotipate di genere. Il processo di socializzazione al genere è poi un processo dinamico che varia da cultura a cultura, che subisce variazioni nel corso del tempo a seconda delle trasformazioni sociali e culturali in atto. Non va trascurato infine l aspetto relazionale. Qualsiasi processo di socializzazione avviene in un ambito relazionale in cui persiste una dimensione negoziale. I bambini e le bambine non sono soggetti passivi, bensì persone attive che possono rifiutare, apportare delle 3

9 Monica Santoro, Università degli Studi di Milano modifiche ai modelli appresi, superando così in parte la rigidità delle strutture di genere. Per concludere vorrei richiamare l attenzione su qualche dato. Tutte le ricerche sulla ripartizione dei compiti domestici tra partner in Italia evidenziano come il carico di lavoro familiare gravi soprattutto sulle donne. Le donne italiane hanno un carico di lavoro familiare maggiore rispetto a quello delle altre donne europee. Questa divisione asimmetrica dei compiti si riproduce anche nell educazione dei figli e delle figlie. Sebbene si sia registrato un lieve miglioramento nell arco di un decennio (dal 1998) a favore di un maggiore coinvolgimento dei ragazzi in alcune attività domestiche, le ragazze tra i 6 ed i 17 anni risultano sempre più coinvolte nelle attività familiari, specie nella cura dei familiari più piccoli, nel rifarsi il letto, riordinare, aiutare a cucinare e fare le pulizie, lavare i piatti. Ai maschi invece viene affidato prevalentemente il compito di buttare la spazzatura, svolgere lavoretti di riparazione e fare qualche commissione, tutte attività tipicamente maschili (tab.1). Tab. 1 Bambini e ragazzi di 6-17 anni per attività svolte abitualmente in famiglia e genere Anni 1998, 2005, 2008, 2011 (per 100 bambini e ragazzi di 6-17 anni dello stesso sesso) 4

10 Monica Santoro, Università degli Studi di Milano Questo quadro evidenzia chiaramente come ruoli e compiti di genere vengono appresi e perpetuati proprio all interno della sfera familiare. Ciò si manifesta anche nell educazione alla gestione del denaro. Ad esempio, indipendentemente dalla condizione socio-economica dei genitori, i ragazzi ricevono paghette più sostanziose e con scadenza regolare rispetto alle ragazze che, invece, ricevono meno denaro e su richiesta. Coerentemente con queste differenze, i ragazzi vengono spronati a guadagnare, mentre le ragazze a risparmiare. I modelli educativi riproducono così la tradizionale divisione dei compiti familiari tra i generi: l uomo capofamiglia procacciatore di reddito e la moglie dedita alla gestione (oculata) del bilancio familiare. 5

11 8 MARZO 2012 relazione PER CGIL CISL UIL Pregiudizi e stereotipi Donne: dalla crisi economica al cambiamento. STEREOTIPI E PREGIUDIZI Secondo la psicologia sociale uno stereotipo è un insieme di credenze, di rappresentazioni semplificate della realtà, in base alle quali un gruppo sociale attribuisce determinate caratteristiche a un altro gruppo di persone. L uso del termine stereotipo risale al 1700 e veniva utilizzato dai tipografi per indicare la riproduzione delle stampe tramite lastre fisse. La parola di origine greca ( stereos=rigido e topos= impronta) viene introdotta per la prima volta nelle scienze sociali nel 1922 da Walter Lippmann, giornalista statunitense che aveva lavorato a uno studio sui processi di formazione dell opinione pubblica. Secondo Lippmann il rapporto conoscitivo con la realtà esterna non avviene in maniera diretta, ma in maniera mediata dalle immagini mentali che, di quella realtà, ciascuno si forma. Tali immagini (gli stereotipi, appunto) non sono altro che delle semplificazioni grossolane e rigide, che ci costruiamo come scorciatoie per comprendere la complessità del mondo esterno. Proprio la rigidità intellettuale e la scarsa elasticità, ci fanno pensare per categorie, ci fanno applicare le nostre mappe mentali alla realtà, ci fanno ricorrere a luoghi comuni e opinioni non verificate. Caratteristica degli stereotipi è la loro persistenza, anche attraverso le generazioni, quasi indifferenti alla realtà che nel frattempo si evolve e modifica le condizioni in cui avevano avuto origine e senso. Gli stereotipi circolano ripetutamente e sistematicamente nella cultura, tanto da essere accettati da tutti, anche da chi li subisce, come la verità del senso comune. Questo produce l effetto che gli stereotipi possono essere sentiti come strumenti utili per la comprensione della realtà e difensivi rispetto alla propria identità. E vero che gli stereotipi derivano da un modo normale di funzionare della mente umana: per noi è naturale classificare il contesto prima di agire. Il problema nasce quando le categorie mentali si solidificano in mappe congelate che ingessano il modo di classificare la realtà.

12 In psicologia, similare allo stereotipo, ma con una connotazione più negativa, è il pregiudizio. Esso è un opinione preconcetta concepita non per conoscenza precisa e diretta del fatto o della persona, ma sulla base di voci e opinioni comuni. Secondo la concezione più recente, il pregiudizio è un giudizio immotivato, di idea positiva o negativa degli altri (generalmente negativa), senza una ragione sufficiente e che resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze. Anche il pregiudizio, come lo stereotipo, ha alla sua base le categorie mentali. La mente umana, come già detto, pensa con l aiuto delle categorie. Ma una conseguenza del pensare per categorie è la produzione di distorsioni, sia minimizzando le differenze (per assimilazione) sia esagerandole (per contrasto). STORIELLA YDDISH. STEREOTIPI DI GENERE Gli stereotipi di genere sono una sottoclasse degli stereotipi. Quando si associa, senza riflettere, una categoria o un comportamento a un genere, si ragiona utilizzando questo tipo di stereotipo. Gli esempi sembrerebbero banali, ma non è così, perché gli stereotipi non solo condizionano le idee di gruppi di individui, ma hanno conseguenze sul modi di agire e sulla società. Non è un caso che la maggior parte di noi associa un ingegnere o uno chef a un uomo, mentre secondo le nostre mappe mentali l insegnante di scuola materna è una donna. Si tratta di associazioni di idee che nella nostra mente scattano automaticamente e quindi sono molto difficili da estirpare o cambiare. L uso degli stereotipi di genere conduce infatti a una percezione rigida e distorta della realtà, che si basa su ciò che noi intendiamo per femminile o maschile e su ciò che ci aspettiamo dalle donne e dagli uomini. Si tratta di aspettative consolidate, e non messe in discussione, in quanto legate all essere biologicamente donne o uomini. Ad esempio la donna è considerata più tranquilla, meno aggressiva, sa ascoltare e ama occuparsi degli altri; mentre l uomo ha forte personalità, grandi capacità logiche, spirito di avventura e capacità di comando. Si tratta di formule che ci permettono di semplificare la realtà e orientarci in essa, rapidamente e senza dover riflettere. Ci serviamo di immagini generalizzate che riducono la complessità dell ambiente, ma

13 annullano al contempo le differenze individuali all interno dei singoli gruppi. Gli stereotipi di genere sono tra i più frequenti e anche maggiormente condivisi dalla società: la donna, giudicata sulla base di stereotipi, si ritrova ingabbiata in uno stile di vita e in situazioni che ne limitano l azione e il pensiero. Ad esempio fatica non poco a far comprendere che le proprie aspirazioni e attitudini non si limitano al ruolo materno e alla cura della famiglia. Lo stereotipo di genere può essere una gabbia pericolosa anche per il sesso forte. Per esempio, è dato comune che sia compito dell uomo il sostentamento della famiglia e la produzione del reddito. In questi anni di crisi economica si registrano numerosi casi di depressione e di suicidio quasi esclusivamente da parte di uomini che perdono il lavoro o si trovano costretti a licenziare i propri dipendenti. La mancanza del lavoro e quindi la perdita della dignità e del ruolo sociale che pone nel maschio le aspettative di guadagno, possono rendere insopportabile il fallimento personale, fino alle estreme conseguenze. GLI STEREOTIPI FEMMINILI NELLA VITA SOCIALE Gli stereotipi portano ad osservare il tutto con la lente del clichè, deformando la realtà: la donna è emotiva, troppo sensibile e quindi non in grado di fare carriera o comunque in perenne dramma di scelta tra famiglia e professione. Come se una mamma, in presenza di un humus culturale paritario e di idonee politiche di conciliazione, non potesse/volesse gestire lavoro e famiglia. Ma proprio gli stereotipi possono diventare chiave di lettura per capire come mai le donne italiane sono ancora fortemente sottorappresentate nel lavoro, nella politica, in tutte le sfere della vita pubblica. La realtà che viviamo è infatti anche figlia degli stereotipi con cui la cataloghiamo. I numeri desolanti sul tasso di occupazione femminile, sulla presenza delle donne nelle posizioni di vertice delle aziende, sulle differenze di reddito e altri indicatori fin troppo noti, che collocano l Italia nelle ultime posizioni in Europa, sono anche frutto di una maggiore e più radicata diffusione degli stereotipi nel nostro paese. In particolare, di quelli che costringono l immagine della donna in modelli segreganti, e che non sembrano scalfiti né dall esistenza di altri modelli femminili, né dall evidenza dei cambiamenti avvenuti: quanti sanno ad esempio che in Italia il numero di donne laureate è maggiore di quello degli uomini?

14 Lo stereotipo femminile emerge e si diffonde con evidenza nella comunicazione, intesa come mass media e come linguaggio. Attraverso i media vengono veicolati modelli inadeguati rispetto alla realtà di molte donne, che quindi non si sentono rappresentate. A PROPOSITO DI DONNE E MASS MEDIA alcuni anni fa il Censis ha realizzato un indagine sull immagine della donna nella televisione italiana, nell ambito del progetto europeo Women and media in Europe. Il quadro emerso non è incoraggiante, infatti attraverso l analisi dei contenuti di 578 programmi televisivi di informazione, approfondimento, cultura, intrattenimento, sulle 7 emittenti nazionali emerge che le donne, nella fascia pre-serale, ricoprono soprattutto ruoli di attrici, cantanti e modelle. La donna in tv è rappresentata in maniera positiva, ma polarizzata tra il mondo dello spettacolo e quello della violenza nella cronaca nera. C è una distorsione rispetto al mondo femminile reale: le donne anziane sono invisibili, lo status socioeconomico percepibile è medioalto, mentre le donne disabili non compaiono mai. Le tematiche a cui le donne sono associate sono quelle dello spettacolo e della moda, della violenza fisica e della giustizia. Quasi mai invece la politica, la realizzazione professionale e l impegno nel mondo della cultura. Nei programmi di intrattenimento il conduttore è prevalentemente uomo, lo stile di conduzione è ironico, malizioso e un po aggressivo; i costumi di scena sono audaci e le inquadrature voyeuristiche e solo marginalmente sottolineano le abilità artistiche della donna. L estetica complessiva è quella dell avanspettacolo mediocre e scadente. Nell informazione la donna compare soprattutto in servizi di cronaca nera in una vicenda drammatica in cui è coinvolta come vittima. E il suo intervento dura al massimo 20 secondi. Anche i programmi di approfondimento sono per la maggior parte in mano agli uomini, e se le donne intervengono come esperte lo sono soprattutto su argomenti come l astrologia, la natura, l artigianato e la letteratura. Sembrerà poco consolante, ma è la fiction il genere che meglio descrive l evoluzione della condizione della donna, rappresentata come dirigente di distretto di polizia, medico o avvocato in carriera.

15 IL LINGUAGGIO La comunicazione veicolata dai mass media si basa sul linguaggio. E proprio nel linguaggio risiedono spesso gli stereotipi. Già nelle parole che usiamo si annida non la differenza, bensì una forma di discriminazione. Ci sono determinati termini che al maschile hanno un significato dall accezione positiva, mentre al femminile succede esattamente il contrario: celibe significa privo di legami, libero da vincoli, perché per la mentalità patriarcale l uomo poteva decidere se sposarsi o no, mentre nubile significa da sposare, dando a intendere che per la donna era meglio che si sposasse, o meglio che qualcuno la prendesse in moglie; scapolo è una parola che suscita quasi simpatia, mentre zitella è stato sempre usato in senso squalificante, finché non è stato sostituito dal più rispettoso single. Ci sono molti altri casi di asimmetria semantica nella lingua italiana ma tra tutti è degna di nota la coppia la governante/il governante: il femminile indica una donna stipendiata che si occupa dei bambini e dell andamento della casa; il sostantivo maschile indica il capo del governo di un paese, che amministra il potere per conto di un grande numero di persone. Come a dire che, stando al linguaggio, il regno delle donne è la casa, mentre per gli uomini è un paese o una nazione. O ancora maestra/maestro: la prima insegna nella scuola materna o elementare, il secondo è esperto su qualcosa e va preso ad esempio e modello. Sembrano davvero banalità, minuzie grammaticali che diamo per scontate e usiamo come se niente fosse. E che dire allora dei femminili mancanti in italiano? Guarda caso, proprio per termini relativi e professioni e cariche in origine appannaggio solo degli uomini (allo stesso modo, parole come casalinga o massaia sono per tradizione solo femminili e sempre per caso stanno ad indicare lavori ritenuti meno professionalizzanti rispetto a quelli maschili). Il risultato è che la lingua italiana non rispetta l utilizzo del genere, ma se lo facesse potrebbe scalfire una cultura che mette il femminile in secondo piano. Cecilia Robustelli, prof. associata di linguistica italiana all Università di Modena e Reggio è promotrice di una Proposta per un uso della lingua italiana rispettoso dell identità di genere. La tesi è questa: nel corso degli anni, nonostante le ancora evidenti disparità rispetto agli uomini, le donne hanno vissuto un ascesa in ruoli, carriere, professioni e visibilità, ma la lingua non si è adeguata al cambiamento, perché continua a privilegiare

16 l uso del maschile attribuendogli una falsa neutralità. Nella comunicazione quotidiana, ma anche sui mezzi di informazione, si parla ancora di sindaco, ministro e assessore, solo per citarne alcuni, anche quando il soggetto in questione è una donna, mentre bisognerebbe declinare al femminile. Altrimenti si attua un oscuramento linguistico della figura professionale e istituzionale femminile che ha come conseguenza la sua noncomunicazione e, in sostanza, la sua negazione, perché ciò che non si dice non esiste. I media dovrebbero prestare maggiore attenzione a questo aspetto. I punti chiave del codice sono: adottare nelle testate giornalistiche e televisive un linguaggio e dei contenuti rispettosi delle differenza e con cui provare a sradicare gli stereotipi; assicurare che all interno della testata ci sia attenzione per le pari opportunità; scegliere attentamente le immagini. L educazione: prima arma contro gli stereotipi Fino a questo punto si è parlato di stereotipi persistenti, rigidi e dei modi per poterli sradicare, agendo sui mezzi di comunicazione e sul linguaggio. E se invece si lavorasse per evitare la produzione di certe mappe mentali? L educazione può avere un ruolo fondamentale in tal senso. Sono quindi la famiglia e la scuola che per prime dovrebbero guidare e accompagnare i bambini per evitare che la disuguaglianza di genere si trasformi, negli anni, in disuguaglianza sociale, nel lavoro e nella vita. Il che vuol dire non solo aiutare nella scelta del proprio percorso non pregiudicando alle ragazze studi ritenuti maschili, anche perché poi le ragazze che vi si cimentano, dimostrano spesso di essere più brave e di ottenere risultati migliori e in breve tempo. Vuol dire anche educare alla lotta contro stereotipi ormai entrati nel senso comune e quindi facilmente assimilabili nella crescita, stimolando l'esame critico. Di questa sensibilizzazione dei giovani contro l uso di stereotipi ci sono per fortuna molti esempi nel nostro paese: ne vediamo uno. FILMATO : stereotipi televisivi femminili (pochi minuti)

17 DALLA CRISI ECONOMICA AL CAMBIAMENTO Perché è così importante intraprendere una lotta serrata contro gli stereotipi e i pregiudizi, contro le discriminazioni di cui la donna è perennemente vittima? Oltre alle ragioni che di anno in anno ci ripetiamo, anche con un po di autocompiacimento e di vittimismo, se ne aggiunge una quanto mai attuale, che emerge dai dati di una situazione economica di crisi, di cui non si vede la fine. L Italia è uno dei venti paesi più ricchi e più sviluppati del mondo. In questo contesto le donne italiane hanno raggiunto elevati standard di vita, ma non riescono a valorizzare a pieno le loro potenzialità. Il confronto con gli uomini italiani e con le donne degli altri paesi europei non lascia dubbi. Sono tre gli ambiti in cui è necessario intervenire per realizzare una piena condizione di parità, di crescita e di sviluppo economico. Una prima rivoluzione, quella dell istruzione femminile è in parte compiuta: le giovani italiane sono ormai più istruite degli uomini, anche se scelgono percorsi di studio meno remunerativi. Una seconda rivoluzione, quella del mercato del lavoro, resta largamente incompiuta, anzi nell ultimo ventennio ha tenuto le donne italiane intrappolate in una partecipazione lavorativa bassa e segregata. Ma è soprattutto la terza rivoluzione, quella all interno della famiglia, quella della ripartizione dei tempi e dei compiti familiari tra uomo e donna, che è lontana dal compimento. Sono proprio la scarsa partecipazione alla vita sociale e politica e la bassa presenza delle donne nel mercato del lavoro che mettono l Italia in coda al resto dell Europa, al 21 posto, secondo gli indici sulla condizione femminile. Per come tratta le sue donne, l Italia è al 74 posto nella classifica mondiale, dopo la Colombia, il Perù e il Vietnam. Valorizzare il lavoro delle donne fuori casa è un obiettivo cruciale oggi in Italia perché corrisponde non solo a principi di equità, ma anche di efficienza economica. Negli ultimi anni alcuni studi hanno aggiunto alle ragioni del principio di equità e di pari opportunità, una ulteriore argomentazione, che è

18 convincente e decisiva alla causa di rivalutazione delle donne nel mercato del lavoro. Nel dibattito economico infatti sta emergendo un nuovo approccio, definito womeneconomics, che ha rilevato una stretta connessione tra la crescita del lavoro femminile e la crescita economica, tanto che si stima che verrà proprio dal lavoro femminile l impulso più importante allo sviluppo nel prossimo futuro. Da un confronto coi paesi europei si evince che, dove gli squilibri di genere nei tassi di occupazione e nei salari sono minori, la crescita economica è maggiore e la fecondità in aumento. Una maggiore partecipazione delle donne al lavoro potrebbe aiutare a risolvere la crisi demografica e i problemi derivanti dall invecchiamento della popolazione, dando sostenibilità al sistema pensionistico. Il lavoro delle donne può dare un impulso allo sviluppo di una moderna economia dei servizi: ciò significa nuovi posti di lavoro, una nuova ricchezza diffusa, un aumento della domanda di consumi anche tramite un rinnovato stimolo alla fecondità. Un circolo virtuoso che porterebbe alla creazione di 15 posti di lavoro aggiuntivi nei servizi per ogni 100 posti di lavoro dati alle donne. Da una ricerca di Goldman Sachs risulta che, se le donne raggiungessero i tassi di occupazione degli uomini (oltre il 60% dell obbiettivo di Lisbona), il PIL aumenterebbe fino al 13% nell Eurozona e fino al 22% in Italia. Le tesi della womeneconomics cominciano a diffondersi anche nel mondo imprenditoriale: un numero crescente di imprese si sta accorgendo che in certi settori le donne sono brave quanto gli uomini e anche di più. Le imprese che investono di più nelle donne e non operano discriminazioni hanno più successo, sono più efficienti e più competitive nel lungo periodo. Secondo uno studio dell Università di Leeds nel Regno Unito, se c è almeno una donna nel Consiglio di Amministrazione la probabilità che la società possa fallire diminuisce del 20%. Le aziende avranno sempre più bisogno di integrare le donne nei processi decisionali, in un mondo sempre più multiculturale ed eterogeneo. Consigli di amministrazione e comitati esecutivi formati quasi esclusivamente da uomini tra i 50 e 65 anni come potranno gestire la diversità e la complessità culturale del nostro tempo?

19 Invece di crescere, come avviene ed è avvenuto nel resto di Europa, il tasso di attività delle donne italiane dal 2000 a oggi è diminuito dal già basso 48% al 46%. L Italia negli ultimi 15 anni si è come fermata. Le donne hanno investito su se stesse, raggiungendo un alto livello di istruzione ciò ha creato in loro legittime aspirazioni lavorative, ma già in partenza hanno trovato ostacoli e difficoltà. Già nella scelta della facoltà universitaria avviene una prima autoselezione femminile, dovuta al permanere di stereotipi di genere che spingono alla scelta di facoltà umanistiche (lettere, lingue, psicologia, ) ritenute più adatte rispetto a facoltà scientifiche, ma caratterizzate da livelli occupazionali e retributivi più bassi. Ma anche a parità di formazione rispetto a loro colleghi maschi le donne subiscono discriminazioni occupazionali e retributive. Tipici esempi si trovano nel settore della sanità o dell istruzione. Nel 2009 nel servizio sanitario nazionale il 63% degli occupati erano donne, ma tra i medici il 37% e il 77% tra il personale infermieristico. Nella scuola le donne erano il 78% (con punte fino al 90% nella scuola dell infanzia) e però le dirigenti poco più del 37%. Per riassumere: oggi come ieri è difficile per le donne entrare nel mercato del lavoro, è difficile rimanervi, è difficile fare percorsi di carriera soddisfacenti e adeguati al percorso formativo, è difficile raggiungere livelli retributivi paritari rispetto agli uomini, è difficile conciliare i ruoli di lavoratrici e madri, stante la cronica carenza di sostegni all interno della famiglia e nell ambito dei servizi sociali. Anche uno strumento come il part-time, invece che una facilitazione si è trasformato in una trappola che ti inchioda a ruoli marginali. Ma le donne non si arrendono, c è un nuovo straordinario impegno in atto per rompere gli schemi, una nuova presenza massiccia della protesta femminile nelle piazze d Italia, uno per tutti citiamo il movimento se non ora quando. E anche il mondo accademico fa le sue riflessioni e porta proposte nuove per raccogliere la raccomandazione che Mario Draghi ha fatto prima di assumere la guida della BCE: non si esce dalla crisi senza l apporto delle donne nel mercato del lavoro.

20 Dall Università di Torino (la stessa di Elsa Fornero!).arriva un contributo concreto al cambiamento attraverso una sorta di nuovo patto rosa pink new deal illustrato in un recentissimo saggio dal titolo Valorizzare le donne conviene, pubblicato il mese scorso, per i tipi del Mulino, da 2 docenti di economia e una ricercatrice Così come il New Deal di Roosvelt consentì all America di uscire dalla grande depressione, attraverso il decalogo del pink new deal si può aiutare il nostro paese a risalire la china degli ultimi posti nella classifica europea e mondiale sul trattamento riservato alle donne. Come? Sfatando prima di tutto tre pregiudizi classici ed affermando, dati alla mano, che: 1- Le donne che lavorano non fanno meno figli 2- Le donne che lavorano non sono madri peggiori 3- Le donne che lavorano non sono infelici. Il nuovo patto rosa, il pink new deal, contiene indicazioni e piste di lavoro che, col contributo delle donne possono portarci fuori dalla crisi e verso un cambiamento sociale ed economico. Come dice il nostro titolo di oggi: dalla crisi economica al cambiamento. La lista degli interventi da fare parte dall indirizzare le donne verso studi scientifici con borse di studio dedicate, come avviene in America, ma anche da noi in Regione Toscana, a trasformare il part-time e la flessibilità in un occasione per tutti, dipendenti e azienda. Dallo studiare politiche di conciliazione aziendale ad investire e non tagliare sui servizi di cura per i bambini e gli anziani. E ancora introdurre un credito d imposta per le retribuzioni più basse (che sono quasi sempre quelle delle donne); far comprendere alle imprese che la maternità è un costo irrisorio e che non c è da averne paura. E poi prevedere sgravi fiscali per chi assume personale femminile, concedere incentivi e agevolazioni al credito all imprenditoria in rosa, prevedere le quote di genere ai vertici delle aziende (non solo quelle quotate in borsa), far diventare obbligatorio il congedo di paternità. Su questo ultimo punto vorrei soffermarmi brevemente per parlare della necessità di una maggiore simmetria dei ruoli. Questa sarebbe la terza rivoluzione da portare a compimento. Le donne sono ancora sovraccariche

21 di lavoro domestico e di cura e di responsabilità di organizzazione nella vita familiare. La situazione italiana è ben lontana da quella dei paesi scandinavi, dove da anni le politiche sociali e familiari perseguono proprio il fine dell uguaglianza fra i sessi. Del resto, come dicono da oltre un decennio le raccomandazioni della Comunità europea, misure per perseguire la parità tra uomini e donne sono necessarie per compensare lo svantaggio delle donne nelle condizioni di accesso e partecipazione al mercato del lavoro, ma anche lo svantaggio degli uomini per quanto riguarda le condizioni di partecipazione alla vita familiare. L Unione europea parla di responsabilità parentali (e non materne), promuove la conciliazione tra lavoro e famiglia per uomini e donne, vede la partecipazione degli uomini alla vita familiare come un vantaggio e un diritto anche per gli uomini, un arricchimento personale, una risorsa in più per la propria identità. Ma l uguaglianza di genere nel mercato del lavoro può essere raggiunta solo se c è una politica complementare sul lavoro di cura (non pagato): fino a quando le responsabilità di cura continueranno ad essere viste come un fatto privato, l ineguale divisione del lavoro non pagato si tradurrà in un inevitabile ineguale posizione delle donne sul mercato del lavoro e viceversa. I paesi europei più illuminati hanno introdotto legislazioni che incentivano esplicitamente la condivisione del lavoro di cura tra genitori nei primi anni di vita del bambino e che garantiscono una presenza continuativa delle lavoratrici madri sul mercato del lavoro. Un congedo obbligatorio per il padre, anche di pochi giorni, avrebbe una valenza simbolica, ma potrebbe contribuire a determinare quel cambiamento di mentalità necessario al cambiamento dei comportamenti parentali. PER CONCLUDERE Favorire attivamente la partecipazione delle donne al mercato del lavoro non corrisponde solo a principi di pari opportunità, ma anche a obiettivi di efficenza economica, ha effetti positivi diretti e indiretti sulla crescita e sulla distribuzione del reddito. Un maggior numero di occupate aumenterebbe le entrate fiscali e previdenziali e stimolerebbe anche una maggiore domanda di servizi, soprattutto di cura. Una maggiore occupazione delle donne ridurrebbe il rischio di povertà, rendendo le famiglie meno vulnerabili.

22 Le recenti scelte di politica economica non vanno nella direzione attesa. La forte riduzione dei trasferimenti agli enti locali avrà come conseguenza un contenimento dell offerta di servizi, rendendo più difficile la conciliazione lavoro famiglia e ridurrà indirettamente la domanda di lavoro nei servizi, dove più elevata è la presenza femminile. A ciò si sommeranno gli effetti della recente riforma della scuola che ha ridotto di fatto gli orari scolastici, incentivando il ritorno del modello tradizionale con un genitore a casa (la madre) e uno fuori (il padre). Infine la riforma delle pensioni, con l allungamento dell età di quiescenza, ha equiparato uomini e donne senza tener conto del doppio carico di lavoro, remunerato e non, che sopportano le lavoratrici con responsabilità familiare durante tutte le fasi della vita. Il risparmio ottenuto dalle nuove regole pensionistiche avrebbe dovuto essere destinato a politiche sociali e familiari di conciliazione: ciò non è avvenuto, quelle somme sono state interamente destinate alla riduzione del debito pubblico. Ci siamo tanto occupati e preoccupati dello spread tra i bond tedeschi e i nostri titoli decennali: sarebbe ora di preoccuparci dello spread che ancora separa le donne da una vera parità che consenta loro di partecipare alla vita sociale, politica ed economica del nostro Paese, per passare dalla crisi economica al cambiamento.

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