Intraprendere al femminile. Il coraggio di rischiare in un momento difficile. Deborah De Luca (Università degli Studi di Milano)
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1 Dipartimento di Studi Sociali e Politici Università degli Studi di Milano Working Paper Intraprendere al femminile. Il coraggio di rischiare in un momento difficile Deborah De Luca (Università degli Studi di Milano) Dipartimento di Studi Sociali e Politici Facoltà di Scienze Politiche, via Conservatorio Milano - Italy Tel.: Fax: dssp@unimi.it martedì 15 novembre ore 12,30 Aula seminari del Dipartimento di Studi sociali e politici
2 Imprenditrici immigrate. Il coraggio di rischiare in un momento difficile Deborah De Luca Dipartimento di Studi Sociali e Politici Università degli studi di Milano deborah.deluca@unimi.it L obiettivo di questo lavoro è quello di studiare le caratteristiche delle imprenditrici immigrate e di metterne in luce somiglianze e peculiarità rispetto all imprenditorialità immigrata maschile. Inoltre, anche tra le imprenditrici stesse vi sono talvolta differenze rilevanti, non riconducibili al genere, bensì ad altre caratteristiche delle intervistate e delle loro imprese..l attenzione nei confronti della migrazione femminile è abbastanza recente (Morokvasic, 1984). Questo ritardo è stato motivato principalmente in due modi. In primo luogo, la migrazione femminile e stata considerata come dipendente da quella maschile e l uomo è il soggetto attivo nel mercato del lavoro, mentre la donna pur avendo generalmente dei tassi di attività superiori a quelli delle autoctone (Raijman e Semyonov, 1997) spesso svolge lavori che non vengono nemmeno rilevati dalla statistiche ufficiali, in quanto si collocano nella zona grigia tra lavoro retribuito e lavoro domestico (Morokvasic, 1984). In secondo luogo, anche quando la migrazione femminile è autonoma, è legata principalmente a ragioni economiche, come nel caso degli uomini, e quindi si ritiene che le differenze tra uomini e donne non siano tali da richiedere una teoria specifica. Thadani e Todaro (1984), tuttavia, hanno ipotizzato l esistenza di diverse motivazioni migratorie rispetto a quelle maschili e hanno proposto una tipologia che distingue tra: donne sposate che migrano per cercare lavoro; donne nubili che migrano in cerca di lavoro; donne nubili che migrano per ragioni legate al matrimonio; donne sposate che migrano insieme ai mariti senza cercare lavoro. Come vedremo, questa classificazione si applica a molte delle donne intervistate nel corso della nostra ricerca, ma non a tutte. Infatti, altri autori hanno sottolineato il ruolo svolto dalla ricerca di maggiore libertà e dal desiderio di fuga da una società eccessivamente patriarcale (Jackson, 1984). 1
3 Se diversi autori hanno rilevato la marcata asimmetria nell attenzione rivolta agli uomini migranti rispetto alle migrazioni femminili, non stupisce che questa asimmetria sia ancora più marcata quando restringiamo il campo allo studio dell imprenditorialità. L interesse verso l imprenditorialità immigrata maschile ha prodotto negli ultimi decenni numerosi studi (si vedano, tra gli altri, Bonacich, 1973; Aldrich e Waldinger,1990; Fernandez e Kim, 1998; Renzulli et al., 2000; Klosterman e Rath, 2001; Li, 2001; Brettel e Alstatt, 2007) relativi alle motivazioni che spingono il migrante a scegliere di intraprendere la strada del lavoro autonomo, al differente tasso di imprenditorialità presente nei diversi gruppi etnici; al ruolo del capitale umano e del capitale sociale (legami familiari ed etnici). Data la vastità degli studi sull argomento 1, ci limiteremo qui a soffermare la nostra attenzione sugli aspetti che interessano anche l imprenditorialità femminile, anche eventualmente al solo scopo di poter in seguito metterne in luce la peculiarità. Inoltre, alcune ipotesi teoriche rivestono una particolare importanza nel presente contesto di crisi economica. A questo proposito, la teoria della successione ecologica (Aldrich et al., 1985) suggerisce l esistenza di un meccanismo di sostituzione tale per cui i soggetti più svantaggiati sul mercato del lavoro tendono ad occupare i posti lasciati liberi da coloro che hanno la possibilità di scegliere occupazioni più remunerative e prestigiose. In questo caso, gli immigrati penetrano ed occupano progressivamente i settori di attività (sia dipendente che autonomo) più pesanti, poco remunerativi, precari (come vengono anche definiti da Ambrosini, 2005). Nel lavoro autonomo, spesso occupano le nicchie di mercato concernenti attività che richiedono bassa qualificazione e un elevato impegno lavorativo, come i piccoli esercizi commerciali, bar/ristoranti, oppure piccoli laboratori di confezione nel settore tessile/abbigliamento/pelletteria, o anche diventano piccoli trasportatori oppure lavoratori autonomi nell edilizia. I dati Unioncamere del 2008, indicano che i settori dove le imprese di immigrati sono più presenti in assoluto sono l edilizia, il commercio e l industria tessile. Anche le teorie dello svantaggio e della mobilità bloccata (ad esempio, Raijman e Tienda, 2000 e, al femminile, Kofman, 1999) suggeriscono che il lavoro autonomo rappresenti per gli immigrati una valida alternativa alla sottoccupazione che frequentemente si osserva nell ambito del lavoro dipendente o anche una risposta alla disoccupazione. In effetti, secondo i dati Istat, per quanto riguarda gli uomini, cresce la disoccupazione (dal 6,2% del primo trimestre 2005 al 12,0% del primo trimestre 2010) e cresce il lavoro indipendente (il numero di lavoratori indipendenti è quasi raddoppiato dal 2005 al quarto trimestre 2010). Per quanto riguarda le donne, invece, a fronte di una riduzione del tasso di disoccupazione (dal 18,0% al 14,3%) riscontriamo una crescita della quota di 1 Per una rassegna esaustiva sull argomento, si veda Ambrosini (2005) 2
4 lavoratrici autonome sul totale (+36% in cinque anni) 2. Insomma, mentre per gli uomini, il lavoro autonomo potrebbe davvero rappresentare un alternativa alla disoccupazione più che una vera e propria possibilità di promozione personale, per le donne la strada del lavoro autonomo potrebbe essere scelta con maggiore consapevolezza, in alternativa non tanto alla disoccupazione quanto alla forte segregazione occupazionale a cui le donne immigrate spesso vanno incontro. Infatti, alcuni autori che si sono occupati delle migrazioni femminili, hanno sottolineato il doppio (o il triplo, se si considerano anche le risorse di classe) svantaggio a cui le immigrate devono far fronte quando entrano nel mercato del lavoro locale: svantaggio in quanto donne e in quanto immigrate (Kofman, 1999; Raijman e Semyonov, 1997). Altri elementi da considerare nello studio dell imprenditorialità immigrata sono il ruolo dei legami etnici e familiari e del capitale umano. Mentre la teoria di Aldrich e Waldinger (1990) enfatizza il ruolo della comunità etnica, altri autori (Fernandez e Kim, 1998; Mata e Pendakur, 1999) sottolineano l importanza del capitale umano e distinguono tra i legami comunitari ed etnici e quelli familiari (Sanders e Nee, 1996). I primi, infatti, pur essendo potenzialmente utili all avvio dell attività, potrebbero in seguito diventare un ostacolo alla crescita e all espansione dell azienda al di là del contesto etnico di riferimento. I secondi, invece, si rivelano utili in ogni caso, contribuendo a fornire il capitale iniziale e manodopera a basso costo. Questo secondo aspetto appare meno rilevante quando si fa riferimento ad attività che richiedono specifiche competenze e qualificazioni. Nel complesso, però, il diverso peso dell intervento familiare nell impresa è un aspetto che contribuisce a differenziare le imprese immigrate, sia maschili che femminili. Infine, alcuni autori hanno criticato le spiegazioni strutturaliste, sottolineando invece il ruolo del libero arbitro e della consapevole decisione degli imprenditori immigrati che assumono il controllo sulla propria vita e fanno appello non solo alle risorse etniche e di classe [ ], ma anche alle risorse esperienziali e motivazionali (Brettel e Alstatt, 2007, 394) In questa pur breve rassegna teorica non possiamo non citare le poche ricerche rivolte all imprenditorialità femminile immigrata. In alcune ricerche, di impostazione più strutturalista, la variabile genere è solo una delle tante proposte per rilevare eventuali differenze infragruppo nel profilo degli immigrati (Sanders e Nee, 1996; Fernandez e Kim, 1998, Renzulli et al. 2000). Dalla ricerca di Sanders e Nee emerge che la propensione all imprenditorialità è maggiore tra le donne non sposate (tranne nel caso delle coreane) e tra quelle con un più elevato livello di educazione, mentre l aiuto di altri adulti in famiglia non influisce sulla decisione di avviare un attività in 2 Elaborazione dati su I.Stat ( La crescita delle imprese immigrate, sia maschili sia femminili, è evidenziata anche dai dati Unioncamere 2009, che riportano una crescita del 4,5% per le imprese maschili e del 6,4% delle imprese femminili rispetto al 2008 (Rapporto Unioncamere 2010). 3
5 proprio, contrariamente a quanto accade per gli uomini. Fernandez e Kim, invece, si limitano a sottolineare che la propensione al lavoro autonomo è più elevata tra i maschi piuttosto che tra le donne. Renzulli, Aldrich e Moody, infine, sottolineano come il matrimonio e i figli rappresentino un vincolo alla scelta di intraprendere il lavoro autonomo. Altre ricerche utilizzano un metodo più qualitativo e focalizzano la loro attenzione su specifici studi di caso. Un interessante contributo è quello di Westwood e Bhachu (1988), che sottolineano l importante ruolo svolto dalle donne immigrate nell economia etnica. In particolare, viene citato il caso delle donne cinesi, che sono talmente coinvolte negli obbiettivi comuni della loro impresa familiare da non sentirsi minimante sfruttate dai propri mariti. Tuttavia, sono consapevoli dei vincoli di questo tipo di impiego e non necessariamente auspicano che i propri figli e le proprie figlie continuino a lavorare nell economia etnica. Mentre Westwood e Bhachu sottolineano il ruolo svolto dalla donna (cinese) nel più ampio ambito dell imprenditorialità familiare, Harvey (2005) studia i saloni di bellezza afroamericani in una grande città degli Stati Uniti, raccogliendo le storie di 11 donne proprietarie di saloni. Qui le imprenditrici svolgono la propria attività lontano dal contesto familiare e senza aiuto da parte di altri membri della propria famiglia. Tuttavia, tra le motivazioni che hanno spinto queste donne ad avviare un attività in proprio, oltre alla possibilità di guadagnare di più, vi è la possibilità di conciliare meglio le esigenze lavorative e quelle familiari. Dallalfar (1994), invece, si concentra sulle donne iraniane a Los Angeles, intervistando 10 donne che operano in imprese familiari e 10 che hanno attività in proprio nella loro casa. Le donne scelgono questo tipo di attività perché garantisce loro un maggior guadagno rispetto al lavoro dipendente, che sarebbe di basso livello. Inoltre, l attività in casa permette di allargare la propria cerchia relazionale e arricchire anche la propria vita sociale. In questo caso, quindi, si nota un maggiore intreccio tra famiglia ed attività economica rispetto al lavoro di Harvey.. Infine, Lunghi (2003) ha svolto una ricerca sulle imprenditrici straniere a Milano, intervistando 9 imprenditrici nel settore moda e 9 nel settore alimentare. Secondo l autrice, l impresa femminile non è necessariamente una scelta obbligata, anche se a volte l attività viene iniziata per mancanza di alternative, spesso in conseguenza di lutti o divorzi/separazioni. A volte, tuttavia, si tratta dell attuazione di un progetto preciso. Infatti, le imprenditrici sono in Italia da molti anni, sono ben inserite sia nel contesto linguistico e sociale, sia dal punto di vista degli sbocchi di mercato. Nella loro attività sono importanti i legami con gli italiani, mentre il ruolo della famiglia non appare particolarmente significativo. Inoltre, l autrice pone molta enfasi sul desiderio di queste donne di non fare più lavoracci, ma di occuparsi di qualcosa di creativo. Queste ricerche hanno fornito importanti indicazioni per il nostro lavoro, di cui di seguito illustriamo brevemente la metodologia e i dati raccolti. 4
6 La metodologia e i dati della nostra ricerca Questo lavoro sulle imprenditrici immigrate si colloca nell ambito di una più generale ricerca sul profilo nazionale degli imprenditori immigrati (PRIN 2007). Come strumento di rilevazione, è stato predisposto un questionario strutturato che è stato somministrato a 197 imprenditori, tra cui 18 donne. Gli imprenditori intervistati sono stati selezionati secondo uno schema che prevedeva il confronto tra diverse aree di indagine, diverse nazionalità e diversi settori di attività. Le nazionalità e i settori di attività di attività scelti sono stati: gli egiziani nell edilizia (Milano), nord africani, est europei e pakistani nei trasporti e nel edilizia (Trento), nord africani nella metalmeccanica (Modena Reggio Emilia), marocchini nel settore alimentare (Torino), cinesi prevalentemente nel settore tessile (Prato), cinesi e senegalesi nel commercio (Catania). Spesso, i settori e le nazionalità selezionate rendevano improbabile la presenza di imprenditrici. Per questo motivo, nell area milanese si è scelto di integrare il numero di imprenditrici con 10 interviste a donne imprenditrici di varie nazionalità e vari settori. A queste 10 donne, oltre alla somministrazione del questionario, sono state poste alcune domande aperte per comprendere meglio la loro situazione di donne ed imprenditrici, le motivazioni della decisione di avviare un attività in proprio, le difficoltà che hanno incontrato e che incontrano, in quanto donne, in quanto straniere e in occasione della crisi economica. Tab.1 Sintesi delle imprenditrici straniere intervistate Area Nazionalità Attività Torino marocchina un banco di ortofrutta e due gastronomie Prato cinese Una pasticceria e un import export abbigliamento Catania senegalese 3 attività di ristorazione e una di vendita artigianato etnico/parrucchiera Catania cinese 9 attività di vendita all ingrosso o al dettaglio di abbigliamento e/o pelletteria Milano egiziana Un bar e una scuola di ballo Milano marocchina Un centro estetico Milano ecuadoriana Una sartoria e un agenzia viaggi Milano cilena Una cooperativa di pulizie e servizi di catering Milano colombiana Un impresa di pulizie Milano rumena Un attività di design di scarpe e accessori Milano albanese Cooperativa sociale (mediazione linguistica-culturale) Bergamo filippina Un bar 5
7 Come si può notare osservando la tab.1, a parte le cinesi che tranne in un caso operano tutte le nel settore tessile e pelletteria, negli altri casi abbiamo una grande varietà nelle attività svolte, anche se la maggior parte riguardano il commercio e i servizi. Considerato il gran numero di informazioni raccolte, le nostre domande di ricerca potrebbero essere molteplici. Tuttavia, abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su tre aspetti: il percorso migratorio, l avvio dell impresa e le prospettive riguardo alla crisi economica. Si tratta di tra ambiti privilegiati per la rilevazione di specifiche differenze all interno del nostro campione, sia relativamente al ruolo svolto dalla famiglia sia riguardo alla gestione e alle prospettive dell impresa. Per ciascuno di questi tre aspetti, proporremo un confronto tra le imprenditrici, divise in due gruppi, le cinesi e le altre. Questa scelta è motivata non solo dal fatto che le cinesi sono il gruppo più numeroso sia nel nostro campione, sia nel complesso delle imprenditrici immigrate in Italia (mentre la presenza cinese è meno rilevante tra gli imprenditori maschi, si veda tab. 2), ma anche dall ipotesi che le cinesi rappresentino un gruppo omogeneo al loro interno e si differenzino invece dalle altre imprenditrici, nonostante l elevata eterogeneità delle nazionalità e dei settori presenti. In particolare, alla luce delle indicazioni emerse in letteratura, ipotizziamo che il ruolo della famiglia sia molto più rilevante nel caso delle imprenditrici cinesi rispetto alle imprenditrici di altra nazionalità, che le motivazioni per l avvio dell impresa siano diverse tra cinesi e altre donne (molto più improntate alla realizzazione di sé nel secondo gruppo) e che le imprenditrici non cinesi siano più motivate a mantenere in vita la propria impresa nonostante la crisi economica. Tab.2 Principali nazionalità di provenienza degli imprenditori e delle imprenditrici immigrate Dati Unioncamere 30 settembre 2011) Maschi Femmine Paese di provenienza Italia Lombardia Paese di provenienza Italia Lombardia MAROCCO CINA ROMANIA ROMANIA ALBANIA MAROCCO CINA NIGERIA EGITTO ALBANIA BANGLADESH BRASILE SENEGAL ARGENTINA TUNISIA UCRAINA PAKISTAN VENEZUELA SERBIA E MONTENEGRO SERBIA E MONTENEGRO Totale imprenditori stranieri Totale imprenditrici straniere
8 Talvolta, i due gruppi di imprenditrici verranno confrontati anche con gli imprenditori maschi in modo da provare a distinguere gli effetti legati al genere da quelli legati alla nazionalità o ad altri fattori. L analisi verrà condotta utilizzando i risultati dei questionari e, quando possibile, integrata con quanto emerso dalle risposte aperte fornite dalle imprenditrici Il percorso migratorio e il ruolo delle reti Come abbiamo visto, molto spesso nella letteratura che si occupa di migrazioni e di imprenditorialità immigrata si sottolinea l importanza del capitale umano e delle risorse di classe Fernandez e Kim, 1998; Mata e Pendakur, 1999) oppure delle risorse etniche e dei legami familiari (Aldrich e Waldinger. 1990; Sanders e Nee, 1996). Riguardo al capitale umano, mentre tra gli imprenditori maschi il 40% ha al massimo ottenuto la licenza media o l avviamento professionale, il 43% è diplomato e il 17% possiede la laurea o un titolo post-laurea, tra le donne cinesi la quasi totalità non ha studiato oltre la licenza media/avviamento professionale (90%). Invece, le altre donne in oltre il 75% dei casi sono diplomate o laureate. In realtà sappiamo che il livello di istruzione raggiunto varia molto tra le nazionalità ed è generalmente molto basso tra i cinesi. Infatti, anche tra gli uomini i cinesi hanno un basso titolo di studio, gli egiziani sono quasi sempre diplomati o laureati, mentre le altre nazionalità si collocano tra questi due estremi. Anche riguardo alle risorse di classe, le donne non cinesi si distinguono dalle cinesi, in quanto tra le prime quasi nessuna proviene da una famiglia operaia o contadina, mentre un quarto ha il padre commerciante e il resto proviene dalla classe media impiegatizia o dalla borghesia 3. Al contrario, le cinesi nella maggioranza dei casi provengono da famiglie contadine o operaie, e sempre circa un quarto ha il padre commerciante. Gli imprenditori maschi si collocano tra questi due estremi. Il diverso ruolo svolto dalla famiglia appare evidente fin dall analisi delle motivazioni migratorie. Infatti, circa la metà delle cinesi afferma di aver deciso di partire dal proprio Paese di origine per il ricongiungimento familiare, mentre solo 18% delle altre donne adduce questa ragione come fattore di spinta alla migrazione. Per ciò che concerne gli uomini, infine, il ricongiungimento familiare appare ancor meno rilevante (8%). Inoltre, oltre il 90% delle cinesi ha deciso di venire in Italia per la presenza di parenti, mentre per le altre donne questo aspetto è molto meno rilevante (circa il 40% lo cita come motivo). Una situazione simile si osserva per gli uomini. Circa un quarto delle altre donne (e anche degli uomini) indica invece la presenza di connazionali come fattore di attrazione 3 Lo schema di classe considerato e quello proposto da Cobalti e Schizzerotto (1994) a sei classi. 7
9 verso l Italia, citata solo da una cinese. E interessante peraltro notare che, tra i diversi motivi dichiarati come ragione della migrazione, due tra le altre imprenditrici indicano la separazione o il divorzio. Osservando infatti lo stato civile delle imprenditrici si nota che, mentre le cinesi sono tutte sposate con connazionali, tra le altre straniere solo 10 su 17 (59%) sono sposate e, di queste, quattro sono sposate con stranieri di nazionalità diversa dalla propria o con italiani. Inoltre, una delle donne marocchine che si dichiarano sposate, in realtà vive in Italia con i fratelli, mentre il marito sposato dopo essere già venuta a vivere in Italia vive in Marocco e i loro rapporti sono molto limitati perché così ha dichiarato l intervistata si è subito resa conto che il marito intendeva restringere le sue libertà, anche se è consapevole che divorziare è difficile 4. Il fatto di essere single o di avere sposato un uomo di nazionalità diversa è un importante indicatore del fatto che la migrazione femminile è in buona parte una migrazione autonoma. Avendo affrontato il percorso migratorio senza un partner, la donna ha e vuole mantenere libertà di movimento e di decisione e ciò, probabilmente, la favorisce anche nella decisione di avviare un attività autonoma che, come vedremo in seguito, raramente gestisce con l aiuto del partner o dei familiari. Infine, un altro aspetto della struttura familiare rilevante è la presenza o meno di figli, e il loro numero. Tutte le donne cinesi hanno figli, mentre solo 3 imprenditrici su 4 delle altre nazionalità ne hanno (tra gli uomini, l 83% ha figli). Il numero medio di figli è molto diverso tra i vari gruppi considerati. Mentre gli uomini hanno in media 2,74 figli, le donne cinesi hanno 2,18 figli e le altre donne 1,74 5. Naturalmente il numero limitato di casi non ci permette di generalizzare i nostri risultati, però si tratta di indicazioni interessanti ed in linea con i risultati della ricerca di Renzulli et al. (2000), che indicano matrimonio e figli come ostacolo alla decisione di intraprendere il lavoro autonomo. Purtroppo, nella maggior parte dei casi non sappiamo quale ruolo abbia svolto la presenza di marito e figli nella decisione di avviare l impresa, però nei casi che abbiamo approfondito, questa presenza (o assenza) appare spesso determinante, come vedremo nel prossimo paragrafo. Oltre al ruolo delle reti etniche e familiari, ci interessa approfondire le altre motivazioni che hanno spinto le donne intervistate a partire dal proprio Paese di origine. Gli aspetti economici sono stati importanti per 4 donne su 10, il desiderio di avventura per una donna su cinque, e per oltre un terzo delle donne è importante anche il desiderio di promozione, inteso come valorizzazione delle proprie 4 Note dell intervistatore all intervista Q30. 5 Secondo i dati del Primo rapporto sugli immigrati in Italia, in Lombradia nel 2005 le donne starnieri residenti avevano in media 2,58 figli per donna ( 8
10 capacità e bisogno di realizzarsi. Relativamente a questi aspetti non si osservano particolari differenza in base alla provenienza delle intervistate. Invece, questi aspetti sono importanti perché mostrano come la tipologia proposta da Thadani e Todaro (1984) sottovaluti aspetti non meramente economici o familiari, come lo spirito di avventura e il desiderio di promozione. Nel complesso, per il momento è possibile affermare che nel loro percorso migratorio le donne intervistate hanno affrontato diverse situazioni difficili in vari ambiti: familiare (separazione dai mariti, lontananza dai figli), economico (difficoltà economiche personali o anche generali, come nel caso delle due ecuadoriane emigrate nel 2000 a seguito di una grave crisi economica nazionale) e politiche (nel caso della donna cilena). L avvio dell impresa Abbiamo visto che le donne intervistate hanno generalmente una buona dotazione di capitale umano (fatta eccezione per le donne cinesi). Riguarda all esperienza lavorativa al Paese d origine, circa metà delle cinesi e due terzi delle altre donne avevano già lavorato prima di arrivare in Italia. In totale si tratta di 16 donne su donne svolgevano lavori impiegatizi o di insegnamento, 5 operavano nel commercio o nella ristorazione, due erano sarte, una operaia e una contadina. All arrivo in Italia, solo una donna è riuscita fin dall inizio a continuare a lavorare nello stesso settore, una delle due sarte. Anche l altra sarta è comunque venuta in Italia per studiare design e moda e le occupazioni da lei svolte prima di finire gli studi erano lavori saltuari di vario genere, mentre successivamente ha sempre lavorato nel settore moda e abbigliamento. Delle 7 impiegate o insegnanti, solo tre all arrivo in Italia riescono a trovare un lavoro impiegatizio, anche se non sempre nello stesso settore. Tutte le altre donne, all arrivo in Italia inizialmente occupano posizioni lavorative dove maggiore è la richiesta di straniere come la domestica, la donna delle pulizie, la badante o anche nell ambito dell economia etnica, come operaia tessile (nel caso delle cinesi) o come commessa in attività commerciali di proprietà di parenti. Anche la maggior parte delle donne da noi intervistate sperimentano dunque, all arrivo in Italia, il fenomeno della sottoccupazione, così frequente per gli immigrati, sia uomini che donne. Nonostante questo tratto comune, è proprio a partire dalla carriera lavorativa che ha portato alla decisione di avviare un attività in proprio che osserviamo le maggiori differenze non solo tra le cinesi e le altre donne, ma in generale, tra le 10 donne che abbiamo intervistato nell area milanese e le donne che invece hanno risposto al questionario strutturato nelle altre aree. Infatti, salvo rare eccezioni che metteremo in evidenza, le cinesi e le senagalesi a Catania, le marocchine a Torino e le 9
11 cinesi a Prato seguono un percorso lavorativo e imprenditoriale che è simile a quello degli uomini dello stesso gruppo nazionale che operano nello stesso settore. A Torino, le donne marocchine si sono progressivamente inserite nel comparto alimentare, a Prato e a Catania il percorso delle donne cinesi è stato quello del laboratorio tessile o commercio all ingrosso o al dettaglio di abbigliamento e pelletteria. Infine, le senegalesi a Catania hanno seguito la via del commercio ambulante, anche se poi tre su quattro gestiscono attualmente un attività nell ambito della ristorazione. Le due eccezioni sono rappresentate dalla quarta senegalese, titolare di un negozio di artigianato etnico e, soprattutto, parrucchiera e una delle donne cinesi di Prato, che è titolare di una pasticceria, lo stesso lavoro che svolgeva anche in patria. Delle donne intervistate a Milano, due delle quattro sudamericane si muovono in quelli che sono i settori caratterizzati da una elevata presenza di lavoratori dipendenti e autonomi di origine straniera: una che, fin dal suo arrivo, si è occupata di pulizie presso privati o uffici ed attualmente è titolare di un impresa di pulizie e l altra che, dopo aver fatto la badante per qualche tempo, ha prima aperto un phone center/money transfer ed attualmente è titolare insieme ad un amica connazionale di un agenzia viaggi e si occupa anche di intermediazione immobiliare per i connazionali che vogliono acquistare casa nel Paese d origine. Un altra sudamericana si colloca in una situazione intermedia. Pur avendo fondato, insieme ad altri stranieri, una cooperativa di servizi di pulizie, dedica la maggior parte del suo tempo ad un attività di catering alimentare multietnico. L aspetto della creatività, della possibilità di fare qualcosa che piace, di occuparsi di bellezza, è un aspetto, già rilevato da Lunghi (2003), spesso sottolineato dalle donne intervistate, in particolare da coloro che si occupano di sartoria ed abbigliamento, ma anche dall estetista e dalla titolare di una scuola di ballo. Ecco, a questo proposito, cosa dice un intervistata: Amo le donne e valorizzo la bellezza femminile (Q202). Accanto a questo, vi è il desiderio di rendersi utile, di aiutare altri immigrati che vivono nel nostro Paese, che hanno manifestato sia la presidente della cooperativa sociale di mediazione culturale, sia la titolare di agenzia viaggi, che ha dichiarato Per me è importante con i miei clienti la mia capacità di ascoltare, a volte ci diciamo che dobbiamo mettere delle sedie più scomode perché le persone stanno qui ore e non se ne vanno più[ ] Questo mi ha dato una buona reputazione (Q205). Nel complesso, la possibilità di riprendere la professione appresa al Paese di origine, di utilizzare nuove competenze acquisite in Italia o di mettere a frutto quelle che erano prima le passioni coltivate nel tempo libero sono state il principale fattore di spinta che ha motivato queste donne all avvio di un attività autonoma. E anche in questo caso, emerge fortemente la distinzione tra le donne che hanno avviato da sole la propria attività e quelle che invece ha partecipato ad un più 10
12 ampio progetto familiare: le prime, infatti, molto più spesso indicano la valorizzazione delle proprie capacità e conoscenza come ragione dell avvio dell impresa. Certo, non si può negare l importanza degli aspetti economici. L avvio dell attività è voluto anche per guadagnare di più o per avere un lavoro più regolare. Infine, non poche donne sono state spinte all avvio dell attività per ragioni familiari. In due casi (impresa di pulizie e agenzia viaggi), l attività imprenditoriale ha garantito l autonomia e la flessibilità oraria necessaria per dedicare più tempo ai figli appena arrivati in Italia o ancora piccoli. In altri due casi (bar e estetista), l avvio dell impresa è stato sollecitato dall improvvisa mancanza di reddito da parte del coniuge (per malattia o per gravi difficoltà lavorative). In un terzo caso (scuola di ballo), l attività, già avviata in precedenza, ha acquisito nuova centralità dopo il decesso del marito, trasformando quello che era iniziato come un hobby in un attività vera e propria, in costante crescita. Abbiamo detto che molte imprenditrici hanno avviato il loro progetto di impresa all interno del contesto familiare. Le informazioni che abbiamo a disposizione sono la collaborazione di partner, figli o parenti all impresa. Mentre 3 cinesi su 4 lavorano con il marito e altrettante con parenti (vi sono dunque donne che lavorano sia con il marito che con altri parenti, confermando così l ipotesi della forte presenza di imprese a gestione familiare), tra le altre donne meno di una su 5 lavora con il partner e/o con parenti (la percentuale è simile a quella riscontrata tra gli imprenditori maschi). In particolare, tra le 10 donne che abbiamo intervistato in modo più approfondito, solo una lavora costantemente con il marito nella gestione del bar. Anche l altra titolare di bar riceve un aiuto saltuario da parte del marito, che tuttavia non può collaborare regolarmente all impresa essendo malato. Diverso è il discorso relativo ai figli. In questo caso, mentre solo una cinese ha figli che collaborano all attività della madre, tra le altre donne quasi un terzo ha la collaborazione, stabile o occasionale dei figli. I figli, però, sono entrati nell impresa solo in una fase successiva all avvio. L essere donna e imprenditrice non è facile. Dice una delle imprenditrici: Noi donne dobbiamo lottare in una società maschile. E difficile fare l imprenditrice e la mamma. Devi dimostrare chi sei, cosa sai fare (Q202) e un altra sostiene che essere donna e avere un attività in proprio è più difficile, soprattutto per una mamma sola (Q205). Tuttavia, c è anche chi ha tratto vantaggio dalla propria identità di genere: Per una donna è più facile fare le cose, i fornitori sono più rispettosi, ho sempre a che fare con uomini (Q201). Altre volte si sottolinea come le difficoltà derivino dal fatto di essere straniera, che può causare diffidenza da parte dei clienti, soprattutto quando questi sono prevalentemente italiani, come capita alla maggior parte delle donne intervistate (tranne nel caso della titolare di agenzia viaggi). Infatti, qualcuna ammette che A volte c è stata un po di diffidenza quando scoprivano che ero rumena, però non mi ha mai creato problemi sul lavoro, si va avanti (Q201). E anche Ho sofferto per l atteggiamento verso di me, verso gli immigrati (Q206). Però, 11
13 con il tempo, la situazione migliora: Ci sono state più difficoltà a causa dell origine straniera, se non fosse stato per mio marito [italiano], ci sarebbe sicuramente stata diffidenza da parte dei clienti. Ora sono conosciuta, non lo sento più, non ho più quella sensazione (Q208). L importante è non lasciarsi scoraggiare da questi atteggiamenti, come mostra l esempio di una delle intervistate: Mi son trovata con delle persone che non si fidavano. Ci guardavano in un'altra maniera. Però col mio carattere, quando trovavo queste persone ci stavo più dietro perché dovevano cambiare il modo di pensare nei miei confronti. Non pensavo agli stranieri, pensavo al modo di pensare a me. Allora cercavo, insistevo fino a quando cambiavano idea e sono ancora miei clienti (Q84) Come il percorso migratorio, anche l inserimento nel contesto lavorativo italiano e l avvio dell attività in proprio hanno rappresentato delle sfide non facili per le nostre intervistate. Tuttavia, sono state in grado di affrontarle, contando sulle proprie capacità e la propria forza. Come sostiene un intervistata: Magari le donne sono ancora più forti degli uomini, pensavo di essere debole e invece ho trovato la forza (Q206). Vedremo dunque, nel prossimo paragrafo, come queste donne stanno affrontando la crisi economica. Imprenditrici di fronte alla crisi Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la maggior parte delle imprenditrici straniere da noi intervistate ha già dovuto affrontare nel corso della propria vita dei momenti difficili, che hanno contributo alla loro decisione di migrare e/o di avviare un attività imprenditoriale. Tuttavia, ora ci concentriamo sulla crisi economica attuale, cercando di capire come la stanno affrontando e con quali prospettive guardano al futuro. Un primo dato importante riguarda la situazione attuale dell impresa e l impatto che la crisi ha avuto su di essa. Per quanto riguarda sia il numero dei dipendenti sia l andamento del fatturato, la situazione delle donne intervistate è più favorevole rispetto a quella dei loro colleghi uomini, almeno per ciò che concerne le donne non cinesi. Infatti, il numero dei dipendenti, seppur generalmente limitato o nullo nella maggior parte dei casi, è comunque in crescita rispetto a tre anni fa per circa un quarto delle imprenditrici non cinesi, mentre per le cinesi non sono mai in aumento (per gli uomini sono in aumento nel 16% dei casi). La differenza tra le cinesi e le altre donne è ancora più evidenti se si considera l andamento del fatturato. Mentre tra le altre donne solo il 40% ha osservato una 12
14 diminuzione rispetto a tre anni fa, il 73% delle cinesi ha un fatturato inferiore rispetto al passato (tra gli uomini, il 60% ha subito una diminuzione del proprio fatturato) 6. E opportuno chiarire che il dato appena mostrato è solo un indicazione della situazione esistente, senza alcuna pretesa esplicativa, che senza dubbio richiederebbe un maggior numero di casi, un analisi dei diversi contesti economici e della situazione di mercato dei diversi settori di attività, dal momento che la crisi, pur essendo diffusa, probabilmente non colpisce tutti i settori allo stesso modo. Invece, vogliamo usare questo dato come punto di partenza per cercate di comprendere come, data la situazione economica di ciascuna, queste donne stanno cercando di portare avanti la propria attività. In primo luogo, lavorano molto. Tutte le donne intervistate, infatti, senza distinzione di nazionalità, lavorano in media circa 10 ore più degli uomini, ovvero 60 ore alla settimana. Alla luce di questa informazione, non stupisce che il tasso di fertilità sia così basso e che i figli, quando presenti, sono ormai abbastanza grandi da essere autonomi oppure vanno a scuola. In alcuni casi, come abbiamo già detto, i figli adulti lavorano con la madre regolarmente o saltuariamente (6 casi), mentre in un altro caso la figlia piccola sta nel negozio con la madre dopo la scuola. Quando viene loro chiesto direttamente quali aspetti della loro attività sono importanti per affrontare la crisi, la maggior parte delle donne intervistate dichiara di puntare sui prezzi bassi (circa il 40% delle donne, sia cinesi che non cinesi), sulla qualità dei prodotti e dei servizi offerti (il 65% delle non cinesi e il 55% delle cinesi), la buona reputazione conquistata presso i clienti (il 53% delle non cinesi, ma solo il 36% delle cinesi) e la possibilità di poter mantenere bassi i costi (il 29% delle non cinesi, ma nessuna cinese). Le imprenditrici cercano dunque di contrastare le difficoltà poste dalla situazione di crisi economica offrendo prezzi competitivi ma, al tempo stesso, garantendo un prodotto di qualità che ha permesso loro di conquistare una buona reputazione presso i clienti. Questa strategia è seguita soprattutto dalle donne non cinesi, che infatti temono molto meno delle cinesi la concorrenza, soprattutto da parte di altri immigrati. Infatti, tra le non cinesi, oltre la metà (10 su 17, il 59%) non teme alcun concorrente e le restanti temono la concorrenza degli italiani (4 su 7) o degli altri stranieri (3 su 7). Le cinesi, invece, temono di più la concorrenza (solo 5 su 11 non la temono, meno della metà), in particolar modo dei connazionali (4 su 11). I prodotti commerciali offerti dai cinesi, sono spesso simili tra loro e difficilmente le imprenditrici riescono a differenziare la propria offerta in modo da ottenere la fidelizzazione del cliente. Diverso è il caso delle donne che svolgono altre attività, per cui la reputazione sembra essere molto importante, come 6 Le differenze tra cinesi e non cinesi non sono invece particolarmente rilevanti se si considera il campione di imprenditori nel suo complesso. Invece, in questo caso il legame tra andamento del fatturato e settore di attività appare molto più rilevante. 13
15 sostiene la titolare di agenzia viaggi: Questo mi ha dato una buona reputazione. Una volta mi hanno chiamato anche dalla Spagna per vedere se io potevo fargli un biglietto meno caro, e ci sono riuscita. Mi chiamano e si fidano solo con il passaparola, anche se non mi hanno mai vista (Q205). Anche la titolare di impresa di pulizie afferma Dove sono andata per lavoro ho cercato di dare una buona immagine e punto molto sui collaboratori per dare una buona immagine dell'azienda e credo che finora ci siamo riusciti (Q84). Pur soffrendo meno delle cinesi il problema della concorrenza, per alcune delle donne intervistate la situazione è davvero difficile. Le titolari di bar e l estetista intendono spostare l azienda in un altra zona, sperando di riuscire a contenere i costi dell affitto e di conquistare nuova clientela sposandosi in zone di maggior passaggio o dove non vi sono concorrenti diretti nelle vicinanze. Un altro aspetto che potrebbe aiutare a gestire meglio le conseguenze della crisi sarebbe la maggiore facilità di accesso al credito, problema comune a molti lavoratori autonomi, non solo donne e non solo immigrati. In ogni caso, quando viene chiesto loro cosa si aspettano dal futuro, nessuna delle donne intervistate pensa che troverà un lavoro migliore come dipendente. Da parte tutte vi è la volontà di proseguire l attività imprenditoriale, con questa o eventualmente un altra attività, magari in un altro settore. Nello specifico, circa la metà delle donne pensa che la propria azienda uscirà rafforzata dalla crisi, mentre circa la metà delle titolari di un esercizio commerciale (cinesi, marocchine e senegalesi) pensano di chiudere questa azienda per aprirne un altra in un altro settore. Per le titolari di un esercizio commerciale è probabilmente più semplice cambiare il tipo di attività, mentre per quelle donne che hanno avviato un attività in proprio sulla base delle proprie competenze acquisite, è difficile spendere tali competenze in altro modo, dal momento che il lavoro dipendente non rappresenta un opzione di scelta auspicabile. Vi è la consapevolezza che il lavoro in proprio è un punto di arrivo, che dà un autonomia anche se non purtroppo sempre un guadagno superiore a quella che potrebbero avere con un lavoro dipendente. Comunque, soprattutto tra le donne milanese che abbiamo intervistato in modo più approfondito, vi è in molti casi la consapevolezza delle proprie capacità, della propria forza e anche della qualità del proprio lavoro e dei servizi offerti. Ad esempio sostiene la titolare dell impresa di pulizie: La crisi è servita anche un po' per scegliere [ ] Io vedo la crisi come una cosa positiva. Nel mio settore ci sono imprese di pulizie fatte da persone che non sono in grado e io penso che queste persone... I più bravi rimarranno nel mercato. Quelli che non hanno una formazione e una organizzazione penso vengano mandati fuori dal mercato (Q84). 14
16 Conclusione In questo lavoro abbiamo proposto un confronto sia interno alle imprenditrici immigrate (tra cinesi e non cinesi) sia tra imprenditrici e imprenditori immigrati. Le cinesi si contraddistinguono soprattutto per il diverso ruolo svolto dalla famiglia. Tranne in rari casi, l impresa femminile sembra essere in realtà un impresa familiare con titolare donna. Questa caratteristica, che accomuna i cinesi sia uomini che donne, appare particolarmente significativo nel caso delle donne per il consistente peso delle cinesi sul totale delle imprenditrici immigrate. Per le altre donne, la scelta imprenditoriale è maggiormente collegata al desiderio di autorealizzazione, anche se naturalmente la componente economica resta centrale. In nessun caso le donne intervistate ipotizzano un ritorno al lavoro dipendente nel prossimo futuro, contrariamente a quanto accade per gli uomini. L investimento nell impresa sembra dunque essere un investimento consistente e di lungo periodo. La portata di questo impegno emerge dal lungo orario lavorativo, dal non episodico coinvolgimento dei figli ormai diventati adulti e dalle dichiarazioni delle stesse imprenditrici, orgogliose di essere uscite nella maggior parte dei casi dalla sottoccupazione e di essere riuscite in molti casi a trasformare hobby e passioni prima limitate al tempo libero in un attività lavorativa di cui tutte, comunque, vanno orgogliose. L orgoglio è anche frutto della consapevolezza degli ostacoli superati, in quanto donna e in quanto immigrata. Bibliografia Aldrich, H. et al. (1985) Ethnic residential concentration and the protected market hypothesis Social forces 63 (4) Aldrich, H. e Waldinger, R.(1990) Ethnicity and Entrepreneurship Annual Review of Sociology, 16, Ambrosini M. (2005) Sociologia delle migrazioni Bologna, Il Mulino Bonacich, E. (1973) "A Theory of Middlemen Minorities," American Sociological Review, 38, Brettel C B e Alstatt K E (2007) The agency of immigrant entrepreneurs:biographies of the self employed in ethnic and occupational niches of the urban labour market, Journal of Antropological research 63 (3): Dallalfar, A. (1994) Iranian women as immigrant entrepreneurs, Gender and Society 8 (4)
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